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Lunghezza vocalica e vincoli articolatori. Uno studio UTI sull'italiano

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Academic year: 2021

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(1)DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA. TESI DI LAUREA Lunghezza vocalica e vincoli articolatori. Uno studio UTI sull‟italiano. CANDIDATO Dalila Dipino. RELATORE Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Marotta. CORRELATORI Chiar.mo Prof. Franco Fanciullo Chiar.ma Prof.ssa Chiara Celata. ANNO ACCADEMICO 2016/2017.

(2) Sommario Introduzione ............................................................................................................ 3 1. La quantità ........................................................................................................ 6 1.1. La quantità consonantica in italiano .......................................................... 9. 1.2. La lunghezza vocalica in italiano e l‟OSL .............................................. 12. 1.2.1. Stato delle ricerche ........................................................................... 16. 2. Articulatory Phonology................................................................................... 27. 3. La coordinazione gestuale nella determinazione della lunghezza .................. 35. 4. Materiali e metodi ........................................................................................... 43 4.1. 5. I metodi .................................................................................................... 43. 4.1.1. Descrizione anatomica dell‟apparato fonatorio ............................... 43. 4.1.2. Strumenti e tecniche della fonetica articolatoria .............................. 45. 4.1.3. Ultrasound Tongue Imaging ............................................................ 46. 4.2. Materiali .................................................................................................. 50. 4.3. I parlanti................................................................................................... 52. 4.4. Acquisizione dei dati ............................................................................... 53. 4.5. La preparazione dei dati .......................................................................... 54. 4.5.1. Preparazione dei dati acustici ........................................................... 55. 4.5.2. Preparazione dei dati articolatori ..................................................... 57. Risultati ........................................................................................................... 61 5.1. Risultati dell‟analisi acustica ................................................................... 61. 5.2. Risultati dell‟analisi articolatoria ............................................................ 73. 5.2.1. Analisi qualitativa dei gesti consonantici ......................................... 74. 5.2.2. Analisi della coordinazione gestuale ................................................ 85. 6. Tra fonetica e fonologia .................................................................................. 94. 7. Conclusioni ................................................................................................... 101. Riferimenti bibliografici...................................................................................... 104 1.

(3) Sitografia ............................................................................................................. 113 Ringraziamenti .................................................................................................... 114. 2.

(4) Introduzione La lunghezza vocalica in italiano non ha valore distintivo, ma manifesta ugualmente variazioni sistematiche, le quali, a partire dal secolo scorso, sono state oggetto di numerose indagini sperimentali (Josselyn, 1900; Parmenter & Carman, 1932; Fava & Magno Caldognetto, 1976; Bertinetto, 1981; Vogel, 1982; Marotta, 1985; Vayra et al., 1987; D‟Imperio & Rosenthall, 1999). La corrente maggioritaria riconosce che in italiano agisce una regola per cui una vocale si allunga se in sillaba aperta tonica non finale di parola: pertanto la vocale tonica sarà lunga in sillaba aperta (es. caːsa) e breve in sillaba chiusa (es. cassa). Recentemente, tuttavia, sono state avanzate nuove ipotesi, sulla base di alcuni effetti scalari transillabici che sembrano stridere con l‟ottica tradizionale. Si tratta di piccole oscillazioni di durata della vocale tonica indipendenti dal tipo sillabico, ritenute marginali da buona parte degli studi sperimentali sull‟argomento, ma ora usate per rifiutare l‟allungamento vocalico (McCrary, 2004) o per elaborare un modello ritmico più fine per l‟italiano (Celata & Mairano, 2014). In particolare, Celata et al. (in preparazione) sostengono che queste oscillazioni possano essere collegate al modo in cui i gesti articolatori sono coordinati, in altre parole al grado di coarticolazione fra gesti contigui. Gli interrogativi da cui muove il presente lavoro di tesi sono allora i seguenti: 1. Esistono davvero questi effetti compensativi transillabici in italiano? E se così, qual è la loro entità? 2. Quali sono le conseguenze di tali effetti sulla teoria tradizionale dell‟allungamento vocalico? 3. Tali variazioni possono svelarci qualcosa sul modo in cui i gesti articolatori si coordinano fra loro? Hanno un ruolo nella trasmissione e percezione di ritmi linguistici diversi? Le conseguenze di queste variazioni scalari, accanto alle variazioni categoriche integrate nel modello classico dell‟allungamento vocalico italiano, non sono state ancora del tutto indagate e comprese. Con la nostra ricerca ci proponiamo dunque di discutere questi aspetti attraverso un‟analisi a grana più fine, con la speranza di comprendere qualcosa in più sull‟organizzazione temporale dell‟italiano. La tesi è articolata in sette brevi capitoli. Nel primo capitolo definiremo il concetto di quantità fonologica, intesa come quel tratto prosodico con valore 3.

(5) distintivo che oppone i segmenti in base alla loro lunghezza. Esamineremo il ruolo della quantità nel consonantismo italiano (§ 1.1), in cui è contrastiva, e analizzeremo le variazioni di lunghezza nel vocalismo (§ 1.2), soffermandoci su un fenomeno tradizionalmente attribuito all‟italiano: l‟allungamento vocalico che si verifica in sillaba aperta tonica non finale di parola. L‟allungamento vocalico è un fenomeno condizionato dal contesto, che viene generalmente motivato dal riconoscimento per l‟italiano di una restrizione sul peso della sillaba accentata. In seguito passeremo in rassegna i principali studi sulla durata vocalica in italiano (§ 1.2.1), delineando il quadro teorico tradizionale dell‟allungamento vocalico. Il capitolo II presenterà le acquisizioni di una teoria fonologica piuttosto recente, che tenta di conciliare la fonetica e la fonologia secondo un approccio articolatorio: la Articulatory Phonology. Nel III capitolo prenderemo in considerazione alcuni fenomeni in apparente contrasto con la teoria tradizionale sull‟allungamento vocalico, di natura compensatoria e transillabici, e esamineremo alcune proposte alternative (Farnetani & Kori, 1986; McCrary, 2004; Celata & Mairano, 2014; Celata et al., in preparazione), prima di esporre gli interrogativi da cui muove la nostra tesi. Per verificare le nostre ipotesi di lavoro, abbiamo condotto un esperimento su cinque soggetti di provenienza toscana, invitati a leggere per tre volte sedici bisillabi piani. Tramite questo esperimento abbiamo raccolto sia dati acustici, relativi al segnale sonoro, sia immagini ecografiche, colte nel processo di articolazione dei suoni. Il capitolo IV, dopo aver delineato l‟anatomia dell‟apparato fonatorio e della lingua in particolare (§ 4.1.1), illustrerà tra le varie metodiche disponibili oggi (§ 4.1.2) la tecnica di Ultrasound Tongue Imaging usata per l‟acquisizione dei dati ultrasonici (§ 4.1.3). La trattazione proseguirà descrivendo i materiali inclusi nella redazione del corpus (§ 4.2), il campione (§ 4.3), il sistema di acquisizione dei dati (§ 4.4) e la fase del pre-processing (§ 4.5). Seguirà nel V capitolo l‟esposizione dei risultati, acustici (§ 5.1) e articolatori (§ 5.2). Il paragrafo 5.1 analizzerà i valori durazionali e verificherà se esiste una correlazione tra la lunghezza della vocale tonica e quella dell‟intervallo consonantico seguente. I paragrafi successivi, invece, prenderanno in esame il profilo della lingua durante la produzione, alla ricerca di differenze nel modo di articolazione delle. 4.

(6) consonanti (§ 5.2.1) e di modelli di coordinazione tra gesti articolatori in contesti fonetici differenti (§ 5.2.2). Nel capitolo VI si tenterà di interpretare i risultati ottenuti e di inserire il nostro lavoro in un‟ottica più ampia, cercandogli un posto nell‟esteso campo delle scienze della voce e riflettendo sul rapporto tra fonetica e fonologia. Infine, nell‟ultimo capitolo trarremo le nostre conclusioni sul lavoro svolto.. 5.

(7) 1. La quantità A lungo sottovalutati, i fenomeni soprasegmentali o prosodici hanno ormai. conquistato a ragione un posto negli studi di linguistica, soprattutto a partire dagli anni Settanta, con l‟affermarsi degli approcci multilineari alla fonologia (Goldsmith 1976, 1990). Tra i tratti prosodici (ovvero l‟intonazione, l‟accento, la sillaba, la giuntura1), si annovera la quantità. “Per quantità fonologica si intende il tratto distintivo di carattere prosodico […] che oppone i segmenti fonici, sia vocalici sia consonantici, secondo la loro lunghezza.”2. La quantità è una nozione prettamente fonologica: variazioni nella durata dei segmenti occorrono ovviamente in tutte le lingue, ma solo in quelle che oppongono i segmenti in base alla loro lunghezza e quindi usano la durata in modo distintivo si può parlare di quantità. In quanto tratto prosodico, il suo dominio si estende al di là del singolo segmento e la sua definizione si ottiene dal confronto con le caratteristiche dei foni circostanti. La quantità, in altre parole, è una proprietà relativa: non esistono foni lunghi o brevi in assoluto, la loro lunghezza è determinata dalla lunghezza dei foni adiacenti. Di fatti, se si prendesse il valore di durata di una vocale in isolamento, ad esempio 100 ms, non sapremmo dire se quella vocale sia breve o lunga, se non confrontata con le durate dei segmenti vicini. Uno stesso intervallo di tempo può essere considerato sia breve che lungo, soltanto la valutazione del contesto può determinare la sua natura. Ad esempio una vocale di 100 ms sarà lunga se pronunciata all‟interno di un parlato veloce, o viceversa, sarà breve se la velocità d‟eloquio è molto bassa o nel parlato di laboratorio, in cui le vocali superano anche i 200 ms. Il correlato fisico principale della quantità è ovviamente la durata. Come sottolineato tra gli altri da Bertinetto (1981: 124), tuttavia, la misurazione della durata non è esente da problemi. Per studiare le opposizioni di quantità è necessario disporre dei valori di durata dei segmenti in contrasto; questi valori derivano da un‟operazione di segmentazione del segnale acustico, la quale però non avviene secondo criteri universalmente stabiliti, bensì secondo le scelte soggettive degli 1. Per un‟ampia argomentazione su questi temi rinviamo a Bertinetto (1981) e, soprattutto per l‟intonazione, a Sorianello (2006). 2 Marotta (2011). http://www.treccani.it/enciclopedia/quantita-fonologica_(Enciclopediadell'Italiano)/.. 6.

(8) annotatori. Ne consegue che i risultati non sono perfettamente omogenei tra ricerche diverse e anche all‟interno di una stessa ricerca possono esservi piccole oscillazioni. Per ovviare a questo problema è utile esplicitare i criteri di segmentazione adottati e restare il più coerente possibile con essi nel corso dell‟annotazione. È vero che oggi esistono degli algoritmi di segmentazione e annotazione automatici, ma anche in questo caso essi non sono condivisi da tutta la comunità scientifica e spesso sono soggetti a una successiva correzione manuale, che introduce una certa dose di variabilità soggettiva. Un altro problema, legato alla relatività della quantità, si manifesta quando ci si ritrova davanti alle misurazioni e si prova ad interpretare i risultati. A questo punto sorge spontanea una domanda: qual è la differenza di durata minima affinché due foni possano dirsi opposti per quantità? Anche in questo caso non sembra esserci un‟indicazione valida in assoluto, la soglia di discriminazione andrà stabilita caso per caso, in base al contesto in cui il segmento considerato è inserito. Quando ci si occupa di quantità, bisogna quantomeno conoscere e soppesare i fattori che possono influenzare i rapporti temporali dell‟atto linguistico. Facendo costante riferimento a Marotta (1985: 2-7), di seguito sono dunque illustrate, sia pur brevemente, le variabili più significative in grado di condizionare la durata segmentale3:.  la durata intrinseca dei segmenti: dal punto di vista articolatorio, i foni sono prodotti secondo dinamiche differenti che incidono sulla durata del suono stesso. In particolare, la durata dei suoni vocalici sembra influenzata dal loro grado di apertura: le vocali più aperte, come ad esempio /a/, risultano più lunghe di quelle chiuse, come /i/ o /u/. Per quanto riguarda il consonantismo, invece, la durata appare condizionata dal modo e dal luogo di articolazione: per cui, ad esempio, le occlusive sorde risultano più lunghe di quelle sonore4, le affricate sono tendenzialmente più lunghe delle occlusive e le liquide sono le consonanti più brevi;. 3. Cfr. anche Lehiste (1970). Cfr. Chen (1970) e MacNeilage e Ladefoged (1976), i quali ritengono che le occlusive sorde siano prodotte con un gesto di chiusura più rapido rispetto alle sonore. La maggiore rapidità di chiusura delle sorde sarebbe determinata dalla necessità di un movimento articolatorio più vigoroso, al fine di contrastare la maggiore pressione intraorale (caratteristica delle consonanti sorde rispetto alle sonore) con una più salda ostruzione orale. 4. 7.

(9)  il contesto fonetico: la durata di un segmento risulta influenzata altresì dalla natura e dal punto di articolazione dei segmenti circostanti; per l‟inglese, per esempio, è stato dimostrato che le vocali risultano più lunghe davanti a consonanti sonore rispetto alle corrispondenti consonanti sorde5;.  la lunghezza di parola e la posizione all‟interno dell‟unità lessicale: anche la posizione all‟interno di un‟unità linguistica superiore quale la parola e la sua estensione possono esercitare un‟influenza sulla durata segmentale. Per alcune lingue6, in effetti, si è notata una tendenza alla progressiva riduzione della durata di un segmento al crescere del numero di sillabe della parola. Tale fenomeno prende il nome di polysyllabic shortening effect. Per l‟italiano, tuttavia, Marotta (1985: 128) ha dimostrato che “in contesto di enunciato la lunghezza di parola gioca un ruolo marginale nella determinazione della durata vocalica”7. Allo stesso tempo, la lunghezza del segmento può variare a seconda della sua posizione nella parola: ad esempio in italiano le vocali toniche finali sono più brevi delle vocali toniche in altra posizione;.  l‟enfasi: la volontà di marcare un termine a livello semantico può provocare allungamenti anche notevoli dei segmenti coinvolti;.  la frequenza d‟uso: le parole funzionali sono generalmente più brevi, mentre quelle a bassa frequenza sono pronunciate più lentamente;.  l‟accento: è un fattore che ha una forte incidenza sulla durata, specialmente sulla lunghezza vocalica8;.  la velocità d‟elocuzione: a questo parametro la durata segmentale risulta particolarmente sensibile. La velocità d‟eloquio varia molto in relazione al parlante, alla situazione comunicativa e al grado di attenzione richiesto all‟ascoltatore, ma anche all‟interno di uno stesso enunciato possono verificarsi accelerazioni e rallentamenti che producono differenze rilevanti tra segmenti vicini. Non a caso molte ricerche adottano delle procedure di normalizzazione. 5. Un accorciamento acustico di circa 25-30 ms della vocale davanti a ostruente sorda vs. sonora o sonante è presente nella maggior parte delle lingue (Chen, 1970). 6 Ad esempio in svedese, come documentato da Lindblom & Rapp (1973). 7 Cfr. anche Vayra et al. (1984, 1987). 8 È noto che le vocali toniche sono generalmente più lunghe di quelle atone; ciò vale naturalmente anche per l‟italiano. Cfr. Bertinetto (1981) e in particolare Marotta (1985).. 8.

(10) dei dati, al fine di ricavare valori uniformi, che astraggano dalle condizioni concrete e variabili dei singoli atti linguistici9;.  la struttura sintattica: il potere condizionante della sintassi sulla struttura temporale del linguaggio si esercita prevalentemente ai confini dei costituenti maggiori. Si pensi soltanto al noto fenomeno dell‟allungamento pre-pausale10. La durata è il correlato fisico principale della quantità, ma non l‟unico. Alla definizione delle opposizioni di lunghezza concorrono anche altri elementi: il grado d‟intensità, la presenza del tratto di tensione, le variazioni nella frequenza fondamentale, anche l‟intonazione. Spesso questi fattori sono compresenti all‟opposizione di durata e, come già avvenuto in passato per il latino ad esempio nel collasso della quantità vocalica (Vineis 1984), possono declassare il correlato principale e passare da tratti ridondanti a tratti pertinenti. Ogniqualvolta si fa riferimento alle opposizioni di quantità si è indotti a pensare all‟opposizione breve vs lungo. Tuttavia, esistono opposizioni di quantità non binarie, per quanto rare, come ad esempio in estone, in cui la dimensione temporale è fonologicamente tripartita, ovvero presenta tre diversi gradi di quantità: breve come nell‟estone sada “cento”, lungo, es. saada “mandate!” e iperlungo, es. saaada “essere permesso” (Simone 2014). La quantità può essere pertinente per una classe di foni alla volta, consonantici o vocalici, o per entrambe.. 1.1. La quantità consonantica in italiano. In italiano, la lunghezza è contrastiva per il consonantismo all‟interno di parola. Come mostrato in (1), le coppie minime che differiscono per il solo tratto di. 9. Cfr. in proposito Calamai (2015: 99-103 e passim). La velocità d‟eloquio è anche una fonte di “variazione fonetica socialmente strutturata”; differenze nella velocità d‟elocuzione sono infatti in grado di veicolare un gran numero di informazioni: informazioni di tipo fisico (sull‟età, il sesso e lo stato di salute del parlante), significati psicologici (sulle caratteristiche psicologiche e lo stato affettivo del parlante) e infine significati social (come lo status sociale, la provenienza regionale, l‟etnia e via dicendo). 10 A tal proposito, sottolineiamo l‟interconnessione tra sintassi e ritmo linguistico: la sintassi opera un forte condizionamento sulla struttura temporale degli enunciati, guidandone la scansione nei principali costituenti sintattici e determinando un allungamento in posizione finale di costituente; ma anche la struttura ritmico-temporale può a sua volta influire sulla struttura sintattica, disambiguando ad esempio sequenze ambigue (Marotta 1985). Cfr. anche Sorianello (2006).. 9.

(11) lunghezza delle consonanti in italiano sono tantissime11, a testimonianza della solidità di questo tratto nel sistema linguistico italiano: (1). fato. vs. fatto. nono. vs. nonno. pala. vs. palla. poro. vs. porro. braci. vs. bracci. Quasi tutte le consonanti dell‟italiano permettono l‟opposizione di quantità, più precisamente le seguenti 15 consonanti: /p, b, d, k, g, d, f, v, s, ʧ, ʤ, m, n, l, r/. Sono esclusi i glides /j, w/, che sono sempre brevi, la fricativa sonora /z/, per la sua distribuzione ristretta, e le consonanti cosiddette rafforzate, ovvero /ʃ, ɲ, ʎ, ʦ, ʣ/, che sono intrinsecamente lunghe12. Le consonanti geminate ricorrono generalmente in posizione intervocalica, come in passo, tacca o ghiaccio [ˈgjat:ʃo], oppure tra vocale e approssimante, come in occhio [ˈɔkːjo], acqua [ˈakːwa] o assieme [aˈsːjɛme]. Un piccolo sottogruppo, inoltre, costituito dalle occlusive sorde e sonore e da /f/, esibisce il contrasto di quantità anche quando seguito dalla laterale /l/ o dalla vibrante /r/, come ad esempio in agglomerato, afflusso o raddrizzare (Bertinetto & Loporcaro 2005: 133). In realtà, in italiano standard e nelle varietà centro-meridionali, le consonanti geminate possono trovarsi anche ad inizio di parola, ad esempio nelle espressioni più [tː]ardi, a [dː]opo, va [bː]ene. In tal caso, tuttavia, la geminata non ha valore distintivo in quanto è manifestazione di un processo di assimilazione regressiva tra la consonante finale di una parola e la consonante iniziale della parola successiva, noto come “raddoppiamento fonosintattico”13. 11. Secondo Simone (2011) addirittura migliaia. http://www.treccani.it/enciclopedia/lingueromanze-e-italiano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/. 12 Per una verifica sperimentale su questo argomento si rinvia a Endo & Bertinetto (1998). Gli autori osservano come i foni generalmente assunti come “rafforzati” non si comportino in realtà come un insieme solidale: in particolare, le affricate dentali sorda e sonora, secondo le loro conclusioni, possono continuare ad essere considerate a buon diritto intrinsecamente lunghe; le sonoranti palatali /ʎ/ e /ɲ/, al contrario, “non manifestano proprietà tali da imporle come autentici foni rafforzati”; la fricativa palatale /ʃ/, invece, presenta un comportamento disomogeneo per parlanti di varietà regionali diverse (per le varietà centrale e meridionale risulta autenticamente rafforzata; per la varietà settentrionale sembra valere il contrario). 13 Seguendo la definizione di Fanciullo (2015), data una sequenza di Parola1 Parola2 (per esempio a casa), per raddoppiamento fonosintattico si intende il rafforzamento, o la geminazione, della consonante iniziale di Parola2 per effetto di Parola1. Di conseguenza, la sequenza a casa è pronunciata come [a#ˈkːasa], con l‟allungamento della consonante iniziale di casa, per effetto della preposizione a. Si distinguono due tipi di raddoppiamento fonosintattico, entrambi però riconducibili. 10.

(12) Questo quadro è vero per l‟italiano standard e per l‟italiano parlato in Toscana. Non può dirsi altrettanto vero, tuttavia, per le altre varietà regionali di italiano. Nella varietà parlata nell‟Italia meridionale perdono la possibilità del contrasto di lunghezza anche l‟occlusiva bilabiale sonora /b/ e l‟affricata /ʤ/, che sono pronunciate sempre lunghe14; nell‟Italia settentrionale, invece, o almeno in alcune varietà diastraticamente basse e in certi stili d‟eloquio, l‟opposizione di lunghezza per le consonanti sopra elencate si neutralizza o quantomeno si affievolisce, allorché i parlanti trasferiscono nella loro varietà di italiano regionale un tratto tipico dei dialetti settentrionali: vale a dire l‟assenza di consonanti lunghe, che rientra in una tendenza più generalizzata all‟indebolimento consonantico (cfr. Fanciullo 2015). Per quanto attiene alla rappresentazione della quantità consonantica in italiano, si tratta di una questione lungamente e aspramente dibattuta. Non è banalmente una polemica sulle modalità di trascrizione, quindi formale, riguarda piuttosto una differenza sostanziale, ovvero la natura fonologica della lunghezza consonantica in italiano. Si oppongono a tal proposito due tesi: secondo la tesi bifonematica, i foni lunghi non sono altro che la sequenza di uno stesso fonema ripetuto due volte; la tesi monofonematica, al contrario, interpreta i foni lunghi come singoli suoni lunghi. Le conseguenze dell‟adozione dell‟una o dell‟altra linea di pensiero sono notevoli, dal momento che abbracciando la tesi monofonematica l‟inventario fonemico italiano viene ad ampliarsi: infatti, per ogni consonante breve15, caratterizzata dal tratto distintivo [− lungo], è prevista una corrispondente consonante allungata, in termini di tratti [+ lungo]. Dal punto di vista dell‟output, il risultato è lo stesso, poiché l‟incontro di due consonanti brevi, per effetto di un semplice fenomeno di coarticolazione, dà come esito un unico suono lungo. Da qui si evince che anche la scelta del termine lungo o geminato in riferimento alle consonanti di lunga durata non è neutra, ma riflette l‟adesione alla tesi mono o bifonematica rispettivamente. Non è nostro interesse entrare nei dettagli della questione, giacché sono state. alla stessa origine storica, ovvero l‟assimilazione totale della consonante finale della parola precedente: l‟uno è fonologico (dovuto all‟ossitonia di Parola1 e diffuso all‟incirca sui confini amministrativi della Toscana) e l‟altro morfologico (innescato da un gruppo circoscritto di elementi morfologici e diffuso in tutta l‟Italia centro-meridionale, Toscana inclusa). Per un‟illustrazione concisa, ma chiara e completa del fenomeno cfr. Fanciullo (2015). Si rimanda a Loporcaro (1997) per una trattazione più ampia e approfondita. 14 Per la distribuzione geografica del fenomeno e una sua ricostruzione storica si veda Fanciullo (2015). 15 Ognuna delle 15 consonanti potenzialmente allungabili in italiano, come accennato sopra.. 11.

(13) avanzate al riguardo innumerevoli argomentazioni in favore dell‟una o dell‟altra ipotesi. Rimando, dunque, a Muljaĉić (1972) per un riassunto delle varie posizioni e a Bertinetto (1985) e al più recente contributo di Loporcaro (1996) per alcune valide integrazioni. Ci limiteremo solo a suggerire che propendiamo per la tesi bifonematica e a citare alcune tra le principali argomentazioni a suo favore: innanzitutto, l‟ambisillabicità delle consonanti doppie (per cui palla è sillabato come pal.la e non pa.l:a), comprovata da numerosi fenomeni fonetici e fonologici che assimilano il contesto geminato ai clusters eterosillabici; la loro distribuzione, limitata alla posizione interna di parola; la lunghezza della vocale che precede la geminata (vedi oltre, par. 2.2); l‟origine da nessi di consonanti diverse del latino di molte geminate contemporanee (lat. SEPTEM > it. sette; lat. SOMNU > it. sonno). Da non sottovalutare è il valore probativo che possono assumere i dialetti italo-romanzi nella questione (Loporcaro 1996). L‟italiano è l‟unica lingua romanza ad aver mantenuto la sensibilità alla lunghezza consonantica del latino16. Il latino classico, com‟è noto, distingueva per durata sia le vocali sia le consonanti. Relativamente alle consonanti, la geminazione era prevista nel sistema fonologico latino, come si vede dalle coppie minime in (2), sebbene non avesse un alto rendimento funzionale17: (2). colis “tu coltivi”. vs. collis “colle”. ferum “selvaggio”. vs. ferrum “ferro”. L‟italiano ha ereditato le geminate del latino, ma ne ha soprattutto create di nuove nell‟evoluzione dal latino volgare alla varietà italo-romanza attraverso processi assimilatori. Ad esempio da FACTUM si ottiene fatto, da DORSUM > dosso.. 1.2. La lunghezza vocalica in italiano e l’OSL. La lunghezza vocalica in italiano non è un tratto distintivo, per cui non è lecito in questo caso parlare di quantità vocalica nell‟accezione precedentemente definita. Ci sono state, tuttavia, in passato proposte di trattare la lunghezza vocalica in italiano come distintiva, tra le quali quella che ha avuto più risonanza è stata l‟analisi 16. Anche nello spagnolo la lunghezza consonantica è del tutto marginale, giacché l‟opposizione di lunghezza si è conservata per un unico segmento, la vibrante /r/ (es. pero “ma” ~ perro “cane”), e non incide in modo significativo sul sistema linguistico. 17 Per la geminazione consonantica in latino si rinvia a Giannini & Marotta (1998); per una panoramica sulla sillaba in latino cfr. Marotta (1999).. 12.

(14) generativa di Saltarelli (1970). Saltarelli si interroga su quale debba essere considerato il tratto distintivo nelle coppie minime del tipo caːsa ~ cassa, dal momento che in tali coppie varia sia la lunghezza della consonante sia quella della vocale tonica. Per la soluzione l‟autore si fa guidare da un principio di economia descrittiva. Egli ritiene che, ponendo la lunghezza vocalica come tratto distintivo, la lunghezza consonantica sia predicibile a partire da quella vocalica. Saltarelli (1970: 28) conclude dunque che: “(1) a long vowel is twice as long as a following consonant, and (2) double consonants are about twice as long as single consonants.”. In tal modo Saltarelli giunge ad invertire i ruoli tradizionalmente assegnati alla quantità consonantica da una parte, distintiva, sistematica e fonologicamente pertinente, e alla lunghezza vocalica dall‟altra, concomitante, ma non necessaria per la discriminazione di coppie minime. Anzi, l‟autore si spinge anche oltre, inglobando il fenomeno del raddoppiamento fonosintattico e perfino il meccanismo di assegnazione dell‟accento nella sua riformulazione della lunghezza in italiano. Da più parti sono state segnalate caratteristiche fonetiche e fonologiche della lingua italiana in contrasto con una teoria siffatta e oggi la tesi di Saltarelli sembra ormai superata. Lo stesso Saltarelli ha ritrattato alcune delle sue affermazioni, di fronte alla presenza di numerosi fenomeni dell‟italiano non spiegabili attraverso la sua teoria. Tra questi l‟assegnazione dell‟accento in parole in cui la vocale tonica segue l‟opposizione consonantica (ad es. camino vs cammino) o la sistematicità del comportamento della vocale tonica in contesti sillabici diversi dalla consonante semplice o geminata (la vocale è più breve in sillaba chiusa che in sillaba aperta, indipendentemente dalla struttura della sillaba chiusa, ovvero dal fatto di terminare con il primo elemento di una geminata o di un nesso eterosillabico). Per un‟analisi critica della proposta di Saltarelli cfr. Bertinetto (1981: 115-118) e Vogel (1982: 4649). La lunghezza vocalica, come dicevamo, dunque, non è un tratto distintivo per l‟italiano. Ciò non significa che la durata vocalica non subisca variazioni. Anzi, è stato osservato che la lunghezza vocalica in sillaba tonica varia sistematicamente: nello specifico, una vocale si allunga in sillaba aperta tonica non finale di parola. Questo fenomeno è noto anche come Open Syllable Lengthening (abbreviato in OSL), con denominazione inglese.. 13.

(15) La lunghezza vocalica appare pertanto un tratto condizionato dal contesto. Secondo la concezione tradizionale, essa tende a disporsi in distribuzione complementare in dipendenza dalla struttura sillabica: la vocale tonica non finale è breve se si trova in sillaba chiusa, lunga se in sillaba libera. Per questo principio, avremo ad esempio [ˈpaːla] e [ˈpaːdre], con allungamento della vocale tonica giacché in sillaba aperta, ma [ˈpalma] e [ˈpalːa], con vocale breve perché in sillaba chiusa. In questo modo, a livello fonetico, per parole del tipo casa ~ cassa avremo non solo un‟opposizione per quantità consonantica, ma una doppia opposizione, che coinvolge sia la vocale che la consonante, nella forma [kaːsa] ~ [kasːa]. Si può tradurre la definizione appena data in termini di regola con il seguente formato (Loporcaro 2015): V → Vː /. __ [+ stress]. ]σ dove ]σ ≠ ]PW. in cui V = vocale; σ = sillaba; PW = parola fonetica (Phonetic Word); ] = confine. Per quanto riguarda la ragione del fenomeno, si fa in genere riferimento ad una tendenza alla compensazione tra durata della vocale e durata della consonante seguente. La questione può essere riformulata in altri termini. Possiamo interpretare questo fenomeno come la prova dell‟esistenza in italiano di un vincolo sul peso della sillaba tonica, noto in ambito specialistico come restrizione sulla rima forte: la sillaba accentata in italiano deve essere pesante a livello post-lessicale. Il peso prosodico è determinato dalla struttura della rima della sillaba: se la rima proietta una sola posizione temporale, allora la sillaba è leggera; viceversa, se la rima è complessa, cioè se presenta una coda o ha un nucleo complesso, la sillaba è pesante. Alla luce di questa distinzione e in aderenza al vincolo sul peso della rima appena esposto, allora, se la rima sillabica è leggera, cioè in presenza di sillaba aperta (i.e. nel contesto ˈCV.CV), la vocale si allunga per conferire un peso più idoneo alla sillaba che porta l‟accento; se invece la rima è pesante, cioè in sillaba chiusa (i.e. nel contesto ˈCVC.CV), la condizione è già rispettata in quanto è già presente una consonante in coda che rende pesante la rima e quindi la vocale rimane breve. Il procedimento può essere chiarito meglio attraverso la sua rappresentazione, secondo. 14.

(16) il modello non lineare e gerarchico della Fonologia autosegmentale (Goldsmith, 1990). Come si vede nel caso (a), in sillaba aperta, la rima leggera, associata ad un solo elemento sul livello scheletrico, violerebbe la restrizione sul peso sillabico attiva in italiano; l‟allungamento vocalico in (b), allora, assegnando due posizioni alla vocale lunga, riporta la sillaba tonica ad una forma accettata nella grammatica italiana. Il processo di allungamento è bloccato, invece, nel caso di sillabe chiuse, come evidente in (c), dove la consonante in coda rende già pesante la sillaba.. /. σ. σ. R. σ. σ. R. R. σ. σ. R. R. R. A N A N. A N. A N. A N Cd A N. x. x. x. x. x. x. x. x. x. f. a. t. o. t. o/. /f. a. a.. b.. /. x. / f aː. x. c.. x. x tː. x o/. dove σ = sillaba; R = rima; A = attacco; N = nucleo; Cd = coda. Il primo a notare queste “relations constantes” tra lunghezza vocalica e contesto fu Josselyn (1900), il quale notò che una vocale tonica davanti a consonante semplice è più lunga della stessa vocale davanti a una consonante geminata. In seguito tanti altri studi sperimentali sono stati effettuati al riguardo, confermando e approfondendo questa prima impressione18. D‟altronde, ci sono varietà dialettali italiane in cui, invece, la lunghezza vocalica è fonologica, ovvero è usata per distinguere e opporre coppie di parole. Qui addirittura si sono invertiti i rapporti tra quantità consonantica e vocalica e l‟opposizione di lunghezza vocalica ha sostituito i contrasti basati sulla quantità consonantica. Per fare un solo esempio si pensi al cremonese [ˈpaːn] “pane” vs [ˈpan] “panni”, in cui il. 18. Vedi oltre, par. 2.2.1.. 15.

(17) contrasto semantico è sostenuto interamente dalla differente lunghezza della vocale, mentre la consonante ha perso ogni potere distintivo19. L‟opposizione di quantità vocalica in latino funzionava per tutte le cinque vocali, sia per le toniche che per le atone, sia in sillaba aperta che in sillaba chiusa: a) con tutte le vocali: mălus “cattivo”. vs. mālus “melo”. lĕvis “leggero”. vs. lēvis “liscio”. pĭla “palla”. vs. pīla “pilastro”. fŏdit “scava” pres. ind. 3a pers. sing. vs fōdit “scavò” perf. ind. 3a pers.sing. lŭteus “fangoso” vs. lūteus “giallo”. b) in sillaba atona: bonă “buona” nominativo f. sing. vs bonā “buona” ablativo f. sing. c) in sillaba chiusa: ŏs “osso”. vs. ōs “bocca”20. 1.2.1 Stato delle ricerche I primi studi sperimentali sulla quantità in italiano da cui possiamo ricavare dati interessanti che riguardano le vocali toniche sono gli studi di Josselyn (1900) e Parmenter & Carman (1932). Entrambi usano un chimografo per le loro misurazioni (e dunque bisogna attendersi un certo grado di imprecisione nei risultati) e entrambi hanno un interesse didattico, mirato a stabilire delle regole di pronuncia per gli stranieri che si accingono ad imparare l‟italiano fedelmente. Nel suo decimo capitolo, Josselyn raccoglie dati chimografici su parole pronunciate in isolamento, di diversa lunghezza e contesto fonetico, ma caratterizzate dall‟opposizione tra scempie e geminate. I sette parlanti analizzati provengono dall‟Italia centrale e uno dalla Sicilia, da classi sociali diverse. Josselyn è il primo a notare che l‟allungamento delle consonanti geminate è accompagnato da una riduzione della lunghezza vocalica:. 19. Sui dialetti di area emiliana cfr. Uguzzoni (1971, 1975), sull‟area lombarda occidentale cfr. tra gli altri Repetti (1992) e per quella friulana cfr. Baroni & Vanelli (1999). Si rimanda invece a Loporcaro (2015) per una teoria unificata sull‟evoluzione della quantità vocalica dal latino ai giorni nostri e in particolare per la questione dell‟origine della quantità vocalica distintiva nei dialetti settentrionali. 20 Esempi tratti da Loporcaro (2015: 2).. 16.

(18) “[…] l'action de ce redoublement se fait sentir non seulement dans la consonne ellemême, mais aussi dans la voyelle qui la précède” (Josselyn 1900: 147). Riportiamo in Tabella 1 i valori medi di durata di vocale tonica e consonanti in parole parossitone per i cinque soggetti presi in considerazione per questo esperimento, tratti dalla Tabella 3 p.156 di Josselyn, insieme alle medie complessive da noi ricavate. Tabella 1 Valori di durata in ms per i singoli parlanti e medie, da Josselyn (1900: 156).. A. B. C. E. F. Media. V:. 280. 180. 180. 240. 260. 228. C. 140. 130. 130. 120. 140. 132. V. 170. 170. 160. 170. 180. 170. C:. 230. 240. 180. 220. 250. 224. Lo scarto di durata più contenuto tra vocali toniche in sillaba aperta e chiusa nei parlanti B e C viene attribuito dall‟autore alle loro “prononciations populaires” dal momento che sono gli informatori meno colti nel suo campione. Lo studio di Parmenter & Carman (1932) nasce dalla constatazione della contraddittorietà delle grammatiche per studenti L2 di italiano in merito alla lunghezza vocalica e dall‟osservazione della grande sensibilità degli italiani agli errori relativi alla lunghezza vocalica, già sottolineata da Panconcelli-Calzia (1911:19) così come da Josselyn (1900: 146). Parmenter & Carman forniscono i dati relativi a 63 parole, pronunciate in isolamento e in contesto di frase, da un singolo parlante, di cui 33 contenenti una consonante scempia del tipo pane e 30 una geminata del tipo panni, precedute da vocale tonica. I risultati medi, tratti dalla tabella 2 di Parmenter & Carman e convertiti in millisecondi, sono riportati in Tabella 2. Tabella 2 Valori di durata medi in ms per parole in isolamento e in contesto di frase, da Parmenter & Carman (1932: 106).. In isolamento In contesto V: 200 180 C 110 100 V 150 140 C: 250 180 17.

(19) Gli autori decidono poi di rapportare i risultati ottenuti al valore della consonante semplice. Tale normalizzazione consente in primo luogo di eliminare differenze dovute a ritmi d‟elocuzione diversi, ma rende soprattutto evidenti i rapporti di durata tra i segmenti considerati. In conclusione si ricava che: la consonante geminata è pari a 2,2 volte la consonante semplice in parole in isolamento e 1,8 in contesto di frase; la vocale tonica è pari a 1,8 volte la consonante quando precede una consonante scempia e si riduce ad 1,4 quando precede una geminata, sia in parole isolate, sia in contesto. Riassumendo i risultati di Parmenter & Carman (1932: 107) con le loro parole: (1) The combination V: + C, as in pane, is shorter in duration than the combination V+C:, as in panni, in the proportion of approximately four to five. (2) The long vowel is approximately twice as long as its following consonant. (3) The short vowel is approximately one fourth shorter than the long vowel, or inversely, the long vowel is about one third longer than the short. (4) Double consonants are relatively longer in isolated words than in words pronounced in connected discourse. (5) Double consonants are longer than the preceding vowel by one third to one half. (6) Double consonants are approximately twice as long as single consonants.. Lo studio di Fava & Magno Caldognetto (1976) è il primo studio sperimentale italiano a focalizzarsi sulla durata delle vocali, toniche e atone. Le due ricercatrici del CNR di Padova registrano una serie di coppie subminime scelte tra le parole ad alta frequenza d‟uso dell‟italiano, pronunciate da tre informatori. Per l‟analisi dei dati si servono di un Kay Electric Sonagraph, attraverso il quale è possibile estrarre lo spettrogramma a banda larga e stretta del segnale acustico. I materiali selezionati prevedono le seguenti strutture di parola: a). CV.CV – in cui la vocale tonica è seguita da una consonante scempia, come in cane;. b). CVC.CV – in cui l‟intervallo consonantico mediano è costituito da una consonante geminata, ad esempio in canne;. c). CVC.CV – dove l‟intervallo consonantico mediano è rappresentato da una consonante cosiddetta rafforzata, come in cagne;. d). CVCCV21 – in cui le consonanti centrali sono diverse l‟una dall‟altra, come in campi o carta.. 21. Per questo contesto Fava & Magno Caldognetto (1981: 45) si riferiscono a una sillabazione del tipo CV.CCV, ma i bisillabi analizzati, eccetto madre e padre che contengono il nesso muta cum. 18.

(20) La ricerca di Fava & Magno Caldognetto è anche la prima, dunque, a registrare la durata della vocale tonica chiusa da una coda diversa dal primo elemento di una geminata tradizionale, estendendo, in tal modo, l‟esplorazione dei contesti in cui il fenomeno di allungamento vocalico è bloccato. Sfortunatamente, le autrici, interessate alla lunghezza vocalica, non riportano i valori di durata delle consonanti, che sarebbero stati un elemento prezioso di confronto. I dati relativi alla vocale tonica seguita da scempia e da geminata sono riportati in Tabella 3, tratti dalla Tabella IIIA di Fava & Magno Caldognetto. Tabella 3 Valori medi di durata della vocale tonica in ms per parlante e media, tratti da Fava e Magno Caldognetto (1976: 52).. ˈCVCV ˈCVCCV. I informatore 208,4 89,3. II informatore 217,5 117,2. III informatore 204,8 117,3. Media 210,2 107,9. I valori registrati dalle due autrici si distaccano da quelli riportati negli studi precedenti: la lunghezza della vocale tonica in sillaba aperta equivale quasi al doppio della vocale tonica in sillaba chiusa, non lasciando alle autrici alcun dubbio riguardo all‟esistenza di “due tipi di vocale tonica in italiano: una vocale tonica lunga in sillaba aperta e una vocale tonica breve in sillaba chiusa” (Fava e Magno Caldognetto 1976: 62). Il quadro è completato dai valori medi di durata per la vocale tonica seguita dalle cosiddette consonanti rafforzate (che essendo intrinsecamente lunghe sono sillabate separatamente, di cui il primo chiude la sillaba tonica) e da nessi eterosillabici, rispettivamente 90 e 100 ms. Le vocali accentate in questi contesti si comportano come nel caso di sillaba chiusa dal primo membro di una geminata. Vale la pena notare che le autrici riferiscono di un effetto per così dire allungante, provocato dai nessi di vibrante + occlusiva, nasale o sibilante22; in questo contesto la vocale tonica è mediamente più lunga, tra i 177 e i 156 ms. Ciò comunque non è sufficiente ad invalidare la tesi di una diversa distribuzione di lunghezza della vocale tonica in italiano in dipendenza dalla struttura sillabica. Bertinetto (1981), nella sua magistrale monografia sui tratti prosodici, si sofferma nel cap. IV sulla nozione di quantità. Egli prende in considerazione le esecuzioni di liquida, tradizionalmente classificato come tautosillabico, e i nessi /s/+C che risultano quantomeno problematici, sono tutti a scansione CVC.CV, come carta, vento, forte. 22 Escludo l‟altro nesso indicato dalle autrici come problematico, ovvero CVCocclusivaCrotataV, per i motivi già esposti nella nota precedente.. 19.

(21) quattro informatori, studenti a Torino. I dati raccolti includono 3 coppie di bisillabi piani opposti per la lunghezza consonantica e 15 coppie minime pronunciate in contesto di frase. Nella selezione dei materiali sono state usate alcune accortezze: innanzitutto, per evitare di alterare le misurazioni inserendo troppe variabili che potevano incidere sulla lunghezza vocalica, sono state usate come consonanti intervocaliche solo occlusive sorde, che hanno un effetto simile sui suoni circostanti; inoltre, per mantenere il contesto fonetico il più possibile omogeneo, tutte le parole in contesto erano seguite da parole inizianti con altre consonanti occlusive sorde. I dati di Bertinetto (v. Tabella 4) si collocano sullo stesso piano di Parmenter & Carman (1932) per quanto riguarda i rapporti tra la lunghezza vocalica e consonantica: se si usa la formula di normalizzazione dei due autori, che come ricordiamo assume la durata della consonante scempia come unità di riferimento, emerge che la vocale tonica e la consonante seguente sono soggette alla stessa modulazione di durata, indipendentemente dal fatto di essere prese in parole in isolamento o in contesto. La coerenza nel comportamento dei segmenti nei due diversi contesti consente all‟autore di constatare che in italiano la velocità d‟eloquio agisce in maniera proporzionale su tutti i foni. Inoltre i rapporti reciproci fra lunghezza vocalica e consonantica confermano l‟esistenza di una legge di compensazione quantitativa in italiano. Ciononostante, Bertinetto fa notare che cogliere soltanto i rapporti reciproci tra lunghezza vocalica e consonantica senza valutarne i valori assoluti oscurerebbe altre osservazioni forse più acute. Innanzitutto, i valori di durata confermano il ruolo della lunghezza consonantica come l‟unico tratto distintivo nell‟opposizione di coppie italiane del tipo casa ~ cassa, dal momento che la lunghezza consonantica è la sola che presenta ampi scarti in durata tra scempie e geminate, sensibilmente al di sopra della soglia minima di percezione dei parlanti, a differenza della ridotta variazione della lunghezza vocalica. Per di più, il margine di oscillazione dello scarto tra scempie e geminate è assai ristretto rispetto a quello relativo alle vocali. Ciò significa che l‟opposizione di quantità nelle consonanti è più regolare, confermando ancora una volta che è la lunghezza consonantica e non quella vocalica ad essere distintiva in italiano. Una seconda, ma non meno importante osservazione riguarda il notevole allungamento vocalico in parole isolate. Secondo Bertinetto (1981: 134), infatti, “[…] sarebbe un grave errore. 20.

(22) fare illazioni sulla durata vocalica in italiano, basandosi esclusivamente sullo studio di parole pronunciate in isolamento […]”. E continua osservando che: […] mentre i singoli membri delle coppie subminime sono chiaramente identificabili sulla base della generale informazione semantico-sintattica convogliata dall‟enunciato, nella pronuncia isolata il locutore è costretto, per assicurare la comprensione, ad enfatizzare tutte le possibili differenze di natura soprasegmentale […].. Bertinetto raccomanda di usare le giuste cautele nello studio sulla quantità, in particolare in merito al metodo di indagine prescelto: studiare un fenomeno in parole in isolamento può darne una visione alterata, dal momento che i locutori, in mancanza di un contesto semantico-sintattico, tendono ad esasperare caratteristiche che nel parlato in condizioni normali non hanno valore significativo. In questo caso le differenze di durata tra le vocali sono usata dal parlante per facilitare l‟identificazione della parola fuori contesto. Questa esasperazione potrebbe convogliare la sensazione che la lunghezza vocalica giochi in italiano un ruolo più significativo di quanto lo sia in realtà. Tabella 4 Valori di durata medi in ms per parole isolate e in contesto seguiti dai valori della deviazione standard per le medie delle parole in contesto di frase, tratti dalle tabelle XX e XXI di Bertinetto (1981: 263).. V:. C. V:+C. V. C:. V+C:. Media parole in isolamento 143,3 132,9 272,2 95,3 229,9 324,9 Media parole in contesto. 80,1. 73,9. Deviazione standard. 22,6. 11,1. 153,9 66,4 116,8 182,4 -. 13,1. 21,7. -. Vogel (1982) fornisce, invece, i dati di cinque soggetti, tre dei quali di area romana, uno di Firenze e l‟altro di Milano, intervistati in due momenti diversi e con due tecniche differenti: di tre informatori sono state registrate e poi analizzate attraverso un Kay Electric Sonograph la vocale tonica e la consonante seguente di parole in isolamento e in contesto di frase; per gli altri due sono state analizzate tramite oscilloscopio tre ripetizioni per ogni parola inserita in una frase-cornice del tipo “Dico__sei volte di seguito”. Dai dati di Vogel (vedi Tabella 5) emerge che la consonante lunga corrisponde quasi al doppio della scempia, ovvero è 1,9 volte la controparte singola, mentre la vocale breve corrisponde all‟80% della vocale lunga o, all‟inverso, si riduce rispetto al contesto geminato del 20%.. 21.

(23) Tabella 5 Valori di lunghezza per i tutti i parlanti e valori medi, tratti da Vogel (1982: 37).. A. B. C. D. E. Media. V. C. V. C. V. C. V. C. V. C. V. C. V+C. 187. 122. 84. 90. 90. 64. 131. 75. 161. 74. 130,6. 84,6. V+CC. 119. 238. 79. 138. 87. 136. 113. 114. 130. 187 105,6 162,6. L‟esperimento di Vogel si inserisce nel tentativo di elaborare una teoria unificata che ricolleghi ad un'unica spiegazione la lunghezza consonantica, l‟allungamento vocalico e il raddoppiamento fonosintattico. Secondo l‟autrice i tre fenomeni di lunghezza rispettano una Condizione di Buona Formazione dell‟italiano (nel testo originale Well-Formedness Condition), che predica che “(a) le sillabe aperte accentate non finali hanno vocali lunghe (o, nelle sillabe aperte accentate non finali si trovano vocali lunghe) e (b) tutte le altre sillabe hanno vocali brevi (o, in tutte le altre sillabe si trovano vocali brevi)”. La Condizione di Buona Formazione prevede che tutte le stringhe in uscita presentino una certa forma. Qualora tale condizione venga violata, intervengono le regole di allungamento vocalico e di raddoppiamento sintattico le quali modificano la stringa in modo tale da conformarsi alle restrizioni della lingua23. Gli studi successivi sulla lunghezza vocalica iniziano a valutare le variazioni di lunghezza vocalica in prospettiva più ampia, mettendola in relazione ad altri fattori che potrebbero condizionarla, come ad esempio la lunghezza di parola, l‟accento, l‟ampiezza del piede ritmico in cui la vocale si inserisce. Marotta (1985) rappresenta una tappa imprescindibile per chi intende studiare la struttura temporale dell‟italiano parlato. Nella prima parte del testo, l‟autrice si occupa dell‟interazione tra due unità ritmiche centrali negli studi sul timing, ovvero la parola e il piede. A tal fine, Marotta si avvale di sintagmi che rispecchiano differenti modelli ritmici dell‟italiano. All‟interno di tali modelli, la variazione della lunghezza di parola o dell‟ampiezza del piede è usata per verificare la forza di eventuali condizionamenti da parte di queste unità sulla durata vocalica degli elementi tonici. Le parole sono inserite in frasi-cornice; inoltre, al materiale 23. La Condizione di Buona Formazione di Vogel (1982) è la seguente: se: V $C0V [+ accentato] ↓ allora: [+ lungo]. 22.

(24) linguistico reale, Marotta affianca la verifica su parlato reiterato. I soggetti esaminati variano da quattro a due a seconda dell‟esperimento considerato. Dall‟analisi dei risultati Marotta conclude che la lunghezza di parola in italiano ha un‟influenza debole rispetto a altre lingue in cui è stato notato un effetto di compressione più incisivo. In particolare, la durata della vocale tonica sembra risentire della lunghezza di parola solo nel modello ritmico con vocale tonica in posizione iniziale di parola: in questo contesto, la vocale tonica si riduce dal bisillabo al trisillabo, ma nuovamente tende verso un allungamento dal trisillabo al quadrisillabo. Per gli altri modelli ritmici, ossia sillaba tonica in posizione mediana e finale, il polysyllabic shortening effect non sembra agire affatto; anzi, in parole con accento mediano come pesate, la vocale tonica è sistematicamente più lunga quando si estende la lunghezza di parola, come in pesatemi. Quanto alla seconda variabile investigata, non si evidenziano condizionamenti da parte del piede ritmico sulla durata segmentale della vocale tonica, Se l‟italiano fosse stato, almeno in parte, una lingua ad isocronia accentuale, ad una maggiore ampiezza del piede sarebbe dovuta corrispondere una compressione temporale dei segmenti che lo costituiscono, in particolare della vocale tonica. Dai risultati, al contrario, non è emerso alcun accorciamento della tonica all‟aumentare del numero si sillabe nel piede di appartenenza. Piuttosto, si nota una tendenza all‟allungamento dell‟intervallo interaccentuale proporzionale al numero di sillabe atone. Anche l‟articolo di Farnetani & Kori (1986) esamina la durata segmentale secondo questa nuova prospettiva ampliata, analizzandola in rapporto alla sillaba e alla parola. Se ne parlerà in modo più approfondito nel cap. IV. Vayra, Fowler & Avesani (1987)24, invece, intendono verificare se i “patterns of temporal compression” rintracciati per le lingue a isocronia accentuale, innanzitutto le lingue germaniche come l‟inglese, l‟olandese, lo svedese, siano effettivamente differenti per le lingue romanze e in particolare in italiano, lingua classificata in letteratura, in primo luogo da Bertinetto (1977), come una lingua syllable-timed, ovvero ad isocronia sillabica. Secondo il modello di compressione temporale di Lindblom & Rapp (1973), nelle lingue stress-timed le sillabe toniche si riducono per effetto delle sillabe atone successive e in maniera più debole delle atone precedenti. 24. Ma vedi già Vayra, Avesani & Fowler (1984), sebbene per l‟esperimento si prendano in conto le produzioni di un unico soggetto e per di più di parlato reiterato, sul cui uso Marotta (1985: 120-127) raccomanda cautela.. 23.

(25) Il loro esperimento è disegnato per testare il grado di accorciamento della vocale accentata in dipendenza dalla struttura sillabica e dalle sillabe atone immediatamente precedenti e seguenti. È prevista la misurazione della vocale tonica in sillabe con diversa struttura sillabica e in contesti metrici differenti. In quest‟ultimo caso è stato usato il parlato reiterato o reiterant speech. I risultati mostrano che per l‟italiano gli effetti di compressione sulla vocale tonica a livello di piede sono simili a quelli delle lingue ad isocronia accentuale, ovvero regolari ed asimmetrici, quando si tiene in considerazione la parola; diventano irregolari quando si oltrepassano i confini di parola. L‟accorciamento della vocale tonica, tuttavia è ridotto rispetto alle lingue ad isocronia accentuale. In conclusione, nel complesso "stressed vowels in Italian showed rather weak shortening effects”: gli effetti di compressione risultano sostanzialmente deboli, ma inaspettatamente anche la struttura sillabica sembra avere un‟influenza molto lieve sul grado di compressione della vocale tonica. D‟Imperio & Rosenthall (1999) si ricollegano al tema trattato da Marotta (1985) e partono dalla constatazione che in italiano la durata della vocale in sillaba aperta tonica varia a seconda della posizione all‟interno della parola. In particolare, la lunghezza della vocale in parole della classe metrica trocaica è maggiore rispetto a quella in parole con struttura dattilica (pur restando più lunga che in sillaba atona o in posizione ossitona). Queste differenze di durata, tuttavia, non sono tenute in conto nelle regole generalmente usate per descrivere l‟allungamento vocalico in italiano. Secondo gli autori, in realtà, non esiste una sola regola di allungamento vocalico, ma due regole distinte, l‟una di ordine fonologico e l‟altra fonetica. La regola fonologica è valida solo quando ad essere coinvolta è la penultima sillaba tonica; per spiegare l‟allungamento della vocale tonica in parole proparossitone occorre invece postulare un diverso tipo di allungamento, di ordine fonetico. Secondo Prince (1990), l‟allungamento della vocale tonica di una parola piana è conseguenza della preferenza della lingua italiana per un piede bimoraico in penultima posizione. La sillaba tonica in parole sdrucciole, al contrario, fa gruppo con la sillaba successiva, dando origine ad un‟unità già bimoraica, per cui la vocale tonica in questa posizione non ha bisogno di allungarsi dal punto di vista fonologico. Per questo motivo, l‟allungamento vocalico in parole sdrucciole è interpretato come un allungamento di tipo fonetico, dovuto semplicemente alla realizzazione fonetica dell‟accento. L‟esperimento di D‟Imperio & Rosenthall comprende due gruppi di verbi più un 24.

(26) piccolo gruppo di nomi, tutti ripetuti cinque volte da sette o cinque parlanti (provenienti dall‟Italia centro-meridionale). Le parole variano per numero di sillabe atone successive (una, due o tre sillabe atone), ognuna è pronunciata all‟interno di una frase-cornice. Anche in questo caso sono misurate soltanto le durate delle vocali. I dati di D‟Imperio & Rosenthall mostrano che la durata della vocale tonica in sillaba aperta è più lunga in penultima posizione rispetto alla terzultima e alla quartultima posizione all‟interno di parola. Tuttavia, tra la terzultima e la quartultima posizione non c‟è una differenza di durata significativa. Riassumendo, dagli studi sperimentali sulla lunghezza vocalica in italiano risulta assodata la regolarità distribuzionale delle vocali toniche, ovvero l‟allungamento vocalico condizionato dal contesto sillabico. Tuttavia, non emerge una spiegazione del fenomeno, quantomeno una spiegazione univoca, dell‟allungamento vocalico in italiano. Josselyn (1900) e Parmenter & Carman (1932) si limitano a rilevare la sistematicità del fenomeno in determinati contesti e a descriverlo; Josselyn accenna ad un‟influenza della consonante geminata sulla vocale tonica precedente tale da causarle la perdita di parte della sua durata. Fava & Magno Caldognetto (1976), dal canto loro, si propongono di ampliare e completare gli studi precedenti, ma dal punto di vista teorico non apportano alcun contributo. Ricordando che il suo scopo principale è dimostrare la falsità della tesi di Saltarelli (1970), ovvero affermare la contrastività per l‟italiano della sola quantità consonantica, Bertinetto (1981: 138) parla solo di una “legge di compensazione quantitativa tra vocale e consonante” fenomeno compensatorio tra vocale e consonante, che non ha un ruolo primario nell‟italiano parlato quotidianamente. Nel parlato di laboratorio, in contesto isolato, il fenomeno assume una portata maggiore, ma solo perché va ad integrare le carenze semantico-sintattiche inevitabili di un parlato fuori contesto. Essenzialmente si tratta dunque di un fenomeno sopravvalutato negli studi di fonetica sperimentale, da riportare nella giusta prospettiva. Marotta (1985) in proposito nota, come del resto Vayra et al. (1984 e 1987), un debole effetto di compressione in funzione del numero di sillabe atone postoniche sulla durata della vocale tonica. Lo stesso effetto emerge nello studio di D‟Imperio & Rosenthall (1999), ma esso viene qui interpretato diversamente: secondo gli autori, l‟allungamento della vocale tonica in penultima posizione ha valenza fonologica ed è motivato dal vincolo di bimoraicità per la sillaba tonica; il limitato allungamento che si riscontra in sillaba tonica in tutte le 25.

(27) altre posizioni all‟interno di parola deve essere ricondotto ad un fenomeno fonetico, indotto dalla presenza dell‟accento. Uno dei limiti più vistosi degli studi sulla lunghezza vocalica consiste nell‟aver preso in considerazione solo alcuni dei contesti che possono effettivamente seguire la vocale tonica. Solo Fava & Magno Caldognetto (1976) e Marotta (1995) analizzano le variazioni di durata vocalica davanti a nessi consonantici (i primi peraltro senza tenere in conto la durata delle consonanti). Oltretutto, i vari studi collezionano dati relativi a parlanti di diverse varietà di italiano, che, in base al diverso sostrato dialettale, potrebbero mostrare strategie temporali differenti.. 26.

(28) 2. Articulatory Phonology Tradizionalmente i linguisti hanno assegnato alla fonetica un ruolo soltanto. marginale nello studio del linguaggio. Negli ultimi anni, tuttavia, un numero sempre crescente di studiosi ha iniziato a reclamare un'integrazione maggiore tra la fonetica e la fonologia, giungendo a sostenere in qualche caso che la teoria fonetica potrebbe fornire le basi per spiegare alcune regolarità fonologiche. Di questa nuova tendenza e del rapporto fra fonetica e fonologia discuteremo in modo più approfondito nel VI capitolo. Ora invece illustreremo una teoria che cerca di coniugare le due discipline attraverso una prospettiva articolatoria: la Articulatory Phonology. Si tratta di una teoria che ha avuto molta risonanza e ha fornito spunti e terminologia per il nostro lavoro, anche se da più parti è stato messo in dubbio il suo statuto fonologico (cfr. ad es. Clements, 1992). La Articulatory Phonology (AP) è una teoria fonologica proposta per la prima volta nel 1986 da Catherine Browman e Louis Goldstein, degli Haskins Laboratories. La teoria, poi ampiamente sviluppata nei lavori successivi (Browman & Goldstein, 1988, 1989, 1992, 2000)25, concepisce la struttura fonologica e la struttura fisica del linguaggio, la fonetica, come un unico sistema complesso, in cui le due strutture occupano gradi diversi di “ingrandimento” sul suo funzionamento. In questo senso, la fonetica è trattata come descrizione “microscopica” e la fonologia “macroscopica” del medesimo sistema. Partendo dalla constatazione della variabilità delle unità fisiche del linguaggio, le autrici individuano nei gesti articolatori le unità meno variabili e maggiormente indipendenti dal contesto e ne fanno le basi della loro teoria fonologica. Il flusso continuo del parlato è dunque scomposto in una serie di gesti articolatori astratti; astratti nel senso che sono posti a un livello macroscopico di descrizione (lowdimensional) rispetto agli effettivi movimenti degli articolatori (high-dimensional). I gesti sono considerati gli atomi del linguaggio, alla stessa stregua dei segmenti o dei tratti delle teorie precedenti; tuttavia, i gesti non corrispondono a nessuna delle due categorie. Potrebbero coincidere con i segmenti alle volte, ma nel complesso la relazione tra gesti e segmenti non è biunivoca. Ad esempio, per il segmento /b/ i due concetti si sovrappongono, perché questo segmento è descritto da un unico gesto, 25. Per chi intende avvicinarsi al tema dell‟Articulatory Phonology, una buona introduzione potrebbe essere l‟articolo di Hall (2010).. 27.

(29) costrizione bilabiale; ma già se prendiamo ad esempio il segmento /p/ la corrispondenza fallisce, in quanto dal punto di vista della AP, sono implicati due gesti, il gesto di chiusura delle labbra e, in aggiunta, quello di apertura della glottide. Neanche tra tratti e gesti esiste un rapporto 1:1, dal momento che, soprattutto per i gesti di costrizione sopraglottidale, un unico gesto corrisponde a molteplici tratti. Per esempio, il gesto di chiusura bilabiale è convertito nella seguente matrice di tratti di Chomsky & Halle (1968): [- sillabico], [+ consonantico], [- sonorante], [+ sonoro], [+ anteriore], [- coronale], [- continuo], [- soluzione ritardata]. Inoltre alcuni tratti possono coincidere con i gesti, come il tratto [± sonoro] corrisponde al gesto di costrizione glottidale, ma altri tratti, si pensi al tratto [± anteriore] o [± continuo], non trovano alcuna rappresentazione in AP. I gesti sono eventi discreti, fisicamente reali, che hanno luogo durante il processo di produzione del linguaggio (Browman & Goldstein, 1992). Essi corrispondono alla formazione (e al rilascio) di una specifica costrizione del tratto vocale. I gesti sono allo stesso tempo unità d‟azione (units of action) e unità di informazione (units of information). Sono unità d‟azione poiché ogni gesto rappresenta un piccolo sistema dinamico neuromotorio, ovvero rappresentano il movimento coordinato di muscoli ed articolatori nel tempo e nello spazio; sono unità di informazione nel senso che i gesti sono distintivi, ovvero possono essere usati per distinguere unità lessicali. L‟opposizione fonologica può realizzarsi attraverso la presenza o l‟assenza di un particolare gesto o in base a differenze nel grado o nel luogo di costrizione gestuale. L‟occlusione bilabiale, per esempio, è possibile solo attraverso una perfetta coordinazione del labbro inferiore, del labbro superiore e della mandibola nel raggiungimento dell'obiettivo articolatorio nel tratto vocale. Secondo questa visione, dunque, i gesti sono unità astratte d'opposizione fonologica, ma risultano direttamente associati alle loro proprietà fisiche, in quanto intrinsecamente definiti in relazione alle strutture che ne guidano la coordinazione. Ogni gesto è definito in base alle cosiddette variabili di tratto vocale (tract variables) coinvolte. Ciascuna variabile di tratto corrisponde non ad un singolo articolatore, ma all‟insieme complessivo degli articolatori implicati nel movimento e ai valori di alcuni parametri specifici, quali la posizione di equilibrio del sistema dinamico o target (corrispondente al 'bersaglio' fonetico da realizzare), l‟elasticità (stiffness) e lo smorzamento (damping) (che determinano la quantità di tempo che il 28.

(30) sistema impiegherà per conseguire la meta funzionale, ovvero svolgere il compito di raggiungere il bersaglio). Ad esempio, ancora in riferimento al gesto di chiusura labiale, per la sua esecuzione è necessaria l‟azione coordinata di tre articolatori principali, vale a dire il labbro superiore, il labbro inferiore e la mandibola, insieme a tanti altri muscoli; il movimento verso il bersaglio avverrà sulla base dei parametri del sistema dinamico. Attualmente sono state individuate cinque variabili di tratto (vedi Figura 1), ulteriormente specificate in base al luogo (Constriction Location) e al grado (Constriction Degree) di costrizione. Esse coinvolgono principalmente le labbra, la mandibola, l‟apice e il corpo della lingua, il velo e la glottide. A titolo d'esempio, nelle parole pacco e tacco l‟opposizione fonologica sarà data dalla differenza di locazione della costrizione in posizione iniziale, in quanto nella prima il gesto avviene a livello labiale, mentre nella seconda è coinvolta la punta della lingua. In parole come sacco e tacco, invece, la distinzione fonologica è espressa dal grado di costrizione del gesto iniziale, a parità di condizione di altri parametri, come il luogo di costrizione e gli articolatori coinvolti.. 29.

(31) Figura 1 Variabili di tratto e articolatori associati (da Browman & Goldstein, 1992:24).. Ogni gesto articolatorio può essere rappresentato attraverso uno schema come quello riportato in Figura 2, che ne evidenzia i punti più rilevanti, generalmente presi come punti di riferimento per la descrizione del movimento e chiamati gestural landmarks. Tra questi l‟onset, ovvero l‟inizio del gesto articolatorio; il target, vale a dire il punto in cui è raggiunto il bersaglio fonetico; il release, il rilascio, che corrisponde al momento di inizio della fase di allontanamento dalla posizione desiderata; l‟offset, che avviene quando il controllo attivo degli articolatori si interrompe.. Figura 2 Schema di un gesto articolatorio (da Hall, 2010:820).. Poiché, come dicevamo, l‟approccio gestuale tiene in conto non solo la dimensione spaziale, ma anche la dimensione temporale dei gesti, esso è in grado di 30.

(32) cogliere degli aspetti fondamentali della produzione del linguaggio, come la possibilità per i gesti di sovrapporsi nel loro sviluppo temporale oltre che nello spazio del tratto vocale. In questo modo, la AP consente di inglobare nella teoria un fenomeno fonetico così pervasivo quale la coarticolazione. Anche in questo risiede la singolarità della AP rispetto ad altre teorie in cui i segmenti seguono un ordine lineare. La sovrapposizione può essere più o meno marcata; l‟analisi dei rapporti tra i gesti in riferimento ai landmarks consente di quantificare il grado di sovrapposizione. Le lingue possono mostrare delle preferenze nel tipo di allineamento tra gesti. Browman & Goldstein propongono un modello di rappresentazione dei gesti che comprenda sia la dimensione spaziale sia quella temporale e includa persino la possibilità di sovrapposizione fra gesti adiacenti: il cosiddetto gestural score. Esso si presenta come uno spartito gestuale nel quale sono indicati quali gesti sono coinvolti, come si dispongono l‟uno in rapporto all‟altro e qual è la loro evoluzione nel tempo. In Figura 3 è riportato il gestural score per la costellazione di gesti attivi nella produzione della parola inglese palm “palma”, pronunciata [phɑm]. I livelli articolatori sono rappresentati sull‟asse delle ordinate, mentre la dimensione temporale sull‟asse delle ascisse; l'estensione orizzontale dei riquadri rettangolari rappresenta gli intervalli d'attivazione dei gesti. Come si vede, il riquadro corrispondente al gesto di apertura glottidale è più lungo del gesto di chiusura labiale della /p/ e termina quando ormai è già attivo il movimento del corpo della lingua nella realizzazione della vocale, conferendo alla /p/ la tipica aspirazione.. 31.

(33) Figura 3 Gestural score per la parola palm [phɑm].. Per convertire la rappresentazione a grana grossa del gestural score nelle traiettorie effettive seguite dai gesti articolatori, presso gli Haskins Laboratories è stato anche sviluppato (ed è tuttora in corso di elaborazione) un modello computazionale (il Task-Dynamic Model di Saltzman & Kelso, 1987) che tenta di riprodurre attraverso equazioni matematiche il processo di produzione del linguaggio utilizzando le variabili di tratto delineate dall‟AP. Buona parte della ricerca nell‟ambito della AP si è focalizzata sul rapporto tra la struttura sillabica e il timing gestuale, ricerca che si è dimostrata feconda nell‟ottica articolatoria. Come nota Hall “AP researchers have, naturally, approached syllable structure from the perspective of trying to understand how the timing and magnitude of gestures vary when those gestures are in different parts of the syllable” (Hall 2010: 822). Questa prospettiva ha condotto ad osservazioni affascinanti sull‟organizzazione temporale del linguaggio, aprendo a nuove possibili spiegazioni di alcuni fatti fonologici. La scoperta forse più importante riguarda le differenze che sono emerse in fase di verifica dell‟organizzazione dei gesti all‟interno della sillaba tra le consonanti in attacco e in coda. Le autrici (cfr. in particolare Browman & Goldstein, 1988) hanno esaminato i rapporti temporali del nucleo sillabico da una parte con le consonanti in attacco (CV) e dall‟altra con le consonanti in coda (VC). Il confronto tra le due coppie ha rivelato una difformità di comportamento. Nello specifico, soltanto le consonanti in attacco sembrano esibire il cosiddetto c-center effect: sembrano cioè organizzarsi attorno al centro dell‟intero cluster consonantico che forma l‟attacco di sillaba, più che rapportarsi al singolo suono adiacente come al 32.

(34) contrario avviene tra le consonanti in coda. Consideriamo una sequenza di gesti consonantici che precedono un nucleo sillabico; ogni gesto ha una sua durata e anche un punto medio. Nel caso di più gesti avremo più punti mediani; ebbene, il c-center (consonant center) è definito come la media dei punti mediani di tutti i gesti consonantici in una sequenza. Ciò vuol dire che se si aggiungono consonanti ad un attacco di sillaba, la durata dei gesti verrà accomodata per mantenere inalterato il ccenter. Infatti, il c-center ha dimostrato di mantenersi piuttosto stabile all‟aumentare delle consonanti in attacco. All‟opposto, se si aggiungono consonanti in coda si nota uno spostamento progressivo del punto medio del gruppo consonantico, lasciando intuire che i gesti in coda siano coordinati localmente. Ad esempio in parole del tipo pot, spot e splot, dove è presente un incremento di gesti consonantici in attacco, il punto medio dell‟attacco tenderà a rimanere coerente nei vari contesti; ciò implica, di conseguenza, che gli onsets dei gesti si anticiperanno o posticiperanno al fine di mantenere la stabilità del c-center. Per spiegare questo comportamento, Browman & Goldstein hanno proposto un tipo diverso di coordinazione, una misura globale. Le autrici, infatti, presuppongono per i gesti una coordinazione specificata localmente, per coppie di gesti. Il c-center effetc, invece, sarebbe specificato globalmente, coordinando contemporaneamente tutti i gesti consonantici in posizione di attacco. La conclusione delle due autrici è che esistono due modelli di organizzazione articolatoria all‟interno della sillaba: “The relation of initial consonant gestures to the following vowel gesture (C-V relation) is based on a global measure of the consonant gestures' center, the C-center, while the relation of final consonants to the vowel (VC relation) is based on a local metric, the achievement of target of the consonant” (Browman & Goldstein 1988: 99-100). Questa differenza è stata interpretata come una difformità di coordinazione di fase. Come tutti i gesti, anche i gesti articolatori del linguaggio possono essere in fase o in opposizione di fase. I gesti in fase iniziano allo stesso tempo, mentre i gesti in opposizione di fase presuppongono movimenti opposti. In un articolo più recente (Browman & Goldstein 2000), tuttavia, le autrici propongono una soluzione alternativa, che eviti di supporre un modello ad hoc per l‟organizzazione temporale dei geti consonantici in attacco. La questione del c-center. 33.

(35) effect è riformulata come l‟esito di un processo di competizione tra vincoli contrastanti.. 34.

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