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Le conseguenze etiche del Covid-19

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Academic year: 2021

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PANDEMIA, conseguenze etiche. ‒ LA GESTIONE SOCIALE DELL’INCERTEZZA. IL TRIAGE NELLE TERAPIE INTENSIVE. LOCKDOWN E DISUGUAGLIANZA SOCIALE. I COSTI ECONOMICI DEL LOCKDOWN. IL

TRACCIAMENTO TECNOLOGICO. IL RISCHIO DI UNA DERIVA BIOPOLITICA? UNO SGUARDO AL FUTURO. Bibliografia. Webgrafia

LA GESTIONE SOCIALE DELL’INCERTEZZA. ‒ La rapida e inaspettata diffusione a livello planetario della sindrome Covid-19 (Coronavirus disease 2019) ha riproposto un problema cruciale delle società contemporanee: il rapporto tra scienza, etica e politica nella gestione sociale dell’incertezza.

L’incertezza scientifica riguardo al Covid-19 è stata ed è tuttora molto ampia: riguarda le origini della malattia, le modalità e l’entità della sua diffusione, il ruolo dei casi asintomatici, i meccanismi e la durata dell’immunità, gli strumenti diagnostici e le terapie efficaci. Date le scarse evidenze mediche ed

epidemiologiche inizialmente disponibili, in attesa di un vaccino o di cure farmacologiche efficaci, per contenere il numero dei soggetti contagiati sono state predisposte misure di lockdown che prevedono la riduzione della mobilità e il distanziamento fisico della popolazione.

Le prese di posizione politiche degli ultimi mesi hanno mostrato la tendenza a giustificare le misure legislative quasi esclusivamente sulla base delle evidenze scientifiche via via disponibili. Seppure

comprensibile durante le prime fasi dell’emergenza, questo atteggiamento rivela una preoccupante debolezza dell’etica e della politica, che sono sembrate abdicare di fronte alla parola della scienza. È evidente, infatti, come nessuna decisione pubblica possa essere giustificata unicamente su un piano tecnico-scientifico e a prescindere da qualsiasi esplicito ragionamento di carattere normativo. A dispetto del fatto che a più riprese si sia invocata la necessità delle misure di lockdown, nessuna decisione politica può mai essere necessaria, se non in modo relativo e condizionale, cioè in quanto strumento necessario a raggiungere determinati tipi di fini (morali e politici). Sono questi fini, in realtà, a essere in questione nel dibattito pubblico. Al di là dei diversi modelli adottati (europeo, svedese, asiatico), invece che di necessità sarebbe più opportuno parlare di giustizia: le misure di contenimento dell’epidemia sono state giuste perché hanno consentito di alleviare la pressione sugli ospedali e di salvaguardare la parte più fragile della popolazione (principalmente anziani e persone con patologie), mantenendo vivo il sentimento di solidarietà sociale e il patto intergenerazionale. IL TRIAGE NELLE TERAPIE INTENSIVE. ‒ Il primo drammatico effetto della pandemia è stato quello di provocare la crisi dei sistemi ospedalieri, che ha messo in luce una sproporzione ingente tra le esigenze di cura e la capacità di risposta delle strutture sanitarie. Nei casi più acuti, la Covid-19 può provocare una sindrome respiratoria acuta molto grave. In tale situazione, una soluzione possibile è il ricovero dei pazienti in reparti di terapia intensiva. I sistemi sanitari della maggior parte del mondo sono stati costretti ad

affrontare una situazione estrema, che non riguardava soltanto le terapie intensive, ma le intere strutture ospedaliere: molti malati, pur non avendo contratto il virus, non hanno avuto la possibilità di ricevere assistenza medica adeguata.

Il problema è stato posto in Italia, nei primissimi giorni dell’emergenza pandemica, in un documento della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), ed è stato ripreso e discusso dalla maggior parte delle riviste scientifiche, delle società mediche e dei comitati nazionali di bioetica del mondo. Il documento ha segnalato il profilarsi di uno scenario assimilabile alla cosiddetta medicina delle catastrofi. In tale contesto si sarebbe rivelato necessario abbandonare i due principi

tradizionali del first come first served (il primo che arriva è il primo servito, cioè curato) e della cura one to one (finalizzata al singolo), e optare per criteri di accesso alle cure intensive non fondati solo sui criteri dell’appropriatezza clinica e della proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a criteri di giustizia distributiva e di allocazione delle risorse sanitarie. Il centro della discussione ha riguardato la natura dei nuovi criteri: benché esista un certo accordo sul fatto che in un contesto di grave carenza di risorse si debba mirare a garantire i trattamenti ai pazienti con la maggiore possibilità di guarigione, le opinioni divergono riguardo alla possibilità di introdurre nel triage ulteriori criteri di ordine non clinico, quali l’età, l’aspettativa di vita residua o la qualità di vita.

LOCKDOWN E DISUGUAGLIANZA SOCIALE. ‒ L’incisività delle misure di distanziamento fisico presuppone una relazione di fiducia reciproca tra governanti e governati, che si fonda su due presupposti fondamentali.

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In primo luogo un’azione efficace di comunicazione chiara e tempestiva delle evidenze scientifiche ed epidemiologiche su cui si fondano le politiche pubbliche. In secondo luogo, e parallelamente, una riflessione approfondita sui fini morali e politici che si vogliono perseguire e, alla luce di questi fini, sui costi e sui benefici delle politiche messe in atto. Questo perché, mentre i vantaggi nel breve periodo in termini di vite salvate sono chiari, non altrettanto chiaro è l’impatto negativo che le misure di lockdown avranno sulla vita futura delle nostre società.

Questo vale, in primo luogo, per le evidenti disuguaglianze che le azioni politiche intraprese, e quelle che probabilmente saremo costretti a intraprendere, per contenere la diffusione del virus introducono nel tessuto sociale. Le misure di lockdown hanno gravato in misura elevata su categorie di persone particolarmente vulnerabili: anziani, bambini, disabili, malati non-Covid, carcerati, prostitute, migranti. Hanno avuto un impatto diverso a seconda del genere e costi economici differenti per diverse categorie sociali (si pensi alle differenti conseguenze per coloro che gestiscono un’attività commerciale, per i lavoratori dell’industria privata, per i dipendenti dello Stato, o alle categorie professionali sottoposte nelle prime fasi dell’epidemia a maggiore rischio, come il personale sanitario e i dipendenti dei supermercati). A questo proposito, un recente documento del Comitato nazionale per la bioetica ha ricordato come tali misure, pur necessarie, debbano essere giustificate tramite criteri di proporzionalità, provata efficacia e limitatezza nel tempo.

I COSTI ECONOMICI DEL LOCKDOWN. ‒ Un discorso analogo può essere fatto riguardo ai costi economici delle misure per contenere l’epidemia, che inevitabilmente gravano sulle future generazioni. Il problema non sembra risolvibile per mezzo di un paradigma teorico di stampo utilitaristico: che si discuta di accesso alle terapie intensive o del rapporto tra misure emergenziali ed effetti economici futuri, i difetti principali dell’utilitarismo sono l’antropologia economicista, la scarsa attenzione nei confronti dei diritti fondamentali, ma soprattutto la pretesa di estendere la previsione di calcolo a un futuro troppo complesso e lontano per essere conosciuto con certezza. Questa pretesa tradisce la provenienza dell’utilitarismo dal

consequenzialismo teologico dell’epoca del filosofo britannico Jeremy Bentham, il cui presupposto è l’idea di una mente divina onnisciente. Le misure di sanità pubblica si giustificano dimostrando che, mentre i benefici a breve termine delle politiche di lockdown sono evidenti, i costi futuri sono meno determinabili, dal momento che dipenderanno anche dalle scelte che la politica sarà in grado di fare.

Le politiche future dovranno tenere in considerazione le evidenze epidemiologiche e al tempo stesso farsi carico di questioni primarie di natura economica, etica e sociale. Qualunque sia la logica delle politiche di stop and go che potrebbero venire adottate, nel momento in cui si deciderà di sottoporre determinate categorie di persone a un rischio maggiore rispetto ad altre, sarà necessario salvaguardare la coesione sociale e il patto intergenerazionale. Questo principio dovrebbe valere anche per le future politiche di vaccinazione. Una volta creato, il vaccino non sarà immediatamente disponibile in grandi quantità e bisognerà stabilire priorità di accesso alla vaccinazione tenendo a mente la filiera delle decisioni precedenti: si potrebbe per es. ipotizzare che gli individui inizialmente svantaggiati (non solo anziani, ma anche operatori sanitari e operai, cassieri dei supermercati, farmacisti, che, essendo stati considerati di prima necessità, non hanno mai smesso di lavorare o sono stati rimandati al lavoro prima degli altri) siano 'ricompensati' in un secondo momento con una vaccinazione prioritaria. In questo modo si salvaguarderebbe una prospettiva di giustizia distributiva universalistica.

IL TRACCIAMENTO TECNOLOGICO. ‒ La limitazione di alcune libertà fondamentali durante la prima fase del lockdown è stata giustificata in nome della tutela della salute pubblica. In circostanze particolari, è lecito porre un freno ai comportamenti individuali in nome del dovere di solidarietà che impone di non mettere a repentaglio la salute altrui. Diverso è il caso dei sistemi tecnologici digitali che prevedono protocolli di tracciamento e isolamento dei contagiati. Questi sistemi, adottati in Paesi asiatici come la Corea del Sud, si sono dimostrati molto utili per il contenimento della curva epidemica; ma sollevano molte perplessità, relative alla loro legittimità e alla loro reale efficacia in un contesto sociale e culturale come quello occidentale.

Riguardo all’efficacia, è vero che le misure di contenimento del contagio che si basano meno sulla

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sfera privata da parte delle autorità statali, potrebbero non ottenere in Occidente lo stesso consenso che hanno avuto altrove. La nascita del soggetto moderno, in Occidente, si fonda su un presupposto

fondamentale: il riconoscimento di una dimensione di intimità e di segretezza come elemento costitutivo dell’Io e dei nostri rapporti sociali e politici con gli altri: persino il filosofo britannico Thomas Hobbes, che teorizzava l’autorità assoluta del sovrano nei confronti dei sudditi, salvaguardava la segretezza del loro «foro interno». E un filosofo come il tedesco Georg Simmel ha definito il segreto come «una delle massime conquiste spirituali del genere umano» (Stile moderno. Saggi di estetica sociale, a cura di B. Carnevali, A. Pinotti, Torino 2020, p. 156), che non può vivere in una totale trasparenza. L’efficacia di una misura di ordine pubblico non si può fondare unicamente su evidenze di tipo scientifico, ma presuppone una

condivisione generalizzata da parte dei cittadini, che non dipende solo dal fatto che tale misura sia giusta ma dal fatto che sia percepita come tale.

IL RISCHIO DI UNA DERIVA BIOPOLITICA? ‒ Riguardo alla legittimità delle misure di tracciamento il discorso è più complesso. In una serie di articoli pubblicati negli ultimi mesi, il filosofo italiano Giorgio Agamben ha paventato la nascita di un nuovo dispositivo di governo in cui la gestione dell’emergenza sanitaria

diventerebbe parte essenziale delle strategie politiche nazionali e internazionali. Un dispositivo regolato dalla logica del worst case scenario che imporrebbe ai cittadini il dovere di un’obbedienza assoluta alle logiche del potere centrale, in nome di una concezione della salute pubblica che sostituisce il tradizionale diritto alla salute con un inedito obbligo alla salute.

Questa analisi è solo in parte convincente. Va presa sul serio nella misura in cui segnala come l’uso di tecnologie digitali nella lotta contro il virus possa implicare un alto rischio di derive biopolitiche. Non va dimenticato che gli Stati che hanno affrontato più efficacemente l’emergenza pandemica tramite un sistema di tracciamento e isolamento capillari dei contagiati, sono Stati autoritari e non democratici, e che finora non si era mai dato il caso di piattaforme nazionali (e forse, in un futuro, globali) capaci di archiviare e gestire i dati sensibili delle persone con un tale livello di capillarità e di premiare e punire i cittadini sulla base di un controllo onnisciente dei loro comportamenti. Il problema più grave non riguarda tanto la tutela della privacy, ma il modello di società che tali strumenti potrebbero prefigurare: una società del controllo non lontana da quella descritta in un episodio della celebre serie tv Black mirror (1° episodio della 3a stagione, intitolato Nosedive, trad. it. Caduta libera) in cui il sistema della reputazione digitale viene gestito in modo centralizzato da una specie di banca centrale che conferisce crediti e debiti, limitando l’accesso ai servizi pubblici a chi ha un credito insufficiente.

Il grande limite delle concezioni apocalittiche del biopotere consiste tuttavia nella logica sistemica cui fanno ricorso, modellata sul caso estremo dei regimi totalitari: questa logica non è in grado di distinguere politiche pubbliche molto diverse tra loro, come il tracciamento tecnologico e le misure di distanziamento fisico, nega a priori le finalità etico-politiche dei governi, pretendendo di 'smascherarle' come perverse strategie di potere e finendo per negare l’esistenza stessa dell’emergenza pandemica. In realtà, il consenso generalizzato di cui le misure di distanziamento fisico hanno goduto nella prima fase della loro attuazione mostra come non si dia una cieca inclinazione all’ubbidienza da parte dei cittadini delle società occidentali secolarizzate. Contrariamente all’opinione di coloro che vedono in ciò il sintomo del declino spirituale dell’Occidente, tale consenso deriva dal riconoscimento di alcuni valori fondamentali che, come ha ricordato il filosof

tedesco Jürgen Habermas nei suoi interventi sulla pandemia, hanno caratterizzato la nascita del mondo moderno: il valore della vita e la solidarietà nei confronti degli individui maggiormente vulnerabili. UNO SGUARDO AL FUTURO. ‒ La pandemia approfondisce e radicalizza alcune dinamiche connesse all’enorme progresso tecnico e scientifico in atto sin dalla metà del secolo scorso. In primo luogo,

l’ampliamento del concetto di responsabilità in termini sia spaziali sia temporali. La responsabilità non può più essere riferita esclusivamente alle azioni di un agente singolo, ma diventa responsabilità globale e intergenerazionale (responsabilità nei confronti della natura come casa comune a tutto il genere umano, responsabilità nei confronti delle future generazioni). In secondo luogo, l’ampliamento del concetto tradizionale di salute, che non può più venire pensata solo in relazione alla comparsa di alterazioni

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difesa della salute, nel mondo contemporaneo, implica un’azione che si eserciti su un duplice livello, locale e globale. A livello locale, presuppone un potenziamento dei sistemi sanitari nazionali, che si sono fatti trovare per lo più impreparati di fronte alla diffusione del virus. A livello globale, occorrono organismi politici che siano in grado di prevenire e gestire nuove pandemie: di qui il rilievo che assume il concetto

di preparedness, intesa, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, come una strategia operativa globale a lungo termine che mira a rafforzare la capacità dei singoli Paesi di fare fronte in modo efficace a ogni tipo di emergenza sanitaria futura. Ma perché questo avvenga sarebbe necessario poter garantire la cooperazione degli Stati a livello internazionale, il che solleva l’ulteriore questione del ruolo che le

organizzazioni sovranazionali, in primis l’Unione Europea, dovrebbero avere nel gestire una salute sempre più globalizzata.

BIBLIOGRAFIA:J.HABERMAS, Dans cette crise, il nous faut agir dans le savoir explicite de notre non-savoir, «Le Monde», 10 aprile 2020.

WEBGRAFIA:WHO(World Health Organization), WHO global influence preparedness plan, Geneva 2005,

https://www.who.int/csr/resources/publications/influenza/WHO_CDS_CSR_GIP_2005_5.pdf; GPMB(Global Preparedness Monitoring Board), A world at risk. Annual report on global preparedness for health emergencies, Geneva 2019, https://apps.who.int/gpmb/assets/annual_report/GPMB_annualreport_2019.pdf; G.

AGAMBEN, Biosicurezza e politica, 2020, https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-biosicurezza; COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Covid 19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del

'triage in emergenza pandemica', Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 2020,

http://bioetica.governo.it/media/3997/p136_2020_covid-19-la-decisione-clinica-in-condizioni-di-carenza-di-risorse-e-il-criterio-del-triage-in-emergenza-pandemica.pdf; COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Covid 19:

salute pubblica, libertà individuale, solidarietà sociale, Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 2020, http://bioetica.governo.it/media/4027/p137_2020_covid-19-salute-pubblica-liberta-individuale-solidarieta-sociale_it.pdf; NUFFIELD COUNCIL ON BIOETHICS, Ethical considerations in responding to the COVID-19

pandemic, London 2020, https://www.nuffieldbioethics.org/assets/pdfs/Ethical-considerations-in-responding-to-the-COVID-19-pandemic.pdf; SIAARTI(Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia

Intensiva), Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, Roma 2020,

http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI/SIAARTI%20-%20Covid19%20-%20Raccomandazioni%20di%20etica%20clinica.pdf; N.BERLINGER,M.WYNIA,T.POWELL ET AL., Ethical framework for health care institutions responding to novel coronavirus SARS-CoV-2 (COVID-19). Guidelines for institutional ethics services responding to COVID-19, Garrison (N.Y.) 2020,

https://www.thehastingscenter.org/wp-content/uploads/HastingsCenterCovidFramework2020.pdf. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 24 giugno 2020.

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