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Velocimetria Doppler sulle arterie uterine nella pre-eclampsia: correlazione con le manifestazioni materne e fetali della sindrome.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Velocimetria Doppler sulle arterie uterine nella pre-eclampsia:

correlazione con le manifestazioni materne e fetali della sindrome.

Relatore:

Prof.ssa Francesca Anna Letizia Strigini

Candidato:

Arianna Sabattini

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A Nonna Rosa, la parte migliore di me.

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INDICE

RIASSUNTO……….…….…….….….pag 5

INTRODUZIONE……….pag 7

PLACENTAZIONE………….….……….…….……….……….……….….…….pag 8

• MORFOLOGIA E STRUTTURA DELLA PLACENTA…….……….pag 8 • FUNZIONI DELLA PLACENTA………...………pag 12 • DISFUNZIONE PLACENTARE……….pag 14

o Risposta immunitaria e deficit della placentazione………..pag 14 o Riduzione dell’invasione trofoblastica delle arterie uterine……….pag 15

DISTURBI IPERTENSIVI IN GRAVIDANZA………..pag 16

PRE-ECLAMPSIA……...………..pag 19

• DEFINIZIONE……….…pag 19 • EPIDEMIOLOGIA………...pag 19 • PATOGENESI………..pag 19 • CLINICA E IMPEGNO D’ORGANO……….pag 23 o Eclampsia………..pag 24 o Sindrome HELLP……...………..pag 25 • COMPLICANZE FETALI……...………pag 27 • DIAGNOSI…..……….pag 28 • PREVENZIONE………...pag 32 o Profilassi farmacologica……..……….pag 33 • TRATTAMENTO………...……….pag 34

VELOCIMETRIA DOPPLER IN GRAVIDANZA…...……….pag 36

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o Velocimetria Doppler sulle arterie uterine nel primo trimestre……pag 38 • VELOCIMETRIA DOPPLER SULL’ARTERIA OMBELICALE.…...pag 39 • VELOCIMETRIA DOPPLER SUL DOTTO VENOSO……….…pag 41 • VELOCIMETRIA DOPPLER NELLA PRE-ECLAMPSIA…………...…pag 43 o Primo trimestre di gravidanza………...………pag 44 o Secondo trimestre di gravidanza……….……..pag 45 o Terzo trimestre di gravidanza……….…..pag 46 o Primo e secondo trimestre di gravidanza...………pag 46

SCOPO DELLO STUDIO……….pag 47

MATERIALI E METODI………...……….….pag 48 RISULTATI……..………..pag 52 • MANIFESTAZIONI FETALI………..pag 54 • MANIFESTAZIONI MATERNE…………...………pag 56 DISCUSSIONE…………...………...…………pag 57 BIBLIOGRAFIA………...pag 61 RINGRAZIAMENTI……….……..…...…….……….pag 74

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RIASSUNTO

La pre-eclampsia è una delle cause più importanti di mortalità e morbilità sia materna che feto-neonatale. Tale sindrome viene attualmente distinta in una forma precoce e in una tardiva. In particolare, la forma ad esordio precoce sarebbe causata da un difetto nella placentazione che avviene in maniera asintomatica nella prima metà della gravidanza, e successivamente provoca uno stress ossidativo che determina la pre-eclampsia conclamata. Nella forma ad esordio tardivo, invece, le alterazioni della placentazione sono minime, e lo stress ossidativo sarebbe legato ad uno sviluppo placentare tale da non poter più sostenere le proprie richieste di ossigeno (soprattutto in donne con comorbilità come la sindrome metabolica).

Lo studio della velocimetria Doppler sulle arterie uterine ha un ruolo fondamentale per la valutazione del processo di placentazione e quindi può costituire un elemento importante nella predizione della pre-eclampsia, in particolare per le forme ad esordio precoce.

Non è invece noto se un quadro patologico alla velocimetria Doppler sulle arterie uterine sia anche correlato con la gravità delle manifestazioni materne e fetali in corso di pre-eclampsia.

Lo scopo di questa tesi è stato quindi quello di valutare se la velocimetria Doppler sulle arterie uterine possa avere un ruolo predittivo per le diverse manifestazioni sia fetali che materne che si possono presentare nella pre-eclampsia.

Sono state incluse nello studio 74 pazienti consecutive affette da pre-eclampsia, che nell’arco di 10 anni (2008-2017) avessero effettuato almeno un esame velocimetrico Doppler sulle arterie uterine negli ambulatori di ecografia ostetrica dell’Università di Pisa.

I dati raccolti comprendevano, oltre a quelli della velocimetria Doppler sulle arterie uterine (presenza o assenza del notch protodiastolico e valori elevati di PI), anche parametri che potessero indicare il grado di compromissione materna (riscontro di sindrome HELLP completa o parziale e/o di eclampsia imminente/conclamata) e fetale (morte fetale intrauterina o interruzione volontaria di gravidanza, restrizione della

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crescita intrauterina, valori patologici all’esame velocimetrico Doppler sull’arteria ombelicale, assenza o inversione dell’onda a sul dotto venoso, tracciati cardiotocografici suggestivi di sofferenza fetale).

I risultati del presente studio hanno dimostrato una correlazione significativa fra un quadro patologico della velocimetria Doppler sulle arterie uterine e l’età gestazionale al parto (29,2 + 0,4 vs 33,4 + 0,5 settimane; p < 0,0001). Inoltre, una velocimetria Doppler alterata sulle arterie uterine, indicava un rischio aumentato di riduzione del diametro medio dell’addome fetale (MAD) (38% vs 12%; p = 0,0389), valori velocimetrici Doppler sull’arteria ombelicale patologici (assenza o inversione del flusso in telediastole, valori di PI aumentati; 40% vs 13%; p = 0,0172) e un esito sfavorevole composito fetale (costituito da feti che presentavano MAD < M – 2 DS, valori velocimetrici Doppler sull’arteria ombelicale patologici, assenza o inversione dell’onda

a sul dotto venoso, distacco di placenta, morte intrauterina o interruzione volontaria di

gravidanza, tracciati cardiotocografici patologici (39% vs 15%; p = 0,0132).

Il rischio di manifestazioni materne non era invece significativamente aumentato in presenza di Doppler patologico sulle arterie uterine (sindrome HELLP: 60%; eclampsia imminente/conclamata: 36%) in confronto alle gravidanze con velocimentria Doppler normale (rispettivamente 47% e 30%).

I risultati del presente studio sono in accordo con quanto riportato in letteratura sulla capacità della velocimetria Doppler sulle arterie uterine di predire la restrizione della crescita fetale.

Al contrario, la mancata predittività della velocimetria Doppler sulle arterie uterine rispetto alle manifestazioni materne suggerisce che queste siano correlate all’entità dello stress ossidativo, indipendentemente dai meccanismi con cui è prodotto.

Inoltre, non si è dimostrata alcuna correlazione significativa fra le manifestazioni materne e fetali nel corso di pre-eclampsia, a dimostrazione del fatto che la compromissione del benessere fetale fondamentalmente non dipende dalla gravità del quadro materno.

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INTRODUZIONE

“L’ostetricia è la branca della scienza medica, strettamente connessa con la ginecologia, che studia la fisiologia e la patologia del concepimento e della gravidanza, in rapporto tanto allo stato di salute della gestante quanto al soddisfacente sviluppo del feto, e i problemi di vario ordine inerenti all’espletamento del parto, al puerperio e all’allattamento.”1

“Per gravidanza si intende la condizione (detta anche gestazione) della donna, e in genere delle femmine dei mammiferi, nel periodo che va dall’inizio del concepimento al parto (o comunque all’espulsione del feto), e la durata stessa di tale periodo.”1

La gravidanza costituisce un momento di intensi cambiamenti morfo-funzionali che coinvolgono tanto l'organismo embrio-fetale in via di sviluppo quanto l'organismo materno il quale, fin dai primi momenti della gestazione, va incontro a complesse modificazioni che interessano sia gli organi preposti alla funzione riproduttiva sia gli altri organi, con un susseguirsi di adattamenti sistemici alla nuova condizione sopraggiunta volti ad accogliere e proteggere la nuova vita e a garantirne il corretto sviluppo. Studiare la donna in gravidanza comporta la necessità di approcciarsi a un organismo in divenire la cui salute è imprescindibilmente legata a quella del nascituro. Comprenderne i cambiamenti, saper gestire e prevenire determinate complicanze permette di garantire un fisiologico evolversi della gestazione tutelando tanto il benessere materno quanto quello fetale, consentendo anche un buon adattamento nella vita extrauterina.

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PLACENTAZIONE

MORFOLOGIA E STRUTTURA DELLA PLACENTA

A livello uterino si assiste a uno dei fenomeni più complessi e affascinanti della gravidanza: la formazione della placenta (indicata anche con il termine placentazione). Esso è un processo che inizia molto precocemente, già alla fine della seconda settimana di gestazione si ha la formazione della placenta primitiva ma lo sviluppo si completerà intorno al terzo trimestre.

La placenta è un organo che si crea ex novo dall'interazione del sinciziotrofoblasto embrionale con la decidua uterina materna, costituendo il fondamento della condivisione tra l'organismo della donna e quello embrio-fetale. Il rapporto che si viene a creare è così stretto che madre e feto possono essere visti quasi come un'unica entità rappresentata dall'organismo materno-fetale. Il ruolo della placenta non è infatti semplicemente quello di sostenere la circolazione sanguigna materno-fetale ma tramite la sua azione endocrino-metabolica essa risulta determinante nella maggior parte degli eventi della gestazione influenzando sia l'omeostasi materna che l'accrescimento e lo sviluppo del futuro neonato.

La placenta è un annesso embriofetale (ovvero un prodotto del concepimento che non fa parte del corpo dell’embrione e del feto) che svolge un ruolo fondamentale: sostenere la crescita del futuro neonato. Essa aderisce alla parete uterina e comunica con il feto mediante il cordone ombelicale, durante la gravidanza aumenta le proprie dimensioni e si adatta in modo da poter sostenere le crescenti richieste fetali. La placenta, nelle varie specie, presenta molteplici differenze ma una caratteristica molto importante rimane costante: la coesistenza di due circolazioni separate, ovvero quella materna e quella fetale2.

La tipica morfologia di una placenta a termine presenta forma discoide, peso di circa 513 grammi, diametro di 22 centimetri, una superficie di quasi 15 m2 e uno spessore di 2.5 centrimetri3. Bisogna comunque considerare che questi parametri variano notevolmente da caso a caso.

La struttura della membrana che separa le due circolazioni (materna e fetale) nella placenta della specie umana è di tipo emocoriale e il sistema che separa il sangue fetale

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da quello materno è costituito da 3 strati di tessuto, tutti di origine fetale, ovvero: 1. L’endotelio dei capillari fetali (presenti all’interno dei villi coriali) 2. il connettivo stromale del villo

3. l’epitelio coriale del villo (formato dal citotrofoblasto e dal sinciziotrofoblasto) che è direttamente a contatto con il sangue materno4.

Inoltre nella placenta si possono distinguere due facce: una fetale (rivolta verso il feto) e una materna (adesa alla parete uterina). In sezione sagittale, dalla porzione uterina verso quella fetale, di una placenta a termine si riconoscono: la decidua basale, i villi, il

corion e l’amnios.

I villi coriali rappresentano le fondamentali unità funzionali della placenta poiché a questo livello sono attuati i principali scambi materno-fetali. I villi possono essere differenziati per il calibro, l’architettura, la posizione e la funzione. Nonostante la diversa classificazione, tutti presentano la medesima caratteristica di base: una membrana villosa deputata alla separazione fra la circolazione materna e fetale2. I villi nascono dalla lamina coriale e costituiscono la porzione più estesa della parte fetale della placenta. Queste strutture sono rappresentate dai tronchi dei villi e dai loro rami (villi di I, II, III, IV ordine etc.). Si distinguono in villi nutritizi o liberi, che pescano liberamente nello spazio intervilloso e nel sangue materno che vi circola e in villi di

ancoraggio o barbicanti, che si inseriscono nel tessuto deciduale. Tra i villi si insinuano

lamine derivanti dalla decidua compatta che formano i setti placentari intervillosi. Da qui si possono riconoscere il cotiledone materno (concamerazione dello spazio intervilloso definita in maniera incompleta dai setti placentari intervillosi) e il

cotiledone fetale (formato da un villo di I ordine con tutte le sue ramificazioni)4.

Il sangue fetale, veicolato dalle arterie ombelicali racchiuse nel funicolo, si porta all’interno delle reti capillari contenute nei villi coriali mentre il sangue materno delle arterie spirali della decidua si libera all’interno degli spazi intervillosi. Così le due circolazioni si interfacciano a livello della struttura placentare dove si stabiliscono rapporti funzionali tra sangue materno e fetale, pur mantenendosi separate per mezzo della barriera emato-placentare.

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Lo sviluppo delle circolazioni placentari materna e fetale sono completamente indipendenti l’una dall’altra e la circolazione feto-placentare si instaura solo all’inizio della sesta settimana post-concepimento. Tuttavia, si ritiene che il flusso e gli scambi effettivi inizino solo alla fine del primo trimestre di gravidanza2.

Per quanto riguarda il flusso ematico materno placentare, il volume-minuto uterino può variare da 500 a 800 ml/min a termine della gestazione; di questa quantità circa il 75% attraversa lo spazio intervilloso mentre la restante parte è destinato all’irrorazione del miometrio e dei tessuti placentari non adibiti agli scambi metabolici4. Bisogna considerare che lo spazio intervilloso non presenta strutture apposite adibite al trasporto di sangue materno proveniente dalle arterie spiraliformi: si considera invece come un pool di sangue guidato dalla pressione emodinamica locale5. Per cui, la direzione del

flusso in un determinato punto dello spazio intervilloso, è determinato dalle aperture arteriose e venose e dalla geometria dell’unità di scambio materno-fetale6. Il flusso di sangue è invece sostenuta dalla pressione con la quale il sangue arterioso fuoriesce dalle arterie spirali della decidua: di circa 10 mmHg in posizione supina, di 30 mmHg in ortostatismo e presenta un notevole aumento durante la contrazione uterina fino ad eguagliare la pressione intra-amniotica4. Il crescente flusso di sangue che scorre dalle arterie spiraliformi allo spazio intervilloso durante il decorso della gravidanza, si pensa possa essere dovuto a un cambiamento nella struttura parietale di questi vasi. Alla fine della gestazione, quando il flusso è notevolmente aumentato, si apprezza una diminuzione della densità del tessuto attorno alle arterie spiraliformi e ciò sembra portare a un ulteriore sviluppo di villi coriali. Ciò spiegherebbe come mai i lobuli (le unità di scambio materno-fetale delimitate dai setti) non siano visibili fino all’inizio del secondo trimestre di gravidanza, ovvero quando il flusso arterioso non è ancora così prominente7.

La circolazione feto-placentare fa riferimento al flusso di sangue presente nelle arterie ombelicali che si porta alle reti capillari presenti all’interno dei villi coriali e che ritorna al feto mediante la vena ombelicale, sempre contenuta nel funicolo. Il volume-minuto fetale attraverso la placenta a termine della gravidanza si aggira attorno a 250-300 ml/min. Le arterie placentari fetali sono abbastanza ampie e il letto capillare nei villi è

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invece breve; questo fa sì che la pressione all’interno dei capillari e delle venule rimanga superiore a quella dello spazio intervilloso, in modo da garantire il flusso ematico anche durante le contrazioni uterine4.

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FUNZIONI DELLA PLACENTA

La placenta non è solo un filtro tra il sangue materno e fetale ma svolge numerose funzioni che le permettono di sostituirsi agli organi fetali ancora in via di sviluppo quali i polmoni (tramite la sua funzione di scambio di gas), i reni (grazie alla capacità di regolare i fluidi e allontanare i cataboliti dalla circolazione fetale), il tratto gastro-enterico (grazie alle sue numerose attività di trasporto dei nutrienti). Inoltre ha un’importantissima funzione endocrina tramite cui regola non solo l'omeostasi dell'organismo fetale ma anche quello materno8.

Il meccanismo degli scambi dei gas respiratori attraverso la placenta segue le leggi fisiche della diffusione semplice. Sia l’ossigeno che l’anidride carbonica superano la barriera placentare nel senso indicato dalla differenza delle rispettive pressioni parziali nel sangue materno e nel sangue fetale. Tuttavia esistono dei fattori che promuovono il passaggio dell’ossigeno dalla madre al feto e il passaggio dell’anidride carbonica dal feto alla madre4. L’ossigeno raggiunge la circolazione fetale tramite diffusione e passa la barriera grazie soprattutto al fatto che l’affinità dell'emoglobina fetale (HbF) per questa molecola è molto maggiore rispetto a quella dell’emoglobina materna, mentre la CO2 diffonde in senso inverso.

Le sostanze nutritive passano la placenta per diffusione semplice (soprattutto lipidi), diffusione facilitata (glucosio), trasporto attivo (aminoacidi, anche se è stata ipotizzata una loro neosintesi a livello placentare): tutti questi meccanismi devono essere integri per garantire il corretto sostegno respiratorio e nutritivo al feto9.

Uno degli aspetti cruciali per la vita del feto è la sua totale dipendenza dallo stabilirsi di adeguati scambi nutrizionali e metabolici con la madre. Motivo per cui esistono meccanismi mediante i quali il feto, nel corso del suo sviluppo, controlla gli scambi respiratori e metabolici e che consistono nella capacità della placenta di secernere ormoni e fattori di crescita. Vengono prodotti fattori di crescita vascolari che mediano la formazione della circolazione placentare e fattori di crescita che stimolano la proliferazione e la differenziazione dei tessuti embrio-fetali10. Si riconoscono una serie di ormoni e proteine prodotti dalla placenta che, dosabili nel siero materno, rappresentano utili marcatori nella pratica ostetrica: ricordiamo il β-HCG che sostiene il corpo luteo e la produzione progestinica11, l'ormone lattogeno placentare umano (hPL)

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che influenza il metabolismo glucidico e lipidico materno e stimola le modificazioni a livello del tessuto mammario preparatorie al futuro allattamento12, ormoni steroidei quali estrogeni (soprattutto estradiolo) e progesterone coinvolti anche nella modulazione della risposta immunitaria. Non bisogna dimenticare infatti il ruolo protettivo della placenta sul feto contro eventuali attacchi del sistema immunitario materno grazie alla creazione di uno stato di tolleranza localizzata tramite l'espressione di particolari complessi di istocompatibilità e l'assenza di MHC a livello trofoblastico, il tessuto maggiormente interfacciato con quello materno13.

Inoltre la placenta è coinvolta nella produzione di una lunghissima serie di fattori che coordinano i vari fenomeni della gestazione tra i quali ricordiamo la proteina plasmatica A (Pregnancy-associated Plasma Protein A PAPP-A) una metalloproteinasi prodotta dal sinciziotrofoblasto che modula il sistema delle IGF e che è stata messa in relazione con diverse complicazioni della gravidanza quali la restrizione della crescita intrauterina (IUGR) e la pre-eclampsia ma anche con cromosomopatie fetali14.

L'azione di filtro e il corredo enzimatico permettono alla placenta di impedire il passaggio di sostanze nocive e teratogene al feto ma bisogna ricordare che molti farmaci (talidomide, anticonvulsivanti, litio, warfarin) e sostanze d'abuso come l'alcol riescono a passare la barriera placentare e la loro somministrazione deve essere quindi evitata in gravidanza15.

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DISFUNZIONE PLACENTARE

La placenta rappresenta l’organo principale per la regolazione dell’afflusso di nutrienti al feto nel corso della gestazione. Motivo per cui, una sua adeguata funzione, è fondamentale per garantire un adeguato sviluppo del feto durante la vita intra-uterina. Durante l'inizio della gravidanza, la placenta si sviluppa come interfaccia materno-fetale attraverso diversi processi biologici tra cui la vasculogenesi, l'angiogenesi, l’invasione del trofoblasto e il rimodellamento delle arterie spirali. La vasculogenesi è lo sviluppo dei vasi sanguigni de novo dalle cellule progenitrici endoteliali e si verifica circa 18-35 giorni dopo il concepimento. L'angiogenesi è la germinazione di nuovi vasi sanguigni dai vasi preesistenti ed è regolata dalle azioni coordinate dei fattori pro-angiogenetici e dalla capacità invasiva delle cellule del trofoblasto16.

Per un adeguato sviluppo fetale, è necessario che vi sia un’adeguata vascolarizzazione della placenta. Durante il primo trimestre, il sinciziotrofoblasto accede in profondità nella parete uterina fino a un terzo del miometrio, con invasione progressiva delle arterie spirali, sostituendo le cellule muscolari lisce della loro parete con materiale fibrinoide17. Ciò porta a una graduale dilatazione e trasformazione delle arterie spirali da vasi ad alta resistenza e bassa capacità a vasi a bassa resistenza e alta capacità, in modo tale da poter garantire un flusso di sangue adeguato alle crescenti richieste fetali. Un’inadeguata placentazione, una ridotta pressione di perfusione uterina e fenomeni di ischemia e ipossia placentare sono alla base di molte patologie che interessano la gravidanza (come pre-eclampsia, IUGR etc.)18-19.

Risposta immunitaria e deficit della placentazione

Nel corso di una gravidanza fisiologica, si devono attuare dei processi di tolleranza immunologica materna nei confronti degli antigeni di origine fetale (che sono compatibili con la madre solo per metà) al fine di proteggere il feto dalla risposta immunitaria materna che potrebbe provocare un rigetto20. Il citotrofoblasto esprime

molecole del complesso di istocompatibilità HLA-C, HLA-E e HLA-G che interagiscono con i loro rispettivi inibitori KIR, CD 94/NKG e IL-2 presenti a livello delle cellule NK materne: queste interazioni riducono l’attività delle cellule NK, impedendo il loro attacco nei confronti dei normali tessuti placentari e fetali21. Anche nelle gravidanze

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fisiologiche si riscontra una modesta attivazione del complemento ma se questa diventa massiva, può provocare alterazioni nel processo di placentazione.

Riduzione dell’invasione trofoblastica delle arterie uterine

L’invasione e il rimodellamento delle arterie spirali da parte del sinciziotrofoblasto è in parte regolato da integrine e da altre molecole di adesione. Inizialmente, il sinciziotrofoblasto esprime molecole di adesione di tipo epiteliale che poi sono sostituite da integrine di tipo endoteliale che gli conferiscono una maggior invasività. Questo processo è denominato mimetismo vascolare o pseudo-vasculogenesi22.

Un’anormale espressione di queste molecole di adesione porta a un’invasione limitata delle arterie spirali, a un maggior rischio di ischemia placentare e a un’inadeguata pressione di perfusione uterina22-23. Inoltre la limitata invasione del sinciziotrofoblasto

comporta una permanenza delle cellule muscolari lisce a livello della parete delle arterie spirali che causa un’aumentata vasocostrizione che induce un’ischemia placentare24.

Sono numerosi i fattori che sono coinvolti nella disfunzione placentare e che rappresentano la principale causa di alcune patologie che si possono presentare nel corso della gestazione.

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DISTURBI IPERTENSIVI IN GRAVIDANZA

I disturbi ipertensivi in gravidanza interessano fino al 10% delle donne gravide25

e sono correlate a una maggior morbilità sia materna che perinatale.

L’organismo materno, nel corso della gravidanza, va incontro a importanti cambiamenti cardio-circolatori: si ha una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche con conseguente aumento del volume sistolico e della gittata cardiaca. Nonostante questo, la pressione arteriosa sistolica rimane relativamente invariata, mentre la pressione arteriosa diastolica ha una tendenza bimodale: si ha una riduzione di circa 10 mmHg nel secondo trimestre (conseguente alla riduzione delle resistenze) per poi ritornare ai livelli pre-gravidici durante il terzo trimestre (a causa dell’aumento della volemia e del volume sistolico)26

.

Si riconoscono diversi tipi di condizioni, la cui gravità varia notevolmente da uno all’altro.

Tab. 1: Classificazione dei disturbi ipertensivi in gravidanza secondo il National High Blood Pressure Education Program (NHBEP).

Pre-eclampsia / Eclampsia Ipertensione e proteinuria > 300mg/24h dopo la 20° settimana di gestazione. L’eclampsia (evento convulsivo della pre-eclampsia) complica circa 0,1% delle gravidanze.

Ipertensione gravidica Ipertensione che si presenta prima delle 20 settimane di gestazione, senza la presenza di proteinuria.

Ipertensione cronica Pressione arteriosa > o uguale a 140/90 mmHg nel

periodo preconcezionale o prima delle 20 settimane di gestazione.

Pre-eclampsia sovrapposta a ipertensione cronica

Più del 30% delle donne con ipertensione cronica sviluppano pre-eclampsia, associata a proteinuria, che si presenta per la prima volta nel terzo trimestre e/o un aumento di pressione in donne che precedentemente erano normotese, piastrinopenia (< 100.000 /mm3).

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L’ipertensione cronica in gravidanza è caratterizzata dal riscontro di valori pressori maggiori a 140/90 mmHg in almeno due occasioni a distanza non inferiore a quattro ore durante o prima la 20° settimana di età gestazionale. E’ una condizione che può essere associata a pre-eclampsia, restrizione della crescita intrauterina e distacco di placenta. In caso di presenza di comorbilità materne come diabete mellito o patologia renale, è consigliato un monitoraggio della pressione arteriosa più stretto, a causa dell’aumentato rischio cardiovascolare.

Il trattamento di un’ipertensione lieve o moderatamente elevata, non sembra portare a benefici per il feto e non previene lo sviluppo di pre-eclampsia27-28

, in quanto un’inadeguata terapia anti-ipertensiva può causare danni al feto e portare a un’ipoperfusione placentare29

. Per queste ragioni, il trattamento anti-ipertensivo viene riservato ai casi con valori pressori maggiori a 150/100 mmHg30-31

.

Donne ipertese cronicamente devono sottoporsi a un monitoraggio ecografico per la valutazione della crescita fetale i cui intervalli sono decisi in base alla severità dell’ipertensione, alle comorbilità e alla storia ostetrica30

.

Il labetalolo, la metildopa e la nifedipina sono i farmaci maggiormente utilizzati per la terapia in virtù della loro efficacia e sicurezza, in quanto non sono stati dimostrati effetti teratogeni associati al loro utilizzo30

.

L’ipertensione gravidica è una condizione che si sviluppa dopo la 20° settimana di età gestazionale, in assenza di proteinuria e altri criteri suggestivi di pre-eclampsia. Può essere considerata una diagnosi provvisoria in cui sono incluse le donne che in seguito svilupperanno pre-eclampsia, le donne con ipertensione cronica misconosciuta (per essere tale i livelli di pressione arteriosa devono rimanere elevati nelle 12 settimane successive al parto) e le donne che presentano un’ipertensione transitoria nel periodo gestazionale.

Circa il 50% delle donne a cui viene diagnosticata l’ipertensione gravidica tra le 25 e 34 settimane di età gestazionale, svilupperanno pre-eclampsia32

.

La gestione dell’ipertensione gravidica, non è molto diversa da quella della pre-eclampsia: si opta per uno stretto monitoraggio col fine di arrivare alle 37 settimane di età gestazionale per poi procedere con l’induzione del parto30

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La pre-eclampsia è una sindrome con interessamento multi-organo caratterizzata dalla comparsa di ipertensione e proteinuria dopo le 20 settimane di età gestazionale.

In una donna ipertesa cronicamente in cui si verifica la comparsa di proteinuria o di altri sintomi suggestivi di pre-eclampsia, si parla di pre-eclampsia sovrapposta a

ipertensione cronica. Questa forma tende a presentarsi più precocemente rispetto che

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PRE-ECLAMPSIA

DEFINIZIONE

La pre-eclampsia è una condizione ostetrica che si manifesta nella seconda metà della gravidanza (ma eccezionalmente può svilupparsi anche prima della 20° settimana di gestazione) in associazione a una patologia del trofoblasto. Questo disturbo multi-sistemico può interessare diversi organi materni come il rene, il fegato, l’encefalo e rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità materna e perinatale. Questa patologia comprende uno spettro di quadri clinici diversi con impatto variabile sulla salute della madre e del feto, è quindi fondamentale un corretto inquadramento diagnostico per impostare la gestione più appropriata e prevenire o fronteggiare le complicanze materne e fetali33.

La condizione è autolimitantesi poiché dopo il parto e il secondamento, la puerpera ritorna in genere rapidamente nelle condizioni precedenti alla gravidanza.

EPIDEMIOLOGIA

La pre-eclampsia rappresenta una delle più frequenti complicanze ostetriche, con una prevalenza del 5-8% di tutte le gravidanze ed è responsabile di circa 100 morti materne e 400 morti perinatali al giorno a livello mondiale34. Nonostante i significativi progressi raggiunti nella medicina perinatale, la pre-eclampsia rappresenta ancora uno dei problemi più attuali e urgenti in ostetricia. Il rischio di sviluppare questo quadro aumenta notevolmente, fino al 50-75%35, in caso di precedente gravidanza complicata da pre-eclampsia, di ipertensione cronica o di nefropatia materna.

PATOGENESI

Sono state proposte molte teorie per spiegare la genesi della pre-eclampsia: in tutte l’alterazione dell’endotelio vasale gioca un ruolo fondamentale. I processi patologici fondamentali che caratterizzano la malattia sono rappresentati dal difetto di placentazione e dalla disfunzione endoteliale36. Di questi, il primo processo condiziona

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l’anomalo impianto del citotrofoblasto, forse mediato da un meccanismo immunologico, ovvero per un’insufficiente induzione di una tolleranza immunologica fra antigeni materni e antigeni fetali, come dovrebbe accadere per permettere a una gravidanza di arrivare a termine37. Il secondo processo è rappresentato dalla patologia dell’endotelio delle arterie spirali che si associa all’insorgenza di un’aterosi acuta per cui si sviluppano microtrombi e infarti placentari38. Inoltre ci sono molti elementi che fanno supporre che nella pre-eclampsia ci sia una disfunzione endoteliale generalizzata.

Nel corso della gravidanza, per assicurare un adeguato flusso sanguigno all’unità feto-placentare, durante il processo di formazione della placenta, si realizzano dei complessi cambiamenti adattativi, ovvero a livello del letto placentare si ha l’invasione dei vasi materni da parte delle cellule trofoblastiche39. Aprendosi all’interno degli spazi

intervillosi, le cellule trofoblastiche invadono in modo retrogrado il lume delle arterie spirali; successivamente esse disgregano l’endotelio vasale e, penetrando nella parete vascolare, distruggono i vasi sotto-endoteliali. Di conseguenza le cellule muscolari lisce della tonaca media vasale diventano irriconoscibili e sono rimpiazzate da materiale fibrinoide comprendente cellule trofoblastiche. Questi cambiamenti fisiologici sono caratteristici della prima metà della gravidanza e interessano la parte deciduale superficiale delle arterie spirali; nella seconda metà, si estendono allo strato endometriale e al miometrio39. Questa colonizzazione porta a una considerevole riduzione delle resistenze periferiche e, poiché il trofoblasto rimuove tutta la tonaca muscolare delle arterie spirali, il sangue scorre senza ostacolo nello spazio intervilloso: questo assicura un tempo di contatto sufficiente per un adeguato scambio di ossigeno e nutrienti.

E’ stato dimostrato che le cellule del trofoblasto producono significative quote di PGI2 le quali inibiscono l’aggregazione piastrinica mantenendo la dilatazione vasale40: è probabile che la capacità del trofoblasto di colonizzare i vasi sanguigni materni e di impedirne l’ostruzione da parte di aggregati piastrinici dipenda proprio dall’azione della PGI2. Il mancato o incompleto impianto del trofoblasto nelle arterie spiraliformi potrebbe portare a una ridotta perfusione dell’unità feto-placentare e quindi a un perturbamento di alcuni meccanismi omeostatici. Inoltre non è escluso che una ridotta perfusione del citotrofoblasto possa portare a un’alterazione degli antigeni di superficie

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con conseguente attivazione del sistema immune materno. Il richiamo delle cellule implicate nella flogosi determinerebbe da una parte il rilascio di radicali liberi dell’ossigeno, responsabili del danno endoteliale, e dall’altro la sintesi di citochine

(IL-1, TNFα, INFα, INFβ, INFγ e Fattore 1) che è considerata un importante cofattore

dell’anormale placentazione in corso di pre-eclampsia41.

Comunque il ridotto rimodellamento delle arterie spirali (dall’8° alla 18° settimana di età gestazionale) porta a un danno ischemico da riperfusione e a uno stress ossidativo a livello dei villi coriali42. La risposta infiammatoria sistemica che ne deriva ha conseguenze varie e di vasta portata, tutte visibili nella pre-eclampsia43.

Negli ultimi anni è stata proposta la distinzione in due forme di pre-eclampsia caratterizzate da una diversa epoca di insorgenza e verosimilmente sostenute da un differente meccanismo fisiopatologico44:

1. Una forma ad esordio precoce (prima della 34° settimana di età gestazionale) definita anche “placentare”, frequentemente associata a un ridotto sviluppo fetale (25% dei casi).

2. Una forma ad esordio tardivo (dopo la 34° settimana di età gestazionale) definita anche “maternogenica”, solitamente non associata a restrizione della crescita fetale (75% dei casi)45.

La forma ad esordio precoce è la variante clinica più grave e si verifica in circa il 5-20% dei casi. E’ associata con la restrizione della crescita intrauterina (IUGR), anomalie nella circolazione fetale e placentare rilevabili alla velocimetria Doppler, placenta di dimensioni ridotte e maggior rischio di parto prematuro, mortalità e morbilità neonatale46. La teoria più accreditata è che questa forma sia causata da una placenta ipofunzionante che rilascia sostanze responsabili di un aumento delle resistenze sistemiche e di un danno endoteliale diffuso. Verosimilmente la patogenesi di questa forma è rappresentata da un difetto di placentazione in cui le arterie spirali materne, che alimentano l’interfaccia materno-placentare, non vanno incontro alle usuali modificazioni istologiche (remodeling della tonaca media), mantenendo un elevato tono muscolare e impedendo che si realizzi a livello del letto placentare una

(23)

circolazione a bassa resistenza. Questa anomalia di vascolarizzazione favorisce un insulto ischemico a carico del tessuto placentare e comporta un rilascio di fattori biochimici in grado di determinare una disfunzione endoteliale generalizzata. In particolare, la porzione placentare che è maggiormente lesa dall’ischemia è il sinciziotrofoblasto che, in risposta a questo insulto, secerne:

• sVEGR1, conosciuto anche come sFLT1 (il recettore-1 per il fattore di crescita vascolare solubile VEGF)

• sENG (endoglina solubile) • Leptina

• Activina-A

• CRH (ormone di rilascio della corticotropina) • PAPP-A (proteina plasmatica A)

Al contrario, PlGF (il fattore di crescita placentare) diminuisce rispetto ai livelli normali o medi previsti in una gravidanza non complicata.

La conoscenza di queste molecole ha permesso di individuare possibili biomarkers diagnostici e predittivi per questa sindrome47. Inoltre, in risposta all’insulto ischemico, il sinciziotrofoblasto presenta indicatori di danno come i nodi sinciziali, che sono la manifestazione di una fase pre-apoptotica48.

La forma ad esordio tardivo rappresenta il 75-80% dei casi ed è associata a morbilità materne come la sindrome metabolica, la ridotta tolleranza al glucosio, l’obesità, la dislipidemia e l’ipertensione cronica. D’altra parte, sembra che vi sia implicata anche un aumento della richiesta di ossigeno da parte di placente e feti di grandi dimensioni46-49

. Le cause sono quindi riconducibili alle alterazioni sistemiche del microcircolo materno che si realizzano nel corso della gravidanza, senza coinvolgere peculiarmente il letto vascolare della placenta, e hanno verosimilmente un’origine di tipo metabolico. Anche in questo caso lo stato pro-infiammatorio, correlato al dismetabolismo, si accompagna ad un danno sistemico dell’endotelio vascolare.

L’endotelio vascolare risponde all’insulto funzionale:

(24)

vasocostrittori (angiotensina, serotonina) e anti-angiogenetici (sFlt1, sEng,

sVEGFR-1);

• riducendo la produzione di fattori anti-aggreganti (prostaciclina), vasodilatatori (ossido nitrico NO) e angiogenici (PlGF, VEGF, ADAM12s, PAPP-A, PP13)50

; • liberando nella circolazione materna cellule e sostanze placentari ad azione

tromboplastinica con conseguente iperattivazione del sistema coagulativo materno.

L’aumento delle resistenze sistemiche, il danno endoteliale diffuso e l’attivazione della cascata coagulativa si alimentano a vicenda tramite un circolo vizioso, con coinvolgimento di vari distretti materni. Questo causa l’ipertensione, il danno renale e un quadro di coagulopatia da consumo rapidamente evolutivo.

CLINICA E IMPEGNO D’ORGANO

La pre-eclampsia fa parte dei disturbi ipertensivi della gravidanza e viene diagnosticata con la presenza di un’ipertensione con valori > 140/90 mmHg e di proteinuria > 300 mg/24h. I sintomi si presentano nella seconda metà della gravidanza e possono comprendere manifestazioni tipiche come appunto ipertensione e proteinuria ma anche cefalea, nausea, vomito, disturbi visivi ed edema. Il diverso interessamento d’organo andrà a caratterizzare alcune complicanze tipiche come l’eclampsia e la sindrome HELLP.

La proteinuria si presenta per una lesione a livello del glomerulo renale in cui si ha rigonfiamento delle cellule endoteliali fino ad arrivare anche all’obliterazione del lume capillare. Inoltre, a livello della membrana basale si ha un deposito di profibrina (prodotto di degradazione del fibrinogeno). Le conseguenze di questa lesione renale sono una riduzione del flusso plasmatico renale, la comparsa di proteinuria e una riduzione del filtrato glomerulare. Dal punto di vista clinico si manifesterà con oliguria e con lo sviluppo di edemi per la ritenzione di sodio e acqua4

.

(25)

reattività delle pareti dei piccoli vasi a fattori che aumentano la pressione arteriosa ma anche da un’eccessiva produzione di questi ultimi (forse associata a una riduzione dei fattori con azione ipotensiva). Inoltre il danno endoteliale che si verifica causa un aumento della permeabilità vascolare con conseguente fuoriuscita di soluzione dal compartimento endovascolare verso gli spazi interstiziali. Per cui si avrà una riduzione della volemia con aumento della viscosità del sangue per l’emoconcentrazione che clinicamente si manifesta con l’ipertensione4

.

Eclampsia

Il sistema nervoso centrale rappresenta uno degli organi che può essere coinvolto nel processo pre-eclamptico. Alla base dei sintomi neurologici che si possono riscontrare, vi può essere una condizione di edema cerebrale conseguente a modificazioni funzionali a livello dei vasi cerebrali che hanno determinato uno stato di iperperfusione cerebrale. Si ha così lo sviluppo di un edema vasogenico a livello del tessuto cerebrale provocato da un aumento della pressione di perfusione cerebrale associata a un’alterazione della permeabilità della barriera emato-encefalica. La diversa intensità ed estensione di questi fenomeni, prevalenti nelle regioni parietali e occipitali posteriori51

, correlano con i diversi sintomi che si possono manifestare in corso di pre-eclampsia: cefalea, disturbi visivi, cecità transitoria, convulsioni e infine emorragia cerebrale.

Con eclampsia si intende la comparsa di uno o più episodi convulsivi in una gravida o puerpera che presenta segni e sintomi della pre-eclampsia (ipertensione e proteinuria) 52-53

. Talvolta la crisi convulsiva non viene testimoniata e la paziente viene ritrovata in uno stato di incoscienza detto stato post-critico: in queste condizioni si deve sospettare l’avvenuta crisi eclamptica.

L’incidenza dell’eclampsia in Europa oscilla tra 2,4 e 6,2 casi su 100.000 parti, ovvero circa 1 caso ogni 2000/3000 nascite54-55

. Nei paesi in via di sviluppo ha una frequenza 16-18 volte superiore con 1-2 attacchi eclamptici ogni 100 parti56

.

La diagnosi differenziale va posta con le manifestazioni delle diverse forme di epilessia, con le emorragie ed ischemie cerebrali57-58

. Cause meno frequenti di convulsioni sono i tumori cerebrali (sia primitivi che secondari), le malattie metaboliche che portano a ipoglicemia o iponatriemia, le infezioni o setticemie, l’abuso di sostanze tossiche59

. L’eclampsia si può manifestare prima del parto (circa il 45%), durante il travaglio

(26)

(19%) o dopo il parto (36%)60

. Esiste una forma tardiva post-partum (late eclampsia) che compare fra le 48 ore successive al parto fino a 6 settimane dopo61-62

.

La crisi convulsiva in genere non è prevedibile anzi, spesso l’eclampsia è l’esordio della pre-eclampsia (fino al 60% dei casi di eclampsia)63

, comunque possono presentarsi sintomi (definiti segni di eclampsia imminente) che indicano un aumentato rischio di convulsioni e che comprendono cefalea, disturbi visivi, stato di agitazione psico-motoria, clonie o iperclonie, epigastralgia64-65

.

Sindrome HELLP

L’acronimo HELLP descrive una sindrome caratterizzata da emolisi (Hemolysis), aumento degli enzimi epatici (Elevated Liver enzime levels) e piastrinpenia (Low

Platelet count).

E’ una condizione esclusiva della gravidanza che si presenta in circa lo 0,2-0,6% dei casi66

. Le donne a rischio sono di età avanzata, di razza bianca e multipare. Si manifesta per lo più nel terzo trimestre di gravidanza con un’incidenza dell’11%: nel 69% si presenta nel periodo ante-partum e nel 31% nel post-partum (esordio tipico entro le 48 ore dal parto).

I criteri diagnostici della sindrome HELLP sono67 :

• emolisi: anomalie allo striscio periferico, bilirubina totale > 1,2 mg/dL, LDH > 600U/L;

• aumento degli enzimi epatici: AST > 70 U/L, LDH > 600 U/L; • piastrinopenia: conta piastrinica < 100.000/mm3.

L’emolisi è l’espressione di una tipica anemia microangiopatica caratterizzata da anomalie dello striscio periferico (presenza di schistociti ed echinociti), aumento della bilirubina sierica, bassi livelli di aptoglobina ed elevati livelli di LDH.

Sulla base di queste caratteristiche è possibile riconoscere diverse varianti: • EL (elevated liver enzymes)

• HEL (hemolysis and elevated liver enzymes)

(27)

• LP (low platelet count).

Considerando la severità della piastrinopenia si possono riconoscere 3 classi secondo la classificazione di Martin68 : • Classe 1: PLT < 50.000/mm3 • Classe 2: PLT tra 50.000/mm3 e 100.000/mm3 • Classe 3: PLT tra 100.000/mm3 e 150.000/mm3 .

Questa varietà di manifestazioni che vanno a interessare diversi organi e apparati, comportano problemi di diagnosi differenziale fra la sindrome HELLP e altre patologie. In particolare, deve essere sempre essere esclusa la steatosi epatica acuta della gravidanza, la porpora trombotica trombocitopenica, una riacutizzazione di Lupus Eritematoso Sistemico (LES), la sindrome uremico-emolitica e la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi.

I sintomi tipici della sindrome HELLP sono: dolore in ipocondrio destro o epigastralgia, nausea e vomito. Circa il 30-60% delle gravide riferisce cefalea e il 20% sintomi visivi. L’intensità della sintomatologia si esacerba tipicamente durante la notte. Tuttavia in molti casi possono non essere presenti sintomi specifici e ciò può portare a una diagnosi errata o tardiva69

.

La sindrome HELLP è correlata a un rischio di mortalità materna dell’1%70

e a un rischio di morbilità materna che dipende dal tipo di complicanza71

.

Le pazienti che presentano tutto il corredo diagnostico della sindrome HELLP sono più a rischio di sviluppare complicanze rispetto a quelle con una HELLP parziale o con la sola disfunzione degli enzimi epatici.

(28)

COMPLICANZE FETALI

Il ritardo di crescita intra-uterino (IUGR, Intrauterine Growth Retardation o FGR, Fetal

Growth Restriction) è una delle principali cause di morbilità e mortalità perinatale,

soprattutto se si instaura in epoche precoci di gravidanza (ovvero precedenti alle 32 settimane di età gestazionale). A parità di epoca gestazionale la mortalità nei feti con ritardo di crescita è circa dieci volte superiore rispetto a quella dei feti con normale crescita intrauterina72

. Inoltre, l’IUGR è gravato da una maggior incidenza di complicanze neonatali come: ipossiemia, acidosi, ipoglicemia, ipotermia, policitemia, iperbilirubinemia, episodi di asfissia, basso indice di Apgar, sindrome da distress respiratorio, displasia broncopolmonare, emorragia intraventricolare, enterocolite necrotizzante, convulsioni e sepsi73-74

.

La restrizione della crescita intrauterina (IUGR) è definita come una riduzione della crescita fetale rispetto al potenziale di sviluppo di un neonato. I termini IUGR e SGA (Small for Gestational Age) sono spesso considerati sinonimi nonostante vi siano sottili differenze fra i due. Viene definito SGA un neonato che presenta un peso alla nascita inferiore al 10° percentile sulla base dell’età gestazionale al parto; per cui il termine SGA non considera la crescita fetale in utero. D’altra parte, un feto considerato affetto da IUGR può presentare un peso alla nascita appropriato per l’età gestazionale ma può aver sofferto di un rallentamento della crescita intrauterina a causa di un insulto perinatale; quindi l’IUGR è una definizione clinica applicata a neonati che hanno evidenza clinica di malnutrizione. E’ importante considerare che i neonati con un peso alla nascita inferiore al 10° percentile possono essere SGA ma non IUGR e, viceversa, un neonato con un peso alla nascita superiore al 10° percentile potrebbe aver subito una restrizione della crescita intrauterina75

.

Attualmente non esiste intervento terapeutico in grado di impedire la progressione della IUGR, al di fuori del parto. Motivo per cui è di fondamentale importanza una diagnosi tempestiva, in modo tale da poter stabilire il corretto timing del parto col fine di migliorare la prognosi neonatale.

(29)

• Precoce (o early-onset IUGR) quando insorge prima della 34° settimana di età gestazionale: rappresenta una condizione severa caratterizzata da alterazioni emodinamiche a livello dell’arteria ombelicale rilevabili con il Doppler, probabilmente riconducibile ad una causa placentare.

• Tardiva (o late-onset IUGR) quando insorge dopo la 34° settimana: è una condizione più frequente e meno severa, caratterizzata da danni placentari assenti o minimi associati invece alla presenza di alterazioni emodinamiche che si manifestano con una vasodilatazione cerebrale fetale (brain sparing). Il brain sparing rappresenta l’espressione di un processo di adattamento emodinamico cerebrale che viene innescato a livello fetale in seguito a uno squilibrio tra richieste nutritive fetali e offerte materne76-77

.

L’IUGR ad esordio precoce è quindi caratterizzata da grave insufficienza placentare ed è associata alla pre-eclampsia in circa il 50-70% dei casi. Viceversa, l’IUGR tardiva è caratterizzata da minor coinvolgimento placentare e da un interessamento materno più lieve78

.

DIAGNOSI

Il timing della diagnosi di pre-eclampsia è ancora oggi legato al momento in cui compaiono i sintomi clinici e che solitamente coincide con il terzo trimestre di gravidanza. Gli sforzi della ricerca si sono orientati negli ultimi anni verso nuovi strumenti in grado di predire l’insorgenza della malattia, identificando in epoca precoce le pazienti che presentano un alto rischio di sviluppare il quadro, in modo tale da poterle indirizzare a controlli periodici dedicati.

Lo studio dal punto di vista biofisico e biochimico della funzione placentare rappresenta l’elemento di ricerca al momento più promettente. Una pulsatilità persistente aumentata (PI) nelle arterie uterine a 22-24 settimane di età gestazionale identifica la maggior parte delle pazienti a rischio di sviluppare forme di pre-eclampsia ad esordio precoce79, ma il

valore predittivo positivo del test è basso: ciò vuol dire che un numero limitato delle donne con Doppler alterato svilupperà realmente una patologia ipertensiva in gravidanza. Dal punto di vista biochimico, i markers di disfunzione endoteliale, cruciali

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nell’eziopatogenesi della pre-eclampsia, si sono rilevati in grado di potenziare la sensibilità del Doppler delle arterie uterine nell’identificare le pazienti ad alto rischio80. I livelli di sFlt-1 e sEng tendono ad aumentare prima che i sintomi della pre-eclampsia si manifestino e l’entità di questo aumento sembra correlare con la severità della patologia47; all’opposto i livelli di PlGF risultano significativamente più bassi nelle donne che svilupperanno pre-eclampsia81. Sulla base di queste osservazioni è stato proposto l’impiego del rapporto sFlt-1/PlGF per la predizione del rischio di pre-eclampsia.

La combinazione del Doppler delle arterie uterine e del rapporto sFlt-1/PlGF può contribuire a migliorare la predizione della pre-eclampsia identificando le pazienti ad alto rischio già al controllo delle 20-24 settimane e permettendo di personalizzare i controlli successivi82.

I criteri diagnostici della pre-eclampsia sono:

1. Presenza di una pressione arteriosa > 140/90 mmHg in due misurazioni successive ad almeno 6 ore di distanza.

2. Proteinuria > 300 mg/24 ore (o 30 mg/dl o più di un dispstick positivo).

Entrambe queste manifestazioni devono presentarsi dopo le 20 settimane di età gestazionale, in donne precedentemente normotese e che non presentavano proteinuria. L’esordio della malattia ad epoche gestazionali più precoci è raro ma possibile in presenza di una patologia trofoblastica31. La pre-eclampsia può presentarsi anche in donne ipertese in epoca pregravidica (pre-eclampsia sovrapposta ad ipertensione

cronica) e in questo caso la diagnosi si pone quando:

1. Si ha la comparsa di una proteinuria significativa dopo le 20 settimane di età gestazionale in gravide precedentemente affette da ipertensione cronica ma non proteinuriche.

2. Si presenta un improvviso peggioramento dell’ipertensione e della proteinuria in gravide affette da queste condizioni ancora prima dell’inizio della gravidanza. In base alla severità della presentazione, si possono distinguere due gradi di

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pre-eclampsia. La diagnosi di pre-eclampsia lieve si pone in presenza di: • valori di PAS 140-159 mmHg e PAD 90-109 mmHg,

• proteinuria 300 mg/24 ore53,

• esami ematochimici nella norma (conta piastrinica, funzionalità renale ed enzimi epatici),

• assenza di cefalea persistente, dolore epigastrico o riferito in ipocondrio destro, alterazioni neurologiche (iperreflessia a clono, segni di lato, parestesie, confusione mentale e disorientamento spazio-temporale), disturbi visivi (scotomi, visione offuscata, cecità mono- o bilaterale transitoria), oliguria, edema polmonare o segni di sovraccarico polmonare,

• assenza di ritardo di crescita fetale (IUGR)53.

La diagnosi differenziale deve escludere un quadro di ipertensione cronica lieve di origine renale che talvolta è possibile valutare solo a posteriori (dopo 12 settimane dal parto).

L’evoluzione verso quadri più gravi è tanto più frequente quanto più precoce è l’esordio della malattia, per questa ragione è necessario un adeguato follow-up della paziente.

Si pone diagnosi di pre-eclampsia severa quando una paziente pre-eclamptica presenta almeno uno dei seguenti segni e sintomi53:

• valori di PAS > 160 mmHg e PAD > 110 mmHg in due misurazioni successive ad almeno sei ore di distanza in condizioni di riposo;

• proteinuria > 5000 mg/24 ore o 3 dipstick positivi in due campioni estemporanei di urine prelevati ad almeno 4 ore di distanza (la positività al dipstick deve essere confermata con l’esame sulle urine delle 24 ore),

• oliguria (diuresi inferiore a 500 ml/24 ore o inferiore a 80 ml/4 ore),

• disturbi visivi (scotomi, visione offuscata, cecità mono- o bilaterale transitoria), • alterazioni neurologiche (cefalea intensa e persistente, iperreflessia a clono,

segni di lato, parestesie, confusione mentale e disorientamento temporale), • edema polmonare,

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• epigastralgia o dolore in ipocondrio destro, • aumento degli enzimi epatici,

• conta piastrinica < 100.000/mm3, • ritardo della crescita fetale (IUGR).

La diagnosi differenziale deve escludere quadri di nefropatia ipertensiva misconosciuti o che sono sopraggiunti durante la gravidanza. Nelle condizioni in cui sia presente dolore epigastrico o a livello dell’ipocondrio destro, è necessaria una diagnosi differenziale con una pancreatite acuta, colecistite acuta, colica biliare e steatosi epatica acuta. Invece la comparsa di sintomi neurologici o visivi richiedono l’esclusione di patologie a carico del sistema nervoso centrale o periferico e dell’occhio: queste situazioni sono molto rare83.

Nei casi in cui si presentano alterazioni dei parametri ematologici e della coagulazione (di frequente riscontro nella sindrome HELLP), devono essere escluse patologie come la porpora trombotico trombocitopenica e la sindrome emolitco-uremica.

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PREVENZIONE

Attuare una prevenzione nei confronti della pre-eclampsia significa identificare le donne a rischio: queste possono essere destinate a una sorveglianza prenatale intensiva e a interventi di tipo profilattico (prevenzione secondaria).

I principali fattori di rischio possono essere riassunti in due categorie principali: quelli pre-concezionali e quelli correlati allo stato di gravidanza84.

Tab.. 2: Fattori di rischio preconcezionali e correlati alla gravidanza per lo sviluppo di pre-eclampsia.

Preconcezionali e/o fattori di rischio cronici

Fattori di rischio correlati alla gravidanza

1) Correlati al partner

• Nulliparità / primipaternità 2) Fattori di rischio specifici materni

• Età materna < 20 anni o > 35 anni • Familiarità per pre-eclampsia • Precedente gravidanza complicata

da pre-eclampsia, HELLP, eclampsia

3) Presenza di patologie croniche: • Ipertensione cronica • Patologia renale

• Insulino-resistenza, diabete gestazionale, diabete mellito • Trombofilia o condizioni

trombotiche

• Gravidanza multipla • Mola vescicolare

• Placenta di grosse dimensioni

Fra questi, alcuni sono associati in maniera particolare a un’aumentata probabilità di sviluppare pre-eclampsia85:

• Presenza di anticorpi anti-fosfolipidi • Pregressa pre-eclampsia

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• Diabete pregravidico • Gravidanza plurima • Ipertensione preesistente

• Patologia renale preesistente alla gravidanza o proteinuria asintomatica.

In presenza di questi fattori, è necessaria una stretta sorveglianza della gravidanza, personalizzata da caso a caso.

Sebbene le cause di pre-eclampsia non siano ancora ben note, è stato dimostrato che un fattore eziologico importante per questa sindrome è rappresentato dall’insufficienza della circolazione utero-placentare dovuta al fallimento dell’invasione trofoblastica e all’insufficiente trasformazione del circolo utero-placentare in un sistema a basse resistenze, soprattutto per quanto riguarda le forme di pre-eclampsia ad esordio precoce. Con l’utilizzo del color Doppler è stata dimostrata una correlazione positiva fra le resistenze del flusso nelle arterie uterine nel secondo trimestre di gravidanza e un’ipertensione gestazionale con particolare riferimento alla pre-eclampsia: un aumento delle resistenze correla con un rischio di circa 6 volte maggiore di sviluppare pre-eclampsia, soprattutto nelle donne identificate ad alto rischio86.

Il gold standard per lo screening mediante velocimetria Doppler delle arterie uterine è a 24 settimane di età gestazionale, quando il processo di placentazione si dovrebbe essere concluso.

Profilassi farmacologica

Poiché l’eziologia della pre-eclampsia non è ancora del tutto nota e per il fatto che i test di screening valutati rimangono di incerta accuratezza, risulta difficile proporre strategie razionali per la prevenzione. Quello che viene invece attuato nella pratica clinica è una prevenzione secondaria, ovvero rallentare o bloccare l’evoluzione della patologia e terziaria, ovvero prevenire le complicanze della malattia ormai conclamata87.

Le strategie che si possono mettere in atto sono basate sulla sorveglianza prenatale, sulle modificazioni dello stile di vita e sulla terapia farmacologica.

Fra i farmaci a disposizione, uno dei pochi che ha dimostrato una discreta efficacia e quindi una riduzione statisticamente significativa dell’incidenza di pre-eclampsia nelle donne trattate, è l’Aspirina (Acido Acetil-Salicico ASA). Questo fu dedotto dallo studio

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ASPRE, in cui furono selezionate durante il primo trimestre 1776 donne ad alto rischio

di sviluppare pre-eclampsia e furono divise in due gruppi: al primo veniva somministrata una dose di 150 mg di aspirina e al secondo solo un placebo per un periodo compreso dalla 11°-14° alla 36° settimana di età gestazionale88.

L’utilizzo di basse dosi di Aspirina come prevenzione della pre-eclampsia è attualmente indicato solo nelle pazienti definite ad alto rischio (anamnesi positiva per pre-eclampsia e/o IUGR ad esordio precoce e severo, ovvero prima della 34° settimana). Il dosaggio consigliato non dovrebbe essere inferiore a 100 mg e l’epoca gestazionale ideale per l’inizio della profilassi dovrebbe essere sicuramente prima della 20° settimana, probabilmente la 12° settimana, epoca in cui l’invasione trofoblastica non è ancora completa e le modificazioni indotte dal farmaco possono ancora avvenire89.

TRATTAMENTO

Sebbene esistano più strategie di gestione per la pre-eclampsia e per i disturbi ipertensivi in gravidanza, il trattamento definitivo è sempre rappresentato dal parto e quindi dal secondamento (ovvero l’espulsione della placenta dall’organismo materno)90

. Dopo il parto, la maggior parte dei sintomi della pre-eclampsia si risolve entro giorni o settimane e la pressione arteriosa materna torna nei valori normali entro un massimo di 3 mesi. Tuttavia, il parto pretermine correla con un maggior rischio di morbilità sia per la madre che per il feto91

e ciò rende difficile decidere in quali casi sia preferibile il parto rispetto a una management di attesa.

E’ raccomandabile mantenere un regime di attesa nei casi di pre-eclampsia diagnosticata prima delle 34 settimane di gestazione col fine di ridurre i rischi derivabili dalla prematurità. Ciò comporta un’attenta osservazione fino a quando non si verifica un’importante compromissione materna e/o fetale92. Non è trascurabile il fatto che questo regime di attesa possa esporre la madre al rischio di sviluppare un’ipertensione non controllabile, trombocitopenia, insufficienza epatica e renale, edema polmonare e complicanze visive e cerebrali ed inoltre aumenta il rischio di distacco di placenta, restrizione della crescita fetale e mortalità natale93

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I principali trigger al parto in condizioni di pre-eclampsia sono un’età gestazionale di 37 settimane o di più (ovvero quando si è raggiunto il limite entro il quale non si tratta più di parto pre-termine), un deterioramento delle condizioni materne (come un’ipertensione non controllabile, gravi sintomi materni persistenti o esami di laboratorio che indicano una perdita della funzionalità d’organo) o segni di compromissione fetale94. Non è ben nota la frequenza di ogni singola indicazione (poiché spesso sono presenti più condizioni che portano a decidere di procedere con il parto), inoltre molti studi si concentrano sulle forme precoci di pre-eclampsia in cui il parto avviene prima delle 34 settimane di età gestazionale a causa dell’alto tasso di complicanze materne e fetali94-95.

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VELOCIMETRIA DOPPLER IN GRAVIDANZA

L’effetto Doppler è legato alla variazione di frequenza che un’onda sonora presenta quando incontra particelle in movimento. Lo studio del distretto vascolare rappresenta l’applicazione prevalente dell’effetto Doppler e in tal caso le particelle in movimento che generano la variazione di frequenza sono gli eritrociti all’interno dei vasi che si muovono con un flusso variabilmente di tipo laminare, continuo o turbolento.

VELOCIMETRIA DOPPLER SULLE ARTERIE UTERINE

Nel momento in cui si verifica l’impianto dell’embrione, la decidua rappresenta un distretto sostanzialmente avascolare96. Non si ha nessun contatto vascolare diretto con lo spazio intervilloso, l’embrione trae il proprio nutrimento principalmente dalle ghiandole endometriali. In questo periodo, il citotrofoblasto prolifera diffusamente causando l’occlusione delle arterie spirali e così facendo impedisce la perfusione intervillosa97. Intorno alle 8-10 settimane di età gestazionale, questo processo viene meno grazie al rimodellamento che si verifica a livello dei vasi materni e che permette la perfusione dello spazio intervilloso.

Questo processo di trasformazione interessa le arterie spirali materne che irrorano il sito placentare. In particolare, aumentano di circa 5-8 volte il loro diametro luminale terminale grazie a cambiamenti a carico della loro parete vascolare con perdita delle componenti muscolari ed elastiche (assumono caratteristiche strutturali simili a quelle di un vaso venoso). Questo rimodellamento normalmente si estende in profondità fino a un terzo del miometrio: è importante che questo processo si propaghi fino a questo livello poiché fra decidua e miometrio è presente un segmento di muscolatura liscia con funzione “sfinteriale”98. Al di fuori della gravidanza, nel corso del ciclo mestruale, questa porzione ha lo scopo di contrarsi per determinare un’interruzione del sanguinamento. Se si ha un’adeguata invasione trofoblastica, l’azione di questo tratto viene perso, insieme a una mancata risposta vasocostrittoria a stimoli ormonali e nervosi. Tutti questi cambiamenti hanno lo scopo e la finalità di creare un ambiente vascolare ad alta portata, a basse resistenze e a bassa velocità di perfusione.

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Il principale ruolo del rimodellamento delle arterie spirali non è tanto quello di aumentare la perfusione dello spazio intervilloso (la dilatazione dei vasi è limitata alla porzione terminale dei vasi, per cui si verifica un aumento del flusso ma non in maniera così importante). Il vero scopo di questi processi è quello di ridurre le velocità di perfusione dello spazio intervilloso: l’aumento del flusso ematico uterino in gravidanza può arrivare a circa 1-2 m/s ma grazie alla dilatazione terminale delle arterie spirali si arriva a 10 cm/s. E’ molto importante che si verifichi questa riduzione di velocità al fine di proteggere i delicati villi placentare e facilitare la diffusione dell’ossigeno99.

Mediante l’utilizzo della velocimetria Doppler è possibile ottenere un’evidenza di questo processo di trasformazione fisiologica poiché si associa a variazioni della resistenza misurabile nel distretto vascolare uterino. Infatti, nel primo trimestre di gravidanza, è stato possibile dimostrare un’associazione inversa tra indici di resistenza delle arterie uterine ed estensione dell’invasione trofoblastica endovascolare100.

Gli indici Doppler più utilizzati sono il Resistance Index (RI) e il Pulsatility Index (PI) medio delle due arterie uterine. Questi parametri rappresentano la resistenza a livello della circolazione utero-placentare che viene trasmessa a monte delle arterie uterine. Per il PI, il valore medio è preferibile in quanto, in caso di placenta laterale, l’arteria uterina controlaterale mostra comunemente resistenze aumentate.

Il notching è una caratteristica dell’onda Doppler dell’arteria uterina in corso del primo trimestre di gravidanza (presente nel 46-64% delle gravidanze fisiologiche). Intorno alla 20° settimana di età gestazionale, la presenza del notch diastolico è stato correlato a una caduta di almeno 50 cm/s dalla massima velocità diastolica101. Fisiologicamente questa incisura è presente nel primo trimestre: rappresenta l’espressione dell’incompleta invasione trofoblastica a livello delle arterie spirali che in questa età gestazionale può non essersi ancora completata.

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Fig. 2: Velocimetria Doppler delle arterie uterine in una gravidanza fisiologica.

Fig 3: Velocimetria Doppler delle arterie uterine in una gravidanza complicata con pre-eclampsia.

Velocimetria Doppler sulle arterie uterine nel primo trimestre

Un difetto di placentazione associato a un’anormale velocità del flusso sanguigno e a un’alta resistenza dei vasi placentari, è associata a un maggior rischio di sviluppare pre-eclampsia e restrizione della crescita intra-uterina (IUGR). L’utilizzo del Doppler delle arterie uterine rappresenta un metodo non invasivo che può rilevare tali anomalie. Le basse velocità diastoliche e il notch diastolico precoce caratterizzano la forma dell’onda del flusso sanguigno nelle arterie uterine nelle donne che non sono in gravidanza o che sono nel loro primo trimestre. La persistenza del notch diastolico oltre la 24° settimana di età gestazionale o rapporti di velocità del flusso anomalo sono stati invece associati a un’invasione trofoblastica inadeguata e quindi a una placentazione anomala102.

Una previsione accurata della pre-eclampsia e della IUGR è fondamentale per permettere un adeguato monitoraggio e trattamento preventivo col fine di migliorare l’outcome materno e perinatale103-104.

La valutazione Doppler dell’impedenza dell’arteria uterina può essere eseguita tra le 11 e le 13 + 6 settimane di età gestazionale tramite un approccio vaginale o trans-addominale (metodica preferita in quanto meno invasiva e con una buona riproducibilità). I valori di PI e RI ricavati mediante lo studio della velocimetria Doppler delle arterie uterine, fisiologicamente, diminuiscono all’aumentare dell’età gestazionale: rappresenta l’espressione della riduzione dell’impedenza nei vasi uterini a seguito dell’invasione trofoblastica105.

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