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1. INTRODUZIONE
Eventi di speciazione rapida e recente portano a problemi nella risoluzione degli alberi filogenetici con la formazione di una grande quantità di rami corti tra i nodi dell’albero. La famiglia dei Delphinidae è un esempio di questo tipo di radiazione evolutiva e le relazioni tra i taxa che la compongono sono di difficile risoluzione.
1.1 Descrizione generale
La famiglia Delphinidae è la famiglia più diversificata tra i cetacei, comprendendo 19 generi e 37 specie di odontoceti. Tutti i rappresentanti di questa famiglia sono cetacei odontoceti di media e piccola taglia, chiamati anche “delfini oceanici”. Le loro
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caratteristiche principali sono il rapporto molto alto tra massa celebrale e massa corporea, l'elevata capacità di ecolocalizzazione e i complessi rapporti sociali tra gruppi e nei gruppi familiari.
La distribuzione geografica dei delfinidi è molto larga e riflette l'eterogeneità di habitat ai quali si sono adattati. Possiamo, infatti, trovare specie neritiche come quelle del genere Cephalorhynchus, specie prettamente oceaniche ("open water") come Lissodelphis e
Stenella e specie come quelle del genere Orcinus che vivono sia in
acque costiere che oceaniche (Fordyce e Barnes 1994).
Proprio grazie a questa diversità anche le strategie di caccia, che vanno dalla "suction feeding" alla "raptorial feeding" e la stazza e la morfologia risultano molto varie, portando questa famiglia al grande successo evolutivo (Werth 2000).
I delfinidi come la maggior parte dei cetacei attuali sono caratterizzate da un corpo allungato e idrodinamico, un rostro, che risulta distinto dal resto del cranio e dall'assenza di arti posteriori. Il numero dei denti varia moltissimo da una specie all'altra: le specie ittiofaghe presentano un numero elevato di denti (polidontia) mentre quelle teutofaghe mostrano una drastica riduzione nel numero dei
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denti. Il rostro varia da stretto e allungato a corto e arrotondato ed i suoi margini laterali, in visione dorsale e ventrale, risultano poco incurvati lateralmente, eccetto in Steno e Sousa, in cui il rostro si assottiglia più rapidamente.
La telescopia del cranio, adattamento alla vita completamente acquatica, ha portato allo spostamento delle narici nella parte superiore del cranio, e all’allungamento delle ossa mascellari e premascellari che vanno a scorrere sopra le ossa frontali, formando una regione prenasale ampia. I nasali risultano quindi ridotti. Questi formano la parte più alta del vertice del cranio e non si proiettano anteriormente sopra il margine posteriore dell’osso etmoide. Il mesetmoide risulta largo e piatto e manca, nella parte posteriore, di una “carena” mediana. I margini posteriori sono incurvati e prendono contatto con i nasali.
La regione frontale è occupata dal melone, un organo formato da tessuto adiposo e collegato alla funzione di ecolocalizzazione e di comunicazione.
Una caratteristica peculiare dei delfinidi, che sembra correlata alla maggiore encefalizzazione e capacità di ecolocalizzazione, è la
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marcata asimmetria del cranio, visibile soprattutto nel premascellare destro più largo del sinistro. La sutura premascellare-mascellare destra si estende posteriormente fino all’angolo anterolaterale del nasale, mentre la sinistra non raggiunge il nasale corrispondente.
Insieme alla asimmetria anche la presenza di numerosi seni basicraniali sembra favorire la capacità di ecolocalizzazione, evitando che il suono generato nei passaggi nasali possa propagarsi alle ossa uditive (Fraser e Purves 1967).
Secondo Marino et al (2004), l'encefalizzazione è avvenuta in due tempi. Una prima fase di sviluppo è avvenuta durante il passaggio da archeoceti e odontoceti e quindi nel periodo tra Eocene e Oligocene. La seconda fase di sviluppo si è avuta durante l'origine dei Delphinoidea (Delphinidae, Phocoenidae, Monodontidae) e quindi circa 15 milioni di anni fa. (Fig.1)
La grande encefalizzazione e la capacità di ecolocalizzazione possono essere correlate ma, allo sviluppo del cervello, può aver contribuito anche l'evoluzione sociale (Connor et al, 2001).
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Fig1. Cambiamento della massa cerebrale in relazione alla massa corporea.La massa cerebrale è stata espressa con il log del coefficiente di encefalizzazione
EQ0.53: peso cerebrale (g)/[1.6Xpeso corporeo(g)]0.53(Marino et al.2004).
Altri adattamenti del cranio alla vita completamente acquatica si possono riscontrare nelle ossa uditive, in particolare nel complesso timpano-periotico.
I periotici sono separati e risultano completamente staccati dal cranio nei delfinidi come in genere negli odontoceti più derivati.
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Le sette vertebre cervicali sono solitamente compresse antero-poteriormente e, in alcuni casi, sono tutte fuse. Più frequentemente risultano fuse soltanto le prime due vertebre cervicali. Le vertebre post-cervicali sono più numerose che negli altri mammiferi. Le costole sono attaccate lassamente alle vertebre toraciche e allo sterno e, come in tutti i cetacei attuali, il passaggio da vertebre lombari a vertebre caudali avviene più gradualmente, vista la mancanza di vertebre sacrali. I processi trasversi e le spine neurali delle vertebre sono molto sviluppate, soprattutto nelle vertebre lombari, per garantire un attacco solido per i muscoli della coda. Normalmente i delfinidi, come in genere gli odontoceti, mostrano iperfalangia cioè un aumento marcato del numero delle falangi.
Nei delfinidi come in tutti gli odontoceti attuali mancano totalmente le ossa vestigiali degli arti posteriori, diversamente da alcuni misticeti che presentano ancora dei rudimenti pelvici vestigiali. (Fordyce e Barnes, 1994 ).
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1.2 Sistematica dei Delphinidae
Sottofamiglia Lissodelhininae Sottofamiglia Orcininae
Lissodelphis borealis Orcinus orca
L. peronii Orcaella brevirostris
Cephalorhynchus advisii
C. hectori Sottofamiglia Delphininae
C. eutropia Sousa chinensis
C. sommersonii Stenella clymene
Lagenorhynchus australis S. frontalis
L. obscurus S. attenuata
L. obliquidens S. longirostris
L. cruciger Delphinus delphis
D. capensis
Sottofamiglia Globicephalinae
Tursiops truncatus T. aduncus
Feresa attenuata T. australis
Peponocephala electra Lagenodelphis hoisei
Globicephala melas Globicephala macrorhynchus Grampus griseus Sottofamiglia Stenoninae Incertae sedis Steno bredanensis Sotalia fluviatilis Lagenorhynchus albirostris L. acutus
Tabella 1. Classificazione della famiglia Delphinidae (Le Duc, 1999), con l’aggiunta di Tursiops australis , specie descritta recentemente (Charton-Robb et al.2011)
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La famiglia Delphinidae comprende 19 generi e 37 specie. La classificazione e le relazioni filogenetiche in questa famiglia sono da lungo tempo dibattute.
Secondo la classificazione di Le Duc (1999), basata su analisi molecolari, le specie sono distribuite in 5 sottofamiglie: Stenoninae, Delphininae, Orcininae, Lissodelphininae e Globicephalinae. In questa analisi due delle sei specie di Lagenorhynchus (L. albirostis e L.
acutus) sono definite come incertae sedis.
La sottofamiglia Lissodelphininae comprende i generi Lissodeplhis,
Cephalorhynchus e Laghenorhynchus (L. australis, L. obscurus, L. cruciger, L. obliquidens).
All’interno della sottofamiglia Stenoninae vengono classificati tre generi: Steno, Sousa e Sotalia secondo la classificazione di Rice (1998). Nella classificazione di Le Duc il genere Sousa viene incluso nella sottofamiglia Delphininae.
Nella sottofamiglia Globicephalinae vengono compresi i generi
Feresa, Peponocephala, Globicephala e Grampus. Nelle classificazioni
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Delphininae (Fraser and Purves 1960, Barnes 1990).
Nella sottofamiglia Delphininae troviamo i generi Tursiops, Delphinus,
Stenella, Sousa e Lagenodelphis. La classificazione di questa
sottofamiglia risulta ben supportata nell’analisi di Le Duc (1999).
Proprio la sottofamiglia Delphininae rappresenta la sfida maggiore e le relazioni che intercorrono tra i generi che la compongono e tra le altre sotto-famiglie sono ancora in divenire. Un esempio è il genere Tursiops che, nel tempo, ha compreso da una a otto specie (Xiong,2009). Recenti analisi riconoscono all’interno di questo genere tre specie: T. truncatus, T. aduncus e T. australis; ma le relazioni filogenetiche di queste specie non sono ancora del tutto chiare. Secondo le analisi molecolari di Le Duc (1999) T. aduncus formerebbe una specie distinta più vicina a Stenella coeruleoalba che
a T. truncatus.
Altri studi molecolari, come quello di May-Collado (2006), confermano la parafilia del genere Stenella rispetto ai generi Tursiops e Delphinus.
Come nella analisi di May-Collado, anche in McGowen et al. (2011) viene rigettata l’ipotesi di monofilia di Stenella e Tursiops. La
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monofilia di Stenella è stata messa in discussione sin da XIX secolo (True, 1889; Hershkovitz, 1966) come viene sottolineato anche da altri autori (Xiong 2008). Secondo alcuni studi morfologici (Perrin 1981 e 1987) questo genere è da considerarsi una unione artificiale, in cui sono state classificate specie che sono più simili ad altri generi ,come Delphinus e Tursiops, rispetto alle altre specie dello stesso genere.
Nello studio di Geisler et al. del 2011 Orcaella brevirostris risulta essere sister-group di Globicephalinae, e questo risultato è in accordo con le analisi molecolari di Caballero et al.
Sempre in questo studio Lagenorhynchus acutus è posizionato come sister-taxa dei restanti delfinidi. Orcinus orca risulta essere, invece, sister taxa di tutti i delfinidi eccetto che di Lagenorhynchus acutus. Le due specie vanno quindi ad occupare una posizione basale , e questo si riscontra anche in McGowen et al (2011). In uno studio precedente (McGowen et al. 2009) le due specie risultano invertite, e quindi,
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1.3 Storia evolutiva
La rapida e recente radiazione e il successo che ne è conseguito, è da ricercare nella storia evolutiva di questa famiglia e negli eventi geologici che si sono susseguiti. La riorganizzazione degli oceani e le fluttuazioni delle temperature che hanno caratterizzato il Miocene superiore e il primo Pliocene, hanno favorito il processo di selezione delle specie che compongono la fauna attuale.
L'origine dei cetacei
Il periodo dell’Eocene (56 Ma) è caratterizzato dalla comparsa dei primi cetacei, appartenenti al sottordine degli Archaeoceti. Gli archeoceti sono un gruppo parafiletico e le loro caratteristiche morfoscheletriche rappresentano il primo adattamento alla vita acquatica sia del cranio (narici in posizione posteriore ma non ancora al vertice del cranio, adattamenti delle ossa dell’orecchio) che dello scheletro post craniale (riduzione degli arti, trasformazione della colonna vertebrale). I ritrovamenti sono avvenuti in tutti i continenti ma, a seconda del periodo, si ritrovano concentrati in aree abbastanza ristrette. I fossili più antichi , risalenti all’Eocene inferiore,
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sono stati trovati nei depositi sedimentari del Pakistan e dell’India, mentre, all’Eocene Medio appartengono fossili trovati soprattutto in Egitto e negli Stati Uniti.
Il fossile di archeoceto più antico risulta essere quello di
Himalayacetus, che risale a 53.4 Ma, anche se alcuni autori
contestano la datazione di questo genere e ritengono che Pakicetus sia il più antico, risalente a 48 Ma.
Le conoscenze relative alla distribuzione temporale e geografica dei fossili e all’evoluzione paleogeografia e paleoclimatica delle aree in cui sono stati rinvenuti, hanno permesso di ricostruire la storia evolutiva dei cetacei e di comprendere le cause della loro radiazione.
L’Eocene superiore è caratterizzato dalla radiazione evolutiva dei Basilosauridae un gruppo parafiletico di archeoceti completamente adattati alla vita acquatica, già presenti nell'Eocene medio. Questo adattamento è particolarmente evidente nello scheletro assiale: gli arti inferiori sono ridotti e risultano separati dalla colonna vertebrale, e gli arti superiori risultano piatti e disposti su un unico piano. Inizialmente si trattava di specie stenoterme che prediligevano acque calde ma, durante la radiazione dell’Eocene superiore, i basilosauridi
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espansero il loro habitat alle alte latitudini degli emisferi.
La comparsa e la prima radiazione degli Odontoceti e dei Misticeti
Nel periodo di passaggio tra Eocene e Oligocene le temperature oceaniche diminuirono notevolmente a causa dall’estensione della calotta polare antartica e dall’impatto di un asteroide o di una cometa (Vanhof et al. 2000, Tagle e Claeys 2004). A questi eventi si aggiunge anche la progressiva chiusura del Mare della Tetide, l’ambiente che è stato “teatro” del passaggio dalla terraferma al mare dei primi archeoceti. Gli archeoceti, come i basilosauridi, iniziarono a risentire della competizione con i primi misticeti e odontoceti che avevano sviluppato tecniche di caccia più avanzate (rispettivamente filtrazione e ecolocalizzazione) che permettevano loro di allontanarsi sempre di più dalla zona costiera, aprendosi nuove nicchie ecologiche. Tuttavia, l’ipotesi di competizione tra Archeoceti e Neoceti (misticeti e odontoceti), non è confermata, considerando anche la scarsità di fossili risalenti al periodo di passaggio tra Eocene e Oligocene.
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dell’Oligocene-Eocene, nello stato di Washington (Goedert e Barnes, 1996; Barnes, 2000). Si tratta di un cranio che presenta alcune affinità con gli Agorophidae, considerati odontoceti arcaici.
I ritrovamenti di fossili provenienti dall’Oligocene inferiore sono più scarsi (Nuova Zelanda, Francia, Austria e Washington State) e abbondano invece quelli dell’Oligocene superiore, anche se localizzati in poche aree (Nuova Zelanda, Georgia e altre località degli Stati Uniti).
Durante l’Oligocene superiore si ha la radiazione esplosiva dei cetacei, di cui si contano 17 famiglie in totale di cui 10 odontoceti, 6 misticeti e un archeoceto. I cetacei presenti in questo periodo, che si troveranno anche nelle epoche successive, sono i Kentriodontidae, i Physeteroidea, gli Eurinodelphinidae, gli Squalodontidae, tra gli odontoceti e Cetotheriidae e Balenidae tra i misticeti. Il grande sviluppo di misticeti e odontoceti, a discapito dei sempre meno numerosi archeoceti, può essere anche stato favorito da alcuni avvenimenti paleogeografici come ad esempio la formazione della corrente circumpolare antartica a seguito della completa separazione del continente australe (Gondwana). La formazione di questa
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corrente, fondamentale nell’organizzazione delle correnti mondiali così come le conosciamo oggi, ha portato a un cambiamento nella produttività oceanica con una diminuzione delle temperature e un aumento del gradiente di temperature latitudinali. L’aumento del gradiente termico latitudinale stesso ha portato a una generale riorganizzazione delle correnti marine con conseguente aumento della produttività oceanica e ridistribuzione delle risorse trofiche. A questo periodo risalgono molte specie con morfologie molto diverse da quelle attuali,che si sono evolute a seguito di specializzati adattamenti trofici per poi estinguersi alla fine dell’Oligocene o nel corso del Miocene, a seguito di cambiamenti ambientali e/o climatici o a competizione con altri cetacei come ad esempio i simocetidi, piccoli odontoceti con la parte anteriore del premascellare priva di denti, caratteristica che fa pensare a una tecnica di caccia di tipo “suction-feeding” e Kelloggia, un odontoceto squalodontide caratterizzato da un rostro che si allarga anteriormente.
Alla fine dell’Oligocene scompaiono 9 famiglie, di cui 4 di odontoceti, che condividono tutte una caratteristica primitiva: la presenza di dentatura eterodonte.
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Nel Miocene inferiore e medio si registra, tra gli odontoceti, l’ampia radiazione di platanistoidei (squalodontidi, squalodelfinidi, platanistidi e dalpianizidi), Eurhinodelfinidae, Physeteridae e Kentriodontidae. In questo periodo è abbondante la presenza di odontoceti con una morfologia tipica, caratterizzata da un rostro particolarmente lungo. Questo carattere è riconoscibile, tra le specie attuali, nei delfini platanistidi e in generale in tutti i delfini di fiume. La maggior parte dei fossili di odontoceti risalenti a questo periodo sono stati infatti ritrovati negli ambienti costieri o in prossimità di delta dei fiumi. Inoltre, questi esemplari, possedevano anche un cranio simmetrico, e questo fa pensare che la capacità di ecolocalizzazione non fosse ancora molto sviluppata e che quindi, il rostro così allungato facilitasse la pesca di pesci in banchi in prossimità della superficie, e che venisse usato per tramortire le prede. Questa tecnica di caccia è simile a quella del pesce spada (Bianucci 2002). Un'altra possibilità è che, come i delfini attuali, questi esemplari utilizzassero il lungo rostro per cercare le loro prede nei fondali sabbiosi (Werth 2000). Gli ambienti caldi, come quelli del Nord Atlantico e del Mediterraneo dove sono concentrati i ritrovamenti, possono aver favorito questa radiazione evolutiva. In
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questo periodo, che risulta essere il più caldo del Miocene, non si era ancora formata la calotta polare artica, determinando un clima particolarmente favorevole in queste zone dell’emisfero Nord (Zachos et al 2001).
I primi delfinidi
Il Miocene medio e il Miocene superiore furono il momento della comparsa delle moderne famiglie dei Phocoenidae, Monodontidae e Delphinidae, lungo le coste del pacifico orientale. Questo evento può essere stato favorito dal raffreddamento delle acque, che ha portato all'estinzione delle specie euriterme e allo sviluppo delle specie di mare aperto.
I fossili del Miocene sono molto abbondanti e localizzati in molte aree (Belgio, Salento, Belluno, California, Perù e Argentina) mentre, quelli del Pliocene sono più scarsi. I siti più importanti risultano essere in Toscana e nella Valle del Po, a San Diego e in Perù (area Pisco-Sacaco).I delfinidi sono segnalati fossili a partire dal Miocene superiore della California e del Giappone, ma diventano frequenti solo dal Pliocene. I reperti di delfinidi più significativi di questo periodo provengono dai sedimenti dell’Italia centro-settentrionale
19 (Bianucci 1996,2005).
In generale la fauna a cetacei del Pliocene, almeno a livello di famiglia, è molto simile a quella attuale per quanto riguarda gli odontoceti ed, in particolare i delfinidi, risultano già ampiamente diversificati. Tuttavia non ci sono prove dell’esistenza delle attuali specie già dal Pliocene. Da un recente studio di analisi cladistica della sottofamiglia dei Delphininae, condotto su dati sia molecolari che morfologici includendo anche taxa fossili (Bianucci, 2013), è emerso che la grande radiazione di questa sottofamiglia è avvenuta all’inizio del Pliocene. In questo periodo, i delfinidi sono rappresentati esclusivamente da specie fossili (13 in tutto) e che ,dei 12 generi presenti, 8 risultano estinti. La predominanza dei taxa estinti su quelli attuali indica un alto tasso di formazione ed estinzione delle specie, ma sottolinea anche che gran parte della diversità attuale si sia formata in epoche successive.
I sedimenti pliocenici italiani risultano particolarmente ricchi di reperti specie fossili di delfinidi come Etruridelphis giulii, Astadelphis
gastaldii e Septidelphis morii. Proprio grazie alla conoscenza
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calibrare il tempo di radiazione della sottofamiglia dei Delphininae (Bianucci 2013).
Il progressivo deterioramento climatico e importanti eventi paleogeografici (come ad esempio la chiusura dello stretto di Panama) hanno portato a cambiamenti nella circolazione oceanica e nella distribuzione delle risorse trofiche, favorendo la speciazione e la radiazione dei delfinidi che hanno colonizzato tutti gli oceani, occupando numerose nicchie ecologiche .
Il Pleistocene è stato segnato da glaciazioni, con un conseguente raffreddamento che ha ridotto il range geografico delle specie tropicali di delfinidi. Il gradiente di temperature latitudinali è aumentato e le acque equatoriali più calde hanno costituito una barriera, evitando la dispersione delle specie tropicali e favorendo invece la speciazione delle specie antitropicali.
La fauna del Pleistocene è simile a quella presente, eccetto per alcune specie estinte. Molti dei ritrovamenti di esemplari risalenti a questo periodo, sono limitati a denti e frammenti di ossa, che rendono, quindi, molto difficile l’identificazione. Tuttavia, alcuni ritrovamenti di esemplari completi e dislocati in località diverse ha
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permesso di ipotizzare la presenza di specie fossili anche nel Pleistocene. (Reproductive Biology and Phylogeny of Cetacea, Capitolo 2“Fossil History” G.Bianucci, W.Landini)
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Fig3: Variazione della diversità dei cetacei a livello di famiglia in base a diversi eventi fisici: A) specie dominanti di cetacei; B)Numero di famiglia sulla base del record fossile; C)Origine e/o eventi di radiazione nella storia dei cetacei; D)Numero di famiglie sulla base del record fossile e delle “ghost lineage”;E)Numero delle famiglie che si sono formate (+) o che sono scomparse (-) basate sul record fossile; F) come il punto E) ma costruito sulle “ghost lineage”;G) volume di ghiaccio in ogni emisfero;H) variazione della quantità globale di isotopi dell’ossigeno a livello oceanico relativo al cambio delle temperature; I)Principali eventi tettonici. (Figura originale da Reproductive Biology and Phylogeny of Cetacea, Capitolo 2“Fossil History” G.Bianucci, W.Landini)
23 1.4 La filogenesi dei delfinidi
La sistematica della famiglia Delphinidae è cambiata nel tempo in relazione all'evolversi degli studi filogenetici. Le analisi filogenetiche hanno preso in considerazione, durante gli anni, diversi aspetti di questa famiglia, basandosi sia su dati morfologici che su dati molecolari. Gli studi molecolari si sono affermati a partire dalla fine del secolo scorso con lo sviluppo delle moderne tecniche di sequenziamento dei geni. Recentemente, alcuni studi, si sono concentrati sul combinare dati molecolari e matrici di caratteri morfologici (Murakami 2014, Geisler 2011).
La maggior parte degli studi fatti fino agli anni 90 si sono basati sull'analisi di caratteri morfologici, con particolare attenzione al cranio. (Frasers and Purves 1960, Kasuya 1973, Mead 1975, Barnes 1990, de Muizon 1998).
Negli ultimi anni molti studi si sono concentrati sulla filogenesi molecolare usando DNA mitocondriali, geni nucleari e AFLP (Amplified Fragment Leght Polymorfism). Questi studi hanno contribuito a aumentare la conoscenza su questa famiglia e a fare progressi nella risoluzione delle relazioni che intercorrono all'interno
24 di questa famiglia
L'utilizzo di dati molecolari per analisi filogenetiche offre indubbiamente molti vantaggi: le sequenze non devono infatti essere determinate oggettivamente e non risentono, quindi, delle scelte soggettive dello sperimentatore.
I primi studi che si basavano sull'utilizzo di materiale genetico erano comunque ristretti a un numero poco numeroso di taxa.
Shimura e Numachi (1987), presero in considerazione gli allonzimi ma inclusero nella loro analisi soltanto 7 generi di delfinidi. Jones et al (1979) analizzarono la sequenza amminoacidica dell'emoglobina ma utilizzarono soltanto 5 generi.
Negli anni successivi, con lo sviluppo delle tecniche di analisi genetica, hanno iniziato a prendere piede studi basati sul sequenziamento del DNA, studi che hanno dato un grande contributo alla sistematica dei cetacei a livelli di famiglia (Rosel et al. 1995) e di specie (Rosel et al.1994).
Le Duc et al. (1999) hanno considerato la regione del citocromo b del DNA mitocondriale per risolvere le relazioni evolutive tra i taxa della
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famiglia. Per certi aspetti, la filogenia costruita sulla regione del citocromo b è risultata essere inconcludente e questo è probabilmente causato dalla recente radiazione. In questo studio è stata confermata soltanto la monofilia di tre sottofamiglie: Delphininae, Globicephalinae e Lissodelphininae. Tuttavia le relazioni tra queste sotto famiglie e tra altre specie della famiglia Delphinidae sono rimaste irrisolte.
Molti studi filogenetici si riferiscono a specifiche sottofamiglie oppure non includono specie critiche, ad eccezione dello studio di McGowen et al. (2009) che ha analizzato 42335 caratteri, campionando tutte le esistenti specie di cetacei con dati molecolari disponibili.
Altri studi, come Kingston et al. (2009) e Amaral et al. (2012) hanno limitato la ricerca alla sottofamiglia Delphininae, le cui relazioni filogenetiche risultano essere le più difficili da risolvere. Nel primo studio, sono state usate le sequenze delle regioni di controllo del DNA mitocondriale per dedurre la filogenia, ed è stata messa a confronto con una filogenia costruita su 418 markers genomici.
Nello studio di Amaral et al. (2012) viene analizzata la forte discordanza che si registra tra alberi di specie e alberi genetici.
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Questa discordanza sembra accentuarsi quando si tratta di specie che hanno subito ibridazione e parziale segregazione allelica. Per questo studio è stato costruito un dataset multigenico composto da un frammento di DNA mitocondriale (citocromo b), tre introni nucleari e 10 loci anonimi nucleari (ANL).
Molti studi, sia morfologici che molecolari o genetici, hanno fallito nello spiegare le relazioni filogenetiche dei cetacei e questo può essere successo per molti motivi. Una ipotesi è che i metodi filogenetici non abbiano appieno colto la complessità dell'evoluzione del DNA (Xion, 2009). Molti studi di "molecular clock", ad esempio, non hanno incluso gli esemplari fossili, usati per fornire la calibrazione, nell'analisi filogenetica.
Nello studio di Xiong (2009) viene sequenziato l'intero genoma mitocondriale di 7 specie di delfinidi. Da questo studio è stato possibile escludere l'ipotesi della monofilia di Tursiops e Stenella. Le somiglianze morfologiche tra i due generi possono essere date da convergenza evolutiva, un mantenimento di caratteri ancestrali, una ricomparsa di caratteri ancestrali o un insieme di questi fattori. Un'altra possibile spiegazione è l'introgressione mitocondriale.
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Sebbene non si conoscano le distribuzioni dei due generi nei periodi passati, si sa che al giorno d'oggi entrambi hanno una distribuzione cosmopolita nelle zone tropicali e temperate. Eventi di ibridazione sono stati frequentemente registrati sia tra esemplari in cattività che tra esemplari liberi della famiglia dei delfinidi ed è ,quindi, possibile che ci siano stati eventi di introgressione mitocondriale.
In Geisler et al. (2011) è stata costituita una supermatrice basata su dati morfologici di specie esistenti ed estinte che è stata combinata con nuove sequenze di DNA inclusi segmenti presi da 6 geni per un totale di circa 2800 paia di basi, e con dati genomici pubblicati. Il dataset morfologico include 304 caratteri , che si riferiscono principalmente alle variazioni della morfologia del cranio. In questo studio sono stati inclusi nella indagine filogenetica e nella matrice di caratteri anche i taxa estinti. La mancanza di questo passaggio negli studi precedenti può, in parte, spiegare la mole di dati discordanti sulle relazioni tra i taxa esistenti e quelli estinti.
Includendo i taxa estinti sono stati ottenuti alberi fortemente correlati con i dati ricavati dai reperti fossili. Questi alberi sono stati poi usati per risalire al tempo di diversificazione dei delfinidi.
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Anche in Murakami et al. (2014) l'analisi prevede sia utilizzo di dati morfologici che dati molecolari. Questo studio è focalizzato a ricostruire le relazioni filogenetiche di una specie fossile di delfinide precedentemente inclusa nel genere Stenella, Eodelphinus
kabatensis. Questa specie viene considerata come la specie di
delfinide fossile proveniente dal Miocene più antica descritta. Rappresenta quindi una specie chiave per la comprensione della storia dell'evoluzione dei delfinidi. Per questo studio sono state prese in considerazione sia analisi morfologiche cladistiche che analisi filogenetiche molecolari.
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2. I DATI MORFOLOGICI NELL’ANALISI CLADOGENICA
I metodi di analisi cladogenica possono prendere in considerazione sia dati molecolari che dati morfologici. In alcuni casi tuttavia, le analisi vengono condotte tramite matrici costituite sia da dati morfologici che molecolari (Geisler et al.2011, Murakami et al.2014).
L'uso di dati molecolari o sequenze di DNA, non presuppone alcuni dei problemi tipici dell'analisi dei caratteri morfologici. In primo luogo la definizione dei caratteri avviene automaticamente, cosa che non succede per i caratteri morfologici, il cui utilizzo presuppone determinate scelte.
I caratteri morfologici possono essere divisi in caratteri qualitativi e quantitativi. Per molti autori i caratteri quantitativi non sono da considerarsi utili al fine della cladistica (Pimentel e Riggings, 1987), questo per la difficoltà nella loro definizione e per la quantità di rumore di fondo che portano nell’analisi filogenetica (Kraus 1988). Secondo Pimentel e Riggings (1987) non è possibile ricondurre i dati di caratteri quantitativi continui ad intervalli discreti, e ,quindi, non sono adatti all’analisi cladistica.
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Secondo Stevens (1991) tuttavia, questa caratteristica non è così discriminante. Un carattere qualitativo può essere espresso anche come carattere quantitativo: ad esempio “ovale” è un carattere qualitativo che può però essere espresso anche come rapporto tra lunghezza e larghezza (Thiele 1993).
Secondo Goloboff (2009) l'uso dei dati quantitativi continui presuppone due problemi fondamentali: un problema metodologico e un problema empirico. Nel primo caso va considerato il fatto che queste variazioni sono il risultato della variazione ereditaria e che, considerando la necessità di includere tutte le evidenze rilevanti, sia necessario considerare anche il grado in cui una certa filogenia spiega la variazione di quel carattere. Il secondo problema parte dal presupposto che la variazione continua dei caratteri può riflettere una variazione fenotipica di un carattere, che può essere talmente ampia da confondere una variazione ereditabile.
L’altra problematica che viene attribuita all’utilizzo di dati quantitativi è la possibile sovrapposizione. La sovrapposizione dei dati ,tuttavia, può esserci sia nel caso in cui si faccia uso di dati continui sia nel caso in cui si utilizzino altri tipi di dati. La distinzione non riguarda infatti la
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possibilità o no di avere sovrapposizione ma il grado di sovrapposizione dei dati. Il grado di sovrapposizione risulta essere, infatti, un parametro molto importante per la scelta dei dati da raccogliere e, per ovviare a questo problema, è possibile considerare un valore soglia massimo di sovrapposizione e uno minimo di disgiunzione.
Fig.4: Pattern di variazione di dati continui, discreti e binari. (figura originale da Thiele,1993)
Secondo Wiens (2001) non è giustificabile l'esclusione dei caratteri quantitativi a causa della sovrapposizione. I tratti sovrapposti possono infatti contenere utili informazioni filogenetiche.
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un’analisi cladistica e quali , invece, quelli da scartare perché poco significativi. In primo luogo, il carattere deve rappresentare una caratteristica del taxa, ma, per racchiudere informazioni sullo schema di cladogenesi, deve anche subire, o aver subito, delle variazioni (Thiele 1993). Le variazioni all’interno del taxa sono visibili come frequenze di distribuzione di quel determinato stato. Per questo motivo le analisi cladistiche si riferiscono alle frequenze di distribuzione piuttosto che alle singole osservazioni.
L'altro passaggio fondamentale nella analisi filogenetica basata su caratteri morfologici è la codificazione dei dati. In passato sono stati proposti molti metodi (Mickevich e Johnson,1976; Colless, 1980; Thorpe, 1987; Archie, 1985; Baum, 1988; Chappill, 1989), che differiscono principalmente nel grado di divisione dell'asse dei caratteri. Nel metodo "simple gap coding", proposto da Mickevich e Johnson (1976), la divisione viene effettuata in un punto dell'asse in cui non si hanno valori o dove il divario tra i valori medi supera un valore soglia preimpostato. Molti “gap” tra i valori medi vengono persi, perché considerati poco utili ai fini dell’analisi.
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che permette, potenzialmente, di codificare ogni possibile stato. Questo metodo permette di avere informazioni sia sul valore dello stato, che sul divario tra stati diversi. Tutte le differenze,infatti, vengono considerate come potenzialmente informative e tutte vengono quindi standardizzate. I divari tra gli stati sono infatti proporzionali alle differenze tra i valori medi. Maggiore è la differenza, maggiore sarà la lunghezza aggiunta all'albero quando un carattere cambia stato. (Thiele 1993). Per standardizzare i dati viene usata la formula seguente, con n che indica il numero massimo possibile di stati e assume valore 32 nel caso di PAUP.
Fig. 5. Codificazione dei caratteri utilizzando il metodo di “gap weighting di Thiele”. a) Distribuzione di frequenza per 8 taxa analizzati; b) valori medi delle distribuzioni; c) Valori scalati secondo la formula espressa sopra, arrotondati al
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Il metodo di Thiele è stato usato per molte analisi (Boughton et al. 1991, Chou 1998, Gutberlet 1998, poe 1998) mentre, in altri casi, sono stati preferiti i caratteri qualitativi.
Anche in questo studio è stato utilizzato il metodo di standardizzazione di Thiele, dopo aver apportato alcune modifiche per adattarlo al software utilizzato.
I dati quantitativi e continui, tuttavia, risolvono tre dei principali problemi che si presentano nello studio della filogenesi morfologica:
- i caratteri non sono più definiti in modo vago;
- lo stato dei caratteri non viene più definito in modo arbitrario: quando si tratta di caratteri discreti solitamente all'assegnazione di un intervallo di valori non corrisponde un'adeguata spiegazione del motivo. Gift e Stevens (1997) hanno provato che diversi ricercatori dividono la stessa variazione in intervalli differenti, portando quindi a stati non uguali. La definizione di intervalli va di pari passo con la definizione di intervalli (gap) tra diversi stati, la cui formazione ci pone di fronte ulteriori problematiche: la variazione all'interno dell'intervallo viene ignorata, la variazione in un intervallo può essere
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maggiore di quella tra intervalli diversi, e, infine, i divari tra intervalli diversi non hanno lo stesso peso. La problematica dei valori dello stato può essere risolta considerando i caratteri continui come valori additivi. In questo modo i valori limite non sono considerati come valori unici ma come limiti dell’intervallo. Per scegliere l'intervallo si deve ricorrere a una approssimazione, diminuendo i valori osservati e restringendo il range di possibili osservazioni. Una buona approssimazione si ottiene creando un intervallo con limiti:
;
oppure
;
Considerando la prima ipotesi si ha la probabilità del 95% di aver incluso il vero valore medio della distribuzione considerata.
- risolve il problema dell'ordine degli stati.
Le maggiori critiche che vengono mosse ai caratteri quantitativi sono, in realtà, applicabili anche ai caratteri qualitativi.
Uno dei problemi dell'uso dei dati quantitativi, sia continui che discreti, sta nell'ottimizzazione delle politomie degli alberi che
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risultano dall'analisi. Nel caso dei caratteri continui vengono provate tutte le possibili posizioni del nodo che si sta ottimizzando, implicando però un numero finito di caratteri che non supera 32. Nel caso dei caratteri continui il numero di possibili ottimizzazioni è molto maggiore e questo può creare molti problemi, rendendo il processo molto più difficile e lento. L’inclusione di algoritmi più complessi all’interno dei software filogenetici permette un’analisi più completa e più veloce di dataset composti da un numero elevato di taxa.
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3. MATERIALI E METODI
3.1 Materiale
Per questo studio ho considerato le collezioni del Museo di Storia naturale dell'Università di Pisa, del Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze e del museo di Storia Naturale del Mediterraneo (Livorno), per un totale di 82 esemplari analizzati appartenenti alla famiglia Delphinidae.
Alle 11 specie consultate nei musei toscani sono state aggiunte altre specie sia attuali che fossili, per aumentare i dati disponibili, portando a 25 il numero di taxa analizzati. I dati aggiunti provengono dal dataset fornito dal dr. Jonathan Geisler.
Le specie misurate nei musei di Pisa, Firenze e Livorno sono Tursiops
truncatus, Grampus griseus, Delphinus delphis, Stenella coeruleoalba, Lagenorhynchus acutus, Lagenorhyncus albirostris, Cephalorhynchus hectori, Orcaella brevirostris, Orcinus orca, Pseudorca crassidens, Globicephala melas.
Le specie aggiunte sono Lissodelphis borealis, Cephalorhynchus
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electra e Feresa attenuata per quanto riguarda le specie attuali, e Lagenorhynchus harmatuki, Astadelphis, Tursiops osennae e Hemisintrachelus cortesii per quanto riguarda le specie fossili.
Il dataset morfologico comprende 36 caratteri fenotipici selezionati da una lista di 324 caratteri su cui si è basato lo studio di Geisler et al. (2011).
Questo dataset include principalmente caratteri morfologici del cranio, dello scheletro post-craniale e del complesso timpano-periotico.
Dalla lista originaria sono stati esclusi i caratteri che non erano riconducibili direttamente alla famiglia Delphinidae, così come i caratteri qualitativi.
In più sono stati eliminati quei caratteri che risultava difficile trasformare in dati quantitativi e quei caratteri la cui misura risultava troppo soggettiva.
Il dataset risultante comprende quindi 36 caratteri, di cui 25 caratteri del cranio, 2 dello scheletro post-craniale e 9 del complesso timpano-periotico. Ogni dato è formato dal rapporto delle misure di due
39 caratteri, e risulta quindi in percentuale.
Carattere 3 Lunghezza della porzione rostrale dei mascellari ,in rapporto alla
lunghezza condilo basale (modificato da Barnes, 1985).
Carattere 7 Rapporto tra larghezza del rostro e larghezza tra le orbite (Barnes,
1985).
Carattere 18 Altezza del rostro nella parte posteriore della superficie palatale, a
livello della sutura tra palatini e mascellari, in rapporto alla larghezza del rostro. Barnes (1985) and Fordyce (1994).
Carattere 30 Larghezza della corona dei denti posteriori in rapporto all’altezza
della corona.
Carattere 39 Lunghezza della sinfisi mandibolare (misurata lungo il piano
sagittale) in rapporto alla lunghezza totale della mandibola (carattere modificato da Heyning, 1989; Barnes, 1990)
Carattere 49 Angolo formato dal bordo anteriore del processo antero-orbitale
con il piano parasagittale (Barnes , 1990)
Carattere 55 Lunghezza combinata di lacrimale e jugale in rapporto alla
lunghezza dal processo antero-orbitale al ponte post-orbitale (Fordyce, 2002)
Carattere 66 Rapporto tra la larghezza tra i bordi laterali del premascellare
destro e sinistro a livello dell’incavo antero-orbitale, e la larghezza del rostro
Carattere 67 Rapporto tra la larghezza della apertura tra premascellare destro e
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delle narici esterne.
Carattere 85 Rapporto tra la larghezza del premascellare destro e la larghezza
del premascellare sinistro.
Carattere 90 Angolo formato dalla sutura del premascellare anteriore ai nasali
con il bordo laterale del rostro ( modificato da Moore, 1968)
Carattere 119 Larghezza massima dei nasali in rapporto alla larghezza massima
delle narici esterne
Carattere 120 Larghezza del bordo posteriore dei nasali, in rapporto alla
larghezza delle narici esterne.
Carattere 123 Altezza dei nasali in rapporto all’altezza del rostro.
Carattere 145 Larghezza dello squamosale laterale all’occipitale, in rapporto alla
distanza del bordo laterale dell’occipitale dal piano sagittale.
Carattere 146 Rapporto tra profondità della fossa squamosale e la distanza
orizzontale dalla cresta sopramastoidea al punto al di sopra della parte più profonda della fossa squamosale.
Carattere 188 Lunghezza del processo zigomatico dello squamoso, in rapporto
alla massima lunghezza della fossa mandibolare dello squamoso.
Carattere 194 Angolo formato dalle creste basioccipitali. (modificato da Muizon,
1991)
Carattere 203 Lunghezza del processo anteriore del petroso in rapporto alla
lunghezza della pars cochlearis (Modificato da: Muizon, 1988; Luo and Marsh, 1996; Geisler and Luo, 1996)
Carattere 218 Angolo formato dal bordo del processo anteriore del petroso e il
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Carattere 228 Distanza tra l’acquedotto cocleare e la finestra rotonda in rapporto
alla distanza tra finestra ovale e finestra rotonda. (modificato Geisler and Luo, 1996).
Carattere 229 Distanza tra acquedotto vestibolare e finestra rotonda in rapporto
alla distanza tra finestra ovale e finestra rotonda.
Carattere 232 Lunghezza dal bordo dorsaledel tegmen tympani al meato acustico
in rapporto alla larghezza del pars cochlearis.
Carattere 233 Lunghezza dal bordo dorsale del tegmen tympani all’apertura
dell’acquedotto vestibolare in rapporto alla larghezza del pars cochlearis.
Carattere 245 Lunghezza del processo posteriore del petroso in rapporto alla
lunghezza del pars cochlearis (modificato da Kasuya, 1973 ; Barnes, 1990; Luo and Marsh, 1996).
Carattere 246 Angolo formato dal processo posteriore del petroso con l’asse del
tegmen tympani (Kasuya, 1973; Geisler and Luo, 1996).
Carattere 251 Larghezza della bulla a livello del processo sigmoide in rapporto
alla lunghezza della bulla timpanica.
Carattere 276 Lunghezza del cranio in rapporto alla lunghezza della vertebre
cervicali e toraciche (derivato da Miller, 1923)
Carattere 283 Angolo formato dal bordo laterale del processo trasverso delle
vertebre lombari con il piano parasagittale. (Muizon, 1988).
Carattere 286 Rapporto tra lunghezza e larghezza massima delle vertebre lombari
(Muizon, 1988; Barnes, 1990)
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delle narici esterne
Carattere 324 Rapporto tra lunghezza e larghezza della fossa temporale
Carattere 325 Rapporto tra altezza della fossa temporale e altezza totale del
cranio
Carattere 326 rapporto tra la larghezza intertemporale e la larghezza del cranio a
livello del processo zigomatico
Carattere 327 Rapporto tra larghezza della costrizione frontale e larghezza
massima dei nasali
Carattere 328 Rapporto tra altezza dei condili e altezza totale del cranio
Tab2. Caratteri utilizzati per l’analisi morfoscheletrica (i numeri dei caratteri sono quelli riportati da Geisler et al., 2011)
Le misure sono state prese direttamente sull'esemplare considerando il reperto con il rostro in posizione perfettamente orizzontale e sono state eseguite con calibro, sia digitale che non digitale ,e goniometro.
Il materiale risulta essere poco equilibrato riguardo alla quantità di reperti per specie, con una notevole preponderanza delle specie mediterranee (Tursiops truncatus, Stenella coeruleoalba, Grampus
griseus e Delphinus delphis). Nel Museo di Storia Naturale
dell'Università di Pisa sono stati misurati tutti gli esemplari e, nei restanti musei, lo studio si è concentrato sulle 4 specie di delfinidi mediterranei. Per le specie di cui è stato possibile misurare soltanto
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pochi esemplari, la distribuzione di frequenza della variazione dei singoli caratteri è stata fatta a partire dalla deviazione standard media dei caratteri dei delfinidi mediterranei misurati (T. truncatus,
S. coeruleoalba, G. griseus e D. delphis) , e, per avere il valore medio,
è stata considerata la media dei valori effettivamente osservati. L'intervallo di confidenza per i singoli caratteri è stato costruito in modo da avere la migliore possibilità di includere il vero valore medio della distribuzione senza però avere un intervallo tanto grande da rendere privo di significato il carattere.
Come outgroup per l’analisi cladistica sono state prese in considerazione Atocetus iquensis e Kentriodon pernix, due specie fossili appartenenti alla famiglia Kentriodontidae.
Anche per quanto riguarda le specie fossili, per costruire l’intervallo di valori, è stata presa in esame la deviazione standard media costruita sulle specie più numerose.
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Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa
Nel museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa è stata analizzata l'intera collezione della famiglia Delphinidae, con 23 esemplari in totale, che comprendono 11 specie:
- Stenella coeruleoalba (2), - Tursiops truncatus (6), - Delphinus delphis (3), - Lagenorhynchus acutus, - Lagenorhyncus albirostris, - Cephalorhynchus hectori, - Orcaella brevirostris, - Grampus griseus (4), - Orcinus orca, - Pseudorca crassidens, - Globicephala melas
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Museo di Storia Naturale del Mediterraneo
Nel museo di Storia Naturale del Mediterraneo le misure si sono concentrate sulle 4 specie di delfinidi più comuni:
- Stenella coeruleoalba (16 esemplari)
- Tursiops truncatus (10)
- Grampus griseus (4)
- Delphinus delphis (2)
Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze
Nel Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze le analisi si sono concentrate sulle 4 specie di delfinidi più comuni:
- Stenella coeruleoalba (10 esemplari)
- Tursiops truncatus (12)
- Grampus griseus (5)
- Delphinus delphis (8)
46 3.2 Analisi tramite fotografie
Inizialmente sono stati analizzati i caratteri che risultavano difficili da misurare tramite il calibro. In questo caso sono state fatte delle foto del cranio e sono state prese le misure direttamente sulla foto con programmi di grafica come Photoshop e CorelDraw, testando prima quanto la distorsione della camera fotografica influenzava la reale misura. Per fare questo sono state prese più foto dello stesso esemplare cambiando l'altezza e l'inclinazione della macchina fotografica e sono state valutate le differenze tra le diverse foto, tramite la media tra le misure e l'errore standard. I caratteri che risentivano troppo della variazione dell'inclinazione sono stati esclusi dal dataset. Nelle misure finali sono stati inclusi quattro caratteri valutati dalle foto, con la macchina fotografica precisamente in posizione ortogonale al cranio, per limitare al massimo le potenziali distorsioni. Tutte le foto sono state fatte mantenendo costanti alcuni parametri:
- Apertura del diaframma - Zoom ottico e manuale
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- Distanza della macchina fotografica dal reperto - Altezza del reperto
L’unico parametro cambiato è stata l’altezza della macchina fotografica e, quindi, l’angolo formato con il reperto.
Tramite questo metodo è stato possibile valutare anche l’influenza dello sperimentatore nel posizionamento del reperto e della macchina fotografica stessa, facendo dieci foto con l’esemplare alla stessa distanza dalla macchina fotografica e alla stessa altezza ma riposizionando ogni volta l’attrezzatura.
Per la misura tramite fotografia sono stati selezionati cinque caratteri:
Carattere 47 Altezza del bordo laterale dell’orbita in rapporto al bordo laterale del rostro
Carattere 90 Angolo formato dalla sutura del premascellare anteriore ai nasali con il bordo laterale del rostro ( modificato da Moore, 1968)
Carattere 123 Altezza dei nasali in rapporto all’altezza del rostro. Carattere 324 Rapporto tra lunghezza e larghezza della fossa temporale Carattere 325 Rapporto tra altezza della fossa temporale e altezza totale
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Il test sulla correttezza delle misure tramite foto è stato fatto su un esemplare di Grampus griseus e su uno di Stenella coeruleoalba.
3.3 Trasformazione e standardizzazione dei dati
Il metodo di codificazione dei dati ottenuti si basa sul metodo di “gap weighting” elaborato da Thiele (1993). I dati ottenuti sono stati standardizzati in modo da ottenere un intervallo di variazione da 0 a 1 da poter inserire nella matrice.
Con la deviazione standard e il numero di esemplari per ogni specie è stato formulato il limite di confidenza al 95% in modo da stimare, tramite la media, l’intervallo di valori entro il quale si ha la più alta probabilità di avere la media vera della popolazione.
L’intervallo di confidenza è stato, quindi, standardizzato con la formula di standardizzazione di Thiele (1993):
𝑥
𝑠=
𝑥 − 𝑚𝑖𝑛
𝑚𝑎𝑥 − 𝑚𝑖𝑛
× 𝑛
𝑥 = limite di confidenza inferiore o superiore costruito intorno alla media
𝑚𝑖𝑛 = valore minimo tra le medie di tutte le specie di un determinato carattere 𝑚𝑎𝑥 = valore massimo tra le medie di tutte le specie di un determinato carattere
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Con “n” si intende il numero di stati possibili ed è un dato che dipende dal software che viene utilizzato. In questo caso è stato tralasciato, perché TNT permette un numero di stati pressoché infinito.
L’intervallo che è stato inserito nella matrice è stato costruito prendendo in considerazione i limiti di confidenza massimo e minimo per ogni carattere. I valori “min” e “max” nell’equazione si riferiscono alla media con valore massimo per ogni carattere e alla media con valore minimo. Questi due valori vengono presi come riferimento per calcolare l’intervallo per ogni specie e all’interno della matrice assumono rispettivamente valore 1 e valore 0 .
Il metodo originario di Thiele (1993) prevede che il dato venga arrotondato all’integrale più vicino ma, in questo caso, i limiti ottenuti sono stati inseriti direttamente nella matrice del programma, che permette di inserire cifre fino al terzo decimale.
50 3.4 TNT
TNT è un programma di analisi filogenetica basato sul criterio della parsimonia, che integra algoritmi complessi principalmente per lo studio di database con un numero di taxa molto esteso. Analisi di questo tipo sono sempre risultate problematiche, anche per la lentezza del processo.
TNT integra infatti, tecniche che velocizzano la fase di riarrangiamento degli alberi come il TBR che, in TNT, risulta essere 10-50 volte più veloce che in PAUP (TBR= tree branching-reconnection). La velocizzazione è stata possibile grazie ad algoritmi che permettono nuovi livelli di ricerca, come l’algoritmo “Ratchet” (Nixon 1999), l’algoritmo “Tree-Drifting” (Goloboff 1999), l’algoritmo “Sectorial Search” (Goloboff, 1999) e l’algoritmo “Tree Fusing” (Goloboff, 1999).
Dataset con un numero di taxa minore di 100 risulteranno difficili da analizzare perché i metodi di “Tree-fusing” e di “Raptorial search” risultano limitanti. Uno dei vantaggi del programma è la possibilità di impostare personalmente questi metodi, permettendo l’integrazione dei vari algoritmi a seconda dei casi di studio.
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Oltre a questo sono stati recentemente aggiunti algoritmi che permettono l’analisi di caratteri continui (Goloboff, 2009). Il problema della discretizzazione viene diminuito in TNT assegnando ad ogni carattere un range di valori, centrato sulla media.
Una volta inseriti i dati è stata fatta un’analisi di tipo tradizionale (“traditional search”) che si basa sulla costruzione di un albero di Wagner, che costituisce l’albero più parsimonioso, sul quale viene effettuato un riarrangiamento di tipo TBR (Tree Bisection Reconnection). Aumentando il numero massimo di alberi consentiti nei parametri della ricerca, è stato possibile trovare 311 alberi, sui quali è stata effettuata una nuova analisi. In questo modo è stato possibile recuperare gli alberi più parsimoniosi.
Una volta ottenuti gli alberi più parsimoniosi è stato cercato l’albero di consenso, che riassume la concordanza tra gli alberi ottimali che sono stati trovati, tramite il metodo di concordanza esatto. Tuttavia, questo albero mostra poca risoluzione e quindi non è stato preso in considerazione.
52 3.5 Test dei dati morfometrici
Per avere una misura di concordanza è stata effettuata la ricerca di un albero secondario di concordanza (“agreement subtree”). Questo metodo risulta essere utile quando si ha un numero ristretto di taxa che cambiano posizione all’interno degli alberi parsimoniosi.
In più, per testare la significatività del dataset, è stato utilizzato il test “Permutation Tail Probability” (Archie, 1989; Faith 1991;Faith e Cranson 1991). In questo test la struttura dell’albero di concordanza viene valutato testando una ipotesi nulla, secondo la quale la congruenza della struttura filogenetica può essere ottenuta da un dataset casuale. Rigettando l’ipotesi nulla è possibile affermare che il cladogramma non viene da una distribuzione casuale di dati ma che riflette una struttura gerarchica precisa. In questo caso il parametro usato per testare la congruenza è la lunghezza dell’albero: un albero con maggior supporto risulterà corto. La lunghezza dell’albero più parsimonioso riflette il grado in cui i caratteri osservati variano, tanto che un singolo albero possa spiegare gli stati condivisi tra i taxa.
Lo stesso metodo può essere applicato per confrontare alberi provenienti da due dataset differenti, costituiti da dati di tipologia
53
diversa. In questo caso è possibile vedere se uno dei dataset può supportare l’albero ricavato dall’altro dataset.
In questo studio è stato mappato il dataset originario su un albero ripreso dallo studio di McGowen et al.2011 e quindi, costruito da dati molecolari.
L’albero molecolare è stato costruito con WinClada eliminando le specie che non erano comprese nel database. In seguito l’ albero è stato analizzato, tramite TNT, insieme alla matrice di dati morfoscheletrici per valutare la sua lunghezza.
Successivamente sono stati prodotti 1000 alberi casuali, costruiti sulla base di dataset casuali. I dataset vengono prodotti cambiando la distribuzione degli stati dei taxa per ogni carattere originario ma mantenendo il numero di caratteri originario e l’ordine. Come ultima cosa è stata messa a confronto la lunghezza dell’albero molecolare con la lunghezza degli alberi casuali trovati. In questo test l’ipotesi nulla viene accettata se la lunghezza dell’albero più parsimonioso è maggiore o uguale alla lunghezza del 5% degli alberi casuali, e viene rigettata nel caso contrario.
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4. RISULTATI
4.1 Analisi delle foto
Dalla media e dalla varianza delle misure prese tramite le foto è risultato che soltanto un carattere variava troppo in base all’inclinazione della macchina fotografica. Il rapporto tra altezza dell’orbita e altezza del rostro (carattere 47) risulta troppo influenzato dalla variazione della macchina fotografica e dal posizionamento iniziale.
In particolar modo è stata osservata una grande differenza tra le medie del carattere di Grampus griseus e di Stenella coeruleoalba, dovute alla differente morfologia dei due crani.
Le misure di entrambi risultano comunque condizionate dalla posizione della macchina fotografica anche se in maniera diversa. (Grafico1)
55
Grafico1: Andamento del rapporto tra altezza dell’orbita e altezza del rostro in base all’inclinazione della macchina fotografica per G. griseus e S. coeruleoalba.
Grafico2: Andamento del rapporto tra altezza e larghezza della fossa temporale in base all’inclinazione della macchina fotografica per G. griseus e S.
coeruleoalba. 0 50 100 150 200 250 -25 -20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25 A lte zza/ lar gh e zza d e lla fo ssa te m p o ral e
Inclinazione della macchina fotografica (gradi)
Carattere 324
Grampus griseus Stenella coeruleoalba -80 -60 -40 -20 0 20 40 60 80 100 120 -25 -20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25 h o rb ita/ h ro str o
Inclinazione macchina fotografica (gradi)
Carattere 47
56 (a)
(b)
Fig 6. Confronto tra il carattere 47 di Stenella coeruleoalba (a) e di Grampus
57
Gli altri caratteri sono stati accettati considerando la deviazione standard dalla media e la percentuale di errore.
Carattere 90 Grampus griseus Stenella coeruleoalba
Media 9,056909 20,37636
Deviazione standard 1,428632 0,710975
% di errore 15,77394 3,489214
Carattere 123 Grampus griseus Stenella coeruleoalba
Media 321,64 424,0909
Deviazione standard 41,11 32,05054
% di errore 12,78084 7,557468
Carattere 324 Grampus griseus Stenella coeruleoalba
Media 210,6151 78,26364
Deviazione standard 3,932016 1,057613
58
Carattere 325 Grampus griseus Stenella coeruleoalba
Media 31,36704 35
Deviazione standard 0,898773 0,609918
% di errore 2,865341 1,742623
Tabella 3. Analisi delle foto di quattro caratteri su 12 foto fatte aumentando l’inclinazione della macchina fotografica di 5° per ogni scatto.
4.2 Analisi filogenetica
Le impostazioni standard per la ricerca di tipo tradizionale sono state cambiate: le repliche associate alla ricerca dell’albero più parsimonioso sono state impostate a 1000 e , per quanto riguarda la fase di TBR, sono stati aumentati i possibili alberi da salvare per ogni replica a 5000-10000.
Con questo metodo di analisi è stato possibile trovare 311 alberi, di cui è stato poi fatto un unico albero di concordanza.
Negli alberi prodotti è stato possibile riconoscere una struttura riconducibile alla struttura filogenetica trovata in studi precedenti.
Come primo gruppo riconoscibile troviamo gli outgroups che, nella maggior parte degli alberi risultano trovarsi alla base.
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Orcinus orca risulta essere alla base dei restanti Delphinidae, mentre Stenella coeruleoalba e Delphinus delphis si raggruppano molto
spesso nella parte superiore del cladogramma.
Un altro gruppo riconoscibile è quello delle Globicephaline molte delle quali, in quasi tutti i casi, si vanno a trovare vicine, come Feresa
attenuata e Peponocephala electra .
L’albero di consenso non ha risoluzione e, quindi, è stato fatto un albero secondario di concordanza, nel quale sono riconoscibili i gruppi elencati sopra.
60
Fig 7. Albero di concordanza derivato dall’analisi di 312 alberi ottenuti con il metodo di massima parsimonia.
61
La posizione di altre specie non conferma gli studi molecolari precedenti. In particolare le specie della sottofamiglia dei Lissodelphininae, che in McGowen et al. (2011) formano un gruppo distinto, risultano separati.
Per testare la consistenza dell’analisi è stato utilizzato il metodo di PTP . Su un albero molecolare (Mc Gowen et al.2011) è stata calcolata la sua lunghezza totale in base al dataset morfologico a disposizione. In seguito, sempre sulla base dei dati disponibili, sono stati costruiti 1000 alberi casuali e ne è stata calcolata la lunghezza. La lunghezza dell’albero molecolare è stata paragonata alla lunghezza degli alberi casuali.
La lunghezza dell’albero molecolare risulta essere di 27856 e quindi, più corta della lunghezza del 100% degli alberi casuali trovati.
In base a questo dato possiamo dire che il dataset di dati morfoscheletrici supporta l’albero proveniente dal dataset di dati molecolari e che il cladogramma prodotto ha un buon grado di significatività.
62 5. DISCUSSIONE
Analisi fotografica
I risultati ottenuti dall’analisi delle foto hanno permesso di misurare determinati caratteri di difficile valutazione. Questo metodo ha permesso di diminuire gli eventuali errori dovuti alla misura dello sperimentatore, o comunque, ha permesso di quantificare il potenziale errore cui la misura era soggetta.
L’approccio fotografico allo studio di reperti per l’analisi cladogenica risulta essere innovativo. Ad eccezione dei lavori che utilizzano tecniche di morfometria geometrica, non ci sono altri studi che approfondiscono le misure morfoscheletriche tramite fotografia e software di grafica.
Analisi filogenetica
Dalle analisi condotte sono emerse alcune strutture della famiglia Delphinidae riconosciute anche in studi precedenti.
Gli outgroups (K. pernix e A. iquensis) si sono collocati sempre alla base delle altre specie.
63
Come sottolineato anche in altri studi (Geisler et al. 2011,Murakami et al.2014) Orcinus orca è la specie alla base del resto dei delfinidi mentre in McGowen et al. (2011) questa viene posizionata come sister taxon dei delfini ad eccezione di Leucolpleurus acutus che, nella sua analisi, risulta la specie di delfinide più basale.
Orcinus orca e Hemisintrachelus cortesii risultano vicini, come
emerge anche dallo studio di Murakami et al. (2014).
Orcaella brevirostris risulta sister taxon di Globicephalinae nello
studio di Geisler et al.2011, Caballero et al. 2008 e McGowen et al.2011. Nello studio di Murakami et al. (2014) O. brevirostris viene compresa in un clade formato da Peponocefala electra, Pseudorca
crassidens e Feresa attenutata. Dalle analisi svolte O. brevirostris si
posiziona sempre all’interno dei restanti Globicephalinae. L’unica specie delle Globicephalinae che risulta esclusa dal gruppo è
Globicephala melas, che si posiziona vicino a Delphininae.
La posizione di Grampus griseus, molto dibattuta negli studi antecedenti, risulta essere molto vicina ai Delphininae anche se, in quasi tutti gli altri studi considerati, questo non emerge. In Geisler et al. (2011) G. griseus si va a trovare all’interno di Globicepahlinae così
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come in McGowen et al. (2011), Murakami et al.(2014), Le Duce et al (1999) e Caballero et al. (2008).
Per quanto riguarda le specie appartenenti alla sotto-famiglia Delphininae analizzate (Tursiops truncatus, Stenella coeruleoalba e
Delphinus delphi), in tutti gli alberi calcolati questi si posizionano
come gruppo “apicale”. In particolare S. coeruleoalba risulta più vicina a D. delphis rispetto che a T. truncatus. Questo si può vedere anche nello studio di Bianucci (2013) ed in altri studi che si sono focalizzati sulla sottofamiglia Delphininae (Amaral et al. 2012). In McGowen et al (2011) S. coeruleoalba rimane più vicina a T.
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Fig 8. A) Albero di maggior consenso basato su analisi molecolari con dati mitocondriali e nucleari (McGowen et al.2011) B) Albero di stretto consenso della famiglia Delphinidae basato
su analisi morfologiche (Murakami et al 2014). C) Albero di consenso costruito su dati molecolari e morfologici (Bianucci et al.2013) D) Albero di consenso ottenuto dagli alberi più
parsimoniosi costruiti su dati morfologici (Geisler et al.2011)