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«Senza però confondere il nuovo lavoro con l’antico». La reintegrazione delle lacune nei restauri ottocenteschi dei Templi di Paestum

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Academic year: 2021

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confronti

la lacuna nel restauro

architettonico

quaderni di restauro architettonico

4-5

(2)

confronti

la lacuna nel restauro architettonico

quaderni di restauro architettonico

4-5

(3)

coordinamento editoriale maria sapio redazione paola rivazio art director enrica d’aguanno impaginazione francesca aletto rivista semestrale anno III, numeri 4-5, giugno, dicembre 2014 autorizzazione del tribunale di napoli n. 80 del 27 dicembre 2012 ISSN 2279-7920 arte’m è un marchio registrato prismi

editrice politecnica napoli srl certificazione qualità ISO 9001: 2008 www.arte-m.net stampato in italia printed in italy © copyright 2015 by prismi

editrice politecnica napoli srl tutti i diritti riservati all rights reserved

direttore Stefano Gizzi comitato editoriale

Paolo Mascilli Migliorini, Renata Picone, coordinatori Rosa Romano, Luigi Veronese, Massimo Visone

comitato scientifico internazionale

Aldo Aveta, Giovanni Carbonara, Ugo Carughi, Francesco Cellini, Giorgio Cozzolino, Mario De Cunzo, Stefano Della Torre, Marco Dezzi Bardeschi, Leonardo Di Mauro, Luciano Garella, Stefano Gizzi, Antoni González Moreno-Navarro, Elisabeth Kieven, Péter Klaniczay, Fani Mallouchou-Tufano, Fabio Mariano, Paolo Mascilli Migliorini, Dieter Mertens, Renata Picone, Tommaso Russo, Nuria Sanz, Franco Tomaselli

i saggi contenuti in questo numero di “confronti” sono stati sottoposti alla procedura di doppio referaggio esterno esercitato in forma anonima the essays contained in this issue of “confronti” have been subjected to the double blind peer review process

tutte le referenze fotografiche sono indicate nei singoli contributi

questo numero è stato parzialmente finanziato dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli, da Cuzzolino costruzioni a r.l., da Materazzo Restauri srl, da MD Archeologia srl e dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”

in copertina

Atene, Eretteo, la Loggetta delle Cariatidi con le reintegrazioni ‘senza riprese degli ornati’ operate nel 1845-1846 da Alexis Paccard e con il calco in terracotta della terza Cariatide da ovest, in una raffigurazione di Jacques-Martin Tétaz del 1847

(4)

PREMESSA

5 Luciano Garella EDITORIALE

7 Stefano Gizzi

Intervista a Giovanni Carbonara CONTRIBUTI

21 Claudio Varagnoli

Lacune, vuoti, progetti: il posto del restauro 29 Camilla Mileto, Fernando Vegas

La lacuna e il restauro architettonico: il concetto di scala e le sue ripercussioni 39 Nilüfer Baturayog˘ lu Yöney

The problem of reading later interventions: reintegration of the missing parts for the survival of medieval architecture

50 Renata Picone, Luigi Veronese

A partire da ciò che resta. Le reintegrazioni di Alberto Terenzio al Pantheon e il dibattito sulla lacuna in architettura, 1929-1934 61 Maria Vitiello

Boito, le “forme nuove” per la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica CASI DI STUDIO

72 Stefania Pollone

“Senza però confondere il nuovo lavoro con l’antico”. La reintegrazione delle lacune nei restauri ottocenteschi dei templi di Paestum 84 Lucina Napoleone

Quando la lacuna svela: lo ‘scrostamento’ degli edifici del centro di Genova nella prima metà del Novecento

95 Emanuela Sorbo

Restauri alla Cà Granda. Liliana Grassi

e la grande lacuna: il progetto e il metodo nel restauro

105 Gianpaolo Angelini

L’immagine perduta (e ritrovata?). Le cattedrali di Crema e Lodi tra teoria e pratica del restauro architettonico, 1953-1964

114 Rosario Scaduto

Haghìa Triàda, Creta: reintegrazione della lacuna come presenza dell’assenza

119 Michele Candela, Paolo Mascilli Migliorini

Restauri di lacune strutturali. Due casi studio nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli 125 Ugo Carughi

Pisa. Ricostruzione di San Michele in Borgo 129 Giorgio Della Longa, Pietro Maltese, Michele Zampilli

Restauro e riuso di Palazzo Riccio di San Gioacchino a Trapani 137 Enrica Petrucci

Lacune d’uso e reintegrazioni funzionali: il caso del complesso francescano di Ascoli Piceno 143 Patrizia Di Maggio

Le lacune come strumento critico di riconoscimento. Esperienze di restauro nel Palazzo Reale e nella basilica di San Giovanni Maggiore a Napoli 154 Giovanna Russo Krauss

Demolizione, ricostruzione, reintegrazione: il cassettonato di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli, 1956-2008

164 Daniela Pittaluga

La ‘chiesa dipinta’ di Gino Grimaldi nell’ex Ospedale psichiatrico di Pratozanino: una reintegrazione di luce 172 Anita Guarnieri

Restauro e reinterpretazione critica: il progetto del plafone ligneo della chiesa matrice di Celenza Valfortore

179 Inziative culturali sul tema, 2009-2014

a cura di Rosa Romano, Luigi Veronese, Massimo Visone

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Un intreccio di approcci, materiali e tecniche: le architetture antiche di Paestum L’area archeologica di Paestum, con le sue imponenti strutture templari, gli edi-fici pubblici, le residenze, la cinta fortificata, le porte e le torri di difesa, rappre-senta una delle maggiori e più significative testimonianze dell’architettura della Magna Grecia. Caratterizzato dalla sovrapposizione tra l’impianto della città di fondazione – attribuita, con ogni probabilità, agli Achei provenienti da Sibari – e stratificazioni lucane, romane e altomedievali, l’antico insediamento appare oggi un contesto entro cui riconoscere i segni tangibili di tale evoluzione. Rilevato, rappresentato e studiato, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, nell’ambito di un rinnovato interesse nazionale e internazionale orien-tato al ‘disvelamento’ concettuale e materiale dell’architettura greca, il sito ha visto coinvolte, in seguito, alcune tra le personalità più rilevanti legate alla com-mittenza regia, all’accademia e, dalla seconda metà dell’Ottocento, agli ambiti ministeriali. Tali figure, intervenendo direttamente, attraverso operazioni di restauro, o indirettamente, mediante formulazioni di metodo e indirizzi opera-tivi, al fine di conservare le architetture dell’antica città, hanno contribuito a deli-neare un insieme di orientamenti di notevole vivacità e importanza per

l’evolu-zione del coevo restauro archeologico1. Tanto nelle proposte quanto

nell’operati-vità, infatti, è possibile riconoscere un’evidente propensione a ridurre l’intervento alle sole operazioni indispensabili a scongiurare la perdita della materia antica nonché una grande attenzione ai modi attraverso cui assicurare la compatibi-lità e la riconoscibicompatibi-lità delle aggiunte rispetto alle preesistenze. Pertanto, la pos-sibilità di operare un confronto tra le proposte formulate alla fine del XVIII secolo e gli interventi di restauro condotti durante il XIX secolo consente di ricostruire un quadro generale entro cui inserire l’evoluzione degli approcci e delle tecniche adoperate, facendo particolare attenzione alle scelte adottate in merito alla rein-tegrazione delle lacune in termini di materiali impiegati, posa in opera e finiture. Se nella valutazione degli esiti di un progetto di restauro e della sua compati-bilità rispetto alla preesistenza, la questione della reintegrazione si pone come nodo critico di estrema rilevanza, tanto da divenire oggetto di dibattiti scientifici che hanno visto, talvolta, contrapporsi più esponenti della cultura del restauro, essa finisce per assumere maggiore complessità laddove l’intervento inerisca un ambito archeologico. La fragilità della materia e la vulnerabilità strutturale

Stefania Pollone

“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON

L’ANTICO”. LA REINTEGRAZIONE DELLE LACUNE NEI

RESTAURI OTTOCENTESCHI DEI TEMPLI DI PAESTUM

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“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 73 si pongono, infatti, quali fattori di rischio da

con-temperare con puntuale cura al fine di garantire la conservazione delle architetture antiche, evi-tando, al contempo, inopportune sovrapposi-zioni e interferenze di significato. Sebbene nel contesto archeologico, ancor più che in altri, l’in-tervento di restauro manifesti tutta la sua com-plessità, è lecito asserire che le maggiori speri-mentazioni inerenti la problematica della reinte-grazione delle lacune siano state formulate

pro-prio in seno al restauro archeologico2, laddove la

necessità di aggiungere materia nuova al fine di scongiurare la perdita di quella antica è apparsa, talvolta, di estrema urgenza.

Proposte e interventi per il restauro dei templi tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo Nel clima di grande fermento culturale e di atten-zione nei confronti dell’antico che, per tutta la metà del XVIII secolo, orientò gli interessi della monarchia borbonica verso i grandi cantieri vesuviani, il sito di Paestum rimase in ombra. A dispetto di un notevole interessamento nazio-nale e internazionazio-nale, perlopiù frutto di iniziative di studio private, la città, almeno in una prima fase, fu esclusa tanto dai programmi di tutela, emanati per preservare le antichità vesuviane, quanto dai cantieri ufficiali di scavo.

Tralasciando le proposte – talvolta anche provo-catorie – di tecnici e studiosi locali, da conside-rare come occasioni per atticonside-rare l’attenzione del governo centrale sul sito, piuttosto che come reali indicazioni per la salvaguardia dell’area archeolo-gica, soltanto nell’agosto del 1794 si può ricono-scere il primo provvedimento ufficiale mirante alla riparazione del tempio di Nettuno, danneg-giato dalla caduta di un fulmine. In quella circo-stanza, infatti, Domenico Venuti, Soprintendente alle Antichità del Regno, incaricato di provvedere al restauro della struttura, affidò a Francesco La

Vega3, allora impegnato nei cantieri vesuviani, il

compito di verificare l’entità dei danni e formu-lare il progetto di restauro del tempio.

Forte di una profonda conoscenza dell’antico, costruita, prima, durante gli anni della forma-zione romana, mediante l’attento e continuo studio delle fabbriche classiche, e consolidata, poi, sul campo nell’attività di scavo e restauro delle strutture pompeiane ed ercolanesi, La Vega, che già nel 1770 aveva richiamato l’at-tenzione – rimanendo, purtroppo, inascoltato – sulla necessità di intervenire nel sito al fine di

evi-tare la perdita di “memorie si rispettabili”4,

ela-borò una interessante lettura delle architetture del sito, delineando, inoltre, per esse puntuali

proposte di restauro5.

Paestum, veduta aerea dell’area archeologica HODERUD]LRQHJUDÀFDD cura di Stefania Pollone)

(7)

Lo stato di conservazione che il tecnico si trovò dinanzi dovette apparire abbastanza preoc-cupante anche se non urgente quanto ad una prima lettura sarebbe potuto sembrare. Se nel tempio di Nettuno si evidenziarono, infatti, dif-fuse mancanze – nel fusto della seconda colonna del fronte occidentale, nel capitello della terza colonna e nella parte esterna dell’architrave al di sopra delle stesse – tali da lasciar presup-porre un’“imminente rovina”, questa non sarebbe sopravvenuta, secondo La Vega, a causa dei danni provocati dal fulmine, bensì a seguito dell’azione continuativa delle “intemperie delle stagioni” e del “contatto stesso dell’aria” che, nel tempo, avrebbe incrementato le lacune “facendo lenta-mente staccare varie particelle delle pietre”,

inde-bolendone “lo stato di legamento, e di equilibrio”6.

Individuate le principali criticità della struttura, l’ingegnere ritenne opportuno che “per allonta-nare a tal danno si riparassero tutte le mancanze delle pietre, che formano così le colonne, che l’ar-chitrave, con buon cemento adattato alla natura di esse pietre: e come un tale riparo non potrebbe avere tutta la dovuta consistenza nell’architrave,

si ponessero delle sbarre di ferro sotto la sua pietra corrosa appoggiate alle laterali colonne, quali reg-gessero almeno il cemento, finché coll’andare del tempo non facesse uno stretto legamento con le pietre: essi ferri però dovrebbero essere rivestiti anch’essi di un qualche cemento, che gli

impe-disse di venir corrosi dalla ruggine”7. La Vega

indi-viduò, dunque, nell’uso di un “buon cemento” una valida soluzione per la reintegrazione delle lacune riscontrate. Tale impasto – con ogni probabilità ottenuto da una miscela a base di calce, secondo quanto si può evincere dai computi metrici del

tecnico8 – doveva assicurare la compatibilità con

la materia antica perché “adatto alla natura di esse pietre”. Inoltre, laddove, questi riscontrò la necessità di coadiuvare le integrazioni mediante l’aggiunta di elementi metallici, collocati all’intra-dosso dell’architrave, previde anche per questi ultimi la posa in opera di uno strato protettivo rea-lizzato con “un qualche cemento” così da evitare l’azione corrosiva degli agenti atmosferici.

Se è da ritenere plausibile l’eventualità che, per quanto riguarda la formulazione delle proposte conservative, l’ingegnere si fosse ispirato alle Paestum, tempio di

Nettuno, veduta delle fronti settentrionale e occidentale (foto Stefania Pollone, 2014)

Paestum, tempio di Nettuno, particolare del timpano della fronte occidentale

(foto Stefania Pollone, 2014)

Paestum, tempio di Nettuno, particolare di una delle reintegrazioni del timpano della fronte occidentale realizzate da Antonio Bonucci nel 1805 (da R. Martines,

Gli interventi degli anni ’90 del XX secolo, cit.,

(8)

“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 75 precedenti esperienze siciliane portate avanti

da Carlo Chenchi a partire dal 17819, è senz’altro

evidente che, rispetto ad esse, questi dimostrò un maggiore spirito critico nell’osservazione delle strutture e una più spiccata sensibilità nella defi-nizione degli interventi. Pienamente consape-vole delle scelte e degli obiettivi delle proposte conservative, l’approccio di La Vega testimonia, infatti, di una più matura e già critica posizione culturale. Nel sottolineare quanto “tale ripara-zione lontano dal deformare l’edificio, lo rende-rebbe più vistoso”, il tecnico espresse, peraltro, la volontà di restituire alla struttura antica una condizione di maggiore completezza, lasciando, allo stesso tempo, sempre leggibili le integra-zioni, delle quali tenne ad assicurare la durabilità “giacché la pietra di Pesto è attissima a fare una

stretta unione con la calcina”10.

Per quel che riguarda il tempio di Atena, nel quale la colonna angolare e il corrispondente archi-trave del fronte orientale minacciavano immi-nente crollo, questi misurò l’intervento in modo tale da contemperare una condizione di mag-giore complessità. “Avendo fatto più riflessioni sulla maniera di dar riparo ad un tale minacciato danno” propose, infatti, di “chiudere con nuova

fabbrica gli intercolonei”11 al fine di bloccare

eventuali crolli, assicurando al contempo, la sta-bilità dell’intero fronte. Un espediente, quest’ul-timo, da ritenere un’anticipazione di quell’ap-proccio che avrebbe guidato il consolidamento delle arcate del Colosseo eseguito da Raffaele Stern a partire dal 1806.

In una nota delle spese occorrenti per la realizza-zione degli interventi, La Vega avrebbe, in seguito, sottolineato la necessità di reintegrare le lacune nelle colonne facendo uso di materiali locali “adattandoli per quanto sia possibile a quello che siasi praticato dagli antichi, cioè mescolandovi o le pietre stesse pestate o l’arena”, specificando, inoltre che “il muro del tempio piccolo che dovrà

farsi si lasci rustico del tutto”12, garantendo, in tal

modo, la definitiva riconoscibilità dell’aggiunta rispetto alla preesistenza.

Sebbene il progetto fosse stato definito nei det-tagli e i materiali già predisposti, i lavori, la cui organizzazione si protrasse fino agli ultimi mesi del 1798, non furono mai intrapresi, probabil-mente a causa della crisi generale che colpì il regno borbonico a partire dal gennaio dell’anno successivo. Ciò nonostante, le puntuali indica-zioni di La Vega e l’impostazione metodologica

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dell’intervento avrebbero trovato riscontro nelle operazioni eseguite a partire dal 1805 da Antonio Bonucci nell’ambito della più vasta campagna di scavi e lavori diretta da Felice Nicolas, Soprin-tendente alle Antichità e agli Scavi del Regno, durante la quale furono riportate alla luce anche alcune sepolture in corrispondenza della porta settentrionale della città.

L’intervento di restauro portato avanti dall’archi-tetto riguardò, in particolar modo, i templi di Net-tuno e di Atena, le cui vulnerabilità erano state messe in luce da La Vega. L’approccio operativo, non dissimile da quello precedentemente impo-stato, comportò la reintegrazione delle lacune mediante l’utilizzo di analogo materiale rinvenuto in sito e l’impiego di presidi metallici per il consoli-damento di architravi e fusti di colonne. Nello spe-cifico, nel tempio maggiore, si intervenne sul tim-pano, sull’architrave e su alcune delle colonne del fronte occidentale, laddove più evidenti dovet-tero essere i danni provocati dalla caduta del

ful-mine13. “Le pietre che mancavano … furono

rim-piazzate da altre della medesima natura, che ritrovavansi nel luogo stesso, e fissate interior-mente da gran perni di metallo, senza che i monu-menti fosser rimasti deturpati e defraudati del loro antico carattere, che ne forma il maggiore

incantesimo per l’amatore del Bello dell’arte”14.

Tali integrazioni, tutt’ora visibili, appaiono

carat-terizzate da una sorta di ‘rigatino architettonico’15

definito mediante un apparecchio murario costi-tuito da scaglie di piccola dimensione dello stesso travertino dei blocchi del tempio, allettate con abbondante malta a base di calce e poste in opera sottosquadro tanto da lasciar leggere chiara-mente i contorni delle aree risarcite. Interessante risulta anche l’impiego di imperniature metal-liche, a sostegno della muratura e dei blocchi rein-tegrati, ‘celati’ però alla vista al fine di non “detur-pare” i monumenti “del loro antico carattere”. Largo fu anche l’impiego di presidi metallici installati per consolidare architravi e colonne lesionate. Infatti, “Nel frontespizio orientale del Tempio medesimo, essendovi un capitello che minacciava ruina, è stata assicurato con spranghe di metallo in modo tale che resterà parimenti per lungo tempo intatta quella

fac-ciata che è la meglio conservata”16. E ancora,

nel tempio di Atena, “Siccome l’angolo destro della facciata orientale minacciava prossima ed imminente ruina, è stato assicurato con spranghe di metallo, in modo tale che non vi

è per lunghissimo tempo nulla a temere”17.

Tali operazioni, costate al Governo circa mille

ducati18 e portate avanti perché venisse

“assi-curata alla posterità ed alle arti ancora per molti Giovan Battista Piranesi

Planche XVIII.

Da notare lo stato di conservazione dei timpani del tempio di Atena prima dell’intervento reintegrativo eseguito da Ciro Cuciniello (da G.B. Piranesi, Différentes vues de quelques restes de trois JUDQGVpGLÀFHV«GH l’ancienne ville de Pesto

(10)

“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 77 secoli l’esistenza di un monumento tanto

pre-zioso”19 – così alcune di quelle in seguito

effet-tuate, nel medesimo tempio, da Ulisse Rizzi – furono in parte obliterate da successivi

inter-venti condotti da Amedeo Maiuri nel 192620.

In ultima analisi anche l’approccio di Bonucci, il quale ricevette una particolare gratificazione per “quanta intelligenza, quanto amore e quanto

zelo”21 aveva dedicato all’esecuzione degli

inter-venti, si pose in relazione e contribuì all’evolu-zione stessa della disciplina del restauro che, proprio in quegli anni e per mezzo anche della fondamentale influenza della cultura francese, stava acquisendo il suo carattere moderno. Scavi e restauri negli anni Trenta del XIX secolo Gli anni di passaggio tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento rappresentarono per il sito un periodo di grande fermento durante il quale, di fianco ad interventi che si mostrarono del tutto estranei alle problematiche di

conser-vazione del patrimonio archeologico22,

determi-nandone, addirittura l’irrimediabile perdita, si possono annoverare l’emanazione delle prime

istruzioni per i custodi del sito23, nonché positive

esperienze tanto di scavo quanto di restauro. In primo luogo, il coinvolgimento nel sito di

Pietro Bianchi24 – che nel 1831 avrebbe ricevuto

la nomina di Architetto Direttore degli scavi di

Pompei – di Gaspare Fossati25 – giovane

archi-tetto ticinese che soggiornò in Italia tra il 1828 e il 1831 – e, per l’ultima fase, di Luigi Cerasoli nei lavori di scavo e di sistemazione dell’area del foro permise di riportare alla luce il basamento

del cosiddetto tempio della Pace26. Completato

lo scavo nel mese di ottobre 1830, Fossati con-dusse un’attenta campagna di rilievo di metope ed elementi architettonici ritrovati e affermò che tali frammenti fossero “sufficienti per farne

un buon ristauro”27, alludendo, in questo caso,

non all’operazione concreta bensì alla possibi-lità di eseguire una ricomposizione ‘mentale’

della forma perduta della struttura antica28.

D’altra parte, invece, un intervento concreto e, si potrebbe dire, paradigmatico per la storia dei restauri del sito, si deve a Ciro Cuciniello, archi-tetto di Casa Reale che lavorò in quegli stessi anni a Paestum. Effettuato il sopralluogo tecnico ed elaborato il progetto nel 1829, questi si occupò del consolidamento del tempio di Atena, por-tando avanti un’interessante esperienza di rein-tegrazione di lacune di differente entità.

Orientato al contemperamento delle istanze di conservazione della materia antica, di rispetto della sua autenticità e di leggibilità delle aggiunte rispetto alle preesistenze, l’intervento interessò

Paestum, tempio di Atena, veduta delle fronti meridionale e orientale della struttura nell’attuale stato di conservazione (foto Stefania Pollone, 2014)

(11)

i timpani delle due fronti del tempio, laddove “mancavano per vetustà due porzioni di

fab-brica negli angoli della base”29. I lavori

consi-stettero in una serie di integrazioni tali da “sur-rogare con fabbrica di mattoni le porzioni man-canti, ma in modo da non confondere la fab-brica moderna di restaurazione co’ venerandi

ruderi di quell’antico monumento”30.

Chiari la metodologia e gli obiettivi del progetto di restauro, per le aggiunte, oggi ancora comple-tamente riconoscibili, l’architetto scelse di utiliz-zare un materiale del tutto differente, il laterizio, posto in opera in filari e allettato con malta a base di calce. La linearità delle integrazioni, realizzate ricostruendo i profili dei timpani in forme sempli-ficate, mette in evidenza la volontà di non inter-ferire con la materia antica della fabbrica, assicu-randone, al contempo, la protezione da potenziali meccanismi di collasso. Sebbene non si possa trascurare l’eventualità che la scelta del materiale sia stata condizionata da esigenze di natura eco-nomica e di maggiore semplicità nella gestione del cantiere, è lecito ipotizzare che l’architetto abbia individuato nel laterizio il giusto compro-messo tra queste istanze e la volontà – peraltro espressa chiaramente – di rendere distinguibile l’aggiunta contemporanea dalla preesistenza antica ovvero di “non imitare, o contraffare colle novelle opere verun pezzo di quel monumento, ma distinguere chiaramente la fabbrica di

ripara-zione dalla costruripara-zione originaria”31..

Lo stesso Cuciniello, inoltre, fornì una testi-monianza dello stato di conservazione degli interventi realizzati da Bonucci circa un tren-tennio prima, mettendone in evidenza la buona

resistenza nei confronti della prova del tempo affermando che “il pezzo restaurato giace

tut-tora nel modo stesso, nel quale fu riparato”32.

Carlo Bonucci, Ulisse Rizzi e le integrazioni del tempio di Nettuno

A circa quindici anni di distanza dagli interventi che interessarono il tempio di Atena, fu quello di Nettuno a necessitare di ulteriori restauri. La stabilità del colonnato interno della struttura, infatti, appariva fortemente compromessa tanto che un pilastro e alcune colonne dell’ordine superiore sembravano minacciare imminente

crollo33. Nel progetto di restauro, elaborato nel

1846 da Carlo Bonucci, si evidenziò innanzi-tutto l’intenzione di assicurare le parti da con-solidare mediante “convenienti puntelli” e ope-rare, poi, la ricostruzione del pilastro

“diroc-cato per vetustà”34. Quest’ultima operazione

sarebbe dovuta avvenire utilizzando “massi di pietre travertine del luogo, potendosene utiliz-zare un quarto del masso con le pietre che giac-ciono disperse intorno al tempio, e tre quarti con massi calcarei … dei quali pezzi quelli antichi debbonsi semplicemente rilavorare nelle facce e negli aspetti ed i nuovi si devono rilavorare a Paestum, tempio di

Atena, particolare delle integrazioni in muratura di laterizio eseguite, sul timpano occidentale, da Ciro Cuciniello negli anni Trenta del XIX secolo (foto Stefania Pollone, 2014) Paestum, tempio di Atena, particolare delle integrazioni in muratura di laterizio eseguite, sul timpano occidentale, da Ciro Cuciniello negli anni Trenta del XIX secolo (foto Stefania Pollone, 2014)

(12)

“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 79 mannaia e a martellina fino di misura il pilastro

medesimo”35.

L’architetto propose, inoltre, di ricostruire il capitello al di sopra del pilastro “di simile pietra di travertino del luogo … ricacciandovi la consimile modenatura come nei capitelli delle colonne”, di integrare l’architrave superiore mediante “un’aggiunzione all’antico … in surroga di quella caduta”, nonché di “formare una buona pun-tellatura … nei due spazi laterali alla colonna dell’ordine inferiore”, cingendo “con tavole la

colonna inclinata nell’ordine superiore”36. Una

serie di proposte, queste formulate da Bonucci, che, se lette rispetto alle esperienze precedenti, appaiono connotate da un atteggiamento più pedante, meno sensibile alla tutela dell’autenti-cità, nonché favorevole ad un uso indiscriminato dei materiali trovati in situ, da poter ricollocare ma, anche, rilavorare con disinvoltura.

Architetto dalla differente sensibilità fu, invece,

Ulisse Rizzi che operò a Paestum intorno agli anni Cinquanta del XIX secolo. Formatosi in ambito

romano ed “educato all’antico”37 insieme a

Fede-rico Travaglini – col quale vinse, nel 1838, il con-corso per la partecipazione al Pensionato – si fece portavoce di una più matura e consapevole responsabilità nei confronti della protezione e della conservazione delle antichità. Il tecnico inter-venne sul tempio di Nettuno, laddove, del progetto di Bonucci, che non aveva avuto seguito a causa di una serie di controversie di carattere prevalen-temente economico, restava la sola puntellatura. La presenza di quest’ultima, sebbene piuttosto “rozza e sconcia”, nonché costituita da “impiedi

di legname grezzo”38 fu, tuttavia, indispensabile,

secondo Rizzi, per scongiurare il collasso degli architravi, privi dei pilastri di sostegno ormai crol-lati. L’architetto propose che questi ultimi venis-sero integrati utilizzando “pietra di travertino del luogo” e poggiati “sulle basi che tuttora vi restano

Ulisse Rizzi, Stato

attuale del Tempio di Nettuno in Pesto, 1849.

Da notare l’accurato rilievo dello stato di conservazione dell’ordine interno del tempio e dell’impalcatura realizzata da Carlo Bonucci a partire dal 1846 (Archivio Storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli, ora Soprintendenza Archeologia della Campania, 2014)

(13)

a somiglianza di quelli che si osservano nell’altro lato usando le stesse forme e costruzione. Essi serviranno di sostegno ai cadenti architravi … indi potrà portarsi a piombo la colonna fuori sesto del secondo ordine livellandosi l’arcotrave che le è

sot-toposto”39. Per il pilastro grande dell’ordine interno

del tempio, “in vari siti mancante di alcuni massi e dadi di travertino”, inoltre, previde che venisse restaurato “imitando la stessa costruzione antica” affinché non continuassero “a cadere quei massi e

dadi che mancano di base”40.

Nel resoconto di una successiva fase di lavo-razione, Rizzi precisò che “sul primo progetto venisse disposto, che le due nuove ante ora restaurate di sostegno agli architravi, doves-sero essere fermate mercè spranghe di ferro” e che si dovessero “innestarle colle antiche cornici, mediante massi lavorati della stessa

pietra”41. Un materiale, quest’ultimo, che, al fine

di assicurare la compatibilità fisica e meccanica

delle aggiunte, dovesse essere estratto “dalla medesima cava donde gli antichi tolsero le loro

pietre nell’edificare quei tempii”42.

L’approccio metodologico dell’architetto appare del tutto in linea con le finalità delle posizioni precedenti. La scelta ricadde, infatti, sull’im-piego dello stesso materiale del tempio lavorato a “somiglianza” di quelli antichi in modo a facili-tarne l’integrazione fisica, meccanica ed este-tica, coadiuvando, inoltre, le aggiunte mediante la posa in opera di “spranghe di ferro” tali da ren-derle solidali rispetto alla struttura antica. Per la Basilica e il tempio di Atena, constatata la necessità di eseguire alcune integrazioni, tenne a sottolineare che la loro costruzione dovesse essere “regolata” in modo “da non tradire le antiche forme adoprandosi ora il mattone ora

il travertino a seconda dell’arte”43.

Eviden-ziando, ancora una volta, il fondamentale obiet-tivo della distinguibilità dell’aggiunta rispetto Ulisse Rizzi, Restauro

del Tempio di Nettuno in Pesto, 1849. Dal disegno di progetto appare evidente la volontà dell’architetto di assicurare la compatibilità delle aggiunte e, al contempo, la loro distinguibilità rispetto alla materia antica (Archivio Storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli, ora Soprintendenza Archeologia della Campania, 2014)

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“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 81 alla preesistenza, Rizzi individuò nell’uso del

mattone o, in alternativa, del travertino, da sce-gliere a seconda delle esigenze, il giusto com-promesso tra esigenze di carattere strutturale e finalità di riconoscibilità formale ed estetica. Realizzate, pertanto, nel tempio di Atena, alcune integrazioni con “fabbrica di mattoni”, laddove i dissesti non apparvero tanto gravi da necessi-tare opere murarie ovvero “per non deturpare l’antico con l’aggiunzione di nuove opere di

fab-brica”44, l’architetto impiegò “catene di ferro

battuto … per frenare l’un capitello con l’altro” nonché “una staffa di simile ferro battuto posta in opera su detto arcotrave tra l’un pezzo e l’altro”. Intervento, questo, che, volutamente limitato alle sole operazioni necessarie a scon-giurare la perdita della materia antica, dimostra la modernità dell’approccio del tecnico.

Durante un ulteriore sopralluogo, nel 1855, Rizzi poté constatare l’incremento dello stato di degrado e di dissesto del “fusto della colonna angolare e l’ovolo del capitello rispondente

sulla colonna interna della Basilica”45, nonché

del capitello della seconda colonna e dell’ovolo di quella d’angolo del tempio di Atena. Met-tendo in evidenza la necessità di intervenire per evitarne l’“imminente ruina”, propose di fre-nare gli elementi danneggiati “con fasciature di

ferro, ripigliando” per il secondo dei due templi, “le parti scheggiate con fabbrica di mattoni, in guisa però da non apportare alcuna alterazione

all’antico aggiustamento”46. Ancora una volta,

dunque, l’architetto dimostrò una moderna sensibilità non solo rispetto all’esigenza di con-servare l’antico, assicurandone la perpetua-zione mediante interventi ‘minimi’, ma anche alla volontà di non alterare le tracce dei restauri condotti da Cuciniello negli anni Trenta, delle quali tenne a lasciare riconoscibile l’entità. Nello stesso anno, Rizzi fu ancora a Paestum insieme a Giulio Minervini, Gaetano Genovese, Camillo Guerra e Giuseppe Mancinelli, impe-gnati, in seno alla Commissione di Antichità e Belle Arti, nella valutazione dello stato di con-servazione delle architetture del sito. Le indi-cazioni che seguirono la visita tecnica, stilate da Minervini, possono essere considerate una prima vera invettiva in favore della protezione

dei templi pestani47. Nel testo, di fianco a

osser-vazioni di carattere più generale riguardanti la tutela e la conservazione delle architetture dell’area archeologica e a moderne proposte circa la necessità di istituire un fondo dedicato

alla “manutenzione” e alla “ulteriore scoperta”48

delle antichità pestane, si possono individuare indirizzi più specifici ed operativi inerenti anche

Paestum, tempio di Nettuno, particolare dell’intervento di consolidamento dell’architrave della fronte meridionale portato avanti da Ulisse Rizzi negli anni Cinquanta del XIX secolo (foto Stefania Pollone, 2014)

(15)

la questione della reintegrazione delle lacune. In particolare, infatti, viene sottolineato che “per conservare i monumenti nello stato attuale e senza ulteriori degradazioni, è necessario ricom-porre i pezzi screpolati, o cadenti, per mezzo di fasce; alcune delle quali vedemmo a piena regola di arte eseguite sotto la direzione del sig. Rizzi. In quanto poi alle caverne, che avvengono di quando in quando ne’ massi della pietra indi-gena … noi crediamo indispensabile ripianarle o colla stessa pietra, o con fabbrica di mattoni. Preferiremmo però i restauri colla pietra, o con-crezione indigena; onde l’aspetto esteriore non venga turbato da una diversa apparenza, e da troppo visibili rappezzi: salvo a rimettere alcuni

pezzi interi per ottenere la solidità necessaria

per la conservazione degli edifizi”49.

Indicazioni queste che, frutto della sedimenta-zione delle esperienze di restauro maturate fino a quel momento, tanto nel contesto pestano, quanto nei cantieri vesuviani, segnano un passo di notevole importanza nell’evoluzione dell’ap-proccio della disciplina nei confronti della con-servazione dell’antico.

Conclusioni

Riflettendo intorno alla storia dei restauri delle architetture del sito di Paestum, realizzati durante la prima metà del XIX secolo appare lecito asserire che essi siano stati generalmente connotati – sebbene in misura differente gli uni dagli altri – da una sensibilità di fondo che ne ha orientato l’approccio e mitigato gli esiti, dimo-stratisi tutti compatibili con le istante di conser-vazione e protezione dell’antico.

Un atteggiamento quest’ultimo che, purtroppo, avrebbe trovato sempre meno riscontro nelle operazioni condotte a partire dai primi decenni del XX secolo. Queste ultime, infatti, nei casi più eclatanti, lasciando spazio a ricomposizioni, ampie integrazioni – realizzate facendo largo uso di cemento e di miscele poco compatibili con la materia antica –, nonché a indiscrimi-nate operazioni di liberazione, avrebbero deter-minato la contaminazione e, talvolta, l’oblitera-zione di alcune parti di quel patrimonio fino ad allora consapevolmente conservato.

Paestum, tempio di Hera (cosiddetta Basilica). Cerchiature metalliche del capitello di una colonna dell’ordine interno poste in opera da Ulisse Rizzi negli anni Cinquanta del XIX secolo (foto Stefania Pollone, 2014)

(16)

“SENZA PERÒ CONFONDERE IL NUOVO LAVORO CON L’ANTICO” 83 1 Le acquisizioni che seguono emergono

dal lavoro di ricerca in corso di svolgimen-to per l’elaborazione della tesi di dotsvolgimen-tora- dottora-to “Che forma la meraviglia dell’Intiera

Eu-ropa”. Il restauro dell’antico a Paestum tra Settecento e Ottocento (Università degli

Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Architettura. Dottorato di Ricerca in Sto-ria e Conservazione dei Beni Architettoni-ci e del Paesaggio; XXVIII Architettoni-ciclo; tutor prof. arch. Valentina Russo).

2 Cfr. S. Gizzi, Modelli di comportamento

per la reintegrazione delle lacune nel restau-ro archeologico in ambito mediterraneo, in La reintegrazione nel restauro dell’antico: la protezione del patrimonio dal rischio sismi-co, Atti del seminario di studi (Paestum

11-12 aprile 1997), a cura di M.M. Segarra La-gunes, Gangemi, Roma 1997, p. 118. 3 Per approfondimenti sulla figura di Fran-cesco La Vega si confrontino V. Papaccio,

Una memoria di Francesco La Vega sul re-stauro, in “Cronache Ercolanesi”, XXIII,

1993, pp. 157-160; M. Pagano, I diari di

sca-vo di Pompei, Ercolano e Stabia di France-sco e Pietro La Vega (1764-1810): raccol-ta e studio di documenti inediti, L’Erma di

Bretschneider, Roma 1997; C. Lenza, La

cultura architettonica e le antichità. Scavi, rilievi, restauri, editoria antiquaria e dibatti-to tecnico. Il Settecendibatti-to, estratdibatti-to

anticipa-to da I Borbone di Napoli e delle Due Sicilie, a cura di A. Gambardella, ESI, Napoli 2000; C. Lenza, Studio dell’antico e

internaziona-lismo neoclassico. L’attività di Francesco La Vega nei cantieri vesuviani e la “fortuna” dei disegni, in Napoli-Spagna. Architettu-ra e città nel XVIII secolo, a cuArchitettu-ra di A.

Gam-bardella, ESI, Napoli 2003, pp. 51-67; M.G. Pezone, Studio dell’antico e cultura

archi-tettonica neoclassica. La formazione e l’at-tività di ingegnere militare di Francesco La Vega, in Napoli-Spagna, cit., pp. 73-90.

4 Lettera di Francesco La Vega al Marche-se Bernardo Tanucci, datata 9 giugno 1770 (Archivio Storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli – ora Soprintendenza Archeologica della Campania –, d’ora in avanti ASSAN, b. VIII D7, fs. 8). La stessa è riportata anche in M. Pagano, I diari di scavo di Pompei,

Ercola-no e Stabia di Francesco e Pietro La Vega (1764-1810): raccolta e studio di documen-ti inedidocumen-ti, L’Erma di Bretschneider, Roma

1997, pp. 40-41.

5 Cfr. ASSAN, b. XVIII B3, fs. 1, nel quale si conserva il resoconto del sopralluogo tec-nico effettuato a Paestum, datato 16 mag-gio 1795, indirizzato da La Vega al marchese De Marco, Segretario di Stato di Casa Reale. 6 Ibidem.

7 Ibidem.

8 Cfr. ASSAN, b. XVIII B3, fss. 1, 4. 9 Per approfondire le questioni relative ai restauri delle strutture templari siciliane, si confrontino P. Marconi, Arte e cultura

del-la manutenzione dei monumenti, Laterza,

Bari 1984; S. Boscarino, Il restauro in

Sici-lia in età borbonica. 1734-1860, in

“Restau-ro”, 79, 1985, pp. 3-61; F. Tomaselli,

L’isti-tuzione del servizio di tutela monumentale in Sicilia ed i restauri del Tempio di Segesta

tra il 1778 e il 1865, in “Storia Architettura”,

VIII, 1-2, 1985, pp. 149-170; C. Lenza, La

cultura architettonica, cit. pp. 149-156; A. Marella, Il restauro dei monumenti classici

nella Sicilia borbonica, in Il monumento nel paesaggio siciliano dell’Ottocento,

catalo-go della mostra (Regione siciliana – Asses-sorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione, Palermo 2005), a cura di G. Costantino, pp. 119-137; F. Delizia, Dal

riuso alla conoscenza dell’antico: archeolo-gia e restauro nel XVIII secolo, in Verso una storia del restauro. Dall’età classica al pri-mo Ottocento, a cura di S. Casiello, Alinea,

Firenze 2008, pp. 219-229. 10 ASSAN, b. XVIII B3, fs. 1. 11 Ibidem.

12 ASSAN, b. XVIII B3, fs. 4.

13 Relazione di Felice Nicolas, datata 28 giugno 1805, riportata in M. Ruggiero,

De-gli scavi di antichità nelle province di Terra-ferma dell’antico Regno di Napoli dal 1743 al 1876, Tipografia Vincenzo Morano,

Na-poli 1888, p. 459.

14 R. Paolini, Memorie su monumenti di

an-tichità e belle arti, Napoli 1812, p. 389.

15 Cfr. R. Martines, Gli interventi degli anni

’90 del XX secolo. Il restauro dei templi di Paestum. Un caso di restauro interdiscipli-nare: i restauri finanziati con i fondi F.I.O.,

in Il restauro dei monumenti antichi.

Pro-blemi strutturali: esperienze e prospetti-ve, Atti delle Giornate di Studio

(Agrigen-to, 23-24 novembre 2012) a cura di M. Livadiotti, M.C. Parello (in “Thiasos. Rivi-sta di archeologia e architettura antica”, 3, 2014), pp. 3-20.

16 M. Ruggiero, op. cit., p. 459. 17 Ivi, p. 460.

18 G. Bamonte, Le antichità pestane, Stam-peria della Biblioteca Analitica, Napoli 1819, p. 58.

19 M. Ruggiero, op. cit., p. 459.

20 Alcuni presidi metallici posti in opera da Bonucci, ritenuti troppo ingombranti, ven-nero sostituiti da Maiuri con elementi di ri-dotte dimensioni opportunamente sago-mati. L’archeologo si interessò anche del problema della reintegrazione delle lacune nei fusti delle colonne, che risarcì facen-do largo impiego di impasti di cemento e sabbia vulcanica al posto di quelle che egli stesso aveva definito “sconce rinzeppatu-re”, riferendosi alle integrazioni ottocente-sche (cfr. M. Cipriani, G. Avagliano,

Inter-venti di restauro dalla riscoperta ad oggi,

in Paestum. Étude de cas de vulnérabilité

du patrimoine, a cura di G. Tocco Sciarelli,

Pact Belgium, Rixesant 1991, p. 52). 21 Archivio di Stato di Napoli (d’ora in avan-ti ASNA), Ministero degli Affari Interni, I in-ventario, b. 983 fs. 4.

22 Si fa riferimento al progetto dell’ingegne-re Raffaele Petrilli per la Nuova strada delle Calabrie che, realizzata a partire dal 1827, determinò la perdita della metà orientale dell’anfiteatro, obliterando, al contempo, parte del foro e delle botteghe (cfr. Archivio di Stato di Salerno, Intendenza, Scavi e og-getti di Antichità, b. 1871, fasc. 11). 23 Si tratta delle Istruzioni per il custode

delle antichità di Paestum, elaborate dal

Ministro Ruffo ed emanate nel 1829 (cfr.

Ibidem. Il testo è riportato anche in P.

La-veglia, Paestum dalla decadenza alla

risco-perta fino al 1860: primi studi sui provve-dimenti di tutela, in Scritti in memoria di L. Cassese, Libreria Scientifica Editrice,

Na-poli 1971, pp. 272-274).

24 Per approfondimenti sulla figura di Pie-tro Bianchi cfr. PiePie-tro Bianchi, 1787-1849:

architetto e archeologo, a cura di N.

Ossa-na Cavadini, Electa, Milano 1995. 25 Si vedano U. Donati, Il tempio della

pa-ce di Paestum nei disegni di Gaspare Fos-sati, in “Archivio Storico per la Calabria e

la Lucania”, III, 1940; C. Palumbo Fossati,

Il viaggio in Campania di un architetto sviz-zero dell’Ottocento, in “Capys”, VIII, 1974,

pp. 119-135; 1809-1883 Gaspare Fossati:

architetto pittore, pittore architetto,

cata-logo della mostra (Pinacoteca Züst 12 giu-gno-30 novembre 1992), a cura di L. Pe-drini-Stanga, Fidia Edizioni d’arte, Lugano 1992; Attraverso l’Italia con carta e matita:

il taccuino di viaggio dell’architetto Gaspa-re Fossati, a cura di L. Pedrini-Stanga,

Da-dò, Locarno 2003.

26 Fu lo stesso Bianchi a dare notizia di ta-le operazione (cfr. P. Bianchi, Intorno un

quarto tempio di Pesto. Al ch. Dottor Giu-seppe de Mattheis in Roma, in “Bullettino

dell’Istituto di Corrispondenza Archeologi-ca”, 12, dicembre 1830, pp. 226-229). 27 Descrizione del secondo viaggio a Pe-sto effettuato da Fossati il giorno 18 otto-bre 1830 riportato in Attraverso l’Italia con

carta e matita, cit., p. 96.

28 Cfr. L. Pedrini-Stanga, Il soggiorno

roma-no: Fossati vedutista e archeologo, in 1809-1883 Gaspare Fossati, cit., p. 41.

29 ASNA, Ministero degli Affari Interni, II in-ventario, b. 2120, fs. 168. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32 Ibidem. 33 ASSAN, b. IV E1, fs. 7. 34 Ibidem. 35 Ibidem. 36 Ibidem.

37 R. Picone, Il restauro e la questione

del-lo “stile”. Il secondo Ottocento nel Mezzo-giorno d’Italia, arte’m, Napoli 2012, p. 41.

38 Cfr. ASSAN, b. IV E1, fs. 9; ASNA, Mini-stero della Pubblica Istruzione, b. 309, fs. 20.

39 Ibidem. 40 Ibidem.

41 ASSAN, b. XVIII B3, fs. 5. 42 Ibidem.

43 ASSAN, b. IV E1, fs. 9; ASNA, Ministero della Pubblica Istruzione, b. 309, fs. 20. 44 Ibidem.

45 ASNA, Ministero della Pubblica Istruzio-ne, b. 309, fasc. 19.

46 Ibidem.

47 Cfr. ASSAN, b. XVIII B3, fs. 5; G. Minervi-ni, Pesto e i suoi monumenti, in “Bullettino archeologico italiano”, II, 2, giugno 1862, pp. 13-16.

48 Ivi, p. 16. 49 Ivi, p. 15.

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editoriale. stefano gizzi intervista a giovanni carbonara 10.4481/conf080 / claudio varagnoli

lacune, vuoti, progetti: il posto del restauro 10.4481/conf081 / camilla mileto, fernando vegas

la lacuna e il restauro architettonico: il concetto di scala e le sue ripercussioni 10.4481/conf082 /

the problem of reading later interventions: reintegration of the missing

parts for the survival of medieval architecture 10.4481/conf083 / renata picone, luigi veronese

a partire da ciò che resta. le reintegrazioni di alberto terenzio al pantheon e il dibattito sulla

lacuna in architettura, 1929-1934 10.4481/conf084 / maria vitiello boito, le “forme nuove” per

la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica 10.4481/conf085 / stefania

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(e ritrovata?). le cattedrali di crema e lodi tra teoria e pratica del restauro architettonico,

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(18)

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per conto di prismi editrice politecnica napoli

stampa e allestimento RIÀFLQHJUDÀFKH

(19)

editoriale. stefano gizzi intervista a giovanni carbonara / claudio varagnoli lacune, vuoti, progetti: il posto del restauro / camilla mileto, fernando vegas la lacuna e il restauro architettonico: il concetto di scala e le sue ripercussioni / the problem of reading later interventions: reintegration of the missing parts for the survival of medieval architecture / renata picone, luigi veronese a partire da ciò che resta. le reintegrazioni di alberto terenzio al pantheon e il dibattito sulla lacuna in architettura, 1929-1934 / maria vitiello boito, le “forme nuove” per la reintegrazione intesa come questione di linguistica architettonica / stefania pollone “senza però confondere il nuovo lavoro con l’antico”. la reintegrazione delle lacune nei restauri ottocenteschi dei templi di paestum / lucina napoleone quando la lacuna svela: lo ‘scrostamento’ degli edifici del centro di genova nella prima metà del novecento / emanuela sorbo restauri alla cà granda. liliana grassi e la grande lacuna: il progetto e il metodo nel restauro / gianpaolo angelini l’immagine perduta (e ritrovata?). le cattedrali di crema e lodi tra teoria e pratica del restauro architettonico, 1953-1964 / rosario scaduto haghìa triàda, creta: reintegrazione della lacuna come presenza dell’assenza / michele candela, paolo mascilli migliorini restauri di lacune strutturali. due casi studio nella biblioteca nazionale vittorio emanuele III di napoli / ugo carughi pisa. ricostruzione di san michele in borgo / giorgio della longa, pietro maltese, michele zampilli restauro e riuso di palazzo riccio di san gioacchino a trapani / enrica petrucci lacune d’uso e reintegrazioni funzionali: il caso del complesso francescano di ascoli piceno / patrizia di maggio le lacune come strumento critico di riconoscimento. esperienze di restauro nel palazzo reale e nella basilica di san giovanni maggiore a napoli / giovanna russo krauss demolizione, ricostruzione, reintegrazione: il cassettonato di sant’anna dei lombardi a napoli, 1956-2008 / daniela pittaluga la ‘chiesa dipinta’ di gino grimaldi nell’ex ospedale psichiatrico di pratozanino: una reintegrazione di luce / anita guarnieri restauro e reinterpretazione critica: il progetto del plafone ligneo della chiesa matrice di celenza valfortore / iniziative culturali sul tema, 2009-2014

quaderni di restauro architettonico

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