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Studio di contenitori in PET per riempimento a caldo nitro-hot-fill

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Academic year: 2021

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SCUOLA DI SCIENZE

Dipartimento di Chimica Industriale “Toso Montanari”

Corso di Studio in

Chimica Industriale LM

Studio di contenitori in PET per riempimento a caldo

nitro-hot-fill

CANDIDATO

Lorenzo Geraci

RELATORE

Prof. Daniele Caretti

CORRELATORE

Dott. Marco Corradi

Sessione I

___________________________________________________________________________________________________________

Anno Accademico 2015-2016

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Abstract:

The purpose of this activity is to deepen the knowledge of the process of nitro-hot-fill (NHF) for PET containers, a market field where Sacmi sc is not yet present. Our goal is to simulate the industrial process on a laboratory scale in order to optimize the process parameters and increase the stability of the containers through different PET formulations with improved characteristics suitable for heat treatment. The process consists in filling at a temperature between 80 ° / 85 °C, followed by the injection of nitrogen in order to prevent the bottle implosion during cooling down to room temperature.

This field is strongly growing in the market, many beverages, in fact, have to be filled in a sterile container; the NHF process has the advantage of using the heat of the product itself in order to sterilise the bottle. The temperature close to PET glass transition temperature and the pressure involved in this process are critical and it is necessary to apply various solutions in order to make it possible.

Our research has focused on the design of the bottle, the bottle manufacturing process, the influence of moisture on the PET used and optimization of other process parameters in order to produce NHF containers.

Riassunto:

Lo scopo di questa attività è approfondire le conoscenze sul processo di riempimento a caldo noto come nitro-hot-fill (NHF) utilizzato per contenitori in PET. Il nostro obiettivo è quello di simulare su scala di laboratorio il processo industriale al fine di ottimizzarne i parametri e aumentare la stabilità dei contenitori anche attraverso l’utilizzo di materie prime con caratteristiche migliorate utilizzando formulazioni adatte ai trattamenti a caldo. Il processo consiste nel riempimento della bottiglia ad una temperatura tra gli 80°/85°C, successivo al quale vi è l’iniezione di azoto al fine di evitare l’implosione durante il raffreddamento fino a temperatura ambiente.

Questo settore del mercato è in forte crescita, molte bevande infatti hanno la necessità di un contenitore asettico; il processo di NHF ha il vantaggio di utilizzare il calore del prodotto stesso al fine di rendere la bottiglia sterile.

Da qui nascono le criticità legate al processo, occorre prendere diversi accorgimenti al fine di rendere processabile in questo modo una bottiglia, infatti l’aumento di pressione interna dovuto all’iniezione di azoto si accompagna una temperatura vicina alla temperatura di transizione vetrosa.

La nostra attività di ricerca ha focalizzato la propria attenzione sul design della bottiglia, sul processo di stiro-soffiaggio, sull’influenza dell’umidità assorbita nel PET, sul materiale utilizzato e su altri parametri di processo al fine di produrre contenitori in grado di resistere al riempimento NHF.

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Sommario

Capitolo 1: Il polietilentereftalato ... 1

1.1 Produzione e caratteristiche chimiche 1 1.2 Proprietà del PET ... 4

1.2.1 Peso molecolare e viscosità. ... 4

1.2.2 Reattività ... 5 1.2.3 Cristallinità ... 8 1.2.4 Proprietà termiche ... 13 1.2.5 Effetto dell’acqua ... 16 1.3 Trasformazioni ... 20 1.4 Hot Fill ... 29

1.5 Nitro Hot Fill ... 31

Capitolo 2: Scopo della tesi ... 36

Capitolo 3: Parte sperimentale ... 37

3.0 Campionamento... 37

3.1 Tecniche di studio dei materiali ... 37

3.1.1 Determinazione della viscosità intrinseca ... 37

3.1.2 Determinazione della densità ... 41

3.1.3 Analisi termica ... 43

3.1.4 Analisi dimensionale ... 45

3.1.5 Prove di capacità ... 46

3.1.6 Analisi spessori e pesi ... 46

3.1.7 Analisi dinamico-meccanica ... 48

3.1.8 Analisi spettroscopica: ATR: riflessione totale attenuata ... 50

3.2 Studio di parametri di processo ... 54

3.2.1 Analisi di pressione-temperatura durante processo di riempimento ... 54

3.2.2 Prove di riempimento a caldo con iniezione di azoto ... 54

3.2.3 Prove di riempimento a caldo per valutare ritiri ... 57

3.2.4 Analisi del comportamento del fondello durante riempimento ... 58

3.2.5 Analisi dell’influenza dell’acqua ... 59

3.3 Prototipazione dei campioni ... 59

Capitolo 4: Risultati e Discussione ... 61

4.1 Analisi sperimentale delle formulazioni di PET ... 61

4.2 Geometria e design bottiglia ... 63

4.3 Ottimizzazione parametri processo ... 65

4.4 Prove di riempimento NHF ... 78

4.5 Influenza dell’acqua come plasticizzante ... 82

4.6 Produzione bottiglie con “stampi tiepidi” ... 92

Capitolo 5: Conclusioni ... 114

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ACRONIMI:

PET: polietilentereftalato; TPA: acido tereftalico; EG: glicole etilenico; DMT: dimetiltereftalato;

MPP: melt phase polymerization; SSP: solid phase polymerization; BHET: bis-(2-idrossietil) tereftalato; DEG: dietilenglicole;

IPA: acido isoftalico;

NDC: naftalendicarbossilato; CHDM:cicloesandimetanolo; UV: ultravioletto;

Xn: grado di polimerizzazione;

𝐌̅𝐧: peso molecolare medio numerale; M0: peso molecolare dell'unità strutturale;

𝐌̅𝐰: peso molecolare medio ponderale; IV: viscosità intrinseca;

σ

: sforzo;

ε

: deformazione percentuale; NSR: natural stretch ratio;

Tg: temperatura di transizione vetrosa; HF: hot fill;

NHF: nitro hot fill;

ASTM: american society for testing and

materials; w/w: massa/massa; 𝜼𝒊𝒏𝒕: viscosità intrinseca; 𝜼𝒓𝒆𝒍: viscosità relativa; 𝜼𝒊𝒏𝒉: viscosità inerente; t: tempo; ∆𝒕𝑯𝑪: fattore correttivo; 𝛘𝐜: grado di cristallinità;

AVID: automatic video image dimension; ρ: densità;

∆:variazione;

TPE: elastomero termoplastico; Ø: diametro;

DMA: dynamic mechanical analysis; DSC: differential scanning calorimetry; E:modulo meccanico generale;

E’: modulo meccanico conservativo; E’’: modulo meccanico dissipativo; FT-IR: fourier transform infrared

spectroscopy;

ATR: attenuated total reflection; H: entalpia.

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Capitolo 1:

Il polietilentereftalato

1.1 Produzione e caratteristiche chimiche

Il polietilentereftalato (PET) [1] è un poliestere di largo consumo, una macromolecola la cui unità

ripetitiva contiene gruppi esterei, ossia il prodotto di reazione tra un dialcool e un diacido.

E’ stato sintetizzato per la prima volta nel 1941 da J. R. Whinfielde e J. T Dickson nei laboratori di ricerca della Calico Printers Association, successivi studi hanno ampliato i campi di utilizzo attraverso sintesi più efficienti e processi di trasformazione adeguati.

Infatti negli anni ‘70 Nathaniel C. Wyeth, dipendente della Du Pont, riuscì attraverso un metodo di produzione che allineava le macromolecole, conferendogli maggiore resistenza, a produrre bottiglie infrangibili per bevande. Da qui iniziò la fortuna di questo materiale grazie agli evidenti vantaggi rispetto al vetro come: minor peso, infrangibilità, minori problemi e costi per imballaggi-trasporto-distribuzione, maggiore versatilità per la forma e il colore dei contenitori.

I monomeri utilizzati nella sintesi sono:

-l’etilenglicole (EG): si ottiene ossidando l’etilene a ossido di etilene che viene idratato per produrre etilenglicole. L’etilene deriva per la maggior parte dal gas naturale o come sottoprodotto di lavorazione del petrolio, può essere comunque ricavato da fonte naturale mediante processi di fermentazione e successiva disidratazione dell’alcol etilico;

Figura 1: sintesi dell'etileglicole

-l’acido tereftalico (TPA): si ottiene per ossidazione del para-xilene (ottenuto direttamente da petrolio). Un sostituto del TPA è il dimetiltereftalato (DMT), il quale è ottenuto per esterificazione del TPA stesso con metanolo.

Figura 2: sintesi del TPA e del DMT

La maggior parte degli impianti di produzione di PET ora utilizza l’acido a causa della maggior efficienza della reazione di esterificazione fra TPA e EG piuttosto che quella di transtereficazione fra DMT e EG. I vantaggi apportati dall’utilizzo del TPA al posto del DMT sono principalmente due: la

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rimozione del catalizzatore di transtereficazione nel caso si utilizzi TPA e la formazione di acqua come sottoprodotto al posto di metanolo.

La sintesi prevede la reazione tra glicole etilenico (EG) e acido tereftalico (TPA) mediante una

policondensazione a stadi: coinvolge infatti due monomeri bifunzionali i quali reagiscono portando

alla graduale formazione di oligomeri e successivamente di catene macromolecolari.

A livello industriale, il processo ha inizio da acido tereftalico (TPA) che è soggetto ad una reazione di esterificazione con il glicole etilenico (EG), ottenendo il bis-(2-idrossietil) tereftalato (BHET), che viene fatto polimerizzare in modo da ottenere polietilentereftalato e glicole etilenico, che può essere riciclato (Figura 3).

Il processo avviene in due fasi:

- MPP (melt phase polymerization): TPA e EG si trovano allo stato fuso (250°C e 3 atm) e sono soggetti ad esterificazione attivata termicamente. Il prodotto (BHET) subisce una successiva policondensazione a PET ricco di sottoprodotti a basso peso molecolare. Ciò è dovuto all’elevata temperatura, che rende il processo di degradazione termica competitivo con la crescita delle macromolecole. Tale inconveniente può essere superato attraverso una successiva polimerizzazione allo stato solido.

- SSP (solid state polymerization): in questa fase avviene la policondensazione fino al peso molecolare desiderato (in genere 100÷125 unità ripetitive) e la contemporanea cristallizzazione. I catalizzatori utilizzati in questa fase differiscono da produttore a produttore, storicamente in Europa e in USA sono a base di antimonio (Sb) e composti complessanti a base di fosforo. In generale hanno la funzione di attivare il carbonio carbonilico dell’acido tereftalico, coordinandosi all’ossigeno del carbonile e facilitando la formazione di una carica positiva sul carbonio sul quale avviene l’attacco del nucleofilo. Si

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sta cercando, inoltre, di mettere a punto un catalizzatore a base di titanio, meno problematico rispetto agli attuali metalli utilizzati che, invece, hanno un grosso impatto ambientale e una forte influenza sul tipo e l’entità dell’ingiallimento, sulla stabilità ossidativa, sulla generazione di gruppi terminali COOH e sulla formazione di acetaldeide.

La ricerca nel campo della produzione del PET si focalizza sullo sviluppo di materiali con maggiore processabilità, con minor numero di sottoprodotti, con una stabilità termica sempre più elevata e, infine, con un forte effetto barriera. Alcune tecnologie infatti hanno cercato di eliminare la fase di SSP, cercando di ottenere PET ad alto P.M. direttamente in fase fusa (melt to resin e melt to preform). Il PET è un materiale semicristallino, che organizza le sue macromolecole in zone amorfe e cristalline fra loro collegate e per cristallizzare è necessario che vi sia regolarità da un punto di vista costituzionale, configurazionale e conformazionale. Per ottenere materiali con caratteristiche diverse durante la fase di MPP possono essere aggiunti altri comonomeri.

La formazione di copolimeri ha una forte influenza sulla velocità di cristallizzazione, sui moduli meccanici, sul comportamento elastico-viscoso, sulla temperatura di transizione vetrosa e di conseguenza sulle proprietà finali del contenitore.

L’aggiunta di monomeri come dietilenglicole (DEG), acido isoftalico (IPA), naftalendicarbossilato (NDC), cicloesandimetanolo (CHDM) abbassa la regolarità costituzionale della macromolecola, aumentandone la processabilità e diminuendone la temperatura di transizione vetrosa (tranne con NDC in cui si ha l’effetto contrario) e di fusione e diminuendo la velocità di cristallizzazione, assicurando una maggiore trasparenza e una più ampia finestra di lavorabilità.

Il processo di cristallizzazione può avvenire termicamente alla temperatura in cui le macromolecole hanno abbastanza energia (130-150°C), quindi mobilità, per organizzarsi in una struttura più ordinata, può avvenire sia in fase di riscaldamento (cristallizzazione a freddo) sia in fase di raffreddamento (cristallizzazione a caldo). Inoltre può essere indotta da un’orientazione forzata sopra la temperatura di transizione vetrosa, derivante da uno sforzo che costringe le molecole ad orientarsi nella stessa direzione in cui viene applicato.

Le formulazioni, in cui il PET viene venduto, contengono additivi che stabilizzano e aumentano la resistenza all’esposizione ai raggi UV e alla termossidazione; vengono, inoltre, aggiunti antistatici in modo da rendere maggiormente conduttivo il materiale e blocker per minimizzare la formazione dell’acetaldeide

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1.2 Proprietà del PET

1.2.1 Peso molecolare e viscosità.

L’obiettivo dei produttori di PET è quello di avere sistemi di sintesi efficienti che generino un prodotto di qualità; molto spesso le prestazioni di un materiale polimerico (formulazione di PET) vengono valutate dal valore di viscosità intrinseca [2], parametro strettamente correlato al peso

molecolare.

Il peso molecolare, a sua volta, è strettamente legato al grado di polimerizzazione medio numerale

(𝑥̅𝑛), definito come:

Equazione 1: Grado di polimerizzazione medio-numerale

𝑥̅𝑛 = 𝑀̅𝑛 𝑀0

In cui 𝑀̅𝑛 rappresenta il peso molecolare medio numerale e M0 il peso molecolare dell'unità strutturale.

Dopo la sintesi si ottiene sempre una distribuzione di pesi molecolari. Occorre valutare, oltre al grado di polimerizzazione, anche l’indice di polidispersità che è il rapporto fra il peso molecolare medio ponderale e il peso molecolare medio numerale, un parametro di fondamentale importanza al fine di stabilire l’omogeneità nella lunghezza delle catene macromolecolari del polimero.

Dal grado di polimerizzazione medio numerale dipendono le proprietà fisiche del prodotto. In particolare all'aumentare di tale valore migliorano, in generale, tutte le proprietà meccaniche, in quanto si incrementa la lunghezza delle catene e quindi il numero di vincoli e legami che si possono formare tra di esse (entanglements).

Il grado di polimerizzazione viene misurato mediante la viscosità intrinseca (IV), parametro che permette di discriminare quale resina sia più adatta per ottenere un prodotto specifico (Tabella 1).

Tabella 1: Relazione tra IV e peso molecolare [3]

IV (dl/g) Applicazione 𝑀̅𝑤 (g/mol)

< 0.70 Fibre 30000

0,70 – 0,76 Bottiglie per acqua naturale 38000 0,77 – 0,82 Bottiglie con proprietà standard 48000 0,83 – 0,87 Bottiglie con ottime proprietà 53000

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Al variare del peso molecolare variano infatti significativamente sia la processabilità che le prestazioni meccaniche del PET. Una volta ottenuto il granulo, questo viene estruso e per iniezione viene prodotta la preforma che, una volta prodotta viene stiro-soffiata al fine di ottenere un contenitore. La viscosità durante la trasformazione del granulo in preforme tende a calare a causa dei processi degradativi innescati dalle elevate temperature di processo e dalla presenza reattivi, come l’acqua che innesca un processo idrolitico di degradazione che porta a un crollo della viscosità intrinseca durante la fase di estrusione e quindi delle proprietà del manufatto finito. Oltre a influire sulle proprietà meccaniche come mostrato in Tabella 2

, il peso molecolare ha una forte influenza sulla

velocità di cristallizzazione, che cresce al calare di IV.

Tabella 2: relazione tra IV e principali proprietà meccaniche [1]

IV 0,6 0,6 0,76 0,76

cristallizato(non orientato) no si no si

modulo tensile(MPa) 2240 2940 2350 2910

modulo a flessione(MPa) 2200 2960 2210 2940

1.2.2 Reattività

Oltre alle buone proprietà meccaniche, il PET è noto per la propria inerzia chimica.

La degradazione, però, può essere causata dalle condizioni di processo o ambientali, portando a una modificazione chimica della struttura del polimero con formazione di catene a basso peso molecolare ed introduzione di nuovi gruppi terminali funzionali con una conseguente riduzione delle proprietà, tale da causare un forte calo nelle prestazioni meccaniche dovuto a una caduta del peso molecolare e successivo aumento dei gruppi carbossilici con formazione di sottoprodotti e possibile cambio di colore (ingiallimento).

Il polietilentereftalato è molto sensibile all’umidità, essendo un materiale igroscopico. Il PET è un polimero di policondensazione, se viene riscaldato in presenza di acqua è soggetto a depolimerizzazione, ovvero la reazione di formazione del polimero si sposta verso la formazione dei reagenti. Proprio per questo motivo il granulo prima di qualsiasi tipo di processo viene essiccato utilizzando una corrente di aria riscaldata con basso contenuto di vapore acqueo, al fine di evitare la degradazione idrolitica. Inoltre l’acqua ha un doppio ruolo, oltre ad innescare la degradazione idrolizzando i legami dell’estere, viene assorbita dal materiale e agisce da plasticizzante.

Tra le degradazioni che può subire il poliestere questa è quella che ha maggior peso, essendo quella che si manifesta con maggiore velocità ed essendo quella che ha maggiori ripercussioni sulle proprietà del materiale.

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Per questo motivo, prima di essere estruso, il PET deve essere accuratamente deumidificato, riducendo il valore di acqua presente fino a un valore di 30 ppm.

La degradazione termica, inevitabile durante la lavorazione del PET, può essere quantificata valutando la produzione di un sottoprodotto di degradazione, l’acetaldeide.

La sua formazione può essere dovuta all’eccesiva esposizione al calore, a cui il materiale è sottoposto durante l’estrusione.Una vite di estrusione mal progettata, condizioni di processo troppo drastiche, come condotti troppo stretti (hot runner) e, infine, un alta percentuale di residui di catalizzatori possono portare a eccessivi sforzi meccanici che, legati alle alte temperature, possono causare degradazione.Il principale meccanismo di degradazione è illustrato nello schema di reazione sottostante (Figura 5), ovviamente esistono diversi processi secondari.

Figura 5: schema di reazione che porta alla formazione di acetaldeide [1]

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Come già detto il contenuto di acetaldeide viene utilizzato come indice del grado di degradazione. L’acetaldeide è un prodotto dall’odore fruttato, a cui l’uomo è altamente sensibile (avverte l’odore anche se è in ppb) e per questo motivo è particolarmente indesiderata nella produzione di contenitori, poiché può influire sul gusto, avendo un odore molto forte ed essendo cancerogeno del gruppo 1. Dopo la sintesi del polimero il suo contenuto è di 50 ppm, ma grazie ai processi di stripping successivi alla produzione, la sua quantità si riduce al di sotto di 1 ppm.

Inoltre il PET può essere interessato da fenomeni di termossidazione che portano ad ingiallimento, per ovviare a questo inconveniente si estrude sotto flusso di azoto e vengono utilizzati scavenger (additivi specifici) per bloccare le reazione con perossidi e/o impurità presenti dal processo di polimerizzazione.

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1.2.3 Cristallinità

Il PET è un polimero semicristallino, cioè la sua struttura solida è costituita da una fase amorfa, in cui le macromolecole sono disposte in gomitoli statistici (random coil) e da una fase cristallina, in cui le catene si dispongono secondo una precisa forma geometrica, raggiungendo una configurazione che massimizza le interazioni intercatena [3].

Il PET, infatti, presenta i prerequisiti conformazionali e strutturali adeguati e può essere soggetto a cristallizzazione. Come per tutti i polimeri, però, non si parla mai di cristallinità completa a causa della natura stessa delle macromolecole che presentano un numero non trascurabile di irregolarità dovute per esempio all’effetto dei gruppi terminali o alla stessa natura chimica dei monomeri utilizzati. Le catene tendono a disporsi a minime distanze intermolecolari, in quanto il principio generale che regola l'aggregazione delle macromolecole per la formazione di una struttura cristallina è la formazioni di interazioni inter- e intra-catena attraverso regolarità degli angoli torsionali della macromolecola.Il rapporto percentuale fra le due fasi dipende dalle caratteristiche intrinseche del materiale, dalla storia termica e dai trattamenti che ha subito. Il dominio cristallino non è altro che una disposizione ordinata degli atomi nello spazio, che impone una regolarità nella successione dei valori degli angoli torsionali, massimizzando le interazioni. Durante la cristallizzazione si ha un guadagno entalpico dovuto alle interazioni intermolecolari rese massime ma contemporaneamente si ha una perdita di energia di tipo entropico passando a una struttura estremamente ordinata. La cristallizzazione può avvenire in due fasi: la primaria in cui vi è la vera e propria formazione delle sferuliti e la secondaria, in cui le parti amorfe intrappolate dentro al dominio, si organizzano. Infatti le macromolecole cristallizzano formando strutture lamellari, in cui le catene si ripiegano più volte su se stesse in modo ordinato. D’altra parte ciò implica la presenza di zone esterne disordinate, in cui vi sono i tratti di molecola che consentono alle stesse di ripiegarsi.

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Il PET, essendo formato da queste due fasi, si dispone e si organizza in domini in cui le due fasi coesistono, per il polimero in questione il limite massimo di cristallizzazione termica è del 50-60% e in certi casi occorre utilizzare degli agenti nucleanti per raggiungere il valore limite.

Quando, invece, si vuole evitare il processo di cristallizzazione (che può essere causa di opacità nel manufatto finito), si opera un raffreddamento repentino del fuso, in questo modo non si concede tempo alle macromolecole per organizzarsi.

Il PET ha una bassa velocità di cristallizzazione, per questo e per altre proprietà ha avuto estremo successo nel mondo del packaging.

La velocità di cristallizzazione può ulteriormente diminuire col crescere del peso molecolare, con la copolimerizzazione ma può aumentare anche a causa della presenza di residui catalitici di polimerizzazione e attraverso l’orientazione delle catene.

Il processo di cristallizzazione è massimo quando la temperatura è attorno ai 160-170°C, ma già sopra la temperatura di transizione vetrosa può iniziare a velocità molto ridotte. La cristallizzazione può essere omogenea, durante la quale si formano i germi di cristallizzazione, che crescono formando lamelle che si strutturano in sferuliti (con diametro minore dell’ordine dei 400nm), che possono diffrangere la luce visibile e di conseguenza far perdere trasparenza. Alternativamente la cristallizzazione può essere eterogenea in cui i nuclei di cristallizzazione sono già presenti.

Il PET, però, presenta anche un secondo tipo di cristallizzazione, indotta per stiro, che si presenta in seguito ad una deformazione meccanica ad una temperatura compresa tra la temperatura di transizione vetrosa e la temperatura di fusione. La cristallizzazione indotta per stiro consiste in un’orientazione forzata delle macromolecole nella direzione dello sforzo che porta a cristallizzazione. Nell’orientazione uniassiale, in cui lo sforzo è applicato in un’unica direzione, si formano strutture dette fibrille, in quella biassiale, in cui lo sforzo ha due componenti perpendicolari tra loro, si formano cristalli larghi e piatti (plates).

Questo tipo di processo cresce all’aumentare dell’entità dello stiro, della velocità di stiro e al calare della temperatura a cui applichiamo la forza e dipende dal peso molecolare.

Poiché al variare della quantità di fase cristallina le caratteristiche del PET cambiano estremamente, lo studio di tale parametro è di fondamentale importanza per definire le proprietà del prodotto. A tale scopo si impiega la definizione di grado di cristallinità (Equazione 2), con cui si indica la percentuale di materiale che si trova in fase cristallina rispetto alla quantità totale.

𝜒𝑐 = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑐𝑟𝑖𝑠𝑡𝑎𝑙𝑙𝑖𝑛𝑜

𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 ∙ 100

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In particolare, un aumento del grado di cristallinità comporta un maggiore impaccamento e, grazie alla presenza dei domini cristallini che fungono da nodi fisici del reticolo, vi è un miglioramento delle proprietà meccaniche.

Bisogna però ricordare che un eccessivo aumento di tale caratteristica conferisce un aspetto opaco al prodotto a causa dei differenti indici di rifrazione della fase cristallina e della fase amorfa: questo può essere un serio problema nella produzione di bottiglie, per le quali la trasparenza è una caratteristica fondamentale.

Si deve comunque osservare che, più che la percentuale di fase cristallina, il parametro che discrimina un contenitore opaco da uno trasparente è la dimensione dei cristalli, due manufatti con lo stesso grado di cristallinità possono essere visibilmente molto diversi solo variando questa caratteristica, più grandi sono più sarà facile che il materiale diventi opaco.

Nella fase cristallina il legame C-C del glicole etilenico è in posizione trans, mentre in fase amorfa o in soluzione rimane in posizione gauche, una peculiarità che ha permesso a tecniche IR di determinare l’assorbanza di questi due “wagging” (vibrazione asimmetrica fuori dal piano) e di stabilire un rapporto fra i due per avere più informazioni sulla microstruttura e la cristallinità del materiale preso in esame.

Alla cristallizzazione per stiro è legato il fenomeno di strain hardening, che comporta un aumento delle proprietà meccaniche, termiche e della resistenza a barriera del polietilentereftalato e che ne ha determinato il successo nella produzione di contenitori: il punto che individua l’inizio di tale fenomeno è definito Natural Stretch Ratio (NSR).

Tale comportamento viene identificato studiando una curva sforzo-deformazione nella quale, in corrispondenza del tratto preliminare alla rottura, si osserva un netto aumento dello sforzo applicato a causa dello srotolamento della catene polimeriche presenti.

Aumentando progressivamente l’allineamento, si incrementa la resistenza del polimero lungo l’asse di trazione, grazie alla formazione di forti interazioni intermolecolari.

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Di conseguenza, quando si soffia una preforma serve raggiungere un grado di deformazione (rapporto di stiro) uguale o di poco superiore al NSR per poter avere l’aumento delle proprietà necessarie per ottenere un prodotto leggero e conformante .

Figura 8: curva sforzo-deformazione durante il soffiaggio di una bottiglia in PET [3]

Esiste però anche un limite massimo, oltre il quale si va in overstretching, cioè un allineamento eccessivo delle catene che comporta una perdita di trasparenza.

Il NSR dipende da diversi fattori come la temperatura di soffiaggio, al calare della temperatura, infatti, la mobilità entropica delle catene diminuisce per cui è più facile impartire un’orientazione e di conseguenza lo strain hardening si manifesta a deformazioni maggiori [4].

Lo stesso effetto che si ottiene abbassando la temperatura, lo si ottiene anche aumentando la viscosità intrinseca, resine con pesi molecolari maggiori, infatti hanno una minore mobilità, inoltre se si aumenta la velocità di deformazione, si riduce il tempo che le catene dispongono per riarrangiarsi, accumulando tensioni interne maggiori I primi studi sui polimeri semicristallini avevano portato ad una descrizione della loro struttura sulla base di un modello bifasico, in cui le due fasi, una cristallina e una amorfa, erano caratterizzate da dimensioni nanometriche. Studi più recenti hanno invece rilevato che un’ulteriore fase, anch’essa di dimensioni nanometriche, presente all’interfaccia tra la fase cristallina e amorfa, la fase amorfa rigida.

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A seconda delle esigenze dovute all’applicazione finale del manufatto si metterà a punto un metodo di produzione per lavorare e processare al meglio, in modo da sfruttare al massimo le potenzialità del materiale.

Figura 9: curva sforzo-deformazione PET al variare della T di soffiaggio, della viscosità intrinseca e del contenuto di copolimeri [3]

Il contenuto di acqua all’interno del PET può arrivare fino all’1% del peso e può variarne le proprietà fisiche, meccaniche e di barriera (la percentuale indicata va presa come indicativa poiché essa può variare a seconda dell’umidità relativa a cui è esposto).

L’acqua è un plasticizzante ed ha anche un forte effetto sulla stabilità termica e sull’orientazione del materiale, e quindi sulla cristallizzazione indotta per stiro.

Favorendo lo scorrimento tra le macromolecole, si crea una situazione equivalente a quella di un polimero a viscosità inferiore di quella reale.

La percentuale di acqua influisce anche sul natural stretch ratio e quindi sulle proprietà del manufatto finito, a parità di stiro assiale e radiale, una preforma contenente acqua avrà proprietà inferiori, come se fosse soffiata a una temperatura più alta.

Per questo motivo il mercato si sta indirizzando verso impianti di produzione preforme, soffiaggio e riempimento integrate in modo da ridurre il tempo di esposizione dei semilavorati all’atmosfera, in cui ovviamente l’acqua è ubiquitaria.

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1.2.4 Proprietà termiche

Al fine di comprendere al meglio le caratteristiche di un polimero è molto importante comprendere e analizzare il comportamento che questo assume al variare della temperatura. La tecnica più utilizzata per analizzare le proprietà termiche è la calorimetria differenziale a scansione (DSC), in grado di individuare i processi endo- e eso-termici del materiale [5].

Figura 10: termogramma classico di un PET [1]

Analizzando il termogramma di figura 10 la prima transizione che incontriamo è quella vetrosa (80°C) e interessa la fase amorfa del materiale.

Sia materiali amorfi che semicristallini sono caratterizzati da una temperatura di transizione vetrosa, Tg, che individua il passaggio del polimero dallo stato di solido vetroso allo stato gommoso. L’aspetto principale di tale fenomeno è la differente possibilità di movimento degli elementi strutturali, infatti al di sopra della Tg il materiale è flessibile e plasmabile mentre al di sotto di questa temperatura il materiale risulta fragile; queste sono informazioni molto utili per quanto riguarda i processi di lavorazione.

Al di sotto della temperatura di transizione vetrosa l’energia termica a disposizione è insufficiente a vincere le barriere energetiche rotazionali delle catene, bloccandole nella loro conformazione. Questa transizione coinvolge il moto co-operativo di un elevato numero di segmenti di catena e si manifesta con significative variazione di proprietà fisiche come il comportamento meccanico o il calore specifico, fenomeno che viene evidenziato nel caso della calorimetria a scansione differenziale.

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Il valore di questa temperatura dipende sostanzialmente dalla quantità di energia necessaria ad attivare il moto delle catene ed è quindi influenzata dai parametri energetici che determinano le barriere rotazionali attorno ai legami di catena. Pertanto la flessibilità della catena, la struttura molecolare, gli effetti sterici, la massa molecolare, la ramificazione e la eventuale reticolazione, la stereoregolarità e la cristallinità costituiscono tutti i parametri strutturali che concorrono a determinare il valore di Tg.

Inoltre, un altro parametro che influenza notevolmente questo tipo di transizione è la presenza di un plastificante, come l’acqua per il PET; infatti questi composti a basso peso molecolare occupano parte del volume, complessivamente occupato dal materiale, aumentandone il volume libero e quindi la mobilità molecolare, facendo avvenire la transizione anche a temperature inferiori rispetto al materiale che ne è privo.

Un'altra transizione visibile che avviene attorno a Tg in PET preparati in condizioni di processo

standard, è il rilassamento entalpico dovuto all’invecchiamento fisico:

Questo graduale movimento verso lo stadio di equilibrio è caratteristico dell’invecchiamento fisico e la spiegazione del fenomeno è da ricercarsi nel fatto che quando una macromolecola viene raffreddata e passa sotto la transizione vetrosa caratteristica, i moti co-operativi a lungo raggio della catena principale vengono congelati, ma rimane una quantità sufficiente di volume libero necessario ai moti molecolari secondari. Esiste pertanto una distribuzione dei tempi di rilassamento compatibile con i moti che avvengono ad una temperatura inferiore alla Tg, che provocano nel tempo una variazione di

volume libero [6].

A temperatura più elevata avviene la cristallizzazione (140-160°C), che è un processo in cui una struttura ordinata viene prodotta da una fase amorfa. Quando in un polimero la temperatura viene abbassata al di sotto del punto di fusione, le catene macromolecolari, inizialmente disordinate, tendono ad allinearsi, per formare piccole regioni parzialmente ordinate. Questo processo è denominato “nucleazione”, e la regioni ordinate sono note come “nuclei”. La nucleazione può avvenire per formazione spontanea di piccoli aggregati di catene polimeriche nella massa fusa (nucleazione omogenea) o catalizzata dalla presenza di sostanze estranee (nucleazione eterogenea). Il secondo stadio della cristallizzazione di un polimero, denominato “crescita”, consiste nell’ingrandimento dei cristalli per aggiunta progressiva di catene polimeriche, o parti di essa, al cristallo. La transizione di fase generalmente non termina con la crescita dei cristalli, poiché spesso si ha una cristallizzazione secondaria di parti di catena intrappolate all’interno del dominio.

Il processo è fortemente influenzato dalla velocità con la quale la temperatura diminuisce (cristallizzazione a caldo) o con la quale aumenta (cristallizzazione a freddo). I materiali polimerici

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semicristallini hanno una struttura complessa, essendo composti da diverse fasi di dimensioni nanometriche, interconnesse fra loro.

Infine si ha la fusione (250°C), la cui temperatura termodinamica è definita come la temperatura di fusione di un cristallo perfetto, privo di difetti interni e di dimensioni tali da rendere trascurabili qualsiasi effetto della superficie; in realtà i cristalli polimerici hanno dimensioni modeste, e la presenza di interfacce solido-liquido comporta un notevole contributo all’energia libera del sistema. In aggiunta la presenza di difetti aumenta l’entropia dello stato cristallino. Per questa serie di fattori la temperatura di fusione misurata è sempre inferiore a quella teorica, che si riferisce ad un cristallo perfetto di dimensioni infinite [5].

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1.2.5 Effetto dell’acqua

Il PET è un polimero idrofilo, quando viene esposto ad un’atmosfera umida, assorbe una quantità significativa di acqua. L’acqua assorbita modifica in modo sostanziale diverse proprietà sia fisiche che meccaniche: è un efficace plasticizzante e può abbassare la temperatura di transizione vetrosa anche di 15°C.

Per gli scopi del presente lavoro è di grande importanza comprendere questi fenomeni in quanto essi condizionano fortemente il risultato di riempimenti o trattamenti ad alta temperatura [7].

In generale è importante chiarire che l’acqua è un reagente ubiquitario e le proprietà del PET “umido” sono, in pratica, considerate le proprietà del PET, proprio perché è considerato normale avere una determinata percentuale di acqua all’interno del materiale, ma in casi particolari l’assenza del plasticizzante può portare grande giovamento [8].

Alcune proprietà variano di molto anche a basse concentrazioni di acqua, per altre ancora invece l’andamento è proporzionale al contenuto d’acqua assorbito. Per quantificare la percentuale di acqua assorbita in funzione dell’umidità relativa presente e l’influenza dell’umidità su proprietà termiche e meccaniche sono stati condotti molti studi da diversi gruppi di ricerca.

Figura 11: percentuale in peso di acqua nel PET in funzione della umidità relativa ambientale [7]

Per primo la permeabilità ai gas viene fortemente influenzata (Figura 12), infatti le proprietà barriera

all’ossigeno aumentano per effetto della penetrazione competitiva, infatti le molecole d’acqua occupano in maniera uniforme le regioni amorfe e gli eccessi di volume libero. L’acqua è più polare e condensabile rispetto alla maggior parte dei gas, perciò essa preferisce gli eccessi di volume libero

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e li rende indisponibili alla permeazione degli altri gas, eliminando una delle modalità con le quali le molecole diffondono attraverso il polimero

Figura 12: permeazione all'ossigeno in funzione della umidità relativa ambientale [7]

L’effetto plasticizzante dell’acqua assorbita è chiaro quando si va a valutare la variazione di temperatura di transizione vetrosa, con una riduzione di 16°C rispetto al PET “secco”. La curva che ne descrive l’andamento devia dalla linearità solo a basse concentrazioni, considerazione che risulta essere molto importante da un punto di vista pratico per tutti i tipi di processi sensibili alla temperatura, infatti se si lavora a temperature vicine alla Tg è fondamentale avere la caduta delle

proprietà a temperature più elevate [7].

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Un altro aspetto che è bene evidenziare è il modo con cui il PET risponde a uno sforzo che simula lo stiro durante il soffiaggio, in questo caso lo studio ha riguardato campioni in equilibrio con un ambiente contenente 0,50,100 % di umidità, i quali vengono sottoposti ad un carico di trazione e viene registrato la curva sforzo-deformazione.

I risultati mostrano che il contenuto d’acqua altera la resistenza meccanica, come se il campione fosse stirato a una temperatura più alta. Il modulo iniziale è più basso e l’inizio dello strain hardening avviene a deformazioni maggiori, con simultaneo aumento del natural stretch ratio [9].

Figura 14: curve sforzo-deformazione con provini a umidità diversa [7]

Valutiamo, infine, l’influenza dell’umidità sulla percentuale di ritiro dovuto a un riempimento a caldo di manufatti aventi diverse gradi di umidità. Il ritiro a caldo è una caratteristica che dipende dalla differenza tra la temperatura di riempimento e la temperatura di transizione vetrosa e i risultati sperimentali mostrano una forte importanza del contenuto di acqua assorbito sul restingimento e quindi sul volume finale del manufatto dovuto al ritiro della resina [8].

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Inoltre l’acqua modifica anche il riscaldamento della preforma, variandone il calore specifico e assorbendo parte della radiazione emessa dalle lampade, come vedremo meglio nel paragrafo successivo (1.3 Trasformazioni) [3].

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1.3 Trasformazioni

Il PET è un polimero termoplastico, estremamente utilizzato anche in virtù della sua facile lavorabilità, legata ad una temperatura di transizione vetrosa non eccessivamente elevata (Tg di circa

80°C) e una temperatura di fusione attorno ai 250 °C [3].

Uno dei campi in cui il PET è più utilizzato è la produzione di contenitori per bevande.

La maggior parte dei contenitori in PET viene formato, producendo le preforme attraverso una tecnologia d’iniezione, le preforme vengono poi stiro-soffiate da una seconda macchina che le porta ad avere l’aspetto finale.

In questa trattazione andremo ad analizzare nel dettaglio il processo bistadio che porta alla formazione del manufatto finito attraverso lo stampaggio ad iniezione per l’ottenimento della preforma e il successivo stiro-soffiaggio, una modalità di produzione che è maggiormente flessibile e elastica rispetto agli impianti monostadio.

La prima fase della trasformazione è la deumidificazione del granulo, essendo il PET un materiale fortemente igroscopico ed essendo un polimero di policondensazione in presenza di acqua è soggetto a idrolisi, specialmente nelle fasi di estrusione e stampaggio, dove raggiunge temperature elevate che accelerano la degradazione, portando a un calo di viscosità intrinseca tale da comprometterne le proprietà meccaniche e di invecchiamento.

A tale scopo viene utilizzato un deumidificatore, costituito da una tramoggia coibentata dimensionata rispetto alla portata dell’estrusore e capace di lavorare in continuo, a seconda della portata e della temperatura dell’aria deumidificata calda che viene utilizzata vi saranno tempi di residenza che variano dalle 4 alle 6 ore.

L’aria viene riscaldata a 160-185°C e viene deumidificata utilizzando setacci molecolari, che vengono rigenerati a turno. Questa apparecchiatura ha dei costi energetici molto elevati poiché si basa sul riscaldamento ed il raffreddamento di grandi volumi di aria.

Per quantificare il grado di deumidificazione dell’aria, si utilizza il dew point (punto di rugiada), cioè la temperatura in cui l’aria si satura con l’umidità che contiene e vi è la formazione della prima gocciolina di liquido. Per deumidificare il PET serve dell’aria con un dew point di almeno -40°C, possibilmente -55/-60°C, misurata e tenuta sempre monitorata attraverso appositi sensori.

Un altro aspetto molto importante è la portata d’aria necessaria, se si rispettano tutti gli aspetti elencati, il contenuto di umidità nel granulo è inferiore a 40 ppm e quindi il calo di viscosità intrinseca è accettabile e pari a 0.02 dl/g.

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Non bisogna però dimenticare che il PET è un materiale termosensibile per cui un’eccessiva esposizione a temperature elevate può portare a ingiallimenti e a produzione di acetaldeide causate da degradazione termica.

Per questo motivo l’estrusore deve essere progettato in modo da limitare il tempo di esposizione a temperature elevate, in grado di innescare degradazione termica.

Inoltre va ricordato che il granulo deumidificato va alimentato immediatamente nell’estrusore poiché ha una tendenza molto maggiore ad assorbire l’umidità, serve quindi un tubo di alimentazione il più corto possibile e coibentato. In genere gli estrusori utilizzati per il PET sono dei monovite, spesso a tre zone ma sono anche utilizzati viti con elementi di barriera.

Figura 16: esempi di viti tipicamente usate in estrusori per il PET [1]

Questo tipo di apparecchiature (monovite) agisce da pompa volumetrica, grazie alla vite che girando nel cilindro con un accoppiamento molto preciso, trasporta il materiale da una parte all’altra, associando a questa operazione una lavorazione, che trasforma il materiale da solido (granulo) a fuso. Il processo di estrusione risulta essere una fase molto delicata, poiché alle alte temperatura si associa anche uno sforzo meccanico operato dalla vite di plastificazione sul polimero che può causare degradazione. Il materiale fuso ora è pronto per la lavorazione, nel nostro caso stiamo trattando una lavorazione bistadio in cui appunto la prima fase di formazione della preforma consiste nello stampaggio ad iniezione e la seconda nel riscaldamento della preforma e il conseguente stiro-soffiaggio.

Nella figura sottostante vengono riassunti i tempi e le temperature coinvolte nella produzione di bottiglie in polietilentereftalato e la differenza fra i processi mono- e bi- stadio: nel secondo caso infatti la preforma non viene raffreddata fino a temperatura ambiente ma viene soffiata durante il raffreddamento; questo implica un minor costo dovuto all’eliminazione del forno della soffiatrice da una parte, dall’altra limita la flessibilità nel suo riscaldamento.

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Figura 17-andamento temperatura/tempo durante la produzione di bottiglie in PET [1]

Il design delle preforma è importante e deve essere realizzato in modo che vengano rispettati i limiti di stiro assiale e radiale: data la lunghezza e il diametro della preforma vi sono delle limitazioni nell’altezza e nel diametro del contenitore, solitamente si ha uno stiro assiale di circa 2,6 (rapporto tra altezza contenitore e altezza preforma) e radiale di 3,5/4 (rapporto tra diametro contenitore e diametro preforma).

Durante il processo di iniezione si ha la formazione del finish (la filettatura in cui si applicherà il tappo) e del collo che durante la fase di stiro-soffiaggio non subiranno ulteriori modifiche.

L’iniezione del materiale fuso nello stampo, appositamente progettato per le caratteristiche del manufatto finito e per le necessità legate alle lavorazioni successive del contenitore, può essere eseguita attraverso una vite punzonante o con uno shooting pot.

Nel primo caso si ha una vite che ruotando ed arretrando carica e plastifica il materiale necessario alla stampata, poi, dopo aver fermato la rotazione, inietta nello stampo attraverso una traslazione in avanti della vite.

Nel secondo caso invece vi è un estrusore che ha la sola funzione di plastificare il materiale in continuo ed un pistone che ha invece la funzione di iniettare nello stampo il materiale plastificato. Questa disgiunzione delle operazioni permette di ottenere risultati di plastificazione migliori e di ridurre i tempi ciclo in quanto mentre un’unità plastifica, l’altra inietta con una riduzione anche delle dimensioni dell’impianto (Figura 18).

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Il gruppo di iniezione è montato su un basamento in cui alloggia anche l’impianto oleodinamico, l’impianto elettrico e la pressa, detta anche gruppo di chiusura (Figura 19).

Figura 19: gruppo di chiusura per produzione preforme a iniezione [1]

Il gruppo di chiusura gestisce lo stampo durante la fase di stampaggio, cioè chiude lo stampo e lo mantiene chiuso durante la prima fase di raffreddamento e lo apre al termine del ciclo per l’estrazione, nel caso di SACMI il giunto è a ginocchiera, in cui lo stampo trasla sulle quattro colonne che lo supportano, grazie al pistone che aziona la ginocchiera in modo da movimentare la parte mobile dello stampo (Figura 20).

Parametro fondamentale è la forza di chiusura, cioè il tonnellaggio per mantenere serrato lo stampo durante l’iniezione, che dipende dalle dimensioni dello stampo, dal materiale e in generale dalla sezione stampata.

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Figura 20: meccanismo di funzionamento del gruppo di chiusura [1]

Lo stampo per la produzione di preforme è composto da una parte mobile con un certo numero di maschi e da una parte fissa con altrettante cavità.

Il PET fuso e iniettato, solidifica formando la preforma, in seguito lo stampo si apre e la preforma viene espulsa, dopo che i semigusci che formano il collo si sono aperti per liberare i sottosquadri. Il materiale, una volta chiusa la pressa, viene distribuito attraverso dei canali che portano il materiale plasticizzato nello stampo.

Figura 21: rappresentazione grafica degli hot runner [1]

Le cavità, il maschio e le matrici sono provviste di un circuito di raffreddamento ad acqua, che ha una temperatura tra i 7 e i 10°C, non di meno, in quanto il rapporto costi benefici non sarebbe più vantaggioso e non di più, in quanto il tempo ciclo crescerebbe significativamente.

Gioca un ruolo importante la portata, che, per ogni parte dello stampo, deve essere dimensionata in funzione dell’energia da sottrarre. A causa di queste basse temperature si creerebbe condensa sugli stampi, possibile fonte di difetti, per cui il gruppo di chiusura è sempre incapsulato da una cabina con una leggera sovrappressione di aria deumidificata. La densità del PET in fase di lavorazione varia da 1.2 g/cm3 a 1.335 g/cm3, di conseguenza se si vuole progettare correttamente lo stampo-preforma

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volume specifico e temperatura. Il tempo ciclo ha diverse componenti: il tempo di iniezione legato al peso della preforma, il tempo di mantenimento e infine il tempo di raffreddamento e estrazione. Una volta ottenute le nostre preforme vengono riscaldate al di sopra della temperatura di transizione vetrosa e vengono sottoposte al processo di stiro soffiaggio. Lo stiro-soffiaggio è un processo di modellazione che agisce in due direzioni, assiale attraverso la discesa di un asta che trasporta il materiale verso il basso e radiale attraverso il soffiaggio di un aria ad alta pressione.

Nei processi bistadio vi sono maggiori possibilità tecniche e flessibilità nello stiro, inoltre vi è la possibilità di differenziare il riscaldamento della preforma con un controllo molto preciso.

Il cuore di una soffiatrice bistadio è il forno, che porta le preforme da temperatura ambiente alla temperatura di soffiaggio che generalmente è di circa 20°C sopra la temperatura di transizione vetrosa.

I forni funzionano con lampade che emettono una frequenza centrata tra i 1000 e 1300 nm, il picco di massimo assorbimento del PET è a 1073 nm, quindi la scelta di lavorare nel range indicato si spiega con la volontà di non rischiare di bruciare la preforma attraverso un irraggiamento troppo elevato. Essendo il polietilentereftalato un polimero a bassa conducibilità termica deve essere trattato con estrema attenzione, poiché solo parte della potenza delle lampade viene assorbita effettivamente (circa il 25%), e quindi, al fine di evitare il surriscaldamento della parete esterna è importante anche ventilare la parte forno con un sistema di circolazione d’aria regolabile.

Figura 22: particolare del forno per il riscaldamento delle preforme, posizione lampade e riflettori; impianto di ventilazione [1]

Occorre avere una certa omogeneità di profilo di temperatura nello spessore della preforma, poiché se essa non viene ottenuta si possono creare difetti. Tale profilo può essere modificato dalla presenza d’acqua assorbita nel materiale, essendo il PET un materiale igroscopico, la molecola d’acqua, infatti, da una parte assorbe una porzione della radiazione diminuendone l’efficacia ma d’altra parte aumenta il calore specifico del sistema.

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In genere, la parete interna della preforma si stira circa il 20% (essendo più fredda) in più di quella esterna, per questo motivo i forni delle soffiatrici sono previsti di zone di riequilibrazione termica, in cui non sono presenti lampade e si concede il tempo necessario per rendere il profilo di temperatura tra esterno e interno il più vicino possibile al profilo ottimale.

I problemi che si possono incontrare sono di scaldare poco, provocando stirature biancastre dovute a uno stiratura a freddo (overstretching), o scaldare troppo, formando delle zone opache dovute alla cristallizzazione.

Il forno risulta essere la componente più delicata e complessa da affrontare, poiché determina la produttività di una soffiatrice, essendo il processo che richiede più tempo.

Lo stiro avviene con la discesa dell’asta con una velocità tra 0.8-1,2 m/s, maggiore è la velocità e maggiore è l’effetto di strain hardening ottenuto. Inoltre la velocità di stiro varia notevolmente, insieme al profilo di temperatura lungo l’asse della preforma, determinando una distribuzione degli spessori nel manufatto finito.

L’altra unità fondamentale è il circuito di aria compressa che genera l’aria per il soffio. Infatti appena parte lo stiro, si inietta un’aria di presoffio a bassa pressione (6-12 bar) che evita il collasso della preforma.

Il presoffio risulta essere un aspetto di fondamentale importanza per la distribuzione degli spessori nella bottiglia finale, poiché, quando l’asta scende, trascina più o meno materiale a seconda di quanto il presoffio ha modificato, rigonfiando, la geometria.

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Inoltre l’aria primaria (presoffio) ha la funzione di evitare il contatto delle pareti interne della preforma con l’asta di stiro, evitando numerosi difetti dalla formazione di anelli di materiale; il contatto tra l’asse di stiro e il materiale infatti deve avvenire solo nella parte terminale della preforma. Solo sul finire dello stiro si aziona un secondo getto di aria ad alta pressione (30-40 bar) che determina l’esatta geometria della bottiglia, facendo aderire completamente il materiale caldo alle pareti fredde dello stampo, non appena il materiale viene messo in contatto con lo stampo l’orientazione viene congelata e il manufatto è formato.

Infine è utile ricordare che lo stampo è formato da due semigusci che si chiudono azionati da una ginocchiera, nel caso di una soffiatrice in linea

La tecnica dello stiro biassiale permette di ottenere una forte bi-orientazione delle macromolecole che conferisce al materiale finale buone caratteristiche di resistenza all'impatto e rigidità. Questa è la metodologia più utilizzata per la produzione di bottiglie.

A seconda della geometria e delle esigenze di stabilità che il manufatto finito deve avere, occorre modificare alcuni parametri importanti come il profilo di temperatura preforma dopo il riscaldamento, o le pressioni dell’aria primaria e secondaria, o ancora la velocità di discesa dell’asta e molti altri in modo da ottenere le prestazioni desiderate e richieste dal cliente.

A questo proposito per ogni contenitore in produzione vengono messe a punto le condizioni ottimali attraverso numerose prove di stiro-soffiatura, al fine di ottimizzare i parametri di processo.

Come vedremo meglio nel paragrafo successivo, per avere bottiglie che resistano ad alte temperature (tecnologie hot-fill) si sono sviluppate tecniche di soffiaggio che prevedono di soffiare la preforma in uno stampo mantenuto a temperature elevate (80-85°C), una accorgimento che modifica sostanzialmente la microstruttura del PET, rilasciando le tensioni accumulate durante il processo. In questo caso si parla di una temperatura compresa tra gli 80/85°C non troppo elevata da cristallizzare

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il materiale ma superiore alla Tg e quindi in grado di modificare, rilassando, la microstruttura

polimerica.

Infatti solitamente le pareti dello stampo sono raffreddate con acqua fra i 7/10°C in modo da congelare l’orientazione ottenuta durante il processo, in alcuni casi tuttavia, sono richieste proprietà aggiuntive come la resistenza ad alte temperature, che viene ottenuta mediante questo espediente e con opportune modifiche nel design della bottiglia.

Per particolari applicazioni occorrono diversi accorgimenti; nelle applicazioni nitro-hot fill la bottiglia deve resistere ad alte temperature e pressioni interne durante le operazioni di riempimento, per questo motivo il design dello stampo e la gestione dei parametri di processo necessita massima attenzione. Modificando il design della bottiglia a seconda delle esigenze che il manufatto finale dovrà avere, viene progettato lo stampo, avvalendosi anche di programmi moderni di simulazione in grado di prevedere in base al peso e alla forma della bottiglia le proprietà finali del manufatto.

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1.4 Hot Fill

Il riempimento può essere considerato un'azione banale ma possono insorgere problematiche, in particolare quando si fa uso di fluidi differenti dalla semplice acqua. Infatti prodotti come passate di pomodoro e succhi di frutta, che presentano una componente elevata di sostanze organiche, possono essere soggetti a fenomeni di contaminazione da parte di batteri, dunque è necessario operare una sterilizzazione sfruttando il calore [10].

In questo caso il processo di riempimento prevede un riscaldamento veloce della sostanza da imbottigliare intorno a 120-140 °C, definito pastorizzazione flash.

Successivamente vi è il raffreddamento del prodotto ad una temperatura adeguata per il riempimento, in genere a 82-95 °C. Una volta che il contenitore è stato riempito e chiuso, viene ruotato o disteso per almeno 10 secondi per sterilizzarne il tappo.

Il prodotto viene raffreddato definitivamente attraverso il passaggio in un tunnel in cui docce di acqua fredda permettono la diminuzione della temperatura fino a temperatura ambiente.

Queste successive variazioni di temperatura provocano però cambiamenti sia nel volume della bottiglia che nella pressione interna. Infatti durante il riscaldamento si oltrepassa la temperatura di transizione vetrosa del PET, dunque le catene hanno la possibilità di riarrangiarsi mediante rotazione intorno ai legami semplici che costituiscono l’ossatura del polimero, causando il rilascio delle tensioni interne accumulate durante i processi di trasformazione. Parallelamente si osserva un aumento di pressione di 0.1-0.3 bar, legato sia ai fenomeni di ritiro appena descritti che all’incremento della tensione di vapore del liquido pastorizzato.

Durante il successivo raffreddamento invece il contenitore è soggetto ad una depressione dovuta alla variazione di temperatura, che provoca un abbassamento della tensione di vapore e della densità del liquido che implica ovviamente una diminuzione del volume.

A B C

Figura 25: Effetto della pressione sulla bottiglia durante processo Hot Fill.

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Per resistere a questa condizione di vuoto, le bottiglie per Hot-Fill (HF) vengono progettate con una particolare costolatura a pannelli in grado di deformarsi per compensare il vuoto. Solitamente i pannelli sono poi coperti dall’etichetta poiché non sono in linea con i canoni estetici attesi dal consumatore.

Il processo HF ha un costo doppio rispetto ai processi utilizzati per riempimenti classici legato a: - maggiore quantità di materiale, in quanto il contenitore viene appesantito per aumentarne la

resistenza;

- aumento della pressione dell’aria durante il soffiaggio per la maggiore quantità di materiale da stirare;

- stampi in acciaio in grado di resistere a alte temperature e favorire l’aumento di cristallinità del materiale.

Inoltre occorre stare molto attenti al contenuto di acqua assorbita, infatti l’acqua assorbita nei microvuoti aumenta sì le proprietà barriera per l’effetto di penetrazione competitivo, ma funge contemporaneamente da plasticizzante, abbassando le proprietà del contenitore e aumentando la percentuale di shrinkage (restringimento) associato all’aumento di temperatura.

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1.5 Nitro Hot Fill

Proprio per gli alti costi di materiale e di gestione, tipici di un processo HF, si è cercato di migliorare questo processo allo scopo di ottenere risultati analoghi in maniera più economica e semplice, provando inoltre a liberarsi dei limiti piuttosto stringenti del design HF.

Per quanto riguarda il materiale, l’obiettivo è quello di ottimizzare la formulazione del PET al fine di ridurre i pesi ed evitare di aggiungere

additivi.

Relativamente al processo di soffiaggio, invece, l’obiettivo è quello di produrre bottiglie per riempimenti a caldo impiegando stampi generici, mantenendone le classiche geometrie. Ciò non riflette solo una necessità economica, in quanto con il medesimo stampo si potrebbero produrre sia bottiglie per Hot-Fill che bottiglie classiche, ma anche estetica.

Purtroppo le bottiglie con geometrie classiche, se impiegate per questi riempimenti, sono soggette a pesanti deformazioni a causa del vuoto e del calore, occorre quindi prendere ulteriori

accorgimenti al fine di evitare l’implosione del contenitore e garantirne la stabilità.

Tenendo conto di questo aspetto, si è sviluppato un nuovo processo definito “Nitro Hot Fill” (NHF) che prevede l’iniezione di azoto liquido in modo da compensare la depressione che si genera in seguito al raffreddamento ed evitare così il collasso della bottiglia, in questo modo la geometria del contenitore viene svincolata da quelli che sono i limiti imposti nel design dal processo HF.

Il riempimento va gestito in modo da garantire l’asetticità del contenitore, il raffreddamento può partire solo in determinati momenti che vengono stabiliti dalle necessità igienico-sanitarie che il prodotto richiede e a seconda della temperatura alla quale viene riempito. E’ un processo la cui finalità è rendere sterile il contenitore attraverso il calore del prodotto stesso: a seconda della temperatura e del volume vengono modificati le tempistiche relative a ciascuna operazione.

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In generale possiamo riassumere le principali operazioni in questo modo:

Figura 27: principali fasi del NHF

La figura rappresenta le principali fasi del processo di NHF, l’immagine può ricordare una bottiglia con una costolatura tipica per le bottiglie da Hot-Fill, anche se in questo caso il design può essere libero.

Nella trattazione che segue viene analizzato il processo di riempimento a caldo con azoto liquido più generico possibile, occorre però comprendere che la procedura può essere modificata nei tempi e nelle azioni (a seconda della T e del tipo di prodotto), senza però che esse vadano a compromettere l’azione sterilizzante:

- la bottiglia viene riempita fino al livello di riempimento desiderato;

- si ha il dosaggio dell’azoto a cui segue l’immediata applicazione del tappo; - mantenimento in posizione verticale per un tempo di circa un minuto

- a questo punto si sdraia il contenitore per 30 secondi per garantire la sterilizzazione del tappo e del collo della bottiglia, operando simultaneamente il raffreddamento del fondo;

- infine si lascia raffreddare sotto una doccia di acqua fino a quando la bottiglia non ha raggiunto temperatura ambiente.

I tempi delle varie operazioni possono essere soggetti a variazioni a seconda della temperatura del liquido da utilizzare come riempimento, ovviamente più alta sarà la temperatura minore sarà il tempo necessario alla sterilizzazione. Le criticità di questo processo sono dovute alle temperature di riempimento vicine a quella di transizione vetrosa insieme ad uno sforzo dato dal picco di pressione interno successivo al dosaggio di azoto e precedente al raffreddamento della bottiglia che possono portare all’estroflessione del fondello con conseguente perdita di stabilità (questo fenomeno assolutamente da evitare in una linea di riempimento industriale perché può causare un effetto domino

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con ribaltamento di tutte le bottiglie), o all’implosione del contenitore dovuto ad un non corretto dosaggio dell’azoto o, infine, a una deformazione del contenitore non accettabile.

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Capitolo 2: Scopo della tesi

L’obiettivo del presente lavoro di tesi consiste nello studio dei principali fenomeni che caratterizzano il processo di nitro-hot-fill attraverso una simulazione su scala di laboratorio del processo industriale di riempimento a caldo e lo studio di formulazioni di PET che possano mostrare una maggior tendenza alla cristallizzazione e alla resistenza ad alte temperature.

In particolare l’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di ricercare la massima temperatura di riempimento dei contenitori analizzati ricercando al contempo soluzioni tecnologiche che permettano di riempire bottiglie in PET ad elevate temperature con la tecnologia nitro-hot-fill, assicurandone la stabilità.

La nostra attività di ricerca si innesta su studi precedenti che hanno portato a conoscenze approfondite sui fenomeni di pressurizzazione del contenitore e sulle problematiche legate alla deformazione e all’instabilità del contenitore stesso.

Per il progetto in questione si è prodotta una preforma dedicata (il cui collo è già commercializzabile e avente un diametro di 33 mm) e con un peso ridotto (20 g per una bottiglia da 500 mL), che si differenzia quindi dai contenitori testati nei lavori precedenti in quanto concepito come un contenitore commercialmente vendibile, in cui sono stati fatti confluire perfomance e appeal estetico. Il peso ridotto della preforma utilizzata è stato scelto in modo da enfatizzare il contributo del design del contenitore e nello specifico della geometria del fondello.

La ricerca bibliografica, la riproduzione su scala pilota dei processi industriali e la caratterizzazione chimico-fisica dei campioni in collaborazione con il laboratorio di ricerca SACMI-Imola sono gli strumenti utilizzati per raggiungere la stabilità desiderata della bottiglia alla temperatura richieste dal riempimento.

Dal punto di vista del processo di riempimento, sono state analizzate alcune variabili principali su scala pilota, necessarie per lo studio preliminare di quanto avverrà a livello industriale.

I fenomeni analizzati sono stati i seguenti:

- l’influenza della geometria del fondello sulla stabilità;

- una distribuzione ottimale degli spessori al fine di garantire le massime prestazioni attraverso la modifica di parametri di processo;

- l’influenza dell’umidità assorbita dal PET sul suo comportamento;

- l’utilizzo di stampi “tiepidi(warm)” termostatati a 85°C mediante un circuito di olio caldo e la loro influenza sulle proprietà finali della bottiglia.

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Capitolo 3: Parte sperimentale

3.0 Campionamento

La campionatura riveste un ruolo fondamentale per qualsiasi analisi, deve essere condotta in modo da essere considerata un campione rappresentativo dell’insieme. In generale si opera prelevando direttamente i contenitori da magazzino in maniera casuale, infatti vi possono essere differenze nel processo che possono portare a disomogeneità nelle misure, per questo campionando in maniera casuale si è sicuri di una maggiore rappresentatività del campione.

Il numero di bottiglie campionate varia a seconda delle prove a cui dovranno essere sottoposte e sono riportate in Tabella 3:

Tabella 3: numero contenitori campionati per tecnica di analisi

Analisi

n° bottiglie

Analisi dimensionale 5

Spettroscopia IR 3

Analisi DSC 3

Analisi DMA 3

Determinazione spessori e pesi 5

Determinazione densità 5

Naturalmente nell’eventualità che i risultati varino di molto si ripete la campionatura e l’analisi, al fine di capire l’origine della variazione.

3.1

Tecniche di studio dei materiali

3.1.1 Determinazione della viscosità intrinseca

La viscosità intrinseca risulta essere un parametro di fondamentale importanza al fine di valutare, seppur indirettamente, il peso molecolare del polimero.

Questo tipo di analisi viene effettuato sia sul granulo di PET in modo da verificare la qualità del prodotto acquistato, sia in seguito alla trasformazione a preforma per controllare se durante la fase di estrusione e iniezione vi siano stati fenomeni degradativi più o meno importanti.

Il campionamento avviene in maniera casuale, per l’analisi si prelevano 100 g di materiale, per ogni tipo di formulazione, per le preforme, invece, vengono campionate 10 unità.

La prova si basa sul principio che, quando in un liquido di basso peso molecolare vengono disciolte molecole di elevato peso molecolare, anche in bassa concentrazione, la sua viscosità varia in modo apprezzabile.

Figura

Figura 4: rappresentazione grafica della diminuzione di IV in base al contenuto d'acqua presente nel granulo di  PET  [1]
Figura 11: percentuale in peso di acqua nel PET in funzione della umidità relativa ambientale  [7]
Figura 22: particolare del forno per il riscaldamento delle preforme, posizione lampade e riflettori; impianto di  ventilazione  [1]
Figura 34: particolare spettro FT-IR del PET, cambio di intensità della banda a 1340 cm-1 fra campione cristallino e  amorfo  [14]
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