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La configurazione del tempo nel racconto cinematografico. Un'analisi temporale del cinema contemporaneo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE ANNO ACCADEMICO 2015/2016

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Classe LM-65: Scienze dello spettacolo e produzione multimediale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

La configurazione del tempo nel racconto cinematografico. Un’analisi temporale del cinema contemporaneo.

IL RELATORE IL CANDIDATO

Lorenzo Cuccu Alessio Romagnoli

(2)

2

Indice

Introduzione ... ………... 4

Capitolo I 1. Il Tempo di carta: Figure III. Discorso del racconto .………..…………... 7

1.1 Tempo (del racconto) ………... 9

1.2 Ordine ………... 10

1.3 Durata ………... 18

1.4 Frequenza ………. 31

1.5 Tempo della narrazione ……… 37

2. Del Tempo. Racconto, discorso, esperienza: annotazioni sul tempo, in letteratura e al cinema ……… 40

2.1 Il racconto come espressione dell’esperienza umana del tempo ……….. 49

3. Tempo e racconto: la filosofia del tempo …………...………..………….. 58

3.1 La triplice mimesis ……… 62

3.2 «I giochi con il tempo»: Parte I ………... 66

3.2.1 Tempus e Zeit ………. 67

3.2.2 Il Tempus di Weinrich ………... 69

3.2.3 Tempo del senso: Bettetini incontra Weinrich ………... 74

3.3 «I giochi con il tempo»: Parte II ……….. 87

3.3.1 Problemi (ir)risolti: correzioni genettiane ………... 88

3.3.2 Il mondo dispiegato dall’opera e l’esperienza di finzione del tempo ……… 94

Capitolo II 4. Strumenti analitici ……….. 96

5. L’analisi dei film ……….. 107

Bound to Vengeance – Reversal: La fuga è solo l’inizio 5.1.1 Il film ………..……… 108

5.1.2 Le sequenze ……….... 110

(3)

3 Arrival

5.2.1 Il film ……….. 129

5.2.2 Le sequenze ……… 131

5.2.3 La configurazione del tempo nel racconto ………. 144

La La Land 5.3.1 Il film ……….. 147

5.3.2 Le sequenze ……… 149

5.3.3 La configurazione del tempo nel racconto ………. 165

6. Conclusione ……….. 168

Bibliografia ………... 171

Sitografia ……….. 175

(4)

4 Introduzione

«Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più. E tuttavia io affermo tranquillamente di sapere che se nulla passasse non ci sarebbe un passato, e se nulla avvenisse non ci sarebbe un avvenire,

e se nulla esistesse non ci sarebbe un presente»

Agostino, Confessioni, libro XI1

«Il tempo è un fanciullo che gioca, con le tessere di una scacchiera: di un bimbo è il regno»

Eraclito, Frammento n. 482 Buio. Gli occhi non riescono a mettere a fuoco ciò che li circonda, la luce li ha abbandonati. Rumori, suoni, parole indistinte pervadono le orecchie. Per un momento ci sentiamo frastornati: vacilliamo nel vuoto, indietreggiamo nelle tenebre; ma d’un tratto, come d’incanto, un fascio iridescente squarcia l’oscurità. In cerca di salvezza, le nostre pupille si aggrappano a quella scia luminosa, venendo trascinate fino a uno schermo. Delle immagini, come fantasmi opalescenti, sorgono da quella superficie… adesso possiamo distinguerle chiaramente. Shh! Silenzio, la pellicola sta per cominciare. Il film è iniziato; il film è finito. Com’è possibile ?! Due ore in un attimo; mille anni in un minuto: l’uomo esplora la terra, attraversa il mare; l’uomo scruta l’universo, viaggia nello spazio. L’incantesimo della lanterna magica! Eoni raccontati in pochi istanti, secondi dilatati in ore. Come il bambino eracliteo, il cinema gioca con il tempo, piegandolo al proprio volere. Tempo. Tempo che scorre, che fluisce, che passa; tempo che rallenta, accelera, si arresta. Tempo e tempi: storia, memoria, ricordi, sogni, visioni, speranze. Passato, presente, futuro. L’uomo è immerso nello Zeit, ma non riesce ad afferrarlo; sfugge alla nostra comprensione come l’acqua del mare dal palmo della mano. Χρονος non è umano, è «dis-umano».3

Non ci appartiene, è proprietà altrui… dei Titani; di Crono, che, sprezzante, lascia sull’umanità, e su ciò che crea, la sua impronta sregolatrice. Il Tempo è questo, e molto altro ancora.

1

AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, (trad. it.) R.DE MONTICELLI,Milano, Garzanti, 2011, p. 224. 2 E

RACLITO,Frammento n. 48, in C. DIANO, G.SERRA (a cura di), I frammenti e le testimonianze, Milano, Mondadori, 2009 (ed. o. 1980), p. 25.

3 L.L

(5)

5

Nelle Confessioni, Sant’Agostino s’interrogava sulla vera natura del tempo: «Quid est enim tempus?».4 Domanda complessa, a cui è impossibile dare una risposta semplice.

Fortunatamente, non sarà questo il nostro ambito di ricerca. Forse, allora, dovremmo domandarci: che cos’è il cinema? Acqua… lasciamo che sia Bazin a rispondere al quesito - Qu'est-ce que le cinéma? (1958). Il Cinema e il Tempo? Fuochino, ci stiamo avvicinando. In che modo, però, studiare tale rapporto? Le possibilità sono molteplici. Negli ultimi anni, per esempio, la critica cinematografica si è occupata della tematizzazione del tempo (perduto e ritrovato),5 esaminando quelle pellicole che raccontano, rappresentano e mettano in scena «l’immagine mobile dell’eternità».6 «Il cinema oggi» scrive F. Carmagnola «pare sintetizzare e reinterpretare nel suo linguaggio e nelle sue storie le caratteristiche del nostro tempo. Il cinema, insomma, trasforma il tema del tempo nelle sue varianti – quelle esplorate dalle scienze della natura, dalle scienze umane e dalle altre arti come la letteratura – in narrazione per immagini».7 Argomento interessante, certamente, ma non di nostra competenza. La marea del tempo (cinematografico), infatti, ci ha condotto su altri lidi…

L’argomento di questo elaborato è la configurazione del tempo nel racconto filmico.8

L’approccio metodologico privilegerà la prospettiva narratologica (anche se non ci scorderemo della teoria semio-pragmatica). Dopo aver introdotto gli strumenti analitici elaborati in campo letterario, mostreremo la loro applicabilità al cinema, per poi esaminare, tramite questi, il meccanismo temporale in azione in un lungometraggio. Inoltre, cercheremo di dimostrare come il racconto cinematografico produca, in ogni sua espressione enunciativa, un tempo finzionale caratteristico - tempi diversi per film differenti. 9

Inaugureremo il trattato con l’analisi di alcune opere chiave (sviluppate in campo letterario) sul tema del tempo narrativo. Il punto di partenza imprescindibile non potrà che

4 Si veda l’esergo.

5 Se l’ἀνάλυσις, come ricordava J. Aumont, è un percorso a ritroso - in cui si ricercano le domande di cui il film è già la risposta -, è evidente come la “perdita” e il “ritrovamento” siano tappe imprescindibili di ogni buona analisi. Appunti del corso di Strutture del discorso cinematografico e audiovisivo, a.a. 2015/2016, corso di laurea magistrale SAVS, Pisa, Prof. Augusto Sainati.

6 Il Tempo. P

LATONE, Timeo, (a cura di) G. REALE,Milano, Bompiani, 2000, p.107. 7

F.CARMAGNOLA,T.PIEVANI, Pulp Times. Immagini del tempo nel cinema d’oggi, Roma, Meltemi, 2003,

p.9.

8 Ogni lungometraggio è un racconto - scritto con la luce del proiettore e narrato con le immagini del film (in sostituzione, o meglio, in aggiunta, alle parole) -, e come tale può essere analizzato.

9

Il tempo narrativo continua tutt’oggi ad essere argomento privilegiato dell’analisi letteraria. Quella cinematografica, al contrario, è avara di proposte interpretative originali – Plot, il tempo del raccontare

nel cinema e nella letteratura di F. Carmagnola (2004). La nostra intenzione è di occupare questo vuoto

(6)

6

essere il testo-manifesto Figure III. Discorso del racconto (1972) di G. Genette - con le relative rettifiche contenute in Nuovo discorso del racconto (1983). Una volta riassunto il “discorso” del narratologo francese, esporremo le sue “spinosità” teoriche, grazie alle quali ci sarà possibile introdurre alcuni scritti sullo stesso argomento; in particolare, ci soffermeremo su: Tempo e racconto di P. Ricoeur (1983-1984), Del Tempo. Racconto

discorso esperienza di L. Lugnani (2003), e Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo di H.

Weinrich (1964). Il primo capitolo (di ricognizione metodologica) si concluderà con la sintetica discussione dell’opera Tempo del senso di G. Bettetini (1979), esempio di rielaborazione cinematografica delle teorie letterarie/linguistiche.

Nel secondo capitolo, invece, analizzeremo nel dettaglio tre lungometraggi: Bound to

Vengeance - Reversal: la fuga è solo l’inizio (USA), di J.M. Cravioto (2015); Arrival

(USA), di D. Villeneuve (2016) e La La Land (USA) di D. Chazelle (2017). Questi film – esemplari di alcune delle tendenze più praticate dal cinema contemporaneo (vengeance-movie, fantascienza d’autore, musical 2.0) – ci aiuteranno a dimostrare come il processo di configurazione temporale assuma forme differenti in ogni racconto cinematografico.

(7)

7

Capitolo I

1. Il Tempo di carta: Figure III. Discorso del racconto

«Oggetto di questo studio è quindi il racconto…»

G. Genette, Discorso del racconto10 Il punto di partenza imprescindibile per un discorso sulla temporalità cinematografica non può che essere Figure III, l’opera capitale di Gérard Genette. Il libro si presenta come una raccolta di saggi, l’ultimo dei quali, Discorso del racconto, si è rivelato, nei decenni, come uno dei più preziosi contributi alla narratologia moderna. L’oggetto dichiarato dell’indagine genettiana è fin da subito il capolavoro proustiano À la recherche du temps

perdu – Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927), analizzato minutamente lungo tutto il

testo (e impiegato come serbatoio di esempi per le sue formulazioni teoriche). Nel nostro studio, in realtà, ci focalizzeremo su quelle «considerazioni generali», nelle quali «la critica cederà il passo alla “teoria letteraria”, e più esattamente […], alla teoria del racconto o narratologia».11 Questi strumenti critici, sviluppati da Genette per lo studio del lavoro proustiano, sono divenuti, dal tempo della loro prima elaborazione (inizio anni ’70), un punto di riferimento obbligato, non solo, per l’analista letterario, ma anche per quello cinematografico.

Decisiva, fin dalle prime pagine del saggio, la definizione di racconto. Il narratologo attribuisce a questo termine un triplice significato, così da «evitare […] qualunque confusione o difficoltà di linguaggio».12 Il primo senso di racconto designa «l’enunciato narrativo, il discorso orale o scritto che assume la relazione d’un avvenimento, o di una serie di avvenimenti»: è il racconto propriamente detto, «il significato o il contenuto narrativo».13 La seconda accezione, invece, considera «la successione degli avvenimenti, reali o fittizi, che formano l’oggetto del discorso, e le loro varie relazioni di concatenamento, opposizione, ripetizione, ecc. ecc.»: è la storia, «il significato o il contenuto narrativo». L’ultimo significato, infine, riguarda «il fatto che qualcuno racconta qualcosa, l’atto di narrare in sé stesso»: è la narrazione, «l’atto narrativo produttore e […] l’insieme della situazione reale o fittizia in cui esso si colloca».14

10 G.G

ENETTE, Figure III. Discorso del racconto, (trad. it.) L. ZECCHI,Torino, Einaudi, 2006 (ed. o. 1972), p. 70. 11 Ivi. 12 Ivi, p. 75. 13 Ivi, p. 73. 14 Ivi, p. 74.

(8)

8

Genette dedica particolare attenzione al discorso narrativo. Il racconto ha la capacità di informarci sul proprio contenuto (la storia) e, contemporaneamente, anche sul “gesto” che lo ha prodotto (l’enunciazione) – che lascia le proprie tracce, più o meno evidenti, nel testo.15 Narrazione, storia e racconto… ecco la triade che compone il «il fatto narrativo».16 Il narratologo studia le relazioni sussistenti tra «racconto e storia, fra racconto e narrazione, e fra storia e narrazione». Il primo e il terzo rapporto sono trattati nel dettaglio, il secondo (racconto/narrazione), invece, è tralasciato. Recuperando la classificazione proposta da T. Todorov in Les catégories du récit littéraire (1966), il teorico francese elabora «tre classi fondamentali di determinazione: quelle dipendenti dalle relazioni temporali fra racconto e diegesi [storia], da noi classificate nella categoria del tempo; quelle dipendenti dalle modalità […] della “rappresentazione” narrativa, e quindi ai modi del racconto; e per finire quelle dipendenti dal modo in cui la narrazione stessa […] si trova implicata nel racconto, […] la voce».17

Tempo, Modo e Voce: i tre termini della tassonomia genettiana. Ci soffermeremo solamente sugli aspetti temporali del discorso genettiano, mostrando come questi possano essere estesi dall’ambito letterario a quello cinematografico.

15 «Storia e narrazione esistono solo per l’intermediario del racconto». Ivi, p.77. 16 G.G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, (trad. it) L. ZECCHI,Torino, Einaudi, 1987 (ed. o. 1983), p. 8. La distinzione tra storia e discorso – che non ha nulla in comune con quella proposta da É. Benveniste - sostituisce l’opposizione tra fabula e intreccio istituita dai formalisti russi.

Nuovo discorso del racconto approfondisce la riflessione del precedente Discorso del racconto, cercando

di risolvere alcune ambiguità teoriche. Inoltre, è la replica del narratologo alle critiche sollevate dalla sua prima opera.

17 G

(9)

9 1.1 Tempo (del racconto)

Il tempo narrativo si articola in tre categorie: ordine, durata e frequenza. Prima di poterle analizzare, però, è necessario introdurre la nozione di “tempo del racconto”. Partendo dall’opposizione metziana tra il tempo della cosa narrata e il tempo del racconto, Genette individua una duplice temporalità, che oppone (impiegando la terminologia del teorico tedesco G. Müller) il tempo della storia (erzählte Zeit) e il tempo del racconto (Erzählzeit) - distinzione che, per il narratologo, il cinema rende particolarmente evidente (flashback, flashforward, dilatazioni/contrazioni di montaggio).18 Il “tempo del racconto”, in realtà, è uno «pseudo-tempo»,19 costituito dal tempo che il lettore impiega a percorre (leggere) il testo (variabile, da persona a persona). Il tempo del racconto, più precisamente, è un «falso tempo che vale per uno vero», in quanto «esso consiste empiricamente, per il lettore, in uno spazio di testo che può essere (ri)convertito in durata solo dalla lettura».20 Per poter classificare le forme temporali di racconto, quindi, è essenziale analizzare «la relazione fra tempo della storia e (pseudo) tempo del racconto secondo le loro tre determinazioni […] fondamentali: i rapporti fra l’ordine temporale di successione degli avvenenti nella diegesi e l’ordine pseudo-temporale della loro disposizione,21

[…] i rapporti fra la durata variabile di tali avvenimenti, […], e la pseudo-durata (in realtà, la lunghezza del testo) della loro relazione: rapporto, dunque di velocità […]; infine, rapporti di frequenza, cioè, […], relazioni fra la capacità di ripetizione della storia e quelle del racconto».22

18 Ivi, p. 82.

19

Per questo abbiamo utilizzato le virgolette, che, d’ora in poi, scompariranno. 20 G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, p. 15.

21 In Nuovo discorso del racconto, Genette ammette che il termine diegesi, impiegato come parziale equivalente di storia, non era esente da fraintendimenti. «La diegesi» afferma il narratologo «nel senso in cui tale termine è stato proposto da Souriau nel 1948, […] è proprio un universo, molto più di una concatenazione di azioni (storia): la diegesi non è quindi la storia, bensì l’universo in cui essa avviene». GENETTE, Nuovo discorso del racconto, pp. 11-12.

(10)

10 1.2 Ordine

Ordine: rapporto tra l’ordine di disposizione degli avvenimenti nel racconto (intreccio) e

l’ordine (cronologico) di successione che questi hanno nella storia. «Il problema è particolarmente sentito nel cinema, la cui tecnica compositiva normale è il montaggio».23 Per mettere in luce questa convergenza, allora, sarà utile sostituire gli esempi proustiani di Genette con altri di tipo filmico.

L’ordine può essere di tipo naturale, «un grado zero definibile come uno stato di perfetta coincidenza temporale fra racconto e storia».24 C’è corrispondenza tra l’ordine di fatti nella storia, così come ricostruito dal lettore (o spettatore, nel nostro caso), e la loro disposizione nel racconto. Storia e racconto procedono di pari passo, senza nessuna discordanza. Molte sequenze di lungometraggi classici e contemporanei adottano questa tipologia temporale. Un film che conserva, per tutta la sua durata, l’ordine naturale è The Visit di M. Night Shyamalan (2015) – in questa pellicola, la coincidenza tra ordine della storia e del racconto è “giustificata” dalla tecnica del found-footage horror.

Spesso, invece, accade che l‘ordine della storia sia alterato nella sua esposizione. In questo caso, si formano delle anacronie - «le varie forme di discordanza fra l’ordine della storia e quello del racconto» -,25 dei salti temporali che aprono nel «racconto primo» (quello di partenza, che stavamo leggendo/vedendo fino a quel momento) un «racconto di secondo grado»; un “racconto anacronico” che spalanca una nuova linea temporale. Per Genette, l’aggettivo “primo” non indica «una preminenza tematica sui segmenti anacronici»; non si tratta, infatti, di una «connotazione di grado d’importanza».26

Da questo punto di vista, in un film come Intolerance di D.W. Griffith (1916) si distinguono quattro linee di storia che si intrecciano tra di loro – il tema è l’intolleranza dell’uomo lungo i secoli -, senza che nessuna di queste, però, abbia preminenza sulle altre.

Esistono due forme di anacronia: le analessi (“evocazione” di un avvenimento precedente rispetto al «momento presente» della storia)27 e le prolessi (evento successivo), che nel gergo cinematografico sono indicate più comunemente come flashback e flashforward. Questi salti all’indietro (rispetto al racconto primo), nel passato, o in avanti, nel futuro,

23

S. CHATMAN, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, (trad. it.) E. GRAZIOSI, Milano, Il Saggiatore 2010 (ed. o. 1978), p. 63.

24 Ivi, p.63. 25

GENETTE, Discorso del racconto, p. 84.

26

GENETTE, Nuovo discorso del racconto, pp. 21-22. Per questo, il narratologo sostituisce la definizione di

racconto primo con «racconto primario». Nella nostra analisi utilizzeremo indistintamente entrambi i termini.

(11)

11

infatti, sono «esempi tipici relativi al cinema di quelle più ampie classi costituite da analessi e prolessi»,28 oltre a mettere in mostra in modo plateale la «materia oscura» del raccontare.29 Un racconto cinematografico (come quello letterario) può combinare un numero illimitato di analessi - The Machinist - L’uomo senza sonno di B. Anderson (2004) - e di prolessi - Paycheck di J. Woo (2003) -, ottenendo, in questo modo, una struttura temporale complessa. Le anacronie possono indossare una veste «soggettiva» o «oggettiva», possono essere gestite, cioè, da uno dei personaggi della storia - i (falsi) ricordi del criminale Kaiser Soze in The Usual Suspects - I soliti sospetti di B. Singer (1995) - oppure essere di competenza dell’istanza narrante - che può nascondersi o rivelarsi (come nel caso della voce over anonima del film The Killing – Rapina a mano

armata di S. Kubrick, 1955).

Per Genette, infine, le anacronie possiedono due qualità distintive: la portata e l’ampiezza. «Un’anacronia, nel passato o nell’avvenire, può andare più o meno lontano dal “momento presente”, cioè dal momento della storia in cui il racconto si è interrotto per farle posto: questa distanza temporale, la chiamiamo portata dell’anacronia. A sua volta, essa può coprire una durata di storia più o meno lunga: si tratta di quanto chiameremo ampiezza».30

Analessi. La tassonomia genettiana è molto articolata. Grazie alla precedente definizione di portata, il narratologo francese suddivide le analessi in: esterne, interne e miste. Le analessi esterne sono quelle nelle quali «l’ampiezza globale resta esterna a quella del

racconto primo»; sono anacronie retrospettive che si esauriscono completamente prima che il racconto primo abbia inizio. Per tale ragione, la tipologia in questione non può in nessun modo interferire con il presente diegetico; il loro compito, al contrario, è di completare «il racconto primo, fornendo al lettore lumi su questo o quel precedente».31 Un esempio, sono i ricorrenti flashback del film Sinister di S. Derrickson (2013) - riguardanti gli omicidi commessi dai bambini perseguitati dall’entità malefica Bughuul -, tutti precedenti all’inizio del racconto di primo livello (dedicato alle vicende della famiglia Oswalt).

Le analessi interne, opposte alle precedenti, sono anacronie (al passato) che si collocano dopo il punto iniziale del racconto primo. In tale circostanza, la durata dell’analessi è interamente compresa nel racconto di primo grado; per questo, la possibilità d’interferenza è molto concreta. Le analessi interne possono essere suddivise in: analessi eterodiegetiche

28

CHATMAN, Storia e discorso, p. 64.

29F.C

ARMAGNOLA, Plot, il tempo del raccontare nel cinema e nella letteratura, Roma, Meltemi, 2004, p. 16.

30 G

ENETTE, Discorso del racconto, p. 96.

(12)

12 e omodiegetiche.

Le analessi interne eterodiegetiche hanno un contenuto diegetico diverso rispetto a quello del racconto primo. In questo caso, non esiste alcun tipo d’interferenza – sono i flashback più frequenti (spesso impiegati per fornire informazioni su un nuovo personaggio apparso per la prima volta sulla scena). Un esempio, sono i ricordi reviviscenti del protagonista di

Paycheck. Michael Jennings “vende” tre anni della propria vita per la creazione di una

nuova tecnologia top-secret. Dopo tale periodo, la sua memoria sarà cancellata. Il processo di rimozione, però, non va a buon fine. Durante la pellicola, che si sviluppa su una linea di storia parallela, le reminescenze del passato, sotto forma di flashback, aiuteranno l’uomo a scoprire la verità nascosta (per esempio, le immagini della donna amata in compagnia dei due uccellini). Le analessi interne omodiegetiche, invece, si sviluppano «sulla medesima linea d’azione del racconto principale»;32

in questo caso, il rischio d’interferenza è (quasi) certo - Bound to Vengeance - Reversal: la fuga è solo l’inizio di J.M. Cravioto (2015). Le analessi interne omodiegetiche possono, a loro volta, suddividersi in: analessi

completive e ripetitive.

Le analessi interne omodiegetiche completive colmano, retrospettivamente, un vuoto del racconto primo. Queste anacronie, chiamate anche rinvii, possono riempire lacune narrative di vario genere: semplici ellissi temporali, cioè «falle nella continuità temporale», oppure omissioni volontarie di un dato costitutivo della storia che, teoricamente, sarebbe potuto essere stato raccontato (parallissi).33 Un esempio cinematografico è presente in 10

Cloverfield Lane di D. Trachtenberg (2016). Un breve flashback ci riporta all’incidente

autostradale della protagonista (evento già narrato), questa volta, però, per mostrarne il responsabile (di cui inizialmente ignoravamo l’identità). Le analessi interne omodiegetiche

ripetitive, dette anche richiami, evidenziano un ritorno del racconto sui propri passi. Sono

delle brevi allusioni (al proprio passato) senza un’ampia estensione narrativa; sono «richiami allo stato puro». Si osservi, per esempio, il film The Perks of Being a Wallflower - Noi siamo infinito di S. Chbosky (2012). Logan, studente liceale problematico, dopo la partenza della ragazza amata, si isola nella propria stanza, sommerso dal ricordo dei momenti felici trascorsi assieme. In questo caso, assistiamo a episodi già raccontati, mostrati nuovamente attraverso dei flashback – il protagonista raggiunge l’auto-consapevolezza: da adolescente si trasforma in giovane uomo. Entrambe queste analessi

32 Ivi, p. 99.

33 Ivi, p. 100. I flashback possono riguardare un singolo avvenimento retrospettivo, oppure più accadimenti anteriori. Nel secondo caso, abbiamo delle analessi iterative.

(13)

13

interne producono un’interferenza con il racconto primario.

L’analisi delle anacronie retrospettive è terminata dalle analessi miste. Sono analessi esterne che si prolungano fino a raggiungere, e superare, l’inizio del racconto primo. Il punto di partenza dell’anacronia è anteriore, e quindi esterno, al racconto di primo livello, ma la sua estensione è tale da raggiungerlo e oltrepassarlo (il flashback diventa interna).34 L’ampiezza permette di distinguere le anacronie retrospettive in: analessi parziali e

complete. Le prime si limitano a raccontare un episodio puntuale del passato, che, quindi,

rimane isolato rispetto al racconto primario, perché situato molto prima del suo punto d’inizio - il racconto analettico termina con un’ellissi, facendo riprendere il racconto di primo grado nel momento esatto in cui si era interrotto. Questi flashback svelano allo spettatore delle informazioni fino ad allora tenute nascoste. Si veda, per esempio, il ricordo di John Ballantyne della morte del fratellino in Spellbound – Io ti salverò di A. Hitchcock (1945). Le analessi complete, al contrario, si estendono fino a ricongiungersi con il racconto primo. Sono impiegate per «recuperare la totalità del “precedente” narrativo». Queste anacronie diventano la parte essenziale del testo narrativo, declassando a ruolo secondario il racconto di primo livello - che assume la funzione di «epilogo anticipato». E’ il caso di quelle pellicole con inizio in medias res, che, dopo aver narrato la storia in forma anacronica, si ricollegano agli eventi d’apertura del film.35 Un esempio è il racconto analettico del protagonista del film Charlie Countryman - Charlie Countryman deve

morire di F. Bond (2013). Nelle scene introduttive, il giovane protagonista giramondo si

trova appeso a testa in giù su un fiume ghiacciato, in attesa che il boss della malavita locale ponga fine alla sua esistenza. Da quel momento, il racconto si sviluppa a ritroso, mostrando le peripezie che hanno portato Charlie ad un passo dalla morte, per poi tornare nel finale alle inquadrature iniziali.

Al cinema, le anacronie coinvolgono anche la colonna sonora. Nel caso dei flashback (come anche nei flashforward), può verificarsi una sfasatura tra il canale visivo e quello sonoro. Le immagini, per esempio, possono mostrare un evento retrospettivo (racconto analettico), mentre in sovraimpressione scorrono voci e rumori rimasti nel presente diegetico - caso ricorrente nel cinema classico, quando un personaggio raccontava un evento del passato agli astanti (flashback soggettivo con voce over al presente). Più

34 Ivi, p. 97.

(14)

14

raramente, può verificarsi anche il caso opposto, con l’immagine al presente e un suono/voce al passato. Si pensi al film Katorna – Le gatte di H. Carlsen (1965).36

Prolessi. Sono anacronie al futuro, che aprano nel testo un’anticipazione degli eventi. Il

racconto, però, «non ricorre tanto spesso all’anticipazione quanto alla retrospezione».37 La tradizione letteraria, difatti, ha usufruito con parsimonia di questo espediente narrativo, a causa della «preoccupazione della suspense narrativa tipica della concezione “classica” del romanzo».38 Quest’ultima puntualizzazione di Genette si sposa alla perfezione con il cinema. Infatti, se considerassimo la letteratura tradizionale il corrispondente filmico della cinematografia classica, allora ci accorgeremmo come quest’ultima ricorra di rado alle prolessi. Molti film gialli, come i capolavori di Alfred Hitchcock, pur essendo ricchi di analessi non presentano flashforward, proprio per conservare la suspense narrativa che il genere richiede. Con il passare del tempo, però, tale procedimento ha acquisito sempre maggior rilievo, divenendo uno strumento narrativo prezioso per molti cineasti. Per il cinema della modernità, per esempio, possiamo ricordare il famosissimo flashforward di Easy Rider di D. Hopper (1969). I due motociclisti, protagonisti del lungometraggio, raggiungono un bordello di New Orleans. Prima che gli amici “se la spassino” con le prostitute, il racconto cinematografico dischiude una prolessi che mostra l’immagine istantanea di una moto in fiamme, funesto presagio della loro morte - che, infatti, vedremo nel finale. Per il cinema contemporaneo, invece, possiamo far riferimento al film Next di L. Tamahori (2007). Nicolas Cage, il truffatore protagonista della pellicola, possiede il dono della preveggenza, grazie al quale riesce a sfuggire alle rocambolesche disavventure che lo perseguitano (avendone già avuta visione). Il lungometraggio inverte in continuazione l’ordine temporale - la partita di carte al casinò, l’incontro con la donna di cui s’innamorerà, l’inseguimento della polizia -, mostrando segmenti prolettici che anticipano i fatti della storia.39

Come le analessi, le prolessi possono essere esterne e interne.40 Le prime sono facilmente

riconoscibili, perché «il campo temporale del racconto primo è chiaramente delimitato

36 C

HATMAN, Storia e discorso, p. 64.

37 G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, p. 22.

38

«Il racconto in “prima persona”» conclude Genette «si presta meglio di qualunque altro all’anticipazione, proprio per il fatto stesso del suo carattere retrospettivo dichiarato, tale da autorizzare il narratore a delle allusioni al futuro, in particolare alla sua presente situazione, che in un certo senso fanno parte integrante del suo ruolo». GENETTE, Discorso del racconto p. 115.

39

Ivi, p. 116

40 I flashforward possano riguardare un singolo avvenimento prospettico, oppure più accadimenti anticipatori. Nel secondo caso, abbiamo delle anacronie iterative. Quest’ultima tipologia prolettica è in grado di mostrare in anticipo un singolo episodio come sintesi di una moltitudine di eventi simili.

(15)

15

dall’ultima scena non prolettica». Inoltre, essendo esterne al racconto primo - riguardano avvenimenti successivi alla fine di quest’ultimo - non pongono nessun problema d’interferenza. Si veda, per esempio, la scena finale de L’ultimo bacio di G. Muccino (2001), in cui è narrato un evento posteriore alla fine del racconto di primo livello - dopo la riappacificazione tra Carlo e Giulia, sono mostrate le immagini della loro futura vita assieme.41 Le prolessi interne, invece, producono un effetto di ridondanza tra il racconto primo e il frammento prolettico. Sono anticipazioni della storia sulle quali il racconto tornerà a posteriori – le vicende del film Paycheck si reggono proprio sulla visione del protagonista delle circostanze della sua morte.42

Le prospezioni si distinguono in omodiegetiche ed eterodiegetiche. Le prime producono un’interferenza con il racconto primo, distinguendosi in prolessi completive e ripetitive. Le anacronie completive colmano in anticipo una lacuna della storia, pre-vedendo un evento che nel continuo del racconto primo non sarà più trattato. Le prolessi ripetitive, invece, introducono anzitempo un episodio sul quale il racconto di primo livello tornerà più tardi. E’ il caso del film Bad Guy di Kim Ki-duk (2004), nel quale la contemplazione dell’alba da parte della protagonista è anticipata nella prima parte del film, per poi essere ripetuta nel finale della pellicola, rivelandone, così, il senso ultimo dell’interno racconto - dalla ricerca di libertà all’accettazione dell’amore per il proprio carnefice. Genette rinomina queste anacronie preannunci: brevi allusioni che riferiscono in anticipo un fatto che inseguito sarà narrato per esteso. Si osservino, per esempio, i preannunci ricorrenti (di «piccola portata»)43 dei due film che G. Ritchie ha dedicato all’investigare privato più famoso della letteratura: Sherlock Holmes. In Sherlock Holmes (2009) e

Sherlock Holmes: A Game of Shadow – Sherlock Holmes: Gioco di ombre (2011), ogni

scontro dell’inquilino di Baker Street è preceduto da flashforward sincopati che consentono al detective di (pre)vedere le mosse dei suoi avversari.

Simili all’apparenza, ma differenti nella sostanza, sono le esche; semplici manovre preparatorie, né anticipatorie né allusive; elementi della storia che troveranno il loro vero significato nel prosieguo del racconto e che saranno identificati come tali solo retrospettivamente. Il riconoscimento delle esche passa dalla competenza narrativa (conoscenza cinematografica) del lettore, che, con il tempo, ha imparato a «decifrare

41

In realtà, il lungometraggio non fornisce abbastanza informazione per capire se ciò che vediamo sia un avvenimento che accadrà realmente, che potrebbe accadere, o solamente vagheggiato dai due protagonisti.

42 G

ENETTE, Discorso del racconto, pp. 117-121.

(16)

16

sempre più velocemente il codice narrativo in generale, oppure quello di un certo genere, di una certa opera, e di identificare i germi fin dalla loro apparizione».44 Quest’affermazione di Genette rispecchia la condizione dello spettatore contemporaneo di film dell’orrore. Il genere del terrore ha codificato a tal punto le sue tecniche (h)orrorifiche che il pubblico (nelle pellicole più scadenti) è in grado di riconoscerle senza il minimo sforzo. Nel caso delle esche, si pensi a quei lungometraggi che anticipano, fin dalle prime inquadrature, l’arma del delitto, camuffata da elemento d’arredo dell’ambiente o come oggetto di lavoro del protagonista (l’ascia in Amityville Horror di A. Douglas, 2005). In queste circostanze, lo spettatore intuisce fin da subito il ruolo chiave che l’oggetto in questione svolgerà nelle dinamiche narrative successive. Per questo, molti cineasti hanno “giocato” con le competenze del pubblico, provando a disorientarlo con quelli che Genette chiama inganni (false esche) o con dei falsi inganni (che sono delle esche mascherate da inganni). In tal senso, il regista horror James Wan è un maestro. In film come Insidious (2010) o The Conjuring – L’evocazione (2013) nulla è mai come sembra; le conoscenze (e le credenze) dello spettatore, infatti, sono continuamente messe alla prova.45

Acronie. «Le categorie dell’analessi e della prolessi presuppongono una coscienza

temporale perfettamente chiara e delle relazioni senza ambiguità fra presente, passato e avvenire.[…]. In realtà, la frequenza stessa delle interpolazioni e il loro reciproco concatenamento ingarbugliano spesso le cose in modo tale da farle restare senza soluzione».46 E’ il caso dell’acronia. In quest’ultima tipologia anacronica, l’ordine del racconto è talmente arzigogolato da non riuscire a ricostruire la consequenzialità degli avvenimenti della storia. Prima di definire questo stato d’indeterminatezza temporale, Genette introduce una scala graduata di anacronie complesse: prolessi su analessi (anticipazioni inserite in una retrospezione), analessi su prolessi (flashback dentro flashforward);47 doppie anacronie - un’anacronia di primo livello che inverte il rapporto tra un’anacronia seconda e l’ordine della disposizione degli eventi nel racconto -; analessi

aperte (di cui non è possibile indicare il loro punto finale); sillessi – un agglomerato

anacronico in cui si evidenzia un «completo disprezzo per la successione cronologica

44 Ivi, p. 125.

45

Infine, il narratologo ricorda la distinzione tra le prolessi complete e parziali, arrivando ad affermare che: «in realtà […] tutte le prolessi siano di tipo parziale, interrotte spesso come sono aperte, con decisione».

Ivi.

46 Ivi, p. 126.

(17)

17 “reale”»;48

fino ad arrivare all’acronia vera e propria - «priva di qualunque relazione temporale, che siamo perciò obbligati a considerare come evento senza data e senza età» -,49 manifestazione dell’autonomia temporale del racconto. Questo stato d’incertezza temporale è evidente in gran parte della filmografia del cineasta francese Alain Resnais: da

Hiroshima mon amour (1959) – in cui la struttura temporale è assai complessa, anche se la

successione degli eventi resta intellegibile -, fino a L'Année dernière à Marienbad - L’anno

scorso a Marienbad (1961), uno dei casi più eclatanti di acronia cinematografica, in cui è

praticamente impossibile ricostruire l’ordine effettivo della storia.

La stratificazione (temporale) del racconto si ottiene, dunque, combinando anacronie semplici e complesse. Questa soluzione narrativa è molto frequente nel cinema contemporaneo. Senza citare gli arcinoti lungometraggi tarantiniani come Reservoir Dogs

– Le Iene (1992) o Pulp Fiction (1994), possiamo trovarne un esempio nel film Spider di

D. Cronenberg (2002), nel quale la difficoltà del protagonista, malato di mente, nel ricostruire gli episodi effettivi del proprio passato è raccontata mediante alternanza continua di anacronie (una dentro l’altra). Nel cinema contemporaneo, un caso lampante di acronia è Mr. Nobody di J. Van Dormael (2009). Il film racconta la storia del Signor Nemo, ultracentenario protagonista di un reality-show che segue in diretta gli ultimi giorni della sua vita. Il lungometraggio prende le mosse dal tentativo del vecchio di ricordare il suo passato, che, come scopriremo durante il racconto, non è singolo ma molteplice. Il Signor Nessuno (dal titolo del film), infatti, nel corso della propria esistenza si è trovato dinanzi a innumerevoli scelte che avrebbero potuto indirizzarlo in un senso piuttosto che in un altro. Scelte diverse per vite diverse. Le possibilità si moltiplicano, in una biforcazione continua che sembra non aver fine e che il film cerca di esplorare (grazie ad una struttura anacronica d’insieme). La complessità temporale del racconto raggiunge un livello tale che le linee di storia narrate sono indistinguibili una dall’altra, fondendo passato presente e futuro. Lo spettatore, difatti, non riesce a ricostruire l'ordine degli accadimenti della storia, perdendosi nel racconto.

48 G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, p. 32.

49 G

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18 1.3 Durata

Durata: rapporto tra la durata reale di un avvenimento nella storia e la sua durata

all’interno del racconto. «Confrontare la “durata” di un racconto a quella della storia che esso narra» ammette Genette «è un’operazione […] scabrosa», perché «nessuno può misurare la durata del racconto».50 Difficoltà, questa, come ricorda il narratologo, che al cinema non sussiste, potendo misurare con precisione le unità narrative rappresentate sullo schermo.

«Il tratto pertinente [per la durata]» continua Genette «è la velocità del racconto».51 Per questo, il teorico francese introduce la nozione di costanza di velocità – tra storia e racconto. La velocità narrativa prende in considerazione il rapporto fra una misura temporale e una spaziale. Quella temporale riguarda la storia: di tipo cronologico, è una successione lineare di avvenimenti che possono essere misurati in giorni, mesi, anni – al cinema, queste indicazioni sono suggerite da scritte in sovraimpressione, da una voce narrante o dalle stesse parole dei personaggi; ma, nella maggior parte dei casi, lo spettatore deve ricavarle autonomamente. Quella spaziale, al contrario si riferisce al racconto: sono le righe e le pagine che compongono il testo, da trasformarsi, però, in tempo di lettura - non esiste uno standard condiviso; infatti, questa temporalità è variabile, muta da persona a persona. La durata, quindi, confronta le variazioni di ritmo tra il tempo della storia e lo spazio-tempo del racconto.

Come per l’ordine, esiste un grado zero di riferimento: l’isocronia. In questa evenienza, non si manifestano alterazioni di velocità, nessuna accelerazione o rallentamento; il rapporto tra la durata della storia e del racconto è costante. Un discorso narrativo di questa fattura, però, «non esiste».52 Per Genette, infatti, questo equilibrio temporale è solo un’ipotesi (teorica) - una narrazione senza variazioni di ritmo è solamente immaginabile, ma non realizzabile. Il caso opposto è l’anisocronia: un racconto con continue variazioni di velocità. Un testo narrativo modifica frequentemente il suo andamento (narrativo), perché «un racconto può far a meno di anacronie, ma non può far a meno di anisocorie, […] di effetti di ritmo».53 Un caso di anisocronia, per citare uno degli esempi proustiani tanto cari a Genette, è rintracciabile nel confronto tra le prime due parti del primo libro (Dalla parte

di Swann) de La Recherche. La prima sezione, ambientata a Combray, occupa un arco

50

Ivi, p. 135. 51 G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, p.26.

52 G

ENETTE, Discorso del racconto p.137.

(19)

19

temporale (di storia) di quasi dieci anni (1883-1892), mentre la porzione del romanzo impiegata per raccontare questi eventi si estende per 180 pagine (circa). Nel segmento successivo, invece, quello dedicata all’amore travolgente di Swann per Odette (Un amour

de Swann), cronologicamente precedente al primo, due anni di storia occupano 200 pagine

(circa) dell’opera. In questo caso, assistiamo a un rallentamento narrativo tra la prima e la seconda parte del romanzo.54

Genette elabora una scala graduata della velocità narrativa, istituendo quattro rapporti fondamentali tra storia e racconto. Quattro movimenti narrativi («in senso musicale»):55 ai due estremi (infinita lentezza e velocità), la pausa e l’ellissi; al centro, invece, la scena e il

sommario. Graficamente possono essere sintetizzati in questo modo:

Pausa 56TR=n e TS=0 Quindi: TR∞˃TS57

Scena TR=TS

Sommario TR˂TS

Ellissi TR=0 e TS=n. Quindi TR˂∞TS58

A queste «forme canoniche del tempo nel romanzo»59 possiamo aggiungere il movimento definito da Chatman come estensione (opposto al sommario).60

Estensione TR˃TS

Sommario. Velocità narrativa variabile. Il tempo del racconto è inferiore a quello della

storia. «Il discorso è più breve degli eventi descritti».61 Il testo narrativo condensa, sintetizza e contrae degli accadimenti della storia. Il sommario può essere considerato come una forma di accelerazione, intermedia (non raggiunge il grado dell’ellissi), del ritmo narrativo.

Pausa. Velocità narrativa nulla. Il tempo della storia si arresta, gli avvenimenti si

congelano; il tempo del racconto, invece, procede la sua corsa, disinteressandosi (momentaneamente) alla progressione dei fatti. La stasi narrativa rappresenta il caso

54 M.P

ROUST, Alla ricerca del tempo perduto (Vol. I e II), (a cura di) P. PINTO,G.GRASSO,Roma, Newton Compton (collana i Mammut), 2002 (ed. o. 1913-1927), pp. 3-303.

55 G

ENETTE, Nuovo discorso del racconto, p. 27.

56 TR: tempo del racconto; TS: tempo della storia. 57

Infinitamente più grande 58

Infinitamente più piccolo. 59 G

ENETTE, Discorso del racconto, p. 144.

60 Soluzione ricorrente al cinema, come vedremo. C

HATMAN, Storia e discorso, p. 73.

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20

estremo di rallentamento - «un segmento qualunque del discorso narrativo corrisponde a una durata diegetica zero».62 Un esempio di pausa sono le descrizioni (un paesaggio, un monumento, un volto, etc.). Non tutte, però, possono essere considerate delle paralisi temporali del discorso narrativo. Le descrizioni che riescano mettere in stand-by gli eventi sono definite da Genette pause descrittive; stasi narrative in cui assistiamo a un «blocco dell’azione» e ad una «sospensione della durata della storia».63

A questa categoria temporale appartengono anche le pause commentative, «dell’ordine del commento e della riflessione piuttosto che di quello della narrazione».64

Ellissi. Elisioni vere e proprie, di natura temporale (differenti dalle parallissi, che

appartengono alla categoria delle anacronie). Hanno una velocità narrativa infinita. Il tempo del racconto si annulla, si dissolve come se fosse stato risucchiato da un buco nero. L’enunciazione si blocca, mentre la storia continua a tra-scorrere. Durante questa interruzione provvisoria del discorso narrativo, l’arco temporale eliso può variare consistentemente (da pochi istanti a degli anni). La storia continua a parlarci, ma il racconto è sordo.

Le ellissi sono porzioni di storia non raccontate: se la durata di questa elisione è sconosciuta, abbiamo delle ellissi indeterminate; al contrario, se il periodo non narrato è deducibile, abbiamo delle ellissi determinate. Le prime, definite anche ellissi implicite, sono ricavate (indirettamente) dallo spettatore: sono ellissi mute (perché non indicano l’arco di storia eliminato).65

Le seconde, invece, sono conosciute anche con il nome di

ellissi esplicite: possono esprimere direttamente il lasso di storia cancellato oppure

segnalarlo alla ripresa del racconto. Se all’indicazione dell’usura temporale aggiungiamo un’informazione di tipo diegetico (“trascorsero due anni terribili”), otteniamo, allora, delle

ellissi qualificate.

Scena. I movimenti precedenti (a cui aggiungere l’estensione) rientrano nella categoria

dell’anisocronia, il caso in questione, invece, è un esempio d’isocronia. Tempo della storia

62 GENETTE, Discorso del racconto, p.143. 63

Al contrario, le descrizioni iterative - che non si riferiscono a un singolo avvenimento della storia, ma a una serie di eventi simili – velocizzano, e non bloccano, il racconto GENETTE, Nuovo discorso del racconto, p. 27.

64

A differenza delle altre, non sono composte da materiale diegetico (sono non-narrative). Ivi, p. 28. 65 Al limite dell’implicitezza, Genette ricorda l’ellissi ipotetica, che «non è possibile localizzare, e a volte

inserire in un punto preciso», essendo «rivelata solo inseguito», retrospettivamente. GENETTE, Discorso del racconto, p. 158.

(21)

21

e del racconto coincidono. Equilibrio narrativo: assenza di accelerazioni e rallentamenti (ritmo costante).

Prima di proseguire con l’analisi genettiana, è opportuno chiedersi, citando il famoso libro di R. Carver, di cosa parliamo quando parliamo di durata (in un film)? Oltre ad una porzione di spazio, l’immagine cinematografica è un frammento che dura nel tempo; un tempo fisico e predeterminato, a differenza di quello libero, metaforico e soggettivo della letteratura. In ambito poetico, il tempo di lettura non è rappresentato ma interpretato (essendo variabile da persona a persona). Al cinema, la situazione è radicalmente diversa. In un film, l’esperienza fruitiva dello spettatore è vincolata dalla durata, materiale e preordinata, del racconto-proezione, dove «il tempo del discorso viene a coincidere con quello della lettura-ricezione».66 E’ una durata cronologica: inizio e fine, prima e dopo, sono già decisi e il pubblico può soltanto seguire il racconto nell’ordine prestabilito (la durata della lettura spettatoriale coincide con quella della proiezione).

Seguendo l’indicazione dello studioso francese A. Laffay, possiamo affermare che la durata cinematografica assume il duplice significato che il corrispondente termine francese, dureté, le conferisce: «quello di durezza», peso, sensibilità, concretezza; e «quello di durata».67 Il pubblico cinematografico «si trova di fronte ad un racconto che sostiene un discorso condizionato da una temporalità propria, infrangibile, materiale, rigida, non disgregabile».68 Lo spettatore, infatti, non può rivedere ciò cha ha già visto o saltare avanti e indietro nella storia, scorrendo liberamente le immagini del film come farebbe con le pagine di un libro. Al cinema, viviamo (subiamo?) un’esperienza fruitiva costrittiva - la proiezione ininterrotta delle inquadrature sullo schermo, dalla durata predefinita, interamente già data e ripetibile indefinitamente senza alterazioni -: «la durata c’è, e lo spettatore può solo prenderne atto».69

Andiamo nel dettaglio. Con il termine «durata assoluta»70 possiamo indicare la durata cronometrica dell’inquadratura, il tempo di persistenza dell’immagine sullo schermo. Accanto a questa temporalità effettiva, abbiamo l’impressione di durata,71 la percezione

66 G.C

ARLUCCIO, Cinema e racconto. Lo spazio e il tempo, Torino, Loescher Editore, 1988. p. 33.

67 G.B

ETTETINI, Tempo del senso. La logica temporale dei testi audiovisivi, Milano, Bompiani, 1979, p. 13.

68 Ivi. 69

Ivi, p. 14. 70M.A

MBROSINI,L.CARDONE,L.CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci, 2011 (1°ed.

2003) p. 39. 71 B

(22)

22

soggettiva dello spettatore della rigidità della dureté.72 Quest’ultima è in relazione con il

tempo di lettura: ogni immagine richiede un tempo di visione (lettura), che varia in base

alla quantità d’informazioni veicolate al suo interno. Il rapporto tra il tempo di lettura e la

durata assoluta determina la «durata relativa»: l’intervallo necessario allo spettatore per

riconoscere tutti gli elementi interni all’inquadratura.73 Questo dato temporale, però, resta sfuggente, difficilmente quantificabile. Di norma, un primo piano è letto più velocemente rispetto a un campo lungo; un’inquadratura che mostra un luogo affollato, invece, richiede un tempo (di riconoscimento) maggiore rispetto all’immagine di un ambiente vuoto.74 La durata relativa può «risultare insufficiente, sufficiente o sovrabbondante, in relazione alle oscillazioni della durata assoluta e del tempo di lettura: difatti, il primo termine può essere inferiore, uguale o superiore al secondo».75 Il caso più ricorrente è quello nel quale la durata dell’inquadratura coincide con il tempo necessario allo spettatore per leggerla (cinema della trasparenza). Al contrario, se la durata assoluta è inferiore al tempo di lettura, lo spettatore non è in grado di decifrare il contenuto schermico. Generi come il noir, il poliziesco o il thriller - «genere fondato sulla sottrazione del sapere» -76 hanno spesso lavorato con questo tipo di durata. Si pensi, per esempio, al film Profondo rosso di D. Argento (1975), dove l’immagine rivelatrice dell’assassino è già mostrata in occasione del primo delitto. Le inquadrature, però, sono talmente veloci (rapide carrellate laterali) e ricche di dettagli che il pubblico non ha il tempo sufficiente per riconoscere il volto del killer. La durata assoluta, infine, è sovrabbondante «quando la permanenza dell’inquadratura sullo schermo è sensibilmente maggiore rispetto al tempo che occorre per identificarne le forme».77 Esemplari, le prove sperimentali di Andy Warhol – pellicole come Empire (1964), in cui un'unica inquadratura di otto ore mostra l’immagine dell’Empire State Building di New York; oppure Sleep (1963), nel quale l’artista statunitense registra sé stesso durante il sonno – o i lungometraggi di M. Antonioni, in cui le immagini, dopo aver mostrato l’azione dei personaggi, ristagnano su campi vuoti,

72 A tal proposito, J. Mitry scrive che l’elemento rilevante «non è la durata reale, ma l’impressione di durata; è questa qualità solamente che può servire da referenza, e non una lunghezza metrica determinata». J.MITRY, Esthétique et psychologie du cinéma, I-II, Paris, Ed. Universitaires, 1963-1965, p. 352.

73 A

MBROSINI,CARDONE,CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, p. 39.

74

In Esthétique et psychologie du cinéma, J. Mitry scrive che a parità di durata, un’inquadratura d’insieme in movimento appare «più corta» di un primo piano altrettanto in movimento; così come un primo piano in movimento sembra «più corto» rispetto a un campo totale statico. In generale, «più il contenuto è dinamico e il quadro ampio, più sembra corto; più il contenuto è statico e il quadro ristretto, più sembra lungo». MITRY, Esthétique et psychologie du cinéma, p. 353.

75 A

MBROSINI,CARDONE,CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, p. 40.

76 A. S

AINATI,M.GAUDIOSI,Analizzare il film, Venezia, Marsilio, 2013 (1°ed. 2007), p. 103.

77 A

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23

“inutili” al fine della progressione narrativa, ma essenziali per stimolare la riflessione spettatoriale. In un film come L’Avventura (1960), per esempio, i «tempi morti e le dilatate pause descrittive» sono impiegate dal regista per far «emergere il paesaggio […] come un’entità autonoma, indifferente, immobile nel suo distendersi in una durata indefinita».78

Un metodo eccellente per dimostrare l’adattabilità della categoria genettiana della durata al cinema è «la comparazione fra i “movimenti genettiani” […] e i tipi sintagmatici proposti da Metz».79 Per prima cosa, ripercorriamo brevemente la struttura della Grande

sintagmatica della colonna visiva.

80

La Grande Sintagmatica - elaborata e perfezionata da Metz nel libro Semiologia del

cinema (1968) - prende in considerazione «concatenazioni codificate e significanti al

livello delle grandi unità del film».81 Lo studioso francese utilizza questo modello - da non considerarsi, però, come una griglia chiusa - per classificare le sequenze di un racconto cinematografico. Per iniziare, il teorico cinematografico identifica nei (soli) film narrativi una serie di segmenti autonomi - comunemente denominati sequenze -; dei sintagmi, composti da un numero variabile di shots (eccetto il piano autonomo). Metz individua «8

78 L.C

UCCU, Antonioni. Il discorso dello sguardo e altri saggi, Pisa, ETS, 2014, p. 36.

79

Dispense del corso di Teorie della narrazione cinematografia, a.a. 2015/2016, corso di laurea magistrale SAVS, Pisa, Prof. Lorenzo Cuccu, p. 4.

80 C.M

ETZ, Semiologia del cinema, (trad. it.) A. APRÀ,F.FERRINI, Milano, Garzanti, 1989 (ed. o. 1968), p.185.

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24

grandi tipi di sintagmi autonomi»,82 dislocati su una struttura arborescente.

La prima distinzione è tra i segmenti formati da una singola inquadratura, i piani autonomi, e quelli composti da un gruppo d’inquadrature, i sintagmi. I primi possono assumere la forma d’inserti - «interpolazioni sintagmatiche».83 I film apocalittici, o i disaster movie, sono spesso introdotti da inserti (immagini di repertorio dei telegiornali) relativi alla situazione disastrosa in cui versa la Terra e l’umanità - World War Z di M. Brooks (2013). I sintagmi possono essere identificati anche con il piano-sequenza, nel quale «la durata degli avvenimenti narrati coincide con la loro durata a livello di storia».84 Si veda, per esempio, il tentato suicidio di Susan nel film Citizen Kane - Quarto Potere di Orson Welles (1941).

Seguendo la struttura ad albero, i sintagmi si suddividono in: sintagmi a-cronologici e

sintagmi cronologici. I primi, come suggerisce la a privativa del termine, sono quelli in cui

non è specificato il rapporto temporale delle vicende raccontate. In questo caso, i nessi tra le inquadrature sono di natura tematica. Il sintagma a-cronologico prevede un’ulteriore distinzione in sintagmi paralleli e sintagmi a graffa. Il sintagma parallelo corrisponde, di fatto, al montaggio parallelo: due o più linee d’azione che s’intrecciano, alternativamente, «senza intrattenere fra di loro precise relazioni spaziali e temporali», stabilendo «rapporti simbolici e di comparazione […] volti a far scaturire idee e concetti».85

Esemplari, le inquadrature d’apertura del film Modern Times - Tempi moderni di C. Chaplin (1936), che accostano la folla metropolitana alle immagini di un gregge di pecore. Il sintagma a graffa, invece, raggruppa le inquadrature in una sorta di grappolo, istituendo tra le immagini «lo stesso tipo di rapporti che ci sono tra le parole riunite da una graffa».86 Un caso arcinoto è la “scena degli idoli” in Ottobre. I dieci giorni che sconvolsero il mondo (Oktjabr') di S.M. Ėjzenštejn (1928).

L’altro ramo (teorico) dell’albero ospita i sintagmi cronologici, che, al contrario dei precedenti, specificano i nessi temporali tra i fatti rappresentati. In base ai rapporti di consecuzione e simultaneità, possono essere divisi in sintagmi descrittivi e sintagmi

narrativi. Nei primi, la successione delle inquadrature non fa progredire la storia: sono

82 Ivi, p. 172. 83

Possono essere del tipo non-diegetico (oggetto esterno all’azione della storia), soggettivo (fantasticherie, premonizioni, etc.), dislocato - «immagine che […] viene sottratta alla sua normale collocazione nel film per essere posta come interclusione in un sintagma che l’accoglie come estranea» - ed esplicativo (effetto “lente d’ingrandimento”). Ivi, p. 174.

84

AMBROSINI,CARDONE,CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, p. 88.

85 Ivi, p.89.

86 Le immagini sono collegate tra loro attraverso i segni d’interpunzione filmica. M

ETZ,Semiologia del cinema, p. 176.

(25)

25

«l’unico caso in cui le consecuzioni schermiche non corrispondono a nessuna consecuzione diegetica».87 «Le immagini che si susseguono vanno lette come simultanee»;88 gli unici rapporti consentiti, difatti, sono di tipo spaziale. Il tempo della storia rallenta, fin quasi a fermarsi, producendo una pausa nel racconto. Esemplare, la sequenza conclusiva de L’Eclisse di M. Antonioni (1962), dove la macchina da presa si abbandona alla contemplazione del luogo nel quale i due amanti si sono dati appuntamento. Nei sintagmi narrativi, invece, la storia avanza.89 Ne esistono di due tipi. I primi sono i sintagmi alternati: un raggruppamento d’immagini che stabilisce un rapporto spazio-temporale tra due o più linnee d’azione che si stanno svolgendo simultaneamente (e che, di norma, finiscono per collidere). E’ ciò che accade nel montaggio alternato - «immagine degli inseguitori, poi […] degli inseguiti, poi immagine degli inseguitori ecc.».90 Un esempio è la sequenza dell’omicidio di Gloria nel film Body Double - Omicidio

a luci rosse di B. De Palma (1984). Il frammento filmico mostra la colluttazione tra la

donna e l’indiano pellerossa, mentre Jake, il protagonista, con una corsa disperata, cerca di raggiungere l’appartamento di fronte al suo per sventare l’assassinio.

Seconda tipologia, sintagmi narrativi lineari: i fatti raccontati appartengono a un’unica linea d’azione e sono retti da una singola consecuzione temporale. In base al tipo di consecuzione, continua o discontinua, la pianta metziana si biforca in altri due tipi sintagmatici: la scena e la sequenza. La scena, pur essendo suddivisa in più inquadrature, rappresenta un’unità narrativa. Non ci sono salti temporali: si rinuncia a qualsiasi tipo di ellissi, presentando «un insieme spazio-temporale senza soluzioni di continuità».91 Tempo del racconto e tempo della storia coincidono. Gli esempi sono infiniti, tra i molti che possono essere citati si pensi alla scena del testa o croce tra il benzinaio e il contract killer in No Country for Old Men - Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen (2008). Giunti alle radici della struttura sintagmatica, troviamo la sequenza (propriamente detta)92 - unica consecuzione temporale, ma discontinua. Quest’ultima si distingue in: sequenza a

episodi e sequenza ordinaria. La sequenza a episodi «organizza serratamente insieme una

87

Ivi, p. 177. 88 SAINATI,G

AUDIOSI,Analizzare il film, p. 90.

89 «Il rapporto temporale tra gli oggetti presentati dall’immagine comporta delle consecuzioni, e non soltanto delle simultaneità». METZ, Semiologia del cinema, p. 178.

90

Ivi, p. 179. 91 Ivi.

92 Metz assegna a questo sintagma il termine che, normalmente, impieghiamo per riferirci ai segmenti autonomi.

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26

serie di brevi scenette, che si succedono in ordine cronologico».93 Questa tipologia ha delle affinità con il sintagma a graffa (i segni d’interpunzione o la presenza della musica); a differenza di quest’ultimo, però, la sequenza a episodi94 mette in mostra una successione cronologica delle immagini. L’esempio suggerito da Metz è la serie di collazioni nel film

Quarto Potere, in cui il deterioramento del rapporto coniugale tra Kane e la moglie

(avvenuto in un arco diegetico di alcuni mesi) è condensato in poche rapide inquadrature. Infine, la sequenza ordinaria: è una delle forme sintagmatiche più diffuse, in cui «ci si accontenta di “saltare” i momenti giudicati senza interesse per l’intrigo»,95

eliminando le parti superflue ai fini della comprensione del racconto.96

Dopo aver illustrato la Grande Sintagmatica della colonna visiva, vediamo in che modo poterla applicare ai quattro movimenti genettiani.

Pausa. La soluzione più efficace per congelare la storia è il frame-stop (o

fermo-immagine): un arresto materiale dell’immagine – spesso accompagnato dalla voce over. Esemplare, l’episodio del film All about Eve - Eva contro Eva di J. Mankiewicz (1950), nel quale Eva, la protagonista, riceve il premio per la migliore attrice. L’immagine si blocca sulla mano della donna che sta per ricevere la statuetta, mentre sentiamo, in voice-over, le parole del critico teatrale Addison DeWitt che presenta i personaggi presenti alla cerimonia di premiazione. Tra i tipi sintagmatici metziani, i più adatti a bloccare gli eventi sono i due sintagmi a-cronologici (quello parallelo e quello a graffa), che, spezzando i legami cronologici tra le inquadrature, riescono a prolungare l’atto narrativo, interrompendo momentaneamente la storia. Per il sintagma a graffa possiamo far riferimento alla già citata “scena degli idoli” di Ottobre, mentre per il sintagma parallelo possiamo citare il film

Fury - Furia di F. Lang (1963). Prima del processo al protagonista, gli abitanti di Strand

sono accostati all’immagine di un gruppo di galline in un pollaio. Il nesso tematico istituito dal racconto tra i paesani e i volatili, oltre a far riflettere lo spettatore sull’effettivo valore dei pettegolezzi, blocca, per un istante, la storia.

Sommario. Anche al cinema, il tempo del racconto può essere inferiore a quello della

storia. I film classici hanno utilizzato vari espedienti per segnarle questa situazione

93 A

MBROSINI,CARDONE,CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, p. 92.

94

Simile, ma non uguale, a ciò che Chatman definisce montage-sequence: «una serie di rapide inquadrature che mostrano aspetti selezionati di un evento o di una sequenza, integrata generalmente dal flusso della musica».CHATMAN, Storia e discorso, p. 69.

95 M

ETZ, Semiologia del cinema, p. 181.

(27)

27

temporale: calendari che si sfogliano da soli, lancette dell’orologio che si muovano a velocità superiore alla norma (Sabotage – Sabotaggio di A. Hitchcock, 1936), voice-over o didascalie e sottotitoli riassuntivi – come l’indicazione temporale (sottotitolo) in sovraimpressione all’immagine dei ballerini in The Red Shoes - Scarpette rosse di M. Powell ed E. Pressburger, 1948.97 Quest’ultime sono soluzioni tradizionali che evidenziano come pochi minuti di racconto sintetizzino un più ampio periodo diegetico.

Possiamo ottenere la forma-sommario con tre tipi sintagmatici: la sequenza a episodi, la sequenza ordinaria e il sintagma alternato. Nelle due sequenze assistiamo a un prosciugamento della storia. Il periodo diegetico considerato è maggiore, ma il tempo impiegato per raccontarlo è inferiore; di conseguenza, il discorso narrativo si concentra solamente sui fatti ritenuti essenziali, eliminando gli altri (infatti, la sequenza si basa sulla discontinuità narrativa, sulla presenza di ellissi temporali). Per la sequenza a episodi, possiamo citare l’incipit del film The Magnificent Amberson – L’orgoglio degli Amberson di O. Welles (1942), che condensa in un racconto di dieci minuti, ottenuto attraverso la rapida successione d’immagini-emblema (da qui l’effetto “a episodi”), il progresso decennale della città di Indianapolis.98 Per la sequenza ordinaria - rinuncia alla forma riassuntiva tipica della sequenza a episodi -, restando sull’esempio filmico precedente, possiamo far riferimento all’episodio del ballo in casa Amberson: la festa ha una durata (presumibile) di più di tre ore, ma viene raccontata in “soli” dodici minuti.99

Il sintagma alternato assume forme temporali differenti. In questa circostanza, possiamo parlare di «sintagma alternato ad effetto sommario».100 La simultaneità degli eventi narrati, infatti, non impedisce al racconto di avere una durata inferiore rispetto alla storia. Nell’esempio già citato di Omicidio a luci rosse, l’alternanza tra le due linee d’azione (simultanee), la corsa affannosa di Jake e l’aggressione alla donna, occupa un arco diegetico superiore al tempo effettivo che l’atto narrativo impiega per raccontarci l’episodio. Un altro esempio è la sequenza d’apertura del film Strangers on a Train –

L’altro uomo di A. Hitchcock (1951). Due sconosciuti s’incontrano casualmente su un

treno: prima, vediamo i piedi dell’uno e dell’altro attraversare l’ingesso della stazione, poi, il loro incontro in un vagone. L’ultimo procedimento con cui ottenere un effetto sommario

97 C

ARLUCCIO, Cinema e racconto, pp. 169-172.

98

Per il montage-sequence, si osservi la sequenza delle collazioni in Quarto Potere. Il racconto di pochi secondi racchiude un periodo diegetico di alcuni mesi.

99 A

MBROSINI,CARDONE,CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, p. 92.

100 Dispense del corso di Teorie della narrazione cinematografia, a.a. 2015/2016, corso di laurea magistrale SAVS, Pisa, Prof. Lorenzo Cuccu, p. 5.

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