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La paura nei racconti di Emilia Pardo Bazán

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Academic year: 2021

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La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto. Lovecraft

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INDICE

INTRODUZIONE

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1 PAURA, ANGOSCIA E DINTORNI

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2 PAURA DEL SOPRANNATURALE: I “Cuentos fantásticos”

2.1 Il fantastico nell’Ottocento spagnolo 14

2.2 I racconti di Emilia Pardo Bazán fra “strano” e “meraviglioso 21

2.3 Omaggio a Hoffmann, Poe e Maupassant 33

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REALISMO E PAURA: I racconti di violenza di E.P.B.

3.1 Violenza psicologica 43 3.2 Violenza fisica 45

PROPOSTA DI TRADUZIONE

La rivoltella 58 La resuscitata 68 Le calze rosse 76 Esimente 82

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APPENDICE

Lessico dell’orrore e della paura 94

CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Emilia Pardo Bazán (La Coruña, 16 Settembre 1851 - Madrid, 12 Maggio 1921) è stata senza dubbio una scrittrice molto prolifica, impegnata tanto sul fronte letterario e saggistico quanto su quello giornalistico; scrive senza sosta dal 1866 al 1921, anno della sua morte, mostrandosi sempre attenta all’evoluzione del gusto e alle novità culturali straniere. La sua produzione letteraria conta, oltre a numerosi romanzi, una miriade di racconti, comparsi sulle principali testate giornalistiche dell’epoca, tanto spagnole quanto americane; la stampa periodica era infatti il veicolo principale di diffusione del racconto1. Molti di questi sono

stati raccolti dalla stessa autrice in collezioni, mentre altri sono rimasti per molto tempo dispersi nelle pagine dei giornali e ritrovati grazie a vari studiosi che si sono interessati alla sua produzione.

Già nella prefazione ai suoi Cuentos de amor l’autrice ci informava sul suo lavoro prolifico:

no ignorarás que he escrito a estas fechas gran número de cuentos, pero acaso te sorprenda si digo que pasan de cuatrocientos, y a todo esto se acercan a quinientos ya .

Gli studiosi non sono concordi sul numero reale dei racconti scritti dalla Pardo Bazán: secondo Clèmessy sono un totale di 568, secondo Kirby ce ne sono 608, Bravo-Villasante fornisce un totale di 490 e Paredes Nuñez di 580 racconti2.

La Pardo Bazán inizia a pubblicare le sue collezioni nel 1892 all’interno di Obras Completas; stante la vastità e l’eterogeneità della sua produzione si rendono necessari dei raggruppamenti, selezionati dalla stessa Emilia per temi e rispettando un criterio cronologico. La loro suddivisione è la seguente: Cuentos de

1 EZAMA GIL, Ángeles (1992), El cuento de la prensa y otros cuentos: aproximación al estudio del relato

breve entre 1890 y 1900, Universidad de Zaragoza.

2 PAREDES NUÑEZ, Juan (1979), Los cuentos de Emilia Pardo Bazán, Secretariado de Publicaciones de la

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Marineda, collezione dei fatti accaduti nella città inventata di Marineda secondo gli usi della vita marinedina; Cuentos Nuevos, che raccoglie narrazioni pubblicate tra il 1890 e il 1894 su varie tematiche; Cuentos de amor; Cuentos sacroprofanos, raccolta di racconti religiosi o profani a sfondo morale; Un destripador de antaño (Historias y cuentos de Galicia) che include quei racconti che hanno come cornice la Galizia rurale; En tranvía (Cuentos dramáticos); Cuentos de Navidad y reyes – Cuentos de la patria – Cuentos antiguos: i primi commemorano le festività, i racconti a seguire sono gli uni invece ispirati alla guerra di Cuba e al disastro coloniale e gli altri dedicati alle leggende e ai miti; El fondo del alma (Cuentos del terruño) riunisce invece le serie Profesiones che tratta di mestieri insoliti e Interiores che include racconti a tema psicologico; Sud-exprés (Otros cuentos) è un gruppo di quarantatre racconti all’interno dei quali troviamo note tragiche e drammatiche. Solo nel 1912 verrà alla luce la serie dei Cuentos trágicos ed infine nel 1922, postuma, quella dei Cuentos de la tierra.

Nel suo studio Los cuentos de Emilia Pardo Bazán3 Juan Paredes Nuñez

cerca di rispettare il più possibile la classificazione fatta dall’autrice nelle sue Obras Completas. In particolare nei CUENTOS DE GALICIA vi sono quattro raccolte: Un destripador de antaño (Historias y Cuentos de Galicia), Cuentos de la tierra, la parte dei Cuentos del terruño di El fondo del alma e i Cuentos de Marineda. Invece i CUENTOS RELIGIOSOS sono composti dai Cuentos sacroprofanos, dai Cuentos de Navidad y Reyes e dai Cuentos de Navidad y Año nuevo. I CUENTOS PATRIÓTICOS Y SOCIALES sono suddivisi in Cuentos de la patria e altri racconti che trattano la tematica politico-sociale. La parte dei CUENTOS PSICOLÓGICOS è composta da Interiores di El fondo del alma, dai Cuentos de amor e dai Cuentos de niños. Paredes Nuñez ha poi preferito riunire sotto il titolo CUENTOS POPULARES, LEGENDARIOS O FANTÁSTICOS i racconti che l’autrice ha raccolto nella collezione Cuentos antiguos; ciò gli ha consentito di riunire sotto lo stesso titolo le tre diverse categorie di racconti, per semplificarne la loro descrizione e classificazione. Infine nei CUENTOS DE

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OBJETOS Y SERES PEQUEÑOS, egli mette in evidenza altri racconti dal carattere certamente non marginale.

Per quanto riguarda invece lo stato delle edizioni moderne dei Cuentos, evidenzio quella di D. Villanueva e J. M. González Herrán, che hanno raccolto tutte le opere pubblicate dall’autrice quando la stessa era ancora in vita.

All’interno delle loro Obras completas4, suddivise in dodici volumi5,

Villanueva e González Herrán raggruppano dal VII al X le quindici collezioni composte dalla scrittrice. Altri due volumi, il XI e il XII, integrati nelle Obras nel 2005, corrispondono a circa un terzo della produzione complessiva dei racconti e raccolgono le produzioni inedite o disperse nelle riviste del tempo (nazionali: El Imparcial, Blanco y Negro; straniere: las bonaerenses La Nación, Caras y Caretas o Plus Ultra e locali: El Regional, de Lugo; Sardinero Alegre, de Santander; El Noroeste, de Gijón); all’interno di questi sono contenuti 233 racconti composti tra il 1865 e il 1921. Grazie a Villanueva e González Herrán oggi disponiamo dunque di oltre 600 racconti e ciò costituisce senza dubbio una prova attendibile della dedizione che essi hanno posto nel loro lavoro, alla cui realizzazione hanno inoltre contribuito studiosi quali Nelly Clémessy, lo stesso Juan Paredes o María del Mar Novo.

Dal punto di vista strutturale il racconto permette allo scrittore una grande capacità di manovra; Emilia parla di questo aspetto all’interno del terzo volume de La literatura francesa moderna6:

La forma del cuento es más trabada y artística que la de la novela. [hay] cuentos que […] en reducido espacio contienen tanta fuerza de arte, sugestión tan intensa o más que un relato largo […], no entiendo por arte [en el cuento] el atildamiento y galanura del estilo, sino su

4 VILLANUEVA, Darío- GONZÁLEZ, José-Manuel (1999-2005), Obras completas: edición y prólogo de

Darío Villanueva y José Manuel González Herrán, Biblioteca Castro, Ediciones de la Fundación José Antonio de Castro, Madrid.

5 VII: La Dama joven; Cuentos escogidos; Cuentos de Marineda. VIII: Cuentos nuevos; Arco iris; Cuentos de

amor; Cuentos sacro-profanos. IX: Un destripador de antaño (Historias y cuentos de Galicia); En tranvía (Cuentos dramáticos); Cuentos de Navidad y Reyes; Cuentos de la patria; Cuentos antiguos. X: El fondo del alma; Sud-exprés (Cuentos actuales); Cuentos trágicos; Cuentos de la tierra]

6 PARDO BAZÁN, Emilia (1910-1911), La literatura francesa moderna, Tomo III, El Naturalismo, Madrid:

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concisión enérgica, su propiedad y valentía, el dar a cada palabra valor propio, y en un rasgo, evocar los aspectos de la realidad […] El primor de la factura de un cuento está en la rapidez con que se narra, en lo exacto y sucinto de la descripción, en lo bien graduado del interés, que desde la primeras líneas ha de despertarse […] El cuento será, si se quiere, un subgénero del cual apenas tratan los críticos; pero no todos los grandes novelistas son capaces de formar con maestría un cuento.

L’autrice, in relazione al suo concetto di racconto, presenta inoltre un’analogia tra questo e la poesia:

uno y otro son rápidos como un chispazo, y muy intensos porque a ello obliga la brevedad, condición precisa del cuento. Cuento original que no se concibe de súbito […]7

Mariano Baquero Goyanes descrive così Emilia Pardo Bazán:

Si tuviésemos que citar un autor en que dicha palabra (cuento) alcanzara, por decirlo así, su consagración oficial, daríamos sin vacilación el nombre de doña Emilia Pardo Bazán, la más fecunda creadora de cuentos de nuestra literatura8

Per quanto riguarda il mio progetto di laurea, esso è incentrato sullo studio tematico della paura, condotto su una selezione del corpus dei racconti che prende in esame sia i racconti dove la paura rappresenta l’ingrediente principale, come ad esempio i racconti del terrore, sia quelli in cui è un elemento secondario, tra cui quelli sulla violenza fisica e psicologica. Il titolo della mia tesi ha pertanto carattere generico perché mira a mostrare sia i racconti fantastici (dell’orrore, polizieschi, etc.) e dunque i temi e i meccanismi narrativi che la Pardo Bazán adotta per generare la paura nel lettore, sia le descrizioni fenomenologiche della paura sperimentata dai personaggi dei racconti, descrizioni che non necessariamente spaventano il lettore. Parole come paura, angoscia, spavento, orrore, terrore etc, appartengono tutte alla mia linea argomentativa e spero di aver fatto abbondante luce sulle loro differenze di significato ed utilizzo.

7 PARDO BAZÁN, Emilia, Obras completas (1973), Tomo I, Estudio preliminar, notas y preámbulos de F.C.

Sáinz de Robles, Madrid, Aguilar, (4’’’ éd.), p. 1214.

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1 PAURA, ANGOSCIA E DINTORNI

Per il Sabatini e Coletti9 la paura può essere intesa come lo stato di turbamento od inquietudine che si avverte in presenza di pericoli reali o immaginari, come la condizione di preoccupazione o di abituale timore nei confronti di qualcuno o qualcosa, e infine, come il generico stato di presentimento o sospetto in cui si può trovare un individuo.

Le tre definizioni sopra menzionate si differenziano dunque per il momento e la durata in cui la paura si manifesta: mentre la prima accezione si focalizza infatti sull’aspetto puntuale del processo che genera l’inquietudine, la seconda e la terza fanno riferimento al suo aspetto durativo. In altre parole, mentre vi è un turbamento o addirittura il panico per un avvenimento già successo, la paura intesa come timore abituale o presentimento è il risultato di una prospettiva futura, generata a sua volta dalla sensazione che un soggetto ha di perdere qualcosa o qualcuno a cui è fortemente legato.

Anna Oliverio Ferraris10 sostiene che la paura è inscritta nel patrimonio genetico di ogni individuo, manifestandosi già nei primi mesi di vita, insieme ad emozioni quali il piacere, l’eccitazione, il dolore, l’ira e il disgusto. Nella sua opera la studiosa mostra le relazioni che ruotano attorno alla paura, in particolare il processo che da essa genera il panico, e le differenze tra paura ed ansia, intesa quest’ultima come l’affannosa agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza e i cui sintomi tipici sono l’apprensione, la stanchezza o, nei casi più gravi, i pensieri compulsivi.

Tra i risultati principali cui giunge la Ferraris, vi è che paura e ansia danno luogo alle stesse reazioni tramite determinanti diverse; infatti, mentre la paura insorge di fronte ad un evento specifico, l’ansia può non avere ad oggetto qualcosa di ben definito. Inoltre, paura ed ansia hanno tempi di estinzione diversi,

9 SABATINI-COLETTI (1997), Dizionario italiano, XV edizione, Giunti, Firenze.

10 OLIVERIO FERRARIS, Anna (2013), Psicologia della paura, nuova edizione riveduta e aggiornata,

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perché la prima scompare quando il pericolo si allontana e viene meno, mentre l’ansia può potrarsi oltre questo momento. Infine, la paura diventa ansia potendo sconfinare in patologia, quando è di tale persistenza e gravità da inibire reazioni di contrasto, perpetrando lo stato di malessere.

In uno studio comparato sull’espressione delle emozioni, Charles Darwin descrive così la paura:

La paura di solito è preceduta dallo stupore, e anzi queste due emozioni hanno molte analogie fra loro, tanto che entrambe hanno l’effetto di attivare immediatamente il senso della vista e quello dell’udito. Inoltre sia nell’uno che nell’altro stato mentale, gli occhi e la bocca si spalancano e le sopracciglia si sollevano. Un uomo impaurito in un primo momento rimane immobile come una statua, senza neanche respirare, oppure si rannicchia come se volesse istintivamente evitare di essere visto. Il cuore batte con violenza e rapidamente […] la pelle diventa immediatamente pallida come quando si sta per svenire […] che la pelle sia molto interessata alle reazioni fisiche prodotte da un intenso spavento è dimostrato dalla straordinaria e inesplicabile rapidità con cui essa si bagna di sudore. Questa sudorazione è tanto più interessante in quanto si verifica in un momento in cui la superficie del corpo è fredda, e da qui deriva infatti l’espressione «sudore freddo» […] Inoltre i peli si rizzano sulla pelle e i muscoli superficiali sono percorsi da un fremito. In seguito all’alterazione dell’attività cardiaca, la respirazione si accelera. Le ghiandole salivari funzionano male; la bocca diventa secca e viene aperta e chiusa in continuazione. Ho anche notato che in seguito a una leggera paura si ha una forte tendenza a sbadigliare. Uno dei sintomi più evidenti è il tremito di tutti i muscoli del corpo; e spesso sono le labbra, che cominciano a tremare per prime, a rivelarlo. A causa di questo tremito e della secchezza della bocca, la voce diventa fioca e indistinta, o addirittura può rimanere soffocata.11

Più delle parole, sono quindi i segni del linguaggio non verbale, o gli aspetti non verbali del linguaggio quali il tono della voce o la difficoltà ad articolare le parole, quelli che meglio esprimono le emozioni che stiamo analizzando. Tra i sintomi fisici ritroviamo invece tachicardia, sudorazione, tremore, dilatazione delle pupille, fuga o, al contrario, blocco delle reazioni motorie.

Diversa dalla paura è l’angoscia, intesa quest’ultima come la condizione di oppressione dello spirito, di tormento o di profonda inquietudine, che sperimenta chi, esasperato da particolare sensibilità, è colpito da un dubbio assillante o da una sensazione intensa di dolore o pietà; l’angoscia può quindi essere considerata come l’inasprimento della paura, un suo aggravamento.

11 DARWIN, Charles (1999) L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, edizione critica di Paul

Ekman tradotta in italiano, Bollati Boringheri - nell'originale inglese: The Expression of the Emotions in Man

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In Inibizione, sintomo e angoscia (1925) Freud ha così distinto l’angoscia reale dall’angoscia nevrotica:

L’angoscia [Angst] ha un’innegabile connessione con l’attesa: è angoscia prima di e dinanzi a qualche cosa. Possiede un carattere di indeterminatezza e di mancanza d’oggetto; nel parlare comune, quando essa ha trovato un oggetto, le si cambia nome, sostituendolo con quello di paura [Furcht] … Il pericolo reale è un pericolo che conosciamo, l’angoscia reale è angoscia di fronte a questo pericolo. L’angoscia nevrotica è un’angoscia di fronte a un pericolo che non conosciamo. Il pericolo nevrotico è dunque un pericolo ancora da scoprire; l’analisi ci ha insegnato che esso è un pericolo pulsionale.12

Nelle sue concettualizzazioni della paura e dell’angoscia, Michael Metzeltin13 approndisce il tema, sottolineando in prima battuta come il fenomeno della paura sia intrinseco all’uomo da millenni e come ciò possa ritrovarsi sia nei testi contemporanei che in quelli fiabeschi dell’antichità dove si narrano i riti iniziatici a cui gli adolescenti dovevano sottoporsi.

Successivamente, Metzeltin presenta quelle che a suo avviso sono le origini dei due stati d’animo, identificando la fonte della paura nella morte, o meglio nell’incertezza di ciascun individuo di non sapere o non poter capire cosa accadrà precisamente nel momento in cui la vita lo abbandonerà; per l’angoscia, egli ritiene invece che essa scaturisca da una paura ripetuta, presente a intermittenza, instaurandosi così un rapporto tra le due per il quale la paura non è altro che l’aspetto attualizzato dell’angoscia.

Oltre a ciò, lo studioso austriaco estende il campo delle fonti all’ambiente sociale e culturale cui apparteniamo e che, fatto di regole e comportamenti ritenuti rispettabili, genera in ciascuno di noi il pericolo di commettere errori, di trasgredire, di non essere all’altezza delle aspettative altrui; tutto ciò che, in definitiva, può farci paura. Anzi, per Metzeltin altra fonte fondamentale di paura, più riconoscibile e presente delle altre, è proprio “l’altro”, la vicinanza o presenza altrui e ciò in quanto la percezione che abbiamo del prossimo è generalmente parziale, mai completa, rivelando in noi l’incertezza circa le sue vere emozioni ed intenzioni nei nostri confronti.

12 FREUD, Sigmund (1925), Inibizione, sintomo e angoscia, pp.310-311.

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Metzeltin prosegue la sua analisi focalizzandosi sulla ricchezza della rappresentazione linguistica che si può fare della paura e dell’angoscia, sostenendo che la presenza di due sostantivi per altrettanti fenomeni strettamente connessi tra loro, indichi come per ciascuno di essi vi sia lo spazio per svariati sinonimi, antonimi, metaforizzazioni e lessemi derivazionali. Peraltro nell’uso corrente di una lingua, in presenza di sinonimi concorrenti, uno tende ad imporsi come termine principale; in italiano, ad esempio paura prevale su angoscia, mentre in tedesco accade il contrario, con angst che è maggiormente utilizzato rispetto a furcht.

Per quanto riguarda poi la possibilità che paura ed angoscia costituiscano interamente il tema di un racconto, Metzeltin osserva che ciò accade di rado; in altre parole, seppur esse siano cruciali per l’evoluzione caratteriale e passionale manifestata dai protagonisti della narrazione e siano quindi al centro dell’attenzione che l’autore pone nella loro descrizione, paura e angoscia difficilmente divengono l’oggetto di una monografia narrativa.

Passando ora ad un altro tema fondamentale per l’analisi che sto conducendo, definisco il terrore come lo sgomento sconvolgente e prolungato, ovvero la “paura paralizzante e disgregante” che si distingue dalla mera paura che invece è forza “aggregante e costruttiva [che] spinge a individuare strumenti per contenere il pericolo e costituire un ordine”. Pertanto, se la paura ha una valenza costruttiva, il terrore è disordine assoluto, rottura di ogni limite e di ogni confine.14

Secondo l’analisi che la Cavarero compie del lemma /terrore/, l’etimologia del termine italiano, comune a molte altre lingue moderne, deve ricondursi ai verbi latini terreo e tremo; caratterizzati dalla radice *ter che indica l’atto del “tremare”, essi ci consegnano il significato per cui il terrore è ciò che agisce immediatamente sul corpo, facendolo sussultare e spingendolo ad allontanarsi con la fuga. Peraltro, i citati verbi latini derivano a loro volta dai greci tremo o treo, che secondo Chantraine, linguista e grecista francese, si riferiscono:

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alla paura, non in quanto dimensione psicologica, bensì in quanto stato fisico. Stando all’etimologia, la sfera del terrore sarebbe dunque caratterizzata dall’esperienza fisica della paura come si manifesta nel corpo che trema. […] largamente accreditata è comunque la connessione etimologica fra treo e pheugo: tremare e fuggire. A ciò si aggiunga non solo la parentela, ancor più evidente, fra pheugo e phobos, ma soprattutto la doppia valenza di phobos che, già in Omero, può significare sia “spavento” che “fuga” […] 15

Per descrivere compiutamente il panorama delle parole che ruotano attorno al tema della paura è necessario inquadrare l’ultimo degli aspetti che si rivelano cruciali per la trattazione che seguirà; mi riferisco in particolare al tema dell’orrore, inteso come la sensazione o il motivo di violenta repulsione o di spavento. La sua origine risiede nel latino horrère, che designa lo spaventarsi, l’irrefrenabile inquietudine di fronte a scenari minacciosi, di fronte al cosmico, al divino. Orrore è pertanto ciò che si prova di fronte agli dei e ai demoni, di fronte alla possibilità di una crepa tra il reale e l’eterno.

Per quanto riguarda la dicotomia tra terrore e orrore, notiamo in primo luogo che i due termini spesso operano come sinonimi, nonostante non lo siano; provare terrore e provare orrore sono infatti due esperienze distinte, due stati d’animo differenti e, pertanto, non solo non sono la stessa cosa ma non alludono nemmeno ad una medesima sensazione. Il terrore è circoscritto a ciò che è, mentre l’orrore esplora ciò che potrebbe essere; il primo identifica una paura intensa che ha cause razionali e appartiene all’ordine naturale delle cose, il secondo esprime invece la repulsione, il rifiuto cui non necessariamente si accompagna la paura e che proviene da cause paranormali, improvvise e inaspettate.

Cavarero argomenta in questo modo il passaggio dall’uno all’altro:

A dispetto della già citata tendenza ad accoppiarlo col terrore, non è senza problemi che l’orrore può essere inscritto nella costellazione terminologica della paura. Qualcosa di spaventoso c’è ma, più che paura, riguarda la ripugnanza […]. La fisica dell’orrore non ha a che fare con la reazione istintiva di fronte alla minaccia della morte. Ha piuttosto a che fare con l’istintivo disgusto per una violenza che, non accontentandosi di uccidere perché uccidere sarebbe troppo poco, mira a distruggere l’unicità del corpo e si accanisce sulla sua costitutiva vulnerabilità. Ciò che è in gioco non è la fine di una vita umana, bensì la condizione umana stessa in quanto incarnata nella singolarità di corpi vulnerabili.16

15 CAVARERO, Adriana (2007), Orrorismo o della violenza sull’inerme, Milano, pp 11-12. 16 Ibidem, p.15

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Dal punto di vista dell’analisi narrativa, il terrore si presta a rappresentare ciò che il mondo naturale e conosciuto può produrre, comprese le sue sfaccettature più aberranti: la presenza di un assassino, una guerra, una mattanza o un genocidio, fino alla maschera banale della violenza quotidiana. Il tema dell’orrore offre invece un campo molto più grande e inesplorato per l’artista, dal momento che non ci sono limiti per raccontare atti abominevoli o ciò che possono le entità distanti dall’universo a noi noto. Il terrore riconcilia il lettore, seppur con quelle che sono le possibilità più funeste della realtà, mentre l’orrore lo rompe, generando in lui una frattura con la realtà.

In spagnolo si utilizza maggiormente la parola terrore, per esempio riferendosi allo stile dei racconti o dei romanzi; lo dimostra la gran mole di racconti del terrore e i pochi dell’orrore, stando perlomeno a quanto gli editori ritengono.

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2 PAURA DEL SOPRANNATURALE: I “Cuentos Fantásticos”

2.1 Il fantastico nell’Ottocento spagnolo

Per analizzare il genere fantastico nell’Ottocento spagnolo, è prima necessario circoscrivere il campo di definizione del genere stesso. Ebbene, per racconti fantastici intendiamo quelle narrazioni, ambientate nel mondo reale oppure in luoghi di fantasia, in cui gli avvenimenti descritti appaiono insoliti e misteriosi e che, in virtù di tali caratteristiche, sembrano essere o sono riconducibili al concetto di soprannaturale, vale a dire a ciò che che trascende i limiti dell'esperienza e della conoscenza umana; ovviamente, proprio per loro natura, i racconti fantastici destano nei personaggi, o nel lettore, incredulità, incertezza e paura.

In tutti i racconti fantastici, l’inesplorato e il non identificato si presenta attraverso fenomeni paranormali, avvenimenti che non corrispondono alle leggi fisiche né alle categorie sulle quali il genere umano incentra la sua conoscenza. È proprio questa la caratteristica essenziale della letteratura fantastica, che provoca prima inquietudine e infine piacere nel lettore: egli sa infatti che, una volta terminata la lettura, il proprio mondo non sarà sconvolto, a differenza di quello interno al racconto.

Uno dei principali studiosi a far rientrare nella critica letteraria questo misterioso mondo è stato senza dubbio lo studioso bulgaro Tzvetan Todorov che, tramite la sua ricerca bibliografica, critica e storiografica della fine degli anni Sessanta, è giunto ad affermare:

In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal

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caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote.17

Il fantastico occupa quindi il lasso di tempo di un’incertezza, quella in cui il lettore, di fronte ad un evento straordinario, esita prima di decidere o capire se lo stesso appartenga al mondo noto oppure ad uno sconosciuto. È l’esitazione del lettore a dare vita pertanto al genere fantastico, divenendo condizione necessaria affinché lo stesso prenda forma. Todorov specifica poi che, se si decide che le leggi della realtà rimangono intatte e permettono di spiegare i fenomeni descritti, allora l’opera appartiene al genere definito “strano”; se al contrario si devono ammettere nuove leggi di natura in virtù delle quali il fenomeno può essere spiegato, entriamo allora nel genere “meraviglioso”, cioè il genere che descrive tutte le situazioni in cui vi è l’accettazione del soprannaturale e della sua esistenza.

Affinché si possa parlare di genere fantastico lo scrittore deve quindi suscitare un effetto particolare sul lettore, che sia turbamento, dubbio, paura, orrore o semplicemente curiosità; a tale scopo, l’irruzione dell’avvenimento straordinario che infrange la tranquillità e perturba i personaggi e/o il lettore è facilitata dall’utilizzo di elementi soprannaturali quali fantasmi, spiriti, morti viventi, sogni rivelatori od oggetti dotati di vita propria, che al loro apparire mostrano quanto l’individuo sia indifeso e non attrezzato per respingere siffatte entità paranormali.

Il fantastico deve ovviamente essere anche utile alla narrazione e anticipare e mantenere le conseguenze prodotte dall’accadimento insolito; l’immersione in paesaggi misteriosi, notturni e ricchi di suoni e visioni, o più semplicemente tutto ciò che crea a preserva la suspense, è dunque la cornice adatta perché il genere si sviluppi. Compito del narratore è perciò quello di trasferire la paura al lettore, provocando nel suo stato d’animo un’inesplicabile instabilità.

La presenza del soprannaturale innesca poi, solitamente, la tragedia, perché qualcosa di irrevocabile è ormai accaduto e nulla tornerà più ad essere

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come prima; i personaggi che sopravvivono al fantastico mostrano chiari disturbi, mentre altri non hanno lo stesso destino e pagano l’esperienza con la morte. Il fantastico, quindi, più che essere una percezione di avvenimenti strani e sconosciuti, si trasforma in una manifestazione di sintomi, o segni che oscillano tra realtà e irrealtà.

A tal proposito, un aspetto psicanalitico che riguarda la relazione dell’uomo con il fantastico si può trovare in Freud, che ha analizzato alcuni dei testi fantastici del XIX secolo nel saggio Il perturbante (1919)18. Il significato che egli conferisce alla parola “perturbante” è da rilevarsi nella paura di un elemento da tempo noto e radicato nella psiche, che si manifesta nuovamente dopo che il processo di rimozione lo aveva abbandonato in un angolino nascosto della mente. Il perturbante provoca cioè sensazioni di stupore e straniamento, poiché l’elemento soprannaturale, magico o fantastico, riemerge nell’ordinario quotidiano, e quanto più è familiare il contesto tanto più inquietante sarà l’effetto sul protagonista e, di rimando, sul lettore.

In altre parole, la letteratura fantastica rende evidente qualcosa di proibito che la mente ha represso o qualcosa che non si adatta alla mentalità prevalente e quindi non è razionalizzabile. Citando direttamente Roger Callois:

Il fantastico manifesta uno scandalo, una lacerazione, un’irruzione insolita, quasi insopportabile nel mondo della realtà […] è dunque rottura dell’ordine riconosciuto, irruzione dell’inammissibile all’interno dell’inalterabile legalità quotidiana.19

Per quanto riguarda l’analisi del genere fantastico durante l’Ottocento spagnolo, si tenga anzitutto presente che il genere deriva dalla narrativa gotica e che raggiunge la sua maturità col Romanticismo20, periodo in cui gli scrittori

approfondiscono quegli aspetti del mondo reale e dell’Io che la ragione non è in grado di spiegare, focalizzandosi sulla parte oscura della realtà e della mente umana. Al di là della ragione, comincia così un mondo fatto di tenebre e di ignoto,

18Titolo originale: Das Unheimliche

19 CALLOIS, Roger (2004), Nel cuore del fantastico, cit., pp. 150-152.

20 SIEBERS, Tobin (1989), Lo fantástico romántico, Acerca de la relación entre romanticismo y literatura

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che Goethe definisce “demoniaco” e che può esser visto come la sintesi delle caratteristiche e dei comportamenti che né la ragione né l’intelligenza possono dimostrare.

Lo studioso catalano David Roas21, analizzando il passaggio dai racconti leggendari a quelli fantastici, cambiamento avvenuto in Spagna tra la prima e la seconda metà del XIX secolo, afferma che le tematiche e i motivi sono fondamentalmente gli stessi, soprattutto per ciò che riguarda le apparizioni dei fantasmi. Nella seconda metà del XIX secolo si produce, tuttavia, un profondo rinnovamento del genere che consiste nel progressivo abbandono delle ambientazioni romantiche; il risultato di tale processo è la traslazione dell’elemento fantastico nella quotidianità, ovvero la maggior presenza della realtà di tutti i giorni nei racconti fantastici. Durante il periodo realista, la richiesta di argomenti verosimili fa poi sì che i temi fantastici divengano più conformi alla realtà conosciuta, che i personaggi si mostrino più complessi e che si ponga l’accento sulle problematiche sociali e sulla vita quotidiana.

In particolare, lo scrittore catalano segnala che i tratti distintivi dei racconti fantastici della seconda metà del secolo:

son, por un lado, una mayor preocupación por el realismo de la historia y, por otro, una intensificación del efecto fantástico de la historia, lo que convierte dichos relatos en verdaderas historias de miedo.22

Secondo Roas la paura è condizione necessaria del genere fantastico, specialmente se è quella intensa che si prova nei confronti dell’ignoto, perché rappresenta una sorta di presa di coscienza di un pericolo che minaccia la sopravvivenza; nello specifico, egli identifica la paura causata dall’accadimento fantastico con la “paura metafisica” che solitamente si manifesta nel personaggio e che attanaglia il lettore in conseguenza di un crollo delle convinzioni collettive sulla realtà.

Il processo di rinnovamento descritto da Roas raggiunge il suo culmine a partire dalla divulgazione e dalla diffusione delle narrazioni di Edgar Allan Poe

21 ROAS, David (2000), La recepción de la literatura fantástica en la España del siglo XIX, p.523. 22 Ibidem, p.524.

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che, come vedremo a seguire, è lo scrittore che assieme a Hoffmann e Maupassant ha influenzato maggiormente la produzione di racconti fantastici spagnoli. Ciò è stato ben rimarcato da Baquero Goyanes:

el cuento fantástico español nace como una imitación de los cultivados en otros países23.

Ed è proprio grazie a quest’opera di imitazione che il fantastico dell’Ottocento spagnolo acquisisce una dimensione distinta, cessando di dipendere dall’argomento trattato e dall’accumulazione di procedimenti volti a risvegliare la paura; in tale contesto, l’aspetto cruciale per l’autore è quello di ricreare un’atmosfera soprannaturale, adattando possibilmente il genere alla cultura dettata dai riferimenti nazionali e ai gusti del pubblico domestico.

Con riferimento a Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (Königsberg 24 Gennaio 1776 – Berlino 25 Giugno 1822), il pioniere del genere fantastico, va rilevato che egli è colui che esplora maggiormente i limiti della realtà, al punto da renderla la dimensione artistica entro cui sviluppare il fantastico. Una delle caratteristiche principali dei suoi racconti è quella di immergere il lettore all’interno di un mondo ben definito, cioè quello dell’ambiente quotidiano, introducendo al tempo stesso alterazioni attraverso l’uso di allucinazioni, sogni ed elementi di fantastico puro; in conseguenza di ciò, si produce una reazione di scandalo e sorpresa nei personaggi posti di fronte all’incontro tra verosimile ed incredibile, e di riflesso nel lettore, che fino al quel momento pensava di essere al sicuro nel suo mondo reale. È proprio l’ambientare i racconti nella vita quotidiana e il confrontarsi tra realità e fantasia, tra certezze e lati oscuri dell’esistenza umana, che scuote il lettore creando l’effetto fantastico.

Con Hoffmann l’inquietudine del soprannaturale irrompe quindi nella dimensione del quotidiano, coprendo oggetti e persone apparentemente familiari di un’ombra perturbante e inconsueta; ciò perché, sebbene espressione di una percezione soggettiva, l’arte deve essere sempre e comunque radicata nella realtà, specialmente se in quella psicologica. A giudizio di molti, le sue pagine migliori sono infatti da leggere come tentativi pionieristici di rappresentare le dinamiche

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disgreganti e caotiche che muovono la psiche.24 La maggior parte dei suoi racconti sembra essere avvolta da un’atmosfera visionaria, che induce pazzia ed incubi mediante l’intrusione di elementi incomprensibili per un contesto come quello quotidiano. La presenza di un eventuale elemento ironico è finalizzata poi a generare l’effetto particolare del distacco del narratore rispetto ai fatti narrati.25

In conclusione, Hoffmann mira a rimuovere ogni residuo di certezza nel lettore e, come se lo traesse in inganno, lo lascia solo di fronte ai propri dubbi e alle proprie paure; ciò avviene attraverso un procedimento narrativo, comune per molti aspetti anche a Poe e alla cui base vi è la tematizzazione della sfera dell’irrazionale. Fino a quel momento sostanzialmente taciuta in letteratura, essa è l’occasione per un confronto con la complessità e la fragilità della mente, sconvolgenti scoperte realizzate proprio in quegli anni dalla medicina e dalla neonata “scienza psicologica”; tale confronto diviene per lo scrittore tedesco irrinunciabile e necessario, al fine di tentare di restituire all’uomo l’unità perduta.

Per quanto riguarda Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849), è a lui che dobbiamo il moderno racconto dell’orrore, la sua forma definitiva. Il modo in cui lo scrittore americano tratta il fantastico e il soprannaturale non ha infatti precedenti, perché offre un’analisi fredda e minuziosa dell’angoscia, del terrore e di altri stati morbosi della coscienza, non ricorrendo mai a elementi di carattere fiabesco o leggendario e quasi mai alla figura del diavolo. Nei suoi racconti il terrore è trattato, solitamente, in modo grottesco e il fantastico si trova all’interno della mente umana, piuttosto che come minaccia proveniente dal mondo esterno.

I racconti di Edgar Allan Poe tracceranno le linee guida per il rinnovamento della narrativa breve. Poe ha rivoluzionato il genere fantastico considerandolo un prodotto della mente umana e prescindendo così dalla tradizione letteraria che invece lo concepiva come parte della realtà esterna. Pertanto, essendo il fautore del rinnovo del racconto fantastico, Poe ha esercitato una grande influenza all’interno della narrativa spagnola e ha avuto un forte influsso nella vita della grande autrice spagnola Emilia Pardo Bazán.

24 ANELLI, Sara, Fantasmi dell’Io Il Doppio nella narrativa gotica di E. T. A. Hoffmann e di E. A. Poe,

disponibile online: http://users.unimi.it/germscand/anelli_s.pdf

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Per Poe il presupposto della sua produzione di racconti non è né la caratterizzazione dei personaggi né la trama e né lo stile, ma deve invece essere l’effetto che si vuole creare, cioè quell’impressione che si intende suscitare nel lettore per conferire unità alla propria opera; altri aspetti ritenuti fondamentali sono poi, certamente, la ragione e l’analisi.

Lovecraft26 descrive così il suo modo di trattare il fantastico:

The impersonal and artistic intent, moreover, was aided by a scientific attitude not often found before; whereby Poe studied the human mind rather than the usages of Gothic fiction, and worked with an analytical knowledge of terror’s true sources which doubled the force of his narratives and emancipated him from all the absurdities inherent in merely conventional shudder-coining.

L’influenza di Poe si sviluppa a partire dal 1856, anno in cui in Francia appare il primo volume di traduzioni dei suoi testi, Histories extraordinaries ad opera di Baudelaire; per quanto riguarda la Spagna, lo stile preminentemente realista degli autori spagnoli è terreno fecondo per l’innovazione apportata dallo scrittore americano. Nel 1858 viene infatti pubblicata la prima traduzione di una raccolta dei suoi racconti, con una presentazione di Julio Nombela e un prologo-biografico del Dr. Nicasio Landa; il primo metterà in evidenza la loro base scientifica e il loro contenuto fantastico, mentre Landa parlerà di un un género nuevo27 perché in esso è possibile “encontrar lo extraordinario en las regiones poco exploradas de la ciencia”.

È ancora David Roas che segnala il motivo per cui lo scrittore americano ebbe tanto successo in Spagna in un’epoca artistica dominata dal Realismo:

la gran aportación de Poe fue partir de lo racional y lo cotidiano (lo «vulgar y admitido») para construir el efecto fantástico.

26 LOVECRAFT, Howard Phillips (1927), Supernatural Horror in Literature, disponibile online

http://www.hplovecraft.com/writings/texts/essays/shil.aspx)

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Nell’introduzione di José Castro y Serrano a Historia vulgares28 si compara l’opera di Hoffmann con quella di Poe, soffermandosi sulla differenza principale sopra segnalata: se nei racconti dell’autore tedesco il fantastico è immerso nel quotidiano, sebbene già propenso ad una deriva allucinatoria, E.A.Poe introduce l’elemento insolito all’interno della coscienza del personaggio, perturbando l’animo del lettore con molta più violenza.

Un altro dei grandi maestri del racconto europeo dell’epoca, indubbio referente per gli scrittori spagnoli, è Guy de Maupassant (Tourville-sur-Arques, 5 agosto 1850 – Parigi, 6 luglio 1893); con lo scrittore francesce il fantastico non è tanto il soprannaturale che si manifesta in modo esplicito e terrificante, ma è ciò che nasce dalla dimensione oscura dell'esistenza umana, dall'angoscia che divora anima e corpo, dall'ignoto che abita in noi e dalla follia insita in pensieri e sentimenti. Inoltre, la paura non equivale a mancanza di coraggio di fronte al pericolo reale, ma è un sentimento strano, potente, che attacca l’essere umano nella sua totalità di fronte ad un pericolo incomprensibile, dissolvendo inesorabilmente i suoi punti di forza.

Le vicende narrate da Maupassant hanno come protagonisti personaggi che sprofondano nel loro abisso o che avvertono la presenza di un'altra realtà, che li assale invisibile e che non si sa se davvero esistente o frutto della propria psiche tormentata. Egli non rivela e non spiega, ma descrive situazioni che sono sempre al limite, che toccano quel punto estremo, quel margine oscuro e labile oltre il quale non ci sono più certezze e tutto si confonde, cancellando le differenze tra normalità e follia, tra realtà e immaginazione.

2.2 I racconti di Emilia Pardo Bazán fra “strano” e “meraviglioso”

I racconti della Pardo Bazán, che in seguito elencherò secondo un criterio che vede l’elemento fantastico divenire gradualmente più presente, hanno per protagonisti sia persone comuni che vampiri, fantasmi o esseri che tornano

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dall’oltretomba; in ogni caso, di fronte all’insolito accadimento narrato, si produce un senso di esitazione, di incredulità e paura, che lascia permanere nel lettore o negli stessi personaggi il dubbio circa l’autentica interpretazione dei fatti.

Emilia usa spesso la morte come elemento principale di argomento, per poi costruire la realtà della trama descritta al fine di produrre l’effetto perturbatore che si ha quando la realtrà contrasta con il mistero. Diversi riti mettono in risalto le credenze e le superstizioni dei contadini galiziani, in particolare, il mondo dell’oltretomba, che è percepito come qualcosa di vivo e vibrante, superando l’insormontabile distanza tra questi due mondi, avvicinando la morte alla vita. La notte è il momento cruciale nel quale le anime in pena tornano per mettersi in contatto diretto con i vivi, spesso attraverso specifici cerimoniali.

Apenas las luces se divisan en la aldea en la aldea, cuando un pánico temor se apodera de todos los vecinos; ciérranse las ventanas, atráncase las puertas, cada una se encomienda al santo de su mayor devoción y entre la consternación y espanto general escúchanse las voces de: ¡a compaña! ¡a compaña!

Per dare un’idea più compiuta di come Emilia considera e tratta il genere fantastico e le suggestioni sperimentate dai suoi personaggi, ritengo utile ricorrere direttamente alle sue parole e in particolare a questo passo tratto dal romanzo Memorias de un solterón (1896):

Hay una especie de sugestión moral -¡quién sabe si también física! -, que todo el mundo conoce o ha experimentado alguna vez. La determina la proximidad de una persona a la cual no vemos. Entre los terrores más profundos que pueden estremecer el alma, cuento el de penetrar a oscuras en una habitación y percibir que allí está alguien. Aunque tengamos motivos para suponer que ese alguien no quiere hacer nos ningún daño; aunque nos conste que el individuo allí agazapado nos tiene miedo a su vez... no somos dueños de reprimir un intenso escalofrío, una especie de horror misterioso, que no procede de la persona oculta por las tinieblas, sino de lo desconocido, de una aprensión sin objeto, casi sobrenatural [...]

Ne El antepasado29, la cui trama è introdotta dal narratore di secondo grado Carmona, si narra del giovane aristocratico di nome Fadrique, nato con una

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terribile cicatrice sul collo. Molto condizionato dalla madre, della quale ha ereditato molte cose incluso l’aspetto malsano, la storia descrive la vacanza che la donna è costretta a prendersi su indicazione dei medici, recandosi nell’aperta campagna della tenuta di Castilbermejo, casa in cui il marito racconterà dell’esistenza di una testa di un avo, mozzata e posta dentro un cofanetto di velluto. La donna, suggestionata dalla rilevazione fattale dal marito, inizia ad avere degli incubi che non fanno altro che persuaderla di trovare il cofanetto; dopo vane ricerche, la donna trova quello che sta cercando, subendo tuttavia uno shock che le causa convulsioni e svenimenti. Dopo nove mesi nascerà il figlio, con il segno al collo; ciò determinerà un peggioramento della salute della donna che verrà rinchiusa in un manicomio dove poi morirà.

Nel racconto Mi suicidio il narratore è un uomo che, inizialmente, descrive i fatti che precedono la morte della donna amata e, successivamente, racconta della decisione che egli prende di togliersi la vita, per accompagnare nell’aldilà colei che con la sua dipartita lo ha devastato di dolore. Al momento di premere il grilletto e spararsi un colpo in testa, osservando e fissando il ritratto dell’amata, l’uomo sceglie tuttavia di tornare sui suoi passi, per rileggere le vecchie lettere d’amore ricevute dalla donna; ma nel far ciò, l’uomo scopre un oscuro ed inimmaginabile segreto, che fa riemergere spettri del passato e che conferma, nelle parole scritte dalla donna defunta, l’infedeltà consumata dalla stessa. Vi è pertanto il passaggio dal tema dell’amore a quello del tradimento, che conduce alla decisione del protagonista di porre comunque fine alla propria vita, sebbene la fatale scelta non sia più motivata dall’amore perduto bensì dalla disperazione causata dal tradimento della donna amata.

La paloma negra narra la storia di una donna, persa nei labirinti del male, che si redime dei suoi peccati passati. L’asceta incontrerà Margarita, una donna peccaminosa che cercherà di sedurre i suoi discepoli con la sua bellezza, e la paragonerà alla paloma negra che aveva incontrato il giorno prima:

[…] Ayer noche, cuando rodeada de diez a doce libertinos beodos apostaste que vendrías aquí a tentarnos, yo velaba y hacía oración en mi choza. De pronto, vi entrar por la

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ventanilla, revoloteando, una paloma, que más parecía un cuervo, porque no era blanca, sino negrísima. La paloma se me posó en el hombro, arrullando y su pico de rosa me hirió aquí. Mira —el monje, apartando la túnica, muestra en el velludo pecho una señal, una doble herida roja, un profundo picotazo—. Tomé la paloma, y en vez de hacerle daño la sumergí en el ánfora donde conservamos el agua bendita para exorcizar. La paloma empezó a soltar su costra de negro fango y, blanqueando poco a poco, vino a quedar como la más pura nieve. Limpia ya, se me ocultó en el pecho, durmió allí al calor de mi corazón amante, y por la mañana no la vi más. Tú eres ahora la paloma negra. Tú serás bien pronto la paloma blanca.

Con questo racconto possiamo rilevare come la fantasia prenda il sopravvento e apporti elementi che nella realtà non sarebbero considerati come veritieri.

La sombra, pubblicato anche col titolo El palacio de Artasar, narra della leggenda del re Artasar, piccolo di statura ma smisuratamente grande in vanità; ossessionato dalle forme grottesche assunte dalla sua ombra, ogni volta che attraversa il passaggio per raggiungere il tempio di Dio, egli si sente ridicolo di fronte al popolo, perché gli ufficiali della guardia che lo precedono sono invece robusti ed imponenti e perché immagina che al suo fianco ci sia una figura che si prenda gioco di lui e lo derida. Questa situazione gli provoca così tanto disagio e tristezza che decide di farsi costruire un paio di scarpe con suole altissime, in modo da sembrare più alto, maestoso; purtroppo il risultato non è positivo e la stranezza della sua nuova ombra aumenta le risa di tutti, convincendolo che la cosa migliore da fare è rinchiudersi a palazzo e non uscirne mai più. Solo così facendo il re riuscirà a rasserenarsi e a recuperare la fiducia in sé stesso, capendo inoltre e infine che a rendere un uomo piccolo o grande sono le sue azioni, non la sua apparenza.

Ne La emparedada la Pardo Bazán apre invece una finestra sul dispotismo coniugale, dal quale non si può scappare se non attraverso la morte; in esso si narra di una donna, moglie di una zar e che, educata al dare, offre al marito molto di più quanto riceva in cambio:

Reclinada sobre tapices persas, pálida y triste, entre humaredas de pebeteros que la envuelven en nubes de exóticos inciensos y violentos sahumerios orientales, la zarina tiembla, pues va a regresar su esposo, su terrible esposo, de la guerra o de la caza. Y cuando regrese, sufrirá la zarina el suplicio de la marmórea indiferencia y el desdén brutal con que la mira y la trata su dueño, harto de su hermosura y airado contra la mujer que no consigue atraerle a sus brazos.

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La zarina, disprezzata e odiata senza alcun motivo dal marito, lo supplica di avere compassione per lei e di lasciarla libera, ma egli non si dissuade e la imprigiona senza remore in una cella di pietra con tre finestre; dalla prima è possibile vedere una chiesa dalle cupole dorate, dalla seconda un giardino pieno di fiori, mentre dalla terza un cimitero. Disperata, la zarina piange per tre giorni consecutivi per poi rassegnarsi al suo triste destino; pregare tutti i giorni davanti alla prima finestra, cantare durante il pomeriggio e mai affacciarsi a quella prospiciente il cimitero. La sua unica consolazione è il giardino fiorito, che col sopraggiungere dell’inverno cede tuttavia colori e brillantezza, come coperto dal velo silenzioso della morte. Un giorno, mentre canta nella speranza che qualcuno la oda, un pellegrino diretto a Gerusalemme si ferma e le chiede il motivo della sua incarcerazione. Lei risponde di non aver commesso alcun crimine e che si trova lì per un capriccio dello zar, ma il mendicante non crede alle sue parole e le dice di zittirsi e soffrire. La zarina gli urla invano di non andarsene e di salvarla e, infine, si sporge alla finestra del cimitero convinta del fatto che ormai è quella l’unica via verso la libertà.

Ne La enfermera si narra della trasformazione avvenuta nei comportamenti di una donna, da angelo del focolare a demonio. Dopo anni di sottomissioni al marito, la protagonista decide infatti di vendicarsi per la vita insoddisfacente verso cui l’uomo l’ha condotta, soggiogandola e portatandole via la gioventù. Nonostante il marito, malato, la ringrazi per le cure che lei ha nei suoi confronti e le chieda perdono per tutti i mali che le ha causato durante la loro vita insieme, la donna gli somministra regolarmente del veleno. L’apice della narrazione si ha nel momento in cui lei confessa all’uomo di averlo ingannato, avvelenandolo giorno dopo giorno; momento coincidente con l’arrivo del medico, che bussando alla porta chiederà come stanno l’ammalato e la “impeccabile” infermiera.

El esqueleto è un racconto-cornice, che presenta cioè una costruzione complessa, tale da aumentare l’interesse del lettore e modulare la tensione dello stesso di fronte ai fatti descritti. Nell’introduzione il narratore è in terza persona e racconta la visita di Mariano Gormaz ad un amico di nome Carlos Marañón,

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rinchiuso in un manicomio; Mariano è venuto a sapere dell’internamento dell’amico solamente dopo molti mesi e cerca pertanto di convincersi che in tutto ciò dev’esserci un errore. Va dall’amico, che sin da subito lo riconosce, gli assicura di non essere pazzo e che non ha avuto alcun atteggiamento violento, ma non appena Carlos estrae dalla tasca un coltello e lo indica come il suo certificado de juicio, Mariano si spaventa e prova compassione per l’amico. Dopo l’introduzione, è Carlos a diventare il nuovo narratore, in parallelo e in simultanea con Mariano; il primo racconta la causa del suo isolamento, mentre il secondo descrive la scena, i movimenti dell’amico recluso e il passato trascorso insieme. La storia raccontata da Carlos inizia un anno e mezzo prima, quando egli si reca in montagna presso la casa di famiglia e, nonostante la sua camera non sia preparata per il meglio, decide di trattenersi per la notte; sotto il letto, incidentalmente si accorge di un passaggio che conduce ad un sotterraneo, da lui stesso definito “maldito”. Mentre racconta la storia, Mariano nota che Carlos inizia a sudare e a sentirsi male, ma essendo in grado di continuare il racconto, l’amico descrive la scoperta della carcassa di uno scheletro, in fondo al sotterraneo, coperta di stracci e con indosso un anello e un orologio. Mariano, nel frattempo, guarda incredulo l’amico e non sa se credergli o meno; ma la storia di Carlos prosegue. Egli, senza indagare, decide di sotterrare le ossa rinvenute lontano da casa, in una notte di temporale che gli farà venire una forte febbre e lo debiliterà talmente tanto da farlo credere pazzo. Carlos insisterà poi nel dire che si trova bene nel manicomio e che almeno lì è lontano dagli scheletri e dagli uomini, poiché anch’essi, nella sua visione, sono degli scheletri; dirà inoltre all’amico di non rivelare a nessuno quello che gli ha raccontato. Subito dopo Mariano riesce ad intervenire in tempo per evitare che l’amico folle gli dia una coltellata al cuore; questo costituisce il finale, che coincide con il climax del racconto.

Ne Los cinco sentidos troviamo la figura di Edgard, rampollo di una famiglia benestante abituato al piacere che deriva dal possesso di raffinati articoli di lusso. In seguito alla morte dei genitori, che memori della perdita di un primo figlio lo hanno sempre protetto in modo particolare, Edgard decide un giorno di uscire dall’alcova in cui è stato recluso fin da bambino, per conoscere il mondo reale che fino ad allora gli era stato descritto come fonte di pericoli e malesseri.

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Inizialmente affascinato dalla novità, dalla gente e dall’esperienza di cibi e odori nuovi, prova poi disgusto e repulsione, al punto di preferire le abitudini precedenti e far ritorno alle sue stanze, lontane dal mondo appena conosciuto. Nonostante sia ormai al sicuro dalle insidie sperimentate, continua tuttavia ad essere disturbato da ciò che vede, sente e tocca, tanto da rivolgersi al medico, lo stesso che non hai mai spesso di salvaguardare la sua salute; la richiesta del giovane è però insolita, in quanto desidera che sia privato dei cinque sensi. La felicità di Edgard risiede infatti nella tranquillità che gli destano le sue fantasie, le musiche celestiali create dalla sua mente e la pace interiore che si può raggiungere soltanto nell’isolamento più completo.

Un esempio paradigmatico di racconto in cui la pazzia del protagonista conduce a conseguenze tragiche è certamente La lógica, in cui si narra di Justino Guijarro che uccide senza clemenza i membri della sua famiglia, pensando così di assicurare loro la beatitudine e l’allontanamento definitivo dai mali terreni. La macabra e fatale decisione presa da Justino è dettata dalla voce della sua “lógica” cristiana, che gli sussurra persuadendolo di dover salvare l’integrità spirituale della sua famiglia, distaccandone l’anima dal corpo e salvandola così dal peccato. Alla fine il protagonista verrà accusato e condannato per gli atroci assassinii commessi e il sacerdote incontrato in prigione gli consiglierà, “logicamente”, di piangere, pregare e pentirsi dei peccati commessi.

Tra i racconti attribuiti al “fantastico puro” troviamo El rizo del Nazareno, nel quale il narratore in terza persona racconta minuziosamente ciò che accade a Diego la notte di un Giovedì Santo. Il protagonista rimane chiuso dentro la cappella dove è in preparazione la processione dell’indomani e lì assiste ad una scena soprannaturale, ovvero vede piangere la reliquia del Nazareno. Incredulo, Diego si nasconde dentro un confessionale, dal quale riesce a vedere le figure della Passione prendere vita; nella sua testa risuonano poi quelle voci che lo convincono di far evitare il calvario al Cristo, che cade iniziando a sanguinare. Dopo questo momento vi è una transizione del racconto, per la quale il narratore informa il lettore di come Diego si risvegli nel suo letto dopo essere stato ritrovato dai suoi amici quasi congelato sul suolo della cappella.

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Anche ne La máscara, ci troviamo di fronte a diverse opinioni sull’interpretazione del meraviglioso. Jenaro, non è ben considerato dalla voce narrante che di fronte ai fatti narrati, incredula, lo giudica come un uomo dalla mente malata. Il lunedì di Carnevale egli si ritrova dopo cena in una sala da ballo, e balla con una donna misteriosa, travestita, con il volto coperto che però lo attrae particolarmente. Dopo averle baciato la mano gelida, le toglie la maschera e scopre che è un cadavere:

[…] besé la mano de la máscara, tan helado como el champaña. La glacial sensación me exaltó más: con movimiento súbito arranqué el antifaz, rompiendo sus cintas…, y retrocedí de horror, porque tenía delante…

-¿Una calavera? -pregunté interrumpiendo, pues creía conocer el desenlace clásico. -¡No! -exclamó Jenaro con hondo escalofrío provocado por el recuerdo-. ¡No! ¡Otra cosa peor…, otra cosa! ¡Una cara difunta, color de cera, con los ojos cerrados, la nariz sumida, la boca lívida, las sienes y las mejillas envueltas en esa sombra gris, terrosa que invade la faz del cadáver! Un cadáver. Y para colmo de espanto, el pelo rojizo, movible y encrespado, que rodeaba la cara y parecía la fulgurante melena de un arcángel, se inflamó de pronto como una aureola de llamas sulfúreas, de fuego del infierno, que iluminase siniestramente la muerta cara. ¡Un difunto, y «difunto condenado»! Eso era la elegante, la esbelta, la burlona Locura, vestida como los ataúdes, de negro con cabos de oro.

Lei gli dice di essere la sua morte e va via; Jenaro perde i sensi e in seguito si ammala e si allontana dal mondo pubblico. Non scopriremo mai se questo racconto macabro e fuori dagli schemi ordinari in cui si inquadrano la vita e la morte, è stato uno scherzo organizzato dagli amici di Jenaro o se è un fatto realmente accaduto; il lettore resterà nel dubbio.

Ne La turquesa il narratore introduce e descrive l’amico russo Fedor Zanovitch, che fuma oppio ed è “loco y visionario, o insulso y desabrido”. La particolarità del personaggio sta poi nel fatto che, pur non essendo superstizioso, crede nella fatalità dei numeri e delle forze lontane che agiscono sull’uomo; Fedor, in particolare, guarda continuamente e con preoccupazione un anello che porta al mignolo con sormontata una gemma di turchese. Quando il narratore gli chiede il motivo per cui questo anello lo affligga, egli lo informa del fatto che non è una pietra normale, bensì magica; tutte le volte che cambia colore impallidendosi, significa che la persona che porta la gemma si sta per ammalare mortalmente. Nonostante il narratore ridimensioni e minimizzi quanto appena

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narrato, l’indomani Fedor si ammala gravemente di febbre tifoide e, alla sua morte, il fedele amico e testimone dei fatti narra di come abbia deciso di far analizzare la pietra, scoprendo il colore verde pallido della gemma e ricevendo quindi la conferma della maledizione insita nell’anello. In questo racconto la Pardo Bazán situa il climax alla fine, per mantenere la suspense e rendere tutto assieme l’impatto desiderato sul lettore; non funzionando la spiegazione scientifica dell’accaduto, questi resterà in bilico tra il reale e l’irreale.

Anche ne La charca la decisione del lettore circa le possibilità concesse dal racconto è difficile da prendere; è il narratore stesso, in terza persona, che rende infatti possibili varie interpretazioni, mettendo in dubbio l’accaduto e trattandolo come uno scherzo lugubre oppure come una fantasiosa illusione. Si racconta di un gruppo di persone che partecipa ad un regale ballo in maschera, impossibile da dimenticare, non tanto perché tutti sono mascherati di nero, ma perché i danzatori sembrano non possedere corpo; ad esempio, i guanti indossati dalle signore lasciano scoperte le ossa delle braccia. I servitori versano fiumi di champagne e la bevanda:

pasando por la boca, venía a salir por el cuello, rebosando por cima de los elegantes capuchones y las pecheras almidonadas.

Essendovi tra gli ospiti del ballo la fu regina Isabella II, appare chiaro al lettore come ogni ospite sia un realtà un defunto; per giustificare l’accaduto, alcuni partecipanti sostengono di aver avuto delle visioni a causa del troppo champagne bevuto, altri al contrario indicano che è proprio il fiume di champagne sparso sul pavimento a confermare che a bere erano persone defunte e cioè non in grado di trattenere la bevanda. Come in tutti i racconti fantastici puri, al lettore non resta che rimanere nel dubbio.

Ne El comadrón invece: una notte tetra, un ginecologo viene chiamato nel cuore della notte per andare ad aiutare una donna durante un travaglio molto difficile. Purtoppo, al suo arrivo, la donna è già morta ma lo esortano a non preoccuparsi del cadavere poiché è più importante salvare la creatura. Il racconto improvvisamente oscilla dal verosimile al fantastico.

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De mala gana se determinó el comadrón a cumplir los deberes de su oficio. Le parecía un crimen, aunque fuese con buen fin, lacerar aquel divino cuerpo. Obedeció, no obstante, porque el desconocido repetía con acento persuasivo y terrible: –No la respetes por hermosa. Está muerta, y nada muerto es hermoso sino en apariencia y por breves instantes. La realidad ahí es descomposición y sepulcro. ¡Nunca veneres lo que ha muerto! ¡Inclínate ante la vida!

Nonostante per lui fosse quasi crimine lacerare quel corpo divino, il medico si presta a compiere il suo lavoro ma nell’istante stesso in cui prende in mano i ferri, lo sconosciuto gli prende la mano e gli sussurra:

¡Cuidado! Conviene que sepas lo que haces. Ese seno que vas a abrir encierra, no un ser humano, no una criatura, sino una verdad. Fíjate bien. Te lo advierto. ¿Sabes lo que es una verdad? Una fiera suelta que puede acabar con nosotros, y acaso con el mundo. ¿Te atreves, ¡oh comadrón heroico! , a sacar a luz una verdad?

Sotto pressione il ginecologo decide di agire e salva un essere bruttissimo che dovrà portare con sé perché nessuno vuole occuparsene. Di ritorno a casa, si ferma e osserva questa “verità” che è già in possesso di quattro denti e lo morde; in preda al panico, il medico strangola il mostro e lo butta nel fiume. Questo racconto agghiacciante, per il suo ambiente cupo, si avvicina al cosiddetto genere gotico, che analizzeremo a seguire. Lo scopo della nostra scrittrice era quello di svelare il segreto intimo e al contempo universale, il grande mistero della vita. Emilia inoltre è coerente con l’ideologia del suo tempo, riconosce e si sorprende di ciò che ascolta, vede e legge; attinge a motivi, temi, argomentazioni provenienti dalla letteratura tradizionale; descrive credenze, pratiche religiose, magiche e superstiziose ma tutto ciò che fa, è fatto seguendo una precisa intenzione letteraria e soprattutto critica, secondo una prospettiva razionale, scientifica, mettendo allo scoperto tutti gli aspetti della cultura da lei considerati negativi, aspetti che invece di migliorare l’essere umano, lo fanno regredire. Lei, come molti autori della sua epoca, si sente in obbligo di denunciare questi testi, questi pensieri e la loro influenza opprimente per tutti coloro che vivono secondo le normative di queste forme di pensiero.

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Corazón Perdido, scritto nel 1920, è un racconto composto da fatti irreali e, nonostante sprigioni dolcezza e sia scritto in maniera esemplare, è stato ingiustamente dimenticato dalla letteratura gotica. Si tratta di una storia romantica e triste, nella quale il cuore simboleggia vita ed è fulcro dei sentimenti, al punto tale che l’autrice lo presenta come la principale causa di tutte le angustie e i problemi sentimentali che possono addirittura condurre alla morte una persona che sia particolarmente sensibile. Il racconto parla di un ragazzo che incontra, per caso, un cuore smarrito per strada, ancora insanguinato e vivo. Dopo averlo raccolto con molto cautela, scopre che il cuore vuole ritrovare il suo padrone e chiede così ai vari passanti; essi rispondono tutti di avere già un cuore e che quello non è il loro cuore; il ragazzo, come in possesso di un cannocchiale magico, vede tuttavia che ciascuno dei passanti è privo di cuore. Fino a quando appare una pallida bambina, che reclama il cuore perduto come suo; ma il ragazzo vede che la bambina ha già un cuore e, pertanto, quello perduto non può essere il suo. Tuttavia, dal momento che la bimba si ostina nel credere che sia il suo cuore, decide di lasciare che lo prenda con sé. Il racconto termina in maniera molto triste, perché la generosità della bambina non basta ad evitarle la morte causata dall’impossibilità di vivere con due cuori. Uno dei temi principali del racconto è l’ignoranza delle donne, che non accettano un cuore nonostante ne siano sprovviste; il protagonista, accompagnando il cuore perduto nella ricerca del suo proprietario, mostrerà infatti come nessuna lo accetti né lo voglia prendere con sé. Si tenga anche conto che il narratore volutamente indica il tempo durante il quale si svolge la ricerca del cuore perduto, ossia quello di un pomeriggio che volge a sera in un’epoca moderna. Altro aspetto rilevante del racconto è la fantasia e l’irrealtà che lo caratterizza; l’autrice focalizza infatti l’attenzione del lettore mediante un fatto maravilloso, cioè di un cuore che, fra le strade di una città molto popolosa, è alla ricerca del suo proprietario e, tuttavia, viene respinto da tutti. L’autrice inoltre, per aiutare il lettore a comprendere meglio il racconto e collocarsi dentro esso, fa uso di immagini visive “vidi al suolo un oggetto rosso e mi abbassai: era un cuore insanguinato e vivo”, tattili “il biancore e la delicatezza delle tenere viscere, che al contatto con le mie dita…”, uditive “palpitava come se fosse dentro il petto del suo padrone”. Anche l’uso di aggettivi come rojo,

Riferimenti

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