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La responsabilità precontrattuale da contatto sociale al vaglio del giudice amministrativo. Nota a T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza del 20 settembre 2017, n. 9847.

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Anno XVII, febbraio 2020

Dottrina

n. 1 - 2018

Gloria Sdanganelli

La responsabilità precontrattuale da contatto sociale al vaglio del giudice amministrativo

La responsabilità precontrattuale da contatto sociale al vaglio del giudice amministrativo

(nota a T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, Sentenza 20 settembre 2017, n. 9847)

Sommario: i. Premessa - ii. Gli obblighi precontrattuali – iii. Il contatto sociale al vaglio della giurisprudenza – iv. Liceità e legittimità dell’agire amministrativo - v. Il contrasto interpretativo e la rimessione all’adunanza plenaria

Abstract. Il rapporto giuridico tra cittadino e pubblica amministrazione è stato attraversato negli ultimi anni da una profonda evoluzione che ne ha modificato regole e strutture, determinando l’ingresso dei principi privatistici e aziendalistici di efficienza e competitività attualizzati dall’art.1, comma 1-bis, della legge n. 241 del 1990. Ciò ha lasciato spazio ad una rinnovata concezione dell'attività amministrativa, caratterizzata dal "contatto” qualificato fra p.a. e cittadini e dall’innesto di precise regole di condotta nel rapporto giuridico, con

conseguente affievolirsi del principio di supremazia in capo ai pubblici poteri. Il destinatario dell’atto diviene, così, titolare di una pretesa alla regolarità e liceità dell'azione amministrativa che va valutata secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede, che il giudice

ordinario può indagare, in quanto i medesimi si pongono come limiti esterni alla discrezionalità operativa.

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i. Premessa

Il T.A.R. capitolino interviene con la sentenza in esame su una questione di spiccato interesse e attualità, relativa alla possibilità di configurare anche nei rapporti non negoziali tra

amministrazione e cittadino un modello di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi di protezione, accessori agli obblighi di prestazione, che s’impongono alle parti

durante la formazione progressiva del contratto[1].

Il modello del contatto sociale[2], evocato di recente in una dotta sentenza[3] della Corte di cassazione, e impiegato dal giudice amministrativo nel caso di specie, è in grado di attrarre in sé la responsabilità precontrattuale[4], rendendo evidente che l’elemento qualificante della cd. culpa in contrahendo non è già la colpa – attinente all’indagine dell’elemento soggettivo -bensì la violazione della buona fede “oggettiva”[5] che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi non di prestazione, ma di protezione reciproca dalle parti[6].

Diviene possibile, in tal modo, garantire l’ingresso ai principi di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) ed eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) anche nello spazio procedimentale che precede

l’aggiudicazione del contratto. Tali norme, subordinando il legislatore a differenziare le

posizioni dei soggetti dell’ordinamento secondo il rispetto dei criteri di proporzionalità, logica e ragionevolezza, impongono all’interprete uno sforzo verso la salvaguardia dell’affidamento della controparte “debole” a non essere lesa nelle aspettative in precedenza ingenerate. Le esigenze di tutela del legittimo affidamento sono, del resto, scolpite nell’art. 97 Cost., laddove tale norma ne individua il fondamento giuridico nei principi d’imparzialità, trasparenza e buona amministrazione[7]. L’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, - elemento essenziale dello stato di diritto[8] - assume, in tal modo, primario rilievo non solo nei rapporti negoziali tra i privati, ma anche con riguardo all’attività della pubblica amministrazione, che deve uniformare il proprio agire in senso costituzionalmente orientato[9].

Pare opportuno rilevare che il principio del legittimo affidamento fondato sulla buona fede oggettiva ha conquistato il rango di caposaldo dell’ordinamento non già per scelta esplicita del legislatore – com’è avvenuto per lo Statuto del Contribuente approvato con la l. 27 luglio 2000 n. 212[10] - ma piuttosto attraverso l’apporto ermeneutico dalla dottrina e dalla

giurisprudenza, comunitaria e nazionale. Del resto le Camere, in sede di esame del progetto di riforma dell’art.1, l. 241/90 che includeva la tutela del legittimo affidamento fra i canoni dell’azione amministrativa, hanno approvato un testo che non lo richiama esplicitamente. Tuttavia, assoggettando la funzione amministrativa ai “principi dell’ordinamento comunitario” gli operatori del diritto ne hanno favorito ampia espansione[11], fino a consacrarlo come uno dei fondamenti dello Stato di diritto in funzione di limite dell’attività legislativa e

amministrativa[12].

ii. Gli obblighi precontrattuali

La responsabilità precontrattuale, disciplinata negli artt. 1337 e 1338 del codice civile, costituisce il rimedio offerto dall’ordinamento giuridico per la tutela della libertà negoziale. Quest’ultima si individua tradizionalmente nell’interesse concreto a non essere coinvolti in

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trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni riguardo agli atti negoziali[13].

A titolo ricostruttivo, giova preliminarmente osservare come la fattispecie disciplinata dall’art. 1338 del codice civile per conclusione di contratto invalido evochi le teorie del giurista

tedesco Jhering sulla culpa in contrahendo[14]. Queste disegnano un meccanismo di giustizia commutativa rivolto a sanzionare con l’obbligo risarcitorio la parte reticente che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, la quale ha vanamente confidato sulla validità del medesimo[15]. L’intuizione di Jhering è quella di concepire il completamento della protezione giuridica della parte lesa ancorando la fonte della responsabilità – appunto per culpa in contrahendo - nella violazione di obblighi di condotta precontrattuali, eliminando ogni superflua indagine sull’elemento soggettivo e sugli aspetti volitivi del soggetto agente. Si tratta, evidentemente, di una

formulazione molto fortunata, che ha condizionato la fisionomia dell’obbligo informativo di natura precontrattuale non solo in Germania, ma anche nel resto del continente[16].

Non dissimilmente, la sentenza annotata si lascia apprezzare nella misura in cui estende il parametro di giudizio dell’art. 1338 c.c. alla condotta dell’amministrazione tenuta sia nel corso di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di

procedure di gara. Il T.A.R capitolino si sofferma, in particolar modo, sull'obbligo della stazione appaltante di valutare diligentemente le probabilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell'eventuale esistenza di cause ostative rispetto a tale esito.

Accanto al modello di responsabilità precontrattuale di derivazione jheringhiana, all’inizio del secolo scorso si era affacciato in dottrina un tentativo di studio sistematico del giurista

italiano Faggella[17], incentrato principalmente sulla figura del recesso ingiustificato dalle trattative, il cui disegno è chiaramente scolpito nell’impianto dell’art. 1337 del codice civile. Tale analisi rinviene nel modello di formazione progressiva del contratto una sequenza di tre momenti permeati dalla libertà assoluta delle parti fino alla formazione del vincolo definitivo. Da qui l’elaborazione della nozione di “tacito accordo precontrattuale” che le parti assumono quando le negoziazioni abbiano conquistato uno spazio più avanzato e siano diventate più “serie”. La violazione del patto coincide con il recesso operato in uno spazio temporale

successivo al raggiungimento della stabilità delle trattative, determinando l’obbligo di risarcire il danno consistente nell’aver sopportato vanamente i costi e le spese della trattativa.

Entrambe le fattispecie disciplinate dal codice civile - quella formulata da Jhering riguardante i doveri d’informazione precontrattuale e l’ipotesi di rottura arbitraria delle trattative enunciata dal Faggella - hanno contribuito a costituire il nucleo dei doveri riconducibili alla fase

prenegoziale, trovando primaria accoglienza nel diritto dell’Europa continentale. La prima ipotesi acquista particolare rilevanza nei rapporti con i consumatori, ove il modello originario di tipo risarcitorio è stato superato da un modello più attento a tutelare la parte non

informata, di tipo caducatorio[18]. La seconda fattispecie trova la sua fonte nelle norme che disciplinano nei vari ordinamenti e a livello sovranazionale il principio di buona fede

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Principi Unidroit[19] e i PECL[20], che concepiscono la responsabilità precontrattuale

esclusivamente con riferimento alla condotta di trattative contrarie alla buona fede oggettiva. Questa si traduce, in particolare, nell’iniziare o continuare le trattative senza la reale

intenzione di concludere il contratto, disvelando un contegno non corretto nella fase

antecedente la conclusione del contratto, ciò che costituisce a oggi l’ipotesi più ricorrente di scorrettezza precontrattuale[21].

iii. Il contatto sociale al vaglio della giurisprudenza

Nello specifico ambito occupato dai rapporti non autoritativi tra la parte pubblica e quella privata - che è l’ambito che qui più interessa - si segnala un rinnovato interesse verso soluzioni tese a valorizzare la natura contrattuale della fattispecie e il contatto tra le parti procedimentali, contatto che se non conforme alle regole sul procedimento amministrativo fissate dalla legge l. n. 241/1990 e al canone di correttezza previsto dal codice civile è idoneo a provocare non solo l’annullamento giudiziale dell’atto, ma anche la responsabilità risarcitoria, eventuale e sussidiaria rispetto alla prima forma di tutela demolitoria[22].

Secondo un filone dottrinale recepito dalla recente giurisprudenza di legittimità[23], l’archetipo della responsabilità precontrattuale, risiederebbe, infatti, nei “quasi contractus” risalenti alle elaborazioni del diritto romano post-classico[24].

Tale categoria individuava quegli atti o fatti che, sebbene privi del substrato negoziale, aderivano ad un modello relazionale idoneo a generare obbligazioni assimilabili a quelle nascenti ex contractu. Era, ad esempio, il caso dell'indebito, nel quale l'obbligo della restituzione scaturiva dal mero fatto del pagamento erroneamente eseguito, o della

negotiorum gestio, scaturente da un'attività intrapresa allo scopo di fare cosa utile ad altri. Da

qui, il nomen di "quasi contractus"[25].

Recuperata dalla dottrina italiana nell’ultimo decennio del ventesimo secolo, la teoria del contatto sociale non è estranea alla riflessione tedesca e anglosassone[26], in cui si registra lo sforzo ermeneutico di configurare una categoria obbligatoria atipica, in mezzo fra contract e

torts, in grado di ricomprendere le dinamiche prive di fonte contrattuale, ma allo stesso

tempo, in quanto generanti obblighi di protezione reciproci, aliene dalla riduzione extracontrattuale. La dottrina comunitaria e nazionale[27] ha agevolato, in tal modo, il formarsi di una linea evolutiva della responsabilità civile orientata verso un favor per la più incisiva forma di tutela rappresentata dalla responsabilità contrattuale. Tale riflessione coinvolge anche settori affini alla dinamica precontrattuale “pura” cui non è escluso il

procedimento amministrativo di scelta del contraente, ogni qual volta questo sia rivelatore di un contatto generatosi tra le parti dal quale scaturiscono obblighi di protezione ancorché non di prestazione.

Un pregevole contributo all’inquadramento sistematico del contatto sociale tra

amministrazione e privato è fornito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 14188 del 12 luglio 2016, che getta solidi argomenti a sostegno della natura contrattuale della

responsabilità precontrattuale, a superamento del tradizionale orientamento che lo riconduceva entro il genus della responsabilità aquiliana[28].

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Il nodo centrale concerne la ravvisabilità di un’obbligazione risarcitoria qualora, anche in assenza di un negozio quale fonte di specifici e reciproci obblighi di prestazione, tra le parti venga comunque a instaurarsi un nesso relazionale qualificato, caratterizzato dal “contatto” tra le rispettive sfere giuridiche.

Secondo il giudice di legittimità, la principale obiezione mossa a tale tesi, per la quale anche l'illecito extracontrattuale realizzerebbe un contatto sociale, non coglie il proprium della

responsabilità in esame, nella quale il contatto sociale tra sfere giuridiche diverse deve essere "qualificato", ossia connotato da uno "scopo" che, per il suo tramite, le parti intendano

perseguire.

L’indagine sull’elemento teleologico del rapporto diviene, perciò, essenziale

nell’individuazione del contatto sociale, che solo nella sua veste qualificata sarà idoneo

fondare la responsabilità precontrattuale del soggetto agente. Come la causa del contratto ne individua la funzione economico sociale, rendendolo meritevole di tutela da parte

dell'ordinamento giuridico, così lo scopo - stipulare un contratto non svantaggioso, evitare eventi pregiudizievoli alla persona o al patrimonio, assicurarsi il corretto esercizio dell'azione amministrativa - che connota la relazione tra le parti riconoscendovi un momento necessario per il suo verificarsi, qualifica il contatto sociale rendendolo oggetto di protezione

giuridica[29].

L’affermazione non va agganciata a istanze di natura etica, ma assume una propria

consistenza giuridica nella misura in cui può trovare copertura nel principio costituzionale di solidarietà sociale. Nelle ipotesi in cui è ravvisabile una relazione qualificata, una parte affida i propri beni della vita alla correttezza, all'influenza e alla professionalità di un altro soggetto. Rispetto all’ipotesi di contatto sociale “semplice”, per il quale basta che l'ordinamento

imponga a un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento che non si discosta dallo schema del neminem ledere, il modello di contatto sociale qualificato conquista un grado più elevato di protezione giuridica richiedendo, a monte della lesione, taluni fattori pregnanti quali l’affidamento reciproco delle parti con "conseguente insorgenza di specifici, e

reciproci, obblighi di buona fede, di protezione e d’informazione".

Alla base della fattispecie extracontrattuale non vi è, viceversa, alcun obbligo puntuale. Anche il generico dovere di alterum non laedere costituisce, infatti, la proiezione - insita nel concetto stesso di responsabilità - sul danneggiante del diritto del danneggiato all'integrità della

propria sfera giuridica, e che si pone, comunque, al di fuori di un preesistente rapporto con il primo. Perciò, se la responsabilità civile aquiliana, nella quale la valenza giuridica della

relazione sociale viene in luce solo nel momento della lesione, rimane caratterizzata dal "non rapporto", la responsabilità contrattuale si distingue per la presenza di una "struttura

obbligatoria", che diviene così, la vicenda tipica dell'obbligazione senza prestazione.

Lo schema aquiliano, la cui scelta è frutto della secolare tradizione giuridica che, sin da Gaio, bipartisce le fonti delle obbligazioni nel contratto e nel fatto illecito, si muove, perciò, verso una profonda rimeditazione. Il contatto sociale come fonte dell’obbligazione risarcitoria precontrattuale trova più adeguata sistemazione nella terza categoria che l’art. 1173 c.c. individua in “ogni altro fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento

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giuridico”, finora pretermessa e oggetto di ambiguità classificatoria, ma che va recuperata come importante tassello dell’ordinamento giuridico.

Il meticoloso sforzo ricostruttivo contenuto nella sentenza della Corte di cassazione n. 14188/2016 denota poi come, a partire dalla responsabilità del sanitario e della struttura ospedaliera, e a quella del precettore e dell’ente scolastico, la responsabilità da contatto sociale abbia trovato riconoscimento giurisprudenziale anche nel rapporto tra privato e p.a. in conseguenza dell'instaurazione di un procedimento amministrativo[30].

Viene a esistenza, per tale via, la figura di un rapporto obbligatorio connotato non da obblighi di prestazione bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, a una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella

contrattuale, poiché ancorabili a quei fatti e atti idonei a produrli che costituiscono la terza fonte delle obbligazioni menzionata dall'art. 1173 c.c.

La scelta di collocare il fondamento della responsabilità precontrattuale nel tertium genus delle obbligazioni va ricercata nella costatazione che la “idoneità” della fonte non è monopolio esclusivo del contratto e, su un altro piano, del fatto illecito, giacché essa può trovarsi anche in ogni “altro atto o fatto” compatibile con l’evoluzione del diritto. Al tempo stesso, la

conformità con l’ordinamento giuridico, se da un lato rappresenta la chiave ermeneutica che offre cittadinanza a nuovi strumenti capaci di soddisfare gli interessi delle parti, svolge,

dall’altro, anche la funzione di evitare l’eccessiva dilatazione di un genere vasto e

differenziato. Del resto, come le categorie classiche del contratto e del fatto illecito, gli atti e fatti di altra natura non formano un elenco precostituito e immutabile. L’apertura del sistema delle fonti delle obbligazioni richiede la “formulazione di principi idonei e sufficienti alla

formulazione di regole orientative” nel rispetto delle fonti del diritto[31]. Va considerato che la forza precettiva della buona fede non va rinvenuta in un generico dovere di astensione da comportamenti lesivi verso soggetti terzi. La condotta che l’art. 1337 c.c. impone alle parti della trattativa costituisce, più precisamente, l’adempimento di un obbligo funzionale a proteggere beni e interessi individuabili a priori rispetto a specifici pregiudizi[32], ai quali un contraente si espone per effetto dell’affidamento riposto in circostante qualificate.

Il rispetto di puntuali regole di condotta idonee a neutralizzare le insidie comportamentali che si annidano prima della conclusione del contratto è, secondo i giudici di legittimità, segno di un’evoluzione tangibile della coscienza sociale, ancora prima che giuridica, che ridisegna il rapporto obbligatorio come un rapporto complesso. Lo scopo che dirige le trattative non si riduce, in tal modo, al solo interesse alla prestazione, individuato dall'art. 1174 c.c., ma ricomprende un fascio di obbligazioni accessorie riconducibili all’interesse alla protezione, espresso dal successivo articolo 1175 c.c.

In tale prospettiva il proprium della responsabilità contrattuale, come del resto emerge nella sentenza in commento, non è più costituito dalla violazione di una pretesa di adempimento, né dalla predisposizione soggettiva del soggetto agente, bensì dalla lesione arrecata a una relazione qualificata tra soggetti, nella quale si tutelano anche aspetti della personalità dal rilievo costituzionale. La relazione negoziale tra due parti diviene, in tal modo, l’occasione per lo sviluppo del potenziale umano ex art. 2 Cost., da tutelare come momento di crescita e

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progressione non soltanto patrimoniale ma anche intellettuale, e va, perciò, “sottoposta

dall'ordinamento alla più pregnante ed efficace forma di responsabilità, rispetto a quella aquiliana, rappresentata dalla responsabilità di tipo contrattuale”.

iv. Liceità e legittimità dell’agire amministrativo

La sentenza in commento si colloca, logicamente, all’esito di un articolato percorso la cui conquista giuridica più rilevante, con portata assimilabile al riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi, è racchiusa nell’affermazione che l’amministrazione, quale supremo ente regolatore degli interessi privati e collettivi, non si sottrae ai doveri di condotta

relazionale che s’impongono in primis ai destinatari del potere pubblico.

Per lungo tempo la giurisprudenza aveva escluso la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della p.a. nella fase procedimentale che precede l'aggiudicazione della gara. La tesi negazionista poggiava sostanzialmente sui seguenti assiomi: (i) l'apertura della

competizione ad una pluralità di concorrenti non instaura ancora una relazione specifica tra soggetti, paragonabile allo svolgimento di trattative cui è riferibile in sede privatistica l'art. 1337 c.c.; (ii) il partecipante alla gara non può nutrire alcun legittimo affidamento sull'esito della stessa e sulla conclusione del relativo contratto, ma è unicamente titolare di un

interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta da parte dell'amministrazione; (iii) un’indagine ricognitiva del rispetto della buona fede oggettiva da parte della p.a. realizza un inammissibile sindacato giudiziale su un’attività connotata da discrezionalità

amministrativa[33].

L’intervento chiarificatore della Corte di cassazione ha infine segnato il contestuale superamento della pretesa incompatibilità tra sovranità e poteri di imperio da un lato, e responsabilità, dall’altro, coincidendo con l’affermazione del principio di legalità nell’azione dei pubblici poteri[34].

Con un certo ritardo rispetto al giudice ordinario, anche il giudice amministrativo ha infine abbandonato la concezione che disconosceva nei partecipanti alle procedure a evidenza pubblica delle “parti” contrattuali e che negava l’esistenza delle condizioni strutturali per poter assimilare il procedimento di scelta del contraente ad una “trattativa” di diritto comune con il riconoscimento di diritti soggettivi all'osservanza reciproca delle regole di buona fede, come stabilito dall'art. 1337 c.c.

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia[35], ha convenuto che in materia di contratti pubblici si è in presenza di una formazione necessariamente progressiva del contratto che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico in cui, come nel modello civile, avviene il contatto con una pluralità di "partecipanti" al procedimento negoziale. Del resto, se nei rapporti tra privati l'avvio delle trattative non è facilmente individuabile per la mancanza di una formalizzazione del loro svolgimento, ciò, viceversa, avviene nelle pubbliche gare, ove la pubblicazione di un bando e le offerte o richieste d’invito in forma scritta costituiscono i segni non equivoci dell'instaurazione delle trattative. Ciò consente, a fortiori, di verificare

l’insorgenza e il rispetto da parte dei soggetti del procedimento degli obblighi di correttezza e di buona fede previsti dall’art 1337 c.c.

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Vale la pena di osservare che la poliedricità delle teorie che si agitano intorno alla

responsabilità precontrattuale della p.a. discende, in parte, da un equivoco assunto a dogma dalla dottrina e dalla giurisprudenza a cavallo del nuovo millennio, e generato proprio dalla storica sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 500/99.

Se tale pronuncia ha, da un lato, avuto il merito di aprire una breccia "nel muro di

sbarramento" del pietrificato principio dell'irrisarcibilità degli interessi legittimi, ha al tempo stesso sollevato e lasciati irrisolti numerosi punti e questioni che inevitabilmente si pongono in sede applicativa date le complessità, le contraddittorietà, che da sempre caratterizzano il dibattito sulla definizione della figura dell'interesse legittimo[36].

Tra questi si staglia, in particolare, il nodo della distinzione tra la responsabilità

dell'amministrazione per attività provvedimentale illegittima dalla responsabilità da contatto nascente dall'inadempimento di un’obbligazione senza prestazione[37]. Il modello della responsabilità da contatto amministrativo qualificato, non si collega, in altri termini, alla lesione dell'utilità finale cui aspira il privato, ma deriva dalla sola violazione di quei particolari obblighi positivi - le regole d’imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione - il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell'affidamento del privato sulla liceità dell'azione amministrativa[38].

Questi aspetti andrebbero considerati in relazione ai diversi modi di concepire le relazioni tra legittimità e liceità: in particolare, tra la legittimità o meno del provvedimento amministrativo che incide, vanificandolo, sull’aspettativa qualificata del cittadino in ordine all’ottenimento del bene della vita, e la liceità o meno del comportamento globalmente tenuto dalla p.a.

nell’esercizio dei suoi poteri procedurali[39].

In dettaglio, secondo una prima prospettiva sostenuta da una isolata, ma non per questo meno interessante, pronuncia del giudice amministrativo[40], la violazione del canone di buona fede nello svolgimento della procedura concorsuale determina l'illegittimità di

provvedimenti demolitori intervenuti a seguito dell’aggiudicazione. Il giudice amministrativo ha osservato che il contatto procedimentale, una volta innestato nell'ambito del rapporto amministrativo, caratterizzato da sviluppi istruttori e da un'ampia dialettica tra le parti sostanziali, impone al soggetto pubblico un preciso onere di diligenza, che lo rende garante del corretto sviluppo del procedimento e della sua legittima conclusione. L'illiceità del

contegno serbato dall'amministrazione finisce, così, per “comporre il parametro alla stregua del

quale qualificare come illegittimo il provvedimento di autotutela, finendo per atteggiarsi a guisa di fonte esclusiva della sua illegittimità”[41].

Si tratta di una ricostruzione non esente da critiche. La giurisprudenza successiva[42] ha accolto una prospettiva che articola diversamente il rapporto tra illegittimità e illiceità,

negando che la buona fede oggettiva entri a comporre il parametro di legittimità degli atti di una procedura concorsuale. A tal proposito va detto che mentre quest’ultimo rimane a matrice esclusivamente pubblicistica, il parametro della liceità del contegno complessivo dell'amministrazione, in termini di sua aderenza o meno alle regole di correttezza e buona fede nella fase precontrattuale, presenta natura privatistica. Ne deriva che l'illiceità del secondo tipo non potrebbe concorrere a definire l'illegittimità del primo[43].

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Una diversa soluzione realizzerebbe, per di più, un’ingiustificata limitazione del risarcimento del danno realizzabile dal privato. Il modello di cui all’art. 1337 c.c., nella misura in cui limita il danno al cd. interesse negativo - l’interesse a non essere coinvolti in trattative infruttuose - e che esclude, invece, il cd. interesse positivo – l’interesse a conseguire il bene della vita in disponibilità – mal si adatta, infatti, al modello di responsabilità da provvedimento

amministrativo[44]. Ciò che assume rilievo per il privato, compresso da un atto illegittimo, non è la scorrettezza perpetuata dall’amministrazione, ma l’ingiusta lesione del bene della vita: questi aspirerebbe a ottenere un risarcimento commisurato non tanto alle occasioni perdute a causa del procedimento amministrativo al quale ha partecipato quanto, invece, all’utilità materiale che gli è stata rifiutata o negata a causa delle scorrettezze della p.a. Del resto, la responsabilità da provvedimento amministrativo illegittimo risponde allo schema pubblicistico della lesione di interessi legittimi, che solo ambientalmente è connessa alle trattative e alla formazione progressiva dell’accordo, ma ne rimane ontologicamente e strutturalmente distinta. Da qui, l’opportunità di mantenere separati i due profili risarcitori. In una fase successiva si è registrata la conquista giurisprudenziale più rilevante, che ha coinciso con l’affermazione della responsabilità precontrattuale anche nell’ipotesi di

svolgimento di attività amministrativa legittima, con particolare riferimento ai casi di revoca o di annullamento di atti di gara[45]. A fronte della diversa natura delle norme fonte di

responsabilità precontrattuale e di responsabilità provvedimentale[46], si conclude che la prima prescinda dall'eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela che formalizza la volontà dell'amministrazione di annullare o revocare gli atti di gara.

Non si fa fatica a cogliere il proprium di tale riflessione nella sentenza in commento, laddove si rimarca che anche un eventuale annullamento in autotutela del provvedimento di

affidamento non avrebbe potuto elidere né attenuare le conseguenze del comportamento illecito dell’amministrazione. Ciò è avvalorato dal rilievo che la responsabilità precontrattuale si configura quale “responsabilità da comportamento” e non da provvedimento, che incide sul diritto di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali e, pertanto, sulla libertà di

compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza[47].

In altri termini, mentre il parametro della legittimità del provvedimento, a carattere

esclusivamente pubblicistico, identifica il “corretto amministratore” degli interessi pubblici, il parametro della liceità della condotta amministrativa identifica il “corretto negoziatore” il cui contegno va valutato in base ai canoni di correttezza e buona fede oggettiva, e il cui scopo è la tutela di quegli affidamenti dapprima ingenerati e divenuti poi meritevoli di tutela[48]. La dottrina ha reagito positivamente al nuovo modo di descrivere i rapporti tra liceità e

legittimità dell’agire amministrativo. È stato efficacemente notato che nel trasgredire i canoni comportamentali di marca privatistica posti dagli artt. 1337 e 1338 c.c., il soggetto pubblico non adotta provvedimenti illegittimi ma tiene comportamenti illeciti, per cui oggetto di

denuncia non sono gli atti formali, atomisticamente presi, che appaiono perfettamente leciti, ma “la condotta fattualmente traguardata, viceversa illecita”[49].

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non avrebbe mai dovuto avere inizio per mancanza dei fondi necessari a realizzare

l’opera[50]. L’analisi della casistica viene a conferma della legittimità se non della doverosità del provvedimento di autotutela, consentendo di porre al riparo l'interesse pubblico dalla conclusione di un contratto che l'amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti. Tale iniziativa, tuttavia, non fa venir meno “il fatto

incancellabile degli affidamenti suscitati nell'impresa dagli atti della procedura di evidenza

pubblica poi rimossi”. Il singolo provvedimento di autotutela diviene, così, la “tessera legittima di un mosaico connotato da condotta complessiva superficiale” violativa dei più elementari

obblighi di trasparenza e di attenzione al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi[51].

In definitiva, l’esercizio del potere pubblico, sebbene legittimo, non esclude l’illiceità del

comportamento della p.a., che può essere lesivo dell’affidamento maturato dalla controparte e che l'ordinamento ritiene meritevole di tutela[52]. Nell’ipotesi prospettata, la mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sull’assunzione di impegni economici eccessivamente gravosi per la p.a. integra violazione delle regole di correttezza e di buona fede, consentendo di condannare la stazione appaltante a titolo di responsabilità precontrattuale. Questo a conferma dell’impostazione secondo cui l’art. 1337 c.c. delinea una responsabilità da

comportamento e non da provvedimento, che incide non sull'interesse legittimo pretensivo all'aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali e sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza[53].

Se è configurabile la coesistenza di un provvedimento di autotutela legittimo e un

comportamento scorretto, è altresì possibile che, riguardando oggetti differenti, possano coesistere un atto illegittimo e una condotta lecita. Questo può accadere ove le circostanze concrete non consentano di ravvisare la colpa dell'Amministrazione, tra gli altri, a causa dell'oscurità di norme appena entrate in vigore o per le oscillazioni giurisprudenziali nell'interpretazione del quadro normativo di riferimento; o perché, successivamente al provvedimento di autotutela, è intervenuta la dichiarazione di incostituzionalità della norma che lo aveva giustificato[54].

In posizione intermedia tra quella che vede una strettissima interferenza tra la buona fede precontrattuale e le regole poste a disciplina dell’agire amministrativo, e l’impostazione che nega ogni contatto tra le due sfere, si colloca la tesi che, negando un automatismo del primo tipo, attribuisce una portata meramente sintomatica della violazione delle regole

pubblicistiche su quelle di diritto comune[55]. In particolare, si ammette che nell’indagine sulla violazione dei principi relazionali di correttezza e buona fede, gli atti dei quali sia stata accertata l’illegittimità possano costituire degli indici da cui desumere la contraddittorietà del comportamento del soggetto pubblico[56]. Simile ricostruzione presenta chiaramente il pregio di agevolare il danneggiato nel provare l’illiceità della condotta della p.a. e al tempo stesso di mantenere ferma la differenza tra il giudizio sull’illegittimità e quello sulla

responsabilità.

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si contrappone a quella di atto, ma si armonizza con questa, essendo comprensiva di ogni tratto di azione, materiale o provvedimentale[57]. Ciò a dimostrazione che nelle ipotesi di valutazione della responsabilità della p.a., il provvedimento può costituire solo una frazione della più ampia condotta illecita[58].

Il riconoscimento della responsabilità precontrattuale anche alla fase antecedente

l’individuazione del miglior contraente, ha sancito, perciò, il superamento della “concezione binaria” dell’evidenza pubblica[59]. In base ad una rinnovata visione del rapporto giuridico procedimentale, si ammette la contestuale presenza, sin dal momento della pubblicazione del bando, di una sequenza amministrativa e di un procedimento negoziale[60] i quali confluiscono in un'unica serie di atti operanti in una duplice dimensione, pubblicistica e privatistica[61].

Il peso del percorso evolutivo segnalato va, evidentemente, oltre una dimensione meramente teorica: arricchendo la riflessione sul rapporto amministrativo con le conquiste e i concetti elaborati in sede civilistica, diviene possibile ampliare lo spettro di tutele rivolte al cittadino, sintetizziate nel principio personalistico che regge l’impianto costituzionale.

Così, anche il noto binomio “regole di validità” e “regole di correttezza”[62] può trovare utile applicazione non solo nei rapporti di diritto comune, ma anche con riguardo all’attività amministrativa di scelta del contraente. Diviene possibile, allora, compiere un passo logico ulteriore, riconoscendo l’operatività dell’art. 1337 c.c. non solo nelle ipotesi di interruzione della sequenza procedimentale, ma anche in presenza di un contratto aggiudicato e concluso, ma pregiudizievole per la parte privata.

È ormai evidente, infatti, che la responsabilità precontrattuale costituisce il rimedio in grado di governare anche le situazioni del contratto valido ma pregiudizievole per la parte che abbia subito l'altrui comportamento contrario a buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto[63]. Ciò in quanto, se è vero che l’interesse che l’art. 1337 c.c. mira a tutelare non s’individua né nella prosecuzione delle negoziazioni né nella conclusione del contratto, ma nella “serietà” delle trattative, a maggior ragione si deve ritenere ammissibile un'azione risarcitoria anche a fronte di un contratto concluso validamente, ma in presenza della violazione della buona fede precontrattuale che dia luogo a un assetto contrattuale più svantaggioso per la parte che abbia subito le conseguenze della condotta scorretta.

Analogamente, nel terreno dell’evidenza pubblica, mentre non è richiesta la violazione delle regole sul procedimento amministrativo per imbattersi in responsabilità precontrattuale, viceversa, l’inosservanza delle regole di condotta, se da un lato consente di accedere alla tutela risarcitoria, non necessariamente vanifica l’efficacia della procedura di affidamento. Nel solco di questi rilievi, sembra possibile soffermarsi sulla contiguità tra la tesi del contatto sociale qualificato, che richiama, come visto, il binomio liceità/legittimità, e la teoria dei “vizi incompleti”[64] imperniata sul binomio validità/correttezza. La violazione del precetto generale di buona fede, generatore degli obblighi di protezione accessori alla prestazione principale e connaturati al principio solidaristico di fonte costituzionale, costituisce di per se? inadempimento e può comportare l'obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato a titolo di responsabilità contrattuale da contatto sociale. L’immediato beneficio è quello di realizzare

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istanze di giustizia ed equità in un ambito, quello delle trattative, prodromico alla

realizzazione di traffici commerciali efficienti e imperniati sulla trasparenza e lealtà reciproca. Diviene possibile, infine, l’assimilazione di questi concetti con la tradizionale bipartizione tra “norme di azione” e “norme di relazione”[65], realizzando un’ottimale convergenza di istituti originariamente confinati in ambiti diversi e impermeabili tra loro. Come magistralmente sostenuto, è infatti “la violazione di una norma d'azione a comportare illegittimità e la violazione

di una norma di relazione a comportare illiceità, e poiché le diverse norme prescrivono (e vietano) comportamenti diversi, la condotta tenuta dall'amministrazione nell'esercizio del potere

autoritativo, pur ricondotta globalmente sotto le insegne dell'atto amministrativo, viene in realtà idealmente scissa in due sottoinsiemi comportamentali minori, l'uno rilevante ai soli fini

dell'illiceità, l'altro ai soli fini dell'illegittimità” dell'atto amministrativo[66]. v. Il contrasto interpretativo e la rimessione all’adunanza plenaria

La sentenza in commento traccia il suo impianto discorsivo nel solco della trasposizione dei doveri precontrattuali di buona fede e correttezza nel procedimento amministrativo di scelta del contraente. Ciò riflette un’evoluzione che, dalla fine del secolo scorso, ha riguardato ogni aspetto del rapporto tra il soggetto pubblico e il cittadino, trovando nell’affermazione della responsabilità precontrattuale della p.a. il suo esempio più tangibile. Come si è avuto modo di rilevare, l’evidenza pubblica sembra destinata a divenire il luogo privilegiato per il

riconoscimento di diritti soggettivi in capo al privato, cui corrispondono per la stazione appaltante veri e propri obblighi di risultato dotati di copertura costituzionale.

A livello concettuale, da un’idea di netta separazione tra la fase pubblicistica e quella

privatistica di scelta del contraente, si è giunti a rinvenire un'unica sequenza procedimentale sottoposta contemporaneamente alle regole del diritto pubblico, disciplinanti l’uso del potere amministrativo, e alle regole dei privati, i quali possono vantare nei confronti del soggetto pubblico dei veri e propri diritti soggettivi al corretto e razionale andamento dello sviluppo procedimentale. L’ultima tappa di questo percorso euristico ha coinciso con il riconoscimento – attraverso la sentenza della Corte di cassazione n. 14188/2016 - della natura contrattuale del modello offerto dall’art. 1337 c.c. Tale figura viene assimilata a una vera e propria

responsabilità da inadempimento di obbligazioni senza prestazione, che non sanziona solo le tradizionali figure dell’ingiustificato recesso o della conoscenza di una causa d’invalidità, ma ricomprende ogni tipo d’insidia comportamentale in grado di rendere squilibrata la relazione negoziale tra due soggetti.

È in tale prospettiva che al rapporto potestà-soggezione, incentrato sui principi di autorità e d’imperatività del provvedimento, si assiste alla sostituzione con un altro, che fa capo alla relazione obbligo-diritto, avviando una “ricostruzione del sistema in senso radicalmente

paritario”[67]. Gli atti del procedimento a evidenza pubblica compartecipano, in tal modo, della natura di atti paritetici, in grado di operare immediatamente e direttamente nei rapporti esterni senza, tuttavia, rivestire carattere autoritativo, non avendo la forza di alterare

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Naturalmente, si deve rammentare che sia la giurisprudenza ordinaria che amministrativa andranno chiarendo la reale portata applicativa dell’istituto in questione, non essendo escluse future soluzioni interpretative in grado di contraddire lo scenario fin qui richiamato. Allo stato attuale, l’incertezza interpretativa del quadro delineato trova conferma nella recente rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato della questione inerente la configurabilità o meno della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede la scelta del contraente, rispetto alla quale sono progressivamente emersi due diversi

orientamenti, necessitanti dell’intervento chiarificatore e nomofilattico dell’organo plenario[69].

Dopo aver ripercorso le prime pronunce di segno negazionista, l’ordinanza remittente ha evidenziato il passaggio alla giurisdizione amministrativa, imposto dalla legge n. 205 del 2000 e consolidato dalla nota sentenza dell’Adunanza plenaria n. 6 del 5 settembre 2005[70]. Tale decisione ha ammesso la configurabilità della responsabilità precontrattuale in tutti i casi in cui la p.a. - dopo l'aggiudicazione - intervenga con provvedimenti che abbiano l’effetto di vanificare gli esiti della procedura di selezione, frustrando la legittima aspettativa del contraente selezionato a concludere il contratto.

In particolare, la Terza sezione ha individuato le diverse fattispecie emerse nella prassi e sussumibili nell’orientamento delineato, quali la (i) revoca dell'indizione della gara e

dell'aggiudicazione per esigenze di una ampia revisione del progetto, disposta vari anni dopo l'espletamento della gara; (ii) l’impossibilità di realizzare l'opera prevista per essere mutate le condizioni dell'intervento; (iii) l’annullamento d'ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura; (iv) la revoca dell'aggiudicazione, o il rifiuto a stipulare il contratto dopo l'aggiudicazione, per mancanza dei fondi.

Rispetto all’orientamento così delineato, per il quale la violazione della buona fede precontrattuale rileva solo a conclusione della sequenza procedimentale, nella

giurisprudenza successiva è emerso un secondo e innovativo filone, che ha ammesso la configurabilità della responsabilità precontrattuale anche nella fase anteriore alla scelta del contraente e, quindi, prima e a prescindere dall’aggiudicazione.

Tale orientamento è stato ratificato e fatto proprio dalla Corte di cassazione nella sentenza del 3 luglio 2014, n. 15260[71]. Si è osservato, in particolare, che nel corso della procedura di scelta del contraente si assiste ad una formazione necessariamente progressiva del contratto che si sviluppa secondo lo schema dell'offerta al pubblico in cui l'amministrazione entra in contatto con una pluralità di operatori con ciascuno dei quali instaura trattative - c.d. multiple o parallele. Il contatto tra le parti procedimentali determina, in tal modo, la costituzione di un rapporto giuridico sin dal momento della presentazione delle offerte, secondo

un'impostazione che risulta rafforzata dall'irrevocabilità delle medesime.

La forza precettiva del canone di buona fede va, pertanto, riconosciuta nell'ambito di ognuno di tali rapporti, in cui ciascuna parte è tenuta al rispetto di principi generali di comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi[72] reciproci. Da ciò consegue che il mancato rispetto di tale precetto, anche anteriormente alla conclusione della gara, determina

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l'insorgere della responsabilità precontrattuale a prescindere dalla prova dell'eventuale

diritto all'aggiudicazione del partecipante. In perfetta adesione ai medesimi rilievi già espressi dal giudice amministrativo[73], la Corte di cassazione chiarisce che la culpa in contrahendo non necessita di un "rapporto personalizzato" fra p.a. e privato - che troverebbe la sua unica fonte del provvedimento di aggiudicazione – essendo invece “posta a tutela del legittimo

affidamento nella correttezza della controparte, che sorge sin dall'inizio del procedimento” [74]. Nel rimettere la questione all’Adunanza plenaria, l’ordinanza – non senza sorprese - ha preso posizione a favore del primo e più restrittivo orientamento, curandosi di precisare che nel momento che precede l’aggiudicazione, gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione[75]. Tale approccio, evidenziando alcuni argomenti fondati su un metodo ermeneutico rigorosamente fedele ai principi civilistici, sembra non cogliere, tuttavia, il proprium del discorso sulla buona fede precontrattuale messo in luce dalla nota sentenza della Corte di cassazione n. 141688/2016, il quale poggia sul

riconoscimento della natura contrattuale del modello offerto dall’art. 1337 c.c. e sulla valorizzazione della terza fonte di obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c. come generatrice di effetti giuridici tra le parti ulteriori rispetto a quelli di fonte contrattuale. L’ordinanza remittente sembra adombrare, sotto tale aspetto, la pregevole conquista registrata dalla citata sentenza n. 141688/2016, per cui la culpa in contrahendo viene assimilata a una vera e propria responsabilità da inadempimento di obbligazioni senza prestazione, idonea a

sanzionare non solo le tradizionali figure dell’ingiustificato recesso o della conoscenza di una causa d’invalidità, ma ogni tipo d’insidia comportamentale in grado di rendere squilibrata la relazione qualificata tra due soggetti.

A parere del collegio remittente, invece, una simile estensione della responsabilità precontrattuale risulta “eccessiva” e “non giustificata”, dal momento che non sarebbe possibile ravvisare nel procedimento ad evidenza pubblica né la nozione di “trattative” né quella di “formazione del contratto”. Tale impostazione soffre, tuttavia, il limite di rinunciare aprioristicamente a sottoporre anche l’amministrazione appaltante al diritto comune, proprio quando la medesima opera sul piano contrattuale. Potrebbe obiettarsi, del resto, che la gara non è “altro” rispetto alla formazione del contratto della p.a., e che i privati che vi partecipano, sottoponendo le proprie offerte alla Stazione appaltante, possiedono la qualità di possibili futuri contraenti con l’amministrazione. Come ha già osservato il giudice amministrativo in simili occasioni, gli atti del procedimento dell’evidenza pubblica, in quanto preordinati alla conclusione del contratto, sono al tempo stesso configurabili anche quali “atti di trattativa e di

formazione progressiva del contratto stesso”, e come tali sono rilevanti anche ai sensi dell’art.

1337 cod. civ. [76].

L’ordinanza prosegue affermando – non senza perplessità - che se è innegabile

l’instaurazione di un “contatto sociale” tra l’aspirante appaltatore e l’amministrazione

procedente tuttavia, esso risulta “unicamente governato da regole di procedura che la legge e la

lex specialis di gara impongono. Non da trattative”[77]. Si elide, in altre parole, la componente paritaria del rapporto, ritenendo del tutto assorbente la fase pubblicistica della competizione,

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slegata, in tal modo, dal modello offerto dall’art. 1337 del codice civile.

Lo schema della proposta fatta dall’amministrazione ad incertam personam sarebbe poi priva, secondo i giudici amministrativi, di fasi della “formazione del contratto” ulteriori rispetto alla pubblicazione dell’offerta e a al momento ricompreso tra l’aggiudicazione e la stipula.

Rispetto a tale rilievo, potrebbe obiettarsi che proprio il richiamo al modello del contatto sociale evocato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 14188/2016, produttivo di obblighi “di protezione”, non di fonte negoziale ma partecipanti della natura contrattuale ai sensi dell’art. 1773 c.c., avrebbe potuto costituire il tassello mancante dell’analisi ricognitiva contenuta nell’ordinanza di rimessione.

Del resto, gli importanti sviluppi nella materia in esame testimoniano come l’istituto della responsabilità precontrattuale non sia approdato a esiti definitivi, prestandosi, invece, a ulteriori contributi volti ad arricchirne molteplici e altri profili. Il modello del contatto sociale qualificato ne rappresenta un notevole esempio. La linea interpretativa che unisce buona fede, tutela dell’affidamento e principio solidaristico può costituire un valido strumento per un controllo giudiziale, anche in senso modificativo o integrativo, dello statuto negoziale e del rapporto amministrativo, schiudendo nuovi scenari per la previsione di conseguenze

sanzionatorie per la violazione dell’obbligo di buona fede da parte della stazione appaltante ulteriori e diverse da quelle risarcitorie.

La riflessione riemersa intorno alla terza fonte delle obbligazioni indicata nell’art. 1173 c.c. come fondamento giuridico degli obblighi di protezione tra le parti; la teoria dell’obbligazione “senza prestazione”; la valorizzazione delle regole di correttezza a fianco delle tradizionali regole di validità, rappresentano i contributi intellettuali ai quali si è progressivamente

conformata la relazione paritaria tra i soggetti dell’ordinamento, cui non è esclusa la pubblica amministrazione.

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria farà certamente chiarezza sull’opportunità di

riconoscere o meno la responsabilità precontrattuale nella fase che precede l’aggiudicazione del contraente. Si confida che l’organo plenario avrà cura di valutare opportunamente le conseguenze generate dall’assoggettamento dei contratti pubblici alle regole di correttezza e buona fede oggettiva, assecondando il favor del diritto privato nell’attività non autoritativa espresso dall’art.1, comma 1-bis, l.241/90.

Proprio il richiamo della legge alla componente paritaria, manifestazione di un “valore

culturale ed un principio tendenziale dell’ordinamento”[78], potrebbe dischiudere, in tal modo, la prospettiva di una più matura rivisitazione dei nodi di fondo del rapporto tra cittadini e amministrazione, alla luce di un’interpretazione sistematica della Costituzione e alla ricerca di una clausola generale di comportamento in grado di garantire effettivamente la legalità

dell’agire amministrativo[79].

[1] La casistica giurisprudenziale in materia di responsabilità precontrattuale della p.a. è tutt’altro che esigua. Cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. III, 18 luglio 2017, n. 3540; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 30 maggio 2017, n. 290, T.A.R. Veneto, Sez. I, 23 agosto 2017, n.

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801; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23 marzo 2017, n. 515, T.A.R. Marche, Sez. I, 17 giugno 16, n. 390, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 13 aprile 2016, n. 398; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 27 gennaio 2016, n. 42; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 13 gennaio 2016, n. 93, tutte in iusexplorer.it; Cons. Stato, Sez. III, 31 agosto 2016, n. 3755, in Dir. proc. amm. 2017, 2, 677.

[2] Frequente è ormai il riferimento alla responsabilità da contatto sociale della p.a. nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa. Ex multis: Trib. Bari, Sez. II, 24 giugno 2016, n. 3541, in Foro it. 2016, 11, I, 3613; Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2013, n. 11751, in Resp. civ. prev. 2013, 3, 1005; T.A.R. Veneto, Sez. I, 23 agosto 2017, n. 801; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 luglio 2017, n. 4008, in iusexplorer.it; Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2017, n. 1979, in Foro amm., 2017, 5, 1040; Cons. Stato, Sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5938, in Foro amm. CDS, 2013, 12, 3497; T.A.R. Veneto, 20 novembre 2003, n. 5778, in Urb. app., 2004, 455; T.A.R. Lazio, Roma, 16 giugno 2003, in Foro amm. TAR, 2004, 2972 ss.; T.A.R. Puglia, Lecce, 18 aprile 2002, n. 1569, in

Giust. amm., 2002, 62.

[3] Cass. civ., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, in Dir. e giust., 32, 2016, 4, con nota di Coticelli,

Prescrizione decennale per la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione; in Eur. dir. priv. 3, 2017, 1128, con nota di Albanese, La lunga marcia della responsabilità

precontrattuale: dalla culpa in contrahendo alla violazione di obblighi di protezione; in Riv. not.,

2017, 776, con nota di Rinaldo, Il contatto sociale qualificato nella controversa natura della

responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione.

[4] Secondo Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, in Urb. app., 2001, 757, per effetto dell'avvio del procedimento si instaura tra le parti un significativo contratto implicante

l'insorgenza di autentici doveri in capo al soggetto pubblico, tenuto a fornire ogni necessaria garanzia di partecipazione al procedimento, che non esclude i profili di responsabilità

precontrattuale nell’ipotesi di una loro violazione; in senso adesivo, Sez. V, 6 agosto 2001 n. 4239, in Danno e resp., 2002, 183, con nota di Carbone, Il giudice amministrativo adotta la

responsabilità da “contatto procedimentale”.

[5] La nozione di buona fede in senso soggettivo è indicata all’art. 1147 c.c., il quale si riferisce al possessore di buona fede, ed esprime lo stato soggettivo di ignoranza di ledere un altrui diritto, da non confondere, perciò, come momento psicologico soggettivo, che dovrà essere sempre provato. La buona fede in senso oggettivo, o buona fede contrattuale, fa invece riferimento alle regole di correttezza alle quali attenersi nell’adempimento delle obbligazioni (art. 1175 c.c.), nell’esecuzione del contratto (1375 c.c.), nonché, ed è questo l’ambito di applicazione del presente lavoro, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.).

[6] T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23 marzo 2017, n. 515, in iusexplorer.it. Nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ricondotto l'atto di autotutela determinante l'annullamento della gara alle numerose contraddittorietà delle previsioni della lex specialis predisposta dalla stazione appaltante. Tale circostanza, secondo il T.A.R., implica “di per sé la violazione degli obblighi nei confronti dei soggetti che, nel quadro del procedimento amministrativo, abbiano fatto affidamento sulla correttezza, buona fede e professionalità dell'amministrazione che ha

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indetto la procedura concorsuale”, riconoscendo al privato inciso dal provvedimento di autotutela il risarcimento del danno subito a titolo di responsabilità precontrattuale.

[7] Di diverso parere è Manganaro, Le amministrazioni pubbliche in forma privatistica:

fondazioni, associazioni, e organizzazioni civiche, in Dir. amm., 2014, 73 ss., il quale nega

un’assimilazione tra il precetto di buona fede e quello d’imparzialità descritto all’art. 97 Cost., il quale finirebbe, in tal modo, per venirne svilito.

[8] Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Riv. dir. trib., 4, 2001, 229, con nota di Marini; in

Foro it., 2000, I, 3397, con nota di Annecchino.

[9] Secondo Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525, in www.giurcost.org, è precisamente il principio d’imparzialità prescritto dall’art. 97 Cost. a imporre alla pubblica amministrazione comportamento neutrale nei confronti di qualsivoglia soggetto coinvolto dall’azione

amministrativa, consentendo, in definitiva, di realizzare “una esplicazione effettiva del principio di uguaglianza […] e del principio di ragionevolezza che impone il rispetto del legittimo affidamento”.

[10] L’art. 1, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212 stabilisce espressamente che “[i] rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

[11] Merusi, La certezza dell'azione amministrativa fra tempo e spazio, in Dir. amm., 2002, 527.

[12] Cass. civ., Sez. trib., 17 aprile 2013, n. 9308 e 13 ottobre 2011, n. 21070, in CED Cassazione, 2013 ed in Giust. civ. Mass., 2011, 1441.

[13] Per un’ampia ricostruzione del tema si rinvia a Bianca, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014, 397; Bellomia, La responsabilità precontrattuale tra contrattazione civile, del consumatore e

di impresa, Milano, 2012, 117 ss. P. Gallo, Contratto e buona fede, Milano, 2009, 127 ss.;

Sapone, La responsabilità precontrattuale, Milano, 2008. Per la corretta comprensione delle fasi evolutive dell’istituto, va richiamato il pregevole contributo di M.S. Giannini, La

responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, Milano, 1963, III, 261 ss.

[14] Jhering, Culpa in contrahendo oder Schadenersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection

gelangten Verträgen (1860) in Ihering, Gesammelte Aufsätze (1881). L’analisi del giurista tedesco

muove dalla fattispecie della compravendita di cose sacre, la cui qualificazione rendeva per il diritto romano nullo il contratto anche se il venditore non ne fosse a conoscenza. Al

compratore veniva perciò concessa un’actio in factum’ per i danni patiti in conseguenza dell’invalidità, quasi ex empto, come se il contratto fosse valido”. Jhering matura, pertanto, l’idea che nonostante il contratto sia invalido per la qualità delle cose vendute, in realtà l’azione concessa al contraente presenta la stessa natura di quella nascente dal contratto. Il giurista, registrata l’insufficienza del sistema tedesco incentrato sulla tipicità dei rimedi delittuali romani, elabora una azione risarcitoria generale che riconduce nell’alveo della responsabilità contrattuale.

[15] Particolare attenzione è stata rivolta in dottrina sulla questione se tale dovere

comportamentale si riferisca alle cause di invalidità in senso stretto, e dunque alle tradizionali ipotesi di nullità ed annullabilità, oppure anche ad eventuali cause di inefficacia o inesistenza

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del contratto, denotando un atteggiamento favore verso l’ampliamento della casistica riconducibile al precetto codicistico. In particolare, l’inesistenza si fa comunemente risalire alla dottrina francese che, per superare il rigido principio «pas de nullités sans texte», la

introdusse nella patologia del negozio. Sull’errore di prospettiva dell’inesistenza come species della invalidità si rinvia a Tommasini, voce Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XXVIII, Milano 1978, 878. La giurisprudenza tende ad includere le predette figure nell’alveo concettuale dell’invalidità; cfr. Cass. civ., Sez. VI, 13 marzo 2014, n. 5830, in iusexplorer.it. Sul punto si veda ampiamente Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 2002, 356 ss.

[16] Lungo questa linea, infatti, l'art. 1338 del codice civile italiano del 1942 si appresterà a disporre: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di

invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”. Per

un’evoluzione diacronica della responsabilità precontrattuale in Germania si rinvia a Fava, Il

contratto, Milano, 2012, 138 ss., che evidenzia come la tesi della contrattualità sia

l’impostazione seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesca sulla scia degli

insegnamenti di Jhering, e sia stata recentemente confermata attraverso l’introduzione nel 2002 del nuovo § 311 del BGB.

[17] Faggella, Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, Studi

giuridici in onore di C. Fadda, III, Napoli, 1906, 273 ss.

[18] Il codice del consumo, emanato con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 in attuazione della normativa comunitaria a tutela dei consumatori, prevede all’art. 36, quale rimedio avverso pratiche commerciali scorrette, una nullità speciale di protezione, disposta nell’interesse del consumatore, sempre relativa e parziale qualora egli volesse conservare il contratto. V. D’Amico, Nullità virtuale e di protezione, variazioni sulla nullità, in Contratti, 2008, 732.

[19] Art. 2.1.15.

[20] Art. 2:301.

[21] Castronuovo, Vaga culpa in contrahendo: invalidità, responsabilità e la ricerca della chance

perduta, in Europa e dir. priv., 1, 2010.

[22] Cirillo, L’azione amministrativa sospesa tra regole di invalidità e regole di responsabilità, in

www.giustizia-amministrativa.it.

[23] Cass. civ., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, in CED Cassazione, 2016.

[24] Mentre nella dottrina romana più antica, in conformità alla definizione gaiana di

obbligazione come "iuris vinculum", la classificazione delle fonti delle obbligazioni si riduceva al dualismo tra obligationes ex contractu o ex maleficio ed obligationes ex delicto, la

giurisprudenza successiva, impersonata nella figura del praetor peregrinus, concepì una terza fonte, configurando un'obbligazione da atto lecito, anche in assenza di un negozio bilaterale. Tale opzione ermeneutica trovo?, infine, un coronamento nel Digesto giustinianeo, nel quale alle obbligazioni ex contractu ed a quelle ex delicto o ex maleficio, si affiancarono le obligationes

ex variis causarum figuris, che divennero, poi, nelle successive Istituzioni, obligationes quasi ex contractu.

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[25] L’articolo 1173 c.c. individua, proprio sulla scorta dell’insegnamento giustinianeo, accanto al contratto ed al fatto illecito, una terza fonte di obbligazioni, rappresentata da "ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”, divenendo, nei decenni, la base normativa per la costruzione della teoria del “contatto sociale qualificato” come fondamento giuridico della responsabilità precontrattuale.

[26] Nelle elaborazioni del common law si è assistito al progressivo distacco del contract dal tronco unitario ed originario dei torts, fino a divenire una figura di riferimento prevalente, nell'ambito della responsabilità civile, rispetto alla prima. Dubbi sui risultati conseguiti nel mondo anglosassone e, in particolare, in quello americano, sulle figure di contract e torts, in mezzo ai quali sembra affermarsi “la terra di nessuno”, sono avanzati da Foglia, Duty to prevent the suicide? I confini dell'obbligo di protezione in capo all'insegnante, nota a Tribunale

Catanzaro, 18 giugno 2009, Sez. I, in Resp. civ. prev., 1, 2010, 154.

[27] Per una attenta riflessione sull’istituto dei “quasi contratti” ed in generale sui rimedi restitutori: P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti, in Trattato di diritto civile. Le

fonti delle obbligazioni, diretto da R. Sacco, Milano, 2008.

[28] La vicenda processuale trae origine dalla richiesta di condanna del Ministero della difesa al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata approvazione, ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 19, di un contratto di appalto. Sia il giudice di prime cure che la Corte d'appello rigettavano la domanda, inquadrando la fattispecie di responsabilità

precontrattuale - derivante dalla mancanza di efficacia del contratto di appalto in questione, per mancato avveramento della condicio iuris rappresentata dall'approvazione da parte dell'autorità tutoria - nel modello della responsabilità di tipo aquiliano, e dichiaravano, di conseguenza, prescritto, per decorso del termine quinquennale ex art. 2947 c.c., il diritto di credito vantato. La questione circa la definizione del termine di prescrizione - quinquennale o decennale - entro il quale poter azionare la richiesta di risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale, acquista, in tal modo, rilievo ai fini ricostruttivi e diviene l’occasione per ridefinire i presupposti e la natura del dell'istituto.

[29] In senso contrario alla ricostruzione della culpa in contrahendo in termini di contatto sociale qualificato si vedano D. Atanasio Sisca – M. Noto, La responsabilità precontrattuale della

P.A., in www.lexitalia.it, n. 12/2017, che ritengono insufficiente il rilievo secondo cui basterebbe

un mero contatto tra due parti giuridiche perché nasca un rapporto obbligatorio. Tale impostazione soffre, tuttavia, il limite di non considerare, come invece messo in luce dai giudici di legittimità, che non ogni contatto è idoneo a generare aprioristicamente

un’obbligazione risarcitoria precontrattuale. Ed infatti, soltanto un contatto qualificato, ossia connotato da uno scopo che, per il suo tramite, le parti intendano perseguire, può ambire a costituire il modello dei rapporti obbligatori di fonte non contrattuale a presidio dell’altrui libertà negoziale.

[30] Albanese, op. cit., 1128.

[31] Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 110 ss.

[32] Albanese, op. cit., 1128. Una diversa configurazione del contatto sociale finirebbe, infatti, “per snaturare la stessa categoria dogmatica dell’obbligo, che si distingue concettualmente

(20)

dal dovere in senso stretto non solo per il suo essere diretto a vantaggio di una persona

determinata, ma anche per il suo porsi in correlazione con il diritto soggettivo del medesimo”.

[33] Liberati, Responsabilità pre-contrattuale nei contratti pubblici, Torino, 2009, 10, che rileva una connessione tra tale impostazione e la distinzione concettuale tra “atti d’imperio” e “atti di gestione” sopravvissuta fino all’inizio del XX secolo, la quale limitava la responsabilità della pubblica amministrazione nel suo agire iure privatorum, estendendo all’esercizio del potere sovrano una responsabilità soltanto di tipo politico. La dicotomia fra atti di imperio e di gestione è stata valorizzata nuovamente dalla giurisprudenza in ordine alle questioni di giurisdizione insorti all’indomani della privatizzazione del pubblico impiego ad opera del d.lgs.165/2001. Di recente: T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 7 marzo 2016, n. 76, in

www.giustizia-amministrativa.it, che include nell’alveo degli atti d'imperio la modifica alla

pianta organica e al piano triennale delle assunzioni; negli atti di gestione privatistica del rapporto di lavoro la mancata assunzione a seguito della procedura di mobilità.

[34] Cass. civ., Sez. un., 12 luglio 1961, n. 1675, in Foro it., 1962, I, 96. Con tale pronuncia si afferma il principio per cui spetta al giudice ordinario accertare se la p.a. con il suo

comportamento abbia ingenerato nei terzi un ragionevole affidamento, poi andato deluso, in ordine al corretto espletamento delle negoziazioni. L’accertamento della buona fede in

questo contesto, infatti, “non è rivolto ad accertare se la P.A. si sia comportata da corretto amministratore (…) ma verte unicamente sull’adempimento del dovere civilistico della stessa Amministrazione di agire da corretto contraente”. Cfr. Cass. civ., Sez. un., 6 ottobre 1993, n. 9892, in Giur. it. 1995, I,1, 96, con nota di De Luca.

[35] Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831, in Riv. giur. ed. 2013, 5, I, 925. Secondo il giudice amministrativo, non sarebbe possibile “scindere il momento di sviluppo del procedimento negoziale limitando l'applicazione delle regole di responsabilità precontrattuale alla fase in cui il contatto sociale viene individualizzato con l'atto di

aggiudicazione” perché, diversamente, l’interprete sarebbe costretto a scomporre idealmente un comportamento che si presenta unitario e che non può che essere valutato nella sua complessità. Si ammette espressamente, perciò, che la valutazione giudiziale può avere ad oggetto anche la condotta della p.a. che precede la scelta del contraente.

[36] Cass. civ., Sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in Resp. civ. e prev. 2003, 735, con nota di Rolando.

[37] Liberati, op. cit., 218.

[38] Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945, in Riv. giur. ed., 2003, I, 1547. In dottrina: Nicolussi, Diritto soggettivo e rapporto giuridico. Cenni di teoria generale tra diritto privato e

pubblico, in Eur. dir. priv., 4, 2014, 1191: “L'obbligazione non implica quindi necessariamente

un obbligo di prestazione, e la responsabilità per violazione di un rapporto obbligatorio può essere già ravvisabile nella violazione di un obbligo di correttezza funzionale all'interesse di protezione dei soggetti coinvolti dal procedimento o provvedimento della p.a. Viene in considerazione quindi una posizione giuridica, quella del soggetto protetto dall'obbligo di protezione, che riceve significato esclusivamente all'interno del rapporto e che non aggiunge pretese ulteriori come se si trattasse dell'attribuzione di un diritto soggettivo autonomo”.

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[39] Bertonazzi, La tutela dell’affidamento nelle procedure selettive, in Dir. proc. amm., 2010, 39.

[40] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 7 luglio 2003, n. 5991, in Foro amm. TAR, 11, 2003, 324, con nota di Zuccheretti.

[41] Bertonazzi, op. cit., 39, sottolinea il carattere isolato della menzionata pronuncia e del suo contributo “creativo”. L’Adunanza plenaria (dec. n. 6/2005) e la Sez. IV del Consiglio di Stato (dec. n. 920/2005), infatti, non accolgono la ricostruzione proposta dal T.A.R. Lazio, scorgendo la ragione giustificatrice dell'annullamento giurisdizionale della revoca della gara, disposto dal giudice di primo grado, in “vizi relativi alla sua motivazione”. Secondo quest’ultima prospettiva si esclude che la genesi dell'illegittimità della revoca risieda (in via esclusiva o anche soltanto concorrente) nell'illiceità della complessiva condotta dell'amministrazione in quanto

divergente dal canone della correttezza, e questo in quanto il parametro per giudicare della legittimità o meno della revoca è a carattere esclusivamente pubblicistico, mentre ha natura privatistica quello per giudicare della liceità/illiceità del comportamento complessivo

dell'amministrazione, in termini di sua aderenza o meno alle regole di correttezza e buona fede oggettiva nella fase precontrattuale.

[42] Cons. Stato, Sez. VI, 26 settembre 2003, n. 5495, in Giorn. dir. amm., 2004, 403, con nota di Macchia.

[43] In senso conforme: Cons. Stato, Sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137, in Urb. app., 2008, 461, con nota di Casoli.

[44] Per una ampia ricostruzione sul tema e sulla distinzione tra attività da comportamento e da provvedimento amministrativo Giovagnoli, Il risarcimento del danno da provvedimento

illegittimo, Milano, 2010, 261.

[45] Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003 n. 1457, in Urb. app., 2003, 943, con nota di Racca. Mentre è legittimo il diniego di approvazione degli atti di una gara d'appalto, motivato con riferimento alla mancanza dei fondi necessari per la realizzazione dell'opera, residua una responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante per non aver disposto il rinvio della gara medesima nel momento in cui è stato accertato o poteva essere accertato il venir meno della copertura finanziaria. Cfr. M.S. Giannini, op. cit., 159, dove si avverte, rispetto alle pronunce che ammettono la responsabilità precontrattuale della p.a. anche in presenza di attività provvedimentale legittima, un atteggiamento maggiormente volto a misurare il contatto dei pubblici poteri con il cittadino secondo i canoni del principio di autorità e della presunzione di legittimità dell'atto amministrativo. Secondo l’A., infatti, sino a che

l’amministrazione usa legittimamente un potere - discrezionale - che le è attribuito, non viola né diritti né interessi legittimi, ma compie un atto lecito, non potendo incorrere in

responsabilità di alcuna sorta.

[46] Cons. Stato, Sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633, Foro amm. CDS, 2013, 2, 493: “La

responsabilità precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l'agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui violazione discende l'illegittimità dell'atto. Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in particolare del principio generale di buona fede in senso oggettivo dell'art. 1337 cod. civ.) che trattano del "comportamento" precontrattuale, ponendole in capo alla

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