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Ricerca Multimessenger di Discontinuita di Fase in Segnali da Pulsar

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Ricerca Multimessenger di Discontinuità di Fase in

Segnali da Pulsar

Dipartimento di Fisica

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Candidato Lorenzo Aita Matricola 503322 Relatore Dr. Giancarlo Cella Anno Accademico 2016/2017

(2)

Tesi non ancora discussa

Ricerca Multimessenger di Discontinuità di Fase in Segnali da Pulsar Tesi di Laurea Magistrale. Università degli studi di Pisa

© 2017 Lorenzo Aita. Tutti i diritti riservati

Questa tesi è stata composta con LATEX e la classe Pisathesis. Email dell’autore: lorenzoaita@tiscali.it

(3)
(4)

iii

Sommario

Nel centenario dalla loro predizione, le onde gravitazionali sono state osservate. Esistevano già indizi indiretti della loro presenza, ma solo grazie a Advanced Virgo e a Advanced Ligo sono state rivelate. Il primo evento misurato, inoltre, porta con se un’ulteriore scoperta: è stata la prima misura diretta di buchi neri. Nel nostro Universo non ci sono però soltanto sorgenti di onde gravitazionali sotto forma di buchi neri. Infatti ci sono una grande varietà di possibili sorgenti, tra le quali le pulsar. Le pulsar sono stelle di neutroni ruotanti, che emettono radiazione elettromagnetica. L’emissione è continua e collimata, quindi a causa della rotazione viene rivelata dall’osservatore come una sequenza periodica di impulsi. Possono anche essere sorgenti di onde gravitazionali continue, non collimate, in presenza di una leggera deformazione rispetto all’asse di rotazione.

É stato riscontrato che nell’emissione elettromagnetica delle pulsar sono presenti delle saltuarie irregolarità. Queste irregolarità sono di due tipi principalmente:

timing noise e glitch. Lo scopo di questa tesi è studiare un metodo di analisi dei

dati che permetta di indagare se il segnale gravitazionale emesso da una pulsar in presenza di glitch rimane coerente con il segnale elettromagnetico. In particolare, abbiamo studiato tramite simulazione la possibilità di rivelare una discontinuià dell’andamento della fase del segnale gravitazionale dopo il tempo di rilassamento del glitch, utilizzando l’informazione elettromagnetica per determinare quest’ultimo e la fase del segnale elettromagnetico.

La tesi è divisa in nove capitoli: dopo una breve introduzione (capitolo 1) discutiamo brevemente la linearizzazione della relatività generale e quindi le equazioni fondamentali che descrivono le onde gravitazionali, soffermandoci in particolare sulla cosiddetta gauge TT (capitolo 2). Successivamente discutiamo i rivelatori interferometrici a terra (capitolo3) e le possibili sorgenti di onde gravitazionali che non sono pulsar (capitolo3.5).

Descriviamo la sorgente pulsar sia dal punto di vista elettromagnetico che gravitazionale nel capitolo4, e nel capitolo5 discutiamo brevemente i glitch.

Nel capitolo6 descriviamo le tecniche utilizzate per simulare i nostri dati e le stime legate ai parametri in gioco. Riportiamo nel capitolo 7 i risultati ottenuti tramite le tecniche descritte nel capitolo precedente e nel capitolo8 concludiamo il nostro lavoro.

(5)

iv

Ringraziamenti

Ringrazio i miei genitori per avermi permesso di iniziare questa carriera e di aver finito con tutta la calma, anche troppa, possibile, la compagnia dei Grulli, indispens-abili in momenti particolarmente estremi del mio percorso. Di quest’ultimi, ringrazio in particolare la Dott.ssa El Sharawy, compagna di studio e di buon orecchio; il Dott. Cosimo Berti, a cui non ho nulla da aggiungere se non un grazie sincero e profondo; lo studente Pablo S. Ramirez, la cui allegria risulta contagiosa in qualsiasi momento. Ringrazio anche il mio relatore, Dr. Cella, che mi ha aiutato molto in questo percorso tortuoso. A livello lavorativo ringrazio anche Francesco di Renzo e José Maria Gonzalez Castro.

(6)

v

Indice

I Materiale introduttivo 1

1 Introduzione 2

2 Relatività generale e onde gravitazionali 5

2.1 Equazioni di Einstein . . . 5

2.2 Teoria Linearizzata . . . 6

2.3 La gauge armonica . . . 7

2.4 Gauge TT . . . 8

2.5 Radiazione di quadrupolo . . . 8

3 Rivelazione delle onde gravitazionali 11 3.1 Descrizione nella gauge TT . . . 12

3.2 Risposta ad un’onda proveniente da una direzione generica. . . 13

3.3 Detector a Terra . . . 16

3.4 Densità spettrale del rumore . . . 18

3.4.1 Shot Noise e rumore legato alla pressione di radiazione. . . . 18

3.4.2 Rumore sismico . . . 20

3.4.3 Rumore termico . . . 20

3.5 Sorgenti di onde gravitazionali . . . 20

3.5.1 Binarie di oggetti compatti . . . 20

3.5.2 Supernovae . . . 22

3.5.3 Fondo stocastico . . . 22

II Pulsar 23 4 Generalità 24 4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar . . . 29

4.1.1 Magnetosfera . . . 32

4.1.2 Interni Stellari delle Pulsar . . . 34

4.2 Emissione Gravitazionale . . . 37

4.2.1 Rotazione attorno ad un asse principale . . . 39

4.2.2 Caso assisimmetrico, asse di rotazione non parallelo ad un asse principale . . . 40

4.2.3 Emissione . . . 41

4.2.4 Emissione da un corpo rigido assisimmetrico . . . 42

(7)

Indice vi

5 Glitches 45

5.1 Fisica di un Glitch . . . 46

5.2 Osservazione di un Glitch . . . 46

5.3 Glitch Rate ˙NG . . . 49

5.4 Come cambia la Fase Gravitazionale in presenza di un Glitch . . . . 50

III Strategia per lo studio osservativo di un glitch 52 6 Studio del segnale gravitazionale 53 6.1 Variazioni sulla fase della GW . . . 53

6.2 Variazioni sull’ampiezza della GW . . . 56

6.3 Stima dei Parametri e Statistica di Detection . . . 56

6.3.1 Matrice di Fisher . . . 58

6.3.2 Limite di Cramer-Rao . . . 59

6.4 Determinazione della fase gravitazionale . . . 59

6.4.1 Stime di a e b e delle loro varianze . . . . 59

6.4.2 Matrice di covarianza . . . 61

6.4.3 Errore di timing. . . 62

6.4.4 Errore su fase e ampiezza . . . 62

7 Risultati 64 7.1 Generazione e analisi dati . . . 64

7.2 Distribuzione di ˆa e ˆb . . . . 65

7.3 Variazione di σa e σb in funzione di σN . . . 82

7.4 Variazione di σa e σb in funzione di σT . . . 84

8 Discussione e conclusioni 86 8.1 Sulle dipendenze di σa e σb . . . 86

8.2 Stima del numero di timing necessari per la rivelazione . . . 86

(8)

1

Parte I

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2

Capitolo 1

Introduzione

Il 14 settembre 2015 è stato osservato il primo segnale diretto di un’onda gravi-tazionale, denominato GW150914. Questo evento ha avuto origine da una violenta fusione di due buchi neri, di massa iniziale pari a circa 30 masse solari [4]. Si tratta di un fenomeno accaduto in una galassia distante circa 1.3 miliardi di anni-luce da noi.

Le onde gravitazionali erano già state osservate indirettamente nel sistema binario di Hulse-Taylor, un sistema di due stelle di neutroni che orbitano l’una attorno all’altra in cui una delle due è una pulsar [13]. L’intervallo di tempo tra gli impulsi varia leggermente man mano che la pulsar si muove in direzione della Terra e in quella opposta, perciò il moto orbitale della pulsar attorno alla sua compagna può essere monitorato accuratamente. Il periodo orbitale si è lentamente modificato nel corso di decenni e queste variazioni sono perfettamente consistenti con ciò che ci aspettiamo dalla relatività generale se il sistema sta perdendo energia sotto forma di onde gravitazionali. Per questa scoperta, Hulse e Taylor ricevettero nel 1993 il Premio Nobel per la Fisica. Fino al 14 settembre, però, le misure di onde gravitazionali

Figura 1.1. Il grafico mostra la variazione del periodo orbitale in funzione del tempo del sistema binario PSR B1913+16. I dati indicano la variazione osservata all’epoca del periastro mentre la curva illustra la variazione teorica secondo la relatività generale. [13].

(10)

3

interferometri sono state messe le basi per una rivelazione diretta della radiazione gravitazionale.

Figura 1.2. Il grafico mostra le misure effettuate dai due interferometri di LIGO e le relative predizioni del segnale determinate sulla base della relatività generale. Infine sono riportati i residui e l’ampiezza del segnale in funzione della frequenza e del tempo. [4].

LIGO è composto da due rivelatori interferometrici, uno si trova a Hanford, Washington, l’altro a Livingston, Lousiana. VIRGO, appena entrato in presa dati, è situato a Cascina, vicino a Pisa. Nei prossimi 10 anni circa è in progetto la costruzione di altri due interferometri, uno in Giappone (KAGRA) e uno in India (LIGO India).

Quando una onda gravitazionale passa attraverso un detector, deforma la lunghez-za dei due bracci che alternativamente si allungano e si accorciano di una quantità infinitesimale, dell’ordine di 10−18m o meno, su una lunghezza totale di 3 km (Vir-go) o 4 km (LIGO). Misurando l’interferenza della luce laser ricombinata all’uscita dei due bracci dell’interferometro, è possibile calcolare la deformazione prodotta dall’onda e quindi avere una stima dell’intensità della stessa. È possibile confrontare i dati così ottenuti con quanto predetto dai modelli.

Oltre ad essere una conferma diretta della relatività generale, l’evento GW150914 è stato la prima evidenza diretta dell’esistenza di BH. Le onde gravitazionali potreb-bero servire, studiando varie sorgenti, anche ad altre scoperte scientifiche come lo studio dell’interno stellare di una pulsar. Inoltre, con i vari eventi gravitazionali, è possibile costruire una prima mappa del cielo gravitazionale. Ultimo, ma non da

(11)

4

meno, è anche possibile portare a termine un follow-up elettromagnetico, cioè legare l’emissione gravitazionale a quella eventuale elettromagnetica delle varie sorgenti.

(12)

5

Capitolo 2

Relatività generale e onde

gravitazionali

Richiamiamo per prima cosa l’equazione del campo gravitazionale φ(~r) in

meccanica Newtoniana:

∆φ = 4πGρ (2.1)

dove ∆ = ∂i∂i è il laplaciano e dove abbiamo indicato con ρ(~r) il campo di densità

della materia. Una particella di prova di massa m soggetta a questo campo ha equazioni del moto:

md

2xi

dt2 = −∂

iφ (2.2)

Nel seguito salvo avviso contrario useremo indici latini spaziali e indici greci spazio-temporali. Inoltre varrà la convenzione di Einstein per la somma su coppie di indici ripetuti.

2.1

Equazioni di Einstein

Generalizziamo la (2.1) in modo che soddisfi il principio di equivalenza di Einstein. Cerchiamo un’equazione nella forma:

Gµν = k Tµν (2.3)

dove Gµν è un tensore generico funzione della metrica gµν da determinare, Tµν il

tensore energia-impulso della materia e k è una costante. Le ipotesi con cui lavoriamo sono:

1. Nel limite non relativistico l’equazione di campo dovrà ridursi all’equazione (2.1), dunque il primo membro dovrà dipendere dalle derivate seconde spaziali. Per covarianza, dipenderà in generale anche dalle derivate seconde temporali e dalle derivate miste.

2. Derivate di ordine più alto sono escluse per evitare problemi con la causalità. 3. Gµν è un tensore simmetrico.

4. Le equazioni del moto sono descritte da ∇µTµν = 0 che è la generalizzazione

(13)

2.2 Teoria Linearizzata 6

Per il principio di equivalenza nell’intorno di ogni evento ¯possiamo sempre definire un sistema di coordinate localmente inerziali, nel quale

gµνx) = ηµν

∂ρgµνx) = 0 (2.4)

Nell’intorno la metrica risulta essere quella Minkowskiana ηµν a meno di correzioni del secondo ordine nella separazione da ¯x. Ma in queste coordinate le derivate

seconde della metrica si possono scrivere esplicitamente in termini del tensore di Riemann Rαβρσ. Le uniche contrazioni del tensore di Riemann di rango 2 sono il tensore di Ricci Rαβ e lo scalare di curvatura R moltiplicato per il tensore metrico.

Gµν dovrà essere una combinazione di queste due.

Imponendo che Gµν covariantemente conservato si può dimostrare che i coeffici-enti a fronte dei tensori sopra descritti sono ben definiti, e si giunge alle equazioni di campo di Einstein:

Gµν ≡ Rµν

1

2R gµν = k Tµν (2.5)

dove Gµν prende il nome di tensore di Einstein. Facendo il limite newtoniano,

otteniamo il valore della costante k:

k = 8πG

c4 (2.6)

dove G è la costante di gravitazione universale e c la velocità della luce nel vuoto. In realtà, nella precedente equazione (2.5), potrebbe essere aggiunta una costante moltiplicata per la metrica, in quanto la divergenza (covariante) di essa è nul-la. Questa costante viene generalmente indicata con Λ ed è chiamata costante cosmologica.

2.2

Teoria Linearizzata

Cercheremo di linearizzare le equazioni di Einstein (2.5). Immaginiamo di avere uno spazio-tempo fisico di background gBµν e di considerare le piccole fluttuazioni della metrica rispetto ad esso:

gµν = gBµν+ hµν (2.7)

con la condizione:

| hµν | 1 (2.8)

Quest’ultima condizione necessita della scelta di una particolare famiglia di sistemi di riferimento; infatti, non è detto che se le componenti di un tensore siano piccole in un sistema di riferimento lo siano anche in un altro, pur rappresentando la stessa situazione fisica.

Consideriamo il caso in cui la metrica di background è quella di Minkowski; poiché la metrica è piatta i simboli di Christoffel sono nulli, e le derivate covarianti tornano ad essere derivate ordinarie. Le equazioni di Einstein diventano:

1 2(∂ρ∂µh ρ ν + ∂ρ∂νhρµ) −hµν− 1 2∂µ∂νh − 1 2ηµν(∂ρ∂σh ρσ − h) = k Tµν (2.9)

dove abbiamo indicato con h la traccia di hµν. Notiamo che queste equazioni

(14)

2.3 La gauge armonica 7

ci limitiamo a considerare la variazione indotta su gµν da una trasformazione di

coordinate

xµ→ x0µ= xµ+ ζµ(x) (2.10)

dove ζµ è una variazione che, per non violare lo sviluppo (2.7) deve soddisfare

| ∂µζν | 1 (2.11)

La trasformazione indotta dalla (2.10) sul campo di perturbazione vale

h0µν = hµν+ ∂µζν + ∂νζµ (2.12)

e possiamo dimostrare che il tensore di Riemann linearizzato (e quindi le equazioni di Einstein) è invariante rispetto ad essa. Questa simmetria e analoga alla simmetria di gauge dell’elettromagnetismo.

2.3

La gauge armonica

Il fatto di avere una simmetria di gauge implica che data una soluzione delle equazioni del moto possiamo trovarne un’altra completamente equivalente effettuando la trasformazione:

hµν → hµν+ ∂µζν + ∂νζµ (2.13)

Sfrutteremo questa simmetria per riscrivere le equazioni di Einstein; il primo passo e quello di prendere come campo fondamentale la perturbazione metrica a traccia invertita:

¯

hµν = hµν

1

2ηµνh (2.14)

In questo modo le equazioni di Einstein diventano

∂µ∂α¯hαν + ∂ν∂α¯hαµ− ¯hµν =

16πG

c4 Tµν (2.15)

Sotto le trasformazioni di gauge (2.10), la trasformazione di ¯hµν è:

¯

h0µν = ¯hµν+ ∂µζν + ∂νζµ− ηµν∂αζα (2.16)

Supponiamo di voler trovare un ¯h0µν tale da soddisfare alla condizione ∂µ¯h0µν = 0, questo equivale a determinare una trasformazione ζµ(x) tale che:

ζν = −∂µ¯hµν (2.17)

Questo particolare scelta di coordinate viene chiamata gauge armonica. In questo modo, le equazioni (2.17) possono essere riscritte nella forma:

¯hµν = −

16πG

c4 Tµν (2.18)

(15)

2.4 Gauge TT 8

2.4

Gauge TT

Per studiare la propagazione delle onde dobbiamo studiare la (2.18) nello spazio lontano dalla sorgente, ovvero dove Tµν = 0. In questo caso l’equazione diventa:

¯hµν = 0 (2.19)

Questa è un’equazione di D’Alembert dove vediamo che le onde gravitazionali si propagano alla velocità della luce. Un set completo di soluzioni di questa equazione è costituito da onde piane del tipo

¯

hµν = µν(k)eikµx

µ

(2.20)

kµµν = 0 (2.21)

dove la condizione (2.21) corrisponde alla gauge armonica e riduce i 10 gradi di libertà della matrice simmetrica µν a 6. Una trasformazione di gauge residua è in grado di eliminare altri 4 gradi di libertà lasciandone soltanto 2.

Per conservare le proprietà della gauge armonica questa trasformazione residua deve soddisfare la condizioneµ= 0, e si può scegliere in particolare in maniera tale che la traccia di ¯hµν sia nulla. Si può inoltre imporre che tutte le componenti

temporali ¯hµ0si annullino. In conclusione, si arriva a fissare completamente la libertà

di gauge, che con la particolare scelta fatta viene chiamata transverse-traceless gauge (gauge TT):

h0µ= 0 (2.22)

hii= 0 (2.23)

∂ihij = 0 (2.24)

Notare che con queste condizioni ¯hµν = hµν. La metrica in gauge TT viene indicata

con l’apiceT T.

2.5

Radiazione di quadrupolo

La soluzione per (2.18) si può scrivere utilizzando la funzione di Green ritardata:

G(x − y) = − 1 4π | ~x − ~y |δ | ~x − ~y | −(x0− y0) c ! θx0− y0 (2.25)

dove θ(x0− y0) è la funzione gradino di Heaviside mentre l’argomento della funzione

δ indica che la perturbazione generata dalla sorgente si muove alla velocità della

luce. Esplicitamente la soluzione non omogenea si scrive: ¯ hµν = − 16πG c4 Z d4y G(x − y)Tµν(y) (2.26)

Se ne facciamo la trasformata di Fourier rispetto al tempo otteniamo: ˜ ¯ hµν(ω, ~x) = 4G Z d3ye iω|~x−~y| | ~x − ~y | ˜ Tµν(ω, ~y) (2.27)

(16)

2.5 Radiazione di quadrupolo 9

Supponiamo che la sorgente si trovi in una regione limitata di spazio caratterizzata da una scala di distanza D. Se l’osservatore si trova in ~R, con | ~R|  D, potremo

approssimare ˜ ¯ hµν(ω, ~x) ≈ 4GeiωR R Z d3y ˜Tµν(ω, ~y) (2.28)

Adesso il problema è ridotto al calcolo di 10 integrali, ma sfruttando la conservazione di Tµν, che si traduce in ∂µTµν = 0, possiamo ridurne il numero. In particolare

otteniamo sviluppando sul primo e sul secondo indice: −iω ˜T00+ ∂iT˜0i= 0

−iω ˜Ti0+ ∂jT˜ij = 0 (2.29)

Si nota in particolare che le componenti di ˜T0ν, si possono determinare tramite le derivate delle componenti ˜Tij.

Definiamo ora il momento di quadrupolo Qij del sistema come ˜

Qij = 1

c2 Z

d3y yiyjT˜00 (2.30) che diviene in approssimazione non relativistica

˜

Qij = Z

d3y yiyjρ(~y) (2.31)

dove ρ è la densità di massa. Si può allora dimostrare che ˜ ¯ hij = −2ω2Ge iωR R ˜ Qij (2.32)

A questo punto, per ottenere ¯hµν basta anti-trasformare ricordando che ω2 → −∂t2 e

che eiωR è equivalente a un ritardo R/c. L’emissione gravitazionale da una sorgente diventa quindi: ¯ hij = 2G R ¨ Qij  t − R c  (2.33) Si nota che in questa approssimazione l’emissione gravitazionale dipende dalla derivata seconda del momento di quadrupolo della sorgente. Non resta che proiettare l’espressione precedente per hij nella gauge TT.

Per farlo, consideriamo un’onda hµν che si propaga in una direzione definita dal

versore ˆn. Consideriamo il tensore

Pijn) = δij− ninj (2.34)

Questo tensore è un proiettore trasverso per vettori, ovvero soddisfa le seguenti proprietà:

• PikPkj = Pij

• niPij è simmetrico e ha traccia pari a 2

A questo punto possiamo costruire il tensore: Λij,kl= PikPjl

1

(17)

2.5 Radiazione di quadrupolo 10

Si può notare che l’oggetto è un proiettore per i tensori a due indici, trasverso rispetto ad entrambi, a traccia nulla rispetto alle coppie di indici i, j e k, l e simmetrico per scambi di indici i, j → k, l. Per esteso possiamo scrivere

Λij,kl= δikδjl− 1 2δijδkl−ninkδjl−nknlδij+ 1 2nknlδij+ 1 2ninjδkl+ 1 2ninjnknl (2.36) Data un’onda hµν in gauge di Lorentz, la sua proiezione in gauge TT sarà quindi

hT Tij = Λij,klhkl (2.37)

(18)

11

Capitolo 3

Rivelazione delle onde

gravitazionali

Quando grandi masse sono accelerate, producono onde gravitazionali, ossia perturbazioni della metrica che si propagano alla velocità della luce. Una onda gravitazionale esercita una forza su masse test che come vedremo è di tipo mareale inducendo una variazione relativa della distanza tra i corpi.

Se indichiamo con h l’ampiezza adimensionale dell’onda (strain), possiamo scrivere

h = ∆L

L (3.1)

dove L è la distanza tra due masse di prova e ∆L la sua variazione.

Se consideriamo che un’onda gravitazionale possiede due polarizzazioni che vengono indicate convenzionalmente con + e ×, troviamo che le masse test poste su un anello si muovono come in Figura3.1. Per rivelare le onde gravitazionali sono

Figura 3.1. Il grafico mostra la deformazione di un anello di masse test indotto da un’onda gravitazionale, indicando da sinistra verso destra il crescere del tempo. Nella prima riga è rappresentata la risposta alla polarizzazione +, nella seconda alla polarizzazione × [32].

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3.1 Descrizione nella gauge TT 12

Barre risonanti. Viene utilizzato la risonanza meccanica di un oggetto, come

un corpo elastico, che entra in vibrazione quando eccitato da una onda gravitazionale.

Interferometri. Il cambiamento delle posizione relative tra gli specchi che costitu-iscono l’interferometro e che giocano il ruolo di masse test viene monitorata otticamente.

Nel seguito discuteremo in maggior dettaglio questa seconda possibilità.

3.1

Descrizione nella gauge TT

Consideriamo una onda gravitazionale che si propaga in una direzione +z. Nella

gauge transverse traceless descritta precedentemente valgono le condizioni (2.22) (2.23) (2.24), ed è quindi possibile scrivere l’onda nella forma:

hT Tµν = A(+)(t − z)e+µν+ A(×)(t − z)e×µν (3.2) dove e+,×

µν sono i tensori di polarizzazione:

e+µν =     0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 −1 0 0 0 0 0     (3.3) e×µν =     0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0     (3.4)

e A+,× sono le ampiezze del modo di polarizzazione corrispondente. Per calcolare la risposta di un interferometro, partiamo dall’equazione geodetica per una massa test in caduta libera: d2 2 + Γ µ αβ dxα dxβ = 0 (3.5)

dove τ è il tempo proprio della massa e dove: Γµαβ = 1

2η

µν(∂

αhβν+ ∂βhαν − ∂νhβα) (3.6)

sono i simboli di Christoffel linearizzati in h. In particolare nella gauge scelta abbiamo che le uniche componenti non nulle sono:

Γ0ij = 1 20hij Γijk = 1 2(∂jhki+ ∂khji− ∂ihjk) Γi0j = Γij0 = 1 20hij (3.7)

di conseguenza l’equazione geodetica diviene:

d2xi 2 + Γ i jk dxj dxk + +2Γ i j0 dxj dx0 = 0 (3.8)

(20)

3.2 Risposta ad un’onda proveniente da una direzione generica. 13

per le coordinate spaziali. Si verifica quindi direttamente che:

dxi(τ )

= 0 (3.9)

è soluzione dell’equazione con condizione al contorno:

dxi(0)

= 0 (3.10)

ossia le masse restano a riposo se lo sono inizialmente, anche in presenza di onde gravitazionali. Inoltre con le stesse condizioni iniziali:

d2x0

2 = 0 (3.11)

e quindi si può considerare la coordinata x0 della massa come il suo tempo proprio. Anche se le coordinate delle masse di test non vengono cambiate al passaggio dell’onda in gauge TT, le distanze fisiche tra le varie masse cambiano.

Supponiamo che la lunghezza d’onda delle onde che vogliamo osservare con un rivelatore interferometrico, tipo LIGO o Virgo, sia molto maggiore delle dimensioni di quest’ultimo; ciò è vero nella regione di sensibilità dei rivelatori, dove le onde hanno

λ ≥ 105m, a confronto delle lunghezze di 3 × 103m − 4 × 103m dei bracci degli interferometri. Sotto questa assunzione, possiamo utilizzare direttamente l’equazione di deviazione geodetica che permette di scrivere un’equazione per la separazione ξi tra due masse in caduta libera nella forma

d2ξi dt2 = −R

i

0j0ξjc2 (3.12)

Dato che il tensore di Riemann è invariante di gauge al primo ordine possiamo calcolarlo utilizzando la metrica nella gauge TT:

Ri0j0ξj = − 1 2ch T T i j (3.13) Otteniamo quindi d2ξi dt2 = 1 2 ¨ hT T ijξj (3.14) Al primo ordine possiamo anche porre ξi= niL0, dove ni indica la direzione della separazione tra le masse, ossia del braccio dell’interferometro. Si ottiene quindi

ξi = L0 2 h

T T i

jnj (3.15)

A partire da questa espressione è semplice ottenere i grafici riportati in Figura3.1.

3.2

Risposta ad un’onda proveniente da una direzione

generica.

Utilizzando la (3.15) è possibile associare ad un rivelatore un "tensore di risposta" (detector tensor ) Dij che converte il tensore di perturbazione metrica (l’onda hij)

nel segnale rivelato, normalizzato in modo da corrispondere allo strain.

(21)

3.2 Risposta ad un’onda proveniente da una direzione generica. 14

Considerando separatamente le ampiezze h+,× delle due possibili polarizzazioni di un’onda che si propaga nella direzione ˆn e definendo le detector patter functions

F+,×n) = TrhDe+,×i= Dije+,×ijn) (3.17) troviamo che

h(t) = F+(ˆn)h+(t) + F×(ˆn)h×(t) (3.18) Supponiamo ora di avere un sistema di coordinate per il detector che indicheremo con gli assi cartesiani ˆx = (1, 0, 0), ˆy = (0, 1, 0) e ˆz = (0, 0, 1), come in Figura 3.2. Rispetto al detector, il sistema di coordinate dell’onda è definito da altri tre versori

φ θ ψ ˆ Ω ˆ m ˆ n

Figura 3.2. Il grafico mostra i sistemi di riferimento per un passaggio di coordinate da quello dell’onda a quello dell’interferometro [37].

scelti come in Figura3.2, ˆΩ (che coincide con la direzione di propagazione), ˆm e ˆn.

Possiamo trasformare un sistema di riferimento nell’altro con una si ottiene con una sequenza di tre rotazioni. Definiamo dunque la trasformazione tra i due sistemi di riferimento come T = RψRθRφ (3.19) dove Rφ=   cos φ sin φ 0 − sin φ cos φ 0 0 0 1   (3.20)

è una prima rotazione attorno a ˆz di un angolo φ,

Rθ=   1 0 0 0 cos θ sin θ 0 − sin θ cos θ   (3.21)

è una rotazione di un angolo θ attorno all’asse ˆx ruotato dalla trasformazione

precedente ed infine Rψ =   cos ψ sin ψ 0 − sin ψ cos ψ 0 0 0 1   (3.22)

(22)

3.2 Risposta ad un’onda proveniente da una direzione generica. 15

è una rotazione di un angolo ψ attorno all’asse ˆz ruotato dalle due trasformazioni

precedenti. Abbiamo quindi

ˆ m = Tˆx ˆ n = Tˆy ˆ Ω = Tˆz (3.23)

La trasformazione che converte le componenti di un vettore espresso nel sistema di riferimento dell’onda in quelle nel sistema di riferimento dell’interferometro sarà dunque T−1 = TT. Esplicitamente

TT = 

cos φ cos ψ − cos θ sin φ sin ψ − cos θ cos ψ sin φ − cos φ sin ψ sin θ sin φ cos ψ sin φ + cos θ cos φ sin ψ cos θ cos φ cos ψ − sin φ sin ψ − cos φ sin θ

sin θ sin ψ cos ψ sin θ cos θ

(3.24) dove possiamo leggere le componenti di ˆm, ˆn e ˆΩ nel sistema del detector guardando alle colonne. Chiaramente l’angolo ψ non influisce su ˆΩ che definisce la direzione di propagazione, ma modifica il sistema di riferimento nel piano trasverso a questa, e quindi le polarizzazioni + e ×. Definiamo

e+ = ˆm ⊗ ˆm − ˆn ⊗ ˆn (3.25)

e× = ˆm ⊗ ˆn + ˆn ⊗ ˆm (3.26)

e per un interferometro coi bracci orientati lungo i versori ˆu e ˆv otteniamo

D = 1

2(ˆx ⊗ ˆx − ˆy ⊗ ˆy) (3.27)

I detector patter function per le due polarizzazioni, rispetto al riferimento del detector, valgono F+= Tr1 2[(ˆx ⊗ ˆx − ˆy ⊗ ˆy) ( ˆm ⊗ ˆm − ˆn ⊗ ˆn)] =1 2 h (ˆx · ˆm)2+ (ˆy · ˆn)2− (ˆx · ˆn)2− (ˆy · ˆm)2i =1 2  T211+ T222− T212− T221 =1

4(cos 2θ + 3) cos 2ψ cos 2φ − cos θ sin 2ψ sin 2φ (3.28) e F×= Tr1 2[(ˆx ⊗ ˆx − ˆy ⊗ ˆy) ( ˆm ⊗ ˆn + ˆn ⊗ ˆm)] = (ˆx · ˆm) (ˆx · ˆn) − (ˆy · ˆm) (ˆy · ˆn) =T11T12− T22T21 = − 1

(23)

3.3 Detector a Terra 16

Figura 3.3. Il grafico mostra la risposta dell’interferometro per ψ = 0. In questo caso vengono sempre riportati i valori assoluti di (3.28) e (3.29) in funzione della direzione di

ˆ

Ω. La figura a sinistra rappresenta |F+|, quella a destra |F×| [37].

3.3

Detector a Terra

Come detto nell’introduzione, gli interferometri sono lo strumento utilizzato attualmente per la misura diretta delle onde gravitazionali. L’interferometro monitora la posizione relativa tra specchi, che svolgono il ruolo di masse libere, grazie ad un fascio laser.

Semplificando alcuni dettagli, l’interferometro è basato su uno schema ottico alla Michelson-Morley. Il fascio laser e diviso in due da un beam-splitter e percorre due bracci ortogonali. Alla fine di essi, sono posti degli specchi che riflettono il fascio. Questi fasci vengono ricombinati dal beam-splitter stesso e letti da un fotodiodo (figura3.4). In condizioni di riposo si ha interferenza distruttiva sul fascio ricombinato, e la variazione di questa condizione è correlata al passaggio di una onda gravitazionale.

Gli specchi e il beam-splitter sono sospesi da catene di pendoli per isolarli dalle vibrazioni sismiche. Per una lunghezza del braccio dell’interferometro L = 3 km e un’ampiezza h = 10−21, il cambio di percorso e dell’ordine di ∆L = 10−18m. La sensibilità di un interferometro è proporzionale alla lunghezza del braccio, ma per limiti pratici non è possibile creare dei bracci lunghi più di qualche km.

Per "aumentare" la lunghezza L si è pensato di usare delle cavità di Fabry-Perot; una cavità e composta da due specchi piani posti ad una certa distanza d che riflettono la luce in maniera tale da aumentarne il percorso. La potenza all’interno della cavità e massima quando questa entra in risonanza, ovvero quando 2kL = n, dove k è il vettore d’onda del fascio laser e n è un intero.

In ogni braccio di un rivelatore interferometrico è posta una cavità di Fabry-Perot e in questa maniera viene aumentato il percorso efficace di un fotone, in misura maggiore o minore a seconda della riflettività dello specchio di ingresso. Attualmente fino a qualche centinaia di km. Un parametro importante per la cavità è la finesse F che è legata ai coefficienti di riflettività r1 e r2 rispettivamente degli specchi di

(24)

3.3 Detector a Terra 17

Figura 3.4. Schema ottico semplificato dell’interferometro Virgo. Abbiamo indicato con

P RM uno specchio che serve per "riciclare" il fascio laser riflesso incrementando la sua

potenza efficace, con BS il beam-splitter e con W E e N E gli specchi alla fine dei bracci. Con W I e N I invece vengono indicati gli specchi di inizio della cavità di Fabry-Perot. Il laser di Virgo emette un fascio di luce infrarossa estremamente stabile in frequenza e potenza, con una lunghezza d’onda di 1064nm. La prima versione di Virgo usava un laser con una potenza di 20W che forniva un fascio da 10W all’ingresso dell’intereferometro; in Advanced Virgo il laser avrà una potenza massima di 200W , e fornirà un fascio da 125W all’ingresso dell’interferometro [10].

(25)

3.4 Densità spettrale del rumore 18

ingresso e di uscita della cavità dalla relazione: F = π

r1r2 1 − r1r2

(3.30) e può essere interpretata qualitativamente come il numero tipico di "rimbalzi" che un fotone compie al suo interno prima di uscirne. Il passaggio di una onda gravitazionale genera un cambio di fase corrispondente a:

∆φ = 4πF

λ ∆L

dove λ è la lunghezza d’onda del laser.

3.4

Densità spettrale del rumore

Calibrando opportunamente il rivelatore, sarà sempre possibile assumere che la sua uscita sia della forma:

s(t) = h(t) + n(t) (3.31)

dove n(t) è il rumore che assumeremo additivo.

Se il rumore è stazionario, le diverse componenti della trasformata di Fourier del rumore stesso sono statisticamente non correlate e la media sull’ensemble delle componenti della trasformata di Fourier del rumore possono essere scritte come:

n(f )˜n(f0)i = δ(f − f0)1

2Sn(f ) (3.32)

dove con Sn(f ) abbiamo indicato la densità spettrale di potenza del rumore. Senza

perdere in generalità possiamo assumere che hn(t)i = 0. Inoltre, visto che in generale abbiamo un tempo finito di misura T , allora possiamo dire che per f = f0 avremo, ponendo δ(0) = T ,

h|˜n(f )|2i = T

2Sn(f ) (3.33)

In generale, il rumore di un rivelatore viene caratterizzato con la radice della densità spettrale Sn, che quindi si misura in unità Hz−1/2 questa viene chiamata ampiezza

spettrale. In figura 3.5 sono riportate le ampiezze spettrali più importanti per Advanced Virgo. Come riferimento, si può tenere presente che per sorgenti tipiche è richiesta una sensibilità allo strain minore di 10−21Hz−1/2.

Sostanzialmente si può dire che a bassissime frequenze la sensibilità è limitata dal rumore sismico, nella regione intermedia da rumori termici di varia natura e nella regione delle alte frequenze dalle fluttuazioni quantistiche dei campi elettromagnetici accoppiati al rivelatore (shot noise). Daremo nel seguito una breve descrizione di queste sorgenti di rumore.

3.4.1 Shot Noise e rumore legato alla pressione di radiazione. Lo Shot Noise e causato dalle futtuazioni nel numero di fotoni rivelati dallo stru-mento alla fine del percorso. L’ampiezza spettrale di questo rumore è proporzionale a P−1/2, dove P è la potenza del laser; all’aumentare della potenza P , lo shot noise diminuisce.

Un’altra fonte di rumore, dovuto alla fluttuazione della pressione di radiazione, però, ha un andamento in funzione della potenza del tipo P1/2. Notiamo che non

(26)

3.4 Densità spettrale del rumore 19

Figura 3.5. Il grafico mostra la curva di sensibilità di Advanced Virgo. Sono riportate le ampiezze spettrali dei rumori che danno il contributo principale alla curva di sensibilità, in funzione della frequenza. In viola è riportato il rumore quantistico del laser, che comprende lo shot noise e l’effetto della pressione di radiazione. In blu scuro è riportato il rumore termico [6]. A frequenze minori di quelle riportate il rumore sismico diviene dominante.

(27)

3.5 Sorgenti di onde gravitazionali 20

possiamo aumentare a piacere la potenza del laser: dove lo shot noise diminuisce, la pressione di radiazione aumenterà. Ad ogni data frequenza esiste una potenza ottimale che rende il valore delle ampiezze spettrali dei due rumori uguali e quindi massimizza la sensibilità. Questa sensibilità massima è detta standard quantum

limit.

Il rumore di pressione di radiazione tende ad essere importante a basse frequenze, ma alle potenze attuali è meno rilevante del rumore termico. Il rumore shot è attualmente il fattore limitante della sensibilità alle alte frequenze.

3.4.2 Rumore sismico

Il rumore sismico e dovuto al moto del suolo al di sotto dello strumento. Lo spettro in frequenza per questo rumore tende a crescere con una legge di potenza alle basse frequenze. Le contromisure per ridurre il rumore sismico si basano su attenuatori di tipo meccanico: in VIRGO vengono usate dei pendoli in cascata come sistema di attenuazione mentre in LIGO vengono usate delle molle.

Questa tipologia di rumore domina principalmente a basse frequenze. 3.4.3 Rumore termico

Il rumore termico domina a medio-basse frequenze. Questo rumore è originato dalla eccitazione termica dei modi propri di vibrazione delle masse test e dell’ultimo stadio della sospensione. Le strategie di riduzione attuali si basano sulla ricerca di materiali a bassa dissipazione per le sospensioni e gli specchi, e sull’incremento dell’area del fascio laser che interagisce con gli specchi, allo scopo di mediare in modo più efficace le fluttuazioni della sua superficie.

3.5

Sorgenti di onde gravitazionali

Fino ad ora abbiamo parlato del segnale gravitazionale proveniente da una sorgente in modo generico. In questa sezione faremo una breve rassegna delle principali sorgenti che ci si aspetta di poter rivelare. Successivamente considereremo in dettaglio il caso di una stella a neutroni isolata rotante.

Grazie alla loro debole interazione con la materia, le onde gravitazionali sono molto interessanti da studiare perché potrebbero essere un metodo per misurare eventi astrofisici in zone opache elettromagneticamente. Generalmente, la probabilità di rivelazione dipende dall’ampiezza dell’onda, dalla sua frequenza, dal numero di eventi possibili per una determinata sorgente in un determinato tempo di misura e volume spaziale. I rivelatori a terra, come si vede in Figura 3.6, sono principalmente sensibili a coalescenze di oggetti compatti in sistemi binari.

3.5.1 Binarie di oggetti compatti

Possibili sorgenti di onde gravitazionali possono essere i sistemi binari di oggetti compatti che costituiscono circa un terzo delle stelle nel disco galattico. Ci aspettiamo che l’emissione di onde gravitazionali da questi tipi di sistemi abbia una frequenza pari al doppio di quella orbitale. In questa categoria, sono presenti molti sottotipi:

• sistema BH-BH (una coppia di buchi neri)

• sistema NS-BH (una stella a neutroni e un buco nero) • sistema NS-NS (due stelle a neutroni)

(28)

3.5 Sorgenti di onde gravitazionali 21

Figura 3.6. Il grafico mostra schematicamente la sensibilità richiesta dai vari detector per rivelare una determinata sorgente. Inoltre mostra anche il range in frequenza nella quale la sorgente emette. Infine, viene riportato in grafico anche la curva di sensibilità di eLISA, un futuro rivelatore che prevede misure interferometriche dallo spazio. [27]

L’emissione di onde gravitazionali causa una progressiva diminuzione della distanza orbitale e quindi del periodo orbitale. I due oggetti quindi inizialmente orbitano a basse frequenze (fase di inspiral). La frequenza orbitale dei due corpi aumenta gradualmente, fino a raggiungere poco prima della fase di coalescenza valori tanto maggiori quanto minore è la loro dimensione.

Alla coalescenza segue una fase di ring down in cui l’oggetto risultante dalla fusione si riporta in quiete. Il segnale risultante, per l’evento BH-BH che ha portato alla prima rivelazione diretta di onde gravitazionali, è riportato in Figura1.2.

Un aspetto che rende interessanti queste sorgenti è il fatto che sono ben carat-terizzate teoricamente, e almeno nella fase di inspiral e ring down la dipendenza della forma d’onda dai parametri del sistema è nota con grande precisione. Questo permette di calcolare accuratamente i possibili segnali attesi (template) e di con-frontarli con i dati dell’interferometro per ridurre in modo ottimale il fondo di rumore. Al tempo stesso diviene possibile stimare in maniera accurata (ovviamente in dipendenza dal rapporto tra segnale e rumore raggiungibile) le caratteristiche del sistema.

Queste sorgenti possono essere osservate da terra in un intervallo temporale precedente alla coalescenza che può variare da un minimo di pochi secondi fino ad un massimo di minuti, a seconda della massa del sistema per una fissata sensibilità del rivelatore.

(29)

3.5 Sorgenti di onde gravitazionali 22

3.5.2 Supernovae

Le esplosioni di Supernovae (SNe) sono eventi rari. Il loro rate nella nostra galassia è infatti di circa una ogni 30 anni. Un esempio ben noto è l’esplosione che ha generato come risultato finale la stella a neutroni della Crab Nebula.

Quando le reazioni nucleari che governano la stabilità di una stella cessano, la gravità non è più bilanciata, dalla pressione di degenerazione degli elettroni e la materia incomincia a collassare verso il centro della stella. Questo processo avviene finché la densità non raggiunge un valore di soglia per la quale incomincia un processo di neutronizzazione della materia, ovvero i protoni e gli elettroni incominciano a fondersi generando dei neutroni più dell’emissione di radiazione (neutrini). L’energia rilasciata (∼ 1046J) fa espandere gli strati esterni aumentano la luminosità della stella stessa. Oltre a questa emissione elettromagnetica, le SNe sono un candidato per le emissioni gravitazionali. Infatti se il collasso per generare la SN non è sferico, allora è presente un momento di quadrupolo diverso a zero, che però potrebbe essere molto piccolo. Una SN emetterà quindi una onda gravitazionale sotto forma di un lampo di qualche millisecondo, con l’ampiezza del segnale a terra che dipenderà dal tempo di collasso, dall’energia emessa e dalla distanza a cui è posta la sorgente rispetto all’osservatorio. Il parametro da cui dipende principalmente l’emissione gravitazionale è il grado di asimmetria della stella. Questo parametro non è facilmente prevedibile.

Il cluster di Virgo potrebbe contribuire ad una fonte di emissioni di questo tipo, ma la distanza da noi di tale cluster (∼ 3 × 107ly) fa sì che solo gli eventi ad alta asimmetria possano essere osservati.

3.5.3 Fondo stocastico

Oltre tutte le sorgenti citate, viene definito come fondo stocastico l’effetto della sovrapposizione di numerosi eventi di emissione che non possono essere risolti singolarmente. Questo fondo è sostanzialmente isotropo e stazionario, come la radiazione cosmica di fondo per il segnale elettromagnetico. È generato da processi cosmologici o dalla somma di varie sorgenti astrofisiche, e può essere studiato come somma di segnali gravitazionali casuali, provenienti da tutte le direzioni e a tutte le frequenze.

Per rivelare questo segnale, è necessario usare diversi detector per correllare i relativi segnali e raggiungere la sensibilità richiesta per l’osservazione. L’ampiezza del segnale dipende dal modello e a volte da parametri non noti. In alcuni casi, ad esempio per il fondo prodotto da una fase di inflazione standard, l’ampiezza è particolarmente piccola, ben al di là delle capacità di rivelazione dei detector attuali e del prossimo futuro. In altri, come nel caso dei fondi di sorgenti astrofisiche, non è esclusa a priori la possibilità di una detection per gli interferometri di seconda e terza generazione.

(30)

23

Parte II

(31)

24

Capitolo 4

Generalità

Nel 1967 Anthony Hewish (premio Nobel nel 1974) misurò un oggetto astronomico che emetteva periodicamente radio impulsi. La scoperta di stelle in un equilibrio stabile più dense delle nane bianche era già stato predetto teoricamente [29,9] e si supponeva che si trattasse di resti di stelle a neutroni. Si scoprì che questi oggetti sono in rapida evoluzione, con forti campi magnetici. Al centro della Crab Nebula c’è una stella di neutroni ruotante (pulsar).

Le caratteristiche principali delle pulsar sono le seguenti:

1. hanno un periodo di rotazione che va come ordine di grandezza dal millisecondo al secondo;

2. i periodi aumentano molto lentamente nel tempo e non decrescono mai, a meno di "glitches";

3. sono ottimi orologi. La misura più precisa del periodo di rotazione è stata fatta con 13 cifre significative!

La prima di queste caratteristiche dice che questi oggetti sono oggetti compatti; infatti lo spazio percorso dalla luce in un millisecondo è ∼ 500 km. Questo ci da un limite superiore per le dimensioni della regione di emissione e quindi un limite superiore sulle dimensioni della sorgente stessa. Quindi la sorgente di emissione potrà essere solamente una nana bianca, una stella a neutroni o un buco nero.

Per vedere che le pulsar sono identificabili con stelle di neutroni ruotanti, consid-eriamo dei meccanismi fisici che possono determinare pulsazioni in magnitudine in ambito astrofisico per spiegare la periodicità del segnale. Ad esempio, le pulsar pos-sono trovarsi in un sistema binario, oppure la stella stessa può pulsare o ruotare [26]. Analizziamo caso per caso.

Se consideriamo un sistema binario, frequenze angolari, masse e la separazione a tra i due corpi sono collegati dalla legge di Keplero:

 a km  = 177 M 1+ M2 M 1/3 200 rad s−1 ω !2/3 (4.1)

La separazione di questi oggetti è molto più piccola delle dimensioni di una nana bianca, mentre per una coppia di stelle a neutroni potrebbe essere ancora valida. Questa possibilità viene scartata perché per la relatività generale il sistema deve perdere energia per emissione gravitazionale, ma questo induce un ridursi del para-mentro a ed ad un aumento della frequenza di rotazione che invece è contrario alle osservazioni fatte.

(32)

25

La seconda opzione è quella delle pulsazioni delle stelle. Si è osservato che molte stelle pulsano regolarmente in vari modi con un periodo τ per l’impulso che dipende dalla densità come τ ∝ ρ−1/2. Per stelle normali, queste oscillazioni hanno un periodo tra l’ora e il mese, per nane bianche tra i 102s e i 103s. Per le stelle a neutroni, che sono 108 volte più dense delle nane bianche, i periodi di oscillazione sono 104 volte più piccoli, ovvero più piccoli di 0.8 s. Il periodo più lento misurato per una pulsar è 0.8 s che quindi nessun modello di pulsazione di una stella può spiegare.

L’ultima possibilità rimasta è quella delle stelle rotanti. La velocità di rotazione di una stella non può essere maggiore di quella alla quale la forza centrifuga genera una instabilità. Questo limite si può stimare uguagliando la forza centrifuga all’attrazione gravitazionale alla superficie:

GM r2 > ω 2r (4.2) da cui segue: ¯ ρ = 3M 4πr3 > 2 4πG = 1.3 × 10 14kg m−3 (4.3)

dove abbiamo inserito i valori della Crab. Questo indica che nel caso considerato la densità è troppo alta perchè possa trattarsi di una nana bianca, ma è consistente con i valori di una stella a neutroni.

Grazie a queste considerazioni qualitative, si può ritenere che le pulsar siano stelle di neutroni che ruotano. Tutte le pulsar conosciute emettono in una larga banda

Figura 4.1. Nel grafico sono rappresentati una serie di impulsi della pulsar PSR0329+54. Nelle ascisse il tempo di arrivo, da una origine arbitraria. Nelle ordinate è riportato l’emissione radio della pulsar in esame, in unità arbitrarie. Il periodo tra un impulso e il successivo è di circa 0.714 s. [35]

nelle radiofrequenze e hanno un profilo degli impulsi periodico (vedere Figura4.1). L’intensità dell’impulso cambia di volta in volta e a volte può essere addirittura assente [35, 23]. Per poter studiare la forma dell’impulso, si esegue una media su centinaia di pulsazioni. Per media si intende la misura di impulsi successivi che vengono poi cumulati, ovvero si prendono un numero N di impulsi successivi, vengono integrati e normalizzati. Il profilo dell’impulso così ottenuto si chiama profilo integrato (Figura (4.2)). Su un tempo scala inferiore al millisecondo, la forma dell’impulso può essere studiata come un insieme di sotto-impulsi, che a loro volta possono essere sviluppati in altri sotto-impulsi su tempi scala di analisi dell’ordine della decina di microsecondi. Nonostante queste variabilità del singolo impulso, si trova che la media è stabile. [htbp] Misurando i tempi di arrivo di una serie di questi impulsi mediati si può verificare la precisione dell’impulso stesso e scoprire che la pulsar è un orologio preciso [22].

(33)

26

Figura 4.2. Una sequenza di 100 impulsi dalla pulsar PSR1133+16 registrati a 600 MHz. Nelle ascisse il tempo di arrivo, da una origine arbitraria. Nelle ordinate il numero di impulsi considerato per ottenere la media in figura. Viene messa in evidenza una media su 500 impulsi [11].

(34)

27

Figura 4.3. La figura illustra una possibile teoria evolutiva delle pulsar. Le pulsar sono divise sostanzialmente in 3 popolazioni: quelle che hanno un periodo di rotazione dell’ordine del secondo e che sono il gruppo più numeroso, le milisecond pulsar ovvero quelle che hanno un periodo di rotazione dell’ordine del millisecondo e le magnetar che sono caratterizzate da un grande campo magnetico superficiale (∼ 1011T). Queste ultime non verranno trattate in questa tesi e nell’immagine sono rappresentate da dei quadrati verdi. E’ interessante studiare l’evoluzione della prima categoria. Nel tempo esse aumentano il proprio periodo di rotazione e diminuiscono la derivata di questo finché non raggiungono la cosiddetta death line ed entrano quindi nella regione denominata

graveyard. Qui le pulsar non sono visibili. Per qualche meccanismo, in questa fase

possono riacquistare momento angolare. Allora possono superare nuovamente la death

line spostandosi nella regione delle milisecond pulsar. E’ da notare che le pulsar di questa

(35)

28

Per concludere, grazie a Virgo e LIGO, sono stati dati dei limiti superiori per l’emissione gravitazionale della Crab e la Vela [2][3][5].

(36)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 29

4.1

Modello di dipolo magnetico di Pulsar

Il modello di dipolo magnetico per le pulsar è semplicemente un modello basato sul-la conservazione dell’energia. Il tasso di perdita di energia cinetica viene identificato con il tasso di energia persa per irraggiamento elettromagnetico [16,31].

Supponiamo, per adesso, che l’asse di rotazione non sia allineato con l’asse del dipolo magnetico di un angolo α. In generale, si può scrivere il momento di dipolo magnetico ~m rispetto ad uno dei poli come:

| ~m |= BpR

3

2 (4.4)

dove abbiamo indicato con Bp il campo magnetico calcolato in uno dei poli e con R il raggio della pulsar. L’energia rilasciata da questo campo di dipolo magnetico può essere scritta come:

˙

E = − 2

3c2 | ¨m | (4.5)

Scomponendo il momento di dipolo rispetto all’asse di rotazione e a quelli ortogonali a questo, si arriva al tasso di perdita di energia per irraggiamento elettromagnetico nella forma:

˙

EEM = −

Bp2R6Ω4sin2α

6c3 (4.6)

dove Ω è la frequenza di rotazione della pulsar che è quello dell’onda EM emessa dalla pulsar. Questo energia persa deve corrispondere alla riduzione dell’energia di rotazione Erot= IΩ2/2, con I il momento di inerzia rispetto all’asse di rotazione. Si

ottiene quindi:

˙

EEM = −

Bp2R6Ω4sin2α

6c3 = IΩ ˙Ω = ˙Erot (4.7)

Visto che osserviamo la stella, vediamo che in generale ˙E < 0 e quindi che ˙Ω < 0. La velocità angolare della pulsar quindi diminuisce al passare del tempo.

Utilizzando questo modello possiamo scrivere una stima dell’età τ della pulsar nella forma τ = T0 2  1 −Ω 2 0 Ω2i  (4.8) dove Ω0 è la frequenza di rotazione ai nostri giorni e Ωi è quella nel momento in cui

è nata la pulsar. T0 invece rappresenta un tempo caratteristico riferito al presente definito come: T0 = −  ˙ Ω  0 = 6Ic 3 B2 pR6Ω20sin2α (4.9) Per la Crab, con i dati relativi al 1972, T0 = 2486 yr e τ ∼ 1243 yr che è abbastanza in accordo con le osservazioni storiche che la datano come una pulsar avente T = 918 yr. Questa stima può essere comunque migliorata aggiungendo altri possibili modi di perdita di energia, come quello gravitazionale.

Inoltre, il modello di dipolo magnetico implica per la Crab, un tasso di perdita energetica ˙E = 6.4 × 1031J s−1 che è un’ottima stima in quanto il valore misurato dalla rotazione della pulsar è ˙E = 5 × 1031J s−1.

Un altro punto interessante da studiare è il campo magnetico delle pulsar: questo è particolarmente intenso da circa 1012G fino a circa 1015G. Ad esempio il campo magnetico della Crab BCrab = 5.2 × 1012G. Se paragonati ai campi magnetici di una stella in sequenza principale (∼ 100 G), questi valori sono molto più grandi.

(37)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 30

L’origine di questo campo magnetico è da ricondursi al fatto che la stella a neutroni è un oggetto compatto. Se infatti la consideriamo come una possibile conclusione di una stella nella sequenza principale, allora possiamo considerare che il flusso di campo magnetico si conservi. Se questo è vero, allora BR2= cost. dove B è il campo magnetico e R è il raggio, entrambi della stella. Se prendiamo ad esempio il Sole, e consideriamo RN S ∼ 10 km, calcolando il valore di del campo magnetico di una

eventuale stella di neutroni che ha il sole come progenitore troviamo

BN S = B  R RN S 2 ' 5 × 109B (4.10)

paragonabile a quelli osservati.

Come già accennato, possono esserci altri contributi al bilancio energetico. Una possibilità è la emissione di radiazione gravitazionale. Si può dimostrare che l’energia irraggiata per emissione gravitazionale è legato al parametro di eccentricità  rispetto all’asse di rotazione [1]. Con questa notazione otteniamo:

˙

EGW = −

32G 5c5 I

226 (4.11)

Con le stesse considerazioni del caso elettromagnetico, otteniamo un campo magnetico ∼ 1015G, che è ancora accettabile, e una età della pulsar:

τ = T0 4  1 −Ω 4 0 Ω4i  (4.12) Per la Crab, otteniamo nel caso di sola emissione gravitazionale τ ∼ 621 yr che sappiamo essere troppo piccolo come valore. Viene intuitivo pensare che in realtà questi processi avvengono nello stesso istante e quindi che avranno una certa efficienza caso per caso.

In generale, possiamo parametrizzare il caso generale introducendo un parametro

n chiamato braking index definito da:

˙

Ω = −kΩn (4.13)

dove k è una costante. Si verifica immediatamente che vale

n = Ω ¨˙

Ω2 (4.14)

Per il dipolo magnetico n = 3, per la radiazione gravitazionale n = 5. In realtà, il braking index non sarà mai così netto, ma sarà soggetto a svariate variazioni dovute alle variabili ambientali del sistema fisico. Come esempio, riportiamo sempre la Crab che ha un breaking index pari a n = 2.515 ± 0.005.

Se combiniamo i modelli, otteniamo:

I ˙Ω = −βΩ3− γΩ5 (4.15)

dove I è il momento di inerzia rispetto all’asse di rotazione e β e γ sono dei coefficienti che pesano rispettivamente il modello di dipolo o quello gravitazionale e sono definiti dai coefficienti di (4.6) e (4.11). Usando la stessa procedura per i singoli casi otteniamo che il tempo caratteristico T0 è:

T0 =

I

(38)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 31

Figura 4.4. Nelle figure è rappresentata la relazione tra il periodo P e la sua derivata ˙

P , per circa 1600 pulsar conosciute. Le linee che corrispondono a campi magnetici B

costanti sono riportate in blu, quelle che corrispondono a T costante in verde e quelle che corrispondono a ˙E costante in azzurro. La posizione iniziale è P = 20 ms e ˙P = 10−12. A sinistra, le frecce rosse mostrano l’evoluzione temporale per braking index n = 1,

n = 2.7 e n = 6, dal basso verso l’alto. A destra, invece, sono riportate altre possibili

evoluzioni temporali. In questo caso abbiamo considerato l’angolo tra l’asse magnetico e l’asse di rotazione α e l’intensità del campo magnetico B non costanti nel tempo. Sono quindi rappresentati risultati per diversi possibili braking index, fatti evolvere per 103yr. Si può notare anche una linea a ˙E costante oltre la quale, all’aumentare di P , non è

presente nessuna pulsar. Quella linea è chiamata la death line e la parte in cui non sono presenti le pulsar, il graveyard. [18]

(39)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 32

e l’età τ della pulsar risulta essere:

τ = T0 2 (1 + λ)  1 − µ + λ logλ + µ λ + 1  (4.17)

dove λ = γΩ20/β, µ = Ω20/Ω2i ed abbiamo utilizzato la stessa notazione per i pedici del caso elettromagnetico. Per la Crab, otteniamo dei valori λ = 0.271 e

µ ≤ 0.01 [35,30,17]. Si ottengono anche delle stime per il campo magnetico lungo la linea di vista e per l’eccentricità della pulsar della Crab, Bpsin α = 4.6 × 1012G e

 = 2.9 × 10−4. L’energia totale irraggiata elettromagneticamente può essere definita a partire da (4.6) come:

∆EEM =

Z βΩ4 ˙

dΩ (4.18)

integrata dal valore iniziale Ωi fino a quello attuale. Abbiamo supposto che la frequenza angolare iniziale della Crab fosse Ωi = 104rad s−1. Scopriamo che

elettromagneticamente ∆EEM = 5.9 × 1043J [35].

Sottraendo l’energia elettromagnetica irraggiata alla variazione dell’energia cinetica rotazionale otteniamo una stima dell’energia irraggiata per via gravitazionale:

∆EGW = ∆Erot− ∆EEM ' 7 × 1045J (4.19) Utilizzando la (4.11) e la (4.6) ed i valori di Ω attuali otteniamo le potenze emesse

˙

EGW = 1.4 × 1031J s−1

˙

EEM = 5.1 × 1031J s−1

4.1.1 Magnetosfera

Per ora abbiamo descritto una pulsar trascurando la sua struttura esterna. In realtà essa possiede una magnetosfera molto intensa. La natura dell’emissione elettromagnetica proveniente da una pulsar è strettamente legata alla presenza della magnetosfera.

Per studiarla quantitativamente, supponiamo di avere l’asse di rotazione parallelo all’asse del dipolo magnetico. In questa configurazione, la magnetosfera è limitata da un cilindro detto cilindro luce. Il raggio di questo cilindro descrive la distanza massima di una linea di campo magnetico chiusa della magnetosfera. Questa si stima semplicemente calcolandosi Rc= c/Ω. Le particelle che arrivano a raggiungere questo raggio diventano relativistiche.

Le particelle si muovono lungo le linee del campo magnetico. Come mostrato in figura4.5, le particelle che si muovono sulle linee all’interno del cono luce arrivano a muoversi a velocità relativistiche in prossimità del cono luce. Al di fuori del cono luce, invece, le linee sono aperte perché, se fossero chiuse, le particelle accelerate si muoverebbero con una velocità superiore alla velocità della luce. Queste particelle creano un campo toroidale attorno alla stella. La linea critica riportata sempre nel grafico rappresenta la linea di campo sulla quale il potenziale elettrico è lo stesso del mezzo interstellare esterno. Questa linea divide lo spazio in una regione in cui la corrente di flusso dalla stella è positivo e un’altra in cui è negativo.

Il modello che si integra meglio con la situazione fin quì descritta è quello del Cone

Beam [33,12]. In questo modello, le particelle cariche che vengono strappate dalla superficie nella zona dei poli magnetici, hanno una tale accelerazione da raggiungere velocità relativistiche e viaggiare parallelamente alle linee del campo magnetico B.

(40)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 33

Figura 4.5. Modello di magnetosfera di una pulsar con asse magnetico parallelo a quello di rotazione. La linea tratteggiata rappresenta la regione in cui Bz= 0. I segni + e −

(41)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 34

Poiché le linee di B sono curve, gli elettroni emettono fotoni γ per radiazione di curvatura, in una direzione tangente alla linea del campo. I fotoni così prodotti hanno energie superiori a 1.024M eV e danno luogo alla produzione di coppie e+e−. A loro volta queste particelle danno luogo ad emissione di fotoni per radiazione di curvatura: in questo modo si origina un effetto a cascata di produzione di fotoni. Quindi l’emissione osservata delle pulsar è essenzialmente dovuta al moto delle particelle cariche lungo le linee di forza di B, che genera una radiazione di curvatura a cui è associato un effetto a cascata di produzione di coppie elettrone, positrone e di fotoni. La radiazione elettromagnetica così prodotta, viene focalizzata all’interno di quello che viene definito cono di emissione, il cui asse è l’asse magnetico della stella ed il suo angolo di apertura dipende esclusivamente dalle linee aperte del campo magnetico.

E’ interessante notare come il getto di emissione della pulsar è legato all’angolo

θP sempre riportato in figura 4.5. Questo ci dice che il fascio emesso dalla pulsar è

molto stretto.

4.1.2 Interni Stellari delle Pulsar

Prima di trattare l’emissione gravitazionale, riassumiamo brevemente i tratti generali della struttura interna delle pulsar [35]. Dai grafici in Figura4.6e Figura4.7

possiamo ricavare alcune regole generali.

1. Le stelle con un equazione di stato di tipo stiff hanno un limite superiore per la massa maggiore rispetto alle altre (si spazia da 1.5 M a 2.7 M ).

2. Le stelle con un equazione di stato di tipo stiff hanno una densità centrale più bassa, un raggio maggiore e una crosta più densa.

Una NS è composta da più strati (figura 4.8): una superficie, una crosta esterna, una crosta interna, un core esterno e un core interno. Anche gli strati dipendono principalmente dalla scelta del tipo di equazione di stato utilizzata. In particolar modo possiamo dividere gli strati della NS come:

• la superficie, dove ρ ≤ 106g cm−3.

• la crosta esterna, dove 106g cm−3 ≤ ρ ≤ 4.3 × 1011g cm−3. Qui sono presen-ti nuclei pesanpresen-ti in equilibrio β-stabile con un gas degenere relapresen-tivispresen-tico di elettroni.

• la crosta interna, dove 4.3 × 1011g cm−3 ≤ ρ ≤ ρ, con 2.0 × 1014g cm−3 < ρ< 2.4 × 1014g cm−3. Qui sono presenti reticoli di nuclei ricchi di neutroni insieme ad un superfluido di gas di neutroni e uno di elettroni.

• un core esterno dove ρ≤ ρ ≤ ρcore. Principalmente questa zona è composta da un superfluido di neutroni e marginalmente da uno di protoni e da elettroni. • il core, dove ρ ≥ ρcore. Questa regione può esistere o meno, a seconda del fatto

che si crei un condensato di pioni, o un solido di neutroni, o quark matter o possibili altre transizioni da un liquido di neutroni.

Se l’equazione di stato è stiff, allora la densità centrale, considerando la massa della stella di neutroni MN S = 1.4 M , dovrà essere ρcore≤ 10 × 1015g cm−3

(42)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 35

Figura 4.6. La massa di una stella a neutroni, espressa in masse solari, in funzione del sua raggio per diverse possibili equazioni di stato [35].

(43)

4.1 Modello di dipolo magnetico di Pulsar 36

Figura 4.7. La massa di una stella a neutroni, espressa in masse solari, in funzione della densità centrale delle pulsar per diverse possibili equazioni di stato. [35]

(44)

4.2 Emissione Gravitazionale 37

Figura 4.8. In grafico riportiamo una possibile struttura di una NS. [20]

4.2

Emissione Gravitazionale

In approssimazione di quadrupolo ed adiabatica possiamo studiare il problema dell’emissione da una stella rotante seguendo un semplice schema. Anzitutto risolvi-amo il problema classico della rotazione di un corpo rigido, trascurando l’effetto dell’emissione dell’onda gravitazionale. Una volta fatto questo, possiamo valutare l’emissione in approssimazione di quadrupolo. In questo modo otteniamo anche l’energia e il momento angolare perso. Possiamo allora scrivere le equazioni per il bilancio energetico di queste due quantità.

Introduciamo la notazione. Un corpo rigido è caratterizzato dal suo tensore di inerzia:

Iij = Z

d3x ρ(x)(r2δij − xixj) (4.20) dove ρ è la densità di massa del corpo, δij è la delta di Kronecker. Nel sistema inerziale solidale con il centro di massa del corpo energia e momento angolare si scrivono E = 1 2I ijω iωj (4.21) Li= Iijωj (4.22)

dove ωi sono le componenti della velocità angolare del corpo. Si tratta dunque di

scegliere delle coordinate convenienti per parametrizzare queste due quantità. Una scelta comune sono i tre angoli di Eulero che descrivono la rotazione dal sistema inerziale del laboratorio ad un sistema fissato al corpo. Questo corrisponde alla convenzione già discussa precedentemente, illustrata in figura3.2e riassunta nella matrice di trasformazione T definita in (3.24).

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