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Il ruolo delle sinergie motorie nella percezione dei movimenti di prensione della mano. Analisi di dati di risonanza magnetica funzionale.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Biologia

Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

Tesi di Laurea Magistrale

“Il ruolo delle sinergie motorie nella percezione dei movimenti di

prensione della mano. Analisi di dati di risonanza magnetica

funzionale”

Candidato: Relatore:

Francesca Quarta Prof. Emiliano Ricciardi

Correlatori:

Prof. Matteo Caleo Prof.ssa Rossana Scuri

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Riassunto Il controllo del movimento della mano è uno degli argomenti più indagati dalla ricerca neuroscientifica. Uno dei modelli ipotizzati per spiegare il controllo accurato di un numero molto ampio di effettori (muscoli e articolazioni della mano) prevede il loro raggruppamento in un numero ridotto di moduli funzionali denominati sinergie, corrispondenti a primitive motorie ben individuabili (ad esempio l’opposizione del pollice).

L’esistenza delle sinergie è stata confermata da osservazioni comportamentali e i loro correlati funzionali sono stati individuati nell’attività cerebrale associata all’esecuzione di movimenti complessi nell’animale e nell’uomo.

In questa tesi l’attività cerebrale esistente durante la percezione di movimenti di prensione è stata studiata tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI). I pattern di attività cerebrale relativi all’osservazione di gesti sono stati predetti mediante tecniche di analisi multivariata, sulla base di un numero ridotto di sinergie posturali.

Le regioni in cui è stato possibile predire l’attività fMRI corrispondono a quelle che rappresentano gli atti motori percepiti tramite sinergie, analogamente a quanto si verifica durante la messa in atto dei medesimi movimenti.

Per l’acquisizione dei dati è stato utilizzato lo scanner MRI della Fondazione G. Monasterio (Massa) e l’analisi dei dati è stata svolta presso il laboratorio di Biochimica Clinica dell’Università di Pisa.

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Indice

Capitolo 1 ... 5

Il Movimento della mano ... 5

1.1 Il Sistema motorio ... 5

1.1.1 Il sistema motorio corticale ... 8

1.1.2 La risonanza magnetica funzionale e la mappa motoria della mano ... 15

1.2 Modelli per il controllo motorio ... 18

1.2.1 La ridondanza ... 21

1.2.2 Strategie per risolvere la ridondanza ... 23

1.3 Sinergie: evidenze comportamentali. ... 26

1.4 Basi neurali delle sinergie della mano ... 30

Capitolo 2 ... 33

La percezione dei gesti ... 33

2.1 Il sistema di percezione: le vie della visione. ... 33

2.2 Percezione e comprensione delle azioni: la scoperta dei neuroni specchio. ... 36

2.2.1 Il sistema specchio nell’uomo ... 39

2.3 La comprensione delle azioni: il comportamento di risonanza ... 41

2.4 La percezione delle sinergie ... 43

Capitolo 3 ... 44

Materiali e metodi ... 44

3.1 Scopo del lavoro ... 44

3.1.1 Tecniche di statistica multivariata applicate all’fMRI. ... 45

3.2 Atlante ... 48

3.3 Esperimento fMRI ... 49

3.3.1 Soggetti ... 49

3.3.2 Specifiche di acquisizione fMRI ... 49

3.3.3 Paradigma sperimentale ... 51

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3.4 Analisi dei dati: fMRI preprocessing ... 55

3.5 Registrazione in spazio standard ... 57

3.6 Encoding ... 60

3.6.1 Analisi di encoding su singolo soggetto ... 61

3.6.2 Analisi di gruppo ... 63

Capitolo 4 ... 64

Risultati ... 64

4.1 Regioni ad accuratezza sopra-soglia ... 64

4.2 Mappe dei risultati ... 66

Capitolo 5 ... 69

Discussione ... 69

5.1 Utilizzo del codice sinergico in osservazione. ... 69

5.2 Regioni che rappresentano gli atti motori percepiti attraverso le sinergie ... 70

5.2.1 Lobo Frontale ... 70

5.2.2 Lobo Parietale ... 73

5.2.3 Lobo temporale ... 74

5.2.4 Limitazioni dello studio ... 75

5.3 Conclusioni ... 76

Bibliografia ... 77

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Capitolo 1

Il Movimento della mano

1.1 Il Sistema motorio

Il movimento di qualsiasi distretto corporeo è permesso dall’attività di uno o più dei circa 640 muscoli che compongono il corpo umano, tutti controllati dal sistema nervoso centrale (SNC). All’interno del SNC, alcune strutture corticali e sottocorticali sono deputate al controllo di ogni aspetto dei movimenti, come l’elaborazione di informazioni sensoriali provenienti dal nostro corpo (propriocettive) e dall’ambiente circostante, la produzione di comandi che generano movimenti coordinati, e il controllo costante sul movimento mano a mano che esso viene eseguito.

La programmazione dei movimenti, infatti, richiede informazioni sulla posizione del corpo e sull’ambiente in cui il movimento sarà eseguito. La rappresentazione interna dei movimenti è continuamente aggiornata, per tutta la durata della loro esecuzione, da informazioni sensoriali interne ed esterne al fine di assicurare l’accuratezza del movimento stesso. Gli esecutori dei comandi motori prodotti in conformità a tali informazioni sono sempre i muscoli. (Kandel, Principi di Neuroscienze, 2015).

Nel passato alle aree motorie si attribuivano compiti meramente esecutivi, privi di alcuna valenza percettiva o cognitiva. Secondo i modelli attuali, basati su osservazioni neuropsicologiche e funzionali, il sistema motorio è formato da un

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uditive, tattili e dotate di proprietà funzionali molto complesse. I segnali in uscita (comandi motori) derivano da segnali sensoriali in ingresso che raggiungono un circuito ben definito di regioni a livello del quale sono compiute trasformazioni sensori-motorie.

Il sistema motorio frontale, ossia quella parte di sistema nervoso che occupa il giro precentrale, è costituito da tre aree: l’area motoria primaria o area M1, l’area premotoria (PM) e l’area motoria supplementare (SMA). Queste regioni furono denominate ‘motorie’ quando si scoprì che stimolando elettricamente la superficie di un’area circoscritta di corteccia, in mammiferi sottoposti a forme diverse di anestesia, si riusciva a evocare delle risposte nell’emisoma controlaterale dell’animale da esperimento (Carlson e collaboratori, 2009). Al sistema motorio appartengono anche altre aree, localizzate nella corteccia parietale, che contengono rappresentazioni dello spazio peri-personale e dunque guidano i movimenti di raggiungimento e di prensione che avvengono all’interno di questo spazio. Nella corteccia della scimmia, l’area intra-parietale ventrale (VIP) è situata in fondo al solco intra-parietale e costituisce insieme a una parte della corteccia premotoria uno dei nodi principali della via (stream) dorsale. I neuroni di quest’area consentono probabilmente la costruzione di una mappa dello spazio peri-personale necessaria per i movimenti di raggiungimento.

Altre aree appartenenti al lobo parietale e situate anch’esse in profondità del solco intraparietale, come l’area intraparietale anteriore (AIP) e l’area intraparietale laterale (LIP), sono invece fondamentali per attuare movimenti di prensione. I confini “funzionali” delle varie regioni sono sfumati e non bisogna pensare che ogni

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zona della corteccia cerebrale agisca come un elemento indipendente. Un esempio della ridondanza funzionale è rappresentato dal fatto che alcuni compiti che canonicamente sono stati associati a PM o a SMA spesso sono eseguiti da M1.

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1.1.1 Il sistema motorio corticale

A metà del XIX secolo il neurologo inglese John Hughlings Jackson avanzò l’ipotesi che una regione della corteccia cerebrale disposta anteriormente al solco centrale avesse un ruolo nella genesi dei movimenti. L’ipotesi di Jackson ha fatto da potente supporto all’idea che funzioni diverse siano localizzate in regioni distinte della corteccia (Forester e collaboratori, 1936; Sherrington e collaboratori, 1901; Cushing e collaboratori, 1909). Tuttavia solo in seguito, quando fu possibile condurre ricerche stimolando direttamente la corteccia cerebrale di soggetti viventi, si è riusciti a dimostrare in modo univoco che una regione circoscritta del cervello è devoluta a funzioni motorie. Gli studi di Campbell e Brodmann dimostrarono che la corteccia può essere suddivisa in sotto-regioni anche in base alle sue caratteristiche ultrastrutturali. I loro studi evidenziarono che la corteccia precentrale non contiene i sei strati caratteristici di gran parte delle restanti regioni cerebrali: non possedendo uno strato granulare interno, fu denominata corteccia agranulare.

La corteccia precentrale, posta nel lobo frontale, anteriormente al solco centrale, è stata suddivisa da Brodmann in due aree citoarchitettoniche distinte: l’area 4 e l’area 6. L’area 4 fu definita corteccia motoria primaria (M1) e l’area 6 corteccia premotoria. Poi, in seguito all’acquisizione di nuovi dati osservazionali alcuni studiosi ipotizzarono che l’area motoria primaria potesse essere ulteriormente suddivisa in sotto-regioni, e che ciascuna di queste garantisse il movimento di un particolare distretto corporeo. Secondo questa ipotesi il movimento di distretti corporei adiacenti è promosso da neuroni corticali contigui.

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A metà del Novecento, tramite stimolazione elettrica della corteccia motoria primaria (della scimmia e dell’uomo, mediante macroelettrodi posti sulla superficie cerebrale) si è ottenuta la prima dimostrazione sperimentale della somatotopia (Woolsey e collaboratori 1952; Woolsey e collaboratori 1958; Penfield e collaboratori, 1950). I lavori di Penfield e Woolsey hanno evidenziato che l’area motoria primaria non contiene una rappresentazione punto-punto del corpo, ma che i distretti del corpo più finemente controllati, come le dita della mano, sono rappresentati nella mappa motoria in aree sproporzionatamente grandi, la cui estensione è correlata col grado di finezza del controllo motorio. Woolsey e collaboratori hanno suddiviso in seguito la corteccia premotoria in una parte mediale (l’area motoria supplementare) e una laterale (corteccia premotoria laterale).

Recentemente in base alla diversa distribuzione recettoriale l’area 4 di Brodmann è stata suddivisa in un segmento anteriore 4a e un segmento posteriore 4p (Geyeret e collaboratori, 1996); similmente, l’area motoria supplementare (SMA) contenuta nell’area 6 di Brodmann è stata suddivisa in due segmenti: l’area motoria supplementare propriamente detta e l’area motoria pre-supplementare (Zilles e collaboratori, 1995). Le aree appartenenti al sistema motorio parietale (scoperte tramite registrazioni da singolo neurone applicate alla corteccia di scimmie che compivano movimenti di raggiungimento e prensione) sono interconnesse alla corteccia premotoria e contengono una rappresentazione dello spazio peri-personale. Le aree parietali coinvolte in questo tipo di movimenti sono localizzate nella corteccia parietale posteriore e in fondo al solco intraparietale. Esse sono coinvolte nell’integrazione dei comandi motori con le informazioni sensoriali.

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La corteccia motoria primaria è caratterizzata dalla presenza nello strato V di cellule denominate cellule di Betz, cellule piramidali giganti. Le cellule piramidali di Betz, insieme alle altre cellule piramidali proiettano monosinapticamente ai motoneuroni spinali e per questo sono denominate cortico-motoneuroni. I motoneuroni del midollo spinale che ricevono afferenze da queste cellule con la loro attività dirigono la contrazione dei muscoli cui sono collegati.

La proiezione monosinaptica della corteccia motoria primaria ai motoneuroni spinali è particolarmente ricca nel caso dei motoneuroni che innervano i muscoli della parte distale del braccio, della mano e delle dita. Le teorie sull’organizzazione somatotopica e alcune osservazioni sperimentali negli animali hanno portato a ipotizzare che queste proiezioni così abbondanti permettano di controllare in maniera indipendente i movimenti della mano e delle dita. Nonostante questa potenziale capacità, altri autori hanno ipotizzato che nelle scimmie e nell’uomo la maggior parte degli atti motori della mano e delle dita possa realizzarsi tramite combinazioni diverse di configurazioni stereotipate della mano e delle dita e di movimenti coordinati del polso e delle dita.

Le aree motorie corticali sono inoltre interconnesse tra loro da una serie di proiezioni che possono essere convergenti o divergenti. La corteccia motoria primaria e l’area motoria supplementare ricevono afferenze somatotopiche dalla corteccia somatosensoriale primaria e dalla corteccia parietale rostrale, mentre le aree premotorie ricevono afferenze da aree poste in porzioni più caudali e laterali della corteccia parietale. Queste afferenze somatosensoriali e parietali forniscono informazioni sensoriali necessarie per guidare gli atti motori.

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Per distinguere le diverse regioni della corteccia motoria sono stati necessari studi istologici e anatomici e, soprattutto, studi funzionali orientati alla comprensione del ruolo funzionale delle diverse regioni cerebrali. Studi con questo scopo utilizzano tecniche come la registrazione dei Local Field Potentials, l’elettrocorticografia e la registrazione e la microstimolazione intra-corticale (la prima consente di conoscere l’attività di singole cellule durante l’esecuzione di un compito, la seconda consente di somministrare scariche elettriche a piccoli gruppi di neuroni con lo scopo di osservare il risultante atto motorio). Queste tecniche registrano un tipo particolare di segnali elettrofisiologici, costituiti dalla corrente prodotta da un gruppo di sinapsi in un certo volume di tessuto; il voltaggio è quindi dato dalla somma delle correnti sinaptiche che scorrono attraverso lo spazio extracellulare locale.

L’area individuata come corteccia motoria primaria richiede piccole stimolazioni elettriche per generare movimento e, se stimolata, elicita movimenti semplici attivando i circuiti motori del midollo spinale. La corteccia pre-motoria ha bisogno di stimolazioni maggiori per produrre movimenti e si è dimostrata specializzata per la codifica di caratteristiche di ordine superiore del controllo motorio. Essa, con la sua attività, garantisce la genesi di movimenti più complessi e influenza il movimento in modo più indiretto, attraverso proiezioni alla corteccia motoria primaria. La stimolazione dell’area motoria supplementare è in grado di evocare movimenti di entrambi i lati del corpo o può provocare l’arresto di movimenti volontari già iniziati (Rizzolatti e collaboratori, 1998).

I gesti di “afferramento” (in inglese: grasping) sono stati oggetto prediletto di studio per molti studiosi del movimento trattandosi di atti motori complessi funzione di

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due processi indipendenti: raggiungere e afferrare. Si è scoperto che questi due processi iniziano e si svolgono in parallelo. Mediante l’apposizione di microelettrodi (che permettono di registrare l’attività di singole cellule nella scimmia durante l’esecuzione di compiti di grasping) sono state identificate tre regioni che permettono questo tipo di atto motorio: le aree F1, corrispondente alla corteccia motoria primaria, F5 situata nella corteccia premotoria e l’area intraparietale anteriore AIP. Mentre molti neuroni della corteccia motoria primaria (F1) scaricano prevalentemente durante l’esecuzione del movimento essendo essi connessi con i muscoli intrinseci ed estrinseci della mano (Miur & Lemon, 1983), le cortecce premotorie (F5) e parietali (AIP) contengono più neuroni che sono vigorosamente attivati durante le fasi di pianificazione.

L’attività neurale generata nella fase di pianificazione fornisce informazioni sull’atto motorio che ci si accinge a eseguire. L’attività di singole cellule nervose durante la pianificazione di compiti di grasping contiene informazioni concernenti la sede del bersaglio, la direzione del movimento del braccio e la configurazione della mano necessaria per prendere un oggetto. Tale attività può codificare anche aspetti di ordine superiore, come lo scopo e l’importanza della ricompensa che ci si attende (Fagg e collaboratori, 1998; Rizzolatti e collaboratori, 2001).

Il lobo parietale costituisce il bersaglio primario della via (stream) visiva dorsale (Kravitz e collaboratori, 2011) anche definita via del “dove” o del “come”. Il lobo parietale è quindi capace di estrarre informazioni sul mondo esterno e sul proprio corpo permettendo la pianificazione e la guida dei movimenti (Gallivan e collaboratori 2011; Tunik e collaboratori 2005; Tunik e collaboratori 2007).

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L’area F5 rende possibile utilizzare le affordance di un oggetto elaborate dall’area intraparietale anteriore per elaborare atti motori appropriati (Fagg e collaboratori, 1998). Il termine affordance fu introdotto da James Gibson per indicare le parti di un oggetto che permettono di manipolarlo con efficienza, offrendo quindi particolari opportunità di azione (Gibson, The Ecological approch to visual perception, 1979).

Le regioni della mappa motoria che sono state studiate in modo più approfondito sono quelle che controllano il braccio e la mano. Recenti studi di microstimolazione eseguiti sui macachi hanno evidenziato come i neuroni che controllano i muscoli delle dita, della mano e della parte distale del braccio tendono a concentrarsi all’interno di una zona centrale, circondata da una zona che contiene i neuroni destinati al controllo dei muscoli della parte più prossimale del braccio, disposti in modo da formare una sorta di ferro di cavallo che circonda la zona centrale. Una terza area contiene le popolazioni dei neuroni che controllano sia la parte distale sia quella prossimale del braccio, tali popolazioni si sovrappongono in maniera cospicua a livello della zona di co-facilitazione prossimo-distale (Park e collaboratori, 2001; Rathelot e collaboratori, 2009).

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Da successivi studi è emerso che la corteccia motoria contiene delle zone funzionali, la cui stimolazione elettrica sembra evocare una categoria etologicamente rilevante di comportamenti. I gesti evocati dalla stimolazione di queste zone sono, ad esempio, quelli della mano verso la bocca dell’animale o quelli difensivi che prevedono la chiusura dell’occhio destro, il drizzamento delle orecchie e l’orientamento della testa verso la sinistra. I movimenti del braccio diretti nella parte superiore dello spazio sono tipicamente evocati dalla corteccia motoria ventrale, mentre quelli diretti nello spazio inferiore sono evocati dalla corteccia motoria dorsale (Graziano, 2015).

Figura 2: Gesti complessi etologicamente rilevanti evocati mediante la stimolazione intra corticale per 500ms

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1.1.2 La risonanza magnetica funzionale e la mappa motoria della mano

L’introduzione di tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale ha permesso lo studio della mappa motoria dell’uomo in vivo. La risonanza magnetica è in grado di valutare la risposta emodinamica correlata all’attività neuronale del cervello. Basandosi sull’assunto che l’emoglobina ossigenata e quella desossigenata hanno caratteristiche magnetiche diverse (in particolare l’emoglobina è diamagnetica quando ossigenata e paramagnetica quando non ossigenata) è possibile valutare il contrasto BOLD usando un’appropriata sequenza di segnali di risonanza magnetica nucleare (Blood Oxygenation Level Dependent). Il segnale BOLD è misurato mediante una rapida acquisizione volumetrica d’immagini. Il segnale è valutato in ciascuna piccola porzione dell’encefalo (pochi mm cubi) definita voxel, che rappresenta la misura dell’attività di qualche migliaio di neuroni (Logothetis & Wandell, 2004). Esso rappresenta per questo motivo una misura indiretta dell’attività neuronale in funzione dei cambiamenti di emoglobina ossigenata nei diversi distretti.

Il segnale è misurato nel tempo, e poi sottoposto a una fase di preprocessing che è costituita da alcune operazioni per correggere il movimento ed eliminare quanto più possibile gli artefatti derivanti da problemi di acquisizione (sorgenti di rumore intrinseche dello scanner o comunque collegate con il processo di acquisizione dei dati) oppure dipendenti dal soggetto (movimento, artefatti autonomici collegati alla frequenza cardiaca o respiratoria). In seguito a questo primo trattamento, il segnale può essere analizzato mediante l’operazione di deconvoluzione che consiste nel calcolo di una misura di adattamento tra il tempo standard di attivazione del voxel (la funzione di risposta emodinamica, HRF) e il tempo reale di attivazione. I punteggi ottenuti

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mediante questa operazione permettono di costruire una mappa statistica parametrica che è espressione dell’attività fMRI. Le ricerche condotte fino a oggi con l’intento di analizzare in modo dettagliato la mappa motoria del braccio e della mano hanno evidenziato un grado notevole di sovrapposizione dei siti che controllano i vari muscoli.

Studi funzionali con paradigmi di diversa complessità sono stati eseguiti per investigare le basi neurali del movimento della mano. I primi esperimenti hanno misurato il segnale fMRI durante semplici movimenti di ‘tambureggiamento’ (tapping) delle dita (Dechent e collaboratori, 2003; Hulstik e collaboratori 2001; Indovina e collaboratori, 2001); i successivi hanno valutato i livelli di attivazione durante movimenti della mano più complessi, con oggetti immaginati (Moll e collaboratori, 2000) o reali (Gallivan e collaboratori, 2013). Gli studi suddetti hanno chiarito che la corteccia parietale superiore e l’area intra-parietale hanno il compito di attuare le trasformazioni sensori-motorie necessarie per adattare la mano durante il movimento di grasping che sta cominciando.

Gallivan ha dimostrato in seguito che l’attività della parte anteriore del solco intra-parietale (IPS), omologo di AIP nella scimmia, è necessaria per dirigere i movimenti che permettono l’interazione con gli oggetti. L’attività distingue questa regione mentre il soggetto compie prese appartenenti a entrambe le classi di gesti di afferramento descritte da Napier alla fine del secolo scorso: la presa di precisione (l’opposizione dell’indice o del medio al pollice) e la presa di forza (la chiusura delle dita sul palmo). Gli studi di risonanza magnetica funzionale hanno sostanzialmente confermato i risultati degli studi elettrofisiologici condotti per determinare il funzionamento dell’architettura neuronale che presiede al movimento della mano: la

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corteccia motoria primaria è l’effettore del sistema prefrontale e parietale che ha il compito di pianificare i movimenti e guidare le interazioni con gli oggetti basandosi sulle caratteristiche visive e propriocettive dell’oggetto consegnate dalla via visiva occipito-parietale.

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1.2 Modelli per il controllo motorio

Lo studio del controllo motorio indaga come il sistema nervoso interagisce con altre parti del corpo e con l’ambiente per produrre azioni propositive, volontarie e coordinate. I principi che stanno alla base del controllo motorio sono stati motivo d’interesse per le menti più sensibili in ogni epoca. La storia dello studio del movimento umano e animale iniziò con Aristotele e la sua opera De motu animalium. Cercando di rispondere alla domanda “come si muovono gli esseri viventi?”, egli diede il via alla speculazione scientifica sull’attività motoria, che trova nella biomeccanica moderna il campo di studio più importante. Nel Rinascimento il problema del moto rinnovò l’interesse di studiosi come Leonardo da Vinci, che seguì l’impostazione aristotelica, e vide il moto come l’effetto dell’intervento di forze che agiscono su oggetti spostandoli da una situazione di equilibrio a un'altra. La biomeccanica nacque in seguito con Giovanni Alfonso Borelli, che pubblicò un testo, intitolato anch’esso De motu animalium, dove l’idea enunciata da Aristotele, di considerare il movimento umano e animale come un sistema articolato di segmenti mossi da forze, trovò una formulazione precisa e articolata alla luce delle leggi della meccanica individuate nel frattempo da Newton. La preoccupazione dominante della speculazione scientifica dopo Borelli fu di indagare in modo più attento la natura delle forze che generano il movimento. Preoccupazione che sarà l’obiettivo principale della speculazione Cartesiana. Secondo Cartesio il movimento non può essere direttamente rilevato dall’uomo che deve quindi approcciarsi a esso in termini qualitativi più che quantitativi; esso è un fenomeno razionale prima che materiale. L’intuizione cartesiana del riflesso (Descartes, 1662),

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concepito come risposta dell’essere vivente a stimoli provenienti dall’ambiente avrà un ampio sviluppo nei successivi studi fisiologici.

I modelli per il controllo motorio proposti nell’ultimo secolo derivano principalmente dal lavoro delle tre più importanti scuole di pensiero che si sono occupate di questo problema: la scuola comportamentista, cognitivista ed ecologica. La scuola comportamentista si sviluppò nella prima metà del novecento, i suoi maggiori esponenti furono Skinner e Pavlov, che si occuparono di determinare la causa del movimento più che di indagare nel dettaglio sui meccanismi con cui i movimenti sono messi in atto. Ne sono un esempio gli esperimenti sui movimenti condizionati di Pavlov.

Il modello cognitivista cerca di spiegare i processi che il sistema nervoso mette in atto per realizzare il movimento. Per la scuola cognitivista, nel sistema nervoso centrale avvengono processi di elaborazione i cui scopi sono la preparazione della risposta, la regolazione e la correzione della fase esecutiva, fra il momento della necessità e la risposta (Edelman, Sulla materia della mente, 1993). Il neurofisiologo Nikolai Bernstein diede rilievo alla domanda chiave della ricerca sul controllo motorio: come fa il sistema nervoso centrale a controllare i tanti gradi di libertà delle strutture partecipanti; come risolve i problemi derivanti dalla necessità di computare un enorme numero di variabili per ogni compito. Il quesito prende il nome di problema di Bernstein, o problema della ridondanza.

Bernstein immaginò il sistema motorio come un sistema gerarchico (multi-level system) con livelli diversi dedicati al controllo di aspetti specifici del movimento richiesto; i livelli inferiori sono dedicati ad aspetti basilari del movimento, i livelli

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superiori si occupano dell’organizzazione di movimenti complessi comparsi nell’etologia degli animali più evoluti. Il fisiologo russo immaginò quindi il flusso dei comandi motori dal SNC alla periferia fosse un sistema complesso con stadi di elaborazione multipli.

Il pensiero ecologico si è sviluppato negli anni Settanta con Gibson e Turvey. Esso enfatizza l’importanza dell’ambiente nella strutturazione di coerenti processi percettivi e motori. Secondo i ricercatori l’ambiente stesso, nel contesto di un azione, fornisce delle informazioni specifiche (affordances) che il processo sensorimotorio deve solo imparare a ‘cogliere’, semplificando enormemente il normale ciclo percezione-movimento.

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1.2.1 La ridondanza

Una volta stabilito un compito motorio, i piani per attuarlo non sono predeterminati. In un compito di reaching ad esempio, la mano può muoversi verso un bersaglio seguendo un numero infinito di traiettorie, e per ciascuna sono possibili innumerevoli percorsi. Una volta stabilita traiettoria e velocità, ogni punto del percorso può essere inquadrato all’interno di un insieme di combinazioni di angoli articolari; data la possibile sovrapposizione delle azioni di diversi muscoli e la possibilità di co-contrazione, ogni configurazione del braccio nello spazio può essere raggiunta tramite un numero potenzialmente infinito di combinazioni. La caratteristica di eseguire un particolare compito motorio in parecchi modi diversi è detta ridondanza. La ridondanza appartiene a tutti i livelli del sistema motorio (muscoli, articolazioni, neuroni): infatti, le contrazioni dei muscoli o l’attivazione dei neuroni possono essere descritte come entità ridondanti allo stesso modo della posizione degli arti. Se da un lato la ridondanza offre possibilità diverse per svolgere qualsiasi atto motorio, allo stesso tempo essa rende difficile il compito computazionale del SNC: la possibilità di svolgere lo stesso movimento in più modi diversi obbliga ad una scelta continua tra più strategie motorie in potenziale concorrenza tra loro. I criteri adottati dal SNC per regolare questa scelta sono uno dei principali argomenti nello studio del controllo motorio: lo stesso Bernstein esaminò il problema nella sua opera La co-ordinazione e la regolazione dei movimenti. Il neurofisiologo russo osservò che il numero degli elementi del sistema motorio è sempre maggiore del numero dei vincoli relativi a un compito; questi vincoli sono fondamentali per mantenere la stabilità e la direzione dei movimenti (Bernstein, 1967).

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Bernstein immaginò quindi che il sistema motorio cercasse di risolvere, per ciascun compito, un sistema di tre equazioni con incognite multiple (i DoFs sono tre generalmente, per la posizione di un arto in uno spazio tridimensionale). Un sistema del genere può essere risolto in un numero di soluzioni potenzialmente infinito, in altre parole è ridondante. Anche durante i processi di apprendimento motorio il nostro SNC è alla ricerca della soluzione migliore e più veloce al problema del controllo dei DoFs ridondanti. La gestione di questa enorme complessità spetta al SNC, che secondo Bernstein non può semplicemente sopprimere i DoFs, ma deve affidarsi a strategie di raggruppamento e accordatura di tutti i gradi di libertà del corpo per rendere il nostro sistema motorio il più adattabile possibile. Infatti, nonostante l’alto grado di ridondanza, ogni individuo potrebbe adottare un numero limitato di schemi di esecuzione di un compito motorio utilizzando associazioni stabili fra le componenti del movimento dette “sinergie motorie”. Esse rappresentano una soluzione al problema della ridondanza.

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1.2.2 Strategie per risolvere la ridondanza

Una delle soluzioni che il sistema nervoso centrale può attuare per controllare il problema della ridondanza è ridurre il numero di gradi di libertà totali a quelli necessari per eseguire l’operazione. Tale “congelamento” dei gradi di libertà fu postulato da Bernstein. Questa posizione nasce dall’osservazione che in alcune circostanze il movimento avviene all’interno di un sub-spazio, appartenente allo spazio totale, in cui il movimento è meccanicamente possibile. La prova di tali vincoli viene dalla legge di Donders applicata ai movimenti oculari che riflette una forma astratta di “congelamento” in cui combinazioni di DoFs sono costrette a cambiare lungo una particolare direzione dello spazio di movimento. La nozione di eliminazione dei gradi di libertà è valida principalmente a livello cinematico, ma non risolve il problema della ridondanza a livello di forze, muscoli o unità motorie.

Teorie alternative sono basate sull’ottimizzazione dei gradi di libertà e consistono nella minimizzazione di una funzione di costo. Secondo questo principio, i sistemi motori seguirebbero le regole dell’ottimizzazione: ogni sistema motorio può essere rappresentato da una serie di equazioni a più incognite con una funzione di costo che esprime l’errore compiuto nell’esecuzione del movimento (la differenza tra le posizioni reali degli effettori e quelle attese). La traiettoria che è eseguita è quella associata al minor valore della funzione di costo, corrispondente a uno scarto minimo tra il movimento ottimale e quello realmente eseguito.

Una terza soluzione al problema della ridondanza è sempre associata al nome di Bernstein ed è rappresentata dalle sinergie muscolari. Lee parlò di sinergie

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neuromotorie nel 1984 nell’osservazione di alcuni riflessi, e prima di lui Sherrington nel 1910 aveva ipotizzato che il sistema nervoso controllasse i muscoli del corpo organizzandoli in gruppi funzionali, ma le prime evidenze sperimentali arrivarono in seguito. La parola “sinergia” deriva dal greco συνεργο ossia ‘sin’ (insieme) e ‘ergos’ (lavoro), che indica l’azione combinata e contemporanea di più elementi nella stessa attività o per il raggiungimento dello stesso scopo; il rendimento raggiunto è maggiore di quello ottenuto dai vari elementi separati. Questo concetto spiega perfettamente ciò che le sinergie motorie rappresentano, ossia la collaborazione contemporanea di più unità che facilitano la realizzazione dei movimenti, migliorando il controllo che il sistema nervoso centrale esercita sugli effettori periferici (muscoli e articolazioni). Turvey ha definito le sinergie come “una collezione di gradi di libertà relativamente indipendenti che si comportano come un’unità funzionale”. Le sinergie muscolari sono i mattoni necessari per la costruzione degli atti motori: ogni movimento può essere, infatti, espresso come la combinazione di un piccolo numero di sinergie. Facendo ricorso a una semplice metafora: così come una particolare disposizione delle note compone un accordo musicale, ciascuna sinergia muscolare dirige il modo con cui un particolare muscolo dovrebbe essere attivato insieme con gli altri. Così come una nota contribuisce ai vari accordi musicali, ciascun muscolo prende parte a più di una sinergia. Bernstein sostiene che, poiché il sistema nervoso non può controllare tutti i gradi di libertà, l’evoluzione abbia selezionato un repertorio di movimenti semplici o complessi che possiamo chiamare ‘movimenti naturali’ e che coinvolgono gruppi di muscoli e di segmenti corporei che lavorano insieme. Quando alcune sinergie sono attivate contemporaneamente, le caratteristiche dell’attività dei vari muscoli danno

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l’impressione di trovarsi di fronte a un fenomeno di grande complessità in cui non è individuabile una strutturazione. Ma l’attivazione contestuale di più sinergie semplifica i segnali che compongono i comandi neurali per il movimento e assicura due caratteristiche fondamentali cui il controllo motorio tende: adattabilità e flessibilità. Ad esempio in un compito di grasping l’adattabilità e la flessibilità del sistema di controllo consente di distribuire le forze che tengono l’oggetto in modo diverso a seconda di eventi specifici e contingenti, come tenere due tazze in una sola volta, o afferrare nonostante un dito spezzato.

A livello muscolare le sinergie diminuiscono il lavoro computazionale del SNC perché permettono il raggruppamento dei muscoli all’interno di moduli funzionali che si attivano simultaneamente (Latash e collaboratori, 2012). Un modulo rappresenta un’unità funzionale del sistema nervoso centrale che genera una certa risposta motoria e impone un pattern specifico di attivazione muscolare.

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1.3 Sinergie: evidenze comportamentali.

Per rilevare le caratteristiche del movimento sono stati preparati strumenti in grado di rilevare gli angoli articolari necessari al modellamento (preshaping) della mano finalizzato a prese specifiche. Tali registrazioni posturali sono state possibili grazie a strumenti come il CyberGlove, un guanto sensorizzato che consente di registrare la posizione di una serie di articolazioni della mano e delle dita. In uno studio importante condotto mediante questo strumento (Santello e collaboratori, 1998) è stata registrata una serie di angoli articolari stabili che è stata poi semplificata attraverso una tecnica di riduzione lineare della dimensionalità adoperata nell’ambito della statistica multivariata (Analisi delle componenti principali – Principal Component Analysis, o PCA). Le posture furono registrate mentre i soggetti imitavano una serie di gesti di presa rivolti verso oggetti di uso comune che, però, non erano presenti fisicamente durante gli esperimenti. L’utilizzo della tecnica della PCA ha permesso di ridurre le variabili del sistema, corrispondenti alle posizioni delle articolazioni della mano, a un insieme di misure ponderate lineari ordinate in base alla varianza. Queste componenti rappresentano le sinergie impiegate per il set di posture. L’utilizzo della PCA ha permesso di comprendere che le posture finali della mano possono essere descritte efficacemente come combinazioni lineari di un piccolo numero di sinergie, ognuna delle quali controlla un insieme di muscoli e articolazioni.

In media le prime tre PC rappresentavano il 90% della varianza, con una varianza spiegata dalle prime due PC pari all’84%; questi dati suggeriscono una sostanziale riduzione dei gradi di libertà, da quindici (i gradi di libertà registrati mediante il guanto) a due o tre. Inoltre esisteva un alto grado di coerenza nei primi due

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PC in soggetti diversi. Tracciando i minimi e i massimi delle PC che spiegavano la maggior parte della varianza, i ricercatori si resero conto che questi corrispondevano a posizioni della mano ben identificabili. In particolare si valutò che le PC a maggior varianza spiegata corrispondeva alla presa di forza (power grasp) giacché modulava l’adduzione-abduzione e la flessione-estensione di tutte le articolazioni delle dita; la seconda PC rappresentava la presa di precisione, che consente di afferrare oggetti piccoli tramite un movimento a pinza, cioè mediante l’opposizione del pollice e la flessione-estensione delle articolazioni distali. Altri ricercatori hanno valutato la strategia utilizzata per l’interazione con oggetti reali in laboratorio. Thakur e collaboratori hanno ideato un paradigma sperimentale in cui i soggetti avevano il compito di esplorare la superficie, la texture e altre caratteristiche degli oggetti che erano posti davanti a loro. In questo esperimento i soggetti utilizzavano strategie di esplorazione non vincolate di oggetti che variavano ampiamente nella loro dimensione e forma. L’insieme di posture evocate durante questo compito è un campione rappresentativo di posture ecologiche della mano utilizzate nella manipolazione di oggetti di tutti i giorni, secondo gli autori. Per la rilevazione dei dati cinematici i ricercatori hanno utilizzato Optotrak, un sistema di sensori che sono stati utilizzati per registrare i dati di posizione tridimensionali provenienti da 23 punti della mano. Anche in questo caso i modelli sinergici di movimento della mano sono stati stimati utilizzando la PCA. Sono stati identificati nove autovettori (cioè componenti principali o sinergie) che erano simili tra i soggetti e nella manipolazione di oggetti diversi e rappresentavano il 90% della varianza (Thakur e collaboratori, 2008). Dopo l’acquisizione di una maggiore conoscenza circa i movimenti della mano in laboratorio,

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Ingram e collaboratori hanno studiato i movimenti della mano in ambiente ecologico. Tramite l’utilizzo di un dispositivo di registrazione portatile che può essere indossato dai soggetti, Ingram e colleghi hanno potuto monitorare i movimenti della mano destra nel corso della routine quotidiana fuori da un ambiente di laboratorio. Anche in questo caso l’utilizzo della PCA ha permesso di identificare due PC che spiegavano circa il 60%della varianza – una percentuale minore dovuta alla registrazione in ambiente ecologico e al maggior numero di prese eseguite (Ingram e collaboratori, 2008). Dall’esame della letteratura sull’argomento si evince che le PC più importanti sono molto coerenti tra gli studi. Questo ha portato a definire una rappresentazione delle posture della mano basata su una prima sinergia corrispondente a una presa di potenza, la seconda corrispondente a una presa di precisione, con il controllo dell’opposizione del pollice, e una terza sinergia che controlla l’opposizione del pollice alle altre dita. I PC cinematici identificati nel grasping raggruppano insieme diversi DoFs della mano, ed è solo attraverso la combinazione di queste PC che è possibile produrre l’ampia varietà di movimenti che la mano umana può compiere garantendole l’adattabilità e la flessibilità necessarie alla sua funzione. In ogni caso la comprensione dei principi che guidano la composizione di sinergie motorie resta un obiettivo da raggiungere, che richiede sicuramente sperimentazioni aggiuntive. Si può però affermare che il controllo modulare della gestualità ha un effettivo significato biologico, e che inoltre esso è una strategia generale usata dal SNC per semplificare il controllo dei movimenti degli arti. Il problema diventa quindi capire se l’attivazione sinergica dei muscoli deriva da una guida neurale fissa comune o è semplicemente un evento fenomenologico di una data coordinazione motoria.

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Rimane da capire se le sinergie cinematiche o muscolari della mano riflettono semplicemente un’osservazione comportamentale o se invece il codice sinergico individuato è utilizzato nel cervello umano come codice per il coordinamento dei movimenti della mano.

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1.4 Basi neurali delle sinergie della mano

I primi studi sull’attività neuronale della corteccia motoria hanno ipotizzato che ogni neurone di proiezione della corteccia motoria attivi un muscolo o un gruppo di muscoli antagonisti. Questa concezione è stata smentita da evidenze anatomiche; infatti, gli assoni dei neuroni corticospinali si ramificano a livelli diversi del midollo spinale in maniera sistematica. Perciò, quando è attivato anche un singolo neurone, si ha la contrazione simultanea di vari gruppi di muscoli che contribuiscono a un movimento preciso, e questa attivazione sincrona potrebbe rappresentare una sinergia. L’anatomia supporta quindi la codifica neurale delle sinergie (Kandel, Principi di neuroscienze, 2015).

I ricercatori in questo momento concordano che le sinergie siano codificate nel SNC; tuttavia non è stato ancora individuato il substrato neurale responsabile di tale codifica. Overduin e colleghi hanno eseguito una micro stimolazione elettrica sulla corteccia motoria di macachi rhesus per evocare i movimenti della mano. Questo tipo di indagine ha evidenziato che i movimenti evocati tendono a convergere verso particolari posture, determinate dall’attivazione sincrona di più muscoli (Overduin e collaboratori, 2012). Risultati come questi indicano che l’input sinaptico di muscoli sinergici sia condiviso, ma non si è dimostrato ancora a quale livello. L’ipotesi maggiormente accreditata anche dagli stessi autori, sostiene che sebbene specifiche sinergie siano evocate mediante la microstimolazione delle aree motorie primarie, questo non dimostra necessariamente che la codifica delle sinergie avvenga nella corteccia; infatti, le sinergie potrebbero essere codificate nel tronco cerebrale o nella spina dorsale. Ad esempio, i moduli motori codificati a valle potrebbero essere costituiti da interneuroni

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dei nuclei spinali che controllano un insieme di muscoli che formano una sinergia, ipotesi che limita l’importanza del controllo sopra-spinale. Gli input sono però sempre determinati dalla corteccia motoria che attiva queste primitive spinali.

Gentner e collaboratori hanno utilizzato la stimolazione magnetica per esaminare l’associazione tra la stimolazione della corteccia motoria e il movimento delle dita negli esseri umani. Il risultato principale della ricerca è che i movimenti delle dita evocati dalla stimolazione magnetica transcranica hanno un’organizzazione modulare. L’utilizzo della PCA rivelò, infatti, che un piccolo insieme di circa 4 PC rappresentava gran parte della varianza dei movimenti evocati dalla TMS (Gentner e collaboratori, 2006)

Altri autori hanno valutato la presenza di rappresentazioni delle azioni basate sulle sinergie nelle aree motorie corticali utilizzando tecniche di analisi multivariata applicate ai dati fMRI (Leo e collaboratori, 2016). Tale valutazione è stata compiuta mediante un processo di codifica del segnale basato su modelli comportamentali derivanti da sinergie cinematiche, muscolari e dal movimento delle singole dita. I modelli usati sono stati costruiti dai dati cinematici ed elettromiografici raccolti durante l’esecuzione di atti di presa usati verso venti oggetti di uso comune (Santello e collaboratori 1998). Nel medesimo lavoro le regioni identificate dalle analisi di encoding sono state poi utilizzate in un processo di decoding, volto a ricostruire le configurazioni posturali della mano come patterns di sinergie decodificate dall’attività cerebrale. Il modello cinematico che ha consentito un efficace codifica del segnale fMRI associato ai venti gesti di presa si è ottenuto attraverso una riduzione

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dimensionale effettuata con un Analisi delle Componenti Principali (PCA) (Santello e collaboratori, 1998) su 20 gesti da una matrice di 26 angoli articolari.

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Capitolo 2

La percezione dei gesti

2.1 Il sistema di percezione: le vie della visione.

Ci sono molti motivi per ritenere che la percezione non sia un processo unitario ma debba essere pensata invece come un insieme di processi distinti sia dal punto di vista anatomico sia dal punto di vista funzionale. Le informazioni sensoriali che raccogliamo attraverso i nostri occhi sono necessarie, oltre che per il riconoscimento e la comprensione del mondo, anche per la pianificazione delle azioni e l’interazione con gli oggetti.

Nel caso della vista sappiamo che esistono circa trenta aree corticali coinvolte in processi visivi e che queste sono organizzate in due proiezioni principali dall’area visiva primaria nel lobo occipitale. Il primo modello sull’organizzazione del sistema corticale, che presiede a queste facoltà, è stato proposto da Leslie Ungerleider e Mortimer Mishkin. Attraverso i dati ottenuti mediante tecniche di lesione sulla corteccia cerebrale della scimmia, questi autori ipotizzarono l’esistenza di due vie che portano l’informazione dalla corteccia visiva primaria a regioni corticali di ordine superiore che permettono di estrarre il significato di ciò che vediamo: una via posta dorsalmente, denominata via del dove (where pathway), che termina nel lobo parietale e consente di localizzare gli oggetti, e una via posta ventralmente, denominata via del cosa (what pathway), che termina nel lobo temporale e serve per la comprensione delle qualità

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vie una diversa funzione sulla base dei loro esperimenti. La differenza tra le due vie, secondo questi autori, sta nel diverso utilizzo che i centri superiori fanno delle informazioni portate. La via ventrale trasporta informazioni per la percezione degli stimoli consentendo una comprensione cosciente del mondo esterno, mentre quella dorsale consente la programmazione delle azioni senza un riconoscimento consapevole (Milner e collaboratori, 1995).

Figura 3: Le vie della visione. (Kandel, Principles of Neural Science, 2012)

Studi neuropsicologici successivi, compiuti su pazienti con un danno cerebrale a un sistema e non all’altro hanno sostanzialmente confermato e ampliato il modello di Goodale e Milner. Lesioni alla via ventrale causano agnosia visiva impedendo il riconoscimento di oggetti ma lasciano inalterata la capacità di utilizzare le informazioni visive per guidare i movimenti della mano sullo stimolo. Lesioni alla via dorsale provocano invece atassia ottica. I pazienti con questo tipo di lesioni sono in grado di

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riconoscere le caratteristiche degli oggetti ma non sono in grado di agire correttamente su di essi. Il modello di Milner e Goodale non spiega però il neglect, sindrome causata da lesioni del lobo parietale inferiore destro che impedisce la percezione degli stimoli provenienti dallo spazio controlaterale alla lesione. Quest’osservazione fa dedurre che la via dorsale non si limita al controllo del movimento ma interviene anche in processi percettivi. In conformità a quanto osservato è stata proposta un’ulteriore suddivisione della via dorsale in due vie distinte: una via dorsale-ventrale, che termina nella parte inferiore del lobo parietale (IPL) e consente numerose funzioni percettivo-motorie; e una via dorsale-dorsale che termina nella parte superiore del lobo parietale ed è coinvolta esclusivamente nell’organizzazione delle attività motorie (Gallese e collaboratori, 1999).

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2.2 Percezione e comprensione delle azioni: la scoperta dei neuroni specchio. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, guidato da Giacomo Rizzolatti e formato da Vittorio Gallese, Luciano Fadiga e Leonardo Fogassi, studiando un’area della corteccia premotoria dei macachi (area F5, parte rostrale della corteccia premotoria ventrale), scoprì che essa aveva un ruolo nella comprensione delle azioni, oltre che, come si sapeva, nella loro pianificazione ed esecuzione (Di Pellegrino e collaboratori, 1992; Gallese e collaboratori, 1996; Rizzolatti e collaboratori, 1996). Le cellule di quest’area si attivavano sia durante l’esecuzione, sia durante l’osservazione delle azioni. Gli esperimenti condotti dal gruppo di Rizzolatti, tramite la registrazione di singoli neuroni, hanno permesso la scoperta di nuove aree analoghe contenenti popolazioni di neuroni con questo comportamento peculiare. Questi neuroni, definiti neuroni specchio sono stati quindi identificati anche nel Lobulo parietale Inferiore (LPI), e in particolare nella parte rostrale del lobo parietale inferiore (PFG); (Gallese e collaboratori, 2002; Fogassi e collaboratori, 2005; Rozzi e collaboratori, 2008; Rizzolatti e collaboratori, 2009).

Gli studi del gruppo di Rizzolatti e degli altri ricercatori giunti a conclusioni simili consentirono di comprendere che questa particolare classe di neuroni, attivi sia durante l’esecuzione sia durante l’osservazione delle azioni, era anche molto specializzata. Ciò che era codificato dall’attivazione di una sotto-popolazione di questi neuroni era il fine specifico dell’atto motorio che era eseguito o osservato (Fogassi e collaboratori, 2005; Bonini e collaboratori, 2009). Esistono dunque delle popolazioni di neuroni che si attivano per l’afferrare (“neuroni-afferrare-con-la-mano”), altre per il tenere (”neuroni-tenere”), altre ancora per lo spostare o il portare alla bocca. I neuroni

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specchio di F5 si attivano anche quando l’osservazione dell’interazione tra la mano dell’attore e l’oggetto non è pienamente visibile ma può solo essere “inferita” (Umiltà e collaboratori, 2001): l’attivazione nell’osservatore del programma motorio corrispondente all’azione vista anche solo parzialmente ne consente la comprensione. Inoltre, una classe particolare di neuroni di F5, i neuroni specchio audiovisivi, possono essere attivati anche dal suono prodotto da una stessa azione eseguita o osservata in precedenza (Kohler e collaboratori, 2002).

Nelle regioni che fanno parte del sistema di osservazione delle azioni si osserva congruenza fra l’atto motorio codificato dal neurone e l’atto motorio osservato che è efficace nell’attivarlo. Vi sono però vari gradi di congruenza. Si parla di “congruenza in senso stretto” quando l’atto motorio eseguito che produce l’attivazione della cellula è lo stesso dell’atto motorio osservato che ne determina l’attivazione. Rizzolatti definisce invece “congruenza in senso lato” quella che caratterizza le cellule per cui l’atto osservato e l’atto eseguito codificato sono connessi ma non identici (ad esempio neuroni che si attivano durante l’osservazione di movimenti di prensione della mano e durante l’esecuzione di gesti di prensione e di mantenimento).

Un’altra categoria di neuroni individuati durante i medesimi esperimenti è quella dei “neuroni canonici”. Si tratta di cellule che presentano un pattern di attivazione solamente in osservazione.

E’ opportuno rilevare che, almeno nel caso delle scimmie, l’azione che provoca l’attivazione di queste cellule deve necessariamente essere transitiva, deve cioè avere un oggetto. Questi neuroni non si attivano per una semplice presentazione degli oggetti o quando la scimmia osserva un’azione mimata senza la presenza dell’oggetto.

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Figura 4: Sistema specchio nella corteccia parieto-frontale di scimmia per i gesti di prensione della mano ( Rizzolatti e collaboratori, 2016)

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2.2.1 Il sistema specchio nell’uomo

Le prime prove indirette dell’esistenza di un sistema neurale con caratteristiche “specchio” nel cervello umano risalgono agli anni ‘50. Infatti, a metà del secolo scorso Gestaut e collaboratori osservarono che la desincronizzazione di un particolare ritmo elettroencefalografico, il ritmo µ, era presente sia durante l’esecuzione sia durante l’osservazione di azioni (Gestaut e collaboratori, 1954).

Tecniche di neuroimmagine quali la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno consentito di conoscere l’estensione e la localizzazione del sistema specchio nell’uomo. Esso è costituito dal lobulo parietale inferiore, inclusa la corteccia del solco intra-parietale anteriore, e da una particolare regione del lobo frontale: la porzione inferiore del giro precentrale (IFG), oltre al settore posteriore della parte inferiore del giro frontale (Buccino e collaboratori, 2001; Decety e collaboratori, 2002; Grafton e collaboratori, 1996; Grezes e collaboratori, 1998, 2001, 2003; Iacoboni 1999, 2001; Koski e collaboratori 2002, 2003; Manthey e collaboratori 2003; Nishitani e collaboratori, 2000, 2002; Perani e collaboratori, 2001; Rizzolatti e collaboratori, 1996b). Il sistema specchio dell’uomo possiede inoltre proprietà non riscontrabili nella scimmia: esso consente la codifica di atti motori transitivi e intransitivi e si attiva sia per gesti reali sia per pantomime (Rizzolatti & Sinigaglia, So

quel che fai: il cervello che agisce ei neuroni specchio, 2006).

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Figura 5: Il sistema specchio parieto-frontale nell’uomo( Rizzolatti e collaboratori, 2008)

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2.3 La comprensione delle azioni: il comportamento di risonanza

Fra tutti gli stimoli con cui ci confrontiamo, i movimenti degli altri esseri viventi sono particolarmente importanti. E’ quindi lecito domandarsi quale sia il substrato neurale che ci permette di comprendere le azioni degli altri. Solo dopo il raggiungimento di una descrizione interna dell’azione possiamo arrivare a una sua comprensione che ci permetterà anche di organizzare comportamenti futuri appropriati. Lo stesso gruppo di ricercatori che ha descritto i neuroni specchio e i neuroni canonici hanno presentato, in una review del 2001, due ipotesi che potrebbero spiegare il modo in cui avviene la comprensione delle azioni (Rizzolatti e collaboratori, 2001). La prima, denominata “ipotesi visiva”, prevede che la comprensione sia basata su un’analisi visiva di elementi differenti che formano un’azione senza il coinvolgimento di alcuna implicazione motoria. Le associazioni di questi elementi sarebbero sufficienti per permettere all’osservatore di comprendere l’azione. Considerando vera questa ipotesi, si può dedurre che le aree visive svolgano un ruolo importantissimo nella comprensione delle azioni.

La seconda ipotesi presentata, denominata “ipotesi dell’associazione diretta”, sostiene che comprendiamo le azioni quando associamo la rappresentazione visiva dell’azione osservata ad una rappresentazione motoria “interna” della stessa azione. L’azione è compresa quando la sua osservazione fa “risonare” il sistema motorio dell’osservatore. La comprensione avviene grazie al meccanismo a specchio che si basa su un meccanismo di risonanza in cui il sistema motorio dell’osservatore si attiva ogni volta che un opportuno stimolo visivo o acustico è presentato. Ciò non implica la produzione di un esplicito movimento. Rizzolatti e collaboratori hanno proposto

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l’esistenza di una rappresentazione motoria interna di azioni specifiche osservate, una sorta di “vocabolario motorio” interno che è utilizzato per facilitare il riconoscimento dei gesti altrui. Tale rappresentazione si attiverebbe nel momento dell’osservazione dell’azione e potrebbe essere utilizzata per una risposta facilitata determinata dalla ripetizione di un’azione specifica già presente nel repertorio motorio dell’osservatore. Gli esperimenti svolti utilizzando la TMS hanno mostrato, infatti, un aumento dell’eccitabilità del sistema motorio durante l’osservazione di azioni (Grafton e collaboratori, 1996; Grezes e collaboratori, 1999; Cochin e collaboratori, 1999; Hari e collaboratori, 1998; Fadiga e collaboratori, 1995). Il sistema dei neuroni specchio costituisce l’input neuronale a questa capacità di simulazione che ha la funzione di generare contenuti rappresentazionali delle azioni.

Se l’osservazione di azioni attiva gli schemi necessari per la loro esecuzione, allora lo schema reclutato durante l’osservazione, che consente la risonanza, potrebbe essere lo stesso utilizzato dal sistema motorio per attuare il controllo del movimento. Dato che si pensa che le performance dei diversi movimenti si possano descrivere a livello muscolare, cinematico e neurale come la combinazione di un numero limitato di primitive motorie (Flash e collaboratori, 2005), e vista la messa a punto particolare del sistema percettivo per il movimento, c’è la possibilità che esso sia tarato sulle stesse leggi (Meirovitch e collaboratori, 2015). Molti movimenti diversi possono derivare da un numero limitato di primitive motorie; esse possono combinarsi attraverso una ben definita sintassi dell’azione per formarne di più complesse. La prospettiva secondo cui il meccanismo di risonanza replica gli stessi meccanismi computazionali sottostanti il controllo motorio è quella che D’Ausilio riporta nella sua review del 2015.

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2.4 La percezione delle sinergie

Secondo la prospettiva di D’Ausilio, l’osservazione di azioni prototipiche come il movimento di prensione elicita probabilmente l’attivazione di primitive motorie le cui combinazioni sono in grado di spiegare la variabilità funzionale dei comportamenti motori.

È quindi di fondamentale importanza tenere conto delle regole essenziali del controllo motorio per la comprensione di azioni, in particolare per quelle di grasping per cui si sa che l’organizzazione dei gradi di libertà avviene tramite una libreria di primitive motorie. D’Ausilio propone che per indagare dettagliatamente la rappresentazione delle azioni è necessario utilizzare approcci diversi da quelli utilizzati fino a questo momento, basati fondamentalmente sull’analisi di potenziali motori evocati legati a pochi muscoli e generati in esperimenti che prevedono l’utilizzo della TMS. Infatti, la stimolazione magnetica delle aree motorie della corteccia umana produce configurazioni posturali dell’intera mano e non contrazioni di muscoli isolati. In questo senso la ricerca sul meccanismo di risonanza dovrebbe essere basata su registrazioni di dati provenienti dai muscoli dell’intera mano poiché il sistema di risonanza probabilmente utilizza un codice sinergico per i movimenti di grasping.

Figura 6: Il network per l’osservazione dei movimenti di prensione nell’uomo ottenuto tramite meta analisi

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Capitolo 3

Materiali e metodi

3.1 Scopo del lavoro

Dall’analisi della letteratura è emerso che probabilmente il SNC utilizza un sistema di riduzione della dimensionalità basato sulle sinergie per ridimensionare la complessità del compito computazionale attuato per produrre movimenti efficaci della mano, gestendo un sistema che è a tutti i livelli ridondante. L’osservazione di azioni compiute da altri soggetti genera risonanza motoria, che si manifesta in una rappresentazione interna delle azioni osservate. Il meccanismo di embolied simulation che l’osservatore sperimenta determina un pattern di attività in aree che presiedono al movimento osservato.

Queste osservazioni hanno portato alla domanda sperimentale oggetto di questo lavoro di tesi: può un modello basato sulle sinergie consentire, attraverso tecniche di statistica multivariata, la predizione di pattern di attività fMRI evocati dall’osservazione di gesti di prensione della mano?

Nell’esperimento presentato di seguito la validità del modello basato sulle sinergie è stata valutata confrontando il segnale codificato attraverso tecniche di encoding con il reale segnale fMRI che è stato misurato durante l’osservazione dei gesti di prensione (costruiti modificando il “peso” dei diversi moduli funzionali) rivolti a venti differenti oggetti di uso comune. I dati cinematici necessari per costruire il modello basato sulle sinergie posturali sono stati raccolti in un esperimento condotto da

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Leo e collaboratori nel 2016 utilizzando ventisei sensori che captavano l’ampiezza degli angoli articolari dei giunti della mano e del polso.

3.1.1 Tecniche di statistica multivariata applicate all’fMRI.

La statistica multivariata è stata recentemente applicata all’analisi di dati funzionali cerebrali consentendo la decodifica degli stimoli percepiti dalle risposte cerebrali ad essi associate (tecniche di decoding) e la previsione dei pattern di attivazione cerebrale dalle caratteristiche descrittive degli stimoli elaborati durante gli esperimenti (tecniche di encoding). I modelli di decoding consentono quindi di predire determinate caratteristiche degli stimoli dai pattern di risposta cerebrali, mentre quelli di encoding possono fornire descrizioni dell’attività misurata in una regione cerebrale (Naselaris e collaboratori, 2009, 2011)

3.1.1.1 Tecniche di decoding.

Le tecniche di decoding maggiormente utilizzate sono classificatori lineari come la Linear Discriminant Analysis (LDA) e le Support Vector Machines (SVMs) (Haynes e collaboratori, 2005; Mitchell e collaboratori, 2004, Pereira e collaboratori, 2009).

Attraverso l’utilizzo di questi algoritmi è possibile identificare la funzione lineare che può discriminare tra i pattern di risposta di due o più classi di stimoli (assumendo una relazione lineare tra stimoli e attività cerebrale). Parte dei dati è usata per allenare il classificatore, quelli rimanenti sono utilizzati per testarlo (Pereira e collaboratori, 2009). Una volta allenato, il classificatore è in grado di predire la classe cui uno stimolo appartiene dai dati relativi all’attivazione cerebrale che lo stimolo ha

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Testando il classificatore allenato su un insieme di esempi indipendenti, esso, se impostato correttamente, assegnerà le giuste etichette. Il risultato di queste operazioni è un valore di accuratezza che esprime il numero di etichette giuste che il classificatore ha assegnato. Le tecniche di decoding permettono di estrarre dai dati fMRI informazioni più complesse della semplice corrispondenza binaria tra uno stimolo e l’attività cerebrale e risultano quindi preziose per il progredire dell’indagine neuroscientifica.

3.1.1.2 Tecniche di encoding

Le tecniche di encoding permettono di compiere il processo inverso: creano una corrispondenza tra lo stimolo e l’attività cerebrale, partendo dalle caratteristiche dello stimolo. L’analisi di encoding consente di predire quali regioni sono attivate da un particolare stimolo tramite un modello. Per compiere l’analisi è necessario considerare tre insiemi: un insieme è costituito dallo stimolo sottoposto, uno dall’attività cerebrale generata e un terzo è formato da una particolare proprietà che contraddistingue gli stimoli, che verrà poi utilizzata come modello.

Uno studio pioneristico in cui sono state utilizzate queste tecniche applicate all’fMRI fu condotto da Mitchell e collaboratori nel 2008. L’esperimento condotto dal gruppo di Mitchell riguardava la rappresentazione delle parole. In questo studio la descrizione semantica di sessanta nomi era espressa come un insieme di proprietà. Queste proprietà erano basate sulla frequenza con cui, in un grande corpus semantico, ciascun nome si ripresentava insieme a uno di quaranta possibili verbi. I pattern di attivazione cerebrali furono associati alle caratteristiche degli stimoli in una combinazione lineare attraverso l’applicazione di una regressione lineare multipla,

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mediante una procedura leave-two-out in cui tutti gli stimoli meno due, erano poi utilizzati per stimare i due pattern di attivazione degli stimoli mancanti.

In questo modo è stato possibile generare delle immagini sintetiche contenenti i pattern di attività predetti, che potevano essere confrontate tramite una cross-validazione contro le immagini reali corrispondenti effettivamente misurate dall’fMRI. La procedura aveva successo se la somiglianza tra l’immagine creata e l’immagine reale era maggiore della somiglianza tra l’immagine creata e una qualsiasi altra immagine fMRI.

Le somiglianze delle coppie d’immagini dell’esperimento di Mitchell sono state misurate. I voxel la cui attivazione era stata predetta con successo entravano a far parte di un “network semantico” che rappresentava quindi le regioni cerebrali che elaborano concetti concreti in base al loro contenuto semantico.

Le tecniche di encoding, utilizzate in numerosi altri studi fMRI, sono uno strumento ricco di potenzialità perché permettono di testare ipotesi multiple sugli stessi dati, di ottenere informazioni stratificate e differenziate in un unico passaggio.

I maggiori svantaggi associati all’utilizzo di queste tecniche dipendono dal fatto che ogni modello, per quanto potente, risente comunque del rumore intrinseco ai dati fMRI, quindi le inferenze che si possono fare rimangono nel campo della probabilità e non della certezza (Varoquaux e collaboratori, 2014). Inoltre, l’analisi di encoding postula una relazione lineare tra le proprietà dello stimolo e l’attività cerebrale, e non è sempre questo il caso: è possibile, infatti, anche una mappatura non-lineare (Vu e collaboratori, 2011).

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3.2 Atlante

L’applicazione della tecnica di encoding ai dati sperimentali ottenuti nello studio presentato ha previsto un test del modello su voxel appartenenti a tutte le regioni cerebrali. La parcellizzazione effettuata mediante l’utilizzo di un atlante si è resa necessaria poiché nell’analisi eseguita non è stato possibile valutare la validità del modello solo nelle regioni in cui l’intensità del segnale era maggiore. Le regioni in cui il segnale fMRI, relativo all’osservazione di movimenti di prensione ha un intensità maggiore sono sicuramente le regioni della corteccia occipitale che sono deputate all’elaborazione delle informazioni visive.

Il modello è stato, infatti, testato in ogni voxel, e la sua capacità di codificare il segnale prescinde dall’intensità.

L’atlante utilizzato (AICHA, Atlas of Intrinsic Connectivity of Homotopic Areas) per la suddivisione dei voxel in gruppi appartenenti a distinte regioni cerebrali è caratterizzato da un alto grado di parcellizzazione e suddivide l’intera corteccia in 384 regioni (Joliot e collaboratori, 2015).

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