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(S)parlare nel Web. Razzismo online ed educazione alla cittadinanza

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Guida ISMU

Giugno 2020

a cura di Stefano Pasta

(S)PARLARE NEL WEB

Razzismo online

ed educazione alla cittadinanza

FONDO ASILO, MIGRAZIONE E INTEGRAZIONE 2014 - 2020

Obiettivo specifico 2 Integrazione/Migrazione legale – Obiettivo Nazionale 3 Capacity building

PROG-1597 “Azioni e strumenti di governo per la qualificazione del sistema scolastico in contesti multiculturali” Progetto co-finanziato

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Collaborazione con IIS Cine TV R. Rossellini – Roma nell’ambito del Progetto FAMI 1597

“Azioni e strumenti di governo per la qualificazione del sistema scolastico in contesti multiculturali” –

Obiettivo Specifico 2 “Integrazione e migrazione legale” – Obiettivo Nazionale 3 “Capacity building – lettera J) “Governance dei servizi” – m_pi.AOODPIT.REGISTRO DECRETI DIPARTIMENTALI.R.0001792.04-12-2018 CUP B51I17000010007

Fondazione Ismu

Via Copernico, 1 – 20125 Milano Tel. 02.678779.1

www.ismu.org

Coordinamento editoriale delle cinque Guide ISMU del progetto FAMI 1597: Cristina Zanzottera Coordinamento editoriale della Guida (S)parlare nel Web. Razzismo online ed educazione alla cittadinanza: Francesca Locatelli

Editing: Susanna Compostella

Progetto grafico e impaginazione: Marta Carraro © Copyright Fondazione Ismu, Milano 2020 ISBN 9788831443036

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indice

Presentazione ... 6 di Vincenzo Cesareo Introduzione ... 8 di Francesca Locatelli Premessa ... 10 di Gabriela Heinrich

1. L’incitamento all’odio tra online e offline ... 13 di Stefano Pasta

2. Il Web è realtà (aumentata) ... 25 di Stefano Pasta

3. La parola al MIUR e al Consiglio d’Europa ... 39 di Stefano Pasta

4. Schede: indicazioni operative per docenti e studenti ... 45 di Enrica Bricchetto

Schede operative ... 49

Focus: media, parole e migrazioni ... 65 di Associazione Carta di Roma, Fondazione Ismu, UNHCR

5. Spunti educativi e didattici ... 73 di Enrica Bricchetto e Stefano Pasta

Consigli di lettura ... 79 Sitografia ragionata ... 81

(6)

di

V

incenzo

c

esareo*

La redazione di questa Guida, ideata e realizzata da Fondazione Ismu, si colloca nell’ambito del Progetto “Azioni e strumenti di governo per la qualificazione del sistema scolastico in contesti multiculturali”, finanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Immigrazione (FAMI). Si tratta di un proget-to sulla governance che riunisce i principali atproget-tori istituzionali in tema di immigrazione e di minori: il Ministero dell’Interno, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Obiettivo di questa azione è la qualificazione del sistema scolastico in contesti multiculturali in una logica di sistema e di cooperazione interistituzionale, con l’obiettivo di offrire strumenti condi-visi, utili a promuovere l’integrazione scolastica degli alunni con background migratorio.

In questo quadro, il progetto mira a rafforzare e implementare gli strumenti a supporto della governance e delle reti tra scuole e territori. Tra questi prodotti, Fondazione Ismu cura la redazione di tre Report annuali (con specifici focus e approfondimenti relativi a presenza, caratteristiche, bisogni e percorsi degli alunni con cittadinanza non italiana nel nostro sistema scolastico) e di cinque Guide rivolte ai docenti, ai dirigenti e al personale della scuola.

Le Guide in particolare propongono approfondimenti tematici e spunti di riflessione, esperien-ze e pratiche didattiche, suggerimenti e indicazioni operative, repertori di strumenti e suggerimenti di lettura. In esse vengono trattati cinque temi d’attualità, scelti a partire dalle molte sfide che oggi la scuola si trova ad affrontare, in particolare quando opera in contesti fortemente plurilingue e multi-culturali. Qui di seguito indichiamo gli argomenti scelti perché ritenuti di particolare importanza per la costruzione di una scuola interculturale di qualità:

la gestione delle relazioni scuola-famiglia, il ruolo della mediazione linguistico-culturale e le pro-poste di orientamento scolastico per garantire pari opportunità formative;

l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati nel sistema scolastico e formativo, in un lavoro di rete tra scuola e agenzie del territorio, per un’educazione e una formazione integrata;

presentazione

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PRESENTAZIONE

l’hate speech e il razzismo online, in una prospettiva di educazione alla cittadinanza, tra media

education e pedagogia interculturale;

l’approccio plurilingue nel quadro di un’educazione linguistica che valorizzi e dia voce alla molte-plicità delle lingue d’origine presenti a scuola, accanto alla lingua seconda, alle lingue delle disci-pline, alle lingue straniere e minoritarie;

la formazione dei docenti e dei dirigenti in chiave interculturale: una ricognizione dei principali bisogni formativi del personale della scuola che opera in contesti multiculturali, per trovare nuove ed efficaci risposte in termini di percorsi di formazione innovativi e sempre più legati ai contesti educativi in trasformazione.

L’auspicio è che gli strumenti proposti possano costituire un supporto concreto per coloro che si impegnano quotidianamente per favorire l’incontro tra persone di diversa provenienza linguistica e culturale, contribuendo quindi a promuovere l’integrazione dei giovani che crescono nel sistema formativo italiano.

Un sentito ringraziamento va ai collaboratori del Settore Educazione di Fondazione Ismu, che si sono dedicati alla stesura delle Guide e a tutti coloro che hanno offerto il loro contributo, portando differenti esperienze e punti di vista per realizzare Guide a più mani e a più voci. Ci auguriamo che le nostre proposte si arricchiscano di ulteriori riflessioni ed esperienze portate da chi, ogni giorno, lavora con passione nelle nostre scuole.

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introduzione

di

F

rancesca

L

ocateLLi*

“Una scuola che previene e contrasta l’odio e il razzismo online è una comunità educante che assume l’educazione alla cittadinanza – digitale e interculturale – come linea guida educa-tiva” ( Cfr., pag. 73): è l’idea di fondo a cui puntano gli autori di questa Guida nell’affrontare un tema oggi tanto attuale e urgente come quello della diffusione dei discorsi d’odio tra online e offline, che contaminano le nuove generazioni e che rappresentano una difficile sfida educativa per i docenti e per tutto il mondo della scuola, chiamata ad accompagnare la complessità del cambiamento introdotto dal Web.

Cosa fare per sviluppare nei ragazzi più consapevolezza sui rischi della Rete e aiutarli a ri-conoscere le fake news? Come educare i giovani a non rimanere passivi di fronte a episodi di hate

speech e fornire loro gli strumenti necessari a contrastarlo? Come indurre gli studenti a un utilizzo

della Rete in modo civico, democratico e responsabile?

(S)parlare nel Web, Razzismo online ed educazione alla cittadinanza si propone di far riflettere e

di rispondere a queste e a molte altre domande che ruotano attorno al tema del razzismo e dell’odio online, fornendo ai docenti elementi teorici, ma soprattutto pratici, utili a orientare le strategie edu-cative e ad affrontare questi temi in classe.

La premessa, affidata a Gabriela Heinrich, General Rapporteur on combating racism and

intole-rance del Consiglio d’Europa, ci aiuta a entrare nel vivo delle principali questioni della Guida,

focaliz-zando i rischi a cui oggi le nuove generazioni vanno incontro nel vivere in una dimensione “sospesa” (o, meglio, di piena continuità) tra il digitale e il reale.

Nei capitoli 1 e 2 Stefano Pasta, ricercatore ed esperto di educazione digitale e contrasto ai razzismi, nonché principale curatore di questo lavoro, fornisce il quadro teorico necessario a intro-durre e supportare il capitolo 4, dedicato invece alle pratiche didattiche e alle linee guida. Con un taglio divulgativo l’autore spiega alcuni concetti di fondo quali pregiudizio, stereotipo, logiche dei * Francesca Locatelli è dottoressa di ricerca in Diritto Pubblico. Dal 2006 lavora per Fondazione Ismu collaborando alla realizzazione di ricerche e di progetti sulle migrazioni. Dal 2015 ricopre il ruolo di responsabile della comunicazione, coordinando le iniziative di diffusione e sensibilizzazione della Fondazione volte a promuovere una corretta cultura della migrazione.

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INTRODUZIONE razzismi, per poi passare ad analizzare il Web e le caratteristiche, anche tecniche, su cui si basa la comunicazione online. Sono proprio le peculiarità dell’ambiente digitale che facilitano la propaga-zione di messaggi d’odio.

La risposta del mondo dell’educazione e dalle istituzioni a queste questioni è contenuta nel

ca-pitolo 3, dove vengono illustrati alcuni recenti documenti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università

e della Ricerca (MIUR) e del Consiglio d’Europa.

Nel capitolo 4 si entra quindi nel vivo della parte più pratica di questo lavoro, con una raccol-ta di Schede contenenti indicazioni operative per docenti e studenti. Enrica Bricchetto, insegnante con lunga esperienza in attività di formazione e di ricerca in ambito di didattica e media, passa qui in rassegna alcune pratiche didattiche ed esperienze di rilievo anche internazionale, fornendo agli insegnanti strumenti e indicazioni per il loro lavoro in classe, utili a stimolare negli alunni il pensiero critico e indurli “ad abitare” la Rete in modo responsabile. Si tratta di tre strumenti – Parole O_Stili:

il Manifesto e la raccolta di racconti, La Piramide dell’Odio e UndeRadio. Realizzare podcast – che

l’autrice propone come percorsi didattici, guidando il docente passo per passo nelle attività con gli studenti.

La Guida si completa con degli Spunti educativi e didattici, alcuni suggerimenti di fondo da cui partire per affrontare con i ragazzi i temi del razzismo e di tutte le forme di odio online.

Nel testo sono stati inseriti anche focus di approfondimento, che danno voce ad alcune im-portanti realtà e istituzioni con competenze specifiche sul tema. Si tratta dell’Associazione Car-ta di Roma, che ha curato i focus sulla rappresenCar-tazione mediatica del fenomeno migratorio, su come affrontare la discriminazione nei media e su come riconoscere e fare fronte all’hate speech. All’UNHCR, invece, è stato affidato il compito di fare il punto sulla terminologia corretta riguardante i temi delle migrazioni e dell’asilo. A sua volta Fondazione Ismu ha curato un affondo sulla distanza tra percezione e realtà dei dati sulle migrazioni.

La presenza di elementi quali box, definizioni integrate al testo, immagini, schede operative, indicazioni di risorse online e siti d’interesse, accompagnati da accorgimenti grafici per agevolare la lettura, ci auguriamo possa rendere questa guida particolarmente fruibile, una risorsa preziosa per insegnanti e scuole, da sperimentare direttamente in classe con bambini e ragazzi.

La Guida si chiude con i Consigli di lettura, una bibliografia ragionata pensata per un approfon-dimento ulteriore sui vari temi e, in particolare, sull’educazione interculturale, sul razzismo e l’odio online, sui social network, sulla Web e media education, nonché sulla didattica in generale. Infine, un’utile sitografia ragionata e commentata fornisce agli insegnanti ulteriori ipotesi di lavoro.

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premessa

di

G

abrieLa

H

einricH*

Sentiamo spesso l’espressione “nel mondo digitale” e da quest’ultimo distinguiamo il mondo reale. Per molto tempo il digitale e il reale sono infatti stati effettivamente separati. Nella vita reale analogica ci si sedeva al bar e nel frattempo si navigava brevemente in Internet per controllare l’ora-rio dell’autobus o per leggere le notizie. Tuttavia, negli ultimi anni online e offline si stanno confon-dendo molto di più rispetto a quanto vogliamo accettare noi “nativi non digitali”.

Si è sviluppato uno spazio comunicativo allargato per il quale valgono le stesse regole che vigono nel mondo analogico. Al tavolino del bar mi intrattengo ora tramite canali digitali e social con la mia amica che aspetta l’autobus in Bulgaria. Dobbiamo necessariamente prendere sul se-rio tali spazi comunicativi e percepire anche Internet come una realtà. Non c’è niente di male in questo: dal momento che per le generazioni più giovani e per quelle future tutto ciò appartiene inscindibilmente alla vita reale, non possiamo permetterci in questo frangente di rimanere indietro di decenni. Perché la mancanza di competenze mediali è il terreno di coltura dell’odio e delle teorie del complotto.

Bambini e ragazzi devono essere formati e sensibilizzati sin dall’infanzia affinché siano com-petenti nel campo dei media digitali. Ciò riguarda in primo luogo la loro sicurezza: finché si scam-biano solo battute gentili e aneddoti con gli amici digitali, va ancora tutto bene. Ma i giovani devono essere attrezzati, capaci di difendersi e agire contro il cyberbullismo e l’odio. Ad esempio, l’odio può essere combattuto tramite obiezioni forti ma oggettive. In questo modo, l’offesa e la diffamazione possono addirittura essere denunciate. Occorre, però, essere adeguatamente informati sulle moda-lità per difendersi e sulle possibimoda-lità di procedere legalmente contro le violazioni.

Gli educatori devono essere sensibilizzati affinché riconoscano tempestivamente i segni di cyberbullismo, molestie sessuali o tentativi di avvicinamento da parte di gruppi radicali. Allo stesso modo, bambini e giovani devono essere preparati anche da un punto di vista tecnico: come potreb-bero altrimenti adottare delle misure di sicurezza, ad esempio, per bloccare altri utenti al fine di proteggersi?

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PREMESSA Occorre poi sviluppare un alto livello delle competenze di cittadinanza digitale: al giorno d’og-gi appare molto complicato cogliere da soli la differenza tra notizia e opinione. In Rete circolano numerose notizie false. Salvaguardare e comprendere la libertà d’opinione diventa oggi (di nuovo) importante. Chi lo avrebbe mai detto nel XXI secolo? La libertà d’opinione non implica solo il poter esprimere apertamente la propria idea; essa, infatti, finisce esattamente dove viene compromessa la libertà o l’incolumità altrui. In questo caso è in gioco la trasmissione di valori democratici fonda-mentali. Democrazia e libertà comportano anche accettare l’opinione altrui. Spiegare il razzismo e l’odio online significa quindi chiarire perché queste forme di espressione sono antidemocratiche.

Noi, la generazione dei “nativi non digitali”, abbiamo un’enorme responsabilità nei confronti dei più giovani e dobbiamo impegnarci su questi temi. La presente Guida è per questo molto importante, perché ci aiuta a essere all’altezza di tale responsabilità.

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1. L’incitamento all’odio

tra online e offline

di

s

teFano

P

asta*

Le relazioni tra persone di gruppi di lingua, cultura e religioni diverse non sono sempre facili o idilliache. Curiosità e apertura lasciano facilmente spazio a chiusura e intolleranza. L’altro fa paura ed è ritenuto essenzialmente diverso, mentre, nella specie umana, le somiglianze sono molto più accentuate delle differenze e la varietà di culture compone un unico mosaico.

Le differenze, di diverso tipo, segnano le società avanzate. In realtà, ogni persona è in se stes-sa multiculturale e tante sono le sue appartenenze e sfaccettature identitarie; si può affermare che occorre fare i conti con lo straniero che è in ognuno di noi. Per questo il dialogo interculturale1

ri-guarda ogni società al suo interno e trova senso e necessità ancora maggiori dal progetto di vivere insieme tra italiani, nuovi italiani2 e stranieri.

L’immigrazione e i cambiamenti demografici connessi sono uno degli aspetti di questa com-plessità, non l’unico ma il più visibile a un primo impatto, spesso anche per il nome, il modo di vestirsi, il colore del volto e i tratti somatici. Lo straniero obbliga a prendere atto della diversità, ma al contempo può generare concorrenza, per esempio nell’accesso alle risorse. Nella società con-temporanea i migranti diventano dunque il simbolo della difficoltà ad accettare il nuovo: nell’ostilità verso gli sconosciuti tornano logiche tribali, in cui i migranti neoarrivati rappresentano lo straniero, l’uomo nero delle favole, il nomade contrapposto al sedentario, lo sconosciuto rispetto al noto.

Si crea così il mito di un noi contrapposto agli altri. È una visione basata su una presunta omo-geneità e armonia mai esistita, né in Italia né altrove: si pensi alla disunione di gruppi, etnie, popoli

1 Santerini M. (2017), Da stranieri a cittadini. Educazione interculturale e mondo globale, Mondadori, Milano.

2  Per “nuovi italiani” si intendono i figli degli immigrati nati e/o cresciuti nel paese di arrivo dei genitori. Si ricorda che nelle  scuole del nostro paese la maggioranza degli alunni con cittadinanza non italiana è nata in Italia (nell’a.s. 2016/17 i nati in  Italia hanno superato la quota 500.000 e sono il 60,9% del totale degli alunni “stranieri” considerando ogni ordine e grado di scuola). Santagati M., Colussi E. (2019), Alunni con background migratorio in Italia. Emergenze e traguardi. Rapporto nazionale, Fondazione Ismu, Milano.

* Stefano Pasta ha conseguito il dottorato di ricerca in Pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È

assegnista di ricerca in Didattica e Pedagogia Speciale presso il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia (CREMIT) dell’Università Cattolica di Milano. È autore della monografia “Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa  dell’odio online” (2018, Scholé-Morcelliana, Brescia). È esperto di interventi a favore della cittadinanza digitale, a contrasto  dei comportamenti scorretti nel Web e delle discriminazioni su base etnica e religiosa. Giornalista professionista, collabora con diverse testate nazionali.

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L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

della nostra storia, o alla Seconda Guerra Mondiale, ancora settantacinque anni fa, che hanno lace-rato gli italiani. Eppure, il mito rimpiange l’età dell’oro di un passato in cui eravamo tra di noi. Il Web – in piena continuità di rimandi tra online e offline – è divenuto lo spazio in cui spesso si scatena l’ostilità verso il diverso, in uno scambio comunicativo caratterizzato da un forte grado di emotività difficile da gestire.

1.1 PRE-GIUDIZIO NATURALE, PREGIUDIZIO, STEREOTIPO

Ogni persona esprime, quando incontra o si relaziona con un’altra, un pre-giudizio naturale, definibile come una pre-comprensione della realtà che nasce dalle conoscenze pregresse. Si tratta di una modalità naturale della nostra mente, una sorta di guida per evitare di ripartire da zero nei rapporti sociali che valorizza le conoscenze acquisite in precedenza; sui pre-giudizi noi orientiamo le valutazioni cognitive sui comportamenti altrui.

Nel campo socio-culturale, tuttavia, i pregiudizi possono minare la convivenza pacifica: suc-cede quando il pregiudizio ingabbia, in modo automatico e rigido, determinate persone o gruppi

con associazioni a caratteristiche non verificate3.

La parola stereotipo, invece, deriva dal lessico tipografico: indica la matrice di piombo o di altro materiale, usata per la riproduzione, che permette di ottenere, da una composizione a caratteri mobi-li, lastre di piombo fuse in un blocco unico per la stampa in piano o su macchine rotative. È qualcosa che si riproduce in modo rigido e seriale: gli stereotipi sono dunque immagini o rappresentazioni che riuniscono caratteri o tratti collegati tra loro, nella forma del cliché ripetitivo. Non sono

neces-sariamente negativi, ma tendono a diventarlo, perché permettono di favorire i membri del proprio gruppo e danneggiare gli altri.

Stereotipi e pregiudizi concorrono a organizzare il nostro modo di ragionare. In particolare, la tendenza a categorizzare le persone si basa su un meccanismo duplice: da un lato semplifica la realtà raggruppando sulla base di pregiudizi e stereotipi (economizzando il pensiero, facendo meno fatica); dall’altro aumenta le differenze tra i gruppi diversi (outgroup) e le somiglianze all’interno del proprio gruppo (ingroup). Dal punto di vista cognitivo, la categorizzazione aiuta a cogliere rapida-mente alcune informazioni, ma allo stesso tempo impedisce di andare in profondità. Intolleranza e ostilità possono nascere proprio dal vedere (valorizzando e ingrandendo) le affinità del nostro grup-po e la distanza dagli altri, soprattutto di gruppi grup-potenzialmente a rischio di elezione a bersaglio. In questo modo l’etnocentrismo, ossia la tendenza (quasi naturale) a osservare e interpretare il

mondo dal punto di vista del proprio gruppo, diventa occasione di conflitto. 3 Santerini M. (2017), cit.

Santerini M. (2003), Intercultura, La Scuola, Brescia.

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L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

1.2 LA RAZZA E LE LOGICHE DEL RAZZISMO: BIOLOGICA E

CULTURALE

Stereotipi e pregiudizi possono generare il razzismo, termine con cui si indica una teoria

gerarchica delle razze, codificata dal XIX e XX secolo, che afferma la superiorità di alcune razze sulle altre. In realtà, gli studi di genetica dimostrano che le razze non esistono e il corredo

geneti-co è differente per ogni essere umano, eccetto per i gemelli monozigoti. Storicamente i tentativi di classificare le razze umane e sottolineare le differenze sono serviti a giustificare lo sfruttamento di altri esseri umani.

Gli studi sui razzismi distinguono le logiche argomentative tra biologica e culturale, la prima associata più ai sistemi di razzismo classici (suprematismo bianco, nazifascismo, ideologia euge-nista…) e la seconda ai razzismi più recenti. La logica biologica mette in primo piano la superiorità

di alcuni gruppi rispetto ad altri, secondo una teoria della gerarchia delle razze che sostiene la

ne-cessità di preservare da qualsiasi incrocio la razza cosiddetta superiore, così come il suo diritto a dominare le altre.

Una tappa decisiva nel pensiero razzista è costituita dall’affermarsi del paradigma evoluzioni-sta darwiniano, che se da un lato chiarisce che l’origine delle razze umane è unica ed esse si sono differenziate a causa di fattori ambientali, dall’altro introduce una pretesa di valutazione secondo cui esisterebbe una gerarchia in base a una legge naturale, la selezione degli organismi migliori (il passo verso le civiltà superiori è molto breve, sebbene non scontato). Francis Galton, cugino di Darwin, propose di favorire la selezione degli organismi migliori impedendo di riprodursi a quelli che presentavano difetti4. Come altri sostenitori dell’eugenetica, era mosso da ideali progressisti e dal

desiderio di migliorare la società.

Sebbene fosse presente già in precedenza5, è dall’Ottocento che la classificazione razziale

diviene uno dei temi dominanti delle ricerche antropologiche e naturalistiche6. Pur rimanendo il

criterio di classificazione ancorato a caratteristiche fenotipiche e in particolare al colore della pelle, vi è nel corso del XIX secolo un susseguirsi di misurazioni del corpo umano e soprattutto del cervello.

Una scatola cranica di minor volume implicherebbe un’intelligenza inferiore e costumi lascivi; a dirlo non erano dottrine esplicitamente razziste, ma ricerche scientifiche che si ponevano come obiettivo la ricerca della verità e avevano pretesa di oggettività, provando la superiorità della

raz-za bianca, caucasica, specialmente rispetto a quella nera, e ponendola al vertice della gerarchia

razziale. Cesare Lombroso7 in Italia utilizzava le caratteristiche somatiche per identificare il tipo

4 Galton F. (1869), Hereditary Genius. An Inquiry into Its Laws and Competence, Macmillan, London. 5 Petrosino D. (1999), Razzismi, Mondadori, Milano.

6 Tra i classici su questo tema si veda l’Essai sur l’inégalité des races humaines di Joseph Arthur de Gobineau (1853). 7 Lombroso C. (1876), L’uomo delinquente, Hoepli, Milano.

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L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

del criminale e perfino il tipo territoriale, aprendo la strada a forme di razzismo antimeridionale e all’antigitanismo (il razzismo contro i rom)8.

L’argomento biologico raggiunge il culmine nel periodo tra le due guerre fino alla Shoah,

quando con il nazifascismo la divisione in razze diviene lo strumento di organizzazione della socie-tà e di oppressione, unendo un’ideologia propriamente razzista a un programma politico di dominio (razzialismo). In Europa, l’Italia ebbe un ruolo decisivo nella produzione accademica razzista in quel periodo, che nel regime fascista si tradusse in normative razziste, fino alle Leggi razziali del 1938 (dovremmo chiederci perché sono chiamiate razziali e non razziste); a titolo di esempio, si possono citare due testi: “Il Fascismo e i problemi della razza”, pubblicato da Il Giornale d’Italia il 14 luglio 1938, e il “Manifesto degli scienziati razzisti”, pubblicato da La difesa della razza il 5 agosto 1938.

La sconfitta dell’ideologia nazifascista, la presa di consapevolezza del dramma della Shoah e le lotte di indipendenza delle colonie portarono poi, nel secondo Novecento, alla marginalizzazione, almeno in ambito accademico-scientifico e nel discorso pubblico, dei fondamenti genetici e biologi-ci della categoria razza. Tali saperi razzisti, tuttavia, si erano radicati nel “senso comune” dei popoli. Il discorso sulle differenze che è alla base dell’argomentazione culturale, a differenza di quella biologica, enfatizza una cosiddetta incompatibilità dei modi di vita e delle tradizioni9. Sconfitto sul piano intellettuale, il pregiudizio perdura su quello emozionale: era un’osservazione di Gordon Allport

nel 195410, quando indicava un razzismo che non si esprimeva necessariamente in forme razionali,

ma come un sentire ostile, un odio sordo e implicito ma non meno pericoloso.

Il razzismo culturale è detto anche senza razze, o differenzialista, poiché non sottolinea

tanto l’inferiorità dell’altro ma piuttosto la sua irriducibile diversità, da cui conseguirebbe l’impossi-bilità della convivenza. Il discorso si concentra non più sui connotati naturali, ma sulla cultura, sulla

lingua, sulla religione, sulle tradizioni e sulle usanze, fattori che vengono indicati come minaccia all’omogeneità nazionale e utilizzati per mettere in gerarchia le appartenenze socio-culturali.

Così, non ci si dichiara più razzisti, nel senso che si respinge (o non si evoca) l’idea di una superiorità biologica degli uni sugli altri. Però (e nel “però”, nel “non sono razzista ma”, si nasconde il razzista contemporaneo) si afferma l’inferiorità culturale di singoli e gruppi. Queste forme di

neo-razzismo sono spesso rivolte verso gli immigrati: vengono accusati di non integrarsi, quando

sono vittime di processi di esclusione, oppure si indica la diversità culturale come la fonte di una irriducibile distanza, mentre è l’incapacità del dialogo a costringere a un ripiegamento identitario.

In questo processo non va dimenticata anche la dimensione economica, che fa percepire i gruppi minoritari come capro espiatorio della propria insoddisfazione: accentuando la povertà

8 Sull’antigitanismo si veda www.romsintimemory.it, realizzato dal Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università

Cattolica e dall’USC Shoah Foundation Institute.

9  Balibar E. (1989), Racism as universalism, “New Political Science”, 8(1-2), pp. 9-22.

10 Allport G.W. (1954), The Nature of Prejudice, Addison-Wesley, Reading 1954; trad.it. (1973), La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze.

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L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE dell’immigrato, la sua mancanza di mezzi, si afferma che possa nuocere agli abitanti del paese d’accoglienza e, soprattutto, si alimentano la concorrenza tra gruppi per le risorse e l’idea che alcuni abbiano dei privilegi, rendendo più insensibili verso le discriminazioni.

Infine, dopo aver delineato le due logiche secondo una visione biologica o di tipo culturale, occorre chiarire che non esistono due forme di razzismo, bensì due logiche distinte, di

gerarchizza-zione l’una e di differenziagerarchizza-zione l’altra, compresenti nelle esperienze di razzismo (dove comunque

l’una può essere prioritaria). Con Balibar11 va infatti ricordato che “la cultura può anch’essa

funzio-nare come natura” quando è assunta come dato originario, immutabile, capace di determifunzio-nare gli in-dividui e i gruppi con la stessa forza che era attribuita alla razza. Per questo Milena Santerini12 pone

alla base dell’approccio interculturale, anche in ottica di contrasto ai razzismi, un’idea di cultura soggettiva, dinamica, negoziabile e che cambia attraverso gli incontri con gli altri.

La piramide dell’odio

Figura: Piramide dell’odio tratta dalla

Rela-zione finale della Commissione Jo Cox,

di-sponibile online all’indirizzo

www.came-ra.it/leg17/1313.

Genocidi, stermini, soluzioni finali

sono l’esito di processi che nascono da pregiudizi e conflitti apparente-mente naturali. La Piramide dell’odio ( Cfr. Scheda didattica pag. 55) spiega che l’elezione a gruppo ber-saglio è un processo graduale che si svolge lungo una scala di compor-tamenti: comincia con insulti, deri-sioni, minacce verbali, linguaggio d’odio. Può procedere in discrimina-zioni, poi in violenza fisica e persecuzione, fino ai crimini d’odio o addirittura ai genocidi.

Nella storia gli stadi più elevati dell’odio, ossia le violenze di massa, emergono quando le isti-tuzioni si fanno portatrici del razzismo di Stato: è il passaggio che Wieviorka (1993) indica da un

infrarazzismo disarticolato a gesti più marcati ed espliciti, sino al razzismo politico o totale13.

11 Ibidem.

12 Santerini M. (2003), cit.

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L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

In questa prospettiva si può comprendere in che modo società civili abbiano generato eventi storici come la Shoah14.

LA DIDATTICA DELLA STORIA DEVE DUNQUE FAR EMERGERE I MECCANISMI CHE SOTTOSTANNO AI PROCESSI, MOSTRANDO I TRE ELEMENTI, COLLEGATI TRA LORO, ALLA BASE DEL RAZZISMO MANIFESTO15: LA MESSA IN EVIDENZA E LA CATEGORIZZAZIONE

DELLE DIFFERENZE, LA LORO ORGANIZZAZIONE GERARCHICA E L’USO DELLA DIFFERENZA PER DISCRIMINARE E TRARRE PROFITTO.

La Risorsa

La guida multimediale Giving memory a future. Rom e sinti in Italia e nel mondo

racconta il Porrajmos (il genocidio nazifascista dei rom e sinti durante la Seconda guerra mondiale) e l’antigitanismo (il razzismo specifico verso i rom e sinti) con l’attenzione didattica a evidenziare i meccanismi di elezione a gruppo bersaglio.

È consultabile in italiano e in inglese sul sito www.romsintimemory.it.

1.3 IL WEB E IL RITORNO DELLA RAZZA 2.0

Nella società attuale si assiste al preoccupante emergere di forme di razzismo, anche espli-cito, come si evince dalla Relazione finale della Commissione Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il

razzismo e i fenomeni di odio del Parlamento italiano16, che ha preso il nome dalla deputata inglese

uccisa nel 2016 da un militante xenofobo e razzista, in quanto la politica sosteneva la permanen-za del Regno Unito nell’Unione Europea. Il razzismo scientifico non è scomparso, seppur sia stato screditato, perseguito penalmente nelle società europee e oggetto di riprovazione sociale; gruppi estremisti continuano a ispirarsi a teorie razziste e antisemite. Forme di neorazzismi più blandi e banalizzati diffondono idee di separazione e d’odio, soprattutto online.

Nelle forme di odio e razzismo nel Web, con piena continuità di rimandi tra online e offline, si assiste a manifestazioni di razzismo esplicito banalizzato. Si rileva un ritorno della razza (non occorre più premettere “non sono razzista ma…”) su basi nuove: non scientifiche, ma svuotate di senso e per questo accettate17. È l’accostamento virale di una persona di pelle nera a una scimmia

o a una banana, l’immagine dell’ebreo con i tratti tipici dell’antisemitismo che appare in diversi contesti culturali, l’insulto razzista per nulla velato, l’invocazione dello sterminio per i rom o delle bottiglie molotov verso un centro profughi. L’accostamento, motivato da un elemento biologico, tra una persona nera e una scimmia – non più condannato, agito in diversi contesti, anche da 14 Santerini M. (2003), cit.

15 Memmi A. (1994), Le racisme, Gallimard, Paris; trad.it (1994), Il razzismo. Paura dell’altro e diritti della differenza, Costa & Nolan, Genova.

16 Camera dei Deputati, La piramide dell’odio. Relazione finale della “Commissione Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo

e i fenomeni di odio”, 2017, disponibile online all’indirizzo www.camera.it/leg17/1313.

(19)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE personaggi con ruoli pubblici – è emblematico di questo ritorno della razza. Dopo il razzismo senza razze, siamo allora di fronte a quello che potremmo definire razzismo con razze senza

credibilità: gli autori dell’accostamento non credono veramente che le persone africane abbiano

le sembianze di una scimmia; la poca raffinatezza dottrinale si compensa con la violenza resa facile dalle modalità comunicative digitali. Eppure, si sta così utilizzando – in un processo di normalizzazione – un concetto di razza sconfitto dalla scienza, ma accettato socialmente dalla nostra cultura popolare, dal senso comune, e che quindi affiora nella coscienza collettiva senza bisogno di credibilità.

Le intenzionalità di chi partecipa a questo processo di banalizzazione e normalizzazione sono diverse, così come le manifestazioni sono differenti. Vi sono gruppi che si rifanno esplicitamente a ideologie d’odio, ma molti che in Rete partecipano a performance razziste (con un like, una condivi-sione oppure essendone gli autori in prima persona), quando si apre con loro un dialogo, affermano di “aver solo fatto una battuta”, che “si stava scherzando”18. Emerge dunque come la Rete e le

mo-dalità comunicative dei social network favoriscano comportamenti poco responsabili, poco attenti alle conseguenze delle azioni.

1.4 HATE SPEECH, L’ODIO CHE UNISCE GLI -ISMI

Di recente, soprattutto quando è coinvolto l’ambiente digitale, si parla di odio per indicare fe-nomeni di elezione di una collettività a gruppo bersaglio, dagli stranieri alle donne, dai disabili ai rom, oppure anche di singoli. Si utilizza dunque questo termine per indicare un’avversione e una distanza aggressiva verso chi è percepito come diverso.

Il termine hate speech indica il “discorso d’odio”, che include non solo le parole ma tutte le modalità di comunicazione offerte dal Web 2.019. L’hate speech è “comprensivo di tutte le forme

di espressione miranti a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xeno-fobia, l’antisemitismo o altre forme di odio fondate sull’intolleranza, tra cui l’intolleranza espressa

sotto forma di nazionalismo aggressivo e di etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità nei con-fronti delle minoranze, dei migranti e delle persone di origine immigrata”20.

Gli hate speech consistono in un’intensa ed estrema espressione di avversione, rifiuto, ripu-gnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno. La categoria dell’odio è utile per indicare che la ga-lassia degli “anti”, degli “ismi”, delle “fobie” è molto ampia e le forme specifiche al suo interno sono le più varie, a seconda del gruppo bersaglio.

18 Ibidem.

19 Per Web 2.0 s’intende la fase del Web, successiva a quella 1.0, caratterizzata dalla possibilità degli utenti di interagire e modificare i contenuti delle pagine online, in particolare con l’affermarsi dei social network.

(20)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

La Commissione Jo Cox della Camera ha indicato come principali ambiti: l’odio riferito a

moti-vi di sesso, genere e orientamento sessuale (sessismo, omofobia), motimoti-vi etnico-razziali (razzismo

e discriminazione razziale, xenofobia, antigitanismo), motivi religiosi (antisemitismo, islamofobia, cristianofobia), motivi di fragilità (stereotipi negativi e discorsi d’odio contro le persone con disabili-tà, bullismo). Del resto, laddove vi sia linguaggio o pensiero contro un gruppo target, è terreno fertile per altre forme di odio: in una conversazione xenofoba, ad esempio, sarà facile trovare espressioni sessiste.

La Risorsa

Il Consiglio d’Europa ha promosso il No Hate Speech Movement, una campagna

giovanile per contrastare l’istigazione all’odio e promuovere i diritti umani online. Sito: www.coe.int/en/web/no-hate-campaign; Facebook: @nohatespeech.

Il Dato

Dal “Barometro dell’odio – Elezioni europee 2019” di Amnesty International, realizzato monitorando i profili Facebook e Twitter dei candidati ai seggi italiani presso il Parlamento europeo, risulta che rom è il tema che ha scatenato il maggior numero di polemiche sui social, con l’80% di contenuti negativi. Al secondo posto è confermato immigrazione, col 77% di contenuti negativi, mentre a seguire troviamo donne col 76%, che fa scendere minoranze religiose (75%) e solidarietà (66%). A spostare l’asticella dell’odio verso le donne sono gli utenti generici, con il 78% dei commenti negativi, incidenza che crolla al 23% nel caso dei candidati.

1.5 LA RISPOSTA DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE

Occorre orientare le strategie educative a contrastare gli atteggiamenti ostili verso tutti i grup-pi. Lottare contro il razzismo in generale vuol dire anche contrastare l’islamofobia, l’antigitanismo, l’antisemitismo e, pur su basi diverse, il sessismo, l’omofobia, etc. Affrontare insieme i razzismi non significa negare le specificità delle singole forme di odio, ma individuare i meccanismi che sono alla base dell’elezione a bersaglio anche da parte di altre forme di discriminazioni.

Una prima competenza necessaria a educatori e insegnanti dovrebbe essere saper

riconosce-re i diversi tipi di razzismo al fine di orientariconosce-re la pratica educativa21:

il razzismo ideologico si presenta strutturato con argomenti di tipo biologico-scientifico che, pur non essendo validi, strutturano le presunte razze in gerarchia, affermando la superiorità delle une sulle altre;

il razzismo di circostanza riguarda gli atti e i discorsi spontanei espressi in determinate

(21)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE zioni conflittuali: in questo caso non funziona un approccio cognitivo-razionale, che può essere attuato nel caso precedente, ma occorre il confronto tra le diverse posizioni degli attori. Taluni insulti di questo tipo sono estemporanei e non dettati da un pregiudizio ideologico radicato: non vanno sottovalutati, considerandoli scherzi o battute, ma vanno affrontati seriamente calandoli nel contesto;

il razzismo di provocazione è spesso, appunto, una reazione da parte di personalità fragili a si-tuazioni in cui l’autore pensa di essere vittima, come quando si accusa di essere colpiti da tratta-menti penalizzanti a causa di immigrati o minoranze;

il razzismo di opposizione, infine, contrappone gruppi, richiamando tensioni già esistenti e sem-plificando la realtà, appoggiandosi a visioni politiche precedentemente costruite e interiorizzate. È il caso, ad esempio, del cosiddetto “antisemitismo magrebino”, legato alla trasposizione di un fatto globale (il conflitto in Palestina) in un contesto locale.

Di fronte a forme di odio esplicito, nel digitale emerge, in modo trasversale, una pretesa “di non essere presi sul serio”, quasi che l’ambiente (il Web) giustifichi e permetta un atteggiamento deresponsabilizzato. Emerge dunque come l’educazione interculturale debba essere ibridata da una

media education o basata sulla promozione del pensiero critico e sull’educazione alla responsabi-lità, ossia al saper valutare le conseguenze delle proprie azioni di contro-narrazione, di cui la Rete è

comunque ricca22.

A forme di odio e razzismo molto diverse serve una risposta interculturale, che ponga in rela-zione persone che nutrono reciprocamente diffidenza, pregiudizio e ostilità. Milena Santerini23

ricor-da che occorrono strategie miste, che considerino sia il livello cognitivo sia il livello socio-affettivo, improntate non solo alla conoscenza e ad argomenti razionali, ma anche al contatto e ai fattori relazionali. Parlando di immigrazione, occorre ad esempio conoscere i dati reali e non stereotipati, ma al contempo sarebbe opportuno promuovere attività che incentivino il contatto tra immigrati e autoctoni, favorendo l’esperienza dell’incontro. Tali contatti hanno efficacia se avvengono all’interno di un progetto che fissa obiettivi comuni. Creare empatia (online come offline), attraverso l’incontro

con storie personali che permettano di mettersi nei panni degli altri, è importante perché genera una

forma particolare di contatto.

22 Pasta S. (2018), cit. 23 Santerini M. (2017), cit.

(22)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

Educazione antirazzista

Monique Eckmann e Myriam Eser Davolio24 così definiscono un’educazione antirazzista basata

sulla consapevolezza della complessità:

• partire dalla realtà dei conflitti, delle resistenze e del diniego;

• evitare di essenzializzare le posizioni, fissando in modo rigido la posizione delle vittime e degli au-tori di atti razzisti;

• suscitare il dibattito, il confronto, il dubbio, l’ambivalenza;

• tener conto che tutte le parti vogliono essere riconosciute come vittime; • ascoltare, rinunciando talvolta ad argomentare;

• contestualizzare le esperienze; • far scoprire nuove prospettive;

• porre domande piuttosto che soluzioni o ricette.

1.6 IL COMPLOTTISMO, LE FAKE NEWS E LA POSTVERITÀ

L’odio, specialmente online, viene talvolta suscitato dal fascino del complottismo e dalla dif-fusione di notizie che svelerebbero altre verità rispetto a quella ufficiale. A volte si tratta di storie ridicole (per esempio chi nega lo sbarco sulla Luna o l’attentato alle Torri Gemelle), ma spesso favo-riscono il razzismo, poiché l’idea del complotto suscita sentimenti contro un nemico comune.

EDUCARE CONTRO LA MENTALITÀ COSPIRATORIA SIGNIFICA METTERE IN GUARDIA DAL PENSIERO MAGICO, CHE ATTRIBUISCE LE CAUSE DEGLI EVENTI A FENOMENI INDISTINTI ED EVITA DI COMPIERE ANALISI RAZIONALI DELL’ACCADUTO.

Per lo psicologo Rob Brotherton25 la tendenza al pregiudizio è una propensione cognitiva

del-la mentalità cospiratoria: basandosi su poche idee il complottista unisce i singoli eventi separati, indicando una qualche autorità misteriosa che complotta contro i buoni con meno potere, ma che risulteranno vincitori. Si tratta di un archetipo mitico, tipico di storie che fanno presa sull’emotività, saltando i passaggi razionali e il pensiero critico.

Internet facilita la propagazione della mentalità cospiratoria per la vastità di informazioni con-fuse e non accertate, propagate in modo orizzontale e senza verifica delle fonti.

24 Eckmann M., Eser Davolio M. (2002), Pédagogie de l’antiracisme. Aspects théoriques et supports pratiques, Editions Ies, Genève;  trad. it. (2009), Educare al confronto. Antirazzismo, Giampiero Casagrande, Lugano.

(23)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE Questo l’iter che trova nei social network una particolare cassa di risonanza26:

si diffonde una notizia che genera sgomento e rabbia contro un obiettivo singolo o individuale, rivelando magari un complotto;

inizia il dibattito sui social media, con una polarizzazione delle opinioni;

viene fornita una rettifica della notizia iniziale, oppure emergono elementi chiarificatori che ne ridimensionano la portata;

l’interesse dell’opinione pubblica diminuisce;

si perpetua, anche nel lungo periodo, la versione sensazionalistica o complottistica, dando

l’im-pressione che la rettifica non sia stata diffusa in maniera sufficiente.

Oltre alle teorie complottistiche, è questo il modo in cui si diffondono, soprattutto nei social network, le fake news (o bufale), termine con cui ci si riferisce, genericamente, a notizie false che sono solitamente mirate a generare disinformazione su temi di grande discussione pubblica, talvolta poste in circolazione da profili istituzionali27. L’obiettivo non è solo convincere, ma basta confondere,

creare confusione, minare la fiducia nelle fonti ufficiali.

Le fake news non sono una novità dell’ambiente digitale, ma acquisiscono una particolare rilevanza nella società della postverità, ossia segnata da un tipo di comunicazione in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle

con-vinzioni personali pregresse. La postverità è connessa alla moltiplicazione dei media e alla

perso-nalizzazione incentivata dai social: più che negare la verità, la moltiplica e la privatizza. Le verità diventano così tante quanto i soggetti che vogliono enunciarle, in un regime discorsivo in cui tante verità convivono senza gerarchie.

La Risorsa

Il Decalogo Basta Bufale del MIUR è disponibile all’indirizzo www.miur.gov.it/-/ scuola-boldrini-e-fedeli-presentano-decalogo-anti-bufale-il-progetto-riguardera-4-2-milioni-di-ragazzi

26  Gheno V., Mastroianni B. (2018), Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Longanesi, Milano. 27 Ziccardi G. (2019), Tecnologie per il potere. Come usare i social network in politica, Raffaello Cortina, Milano.

(24)

L’INCITAMENTO ALL’ODIO TRA ONLINE E OFFLINE

Le parole per ferire

Per contrastare l’odio occorre riflettere sul ruolo del linguaggio: essere padroni delle parole ci rende capaci di comprendere il mondo, di esprimere chi siamo, di capirci; significa quindi vivere in maniera libera, completa e consapevole, la nostra cittadinanza nella società della comunicazione.

Secondo Aaron Peckham28, le hate words (parole d’odio) sono termini che provocano dolore perché

sono dispregiativi per natura. Sono le parole peggiori che si possano usare, soprattutto se si appar-tiene a un gruppo che esercita il potere su un altro che costituisce una minoranza o che ha alle spalle una lunga storia di discriminazione (gli eterosessuali lo esercitano sugli omosessuali, i bianchi sui neri, gli uomini sulle donne, le persone cosiddette normali sulle persone con disabilità…).

Nel catalogo Parole per ferire del linguista Tullio De Mauro (2016), scritto per la Commissione Jo Cox del Parlamento, si sottolinea il ruolo non solo delle parole di odio, ma anche di parole pre-valentemente neutre che, tuttavia, presentano accezioni spregiative e diventano insulti per ferire. Nel concreto, qualsiasi parola e frase, del tutto neutra in sé, in circostanze particolari può essere adoperata con questo scopo.

La Risorsa 1

“Parole per ferire” (2016) di Tullio De Mauro, in Commissione “Jo Cox”

sull’in-tolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni d’odio pp. 23-37, disponibile online all’indirizzo

www.camera.it/leg17/1313.

La Risorsa 2

Per approfondire l’uso del genere grammaticale, si vedano le Linee guida na-zionali (art. 1 comma 16 legge n. 107/2015) del MIUR Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la

prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione (2017), pp. 7-10,

disponibi-le online all’indirizzo www.miur.gov.it/documents/20182/0/Linee+guida+Comma16+finale.pdf/ c1dd73b7-e8dc-4486-87d8-9969db64f01a?version=1.0.

28 Aaron Peckham era uno studente di informatica nel 1999 quando ha lanciato il sito Urban dictionary: fularious street slang

(25)

2. Il Web è realtà (aumentata)

di

s

teFano

P

asta

2.1 SUPERARE DUE WEB-MITOLOGIE

Quando pensiamo al Web, ci sono alcune immagini radicate nel senso comune che ne alterano la rappresentazione e possono indurre un atteggiamento deresponsabilizzato. Si tratta di interpreta-zioni superficiali che, se ci poniamo in condizione di attenzione cognitiva, smentiamo facilmente ma che, una volta introiettate veicolano false letture.

Occorre innanzitutto sfatare due mitologie sul Web: la contrapposizione tra reale e virtuale e l’idea dei “nativi digitali”29.

Oltre il paradigma geografico: il digitale è reale?

Nel linguaggio quotidiano contrapponiamo il reale al virtuale, veicolando l’idea che lo spazio digitale, altro rispetto al reale, sia qualcosa di diverso dal reale, un po’ meno vero, e che questo per-metta dunque un atteggiamento meno attento alle conseguenze delle nostre azioni. Al contrario, la vita di ogni giorno smentisce questa contrapposizione: per esempio sale il numero di matrimoni di persone conosciutesi online, gli insulti ricevuti nei social possono portare fino alla tragica conse-guenza di togliersi la vita (cosa c’è di più reale?), le comunicazioni tra compagni di classe continuano nell’orario extrascolastico nei gruppi di WhatsApp, etc. Insomma, il Web non è un luogo altro rispetto al reale (paradigma geografico), ma va inteso come realtà aumentata, come uno spazio non con-trapposto al reale, segnato da proprie specificità ma anche da rimandi e piene continuità tra online e offline. Quello che agiamo nel Web è dunque reale.

Siamo dunque esseri umani definitivamente connessi, in una dimensione in cui offline e online non sono due dimensioni distinte ma si compenetrano: onlife, secondo l’efficace espressione di Luciano Floridi30.

29 Rivoltella P.C. (2012), Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina, Milano. 30 Floridi L. (2017), La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffello Cortina, Milano.

(26)

IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA)

Il caso dei banglatour: la piena continuità tra online e offline

“Il banglatour è quando finisci in bellezza una serata con gli amici facendoti un bengalino, nel senso che ne sceglievamo uno e lo pestavamo”. Così un ragazzo spiegava le azioni di squadrismo razzista che, insieme al suo gruppo di amici, prendevano di mira giovani bengalesi a partire dal 2012 nelle zone di Roma Tuscolano, Torpignattara, Casilino, Prenestino. Quelle botte fisiche reiterate erano nate e organizzate in gruppi Facebook. Le prime forme di organizzazione avvenivano in social legati ai quartieri dei giovani. Secondo i Carabinieri del Ros che hanno indagato sulla vicenda, i minoren-ni “veminoren-nivano avvicinati all’ideologia estremista, xenofoba e razzista e reclutati quali picchiatori del banglatour”; l’odio razzista veniva promosso da alcuni militanti di estrema destra, che contattava-no privatamente i giovani e incitavacontattava-no con “bravo camerata” quando mostravacontattava-no apprezzamenti a frasi inneggianti l’odio per gli stranieri; “l’attenzione del gruppo – ricostruirono gli inquirenti – si concentrava sull’attività di indottrinamento dei giovani sin dall’età adolescenziale, al fine di meglio coinvolgerli in una devota condivisione di intenti ai quali ispirare la propria militanza e la propria vita”. Dall’online all’offline si agisce in piena continuità: “Dai andiamoci a fare un bengalino”, si dice nel gruppo social e ci si organizza, salendo tutti insieme in una macchina dove l’unico maggiorenne è colui che guida; si sceglie il quartiere dove andare a fare il raid e una volta individuato il soggetto, si passa all’azione. Un massacro che “ti scarica i nervi e la tensione”, racconterà poi uno degli autori31.

Non si nasce “nativi digitali”, si può diventare “cittadini digitali”

L’americano Marc Prensky è noto al grande pubblico per aver lanciato nel 2001 la fortunata espressione nativi digitali, indicando una presunta analogia tra l’apprendimento della lingua materna e il mondo digitale: secondo questa retorica i bambini svilupperebbero una particolare dimestichez-za con le tecnologie non condivisibile dall’adulto (immigrato digitale), che al contrario potrebbe rag-giungerne una buona padronanza ma mai un legame paragonabile a quello dei nativi. Questa lettura rovescia il rapporto di simmetria tra chi educa e chi è educato: per gli adulti diventa quasi un alibi per non diventarne parte e questo giustifica un atteggiamento defilato.

In realtà, la metafora aprì un lungo dibattito, che portò lo stesso Prensky nel 2011 a ripensare alla vera differenza non più su un piano generazionale tra nativi e immigrati, ma tra il saggio digitale (smart) e lo stupido digitale (cyberstupid, in inglese stupidity ha l’accezione di superficiale). Il punto non è quindi anagrafico, non basta nascere in un ambiente multischermo per essere un cittadino

di-gitale, ma riguarda le competenze di cittadinanza da acquisire attraverso l’educazione: non si tratta

di una seconda cittadinanza, ma di una qualifica del cittadino che abita la società informazionale32.

31 Lunaria (ed.) (2017), Cronache di ordinario razzismo. Quarto Libro bianco sul razzismo in Italia, Roma.

32 Prensky M. R. (2012), From Digital Natives to Digital Wisdom: Hopeful Essays for 21st Century Learning, Corwin Press, Thousand Oaks; trad.it (2015). La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Edizioni Erickson, Gardolo (TN).

(27)

IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA) La competenza digitale non è dunque (solo) l’abilità tecnica (accendere la Lim, utilizzare un programma, una app, etc.), ma è soprattutto la capacità di stare nel digitale con senso civico e democratico (riconoscere una fake news, selezionare i risultati di una ricerca su Google, comunicare un’opinione divergente senza incitare all’odio…). Occorre dunque passare dall’idea di (innati) nativi

digitali a cittadini digitali (l’obiettivo a cui tendere).

Lo spettro di comportamenti della cyberstupidity

Il ripensamento proposto da Prensky nel 2011 introduce il termine cyberstupidity per indicare quei comportamenti che hanno alla base un’idea sbagliata della cittadinanza digitale, dovuta all’in-tenzione (ci si prefigge di fare del male a qualcuno), all’ignoranza (non si valutano le conseguenze dei propri atti) e alla superficialità (la pretesa di non essere presi sul serio). Si accompagnano alla cyberstupidity l’assenza di senso critico e di responsabilità, intesa come valutazione delle con-seguenze delle proprie azioni.

Nello spettro della cyberstupidity rientrano comportamenti diversi: alcune forme di hate speech, di cyberbullismo, il sexting (scambio di testi, immagini e video dai contenuti espliciti di carattere sessuale attraverso i media digitali), il bodyshaming (l’atto di prendere di mira o criticare in maniera denigrante una persona per la sua forma fisica), lo spamming (invio massiccio e indiscriminato di messaggi di posta elettronica).

Web, ragazzi e rischi: i dati EU Kids Online

Riportiamo alcuni dati sui consumi mediali italiani tratti dall’indagine EU Kids Online33.

Usi

Lo smartphone è il principale strumento con cui i ragazzi accedono a Internet, usato quo-tidianamente per andare online dal 97% dei ragazzi di 15-17 anni e dal 51% dei bambini di 9-10 anni.

L’accesso da smartphone dilata le coordinate spazio-temporali: l’88% dei ragazzi italiani di 9-17 anni usa Internet a casa ogni giorno, il 44% usa Internet quotidianamente quando è in giro per an-dare da qualche parte (per strada, sui mezzi pubblici, etc.), il 42% mentre è fuori per conto proprio. Cresce il numero di ragazzi di 9-17 anni che usa Internet tutti i giorni a scuola (26%), soprattutto fra gli adolescenti di 15-17 anni (49%).

Il 37% (ma la metà degli adolescenti) usa Internet quotidianamente per fare i compiti a casa. 33 Mascheroni G., Ólafsson K. (2018), Accesso, usi, rischi e opportunità di internet per i ragazzi italiani. I risultati di EU Kids Online

2017, EU Kids Online e OssCom, disponibile online all’indirizzo http://www.lse.ac.uk/media-and-communications/assets/ documents/research/eu-kids-online/reports/EU-Kids-Online-Italy-report-06-2018.pdf.

(28)

IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA) Rischi

Cresce il numero di ragazzi e ragazze di 9-17 anni che ha fatto qualche esperienza su Internet che li ha turbati o fatti sentire a disagio (13%): fra i bambini di 9-10 anni passa dal 3% del 2013 al 13% del 2017.

Fra i rischi continuano a crescere i contenuti inappropriati (soprattutto quelli legati all’ostilità e al razzismo), l’hate speech, l’esposizione a contenuti pornografici e il sexting; di fronte ai contenuti di odio, i sentimenti più comuni fra i ragazzi sono tristezza, disprezzo, rabbia e vergogna, ma il 58% afferma di non aver fatto nulla.

L’esposizione a Negative User-Generated Content (NUGC; contenuti negativi generati dagli utenti) continua a essere il rischio più diffuso, di cui ha fatto esperienza il 51% dei ragazzi di 11-17 anni. I ragazzi hanno visto: immagini violente o cruente (come persone che fanno del male ad altre persone o ad animali) (36%); siti o discussioni che promuovono il razzismo e la discriminazione per colore della pelle, nazionalità, religione o orientamento sessuale (33%); siti dove si discute di autolesionismo (22%), di anoressia e bulimia (21%).

Rispetto all’uso eccessivo di Internet, il 16% ha avuto litigi con i familiari o gli amici almeno una

volta al mese a causa del tempo che trascorreva su Internet; il 10% ha provato senza successo a trascorrere meno tempo su Internet.

Le risposte ai rischi

Il 25% dei ragazzi di 9-17 anni non ha parlato con nessuno delle esperienze su Internet che lo hanno turbato o fatto sentire a disagio.

Gli amici (47%) e i genitori (38%) sono le principali fonti di sostegno a cui si rivolgono nel caso di

esperienze negative.

Ancora alto il numero di ragazzi che adottano risposte passive ai rischi di Internet, come ignorare il problema e sperare che si risolva da solo (35%) o chiudere la pagina web o l’app (27%).

Il 22% di chi ha avuto un’esperienza negativa su Internet ha reagito bloccando un contatto sui social network. Solo il 10% ha modificato le proprie impostazioni di privacy in seguito a un’e-sperienza negativa e solo il 2% ha segnalato contenuti o contatti inappropriati ai gestori delle piattaforme.

(29)

IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA)

Come riconoscere, capire e affrontare l’hate speech?

(di Paola Barretta, Associazione Carta di Roma)

Nelle Linee Guida per l’applicazione della Carta di Roma34 sono riportati i seguenti indicatori

ritenu-ti uritenu-tili per conoscere e capire l’hate speech:

1. La posizione di chi parla. Tanto più è autorevole e importante quanto più grave è l’effetto del

messaggio.

2. L’audience. Tanto è più vasta la platea di ascoltatori, tanto più ampia è la diffusione del messaggio. 3. Le caratteristiche del discorso. Quali sono i contenuti del messaggio di odio? Chi sono i

desti-natari? Vi è un singolo e specifico destinatario o un gruppo/comunità di persone?

4. Il contesto storico-sociale. I messaggi vengono veicolati in contesti precisi: in alcuni momenti

storici e in alcuni paesi, dichiarazioni di odio possono legittimare comportamenti violenti e di-ventare crimini di odio (quanto avvenuto in Ruanda ne è un esempio: è il primo caso di discorso di odio riconosciuto dal Tribunale dei Diritti dell’Uomo nel 2003 con il nome “Machete case”).

5. I media che lo veicolano. Anche in questo caso, tanto è maggiore la diffusione del tipo di media,

tanto più ampia potrà essere la diffusione del messaggio di odio. Ed è la differenza, per esempio, tra la diffusione di un contenuto di odio in una chat di WhatsApp e quella in una pagina di Face-book con milioni di followers.

Questi indicatori sono utili per identificare la portata del messaggio di hate speech.

Una volta accertato un contenuto di istigazione all’odio, insegnanti e operatori possono invitare i più giovani a seguire i prossimi passi che suggeriamo.

Cosa fare se un contenuto online istiga all’odio?

• informare insegnanti, operatori e adulti di riferimento in caso di visione di un messaggio che vei-cola contenuti di odio;

• analizzare le caratteristiche del messaggio, anche con l’aiuto degli adulti;

• segnalare i messaggi e/o i commenti che veicolano il messaggio, a seconda del media utilizzato: AgCom per contenuti audio-visivi, Facebook, Instagram, WhatsApp per le relative piattaforme, Polizia Postale per altri contenuti online o messaggi telefonici, Ordine dei Giornalisti, quotidiani online e testate con responsabilità editoriale per la stampa, Associazione Carta di Roma per le violazioni in ambito etnico/razziale.

Come segnalare l’hate speech online?

Nei social è possibile per l’utente segnalare direttamente con un clic il commento denigratorio e

offensivo. Il modo migliore per segnalare post o persone che non rispettano gli standard della comu-nità di Facebook è usare il link “segnala” visualizzato accanto al post stesso (che si tratti di una foto, un messaggio, un post o altro).

Una volta avviata la segnalazione, è importante confrontarsi su come far sentire la propria voce, sia per stare dalla parte della vittima che, al contempo, per condannare il messaggio di odio. Si può decidere di prendere una posizione comune, come gruppo classe (o come scuola) proprio per far emergere quella che spesso viene percepita come posizione di minoranza.

34 Le Linee guida per l’applicazione della Carta di Roma sono consultabili online all’indirizzo

(30)

IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA)

2.2 LE CARATTERISTICHE DEL DIGITALE CHE FACILITANO

LA PROPAGAZIONE DELL’ODIO ONLINE

La velocità 2.0

Gli studi sui processi decisionali hanno mostrato come la mente umana sia caratterizzata da due processi di pensiero ben distinti: quello veloce e intuitivo (sistema 1), che presiede l’attività cognitiva automatica e involontaria, e quello più lento ma più logico e riflessivo (sistema 2), che entra in azione quando dobbiamo svolgere compiti che richiedono concentrazione e autocontrollo. Secondo lo psicologo Daniel Kahneman35, la velocità è nemica dell’agire razionale. L’ambiente

digi-tale, soprattutto i social network, tra mi piace, domande incalzanti, condivisioni e video virali, induce a cliccare in velocità. Si pensi al sovraccarico informativo determinato dallo scorrere delle notifiche (le condivisioni dei profili seguiti) su Facebook (news feed), la cui produzione supera quelle che si riescono a leggere.

Ognuno tende a pensarsi molto più razionale di quello che è realmente: in realtà la maggior parte delle decisioni è presa seguendo il sistema veloce. È un meccanismo di difesa al sovraccarico informativo che la nostra mente agisce per non impazzire. Questo vale online quanto offline, ma

nell’ambiente digitale aumentano le decisioni prese seguendo il pensiero veloce rispetto a quello lento, a scapito dunque della riflessività. Tale tendenza modifica le pratiche culturali: talvolta nei

social network si esprime la propria soddisfazione con un mi piace oppure si condivide un articolo di cui si è magari letto solo il titolo e chi lo ha postato. Inoltre, lo stesso utente apprende inconscia-mente uno stato di ostilità (o simpatia) per mera esposizione, in base agli stimoli a cui è sottoposto dallo scorrere dei post degli altri utenti.

Il successo crescente di Instagram, social network basato sulle foto, si può spiegare anche con la maggiore immediatezza di lettura visiva di un’immagine rispetto a un post con elementi te-stuali. Il carattere interattivo della comunicazione digitale rende diversa la qualità dell’esperienza di tali immagini.

Questo uso vale anche per i discorsi d’odio, che hanno bisogno di immagini archetipiche, simboli e miti, con un processo non diverso da quello classico dell’elezione del gruppo bersaglio e del capro espiatorio. Significativo è l’utilizzo di immagini simboliche (icone, fumetti, simboli della nostra cultura come una bandiera nazionale, frasi in latino, richiami a dittatori del passato, banane e scimmie) rispetto a quelle reali. Si tratta in genere di materiale di scarsa qualità, non protetto da copyright e destinato a circolare ancora online e offline attraverso un processo di rimediazione (l’operazione ininterrotta di commento, di riproduzione e di sostituzione reciproca tra un medium 35 Kahneman D. (2011), Thinking, Fast and Flow, Macmillan, New York; trad.it. (2012), Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano.

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IL WEB È REALTÀ (AUMENTATA) e l’altro, attraverso il quale il nuovo ingloba e trasforma il precedente), a cui è legato il prevalere di alcuni tratti iconico-concettuali su altri: immagini con forte carica retorica, iperboliche, sineddoti-che, altisonanti. Nelle immagini che raccontano l’odio non vi sono rimandi specifici che possano aiutare a riconoscere un luogo specifico, ma ambienti indefiniti e generici personaggi che si eleg-gono a bersaglio. Tali immagini, cariche di sentimenti, hanno un’enorme forza conversazionale in grado di generare discussioni con una frequenza maggiore di quanto non accade ai messaggi unicamente testuali.

I meme – dal greco mímēma, “imitazione” – sono vignette o figure stereotipate che ven-gono riprodotte con leggere variazioni e divenven-gono virali. Sono simboli riconoscibili dalla mente e quindi dalla memoria, facilmente replicabili, che si trasformano durante il processo.

Nel Web si trovano vari siti grazie ai quali chiunque può generare un meme, usando quelli già famosi (memejacking) oppure ideandone di nuovi; quando un meme diventa vi-rale, è incontrollabile, generando un potenziale che è studiato anche dai pubblicitari. Questi elementi sono funzionali alla diffusione dei razzi-smi online: l’uso virale d’immagini con contenuti stereotipati e razzisti, infatti, contribuisce a conferire ac-cettabilità sociale e a normalizzare i razzismi all’interno della società.

Figura: meme antisemita tratto dal sito ohpi.org.au.

Banalizzazione dei contenuti

La banalizzazione è una via da cui passano l’accettazione sociale e la proliferazione di pre-giudizi e razzismi. Nei social è normale che nei commenti riguardanti rom o immigrati si inneggi con disinvoltura al fascismo o al nazismo, ai forni crematori e alle soluzioni finali. Lo spazio digitale sembra essere percepito come una ragione per depotenziare il contenuto (banalizzare appunto): dato che il fatto avviene in Rete, sarebbe più lieve, per lo stesso motivo invecchierebbe subito e quindi sarebbe meno grave. Quest’ultima idea è particolarmente errata, poiché la tracciabilità anche

ANTISEMIT

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