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Il mercato dell’olio di oliva made in Italy tra vulnerabilità ed eccellenza

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale in Economia e

gestione delle aziende

Il mercato dell’olio di oliva

made in Italy tra vulnerabilità

ed eccellenza

Relatore

Prof. M. Bruna Zolin

Laureando

Marco Ferronato

Matricola 836312

Anno Accademico

2015 / 2016

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INDICE

 Introduzione………...………...5

1 Olio di oliva: aspetti produttivi……….11

1.1 Le descrizioni e definizioni degli oli d’oliva e degli oli di sansa………...11

1.2 Le varie coltivazioni………..……….19

1.3 Condizioni climatiche e terreno………..……21

1.4 Impianto arboreo – sesto di piantagione……….………22

1.5 La diffusione dell’ulivo nel mediterraneo e nel resto del mondo ……….…………...24

1.6 I vari metodi di estrazione dell’olio………...………….26

1.7 Il ciclo di vita degli oli………29

1.8 La filiera produttiva – attori……….…………...33

1.9 Le politiche……….36

2 Produzione e consumo………..……...39

2.1 Domanda e offerta: elementi di sintesi……….………...39

2.2 La produzione……….49

2.3 La produzione in Italia………...……….51

2.4 La produzione in Spagna……….……...55

2.5 La produzione in Grecia……….………57

2.6 I costi di produzione………...59

2.7 Il consumo di olio di oliva……….………….65

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3 Questioni aperte……….……….………...…....79

3.1 Falsificazioni dei prodotti made in Italy……….…..………...79

3.2 Caso autorizzazione importazione olio tunisino……….…….…83

3.3 Le denominazioni geografiche e gli accordi di libero scambio………..…….…87

3.3.1 Le denominazioni……….………...87 3.3.2 Il TTIP….………....92 4 Risultati dell’indagine……….………....97  Considerazioni di sintesi………...………...…….107  Bibliografia………...………111  Allegati: Questionario………...………119

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INTRODUZIONE

Il mercato agroalimentare è stato da sempre associato al settore agricolo, vista la struttura abbastanza semplice e di tipo concorrenziale con una elevata frammentazione della domanda e dell’offerta. Con il passare del tempo e in rapporto ad alcuni cambiamenti, quali l’evolversi dei mezzi tecnologici e dei servizi organizzativi che hanno interessato la sfera produttiva, della distribuzione e del consumo di prodotti agroalimentari la fisionomia di questo settore ha iniziato a cambiare radicalmente. Infatti, il settore agricolo riveste oggi un ruolo marginale rispetto al sempre più importante e complesso mercato agroindustriale.

Nonostante ciò, per quanto riguarda l’agricoltura, il suo ruolo e valore risultano di primaria importanza per quanto riguarda la gestione del territorio e del paesaggio, che rappresentano beni pubblici di primo valore. Una corretta e attenta gestione del territorio coinvolgono e tutelano il corretto sviluppo e pianificazione territoriale e di conseguenza lo sviluppo urbanistico e delle attività produttive, lo sviluppo e tutela dei problemi riguardanti l’idrogeologia del territorio per evitare alluvioni, frane e quei disastri naturali che periodicamente provocano oltre ai danni materiali rilevanti perdite di vite umane. Inoltre, oltre alla tutela una buona gestione e strutturazione permette di trovare e ristabilire un giusto e corretto rapporto fra città e campagna, attraverso una adeguata fruibilità delle risorse naturali e paesaggistiche.

Cercheremo di individuare gli elementi di tipo essenziale per quanto riguarda il sistema agroalimentare italiano e non, evidenziando i cambiamenti e trasformazioni intercorse, per cercare di capire meglio anche i cambiamenti che hanno toccato la nostra società. In primis non bisogna dimenticare la rilevanza economica, politica e sociale che il sistema agroalimentare rappresenta e che spesso viene sottovalutato. Il sistema si caratterizza da un lato dalle interconnessioni e integrazione fra l’agricoltura, l’industria alimentare, della trasformazione e distribuzione di prodotti e beni alimentari, dall’altro la necessità e la volontà di rispondere alle nuove esigenze della società in termini di qualità, valorizzazione e salvaguardia delle risorse naturali.

Quando parliamo di settore agroalimentare, ci riferiamo al sistema agroalimentare come sistema che comprende all’interno i settori che vanno dalla produzione alla distribuzione di prodotti agroalimentari, quali l’agricoltura, l’industria della trasformazione alimentare e il settore commerciale, volti ad espletare le funzioni alimentari di un intero Paese.

Il comportamento e le diverse strutture delle imprese operanti nel settore agroalimentare dipendono molto dall’ambiente istituzionale e socio-culturale di riferimento.

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Infatti, le attuali peculiarità di questo settore sono dovute ai cambiamenti intercorsi durante il processo di sviluppo ed evoluzione delle società e mercati.

Nella fase originaria si trattava di produzione e consumo a livello locale, le diete erano caratterizzate dalle peculiarità e capacità produttive del territorio. Poi grazie all’inizio delle aperture commerciali si è avuto un continuo aumento di scambi a livello territoriale di derrate, in seguito, si è avuta una apertura a livello internazionale andando oltre agli scambi di tipo regionale che prevedevano un consolidato rapporto città-campagna, ognuna con una propria organizzazione e divisione del lavoro. Con l’avvento dell’industrializzazione e della concentrazione urbana, la progressiva specializzazione territoriale abbinate alla continua crescita e specializzazione produttiva connessa alla rivoluzione industriale, prende forma il settore della distribuzione alimentare grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto a disposizione. Ora stiamo attraversando una fase di modernizzazione grazie alla diffusione su larga scala delle varie tecniche di trasformazione e conservazione degli alimenti di tipo industriale per quanto riguarda l’industria alimentare dovuto all’affermarsi del consumo di massa, mentre per quanto riguarda l’agricoltura si ha l’introduzione su larga scala dei prodotti chimici e della meccanizzazione delle varie operazioni. Questo anche per rispondere alle crescenti richieste e all’evoluzione dei bisogni da parte dei consumatori e per restare al passo con i più evoluti Paesi concorrenti. A far discutere sono la coesistenza di fenomeni contrapposti quali la globalizzazione, la standardizzazione dei consumi e la continua ricerca di contenere i costi da un lato, dall’altro la valorizzazione-protezione dei prodotti tipici locali, la ricerca di una continua differenziazione e la ricerca del biologico incontaminato.

Queste sono le principali dinamiche avvenute, ma le ultime risultano di particolare rilevanza in quanto influenzeranno e delineeranno l’evoluzione futura del settore.

Il settore agroalimentare sarà sempre più integrato internazionalmente, in quanto qualsiasi azienda per agire con successo dovrà tenere conto della globalizzazione. Per restare al passo bisogna che le imprese abbiano una progettualità strategica ampia e di lungo periodo, che preveda di oltrepassare i confini nazionali e puntare i nuovi mercati in via di sviluppo. Tutto questo deve essere accompagnato utilizzando le nuove tecnologie e mantenendosi aggiornati sulle innovazioni per quel che riguarda la distribuzione e preparazione dei prodotti. Le forme di integrazione dell’intero sistema economico che stanno attualmente indirizzando l’evoluzione organizzativa sono: le innovazioni per quanto riguarda l’informazione e la comunicazione intesa come via per incrementare sia l’efficienza operativa di gestione degli approvvigionamenti, scorte e vendite sia l’accesso alle nuove tecnologie; le dinamiche del consumo alimentare di difficile previsione anche viste le future innovazioni in campo bio-ingegneristico in quanto anticipa sulle specie vegetali le

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future applicazioni economiche delle scoperte bio-ingegneristiche in campo alimentare (V. Sodano, 2005).

Il settore agroalimentare a livello nazionale, nelle sue due componenti agricola e alimentare rappresenta una delle principali voci del passivo della nostra bilancia commerciale, dovuta principalmente dalla non autosufficienza del settore agricolo.

L’Italia risulta uno dei Paesi europei con il maggiore livello di disavanzo nonostante i flussi in uscita hanno registrato negli ultimi anni incrementi maggiori rispetto ai flussi in entrata, seguita da Germania e Regno Unito, mentre assumono un ruolo da leader grazie alla forte vocazione all’export Paesi Bassi e Francia.

Per quanto riguarda il nostro Paese si tratta di un passivo rigido, strutturale in quanto è determinato da beni non direttamente producibili in Italia (es: quote latte, cereali), quindi risulta difficile ridurne l’importazione.

Per quanto riguarda il settore primario, agricolo a determinare questo pesante deficit sono le importazioni di cereali, cacao, caffè, tè, spezie, frutta secca, semi, frutti oleosi e di animali vivi per non tralasciare i prodotti della silvicoltura, della pesca e della caccia che compromettono pesantemente la bilancia del settore primario registrando un pesante passivo.

Anche l’industria alimentare registra saldi negativi dovuti all’importazione di carni fresche, congelate e preparate, al pesce lavorato e trasformato ai prodotti caseari e di oli e grassi, ma lascia intravedere dinamiche espansive dovute ai settori fortemente influenzati dalle esportazioni quali derivati dei cereali, vedi i prodotti pastai, i prodotti da forno per passare ai prodotti conserviero vegetale. Solamente il comparto delle bevande registra una bilancia attiva, in buono stato grazie all’enologico e ai numerosi vini di qualità che il nostro territorio offre e dal settore delle bevande non alcoliche.

Se il totale dell’industria alimentare e bevande chiude in un sostanziale pareggio grazie a queste ultime, il totale della bilancia agroalimentare italiana chiude in deficit dovuto essenzialmente al pesante e negativo risultato del settore primario.

I principali Paesi di sbocco delle nostre esportazioni sono i Paesi dell’Unione europea e tra i prodotti esportati a trainare il settore, un posto di eccellenza riguarda i prodotti agroalimentari made in Italy.

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Tabella n. 1.0 Bilancia Agroalimentare per principali comparti agroalimentari (milioni, euro), 2012 Import Export Sn

(%) Import Export Sn (%)

Cereali 2.406,90 153,70 -88,0 Zucchero e prodotti

dolciari 1.987,00 1.577,00 -11,5 Di cui da seme 180,30 44,60 -60,4 Carni fresche e congelate 4.537,70 1.146,10 -59,7 Legumi ed ortaggi

freschi 851,70 1.123,20 13,7 Carni preparate 348,70 1.239,70 56,1 Di cui da seme 176,60 96,60 -29,3 Pesce lavorato e conservato 3.270,20 315,70 -82,4 Legumi ed ortaggi

secchi 217,60 35,20 -72,1 Ortaggi trasformati 862,00 2.035,30 40,5 Agrumi 289,30 161,00 -28,5 Frutta trasformata 561,30 1.075,70 31,4 Altra frutta fresca 1.024,50 2.438,00 40,8 Prodotti lattiero-caseari 3.643,80 2.474,80 -19,1 Frutta secca 735,90 274,80 -45,6 Di cui latte 858,00 12,20 -97,2 Vegetali filamentosi

greggi 106,50 10,70 -81,7 Di cui formaggio 1.622,50 1.975,80 9,8 Semi e frutti oleosi 774,40 59,80 -85,7 Oli e grassi 2.935,40 1.830,10 -23,2 Cacao, caffè, tè e

spezie 1.599,60 70,00 -91,6 Di cui olio d’oliva 1.154,40 1.268,70 4,7 Prodotti da

florovivaismo

486,60 678,30 16,5 Panelli e mangimi 1.850,90 632,20 -49,1 Tabacco greggio 25,20 266,70 82,7 Altri prodotti dell’industria

alimentare

1.627,10 2.690,50 24,6 Animali vivi 1.473,50 61,10 -92,0 Altri prodotti alimentari 1.368,50 382,80 -56,3 Di cui da riproduzione 160,60 30,40 -68,2 TOTALE INDUSTRIA

ALIMENTARE

24.234,80 19.723,00 -10,3 Di cui da allevamento

e da macello

1.289,40 17,30 -97,3 Vino 297,90 4.827,20 88,4 Altri prodotti degli

allevamenti

442,10 66,20 -74,0 Di cui spumanti di qualità 124,00 499,80 60,2 Prodotti della

silvicoltura 716,60 130,60 -69,2 Di cui vini liquorosi e aromatizzati 5,00 230,50 95,7 Prodotti della pesca 961,70 194,80 -66,3 Di cui vini confezionati e

di qualità 44,90 3.190,60 97,2 Prodotti della caccia 132,90 24,00 -69,4 Di cui vini sfusi e di

qualità 38,70 164,40 61,9

TOTALE SETTORE PRIMARIO

12.320,10 5.842,10 -35,7 Altri alcolici 989,70 822,70 -9,2 Derivati dei cereali 1.242,10 4.323,00 55,4 Bevande non alcoliche 206,00 561,90 46,4 Di cui pasta alimentare 67,40 2.066,70 93,7 TOTALE BILANCIA

ALIMENTARE E BEVANDE

25.738,10 25.970,20 0,4 Di cui prodotti da

f0orno 727,90 1.476,20 33,9 TOTALE BILANCIA AGROALIMENTARE

38.599,50 32.049,60 -9,3

Fonte: ISTAT 2012

L’integrazione del sistema agroalimentare cresce, vista la necessità e volontà tra produttori e consumatori di instaurare nuovi rapporti all’interno della catena alimentare e per rafforzare la relazione fra campagna e città che nel corso del tempo si sono disgregate.

Le trasformazioni più rilevanti del settore agroalimentare sono state il ridimensionamento dal punto di vista economico ed occupazionale dell’agricoltura, mentre è cresciuto dal punto di vista economico ed occupazionale il settore dell’industria alimentare.

L’industria alimentare si è caratterizzata e affermata con la costituzione di grandi gruppi, sia italiani che esteri, e allo stesso tempo di numerose piccole-medie imprese aggregate in distretti e filiere.

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Proprio questi ultimi distretti e filiere sono spesso legate a produzioni tipiche di qualità, uniti per usufruire di economie di scala e mantenere livelli di competitività sui mercati nazionali e non. Il fatturato complessivo dell’industria alimentare si sta sempre più avvicinando a quello dell’agricoltura, visto questo settore si contraddistingue per il suo carattere anticiclico ha registrato una continua crescita anche durante questo periodo di criticità e di crisi globale che ha investito l’economia mondiale.

I molteplici casi di scandali che hanno riguardato i prodotti alimentari quali: la mucca pazza, la febbre aviaria, la diossina; vista la risonanza ed eco mediatico che hanno avuto, hanno fatto si che la sensibilità e l’attenzione verso la sicurezza e i parametri igienico-sanitari degli alimenti aumentassero. Per rispondere a queste esigenze si è cercato sempre più di integrare e coinvolgere le diverse fasi da valle a monte delle filiere agroalimentari cercando di eccellere ed affermarsi con prodotti sani, sicuri e di prima qualità anche grazie attraverso rapporti più trasparenti e diretti tra produttori e trasformatori in primis e poi con i consumatori, che risultano essere sempre più consapevoli ed informati.

Le principali aree definite su cui puntare per migliorare riguardano gli alimenti e la salute, la sicurezza alimentare, la qualità alimentare e la manifattura, la produzione alimentare sostenibile, la gestione della catena alimentare, i consumatori, la comunicazione e il trasferimento tecnologico. L’industria alimentare rappresenta un importante settore dell’industria manifatturiera italiana e si caratterizza per la presenza di numerosi comparti. Si registra una forte concentrazione soprattutto nelle regioni del nord.

A condizionare i risultati e lo sviluppo reciproco, sono le fitte reti di relazioni che caratterizzano le diverse componenti della catena alimentare.

L’industria alimentare si deve confrontare oggigiorno con i cambiamenti strutturali che riguardano i sistemi logistici e della distribuzione organizzata, oltre alla concorrenza sempre più influente dei mercati internazionali. Infatti, la progressiva apertura verso l’esterno ha interessato l’industria alimentare per quel che riguarda l’utilizzo e la trasformazione delle materie provenienti dall’estero, oltre che per la maggiore importanza delle esportazioni verso i Paesi europei e i mercati internazionali.

Il settore a causa di un insieme di fattori quali la scarsa propensione all’innovazione, alla specializzazione e ridotta dimensione delle imprese operanti nel settore aveva toccato agli inizi anche il nostro Paese. Per tornare in corsa, il settore ha rivestito un ruolo da promotore e ha subito una accelerazione notevole per quel che riguarda la produttività e dinamicità per competere allo stesso livello con gli altri Paesi, investendo in ricerca e sviluppo, diffondendo le nuove tecnologie e valorizzando le risorse umane formandole. Inoltre si è cercato di riposizionare e costruire reti di

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imprese più efficaci ed efficienti da riposizionare sul mercato per sfruttare a pieno le funzioni di ricerca, commercializzazione e valorizzazione del made in Italy.

Ricordiamo come l’Unione Europea investa una quota rilevante delle proprie risorse finanziarie per l’agricoltura, influenzando il bilancio comunitario, nonostante una incidenza bassa di questo settore sul PIL e forza lavoro totale. Questo viene fatto in primis per cercare di garantire il nutrimento della popolazione comunitaria, sufficienza alimentare volta a colmare le eccedenze e la fame, per un problema di tipo energetico e combattere fattori quali la desertificazione e l’inquinamento.

Nasce quindi la necessità che le questioni agrarie vengano incluse all’interno di politiche generali e comuni. Deve essere quindi l’Unione Europea ad assumersi la competenza in materia agricola e attuare le politiche su tre differenti livelli: comunitario, nazionale e regionale (Fanfani, 2009).

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1 OLIO DI OLIVA: ASPETTI PRODUTTIVI

1.1 LE DESCRIZIONI E DEFINIZIONI DEGLI OLI D’OLIVA E DEGLI

OLI DI SANSA

L’olio in particolare quello di oliva deve essere classificato per legge Regolamento CE n. 1513/2001 in diverse tipologie a cui corrispondono standard qualitativi e commerciali differenti. Il termine “olio di oliva” è comunemente usato in maniera generica per definire tutti gli oli derivati dalle varie lavorazioni delle olive. A seconda dei parametri analitici, in particolare dell’acidità, è possibile suddividerlo in varie tipologie denominate: Olio extravergine di oliva, Olio vergine di oliva, Olio di oliva, Olio di sansa di oliva ed Olio di oliva raffinato. Inoltre per valutare le qualità dell’olio è opportuno conoscere le caratteristiche organolettiche e le sue proprietà. Le principali caratteristiche organolettiche sono odore e sapore che devono essere inconfondibili nell’olio. Un olio è tanto pregiato quanto più presenta un aroma fruttato, ovvero una sensazione organolettica volta a ricordare il sapore del frutto sano, fresco, raccolto al giusto grado di maturazione. L’amaro e il piccante inoltre sono considerate le altre principali caratteristiche positive dell’olio. L’olio potrebbe però presentare anche caratteristiche sensoriali negative quali il riscaldo, dovuto alla cattiva conservazione delle olive, l’inacetito dovuto fondamentalmente a un errato processo fermentativo delle olive che porta alla formazione di acido acetico e la morchia difetto dovuto se

non viene svolto bene il filtraggio e rimane a contatto con la fondata acquistando odori sgradevoli. Un altro tipo di classificazione per l’olio riguarda la sua età e si possono fare tre distinzioni in base

alla data di estrazione. Un olio può essere definito novello fino a quattro mesi dall’estrazione, questo ultimo presenta gusto fruttato, quasi piccante. Un olio invece può essere definito fresco fino a 8 mesi dall’estrazione e presenta un sapore meno intenso ma nel complesso armonicamente fruttato. Infine un olio viene definito giovane fino a dodici mesi dall’estrazione e presenta un sapore più marcato ed aromatico rispetto all’olio fresco. La scelta dell’olio dipende in primis dal gusto personale, ma non può prescindere dalla qualità. La qualità dell’olio è influenzata da molteplici fattori che vanno a influire su sapore e profumo, come l’area geografica di coltivazione, le condizioni climatiche, il grado di maturazione delle olive e le tecnologie utilizzate per la

trasformazione e la conservazione, fattori questi che fanno la differenza tra olio e olio. Tra i tre principali regolamenti comunitari che regolano il settore dell’olio di oliva troviamo il

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dell’olio, una strategia concertata volta al miglioramento della qualità del prodotto in senso più ampio, compreso l’impatto ambientale, corredata tra l’altro di incentivi per promuovere la ristrutturazione del settore, le descrizioni e le definizioni degli oli di oliva e degli oli in sansa di oliva. Per migliorare il corretto funzionamento del settore è opportuno delineare un regime volto a incoraggiare le organizzazioni riconosciute di operatori del settore a realizzare programmi che migliorino le certificazioni di qualità. Per permettere l’attuazione da parte degli Stati membri quanto più rapida possibile di attività concrete è opportuno prevedere fin da subito i fondamenti del regime previsto. In primis le denominazioni degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva sono insoddisfacenti, vista la legislazione attuale e soprattutto possono creare confusione per i consumatori e per gli operatori del settore comportando turbative del mercato.

Cerchiamo di capire le differenze analizzando qui di seguito i vari prodotti.

OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA

L’olio extravergine di oliva è un alimento antico, nella storia viene citato addirittura nell’Antico Testamento. Gli antichi se ne servivano per differenti impieghi: in cucina come condimento, come unguento di bellezza e durante le funzioni. Questo olio fa parte della nostra cultura dai tempi lontani. L’olio extravergine di oliva risulta essere il prodotto di qualità più elevata e viene consigliato per i suoi benefici, quale elemento fondamentale per la cura e la prevenzione di diverse patologie (riduce la presenza di colesterolo LDL cosiddetto “cattivo”, diminuisce la pressione arteriosa e grazie alla presenza dei polifenoli e della vitamina E risulta essere un ottimo antiossidante), che per un’alimentazione sana e naturale essendo uno degli alimenti alla base della dieta mediterranea (per un corretto consumo dobbiamo ricordare di utilizzarlo con moderazione in quanto come gli altri grassi il potere calorico è di 9 Kcal per grammo) oltre ad essere preferibile nelle preparazioni a caldo rispetto agli atri oli perché resistente alle alte temperature. Questo olio di oliva di categoria superiore è ottenuto direttamente dalle olive raccolte unicamente mediante procedimenti meccanici quindi senza alcun ricorso a processi o elementi chimici in condizione di alterarne le caratteristiche. L’acidità libera dell’olio espressa in acido oleico non deve risultare superiore a 0,8g per 100g di prodotto. Devono essere impiegate solo olive fresche, di prima qualità, raccolte e spremute senza aver subito nessun trattamento oltre il lavaggio, la separazione da rametti e foglie, la centrifugazione e la filtrazione. Per raccolta mediante procedimenti meccanici significa che le olive devono essere raccolte, separate da rametti e lavate il tutto meccanicamente. Per assumere la denominazione di olio di oliva extravergine oltre a l’adozione di procedimenti esclusivamente meccanici, l’olio non deve essere soggetto ad alcun tipo di riscaldamento. Il grado

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di acidità di questo olio non deve essere superiore all’uno per cento ed inoltre il suo punteggio dal punto di vista organolettico non deve risultare inferiore a 6,5. Il punteggio organolettico comprende una serie di parametri relativi a caratteristiche sensoriali che possono essere positive o negative; gli oli che non soddisfano a pieno queste peculiarità vengono messi in commercio con altre denominazioni. Per conservare al meglio l’olio extra vergine di oliva è consigliato tenerlo in contenitori, preferibilmente di vetro, ben chiusi e lontano da fonti di luce e di calore. Il prodotto va consumato entro la scadenza consigliata, non perché un eventuale superamento della data ultima apportata nella confezione comporti danni per la salute ma perché il prodotto tende a perdere aroma e potrebbe presentare sentori di rancido risultando poco gradevole. Una volta tolto il sigillo e aperta la confezione, il prodotto a contatto con l’ossigeno va ad accelerare il processo sopra descritto.

OLIO VERGINE DI OLIVA

L’olio di oliva vergine viene ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici o altri processi fisici, in condizioni che non causano alterazione dell’olio, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e della filtrazione senza aggiunte di additivi chimici. Questo olio si differenzia dall’extravergine essenzialmente per il suo grado di acidità. L’acidità libera espressa in acido oleico non deve superare il valore massimo di 2 g per 100 g e un punteggio riguardante i valori organolettici uguale o maggiore a 5,5. Il punteggio organolettico comprende una serie di parametri relativi a caratteristiche sensoriali che possono essere positive o negative.

OLIO DI OLIVA

Olio contenente esclusivamente oli di oliva che hanno subito un processo di raffinazione e oli ottenuti direttamente dalle olive. Questo olio si ottiene dal taglio di olio di oliva raffinato con olio di oliva vergine diverso dall’olio lampante, il quale deve presentare un tenore di acidità libera espresso in acido oleico, non superiore a 1 g per 100 g. L’olio di oliva è il risultato della miscelazione tra un olio rettificato (che ha subito un processo chimico volto a eliminare i difetti chimici ed organolettici), e un olio vergine. La legislazione vigente non stabilisce un quantitativo minimo di olio vergine che deve essere garantito nella miscela, solitamente si tratta di una percentuale minima, il minimo per ridare colore, odore e sapore all’olio finale il quale risulta nel complesso avere una “struttura” piatta.

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OLIO DI SANSA DI OLIVA

L’olio di sansa di oliva contiene esclusivamente oli derivati dalla lavorazione del prodotto (buccette, residui di polpa e frammenti di nocciolo) ottenuto dopo l’estrazione dell’olio d’oliva e oli ottenuti direttamente dalle olive; oppure olio contenente esclusivamente oli provenienti dal trattamento della sansa di oliva e oli ottenuti direttamente dalle olive. Questo olio viene ottenuto dal taglio di olio di sansa di oliva raffinato e olio di oliva vergine diverso dall’olio lampante1, il quale

deve presentare un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico non superiore a 1 g per 100g. L’estrazione della sansa, ovvero il residuo secco che rimane dalle olive molite contiene ancora

minime quantità di olio. Il processo di estrazione di questo ultimo dalla sansa avviene mediante solvente. Per poterlo recuperare la sansa viene inviata ai sansifici dove subisce un processo di essicazione. Successivamente la sansa essiccata viene miscelata con un solvente, l’esano in cui tutto l’olio presente si scioglie. In questa fase la parte solida viene divisa dal solvente che contenendo ora l’olio viene chiamato esanolio. Successivamente il solvente viene scisso per distillazione in modo che resti esclusivamente il residuo di olio detto olio di sansa greggio. L’olio di sansa presenta elevata acidità, un sapore sgradevole e conserva tutte le sostanze ossidate che si erano formate durante lo stoccaggio. Come per gli oli lampanti, l’olio di sansa greggio per essere reso commestibile deve essere sottoposto ad un processo di raffinazione dal quale verrà ricavato l’olio di sansa raffinato che risulta essere un olio dal colore debole, inodore e insapore.

OLIO DI OLIVA RAFFINATO

L’olio di oliva raffinato si ottiene per rettifica di oli lampanti, oli su cui sono stati riscontrati gravi difetti di produzione, come ad esempio un elevato grado di acidità e difetti organolettici. Questi oli venivano chiamati lampanti perché un tempo venivano utilizzati per alimentare lampade ad olio, questo ultimo risulta essere incolore, inodore e insapore. Questo olio viene composto da oli d’oliva raffinati e da oli d’oliva vergini.

1Olio lampante: olio che presenta difetti strutturali marcati, non adatto all’alimentazione umana con acidità

superiore al 2 %. Viene chiamato così perché in passato veniva utilizzato per alimentare le lampade ad olio. Per ottenere l’olio raffinato, l’olio lampante deve subire un processo di deacidificazione, decolorazione e deodorazione.

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IL PROCESSO DI RAFFINAZIONE

Il processo di raffinazione o rettifica avviene per gli oli che non rientrano nelle classi extravergine e vergine o che presentano un’acidità superiore al 2%. Subiscono il processo di raffinazione anche gli oli che hanno dei difetti organolettici rilevanti e per questo vengono denominati lampanti, ed il loro utilizzo per l’alimentazione può avvenire solamente dopo un processo industriale detto raffinazione, che ne corregga i vari difetti. Il processo di rettifica consiste in tre differenti fasi:

- DEACIDIFICAZIONE: in primis l’olio viene trattato con una soluzione di soda al fine di ridurre quasi a zero l’acidità. L’acidità, ovvero gli acidi grassi liberi, con la soda formano saponi. Il successivo lavaggio dell’olio con l’acqua permette ai saponi di sciogliersi allontanandosi dall’olio. Alla fine di questa prima fase l’olio è detto olio neutralizzato o deacidificato.

- DECOLORAZIONE: le sostanze ossidate presenti nell’olio vengono eliminate mettendo a contatto l’olio con carboni vegetali attivati o terre decoloranti. Il risultato che si ottiene alla fine di questa seconda fase è un olio dal colore giallo paglierino chiaro, simile al colore dei comuni oli di semi.

- DEODORAZIONE: nella terza e ultima fase l’olio viene riscaldato ad oltre 200°C sotto vuoto, tale da permettere l’allontanamento di qualsiasi odore sgradevole. Alla fine di questo processo l’olio rettificato risulta inodore ed ha un leggero sapore di mandorla.

Altro importante regolamento è il Regolamento CE n. 2568/1991 e le sue innumerevoli modifiche successive. Questo regolamento definisce con precisione le caratteristiche chimiche ed organolettiche degli oli di oliva e degli oli di sansa d’oliva, stabilendo metodi di valutazione e analisi di tali caratteristiche, delineando inoltre i limiti cui ogni classe deve rispondere. I metodi e i limiti aggiornati da tale regolamento sono stati adottati in base al parere degli esperti di chimica e conformemente all’operato svolto nell’ambito del Consiglio oleicolo internazionale. Una volta decisi gli standard da rispettare gli Stati membri devono fare in modo che i controlli di conformità siano effettuati selettivamente, in base ad un’analisi di rischio (UFIC: European Food Information

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Council ed EFSA: Agenzia Europea per la sicurezza alimentare, gestiscono in via quantitativa e qualitativa, decidendo se necessario valutare il rischio di un progetto, rischio: quale possibilità che si verifichi un evento avverso) con adeguata frequenza, per garantire che l’olio immesso in commercio corrisponda effettivamente alla categoria dichiarata. I criteri di valutazione del rischio comprendono la categoria dell’olio, il periodo di produzione, il prezzo degli oli, le operazioni di miscelazione e confezionamento, gli impianti e le condizioni di stoccaggio, il paese d’origine, il paese di destinazione, il mezzo di trasporto o il volume di partita, la posizione degli operatori nella catena di commercializzazione, le risultanze che risultano dai controlli precedenti per quanto riguarda il numero e il tipo di carenza accertate, l’affidabilità dei sistemi di assicurazione della qualità degli operatori o dei loro sistemi di autocontrollo e qualsiasi altra informazione da cui si possa evincere un rischio di non conformità. Gli Stati membri devono stabilire in anticipo un’analisi del rischio per ogni singola categoria di rischio e le organizzazioni di operatori riconosciute a svolgerle, il numero minimo di partite e quantitativi che saranno soggetti ad un controllo di conformità.

Uno dei principi cardine relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva è il Regolamento CE n. 1019/2002. Il suddetto regolamento definisce alcune importanti norme per la commercializzazione e l’etichettatura degli oli di oliva e dei prodotti alimentari che dichiarano di contenere olio di oliva. Motivazioni che hanno spinto questa regolamentazione è l’importanza dell’olio di oliva e le qualità organolettiche e nutritive che gli permettono di avere un mercato ad un prezzo relativamente elevato, considerati i costi di produzione, rispetto alla maggiore parte degli altri grassi vegetali commercializzati. Vista la particolare situazione di mercato, caratterizzata da flussi sempre più consistenti intra ed extra UE, sono state adottate norme di commercializzazione per l’olio di oliva, contenenti in particolare norme relative al ravvicinamento delle legislazioni negli Stati membri UE specifiche in materia di etichettatura, nonché le relative pubblicità. Andiamo ora ad illustrare i vari articoli al fine di chiarire i concetti. All’articolo 1 il regolamento stabilisce le norme per il commercio al dettaglio inteso come la vendita al consumatore finale, nello specifico per oli di oliva e gli oli di sansa di oliva. Nell’articolo 2 si stabilisce che gli oli presentati al consumatore finale siano pre-imballati in imballaggi della capacità massima di cinque litri e che tali imballaggi presentino un sistema di chiusura che perde la sua integrità dopo il primo utilizzo. Tuttavia per gli oli destinati al consumo in mense, ristoranti, ospedali o altre collettività simili, gli Stati membri possono stabilire una capacità massima degli imballaggi superiore ai cinque litri. Di particolare rilevanza risulta essere l’articolo 3 che stabilisce si riporti in etichetta oltre alla denominazione di vendita, in caratteri chiari e indelebili l’informazione sulla categoria di olio: per l’olio extravergine di oliva “olio d’oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e

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unicamente mediante procedimenti meccanici", per l’olio di oliva vergine “olio d'oliva ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici", per l’olio di oliva “olio contenente esclusivamente oli d'oliva che hanno subito un processo di raffinazione e oli ottenuti direttamente dalle olive", per l’olio di sansa di oliva “olio contenente esclusivamente oli derivati dalla lavorazione del prodotto ottenuto dopo l'estrazione dell'olio d'oliva e oli ottenuti direttamente dalle olive". L’articolo 4 stabilisce che la designazione dell’origine può figurare sull’etichetta solamente ed unicamente per l’olio extra vergine di oliva e per l’olio di oliva vergine. Per designazione di origine si vuole mettere in evidenza l’indicazione di un nome geografico sull’imballaggio o etichetta ad esso acclusa. Questa designazione è possibile a livello regionale solamente per i prodotti che godono di una denominazione di origine protetta (DOP) o un’indicazione geografica protetta (IGP). In differenti casi, la designazione dell’origine è costituita semplicemente dall’indicazione di uno Stato membro o della Comunità o di paese terzo. Il regolamento prevede che il nome di un marchio o di una impresa non possano essere elementi di designazione d’origine se non rispettano il corretto iter di registrazione. Particolare risulta essere il caso nel quale le olive siano state raccolte in uno Stato membro o paese terzo diverso da quello in cui è situato il frantoio nel quale è estratto l’olio, la designazione d’origine comporterà la seguente dicitura: “olio (extra) vergine di oliva ottenuto in (designazione dello Stato interessato) da olive raccolte (designazione dello Stato interessato)”. L’ articolo stabilisce che deve essere indicata l’origine prevalente nel caso di tagli di oli extravergini di oliva o di oli di oliva vergini provenienti in misura superiore al 75% da uno stesso Stato membro della Comunità, seguita dall’indicazione della percentuale minima, pari o superiore al 75% che proviene effettivamente da tale origine prevalente. L’articolo 5 stabilisce che le indicazioni facoltative che possono figurare sull’etichettatura di un olio, quelle citate nel presente articolo sono soggette rispettivamente ai seguenti obblighi: l’indicazione “prima spremitura a freddo” è riservata agli oli d'oliva vergini o extra vergini ottenuti a meno di 27 °C con una prima spremitura meccanica della pasta d'olive, con un sistema di estrazione di tipo tradizionale con presse idrauliche; l’indicazione "estratto a freddo" invece è riservata agli oli d'oliva vergini o extra vergini ottenuti a meno di 27 °C con un processo di percolazione o centrifugazione della pasta d'olive; le indicazioni delle caratteristiche organolettiche possono figurare esclusivamente se basate sui risultati di un metodo di analisi previsto dal Regolamento CE n. 2568/1991; l'indicazione dell'acidità o dell'acidità massima può figurare unicamente se accompagnata dalla menzione, in caratteri delle stesse dimensioni e nello stesso campo visivo, dell'indice dei perossidi, del tenore in cere e dell'assorbimento nell'ultravioletto. A seguire l’articolo 6 stabilisce che se è riportata nell’etichetta, al di fuori della lista degli ingredienti, la presenza di oli diversi rispetto a quelli specificati nell’articolo 1, in una miscela di olio d’oliva e

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di altri oli vegetali, la denominazione di vendita della miscela sarà: “miscela di oli vegetali (o nomi specifici oli vegetali) e di olio di oliva”, seguita dall’indicazione della percentuale di olio d’oliva nella miscela dell’olio. L’articolo 7 stabilisce che su richiesta dello Stato membro nel quale è stabilita l’impresa di produzione, l’interessato fornisca la giustificazione delle indicazioni di vendita anche rispetto gli articoli precedenti sulla base di uno o più dei seguenti elementi: dati di fatto o dati scientificamente provati, risultati di analisi o registrazioni automatiche su campioni rappresentativi, informazioni amministrative o contabili tenute conformemente alle normative comunitarie e/o nazionali. L’articolo 8 stabilisce che ogni Stato membro trasmetta alla Commissione, che informa gli altri Stati membri e gli interessati che ne facciano domanda, il nome e l'indirizzo degli organismi incaricati del controllo dell'applicazione del presente regolamento. Lo Stato membro nel quale è stabilita l'impresa di produzione, condizionamento o vendita che figura nell'etichetta, in seguito ad una richiesta di verifica, preleva i campioni entro la fine del mese successivo a quello di presentazione della domanda e verifica la veridicità delle indicazioni figuranti sull'etichetta contestata. La domanda di tale verifica deve essere corredata di ogni informazione utile alla verifica richiesta quali: data del prelievo o dell’acquisto dell’olio, il nome o la ragione sociale e l'indirizzo dello stabilimento nel quale ha avuto luogo il prelievo o l'acquisto dell'olio, la copia di tutte le etichette che figurano sull'imballaggio dell'olio, il numero di partite in questione. La domanda sopra riportata può venire trasmessa dai servizi preposti della Commissione e dall’organismo di controllo di un altro Stato membro. Lo Stato interessato sarà tenuto a informare il richiedente entro il terzo mese successivo a partire dalla presentazione della domanda. L’articolo 9 stabilisce le modalità con le quali gli Stati membri adottano le misure idonee e necessarie, comprese quelle a riguardo il regime sanzionatorio per assicurare il dovuto rispetto del presente regolamento. Entro il 31 marzo di ogni anno gli Stati membri interessati devono trasmettere alla Commissione una relazione relativa alle domande di verifica ricevute durante l’anno precedente, le verifiche effettuate e quelle che sono state avviate nel corso di campagne precedenti e sono ancora in corso.

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1.2 LA VARIE COLTIVAZIONI

Si possono distinguere tre principali tipi di coltivazione dell’olivo: gli oliveti tradizionali costituiti da alberi di vecchia data, le piantagioni tradizionali o intensive gestite in maniera più moderna e caratterizzate da un uso più ampio dei fattori di produzione, infine le piantagioni super intensive, di recente concezione in cui prevale in modo massiccio se non assoluto la meccanizzazione e le tecnologie del settore. Questa mescolanza di antico e moderno aiuta a comprendere al meglio le differenze esistenti fra i differenti membri dell’UE. Andremo ora a prendere in esame ed analizzare le ipotesi di base e le principali caratteristiche solamente dei due maggiori modelli olivicoli, ritenuti più rilevanti e più promettenti per il rilancio della competitività del settore olivicolo: quello intensivo (OI) e quello super intensivo (OSI). Per iniziare risulta di particolare rilevanza per entrambi i modelli la selezione delle cultivar da impiantare per garantire uno sviluppo della chioma appropriato e garantire elevate rese, produttive e qualitative, garantendo un adeguato adattamento al tipo di meccanizzazione durante tutto il suo ciclo produttivo. Se il modello intensivo, già sperimentato e diffuso nel contesto produttivo italiano, permette di impiegare la maggior parte del ricco e vario patrimonio genetico nazionale, il modello super intensivo si fonda sulla applicazione di un preciso pacchetto tecnologico che impone l’utilizzo di poche cultivar caratterizzate da una bassa vigoria e da uno sviluppo della vegetazione compatibile con i requisiti della raccolta meccanizzata (Fontanazza, 2000). Questo ultimo modello è poco diffuso in Italia poiché si privilegiano aree vocate alla coltivazione dell’olivo con terreni prevalentemente pianeggianti e cospicue disponibilità di acqua per l’irrigazione. Il sistema super intensivo ha preso origine in Spagna all’inizio degli anni 90 e grazie alle esperienze acquisite si sono perfezionati i criteri tecnici di base e dissipati i dubbi iniziali quali durata della piantagione, varietà adeguate, concimazione e confermando le peculiarità vincenti quali la raccolta meccanizzata, la rapida entrata in produzione, la costante redditività e l’elevata qualità del prodotto. Il modello super intensivo rispetto al modello intensivo necessita di un maggior impiego di mezzi tecnici, di fertilizzanti, pesticidi ed input energetici il tutto determinato dalla maggiore intensività e livello di meccanizzazione della coltura (Inglese e Famiani, 2008). Il modello intensivo, tuttavia, dalla sua consegue una più elevata produzione olivicola totale dovuto alla maggiore durata della fase a regime di piena produzione rispetto al super intensivo, i quali si distinguono per la durata temporale dell’investimento in quanto per il modello intensivo, si stima un ciclo vitale redditizio utile di 48 anni contro un ciclo vitale utile temporale di 16 anni per il modello super intensivo. Considerare le prestazioni globali lungo un arco temporale uguale all’intero ciclo vitale del modello olivicolo di maggiore durata è una scelta nata

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dalla considerazione di evitare risultati fuorvianti che sarebbero potuti emergere analizzando una sola fase del ciclo produttivo o una specifica produzione. Si potrebbe allora dedurre che il modello super intensivo, nonostante i vantaggi di costo derivati dal elevato livello di meccanizzazione delle operazioni di manutenzione e raccolta, accompagnati da rese produttive elevate ma soprattutto realizzabili in un breve lasso temporale, ha mostrato performance dal punto di vista economiche inferiori rispetto al modello intensivo. Il modello super intensivo d’altro canto può vantare, una durata economica più ridotta, la quale può garantire maggiore flessibilità temporale delle scelte aziendali (De Gennaro et al., 2010). Considerazione generale che emerge indipendente dall’adozione del modello, considerate le condizioni di mercato delle ultime campagne di produzione, ed escludendo le varie forme di sostegno pubblico (aiuti diretti, contributi in conto capitale erogati dal PSR), è che l’adozione di modelli innovativi in olivicoltura risultano essere una opzione non conveniente dal punto di vista strategico per le aziende che soprattutto si limitano alla mera commercializzazione delle olive. Determinante a rilanciare il settore olivicolo risultano essere quindi i sostegni pubblici agli investimenti volti al rinnovamento degli impianti, ma quello che risulta essere altrettanto importante se non indispensabile è un intervento volto a migliorare l’organizzazione e il funzionamento dell’intera filiera cercando di riequilibrare i rapporti di forza tra le varie fasi e attori della stessa, garantendo una più equa ripartizione del valore che si viene a generare, affiancando un piano promozionale e di valorizzazione volto a promuovere la qualità attraverso un approccio di filiera (Grimelli, 2011).

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1.3 CONDIZIONI CLIMATICHE E TERRENO

Le condizioni climatiche nelle aree vocazionali per l’olivo si caratterizzano per un clima con temperature non inferiori a meno 6, 7°C, soglia al di sotto della quale le foglie subiscono danni rilevanti. Le temperature di meno 3, 4°C possono danneggiare i frutti più ricchi di acqua se ancora non sono stati raccolti con conseguenza negative sulle qualità dell’olio. Infatti, nelle zone nord di coltura, l’olivo viene collocato sulle pendici delle colline ad altitudini intermedie nella fascia termica più rispondente. Le zone di maggiore diffusione dell’olivo presentano inverni miti, con temperature che raramente scendono sotto lo zero ed hanno estati asciutte e con alte temperature costantemente superiori ai 16°C. Per almeno un mese si devono avere valori inferiori a 11, 12°C per permettere alle gemme di evolvere al fiore. Infine, le temperature elevate durante la maturazione dei frutti sono determinanti nell’olio per aumentare l’acido linoleico e ridurre l’acido oleico. La piovosità deve essere al di sopra di 400mm e fino a 600mm per avere condizioni sufficienti, queste diventano discrete fino ad 800mm, buone fino a 1000mm, la distribuzione delle piogge deve evitare periodi siccitosi superiori a trenta, quarantacinque giorni e ristagni prolungati. Vi deve essere assenza di grandine e la neve non deve essere eccessiva per evitare che si accumuli sulla chioma e causi la rottura delle branche (Fiorino, 2003).

Per quello che riguarda il terreno, bisogna tenere in considerazione che l’apparato radicale dell’olivo si espande prevalentemente nei primi 50-70 cm e solo alcune radici si spingono oltre il metro di profondità. Per questo, il suolo deve essere ottimale nella struttura e nella sua composizione almeno per una profondità non inferiore ad un metro. I terreni più rispondenti all’olivo sono quelli in cui sabbia, limo ed argilla sono in equilibrio. Le particelle del terreno devono avere una struttura glomerulare idonea a dare porosità al terreno, garantire una sufficiente quantità di sostanza organica e una razionale gestione del suolo per evitare la compattazione e l’erosione. Tra le proprietà chimiche l’olivo ha una larga adattabilità al pH del terreno. La pendenza del terreno consigliata non deve essere superiore al 20-25%, le zone pianeggianti o a lieve pendenza sono da preferire anche perché permettono una migliore circolazione delle macchine e le lavorazioni possono essere eseguite in qualsiasi direzione. I terreni con esposizione a sud, ovest ed est sono i migliori e garantiscono buone produzioni dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Quindi, sebbene l’olivo possa vivere nelle condizioni più disparate, è opportuno scegliere aree con terreni a medio impasto, profondi, fertili e con la giusta esposizione come sopra riportato tale da permettere all’olivo di essere competitivo nella produzione e nella sua gestione (Navarro, 1997).

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1.4 IMPIANTO ARBOREO – SESTO DI PIANTAGIONE

Il sesto d’impianto nell’arboricoltura moderna consiste nella disposizione delle piante mediante criteri geometrici, distribuendo gli olivi in allineamenti paralleli quali file o filari con relative interdistanze, separati da fasce rettangolari dette interfile. La scelta che porta a distribuire in modo geometrico gli olivi sono quella di rendere omogenea la distribuzione delle risorse in termini di elementi nutritivi, disponibilità idrica, illuminazione tale da ottimizzare lo sfruttamento delle risorse. Questa disposizione inoltre permette di razionalizzare l’esecuzione delle operazioni colturali nella fattispecie quelle meccanizzate e di sfruttare eventuali consociazioni tra colture erbacee e arboree. Le principali tre disposizioni geometriche adottate sono: la sesto in quadrato dove le piante sono disposte a intervalli regolari secondo un reticolo a maglie quadrate, distanziati in ugual modo tra le file e lungo le file perdendo la distinzione tra filari, la sesto a rettangolo dove le piante sono distribuite secondo un reticolo a maglie rettangolari, rispetto al modello precedente si riducono le distanze lungo la fila e si aumentano le distanze tra le file, infine troviamo la sesto a quinconce dove le piante sono disposte ad intervalli regolari secondo un reticolo a maglie triangolari dove ogni pianta si trova al vertice di un triangolo isoscele rispetto alle due piante contrapposte del filare adiacente. Dalle sperimentazioni effettuate nei Paesi nel bacino del Mediterraneo riguardanti le distanze tra le piante nelle piantagioni e sui sesti di impianto è emerso che le disposizioni a rettangolo ad alta densità portano alla costituzione in un breve arco temporale di una “siepe” continua lungo la medesima fila, andando a ridurre la capacità produttiva e provocando degli squilibri tra attività vegetativa e riproduttiva portando ad una eventuale estirpazione delle piante in eccesso. I risultati sulla densità dell’impianto hanno evidenziato e confermato gli effetti che l’intensità di luce esercita sulla attività riproduttiva dell’olivo e sul rapporto fra intercettazione della luce e produttività. Le distanze definitive che si sono affermate nella maggioranza dei casi nelle coltivazioni dell’olivo sono 5x5m a 6x6m a 7x7m nelle aree idonee alla coltivazione dell’olivo. Una buona intercettazione della luce, tenendo conto dello sviluppo della pianta si consegue intorno al decimo, quindicesimo anno di vita, tuttavia nei periodi precedenti si registrano produzioni inferiori alle potenzialità della superficie destinata alla produzione (Tombesi, 2004).

La redditività dell’oliveto è legata alla corretta valutazione in fase di pre-impianto, della vocazione ambientale, cioè dell’idoneità microclimatica e pedologica del sito prescelto ad ospitare le piante di olivo. La diagnosi stazionale (intendendo con il termine “stazione” l’ambiente di coltivazione e il sito prescelto per l’impianto) è fondamentale. Il termine vocazionalità può essere inteso anche in

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senso più ampio, territoriale, includendo la valutazione del grado di infrastrutturazione del comprensorio olivicolo: piste aziendali e vie di comunicazione in genere, reti tecnologiche e rete consortile di distribuzione dell’acqua, ma anche la presenza di centri di trasformazione, di depuratori per l’eventuale trattamento delle acque di vegetazione.

Il ciclo produttivo pluriennale di un arboreto si può suddividere nelle seguenti quattro fasi: la fase di impianto coincide con i primi anni di età dell’impianto e in questi periodi le produzioni sono nulle e il bilancio in deficit; la fase delle produzioni crescenti coincide con un periodo poliennale durante il quale le piante sono ancora in fase di sviluppo ma forniscono produzioni progressivamente crescenti. In questi periodi i ricavi risultano ancora inferiori ai costi e il bilancio ancora in deficit tranne negli ultimi periodi. La fase delle produzioni costanti coincide con un intervallo temporale durante il quale le piante forniscono una produzione costante e i ricavi superano i costi e il bilancio risulta in attivo, infine, la fase delle produzioni decrescenti coincide con un intervallo poliennale dove le produzioni delle piante iniziano a decrescere, nei primi periodi i ricavi superano i costi, in questa fase si colloca il limite massimo della durata economica dell’impianto definita come la fase del massimo tornaconto. L’obiettivo economico da raggiungere è quello di cercare di ridurre l’intervallo temporale in cui il differenziale tra ricavi e costi è negativo. Dal punto di vista tecnico per cercare di raggiungere questo obiettivo si possono adottare forme di potatura che permettano un’entrata in produzione precoce delle stesse piante o adottare una consociazione fra piante a rapido accrescimento con entrata in produzione precoce con una altra specie ad accrescimento lento e con una entrata in produzione tardiva.

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1.5 LA DIFFUSIONE DELL'ULIVO NEL MEDITERRANEO E NEL

RESTO DEL MONDO

La zona che permette la coltivazione dell’olivo e soddisfa le caratteristiche climatiche fin dal passato è l’area mediterranea. La tipologia Olea europaea arborea nativa delle zone temperate calde e delle regioni tropicali può essere considerata come un complesso di sei sottospecie (Green, 2002) che si sono contraddistinte nel tempo e si sono affermate per caratteri morfologici e una specifica distribuzione geografica sono le seguenti (Mazzolani e Altamura, 1976-1977; Besnard et al., 2002) -Olea europaea subspecie europaea corrisponde all’olivo presente nel mediterraneo,

-Olea europaea subspecie cuspidata presente nel sud-est dell’Africa e Asia, -Olea europaea subspecie marrocana presente nel sud del Marocco,

-Olea europaea subspecie cerasiformis presente nella Macaronesia, -Olea europaea subspecie lapperinei presente nel Sahara e Nord Africa, -Olea europaea subspecie guanchiaca presente in Grecia.

Figura n. 1.1 Distribuzione ulivi nel Mediterraneo

Fonte: Oteros, 2014

Le diversità genetiche dei vari tipi di olivo coltivato, hanno alle spalle una complessa biogeografia alla quale vari fattori come i cambiamenti climatici, l’ibridazione tra differenti subspecie, la

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dispersione e le selezioni dell’uomo hanno portato all’evoluzione dell’olivo attualmente coltivato e alla proliferazione e diffusione dell’olivo nel mediterraneo (Besnard et al., 2001).

L’area geografica del bacino del Mediterraneo che ricopre la tipologia Olea europaea comprende territori che vanno dal Sud Africa, all’Africa centrale, al Corno dell’Africa, all’Egitto e dal Mar Rosso si divide per entrare nel Mediterraneo ad Ovest fino a toccare le isole della Macaronesia, mentre ad Est è presente in Palestina, Siria fino a toccare le fasce orientali ed occidentali della catena dell’Himalaya, da questa zone la pianta si diffuse arricchendosi di nuove forme, nell’area dell’Egeo, del Nord Africa e poi nell’area meridionale della Spagna e dell’Italia (Fiorino, 2008). Questa varietà cresce prevalentemente nella macchia mediterranea, in Italia la sua presenza è marcata in Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria e Toscana, presente in modo limitato nelle regioni settentrionali occupando nel caso zone con specifici microclimi idonei al suo sviluppo (Morettini, 1959).

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1.6 I VARI METODI DI ESTRAZIONE DELL’OLIO

Le varie tecnologie estrattive utilizzate per la lavorazione delle olive, rivestono particolare importanza, in quanto influenzano tutti i prodotti dell’industria olivicola, andando a caratterizzare sia la quantità che la qualità dei sottoprodotti (sanse vergini ed esauste) e degli scarti ottenuti (acque di vegetazione e concentrati, fanghi di depurazione). Il metodo più antico definito classico è mediante pressione (Contò, 2005). Una volta giunte al frantoio le olive vengono pulite da foglie, residui terrosi e da qualsiasi altro elemento estraneo che possa danneggiare le caratteristiche organolettiche dell’olio. Le olive poi subiscono un processo accurato di lavaggio, e una successiva selezione volta ad eliminare le olive non idonee in quanto non rispondono agli standard qualitativi prefissati. Una volta terminato lo step della pulitura, viene eseguita la frangitura, ossia lo schiacciamento delle olive con mezzi meccanici, volta a ledere le cellule della polpa, permettendo la fuoriuscita di olio dai vacuoli e la frantumazione del nocciolo, il quale attraverso la sua rottura produce schegge che a loro volta favoriscono la lesione delle strutture cellulari della polpa delle olive, ottimizzando l’estrazione dell’olio. Nei maggiori frantoi le macine o molazze sono costituite da moderni frangitoi metallici a cilindri, dischi o martelli che garantiscono una considerevole velocizzazione del processo (Caponio et al., 2003).

Grafico n. 1.1 Metodo mediante pressione.

Fonte: Caponio et al. 2003

Il secondo metodo di estrazione dell’olio dalle olive è la centrifugazione, più moderna del metodo precedente, permettendo un abbattimento dei tempi, ma al contempo, va ad eliminare una parte

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consistente della componente fenolica (Mulinacci et al., 2005). I vari processi iniziali di pulitura, frangitura e gramolatura risultano essere gli stessi del metodo a pressione. Le differenze si notano dopo la gramolatura dove il composto di pasta di olive viene diluito con una miscela di acqua, per poi entrare nell’estrattore centrifugo. Gli estrattori centrifughi possono essere a due o tre vie dal quale possono uscire nel primo caso solamente l’olio e l’acqua di vegetazione, nel secondo caso escono la sansa, l’olio e l’acqua di vegetazione. L’estrattore centrifugo, comunemente chiamato decanter consiste in una vite senza fine che roteando porta avanti il composto comprimendolo (Garcia, 2011).

Grafico n. 1.2 Metodo mediante centrifuga.

Fonte: Caponio et al.2003

La filtrazione selettiva è il terzo metodo di estrazione dell’olio dalle olive, metodo di nuova generazione che coniuga continuità a velocità permettendo la conservazione della componente fenolica (Angerosa et al., 1999). Anche in questo caso i vari processi iniziali di pulitura, frangitura e gramolatura risultano essere gli stessi del metodo a pressione. Alla gramolatura segue la fase dell’estrazione dell’olio attraverso percolamento, ossia mettendo il composto su sistemi filtranti. Il sistema filtrante è formato da una griglia metallica sulla quale poggiano una molteplicità di lamelle di metallo mobili che penetrano la pasta di oliva. Le lamelle essendo in metallo permettono all’olio di oliva di aderire ad esse molto meglio dell’acqua e quando queste ultime si ritraggono lasciano sgocciolare l’olio trattenuto. Questo metodo sfrutta la diversa tensione interfacciale che esiste tra olio, metallo ed acqua permettendo alle gocce d’olio di aderire alle lamelle e scivolare in appositi contenitori, mentre l’acqua non aderendo alle lamelle resta inclusa nella paste di oliva, solamente un piccolo quantitativo di acqua “scivola“ nell’olio, chiamando questo liquido mosto. Quest’ultimo subirà una centrifugazione per separare definitivamente l’acqua dall’olio. Anche la sansa verrà

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sottoposta al medesimo trattamento, che permette di ottenere da un lato un corpo di fondo esaurito e dall’altro un mosto, che per successiva centrifugazione ancora una volta scisso in olio ed acqua di vegetazione. Il metodo di filtrazione risulta essere più laborioso rispetto ai due metodi precedenti, ma dall’altra parte preserva l’importante componente fenolica ed antiossidante presente nell’olio. In ogni caso l’evoluzione della tecnologia di estrazione verso sistemi di lavorazione che eseguono il processo in modo automatico, senza il bisogno del diretto intervento dell’uomo, sta determinando una progressiva riduzione dell’impiego degli impianti a pressione caratterizzati da un’elevata richiesta di manodopera. La tendenza è quella di affidarsi ad impianti continui che puntino alla massimizzazione dei risultati (Ranalli et al., 1999).

Grafico n. 1.3 Metodo mediante percolamento.

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1.7 IL CICLO DI VITA DEGLI OLI

Di primaria importanza per comprende a pieno il settore di riferimento, bisogna chiarire le varie fasi del ciclo di vita del prodotto in primis e poi dal punto di vista del prezzo, della distribuzione e della comunicazione (Galdenzi, 2012).

Il ciclo di vita del prodotto e le sue evoluzioni caratteristiche distintive sono individuabili in cinque diverse fasi come rappresentato nella seguente tabella. Nella prima fase, quella di introduzione, possiamo trovare la versione iniziale del prodotto pronta ad essere commercializzata, con ulteriori messe a punto a disposizione per migliorare il prodotto o risolvere i problemi dei consumatori. La seconda fase, denominata di sviluppo, prevede una continua evoluzione e studio al fine di migliorarne le caratteristiche, soprattutto quelle distintive. Nella terza fase, quella di maturità e definitiva consacrazione del prodotto si cerca di differenziare il prodotto aumentando la profondità della linea di prodotto ampliando la gamma, e cercando di promuovere usi alternativi del prodotto. La quarta fase è quella della saturazione dove il prodotto raggiunge l’apice della diffusione e delle sue evoluzioni, in questa fase restano infatti limitati i miglioramenti da apportare al prodotto se non attraverso differenziazioni marginali. Nella quinta ed ultima fase, quella del declino, bisogna cercare di ridurre la profondità della linea e razionalizzare il tutto, cercando di evitare eventuale invenduto visto la maggiore appetibilità di nuovi prodotti presenti nel mercato a scapito del proprio.

Tabella n. 1.1 il ciclo di vita del prodotto

FASI DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ SATURAZIONE DECLINO

PRODOTTO Versione iniziale. Ulteriore messa a punto Miglioramento Differenziato. Ricerca di nuovi usi, aumento profondità linea Miglioramento con differenziazioni marginali (confezione, colore, ecc.) Razionalizzato. Riduzione profondità della linea Fonte: Databank 2004

Nella prima fase, del ciclo del prezzo, abbiamo due strategie differenti di prezzo, una esclude l’altra, che si possono applicare in base al prodotto e alla strategia aziendale. Se si tratta di un prodotto top di gamma e che possiede elevati requisiti qualitativi si adotterà un prezzo alto e di scrematura, tale che qualità e immagine del prodotto siano in grado di sopportare questo prezzo. Questo è possibile vista la presenza di consumatori propensi a sborsare somme maggiori alla media

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per acquisire prodotti nuovi e di livello. In questo caso di politica adottata dall’azienda il volume di vendita non sarà elevato, ma caratterizzato da un buon grado di profittabilità del prodotto. L’altra strategia possibile da adottare, invece, è quella del prezzo basso di penetrazione che si applica quando un’azienda vuole ottenere attraverso il lancio del suo nuovo prodotto un ampio numero di acquirenti andando ad acquisire una quota importante di mercato. Questa scelta viene definita come strategia aggressiva di prezzo, perché punta ad acquisire più clienti possibili e rendere allo stesso tempo il brand maggiormente visibile. Questa politica si applica quando si può beneficiare delle economie di scala. Questo caso presenta un elevato volume di vendita del prodotto e un limitato livello di profittabilità. Nella seconda e terza fase il prezzo di mercato tende in entrambi i casi a mantenersi stabile, nel primo caso per continuare a far percepire la superiorità rispetto agli altri prodotti, nel secondo caso perché i margini di profittabilità sono talmente al limite che una diminuzione di prezzo vorrebbe dire quasi, quasi non essere più conveniente produrre andando in perdita. Molte delle eventuali variazioni di prezzo vengono effettuate nella maggiore parte dei casi in previsione o in risposta ad azioni dei principali concorrenti. Un calo dei prezzi si può notare nella fase del declino, visto ci sono prodotti più appetibili che entreranno o che sono stati commercializzati.

Tabella n. 1.2 il ciclo di vita del prezzo

FASI DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ SATURAZIONE DECLINO

PREZZO Alto di scrematura o basso di penetrazione

Mantenimento o diminuzione

Tendenzialmente in diminuzione ma tenendo conto della differenziazione e della concorrenza Stabile In diminuzione per contrastare nuovi prodotti Fonte: Databank 2004

Nella prima fase del ciclo di distribuzione, il prodotto viene inserito nel mercato in limitati punti vendita, anche per vedere le prime reazioni dei consumatori e capire quali articoli di prodotto avranno maggiore riscontro in questi ultimi. Nella fase di sviluppo e di maturità si cerca attraverso una distribuzione intensiva di rendere nel migliore modo possibile accessibile i prodotti ai consumatori, dando maggiore visibilità al brand e cercando di penetrare il mercato. Nelle fasi successive, la transizione dalla fase di saturazione a quella del declino assume particolare rilevanza, e una speciale attenzione va data alla distribuzione che da intensiva osservata durante la saturazione

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nell’apice di commercializzazione del prodotto deve piano, piano abbandonare alcuni punti vendita, partendo dai più marginali e passare a una distribuzione del prodotto in modo selettivo nella fase del declino del prodotto.

Tabella n. 1.3 il ciclo di vita della distribuzione

FASI DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ SATURAZIONE DECLINO

DISTRIBUZIONE Limitata Intensiva Intensiva Intensiva/selettiva.

Abbandono alcuni punti vendita

selettiva

Fonte: Databank 2004

Nel ciclo di comunicazione la fase di introduzione e di sviluppo della commercializzazione del prodotto, riveste un ruolo chiave, l’azienda attraverso la strategia di marketing adottata, attua grazie ai molteplici canali di comunicazione a disposizione, uno sforzo considerevole per promuovere il prodotto e il brand. Nella fase di maturità e di saturazione del prodotto, la comunicazione avviene ad un livello medio volto a mantenere e consolidare se non a incrementare marginalmente i nuovi consumatori. Nella fase di declino la comunicazione diminuisce, in quanto si preferirà andare a pubblicizzare nuovi prodotti più appetibili.

Tabella n. 1.4 il ciclo di vita della comunicazione

FASI DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ SATURAZIONE DECLINO

COMUNICAZIO

NE Elevata Elevata Media Media Bassa

Fonte: Databank 2004

Analizziamo a quale livello del ciclo di vita si collocano i maggiori prodotti presenti sul mercato (Del Caro, 2006). Dalla tabella che segue si può osservare che le differenti tipologie di olio reperibili sul mercato stanno attraversando differenti fasi del proprio ciclo di vita. L’olio extravergine di oliva e l’olio vergine di oliva tradizionale, si trovano nella fase iniziale del declino, in una parabola discendente che ne denota la fase di saturazione. L’olio di oliva normale, il meno pregiato rispetto ai precedenti due, si trova nella fase finale di declino e si avvia ad affrontare la

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delicata fase di rivitalizzazione. L’olio di sansa d’oliva e l’olio di oliva raffinato hanno già affrontato la fase del declino e stanno già affrontando la delicata fase di rivitalizzazione del prodotto.

Tabella n. 1.5 Il ciclo di vita degli olio

INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ DECLINO RIVITALIZZAZIONE

Olio di oliva extravergine Olio vergine di oliva Olio di oliva normale Olio di sansa di oliva Olio di oliva raffinato

Fonte: Nostra elaborazione su Databank 2004

Vista la situazione di raggiungimento di una maturità generale di tutti i prodotti, non risultano più trascurabili questi posizionamenti per la determinazione di adeguate ed efficaci politiche di marketing. In funzione delle diverse fasi di sviluppo dei prodotti risulta necessario e sempre più determinante sapere adottare differenti combinazioni delle leve di marketing a disposizione delle aziende volte a valorizzare ed incrementare l’appeal dei prodotti. Si potrà allora prevedere che le aziende che operano nel settore dell’olio extravergine di oliva , data la fase di saturazione e la significatività della diffusione del prodotto, andranno a differenziare il prodotto solamente in modo marginale, attraverso un restyling del packaging. Le altre realtà produttive impegnate nella produzione di olio di oliva extravergine vista la fase del ciclo di vita raggiunta e le soluzione preposte, interverranno attraverso una differenziazione qualitativa in base a caratteristiche riconducibili al territorio di origine, alla tradizione e la gusto, cercando di collocare il prodotto nel mercato a prezzi elevati rispetto la media (Mulinacci et al., 2005).

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