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La città del Terrestre. L’architettura come fonte di innovazione del conflitto locale/globale

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Academic year: 2021

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Atti della conferenza internazionale

a cura di Michele Talia

LA CITTÀ

CONTEMPORANEA:

UN GIGANTE DAI

PIEDI D’ARGILLA

XVI EDIZIONE URBANPROMO "PROGETTI PER IL PAESE"

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Seconda edizione riveduta e corretta giugno 2020 Edizione prestampa novembre 2019 Staff editoriale: Laura Infante, Cecilia Saibene Pubblicazione disponibile su www.planum.net

ISBN 9788899237226 © Copyright 2020

Planum Publisher www.planum.net Roma-Milano All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted in any form or by any means, electronic mechanical, photocopying, recording or other wise, without the prior written permission of the Publisher ©

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XVI EDIZIONE URBANPROMO "PROGETTI PER IL PAESE"

TORINO, NUVOLA LAVAZZA, 15 NOVEMBRE 2019

Atti della conferenza internazionale

a cura di Michele Talia

LA CITTÀ

CONTEMPORANEA:

UN GIGANTE DAI

PIEDI D’ARGILLA

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CREDITI

LA CITTÀ CONTEMPORANEA: UN GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA

Atti della Conferenza internazionale, XVI edizione Urbanpromo "Progetti per il Paese"

COMITATO SCIENTIFICO

Michele Talia (Presidente) | Angela Barbanente | Carlo Alberto Barbieri | Giuseppe De Luca Patrizia Gabellini | Carlo Gasparrini | Paolo La Greca | Roberto Mascarucci Francesco Domenico Moccia | Federico Oliva | Pierluigi Properzi | Francesco Rossi Iginio Rossi | Stefano Stanghellini | Silvia Viviani

COORDINAMENTO TECNICO SCIENTIFICO

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INDICE

INTRODUZIONE

Michele Talia p. 9

CONTRIBUTI

Percorsi di resilienza in Italia e Spagna. Fenomeni insediativi contemporanei e nuovi modelli di mobilità

Chiara Amato, Mario Cerasoli, José Maria de Ureña, Chiara Ravagnan 15 Da una 'quinta urbana' statica ad un ambito collettivo dinamico: la trasformazione di uno spazio urbano

Roberta Angelini 22

La pianificazione urbanistica nella Città Metropolitana di Napoli come strategia di adattamento ai cambiamenti climatici: due esperienze

Antonia Arena 30

Quale rigenerazione?

Francesca Assennato, Michele Munafò 35 Re(in)cludo. Il carcere come luogo di

accoglienza nella città

Antonella Barbato 41

Quali strumenti per l’uso sostenibile del suolo? Un’indagine tipologica nel contesto europeo

Erblin Berisha, Donato Casavola, Giancarlo Cotella, Umberto Janin Rivolin, Alys Solly 47 Is the decolonial approach in spatial planning

studies an irreconcilable conflict or an opportunity for Western academics?

Francesca Blanc, Antonio di Campli, Andrea Mora, Maurizio Pioletti 55 La ricerca dell’effetto urbano

Antonio Bocca

Infrastrutture verdi e blu: l’approccio

transcalare del progetto europeo LOS_DAMA! Sarah Braccio, Federica Marchetti, Maria

Riuso, co-living e nuove pratiche urbane Francesca Calace, Giuseppe Resta

The rearticulation of urban processes within China’s HSR small cities: empirical observations through data-informed diachronic maps

62

Quarta 67

Campagna e città: un dualismo da ritrovare per rigenerare gli ambienti urbani e far fronte all’emergenza alimentare

Giovanni Bruschi, Daniele Amadio 72 77 Percorsi urbanistici innovativi e condivisi per città che si adattano al Climate Change Chiara Camaioni, Rosalba D’Onofrio 85 Autorganizzazione comunitaria, produzione dei beni comuni e rigenerazione della democrazia

Giuseppe Caridi 91

Francesco Carota , Valeria Federighi, Matteo

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Verso un paradigma qualitativo per affrontare consumo di suolo e vocazioni funzionali nella Città Metropolitana di Torino

Dall’occupazione abusiva alla legittimazione a fini abitativi. Il caso de la Salette a Torino

La riforma portuale e le innovazioni nella pianificazione: il caso di Bari

Serena D’Amora, Alessandra Saponieri, Francesco Di Leverano, Anna Maria

Curcuruto

Piani di Mitigazione e di Adattamento congiunti per affrontare il cambiamento climatico sulla costa adriatica: Il progetto Joint_SECAP

Smart City e Smart People: dalla realtà urbana alla realtà mista

Michele De Chiaro, Gabriele Garnero Una urbanistica sperimentale per una società post-urbana

Donato Di Ludovico, Pierluigi Properzi A GIS analysis reconstructing the

regeneration programme of the Liberta neighbourhood of Bari

Gabriele Di Palma

Una partenza in salita. I primi cinque anni della Città metropolitana di Torino

Gianfranco Fiora, Carolina Giaimo

Indirizzi interpretativi e progettuali fondati su un’ontologia delle relazioni per creare

La città del Terrestre. L’architettura come fonte di innovazione del conflitto locale/ globale

Francesco Casalbordino 114 Prospettive di riorganizzazione del

commercio (modi, luoghi e tempi del consumo) come possibili fattori di

rivalutazione delle aree centrali delle “piccole metropoli”

Aldo Cilli 119

The cycle network as a soil project for urban resilience

Antonio Alberto Clemente 126

Federica Corrado, Luca Lazzarini, Giulio Gabriele Pantaloni, Carolina Giaimo 134

Valeria Cottino, Veronica Gai, Annalisa

Mosetto, Maurizio Pioletti, Paola Sacco 143 Rigenerazione urbana e città pubblica. Il Contributo Straordinario di Urbanizzazione nelle leggi regionali

Francesco Crupi 151

157

Rosalba D’Onofrio, Stefano Magaudda, Stefano Mugnoz, Elio Trusiani 169 Nuove tecnologie per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici, promuovere la salute urbana, la coesione sociale e l'equità

Rosalba D’Onofrio, Elio Trusiani 176

182

189

196 Service Design. Un servizio per la comunità Francesca Filippi, Elisabetta Benelli 205

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Le azioni di depaving dei suoli urbani per una nuova multifunzionalità degli spazi sottoutilizzati

Emanuele Garda

Le sfide contemporanee nella nuova pianificazione territoriale della Città metropolitana di Torino

Gli Investimenti Territoriali Integrati in ambito urbano. L’esperienza della Sardegna

Processi innovativi per l’adattamento delle

La Città metropolitana di Torino e la sua dimensione metropolitana: una questione aperta

Sviluppo sostenibile per la Città Metropolitana di Reggio Calabria. Hub metropolitani-cerniere territoriali

Domenico Passarelli, Federica Suraci, Francesco Suraci

reti di città e di infrastrutture sostenibili, alternative alle concentrazioni ipertrofiche delle agglomerazioni urbane contemporanee Marco Fregatti 216

225 Le centralità urbane come strumento di ri- composizione di Bellaria Igea Marina

Cristian Gori 232

Stefania Grasso, Irene Mortari, Giannicola

Marengo 238

Walking like needles in the city. Sewing new activities

Tiziano Innocenzi 244 S.O.S. Catania: Soluzioni Occasionali per Senzatetto a Catania. Strategie e soluzioni volte a migliorare la qualità della vita dei senzatetto in ambito urbano a Catania Gaetano Giovanni Daniele Manuele 248

Gavino Mariotti, Maria Veronica Camerada, Salvatore Lampreu 257

città ai cambiamenti climatici: computational masterplanning

Lorenzo Massimiano, Andrea Galli 263

Irene Mortari, Giannicola Marengo, Stefania

Grasso 268

La riconversione dell’ex area industriale di Crotone. Verso una pianificazione integrata e sostenibile

Domenico Passarelli 275

280 Il recupero delle cave dismesse: da vuoti di paesaggio a spazi di aggregazione

Elena Paudice 284 La sfida del consumo di suolo a saldo zero: le azioni di rigenerazione urbana delle regioni italiane

Piera Pellegrino 290 From unplanned to planned urban

settlements. Housing solutions for

environmentally-friendly cities in developing countries

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Il ‘Mio Capitale Verde’: investire in conoscenza e nell’ambiente

Veronica Polin, Lisa Lanzoni Il benessere attraverso/a la città

Chiara Pompei

Are privately owned public spaces effective design and planning tools that can favour the creation of healthy, public spaces in contemporary cities? Notes from an empirical study in New York.

Spazio pubblico e rigenerazione urbana. Gli strumenti operativi per un nuovo welfare

Rigenerazione urbana e riequilibrio territoriale. Per una politica integrata di programmazione e di produzione di servizi

La componente turismo e loisir nei processi

di urbanizzazione delle aree costiere metropolitane. Roma, la permanente oscillazione tra mare e territorio interno

Saverio Santangelo, Maria Teresa Cutrì, Nicole del Re

Le ‘figure alpino-metropolitane’ Roberto Sega

Salubrità degli ambienti urbani mediterranei. Strategie progettuali bioclimatiche ed energie rinnovabili

INDICE DEGLI AUTORI

414 Ferdinando Verardi, Domenico Passarelli, Ivana Carbone 407 Il ruolo delle green infrastructure nella

costruzione di strategie adattive resilienti Irene Poli, Silvia Uras 310

318 326 La sfida del cambiamento climatico come opportunità per rafforzare la resilienza delle città in cammino verso la sostenibilità. Strategie, strumenti, sperimentazioni

Gabriella Pultrone 332

Antonella Radicchi 340

Laura Ricci, Francesco Crupi, Iacomoni

Andrea 347

Laura Ricci, Francesca Rossi, Giulia

Bevilacqua 354

361 Trenta città medie: nuove categorie di interpretazione della conurbazione di Rimini Scarale Annalisa 367

372 Forme urbane che cambiano: la urban

network analysis come strumento per rintracciare nuove tecniche di pianificazione spaziale

Maria Somma 384

Promuovere il Transit Oriented Development in Italia: il ruolo della pianificazione di livello metropolitano

Luca Staricco, Elisabetta Vitale Brovarone 390 La valorizzazione dell’antica Kroton mediante la programmazione strategica. Interventi integrati e nuova governance

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La città del Terrestre. L’architettura come fonte di innovazione del

conflitto locale/globale

Francesco Casalbordino

Università degli Studi di Napoli “Federico II” DiARC – Dipartimento di Architettura

Email: francesco.casalbordino@unina.it

Abstract

La globalizzazione è un fenomeno che definisce una “cultura globale” che investe e modifica i campi della vita umana, tra cui le città e gli spazi dell’abitare. Sebbene questa si riconosca spesso come la causa di una generale omologazione che produce una perdita d’identità dei luoghi e una loro fragilità, numerosi studi presentano una visione differente. Tra questi si colloca l’identificazione delle cosiddette “città globali”, un fenomeno che si può intendere come localizzazione dei processi universali della globalizzazione. In tal senso, non sembra ancora essersi verificata una totale riduzione della varietà che abita il mondo, né sembra essere possibile una tale condizione in futuro. Anzi, questo discusso fenomeno ha aperto nuove possibilità di accrescimento della ricchezza culturale delle diverse località del mondo. In tal senso, Bauman propone il termine “glocalizzazione”, capace di superare l’opposizione tra l’universalità tecnico-economica e la località propria della politica e dell’identità. Infine, Latour superando la dicotomia globale/locale, presenta un nuovo attrattore, il “Terrestre”. L’insieme di queste teorie denuncia la necessità di considerare una società basata sulle comunità locali e sulla loro interazione, nonostante questa si realizzi in territori sempre meno nazionali. Lo studio indaga i modi in cui la globalizzazione influenza l’abitare rispetto agli spazi che cambiano e si adattano a nuove esigenze sociali, economiche e culturali. L’architettura può diventare una fonte di innovazione in quanto portatrice di valori sia locali che globali, tendendo sempre più verso quel nuovo attrattore che è il “Terrestre”.

Parole chiave: globalization, architecture, city-regions 1 | Verso il Terrestre

La globalizzazione è un complesso fenomeno politico, sociale e spaziale che, a partire dall’era post-1989, contribuisce alla definizione di una cultura globale (Steger, 2017). Se «una cultura nasce e si sviluppa sempre in una certa area […], in una prossimità e in un contesto» (Jullien, 2018: 46), la cultura globale mette in crisi questa caratteristica di località (King, 2004) essendo un concetto trasversale a luoghi differenti e, soprattutto, ai diversi campi della vita umana. Questa condizione definisce la dicotomia globale/locale. Andando oltre questa opposizione, Bruno Latour propone un nuovo attrattore: il Terrestre. Secondo il filosofo francese, infatti, «bisognerebbe essere capaci di [...] rimanere attaccati a un suolo da un lato; globalizzarsi dall’altro» (2018: 20). In linea con il pensiero filosofico di Peter Sloterdijk (2015), Latour sostiene l’idea che, attraverso la globalizzazione, il «passare dal punto di vista locale al punto di vista globale o mondiale dovrebbe significare che si moltiplicano i punti di vista, che si registra un grandissimo numero di varietà, che si considera un maggior numero di esseri, culture, fenomeni, organismi e popolazioni» (Latour, 2018: 21). Non si tratta di avere un’unica visione, ma di mettere in campo la varietà che abita il pianeta e lavorare con essa rispetto alla contingenza. Un’idea globale, del mondo come unità, che non è sintomo di un atteggiamento riduzionistico e neppure olistico quanto, piuttosto, di una moltiplicazione dei punti di vista al fine di complicarli per mezzo di nuove varianti, distinguendo in questo modo tra «mondializzazione-plurale e mondializzazione-univoca» (Latour, 2018: 22).

Processi volti alla costruzione di una mondializzazione sono sempre esistiti. Le differenze sostanziali rispetto alla situazione attuale sono le modalità e la scala del fenomeno (Appadurai, 2005). La cultura globale apporta una moltitudine di cambiamenti alla vita umana ad una velocità tale da costituire un’eccezionalità nella storia. Questo cambiamento continuo è divenuto una condizione cronicizzata. Si assiste a un’intensificazione dello scambio tra flussi culturali che si muovono nel mondo e che descrivono delle specifiche dinamiche. Anthony King (2004) spiega che i moti compiuti dai flussi culturali possono essere talvolta centrifughi e altre centripeti. Nel primo caso, «influenze e pratiche culturali derivanti, inizialmente e storicamente, da un luogo o una regione specifica, si ritrovano in molte parti del mondo, indigenizzate e tradotte» (2004: 31). Per i moti centripeti, invece, flussi di «forme e pratiche culturali da molte parti del mondo, sebbene inevitabilmente trasformate, indigenizzate e adattate alla località, si manifestano in uno o più luoghi. L’esempio ovvio è rappresentato dalle cosiddette città globali» (2004: 29), in cui i processi universali della

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globalizzazione si localizzano. Infatti, l’esistenza di una condizione locale all’interno dei processi globali connota ancora le megalopoli del mondo consentendone una differenziazione. Saskia Sassen dedica un capitolo del suo volume Le città nell’economia globale all’analisi dell’intersezione tra processi globali e luoghi in cui l’obiettivo principale è proprio «restituire il significato del luogo e della molteplicità dei diversi gruppi sociali nel costituirsi della globalizzazione» (Sassen, 2010: 217), in opposizione alla convinzione dominante che induce a ritenere che il luogo non abbia più importanza. D’altra parte, anche le teorie recenti sostengono fortemente l’idea che la globalizzazione sia «un processo disuguale, ossia le persone che vivono in diverse parti del mondo sono influenzate in maniera molto differente da questa enorme trasformazione delle strutture sociali e delle zone culturali» (Steger, 2017: 13). Già nel 1917, Franz Rosenzweig affermava «non ancora dimora l’umanità in un’unica casa» (2007: 112). In altre parole, non sembrava ancora essersi verificata una totale riduzione della varietà che abita il mondo, così come sembra impossibile una tale condizione oggi o in futuro. Piuttosto, si può osservare come ci siano nuove possibilità di accrescimento della ricchezza culturale delle diverse località del mondo, innescando un processo d’ibridazione che Jan Nederveen Pieterse definisce mélange globale (2003). «Si tratta di [...] guardare la globalizzazione non in termini di omogeneizzazione, o di modernizzazione/occidentalizzazione» (Nederveen Pieterse, 2003: 81). In tal senso, Zygmunt Bauman propone il termine glocalizzazione (2005), che rappresenta quei valori capaci di superare l’opposizione tra l’universalità tecnico-economica e la località propria della politica e dell’identità. Nell’ambito delle politiche urbane e territoriali, Alberto Magnaghi individua proprio il progetto locale come risposta «alla sfida della globalizzazione economica neoliberista e alla crisi epocale che ne è conseguita; e per superare [...] da una parte la resistenza autoescludente di comunità locali che difendono la propria identità attraverso la chiusura [...]; dall’altra la corsa competitiva dei sistemi locali e delle città che sfruttano, snaturano, esauriscono il proprio patrimonio territoriale e umano nell’ansia di posizionarsi verso l’alto» (2010: 294).

2 | Globalizzazione omologante

Negli ultimi trent’anni, l’aspirazione a una cultura globale in campo architettonico e urbano ha costruito un una realtà apparentemente informata da principi di omologazione e uniformazione. Agli albori del XXI secolo, la globalizzazione si presentava come un processo che fatalmente avrebbe portato a una generale omogeneizzazione culturale, annullando le varietà che abitano il mondo, manifestandosi attraverso quella che oggi riconosciamo come una «prospettiva di urbanizzazione destinata ad abbracciare il pianeta, perdendo il senso sia della città che del globo. Un mondo come immensa città» (Perulli, 2009: 4). Il processo di urbanizzazione del mondo porta i centri urbani a estendersi per partecipare alla vita economico-culturale del pianeta e contemporaneamente a dislocarsi lungo il sistema di infrastrutture che li collega, per cui «non è più possibile pensare alle grandi città senza considerare la loro rete di aeroporti, stazioni ferroviarie e autostazioni; in molti casi, essa fa strutturalmente parte della loro organizzazione interna» (Augé, 2007: 7). Lungo tali collegamenti emergono le contraddizioni provocate da questo sistema. «L’urbanizzazione del mondo consiste al tempo stesso nell’estensione del tessuto urbano lungo le coste e i fiumi e nell’infinita crescita delle megalopoli, ancora più rilevante e cospicua nel terzo mondo. È questo fenomeno la verità sociologica e geografica di quella che chiamiamo mondializzazione o globalizzazione, ed è una verità infinitamente più complessa dell’immagine della globalità senza frontier» (Augé, 2007: 13).

I risultati di questi processi sono visibili nella città-generica (Koolhaas, 2006), nella città senza agglomerazione (Fortier, 1993), nello sprawl che fagocita terreno e risorse – fisiche e sociali. Analogamente, l’architettura delle grandi firme internazionali, della spettacolarizzazione dell’immagine e della standardizzazione industriale sembra essere il modello di riferimento per portare a compimento quel disegno di omologazione proprio della città del XXI secolo. Si tratta di un’architettura che ha perso la capacità di costruire luoghi da abitare attraverso il progetto dello spazio, incapace di costruire relazioni tra uomo e contesto; un fenomeno che Hans Ibelings (2001) definisce Supermodernismo, erede sia dell’International Style che del postmodernismo dello scorso secolo. È anche vero che questa condizione trova le sue fondamenta nella carta di Atene redatta dal Ciam nel 1933. Come spiega Richard Sennett «i membri erano alla ricerca di progetti generici per la città funzionale. [...] Sostenevano che gli urbanisti non dovevano focalizzarsi sulle diverse caratteristiche della Parigi, Istanbul o Pechino moderne. La Carta è modernista nel dichiarare che [...] in futuro, Parigi, Istanbul o Pechino sarebbero state sempre più simili, con la tendenza a convergere in un’unica forma. Oggi infatti queste città sono davvero omologate. La Carta si è rivelata profetica» (2018: 94). Le città sono apparentemente sempre meno legate a un contesto geografico specifico, appartengono al mondo. In questo senso, le città globali «sono luoghi strategici per la gestione dell’economia globale, la produzione dei servizi avanzati e lo svolgimento delle operazioni finanziarie; sono anche i luoghi chiave per

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l’insediamento delle strutture che provvedono ai servizi avanzati e alle telecomunicazioni, due fattori indispensabili per la gestione delle attività economiche globali» (Sassen, 2010: 48). Queste città sono sempre più degli attori economici e come tali vengono indagate negli studi scientifici più recenti. Il modo in cui l’uomo abita lo spazio, la forma della città, le sue caratteristiche fisiche e spaziali, passa in secondo piano. In questo senso, Saskia Sassen pone l’attenzione sulla mancanza di studi a riguardo affermando che «ignorare la dimensione spaziale e il sottolineare a dismisura quella dell’informazione hanno contribuito a distorcere il ruolo svolto dalle grandi città nell’attuale fase della globalizzazione economica. [...] Un modo per affrontare la questione del dove inizia e dove finisce la realtà globale in un ambiente di tale spessore consiste nel concentrarsi sui dettagli delle forme e dei contenuti della globalizzazione, invece di assumere che essa sia fatta di imprese e professionisti globali» (Sassen, 2010: 16). Le città globali sono dunque espressioni locali e particolari dei processi di trasformazione legati alla globalizzazione che, però, incidono sugli spazi e le persone in maniera analoga anche in altri luoghi del mondo.

3 | L’architettura come fonte di innovazione: la via del dialogo

La considerazione espressa da Saskia Sassen offre l’occasione per riflettere sulla possibilità di riconoscere processi volti al superamento dell’opposizione globale/locale nel campo dell’architettura, non solo nelle città globali ma nelle pratiche progettuali in generale. Infatti, «gli architetti dovrebbero quanto meno affrontare l’idea che l’era dei network globali che abbracciano tutti i campi è proprio l’era della molteplicità di identità e differenze, della molteplicità delle nazioni, delle nature, delle psicologie e delle biologie» (Wigley, 1996: 33). Si tratta di individuare una via possibile e alternativa alla risposta reazionaria che vede nel ritorno dei confini e delle divisioni territoriali – dell’architettura tradizionalista – una replica alla deriva globalista. Si introduce il pensiero filosofico di François Jullien (2018), secondo cui questa alternativa si dovrebbe concretizzare attraverso un dialogo tra culture. Nel caso della città e dell’architettura, non si fa riferimento esclusivamente alla cultura come l’insieme dei distinti aspetti presenti nella società o in diversi gruppi sociali che, provenendo da territori diversi interagiscono poi nello spazio fisico della città, ma anche a una generica cultura locale che si incontra con istanze di modernizzazione promosse dalla globalizzazione. Il dialogo si rende necessario proprio perché l’uniformazione e l’assimilazione, i due modi con cui l’uomo ha gestito finora questa diversità culturale, si sono rivelati inadeguati a interpretare la complessità della società contemporanea, non più definita dalle opposizioni globale/locale e universale/particolare. La soluzione alternativa proposta da Jullien è il passaggio lessicale e di significato da differenza a scarto e da identità a risorsa. In sintesi, mentre la differenza è legata all’identità nella misura in cui presuppone un genere comune tra termini simili, lo scarto, invece, in quanto confronto attivo tra due termini, ci porta a uscire dalla prospettiva identitaria: definisce delle risorse attraverso una riflessione, cioè il confronto con l’altro. Così, «se oggi come oggi costatiamo che, sotto il rullo compressore dell’uniformazione mondiale portata dalla legge del mercato, le differenze culturali tendono ad appiattirsi e a sfumare, riducendo così la cultura mondiale a un sempiterno facsimile, per resistere è necessario aprire immediatamente nuovi scarti» (Jullien, 2018: 62). L’idea di cultura proposta da Jullien è quella di un processo basato sulla trasformazione continua e non sulla diversificazione a partire da un’unità originaria. Il dialogo tra culture si configura come una via capace di costituire un comune logico dell’umanità da ricercare nelle condizioni che rendono possibile un discorso sensato: le regole del linguaggio. Egli propone la traduzione come mezzo per mettere in comunicazione le parti giacché il «dialogo può svolgersi soltanto nella lingua di entrambi, ovvero tra queste lingue […]. La traduzione dev’essere la lingua del mondo. Il mondo a venire deve situarsi tra-le-lingue: non dovrà essere una lingua dominante, qualunque essa sia, ma una traduzione che attiva le risorse delle lingue mettendole in rapporto tra loro» (Jullien, 2018: 82).

Questa visione risolve uno dei problemi principali della globalizzazione: il fare ricorso a un’unica lingua, l’inglese globish, una riduzione semplicistica per un incontro proficuo tra culture. Questo comune non mette in azione, non attiva le risorse proprie di ogni cultura. Anche in architettura si ricorre a un linguaggio globish che mette in secondo piano le caratteristiche dei luoghi. Secondo Rem Koolhaas si assisterebbe, così, alla costruzione di una nuova Babele. Infatti, «la globalizzazione […] modifica radicalmente il discorso architettonico, che ora si configura come una relazione non facile tra l’ignoto regionale e il conosciuto internazionale. […] Questa “Babele: Il Ritorno” contiene la promessa di un nuovo sistema architettonico; determina episodi di un’impresa globale: un progetto infrastrutturale per cambiare il mondo, il cui scopo è il montaggio del massimo delle possibilità riunite da qualunque punto, sollevate da qualsiasi contesto, rubato da qualunque ideologia» (Koolhaas, 1993: 367). I greci utilizzavano il termine ecumene per indicare la totalità

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del mondo conosciuto e abitato, letteralmente «la casa dove tutti viviamo»1. È innegabile che questa casa sia

andata sempre più restringendosi, sollevando il progetto di architettura da qualunque contesto se non quello mondiale, parafrasando proprio quanto affermato da Koolhaas. Tuttavia, come sostengono le teorie presentate in precedenza, il nostro tempo è caratterizzato dalla necessità di considerare una società basata sulle comunità locali e sulla loro interazione (nonostante questa si realizzi in territori sempre meno nazionali) e su un’architettura che rimetta in gioco le caratteristiche dei luoghi seppur all’interno di un contesto globale. In altre parole, si ricercano proprio nell’ecumene spazi di azione, ma soprattutto d’interazione tra le diverse culture che concretizzano nelle forme del costruito questa nuova condizione che è il Terrestre.

Si fa riferimento alla ricerca condotta da Liane Lefaivre e Alexander Tzonis i quali, fin dalla pubblicazione del saggio The Grid and the Pathway nel 1981, presentano il concetto di Regionalismo Critico come un modo per guardare all’architettura nell’età della globalizzazione, proponendo l’idea «di un regionale indissociabile dall’universale o dal globale [...] perché il problema del regionalismo è come vivere in un mondo in cui esistono interessi particolari senza smettere di sostenere l’umanità nel suo insieme» (Lefaivre, Tzonis, 2003: 35). L’esperienza del Regionalismo Critico si sviluppa negli anni ’80 grazie, soprattutto, a Kenneth Frampton il quale lo rende un vessillo contro la tabula-rasa operata dalla deriva dell’avanguardia modernista (Frampton, 1984). Successivamente, Tzonis e Lefaivre rinnovano questa teoria con l’avvento del XXI secolo partendo dalla considerazione che il Regionalismo Critico «si oppone all’adottare dei dogmi narcisistici in nome dell’universalità, che portano ad ambienti economicamente costosi ed ecologicamente distruttivi per la comunità umana. Ciò che si indica come approccio regionalista critico alla progettazione e all’architettura dell’identità riconosce il valore del singolare, circoscrive i progetti all’interno dei vincoli fisici, sociali e culturali del particolare, ambendo a sostenere la diversità e al tempo stesso traendo benefici dall’universale» (Lefaivre, Tzonis, 2003: 20). Questo principio generale permette di rintracciarne altri particolari che guidano la progettazione di architetture che si collocano all’interno di questo nuovo contesto culturale Terrestre. Tra questi, sicuramente si pone l’attenzione al Nuovo Regime Climatico di cui parla Bruno Latour (2018), che si esplica attraverso una progettazione coerente con il luogo e con l’idea di garantire alle architetture stesse una capacità intrinseca di adattabilità al cambiamento. In questo senso l’apporto tecnologico è essenziale, anche nel campo dell’uso dei materiali laddove questo approccio Regionalista «non si occupa di usare il materiale locale maggiormente disponibile, o di copiare alcune forme costruttive che usavano i nostri antenati» (Lefaivre, Tzonis, 2003: 36). L’idea di progresso muove questi ragionamenti dialettici tra locale e globale, esplicandosi anche nella ricerca di un’ibridazione tipologica degli spazi e nella necessità di costruire edifici a partire da un’estensione dell’orizzonte progettuale alla scala paesaggistica, ponendo l’attenzione sulla topografia dei luoghi – sulla possibile costruzione di relazioni e di dialoghi – piuttosto che sulla tipologia del singolo edificio.

La rinnovata attenzione al luogo e alla sua relazione con il contesto globale, rende necessario il riferimento all’abitare in quanto azione volta all’appropriazione dello spazio. Fare luogo, infatti, è proprio lo scopo ultimo dell’abitare. In questo modo, andando oltre i problemi di linguaggio e riconoscendo un significato formale che deriva dai modi di abitare i luoghi, l’architettura recupera un ruolo all’interno delle dinamiche di trasformazione dovute alla globalizzazione. Tuttavia, si pone una questione per il progetto nella misura in cui anche l’abitare non è indifferente alle stesse dinamiche. L’uomo contemporaneo trova i suoi riferimenti in un immaginario collettivo, la cui estensione comprende la cultura globale nel suo complesso, che viene costantemente indigenizzato e tradotto. Egli è un individuo globale eppure fortemente legato alle contingenze dei luoghi: in questo modo esiste nel mondo e, di conseguenza, lo abita. Questa condizione è alla base di pratiche progettuali i cui principi sono efficacemente riassunti nel manifesto degli architetti argentini adamo-faiden sul Constructor Contemporáneo, una figura che «possiede un modo di pensare che non si pone come un rifiuto di altre concezioni; egli le attraversa singolarmente, le adotta per costruire una conversazione particolare, fino a fare luce su un nuovo lessico» (Marco, Merì de la Maza, 2019: 254). Si tratta di un progettista capace di attivare un vero e proprio dialogo. Attraverso questa figura e costruendo spazi adatti all’abitare contemporaneo, l’architettura può porsi come una fonte di innovazione nel conflitto globale/locale, aprendosi al Terrestre e alle nuove relazioni tra cose e persone, e tra esseri viventi in generale, che questo concetto descrive.

1 ecumène s. f. [dal lat. oecumĕne, gr. οἰκουµένη (γῆ) «(terra) abitata»]. – In geografia antropica, la parte della Terra dove l’uomo trova condizioni ambientali che gli consentono di fissare permanentemente la sua dimora e di svolgere normalmente le sue attività. da Treccani dizionario online [http://www.treccani.it/vocabolario/ecumene/]

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Riferimenti bibliografici

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Frampton K. (1984), “Anti-tabula rasa: verso un regionalismo critico”, in Casabella, n. 500, p. 22-25. Ibelings H. (2001), Supermodernismo. L’architettura nell’età della globalizzazione, Castelvecchi, Roma. Jullien F. (2018), L’identità culturale non esiste ma noi difendiamo le risorse di una cultura, Einaudi, Torino. King A. D. (2004), Spaces of global cultures. Architecture Urbanism Identity, Routledge, London.

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LA CITTÀ

CONTEMPORANEA:

UN GIGANTE DAI

PIEDI D’ARGILLA

Per la prima volta dopo oltre due secoli l’innovazione tecnologica non sembra più in grado di compensare con l’apertura di nuovi mercati la perdita di posti di lavoro determinata dall’aumento della produttività. In virtù di questo inaridimento degli sbocchi professionali l’opinione pubblica scorge nella globalizzazione e nei flussi demografici originati dalle aree più povere e conflittuali del pianeta le cause fondamentali di un’inquietudine crescente, che si somma alla scoperta della fragilità di un ecosistema sempre più minacciato dalle calamità naturali e dagli effetti traumatici di un climate change che sta accelerando il suo passo.

Le caratteristiche inedite e allarmanti di questo scenario sollecitano la mobilitazione delle competenze e dei saperi con cui elaborare un punto di vista originale e integrato sul tipo di società che è possibile costruire intorno a una economia a bassa intensità di lavoro, e sui mutamenti che questo nuovo paradigma è destinato a introdurre al fine di ricondurre entro gli strumenti della gestione urbana tanto le istanze del cambiamento, quanto le esigenze di tutela dai rischi ambientali.

Gli Atti della conferenza internazionale per la XVI edizione di Urbanpromo "Progetti per il Paese" raccolgono la riflessione di studiosi e ricercatori sulle nuove fragilità urbane.

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