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Guido Braun, Imagines Imperii. Die Wahrnehmung des Reiches und der Deutschen durch die römische Kurie im Reformationsjahrhundert (1523-1585), Schriftreihe der Vereinigung zur Erforschung der neuren Geschichte E. V. 37, Münster, Aschendorff Verlag 2014

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Guido Braun, Imagines Imperii. Die Wahrnehmung des Reiches und der Deutschen durch die römische Kurie im Reformationsjahrhundert (1523-1585), Schriftreihe der Vereinigung zur Erforschung der neuren Geschichte E. V. 37, Münster, Aschendorff Verlag 2014, ISBN 978-3-402-14765-8, S. 840.

Il ponderoso volume di Guido Braun rappresenta un eccellente esempio di studio che unisce una originale ricerca storico-antropologica alla ricchezza documentaria analizzata con competenza e puntualità, mai separate da una interpretazione che permette di contestualizzare e di procedere ad una critica delle fonti, del linguaggio usato e delle sfumature semantiche che, in questo contesto, vanno ben oltre l’aspetto filologico. Il volume si articola in dieci densi capitoli, conclusi da un ricco elenco delle fonti e della bibliografia consultate, insieme ad una appendice iconografica relativa alla rappresentazione ‘moderna’ del mito medievale dell’elezione imperiae (pp. 775-776) e da un dettagliato indice che rende agevole la consultazione del testo. I capitoli sono preceduti da un’ampia introduzione nella quale l’autore si sofferma sia sull’analisi della più recente storiografia, soprattutto tedesca, che ha considerato i rapporti fra la Curia romana e l’Impero nel Cinquecento, sia fa emergere con chiarezza le caratteristiche delle fonti – per lo più le nunziature, le istruzioni per i diplomatici pontifici e le loro relazioni sull’attività svolta – ma presenta anche la metodologia di ricerca e, soprattutto alcuni concetti euristici, già formulati proprio da storici tedeschi come Volker Reinhart, Peter Burschel e Wolfgang Reinhard e che hanno dato impulso ad una originale prospettiva di ricerca soprattutto della storia diplomatica, sottolineando la potenzialità e insieme i limiti delle nunziature per indagare anche la storia culturale, la formazione di saperi e, soprattutto, la “percezione dell’altro”. Nel caso in questione, si tratta di una realtà ‘altra’ – quella del Sacro Romano Impero, dei suoi principi e di tutta la popolazione – i tedeschi, insomma, intesi in un senso generale, generico e per lo più negativo – che proprio nel Cinquecento è divenuta un ostile terreno per Roma e per i suoi diplomatici, proprio nell’arco cronologico considerato nel volume (1523-1585). Un concetto – quello della percezione dell’altro e della interiorizzazione sia a livello individuale che collettivo – che conduce poi alla generalizzazione ed alla creazione di stereotipi con i quali etichettare una cultura, un popolo, una nazione senza distinguo: topoi negativi, di solito, il cui uso è strumentale e funzionale in una determinata situazione politica. Non mancano, a questo proposito, esempi recenti, anzi contemporanei. La percezione dell’altro avviene però, come sottolinea Braun sulla scorta di affermazioni di noti antropologi, sempre attraverso il filtro della propria cultura, della autopercezione e della propria presunta e rivendicata superiorità. Questa osservazione rende, di conseguenza, sempre sottile l’analisi delle fonti e la

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sottolineatura dei loro limiti euristici, dall’altra permette all’autore di comprendere sia quali fossero i filtri attraverso i quali i diplomatici pontifici percepivano l’altro e se questi filtri culturali cambiassero nel tempo – la formazione umanistica, giuridico-canonistica, le precedenti esperienze diplomatiche e di governo, la stessa provenienza sociale forgiata spesso dalla cultura nobiliare – sia i modi di trasmissione, e spesso della standardizzazione, della loro percezione dell’altro e la diffusione non solo nell’ambiente curiale nel quale ritornavano al termine della missione diplomatica. E’ ben chiaro all’autore il policromo mondo dell’informazione romano, la centralità che Roma assunse in età moderna nella ricezione, elaborazione e trasmissione di informazioni e nel loro uso, non solo politico. Come dimostra la “Relatione dello stato presente dell’Imperio” scritta da Carlo Carafa e analizzata dall’autore come esempio di quanto l’informazione, pur aggiornata sull’Impero, rimanesse condizionata dall’intransigenza confessionale che percepiva come negativo tutto il mondo conquistato dall’eresia, i suoi uomini, la sua cultura, la stessa quotidianità. Un’immagine negativa destinata a perdurare ed a condizionare i rapporti fra la curia romana e il mondo germanico, almeno ufficialmente e a livello diplomatico.

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