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Gunpowder. Proposta di adattamento per il doppiaggio degli episodi 1 e 2.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

Gunpowder.

Proposta di adattamento per il doppiaggio degli episodi 1 e 2

CANDIDATO

RELATORE

Alessandra Arata

Chiar.ma Prof.ssa Silvia Bruti

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Silvia Masi

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Tradurre significa conoscere a fondo i meccanismi di una lingua, scardinarli e ricomporli come in un’architettura complessa

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INDICE

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1: LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA 7

1. IL TESTO AUDIOVISIVO 7

1.1. Alcuni cenni sull’audiovisivo 7

1.2. La traduzione audiovisiva 9

1.2.1. Le diverse tipologie 9

1.2.2. La situazione europea 12

1.3. Il doppiaggio 16

1.3.1. Le figure professionali del doppiaggio 16

1.3.2. Le fasi del doppiaggio 18

1.3.3. Caratteristiche e problematiche del doppiaggio 19 1.3.4. Doppiaggio o sottotitolazione? 22 1.3.5. Indicazioni tecniche utilizzate nell’adattamento dei dialoghi 23

1.4. Il caso italiano 26

1.4.1. I cambiamenti del doppiaggio in Italia 28

CAPITOLO 2: GUNPOWDER 31

2. LA SERIE TELEVISIVA GUNPOWDER 31

2.1. La Congiura delle Polveri 32

2.2. I personaggi principali 36

2.3. Gli episodi 39

CAPITOLO 3: IL LINGUAGGIO 42

3. CARATTERISTICHE LINGUISTICHE DI GUNPOWDER 42

3.1. Il Modern English 42

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2 3.2. Il linguaggio cinematografico 49 3.3. Il doppiaggese 54 CAPITOLO 4: EPISODIO 1 59 4. PROPOSTA DI DOPPIAGGIO 59 CAPITOLO 5: EPISODIO 2 104 5. PROPOSTA DI DOPPIAGGIO 104

CAPITOLO 6: COMMENTO LINGUISTICO-TRADUTTOLOGICO 144

6. STRATEGIE TRADUTTIVE E COMMENTO ALLA TRADUZIONE 144

6.1. Teorie e strategie traduttive 144

6.1.1. Source-oriented o target-oriented? 148

6.2. Commento traduttologico 149

6.2.1.1. Problematiche principali 154

6.2.1.2. Stile e registro 154

6.2.1.3. Termini dispregiativi 156

6.2.1.4. Titolo della serie 157

6.2.1.5. Allocutivi 158

6.2.1.6. Appellativi 160

6.2.1.7. Nomi dei personaggi 164

6.2.1.8. Toponimi 164 6.2.1.9. Unità di misura 165 6.2.1.10. Interiezioni 166 6.2.1.11. Prestiti e calchi 166 6.2.1.12. Elementi culturo-specifici 168 6.2.1.13. Espressioni idiomatiche 171 CONCLUSIONI 174 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 177 Bibliografia 177

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3

Audiovisivi 182

Sitografia 183

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INTRODUZIONE

Questa tesi si concentra sull’adattamento per il doppiaggio dei dialoghi dei primi due episodi della miniserie televisiva inglese Gunpowder, nella quale vengono raccontati gli avvenimenti storici legati alla congiura delle polveri, svoltasi il 5 novembre del 1605 a Londra.

La scelta di tradurre un testo audiovisivo è dovuta principalmente alla mia passione per i film e le serie televisive, che mi ha da sempre portato a notare le differenze esistenti tra i dialoghi in lingua originale e quelli doppiati in italiano.

Per di più, il grande sviluppo delle industrie televisiva e cinematografica ha fatto sì che i prodotti audiovisivi siano diventati il mezzo d’intrattenimento più popolare e di successo a livello internazionale. Negli ultimi decenni, infatti, il numero di opere che necessitano di essere adattate nelle diverse lingue straniere è in costante aumento.

L’obiettivo principale della traduzione audiovisiva è quello di riuscire a superare non solo le differenze linguistiche, ma soprattutto le barriere culturali esistenti tra il paese in cui l’opera è stata prodotta e quello in cui verrà successivamente distribuita.

Al momento della scelta dell’oggetto di questo lavoro ho deciso di optare per un prodotto che non fosse stato ancora doppiato e presentato al pubblico italiano in modo da avere meno pregiudizi e meno influenze possibile da una traduzione già esistente.

In sede di adattamento per il doppiaggio è di fondamentale importanza analizzare il linguaggio presente nell’opera, ossia quello usato per i dialoghi originali e chiamato linguaggio cinematografico o filmese. Si tratta dell’unico elemento che può essere adattato e modificato durante il processo traduttivo.

Inoltre, siccome Gunpowder rientra nella tipologia della fiction in costume, si è ritenuto opportuno analizzare anche la lingua parlata in Inghilterra durante il 1600, l’Early Modern English. Di quest’ultima si sono illustrate le caratteristiche principali per verificare in seguito quali di questi tratti sono stati scelti per rappresentarla nei dialoghi della serie.

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Il presente elaborato è diviso in due parti. La prima è di carattere teorico e si suddivide in tre capitoli. Nel primo si riflette sulla traduzione audiovisiva (TAV) in generale: dalla definizione di prodotto audiovisivo e di TAV si passa ad illustrare le diverse modalità esistenti e le loro caratteristiche principali. In seguito, si forniscono informazioni sulla situazione europea, ovvero quali sono i Paesi che si dedicano alla sottotitolazione e quali sono quelli che adottano il doppiaggio e per quali ragioni.

Si sposta poi l’attenzione sull’argomento centrale di questa tesi, ossia il doppiaggio, illustrando le diverse fasi del lavoro, le figure professionali che concorrono alla realizzazione dell’adattamento di un’opera, le principali problematiche legate a questa tipologia e il confronto con la sottotitolazione.

La parte finale si occupa del caso specifico italiano: dalla nascita del doppiaggio nel nostro paese ai diversi mutamenti linguistici da esso subiti fino a oggi.

Nel secondo capitolo entriamo nel vivo del lavoro con la presentazione della trama della serie televisiva Gunpowder. Visto che i prodotti televisivi non possono essere totalmente fedeli e accurati all’epoca in cui sono ambientati soprattutto a causa dei vincoli spazio-temporali imposti dalle reti televisive, si è deciso di dedicare un paragrafo alla descrizione degli eventi storici legati ai primi anni del regno di Giacomo I. Si passa poi a una breve descrizione dei principali personaggi coinvolti, e a un riassunto dei primi due episodi.

Il terzo capitolo si sofferma sui linguaggi del testo di partenza (o source text) e di quello di arrivo (o target text): il Modern English, il linguaggio filmico, o filmese, e il

doppiaggese.

Gunpowder tratta eventi svoltisi nei primi anni del 1600, periodo in cui la lingua

inglese aveva subito importanti modifiche a causa di numerosi fattori quali la scoperta dell’America, lo sviluppo della stampa, l’influenza francese, latina e greca, etc. Si proceda quindi a delineare le caratteristiche linguistiche fondamentali dell’Early

Modern English.

Prima di discutere le scelte traduttive, è parso opportuno analizzare il linguaggio filmico o filmese, la varietà linguistica usata nei prodotti audiovisivi e considerata una lingua prefabbricata che, pur mirando a riprodurlo, si discosta dal parlato spontaneo. Infine, si considera anche la natura del doppiaggese, una lingua che ricrea l’oralità simulata del prodotto originale per favorire la circolazione dei prodotti cinematografici oltre i confini nazionali. È una varietà criticata da molti perché giudicata come:

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“un trucco, una convenzione, un’arte d’intarsio che si propone di sostituire a voci e parole pronunciate in un certo modo e in una data lingua, altre voci in un’altra lingua, tentando allo tempo stesso di mantenere l’illusione di un tutt’uno organico, aggiungendo cioè illusione all’illusione congenita del cinema.” (MALAGUTI 2004: 74).

Nella seconda parte della tesi discuto la mia proposta di adattamento per i primi due episodi di Gunpowder, commentando le scelte operate.

Per entrambi gli episodi una tabella a tre colonne riporta nella prima i nomi dei personaggi, nella seconda i dialoghi in lingua originale e nell’ultima la proposta di dialoghi in italiano, con alcune indicazioni e didascalie utilizzate.

L’ultimo capitolo, come si diceva, comprende l’analisi del testo di partenza e il commento traduttologico, in cui si presentano le principali difficoltà emerse durante la traduzione dei dialoghi originali e le strategie traduttive adottate per ognuna di esse.

A titolo di confronto si è inoltre deciso di analizzare il doppiaggio italiano di due fiction in costume, Medici: Masters of Florence (2016) e Borgia (2011). Questa comparazione ha l’obiettivo di mettere in luce quali caratteristiche della lingua italiana vengono selezionate dagli adattatori dialoghisti e riprodotte nell’adattamento delle rappresentazioni storiche.

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CAPITOLO 1:

LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA

Il doppiaggio è un’arte tecnica che deve far sognare e far esprimere i desideri degli attori. Far vivere liberamente quelle che sono le emozioni delle persone

nel caso della nostra materia.

(Roberto Pedicini)

1. IL TESTO AUDIOVISIVO

1.1. Alcuni cenni sull’audiovisivo

Il termine audiovisivo è definito dal dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti come:

uno strumento che permette di vedere immagini e contemporaneamente ascoltare suoni riprodotti1.

In questa categoria rientrano tutti quei prodotti che vengono distribuiti in diretta, in differita e on demand da cinema, televisione, radio, Internet, oppure in modalità off line su supporti video o digitali.

Grazie al forte sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, il prodotto audiovisivo è diventato il mezzo di intrattenimento che gode di maggior familiarità tra la popolazione mondiale. Una grande parte di questi prodotti è concepita e creata in una lingua diversa dall’italiano e arriva al pubblico sotto forma di fiction come film, sitcom, sceneggiati, serie drammatiche, film TV, cartoni animati, etc.

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Per ottenere una più ampia commercializzazione e raggiungere il maggior numero di utenti possibili, i prodotti audiovisivi richiedono una traduzione adeguata, che tenga conto delle differenze linguistiche e culturali esistenti tra le diverse lingue. A tal proposito, entrano in gioco le figure dell’adattatore dialoghista e del sottotitolatore che, se da un lato devono essere creativi ed estrosi, dall’altro devono sia garantire l’accuratezza del prodotto affinché le regole della multimedialità vengano rispettate, sia riuscire a veicolare nella lingua d’arrivo lo stesso messaggio presente nell’opera originale.

Il testo audiovisivo è infatti complesso perché in esso agiscono simultaneamente più codici e più canali. Svolgono un ruolo principale il canale audio-orale, attraverso il quale viene trasmesso il linguaggio, appunto, orale (compresi la musica, i suoni e i rumori) e il canale visivo, come le immagini, la mimica, i gesti e anche tutti quei messaggi verbali che compaiono sullo schermo (insegne, didascalie, lettere e SMS).

L’audiovisivo è quindi descritto come un sistema semiotico complesso (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 1) che per poter essere tradotto deve essere scomposto nelle sue parti costituenti e ricostruito in modo equivalente. Il traduttore non sempre ha la possibilità di modificare le immagini o gli altri aspetti del codice non verbale, perciò opera sull’unica parte modificabile e manipolabile, i dialoghi, fortemente ancorati alla cultura di appartenenza del prodotto (PAVESI 2005: 9). Tuttavia, vi sono casi in cui l’adattamento risulta essere più lungo rispetto al dialogo originale, così come si possono avere difficoltà a farlo corrispondere ai movimenti del corpo o delle labbra. L’adattatore è allora costretto ad apportare alcune modifiche attraverso l’uso di programmi specifici in grado di manipolare le immagini che vengono proiettate sullo schermo: in questo modo si riuscirà a ottenere un dialogo verosimile e spontaneo anche nella lingua d’arrivo (MINUTELLA 2009: 36).

La dipendenza dai codici non verbali e dal mondo rappresentato sullo schermo ha fatto sì che gli studiosi di traduzione audiovisiva definissero questa tipologia traduttiva una “traduzione vincolata” (PAVESI 2005: 12).

Con il termine traduzione audiovisiva si indicano “tutte le modalità di trasferimento linguistico che si propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi” (PEREGO 2005: 7), ossia tutti quei prodotti che utilizzano il canale acustico e quello visivo per trasmettere i contenuti a un pubblico sempre più vasto. Spesso ci si riferisce a questo tipo di traduzione utilizzando l’acronimo inglese AVT (Audiovisual Translation) oppure a quello italiano TAV.

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Inoltre, quando parliamo di testo audiovisivo non ci riferiamo solamente a film e serie televisive, ma anche a videogiochi, documentari e pubblicità. In tutti e tre i casi troviamo una voce narrante, che svolge il compito di accompagnare il fruitore: nel primo esempio è solo grazie a essa che il giocatore riuscirà a portare a termine la missione e a completare il gioco; nel secondo caso la narrazione parlata è utile a spiegare e a raccontare allo spettatore le immagini e filmati trasmessi; nell’ultimo caso serve invece a trasmettere il messaggio pubblicitario nel modo più incisivo possibile per fini commerciali.

1.2. La traduzione audiovisiva

Gli studi sulla TAV hanno iniziato a svilupparsi solamente tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, quando in Europa venne intrapresa una politica atta a dare maggiore importanza alle minoranze linguistiche e a promuovere attraverso i media le identità linguistico-culturali.

Oggi la traduzione audiovisiva è diventata una vera e propria disciplina studiata anche in ambiente universitario, fattore fondamentale per ottenere una migliore qualità della traduzione. In questo modo, infatti, gli adattatori dialoghisti e i sottotitolatori possono apprendere le basi già in fase di formazione.

1.2.1. Le diverse tipologie

La traduzione audiovisiva prevede diverse modalità di trasferimento linguistico. Secondo il linguista francese Yves Gambier esistono tredici diverse tipologie: sottotitolazione interlinguistica, doppiaggio, interpretazione consecutiva, interpretazione simultanea, voice-over, commento libero, traduzione simultanea, produzione multilingue, traduzione degli script, sottotitolazione simultanea, sopratitolazione, descrizione audiovisiva e sottotitolazione intralinguistica per non udenti.

La scelta del metodo traduttivo può dipendere da numerosi fattori, per esempio la tipologia di trasmissione, il pubblico destinatario o i fondi disponibili da investire in questa operazione. Attualmente, per motivazioni che vedremo in dettaglio più avanti, le

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forme più diffuse sono la sottotitolazione, il doppiaggio, il voice-over e il commento libero.

La sottotitolazione si divide in tre tipologie distinte: sottotitolazione interlinguistca, sottotitolazione simultanea e sottotitolazione intralinguistica per non udenti.

Nella sottotitolazione simultanea i sottotitoli vengono creati in tempo reale, contemporaneamente alla messa in onda del programma. In essa collaborano un interprete-traduttore, che fornisce una traduzione limitata del testo di partenza, e un tecnico, incaricato di scrivere velocemente ciò che il telespettatore riceverà sotto forma di sottotitolo. Questa tecnica si usa in caso di notizie dell’ultimo minuto o per le interviste in diretta (PEREGO 2005: 32).

I sottotitoli intralinguistici, invece, comportano un trasferimento in forma scritta e ridotta dei dialoghi della colonna sonora originale. È chiamata intralinguistica in quanto la traduzione è realizzata nella stessa lingua del prodotto.

Questa tipologia è rivolta principalmente a persone con deficit di tipo uditivo, le quali senza il supporto del sottotitolo non potrebbero comprendere ciò che sta avvenendo sullo schermo. Si differenzia dalle altre due varietà in quanto in essa vengono inserite informazioni aggiuntive (tra cui rumori o suoni particolari), il ritmo di lettura è più lento, le strutture sintattiche sono più semplici e viene stabilito un colore di sottotitolo per ogni personaggio presente nell’opera (ivi: 61).

Possiamo trovare esempi di sottotitolazione intralinguistica anche in alcuni film italiani, quando i dialoghi in dialetto vengono tradotti in italiano standard (MINUTELLA 2009: 10) per poter essere compresi dallo spettatore medio. È il caso di “L’intervallo” (2012, Leonardo Di Costanzo) tutto recitato in stretto dialetto napoletano o di “È stato il figlio” (2012, Daniele Ciprì) dove i protagonisti si esprimono in dialetto siciliano.

D’ora in poi con i termini sottotitolazione e sottotitoli ci riferiremo esclusivamente alla sottotitolazione interlinguistica.

I sottotitoli “sono stringhe di testo scritto che vengono sovrapposte alle immagini di un prodotto audiovisivo, solitamente nella parte inferiore dello schermo” (BRUTI 2011: 147). Sono trasmessi simultaneamente alle immagini e ai dialoghi originali ed è per questo motivo che sono soggetti a vincoli spazio-temporali. Essi contengono un numero di caratteri compreso tra trenta e quaranta (spazi inclusi), disposti su due linee di testo. La loro permanenza varia da un minimo di un secondo e mezzo a un massimo di sette secondi (ivi: 148).

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La durata dell’esposizione è inoltre legata ad alcuni fattori, come la velocità dell’eloquio o l’intensità dei dialoghi. A causa di questi vincoli, il testo di partenza subisce sempre una riduzione compresa tra il 40 e il 70%.

Il doppiaggio prevede la sostituzione della colonna sonora originale con una nuova nella lingua d’arrivo, registrata tramite le voci degli attori doppiatori. Questo processo si divide in più fasi: la traduzione dello script originale, l’adattamento dei dialoghi nella lingua d’arrivo rispettando il sincronismo (soprattutto quello labiale), la registrazione dei dialoghi da parte degli attori-doppiatori e infine la sovrapposizione della colonna doppiata con la colonna internazionale.

Vi sono casi in cui l’adattatore dialoghista ha una conoscenza della lingua e della cultura di partenza dell’opera tale da poter effettuare lui stesso in un unico momento le prime due fasi, ossia la traduzione dello script e l’adattamento dei dialoghi, senza dover ricorrere all’aiuto di un traduttore.

Il doppiaggio è l’unico metodo in grado di permettere un’illusione cinematografica quasi totale: se esso è ben riuscito, lo spettatore non avrà l’impressione di guardare un’opera tradotta.

Il voice-over o voce fuori campo è molto simile al doppiaggio, in quanto consiste nella “sovrapposizione di una o più voci alla colonna sonora originale” (PEREGO 2005: 28). Questa modalità, tipica del genere documentario o dei programmi d’informazione, prevede una risonorizzazione, in cui la voce narrante parla nella lingua d’arrivo con una lieve sfasatura temporale rispetto alla lingua originale, che continua a essere percepibile per tutta la durata della comunicazione, ma a un volume più basso.

È prevalentemente diffuso nell’Europa orientale ed è anche definito semidoppiaggio o half-dubbing.

In Italia si ricorre al voice-over solamente in occasione di eventi internazionali trasmessi in diretta. Tra i più conosciuti ricordiamo la cerimonia degli Oscar.

Il commento libero è una tecnica simile al voice-over ma, al contrario di questa, ammette una maggiore libertà e flessibilità. Viene usato per i documentari o per i cortometraggi nei casi in cui la cultura di arrivo e quella di partenza sono alquanto distanti. Non essendoci vincoli spazio-temporali, nel prodotto finale si possono aggiungere o eliminare informazioni ogni qualvolta si ritiene opportuno, creando così una vera e propria nuova versione del testo originale. La lingua usata per il commento è caratterizzata da strutture sintattiche semplici con una predilezione per proposizioni coordinate e brevi.

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1.2.2. La situazione europea

Come si è detto in precedenza, nonostante esistano diverse tipologie di traduzione audiovisiva, le più usate nel continente europeo sono il doppiaggio, la sottotitolazione e il voice-over.

Dalla cartina 1 (p.13) possiamo vedere che oggi l’Europa si divide principalmente in due blocchi: da una parte vi sono i paesi che sottotitolano, ossia il Regno Unito, il Benelux, i Paesi scandinavi, la Grecia e il Portogallo, e dall’altra i paesi che doppiano, la Francia, l’Italia, la Germania, la Spagna (comunemente chiamati paesi FIGS) e l’Austria. In Europa Nord-Occidentale si ricorre al doppiaggio solamente “nei programmi per bambini di età inferiore ai sette anni, non ancora in grado di leggere” (DI FORTUNATO, PAOLINELLI 1993: 166).

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13 Cartina 1: Situazione europea

Doppiaggio esclusivamente per bambini, altrimenti solo sottotitoli.

Aree miste: Paesi che utilizzano occasionalmente il doppiaggio, altrimenti solo sottotitoli.

Voce fuori campo: Paesi che di solito utilizzano un lettore o una coppia di voci fuori

campo laddove è udibile la colonna sonora originale in sottofondo.

Doppiaggio generale: Paesi che utilizzano esclusivamente il doppiaggio sia per film sia per serie TV, anche per la situazione storica passata.

In Belgio vengono occasionalmente prodotte versioni proprie in dialetto, altrimenti si usa la sottotitolazione. La regione francofona della Vallonia e la regione germanofona del Belgio Orientale usano esclusivamente il doppiaggio, sia per le opere cinematografiche, sia per le serie televisive.

Bielorussia e Slovacchia utilizzano occasionalmente il doppiaggio e in genere usano versioni doppiate di altri paesi poiché le loro lingue non sono così differenti le une dalle altre ed il pubblico è in grado di comprenderle senza problemi2.

2 https://it.wikipedia.org/wiki/Doppiaggio

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Va inoltre ricordato che la Francia è l’unico dei paesi FIGS in cui oltre alle versioni doppiate vengono distribuite anche le versioni originali3.

Belgio, Slovacchia, Polonia, Bielorussia e Irlanda costituiscono un’eccezione, poiché la maggior parte della produzione filmica distribuita coincide con prodotti nella lingua nazionale. Per quanto riguarda invece i film internazionali di maggiore successo, ossia i blockbuster, il Belgio e l’Irlanda scelgono la sottotitolazione, mentre Slovacchia, Polonia e Bielorussia optano per il doppiaggio.

I paesi che prediligono il doppiaggio hanno seguito ragioni protezionistiche nei confronti della propria lingua e questo è dovuto soprattutto a ragione storiche. Un esempio caratteristico è quello italiano dove, durante l’epoca fascista, fu proibito l’uso di lingue straniere nei film tramite una disposizione ministeriale del 1930, che recitava:

Il Ministero dell’Interno ha disposto che da oggi non venga accordato il nullaosta alla rappresentazione di pellicole cinematografiche che contengano del parlato in lingua straniera sia pure in misura minima. Di conseguenza, tutti indistintamente i film sonori, ad approvazione ottenuta, porteranno sul visto la condizione della soppressione di ogni scena dialogata o comunque parlata in lingua straniera (PEREGO 2005: 21).

La tendenza alla sottotitolazione deriva soprattutto da un numero più ristretto di spettatori (inferiore ai 15-20 milioni) che non coprirebbe gli elevati prezzi del doppiaggio. È stato stimato infatti che la sottotitolazione di un film costi circa dieci-quindici volte meno del doppiaggio dello stesso (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 37).

La scelta di doppiare o sottotitolare i film, però, non dipende esclusivamente da ragioni economiche o politiche, ma anche dall’abitudine degli spettatori acquisita in base all’interesse per le lingue e le culture straniere. La studiosa Martine Danan riporta che, secondo diversi studi “nei Paesi in cui la sottotitolazione è predominante il pubblico non considera i sottotitoli un elemento di disturbo e non è disposto ad accettare il doppiaggio” (1991: 607).

Se in Olanda il livello di conoscenza reale dell’inglese (principale lingua delle opere cinematografiche) raggiunge il 28% della popolazione, in Italia si arriva solamente al

3 CASTELLANO A., DI COLA G., Intervista a Mario Paolinelli e Eleonora Di Fortunato,

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7%. Infatti, nel nostro paese le opere doppiate rappresentano circa il 98% dei prodotti importati. Seguono la Francia con il 90% e Spagna e Germania con l’80%. Al contrario, l’Olanda sottotitola il 94% delle opere importate, seguita dalla Danimarca con il 77% e da tutti gli altri paesi europei con percentuali che vanno dal 92 al 53% 4.

Negli ultimi anni, però, anche nei paesi che prediligono il doppiaggio si sta assistendo a una richiesta sempre maggiore delle versioni originali dei prodotti audiovisivi. Il grande pubblico non ama più aspettare i tempi necessari per la buona riuscita di un doppiaggio, ma pretende di vedere i più famosi prodotti televisivi, in particolar modo quelli anglo-americani, poco dopo la loro première.

Questa nuova necessità del pubblico ha portato alla creazione della sottotitolazione amatoriale, meglio nota come fansubbing, una versione sottotitolata di un prodotto audiovisivo creata proprio dai fan: si tratta di numerosi gruppi di persone che si occupano di scaricare secondo vie non legali da internet il filmato originale, creare i sottotitoli nella loro lingua d’arrivo e distribuire il prodotto online.

Il 12 settembre 2018, il Parlamento Europeo, dopo mesi di discussioni, ha approvato la nuova direttiva per aggiornare le regole sul diritto d’autore nell’Unione Europea. Le modifiche hanno riguardato prevalentemente gli articoli 11 e 13, ovvero quelli considerati più controversi.

Di maggiore interesse per questo studio è l’articolo 13, che prevede che tutte le piattaforme online esercitino un controllo su ciò che viene caricato sia dai creatori del sito che dai loro utenti. Devono quindi essere esclusi tutti quei contenuti protetti dal diritto d’autore, in modo da favorire le case editrici, cinematografiche e discografiche5.

È per questo motivo che nei giorni successivi all’approvazione, la Federazione per la tutela di contenuti audiovisivi e multimediali (FAPAV) ha accusato e costretto a chiudere molti siti europei di fansubbing per aver violato i diritti sul copyright.

Tra quelli presenti in Italia ricordiamo Italiansubs, il quale dopo aver fornito gratuitamente per tredici anni consecutivi file di testo con sottotitoli in italiano per opere audiovisive come film, serie televisive e stand up comedy sincronizzati con audio e

4 Dati reperiti in PAOLINELLI M. (1994), Doppiaggio: la traduzione odiata in Baccolini, R.,

Bollettieri Bosinelli, R. M., Gavioli, L. (1994), Il doppiaggio. Trasposizioni linguistiche e culturali, CLUEB, Bologna, p.152.

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video, ha annunciato questo 15 settembre la cancellazione di tutti i contenuti che violavano le norme poste a tutela del Diritto d’Autore6.

La FAPAV ha inoltre affermato che in futuro questi siti potrebbero riaprire, ma solo nel caso in cui venissero messi a disposizione del pubblico esclusivamente quei prodotti per i quali si dispone dell’autorizzazione da parte dei detentori dei diritti.

1.3.Il doppiaggio

1.3.1. Le figure professionali del doppiaggio

Con la nascita del doppiaggio sono nate nuove categorie di professionisti che si occupano del lungo processo di adattamento indispensabile per la creazione di una nuova colonna sonora diversa da quella originale. Questo lavoro è suddiviso in diverse fasi e comprende l’adattatore dialoghista, il direttore di doppiaggio, l’assistente di doppiaggio, i doppiatori, il fonico di sala, il sincronizzatore e il fonico di missaggio.

La prima figura professionale di questo processo è l’adattatore dialoghista, ovvero colui che, dopo essere entrato in possesso della sceneggiatura del prodotto audiovisivo, la elabora in lingua italiana adattandola tenendo conto del sincronismo visivo, labiale o articolatorio, ritmico e lineare. Il suo lavoro inizia con un’accurata analisi del testo e del supporto audiovisivo originale e, se non possiede una conoscenza approfondita della lingua e della cultura di partenza, procede a una meticolosa raccolta dati sulla specificità culturale, sull’epoca e sull’ambiente in cui si svolge la storia. Successivamente esegue una ricerca terminologica e di stile per rendere appieno il senso e lo spirito dei dialoghi nella lingua d’arrivo. L’adattatore dialoghista deve quindi possedere una profonda conoscenza non solo della lingua di partenza o di quella d’arrivo, ma di entrambe le culture. Il suo lavoro presuppone una spiccata creatività per poter riuscire a comporre un testo tradotto che rispetti le lunghezze, la mimica e la ricostruzione delle pause.

In Italia, la figura dell’adattatore assume una grande importanza negli anni Cinquanta, quando i comandanti di marina Roberto De Leonardis, Ferdinando Contestabile e Leonardo Magagnini, grazie alla loro profonda conoscenza della lingua,

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degli usi e dei costumi dei paesi stranieri, dovuta principalmente al loro mestiere, stabiliscono contatti con le major statunitensi (ROSSI 2006: 276) e iniziano a adattare le pellicole straniere.

La seconda figura è quella del direttore di doppiaggio, paragonabile per responsabilità e funzioni da svolgere a un regista. Egli visiona il prodotto audiovisivo originale e distribuisce le parti agli attori-doppiatori. È a lui che spetta il compito più arduo dell’intero processo: dovrà infatti ricercare delle voci che rispecchino il più possibile quelle dei personaggi originali. In seguito, dovrà dirigere i doppiatori, spiegando loro come comprendere e interpretare i personaggi in modo da avvicinarli alla loro personalità, alla loro psicologia e ai loro sentimenti.

L’assistente al doppiaggio è il responsabile della preparazione al doppiaggio. Per prima cosa visiona il prodotto audiovisivo e suddivide il filmato in anelli (singole scene o frammenti di una scena da doppiare) per poi numerarli e segnarli sul copione adattato. Controlla il sinc, “termine con cui si definisce il sincronismo tra la voce del doppiatore e i movimenti labiali dell’attore da doppiare”7 e si occupa della redazione del piano di

lavorazione, dove sono segnate le pause, le battute fuori campo e tutti i turni di registrazioni degli attori doppiatori. In sala di doppiaggio fornisce istruzioni specifiche ai doppiatori e segna sul copione le indicazioni del direttore di doppiaggio e le incisioni ritenute buone.

I doppiatori sono coloro che intervengono nella fase finale del doppiaggio per prestare le loro voci ad attori stranieri per le edizioni in lingua non originale. Al doppiatore è richiesta una dizione perfetta e la capacità di immedesimarsi nel personaggio, capire la sua psicologia per avvicinarsi il più possibile all’interpretazione dell’attore a cui dà la voce.

Il fonico è la figura chiave della fase della lavorazione. Il suo lavoro consiste nell’incidere su un supporto magnetico tutte le voci dei doppiatori.

Il sincronizzatore ha il compito di fare corrispondere esattamente le battute e i dialoghi. Si può avvalere di tecnologie all’avanguardia che gli permettono di velocizzare le parole pronunciate dagli attori o di allungare le pause quando necessario.

L’ultima figura professionale di questo processo è quella del fonico di missaggio, colui che si occupa del montaggio del suono nella fase di post-produzione del prodotto

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audiovisivo. Il risultato del suo lavoro dovrà rispecchiare il più possibile il filmato originale.

1.3.2. Le fasi del doppiaggio

Quando un film o un prodotto televisivo arrivano in Italia, il distributore o la società di doppiaggio che ne cura l’edizione seleziona il dialoghista e il direttore di doppiaggio che dovranno realizzare la versione italiana. Per prima cosa l’assistente del doppiaggio deve verificare che la copia lavoro sia in buone condizioni e che la colonna internazionale sia completa. Successivamente, al dialoghista viene consegnata una copia del filmato e la lista dei dialoghi in lingua originale per poter scrivere il copione in italiano. Allo stesso tempo, il direttore visiona il filmato e seleziona gli attori-doppiatori sulla base della somiglianza fisica, di voce e recitativa.

Una volta pronto il nuovo copione, l’assistente divide il filmato in porzioni, i cosiddetti “anelli”, rilevando il time code di inizio e fine di ogni anello, che in sala vengono poi impostati sul banco di regia dal fonico di doppiaggio, e distribuisce i personaggi nei vari turni di registrazione (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 81).

La prima versione del copione è molto spesso letterale perché al traduttore è richiesto di tradurre parola per parola. Entra poi in gioco la figura dell’adattatore dialoghista che si occuperà di adattare i dialoghi di modo da renderli il più naturali possibili nella lingua d’arrivo.

Al giorno d’oggi, a causa delle tempistiche sempre più compresse l’adattatore dialoghista, se possiede un’ampia conoscenza della lingua originale del prodotto, può non richiedere l’aiuto di un traduttore e procedere lui stesso alla traduzione e all’adattamento del testo.

A questo punto gli attori-doppiatori, il direttore e l’assistente si recano in sala di doppiaggio per incidere le voci. Nel caso in cui in una scena si trovano più personaggi che parlano contemporaneamente, le voci verranno registrate su piste separate per poi essere sincronizzate in un secondo momento dal sincronizzatore.

La sala di doppiaggio è composta di due ambienti contigui e insonorizzati, separati da un doppio cristallo. Da una parte è presente la regia con il direttore di doppiaggio e il fonico di sala, nell’altra, ossia la sala vera e propria, ci sono i doppiatori e l’assistente di doppiaggio. Di fronte al doppiatore è posto un leggio con il copione in italiano, il

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microfono e lo schermo su cui vengono proiettate le immagini del filmato. Il doppiatore potrà visionare la scena più volte e sentire l’audio originale in cuffia fino a quando non sarà pronto a incidere la sua versione.

Tutte le voci sono poi lavorate dal sincronizzatore, che ha il compito di creare una versione il più vicino possibile a quella originale.

Nell’ultima fase il fonico di missaggio miscela le colonne doppiate con la colonna internazionale e con le musiche equilibrando i diversi livelli.

Grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi software creati in questo settore è diventato possibile modificare automaticamente il sincronismo labiale dell’attore-doppiatore con la nuova colonna sonora.

1.3.3. Caratteristiche e problematiche del doppiaggio

Le problematiche relative al doppiaggio sono estremamente delicate, sono tra le più importanti nel settore della comunicazione, in quanto il doppiaggio si incarica di portare un messaggio che cuce quelli che sono gli aspetti di immagine con quelli che sono i problemi di un linguaggio di comunicazione diretta con il pubblico. (SIMILI 1996: 10)

Durante il Convegno Un ascensore per la Torre di Babele, tenutosi a Roma nel 1996, Raffaella Simili e altri studiosi della traduzione audiovisiva hanno trattato le numerose problematiche che rendono il doppiaggio oggetto di attenzione e anche di critiche.

L’adattamento è da sempre accusato di rovinare la colonna sonora originale, in quanto impedisce di ascoltare le voci degli attori e non raggiungerà mai una corrispondenza con i dialoghi originali.

Inoltre, con questa tipologia di traduzione, al contrario di quella letteraria, si perdono le variabili diatopiche e i tratti paralinguistici che caratterizzano un personaggio, come le inflessioni regionali o sociali, la psicologia suggerita da tratti sovrasegmentali, etc. È pressoché impossibile trovare un geoletto che presenti le stesse caratteristiche del linguaggio usato nell’originale, le stesse connotazioni o gli stessi stereotipi culturali. L’uso di un italiano regionale in sede di doppiaggio è, inoltre, fortemente sconsigliato in quanto “è portatore di un retaggio che forse trae origine dal teatro delle maschere, dalla farsa, ed è perciò condannato a connotare in modo grottesco il personaggio che parli con un qualsiasi accento” (GALASSI 1994: 67). Si possono trovare numerosi esempi di questi usi di varietà regionali nel famoso telefilm americano

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I Simpson. Il caso più noto è quello del bidello scozzese Willie, la cui provenienza è

resa nota non solo dal forte accento, ma anche dai tipici capelli rossi e dal modo di vestire (Willie indossa sempre il kilt). Nel doppiaggio italiano è stato scelto un italiano regionale, il sardo, poiché si è cercato un geoletto che fosse percepito dal pubblico in modo simile allo scozzese, in modo da poter rappresentare un personaggio perennemente arrabbiato. Un ulteriore esempio è quello del commissario Winchester che, insieme ai suoi assistenti, nel nostro doppiaggio parla in napoletano, rinforzando lo stereotipo secondo cui i membri delle forze dell’ordine in Italia sono in prevalenza di origine meridionale. Nella versione originale, invece, i poliziotti non presentano alcuna varietà diatopica particolare.

Un’altra importante problematica è l’adattamento dei termini volgari, che si trovano in grande numero soprattutto nei film americani. Essi “sono elementi tipici del parlato, correlati all’informalità del registro e all’uso di slang e di tratti sub-standard” (PAVESI, MALINVERNO 2000: 75). A seconda del paese di riferimento queste espressioni possono riferirsi o meno a tabù religiosi, sessuali, ecc. Essendo spesso la terminologia volgare parte fondante dell’oggetto della rappresentazione cinematografica è sorto da subito il problema di trasporre questi slang in una lingua cui non fanno tipicamente parte.

In Italia è presente il patronage, ossia un’autorità governativa chiamata Ufficio di Revisione Cinematografica o più comunemente “ufficio censura” (facente parte del Ministero dei Beni Culturali) capace di influenzare gli adattamenti cinematografici a livello istituzionale. Per quanto riguarda invece la televisione, il patronage può anche essere rappresentato dall’emittente o dalla casa di distribuzione (RANZATO 2013: 33).

Questa autorità impone all’adattatore di trovare delle soluzioni più consone alla propria cultura tenendo conto però del vincolo labiale e di quello gestuale. Da una parte notiamo la creazione di cliché traduttivi come fottuto dall’inglese fucking, dall’altra invece assistiamo all’invenzione di una vera e propria nuova terminologia. All’adattatore è infatti richiesta una grande creatività per costruire espressioni diverse da quelle dell’originale, ma che siano legate alla situazione che si sta svolgendo sullo schermo.

L’adattatore dialoghista deve anche affrontare un’importante decisione, se mantenere il significato delle parole o modificarlo per adeguarsi alle diverse tipologie di sincrono, ossia:

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- Sincrono labiale o articolatorio, il rispetto dei movimenti delle labbra dei dialoghi originali. Si deve prestare una particolare attenzione alle consonanti bilabiali (/m/, /b/, /p/), alle consonanti labio-dentali (/f/, /v/) o alla chiusura e apertura della bocca durante la produzione delle vocali;

- Sincrono gestuale, il rispetto dei movimenti del corpo. Nel nuovo testo si devono scegliere espressioni che siano concordi ai movimenti (delle mani, della testa, degli occhi) compiuti dall’attore sullo schermo;

- Sincrono lineare, il rispetto della lunghezza e della durata della battuta originale, dal primo all’ultimo movimento delle labbra dell’attore;

- Sincrono ritmico, il ritmo interno della frase caratterizzato dalla struttura morfo-sintattica della lingua di partenza, la velocità recitativa, il timbro dell’attore, etc. Qualora rispettare le varie condizioni precedenti risulti difficoltoso per l’adattamento ritenuto più adatto, l’alternativa migliore è quella “di mantenere la lunghezza delle frasi e fare in modo che almeno il suono finale si adatti al movimento della bocca dei personaggi” (LIONELLO 1994: 47).

Si può dire di aver realizzato un buon adattamento se si riesce a trasmettere allo spettatore della lingua d’arrivo le stesse emozioni e le stesse riflessioni che il film genera nello spettatore della lingua di partenza. Obiettivo primario che le figure professionali coinvolte devono porsi, infatti, è proprio quello di non alterare il significato concettuale e, di conseguenza, la carica emozionale che il prodotto audiovisivo originale si prefigge di trasmettere; talvolta è facile incorrere nel rischio di una trasposizione con un doppiaggio del tutto svincolato logicamente dalla componente visiva, che vincola e condiziona i dialoghi. Inoltre, coloro che sostengono il doppiaggio ritengono che, trattandosi di una forma di traduzione, gli spettatori devono essere consapevoli del fatto che quell’opera non è stata creata nella loro lingua e per questo non potrà mai esserci una totale corrispondenza tra il suono e il labiale.

Il doppiaggio è considerato da molti un’arte che in diversi casi migliora l’opera originale e la rende più godibile allo spettatore agevolandone la comprensione.

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1.3.4. Doppiaggio o sottotitolazione?

Nell’ambito della traduzione audiovisiva il doppiaggio e la sottotitolazione sono da sempre viste come due tecniche in opposizione. Esse coinvolgono processi di traduzione molto diversi tra loro e presentano numerosi vantaggi e svantaggi.

Nei sottotitoli è presente il cosiddetto “feedback polisemiotico” (RANZATO 2010: 31), ossia lo spettatore può ascoltare la colonna sonora originale, ma essendo soggetti a vincoli spazio-temporali forniscono soltanto una parte del testo. Attraverso questa tecnica i dialoghi subiscono, come già accennato, una riduzione compresa tra il 40 e il 70%, principalmente dovuta alle caratteristiche della lingua di partenza e di arrivo, alla velocità dell’eloquio e al gusto personale del sottotitolatore.

Inoltre, i sottotitoli occupano una parte dell’immagine, impendendo agli spettatori la visione completa di ciò che sta succedendo sullo schermo. Se il fruitore dell’opera non conosce la lingua di partenza ci sarà un continuo spostamento di attenzione dall’azione alla parte bassa dello schermo che impedirà il pieno coinvolgimento nell’opera audiovisiva. Circa la metà della durata di un film verrà dedicata alla lettura dei sottotitoli.

Nonostante ciò, la sottotitolazione prevede tempi e costi di realizzazione nettamente più limitati rispetto al doppiaggio: se la spesa necessaria per il doppiaggio di un film è mediamente compresa tra i ventimila e i centomila euro, quella dei sottotitoli varia tra i tre e gli ottomila euro (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 37).

Per di più i prodotti audiovisivi sottotitolati rappresentano “un utile ed efficace strumento per l’apprendimento delle lingue straniere” (BRUTI 2011: 151), senza considerare che la sottotitolazione intralinguistica è indispensabile per poter permettere a un pubblico non udente di comprendere al meglio il film.

Il doppiaggio consente una visione più scorrevole in quanto, attraverso la sostituzione della colonna sonora, lo spettatore può concentrare tutta la sua attenzione sullo schermo. È possibile seguire la comunicazione così come avviene durante una conversazione quotidiana o come se stessimo guardando un film nella nostra lingua, se non fosse che i nuovi dialoghi, però, non sono completamente fedeli all’originale, ma possono subire cambiamenti nel processo di adattamento.

Attraverso questa tecnica si fanno passare gli elementi culturali della lingua di partenza come elementi culturali della lingua di arrivo. Ne sono un esempio quelle opere basate sugli high school americani, nei quali sentiamo spesso parlare dei prom, i

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balli scolastici, o delle valutazioni A, A-, B+, etc., come nel famosissimo musical americano Grease - Brillantina.

In molti casi, il doppiaggio è anche visto come arricchimento e “lo dimostra il fatto che abbiamo serial televisivi e anche film che, mentre nell’originale non avevano fatto alcuna fortuna, nella versione doppiata sono diventati prodotti di successo” (BOLLETTIERI BOSINELLI 1996: 21).

È impossibile dire che una di questa due tecniche sia migliore dell’altra. Nonostante utilizzino processi e metodologie differenti, sia il doppiaggio che il sottotitolaggio affrontano la trasposizione di fenomeni linguistici e aspetti culturali difficili come i modi di dire, il turpiloquio e i termini connotati culturalmente.

La componente culturale tende difficilmente a essere rispettata perché “ci sono valori così strettamente legati alla cultura d’origine che non possono che essere snaturati, o irrimediabilmente perduti, nel passaggio ad altra lingua e cultura” (BOLLETTIERI BOSINELLI 1994: 15).

La scelta tra queste tipologie di traduzione audiovisiva (d’ora in poi abbreviato con TAV) è dovuta principalmente alla consuetudine del pubblico. Come afferma lo studioso svedese Ivarsson “gli spettatori sono creature dell’abitudine”8 (IVARSSON

1992: 66) e “le preferenze dipendono dalle loro abitudini piuttosto che da motivazioni razionali”9 (ibidem). Chi preferisce il doppiaggio afferma di preferire una versione più

immediata e naturale; chi sceglie i sottotitoli sostiene che è solo grazie a essi che è possibile apprezzare e soprattutto valutare un film.

Ciò che accomuna il doppiaggio e il sottotitolaggio è l’obiettivo: rispettare l’opera rimanendole il più fedele possibile.

1.3.5. Indicazioni tecniche utilizzate nell’adattamento dei dialoghi

L’attività degli autori della traduzione e dell’adattamento in italiano dei dialoghi e dei testi delle opere audiovisive straniere è regolata da un Contratto collettivo nazionale di lavoro, stipulato nel marzo del 2004.

L’articolo 5 di questo contratto stabilisce le modalità di stesura del copione di adattamento: ogni pagina del copione deve contenere dalle 18 alle 20 righe e deve

8 NdT “viewers are creatures of habit”.

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essere numerata. “Si definisce riga la porzione di copione composta da un massimo di 50 battute dattiloscritte (con esclusione del nome del personaggio) e comprensiva degli spazi, della punteggiatura e delle sole indicazioni tecniche e didascaliche”10.

Di seguito verranno riportati i principali simboli usati in sede di adattamento dei dialoghi. Tali simboli hanno la funzione di ricostruire ciò che avviene sullo schermo, di fare ricordare al doppiatore come sono divise le battute che dovrà recitare e quale posizione assumere rispetto al microfono, se dovrà effettuare dei campi, cioè allontanarsi dal microfono, o dei movimenti di avvicinamento o di allontanamento.

(IC) o (ic) = IN CAMPO Tutte le battute, per convenzione, sono considerate in

campo, tranne quelle con diversa indicazione. Questo simbolo viene usato soltanto venendo da un fuori campo, quando il personaggio che parla torna a essere nel campo visivo della macchina da presa o MdP, sia in primo piano che in campo lungo.

(FC) o (fc) = FUORI CAMPO Deve precedere la battuta recitata da un

personaggio non inquadrato o parzialmente inquadrato se la bocca è fuori dal campo visivo della MdP. La stessa indicazione si usa se il personaggio è inquadrato, ma si sente la sua voce come effetto pensiero. Il segno (fc) viene anche inserito nel mezzo di una battuta, per indicare al doppiatore che proprio in quel punto del discorso il personaggio esce dal campo.

(inIC), (inFC) = INIZIA CAMPO / INIZIA FUORI CAMPO Indicano che il

personaggio passa repentinamente di campo nei primissimi fotogrammi dell’inquadratura, per un suo movimento, per un movimento della MdP o per un intervento di montaggio.

(finIC) o (finFC) = FINISCE CAMPO / FINISCE FUORI CAMPO È l’esatto

contrario di (inIC) e (inFC). Si usano quando il personaggio passa repentinamente di campo negli ultimi fotogrammi dell’inquadratura.

Questi quattro simboli si usano quando sarebbe impossibile servirsi di (IC) e (FC) senza spezzare una parola.

(SOVR) = SOVRAPPOSTO / ACCAVALLATO Si indica quando l’attacco di una

battuta si sovrappone a quella di un altro personaggio, che sta già parlando. Si usa anche per indicare un brusio di fondo, come una voce che proviene dalla televisione o dalla radio, o il vocio di più personaggi che parlano accavallati ai protagonisti della scena. Il segno (sovr) si indica solo nella battuta che si accavalla.

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(RIDE) e (RIS.) = RISATA / RISATINA Si usa quando uno o più personaggi

ridono.

(DS) = DI SPALLE Si indica quando le labbra del personaggio non sono più visibili

perché questi volta le spalle alla MdP o è inquadrato da dietro o di tre quarti. Serve per dare un ulteriore punto di riferimento al doppiatore in una battuta lunga, ripresa da diverse angolazioni o quando, in una scena in interno, l’inquadratura di spalle condiziona anche la distanza del doppiatore dal microfono.

(SM) = SUL MUTO Si usa per indicare una battuta inesistente nel sonoro originale,

nei casi in cui è necessario inerire una o più parole per ragioni esplicative nel momento in cui il personaggio si trova fuori campo. Il caso più classico è quello di una voce che legge una lettera o un messaggio. Questa tecnica viene preferita all’aggiunta di sottotitoli.

(Orig.) = COME DA ORIGINALE Indica che va mantenuto il sonoro originale

della battuta nei casi in cui la presenza di una lingua diversa da quella principale del film debba essere sottolineata.

(FIATO) = FIATO Si indicano genericamente in questo modo tutti i respiri, i

sospiri, gli sbadigli, etc. che riguardano la sola emissione o immissione di fiato, senza parole. Si possono anche indicare più specificatamente con (sospira), (sbuffa), (sbadiglia), (naso), etc.

… = CESURA I tre puntini indicano le cesure, pause brevissime o rallentamenti di ritmo della recitazione all’interno di una battuta. Perdono quindi il valore di sospensione che ricoprono nel normale linguaggio scritto. Lo riacquistano solamente a inizio o fine battuta oppure prima di una pausa (es. … / ) se la battuta termina con una frase interrotta. L’eventuale sospensione del discorso è parte integrante dell’interpretazione di un attore e la si identifica o la si valuta, come la maggior parte delle volte nel doppiaggio, guardando attentamente quanto avviene sullo schermo.

Tutte le abbreviazioni tecniche sono sempre chiuse tra parentesi e, dove necessario, possono riunire più termini e segni, come (inFC SOVR RIDE).

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1.4. Il caso italiano

La forma di traduzione audiovisiva dominante in Italia è il doppiaggio. Il nostro paese può vantare una lunga tradizione nel settore, che ha avuto inizio durante il regime fascista, anni in cui la diffusione di pellicole in lingua originale era vietata.

Il primo film sonoro della storia fu introdotto in Italia il 29 aprile del 1929: si tratta della pellicola americana intitolata The Jazz Singer (presentato come Il cantante di

jazz), prodotta dalla casa cinematografica Warner Bros. Con questa novità si mise fine

alla tradizione del film muto e le industrie cinematografiche straniere si ritrovarono a dover affrontare problemi di traduzione, “visto che soltanto una piccola percentuale della popolazione mondiale capiva lingua inglese”11 (TVEIT 2009: 87), ovvero la lingua predominante del mondo cinematografico.

Diverse furono le modalità impiegate per poter rendere accessibili questi prodotti al mercato europeo. Inizialmente nelle pellicole cinematografiche vennero inseriti cartelli con didascalie in tutte le lingue d’arrivo, poi si pensò di far recitare gli attori americani in più lingue straniere, come si può vedere nel film Muraglie (Pardon Us) con Stan Laurel e Oliver Hardy. Questa soluzione diede il via “a quel particolarissimo italiano che caratterizzerà in seguito i due comici nelle nostre edizioni” (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 5).

Successivamente la Paramount escogitò una nuova modalità: i film in parallelo. In questo caso veniva utilizzato un unico set, dove, con una sola macchina fissa, si giravano di seguito dodici o tredici versioni dello stesso film (ibidem). Per esempio, il film The Men of the North (1930, Hal Roach) in cui sul set si alternavano ben quattro attori per girare cinque versioni della stessa opera (l’attore americano recitava anche nella versione spagnola) (BOLLETTIER BOSINELLI 1994: 23).

Tutto cambiò nel 1930 quando l’austriaco Jakob Karol inventò un sistema chiamato

dubbing, che consisteva nella sostituzione della colonna sonora originale con dialoghi

nuovi recitati in una lingua diversa da quella di partenza. Questa tecnica venne utilizzata per la prima volta in Italia con il film Tu che mi accusi del regista britannico Victor Fleming. Il pubblico italiano acclamò la nuova soluzione, che si impose ufficialmente nel paese quando, il 22 ottobre 1930, Mussolini dispose il visto-censura a tutti i film che contenessero del parlato in lingua straniera, seppure in misura minima. Lo scopo era

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quello di preservare la lingua nazionale italiana e di favorire lo sviluppo della produzione nazionale, riducendo l’importazione di pellicole straniere.

In un primo momento i film venivano doppiati direttamente negli Stati Uniti. Questi doppiaggi, però, erano poco graditi dal pubblico italiano in quanto ricchi di espressioni dialettali: per risparmiare, le case di produzione americane ingaggiavano attori provenienti dalle colonie italiane di Los Angeles o di New York, composte principalmente da napoletani e siciliani, che doppiavano in perfetto “broccolino”.

La Metro Goldwyn Mayer allestì allora una sala di sincronizzazione nello stabilimento Palatino di Roma, dove nel 1931 iniziò il doppiaggio dei film stranieri, prevalentemente quelli provenienti dalla Germania. Più tardi il Decreto-Legge del 5 ottobre 1933 impose l’obbligo di doppiare le pellicole straniere esclusivamente nello stabilimento di Roma.

Va ricordato che quando parliamo di doppiaggio in Italia “non ci riferiamo soltanto al passaggio da una lingua all’altra, ma anche alla post-sincronizzazione, vale a dire a quel che avviene quando un attore doppia sé stesso in sala di registrazione dopo che il film è stato girato” (BOLLETTIERI BOSINELLI 1994: 18) o nel caso in cui un attore non possiede una voce adatta per un determinato ruolo.

Lo sviluppo della cinematografia e del doppiaggio fu fondamentale per la costituzione di un italiano popolare unitario, che con il passare degli anni si trasformò in una lingua banale e stereotipata, prima di qualsiasi deviazione regionale.

Nella metà degli anni Trenta il doppiaggio italiano iniziò ad assumere caratteristiche precise e si cominciarono a delineare i requisiti del doppiatore: dizione perfetta, capacità recitative e interpretative in grado di adeguarsi alla prestazione originale dell’attore, espressività della voce, etc. Infatti, in questo periodo, i doppiatori venivano scelti tra gli attori formatisi all’Accademia di arte drammatica.

La lingua del cinema era inoltre disciplinata da un regolamento giolittiano che imponeva che i titoli, i sottotitoli e le scritture dovessero essere in corretta lingua italiana oppure contestualmente tradotti in italiano.

Questa fisionomia linguistica elaborata negli anni Trenta rimase inalterata fino agli anni Settanta. Neanche le profonde trasformazioni vissute dal popolo italiano dagli anni del secondo dopo guerra e riprodotte in alcune opere di produzione nazionale riuscirono a influenzare e modificare la lingua del doppiaggio (RANZATO 2010: 81).

Ancora oggi il prodotto audiovisivo costituisce il principale mezzo di unificazione linguistica nazionale. Le esigenze deli ultimi anni hanno fatto sì che siano aumentati gli

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studi nel campo del doppiaggio, i convegni e i seminari in cui vengono discusse le principali problematiche legate a questa operazione, in modo da poter riuscire a ottenere una lingua più vicina a quella del parlato quotidiano.

1.4.1. I cambiamenti del doppiaggio in Italia

Negli ultimi anni le polemiche sul livello qualitativo del doppiaggio sono cresciute notevolmente. Infatti, il numero di prodotti stranieri da doppiare aumenta ogni anno e si sente sempre di più la necessità di ridurre le tempistiche per l’adattamento al fine di trasmettere un film quasi in contemporanea con le sale del paese di origine. Questo è anche dovuto dal fatto che per i blockbuster viene utilizzato un unico lancio sulla scia della pubblicità del film fatta in America12.

Negli anni Trenta lo sviluppo del doppiaggio in Italia aveva portato alla creazione di scuole specializzate nella formazione di attori doppiatori, dove gli studenti dovevano avere una dizione perfetta. Era infatti raro trovare nei film doppiati attori con un forte accento romano, napoletano, etc.

Il cambiamento qualitativo degli adattamenti è avvenuto negli anni Ottanta e Novanta, quando la lingua del doppiaggio è diventata perlopiù banale e semplificata, sono state aggiunte inflessioni dialettali italiane e numerosi riferimenti alla nostra società e ai nostri costumi. Questo accade spesso nei casi in cui il prodotto audiovisivo è caratterizzato da un linguaggio settoriale come quello medico, scientifico, tecnologico, ecc. che prevede termini tecnici e formule fisse. Gli adattatori dialoghisti decidono quindi di semplificare la lingua per renderla più comprensibile allo spettatore italiano medio.

Ultimamente in Italia molti personaggi dello spettacolo si improvvisano doppiatori, soprattutto negli adattamenti dei cartoni animati. Si tratta di non professionisti provenienti da reality, dal web ma anche dal mondo sportivo, come Fiorello, Tess Masazza o Francesco Totti, che vengono usati al fine di pubblicizzare il film o il telefilm per cui vengono scelti. Questo è anche dovuto dal fatto che, il numero di attori che prestano la loro voce stava diventando sempre più ristretto. Troviamo infatti intere famiglie di doppiatori che per decenni hanno contribuito alla traduzione dei più celebri film, come la famiglia Izzo e la famiglia Amendola, di cui ricordiamo Ferruccio

12 CASTELLANO A., DI COLA G., Intervista a Mario Paolinelli e Eleonora Di Fortunato,

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Amendola, doppiatore di grandi attori come Al Pacino, Robert De Niro, Dustin Hoffman e Sylvester Stallone.

Nonostante le grandi capacità recitative di questi doppiatori, l’utilizzo di un’unica voce per più personaggi ha portato a un appiattimento nelle sfumature delle voci stesse. Ciò è anche dovuto dal fatto che si pone ora una minore attenzione alla loro scelta: esse non rispecchiano più il timbro e la tonalità delle voci e la struttura fisica degli attori originali.

“Oggi l’attore-doppiatore sarebbe un esecutore neutrale, più che un interprete, “prestatore di voce” stereotipato, poco creativo e poco cointerprete” (PAVESI 2005: 35).

Lo sviluppo della traduzione audiovisiva ha portato alla creazione di un linguaggio artificiale chiamato doppiaggese, che come vedremo in dettaglio nel capitolo 3, è caratterizzato da una scarsa fluidità, periodi slegati e recitati in modo innaturale.

Questo fatto si può notare soprattutto nei cartoni animati televisivi, poiché a questi prodotti vengono dedicati solo tre giorni per l’intero processo del doppiaggio, essendo inseriti nella fascia più bassa del contratto di lavoro (PAOLINELLI, DI FORTUNATO 2005: 22).

Molto spesso l’adattamento di questa tipologia audiovisiva è riservato a non professionisti o adattatori alle prime armi, i quali creano i nuovi dialoghi utilizzando un vocabolario composto da soli duecentocinquanta lessemi. Questa riduzione non permette ai bambini, che stazionano “per almeno tre ore al giorno davanti alla Tv, in particolare nella fascia pomeridiana” (GIULIANO 1996: 103), di espandere il loro lessico.

Inoltre, nei film che vanno in onda in prima serata si trovano spesso strutture semplificate quasi prive di subordinazione, un abuso del congiuntivo e numerosi errori di grammatica, anche se “i prezzi per il doppiaggio cinematografico sono solitamente più elevati di quelli per il doppiaggio televisivo, a causa della richiesta di una qualità e un’accuratezza maggiori” (DI FORTUNATO, PAOLINELLI 1993: 168).

Il doppiaggese è quindi definito come una “forma d’italiano ibrida tra falsa colloquialità (ricca di calchi e stereotipi), pronuncia impeccabile e formalismo”13, che

continua a influenzare l’italiano scritto e parlato soprattutto tra i giovani, maggiori fruitori delle opere cinematografiche e televisive straniere.

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Fino agli anni Settanta gli adattatori dialoghisti scrivevano i nuovi dialoghi utilizzando una varietà di italiano standard, oggi invece si tende ad avere un linguaggio più popolare “tendenzialmente rispettoso della norma, ma stereotipato, ripetitivo, evidente frutto di traduzioni acerbe o affrettate” (RAFFAELLI 2001: 893) e caratterizzato da un “lessico ristretto, spesso di origine anglosassone” (PAVESI 2005: 33).

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CAPITOLO 2:

GUNPOWDER

2. LA SERIE TELEVISIVA GUNPOWDER

Gunpowder è una miniserie televisiva drammatica ideata da Ronan Bennett, Kit

Harington e Daniel West; è stata prodotta nel Regno Unito e trasmessa sul canale BBC One tra l’ottobre e il novembre del 2017.

È composta di tre episodi, ciascuno della durata di cinquantanove minuti, dove si narrano gli avvenimenti legati alla Congiura delle Polveri che si sono svolti nei primi anni del 1600 durante il regno di Giacomo I d’Inghilterra.

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2.1. La Congiura delle Polveri

Remember, remember! The fifth of November, The Gunpowder treason and plot; I know of no reason Why the Gunpowder treason Should ever be forgot!

(Autore sconosciuto)14

Gli eventi legati alla Congiura delle Polveri hanno inizio il 24 marzo 1603, quando la Regina Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e della sua seconda moglie Anna Bolena, muore all’età di settant’anni senza consorte, né figli, ma, soprattutto, senza aver nominato alcun erede.

Sembrerebbe che, il giorno prima della sua morte, “quando riusciva ancora a esprimersi a gesti, la regina avesse indicato Giacomo di Scozia come suo successore portandosi una mano alla testa alla menzione del suo nome” (FRASER 1996: 13).

Fu così che, appena poche ore dopo il tragico evento, venne indetto un concilio di successione al Palazzo di Whitehall15, dove i membri del Consiglio scelsero come

nuovo sovrano proprio lo scozzese Giacomo Stuart, che salì al trono con il nome di Giacomo I d’Inghilterra.

Durante il regno di Elisabetta I i cattolici erano stati oggetto di odio e torture. Le guardie della regina “tendevano loro imboscate, li tradivano, li aggredivano inaspettatamente e con violenza. Li rapivano nella notte, confiscavano i lor beni, disperdevano le loro greggi, rubavano le loro mandrie” (FRASER 1996: 48). Coloro che venivano sorpresi a celebrare messa venivano pubblicamente sventrati e squartati: il boia procedeva prima strappando tutti e quattro gli arti per poi cavare il cuore. Il tutto avveniva mentre i condannati erano ancora vivi.

14Si tratta di una filastrocca per bambini recitata dagli inglesi durante la Guy Fawkes Night in ricordo

della congiura delle polveri.

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Inizialmente il nuovo Re dimostrò di tollerare tutti coloro che non professavano la propria religione e in una lettera indirizzata a Robert Cecil, segretario di Stato prima di Elisabetta I e successivamente di Giacomo I, affermò che preferiva esiliare i cattolici piuttosto che torturarli e ucciderli pubblicamente.

Questa finta pace non durò a lungo: il 19 febbraio 1604 Re Giacomo I proclamò pubblicamente la sua avversione nei confronti della religione papista e il 24 aprile “fu presentato alla Camera dei Comuni un disegno di legge che prevedeva la proscrizione di tutti i cattolici” (FRASER 1996: 128).

Numerose furono le richieste di aiuto a Re Filippo III di Spagna, il quale intimò al Connestabile di Castiglia di occuparsi della faccenda durante il suo viaggio a Londra, dove avrebbe incontrato il Re per negoziare, dopo venti lunghi anni di guerra, la pace tra i due stati. Il trattato di Londra fu firmato nel 1604, ma non ci fu alcun riferimento alla difesa dei papisti inglesi poiché Cecil, principale responsabile delle persecuzioni nei confronti dei cattolici, riuscì a corrompere il Connestabile, il quale ritornò in patria al termine delle trattative.

Fu così che Robert Catesby, un cattolico inglese, che era già stato coinvolto nella congiura anti-governista di Essex nel 1601, decise di vendicarsi personalmente escogitando uno dei piani più terribili e disperati della storia, diventato celebre come la Congiura delle Polveri.

L’intento di Catesby era quello di far esplodere la Camera dei Lord, tramite grandi quantità di polvere da sparo, durante l’apertura delle sessioni parlamentari, ossia il momento in cui il Re e tutti i membri del Parlamento inglese si sarebbero riuniti.

Il piano prevedeva anche il rapimento della principessa novenne Elisabetta, la quale abitava nel Worcestershire, vicino alla casa di Catesby. La bambina sarebbe salita al trono sotto la tutela del conte di Northumberland, membro del consiglio del Re e simpatizzante del Cattolicesimo.

Catesby si confidò allora agli amici Thomas Wintour, Guido (o Guy) Fawkes, Thomas Percy (parente del conte di Northumberland) e Jack Wright, affermando che “la natura del male richiedeva un rimedio tanto forte”16.

Il 20 maggio 1604 i cospiratori si riunirono in una locanda chiamata “Duck and Drake”, nel quartiere dello Strand17 e, dopo aver prestato un giuramento di segretezza,

16 NdT “the nature of the disease required so sharp a remedy” in

http://www.britannia.com/history/r-catesby.html

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