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Conodonti dell'Ordoviciano Medio e Superiore del sondaggio Kårehamn P4 a largo dell'isola di Öland, Svezia.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze della Terra

Corso di Laurea Magistrale

in

Scienze e Tecnologie Geologiche

Titolo Tesi di laurea

Conodonti dell'Ordoviciano Medio e Superiore del sondaggio

Kårehamn P4 a largo dell'isola di Öland, Svezia.

Candidata: Federica Ficini

Relatore: Prof.ssa Gabriella Bagnoli

Correlatore: Prof. Svend Stouge

ANNO ACCADEMICO

2016-2017

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Riassunto

Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno di un progetto più ampio, guidato dal Geocenter Denmark, il cui scopo è quello di costruire tramite un approccio multidisciplinare la prima scala astronomica calibrata dell’Ordoviciano. Lo studio sistematico dei conodonti del sondaggio Kårehamn P4, fornisce il necessario inquadramento biostratigrafico ai fini del progetto stesso. Il sondaggio P4 prelevato in mare aperto a 4-5 km ad est del piccolo villaggio di Kårehamn, sulla costa nord-orientale dell’isola di Öland, SE della Svezia, si presenta di alta qualità, completo e registra l’intera successione Medio Ordoviciana e parte della successione dell’Ordoviciano Superiore.

La parte più alta della successione di Kårehamn è principalmente composta da calcari grigi riferiti, in ordine ascendente, alle formazioni dei Calcari di Folkeslunda, Furudal e Dalby. Questi calcari, scarsamente esposti sull’isola, contengono un’abbondante e diversificata microfauna a conodonti associata ad una macrofauna caratterizzata da cefalopodi ortoconi, trilobiti, gasteropodi e brachiopodi, e da palinomorfi quali acritarchi e chitinozoi. Questa ricca associazione permette di ottenere nuove informazioni riguardanti la successione dell’Ordoviciano Medio e Superiore, nonché della biostratigrafia di Öland, consentendo a sua volta precisi confronti con le successioni coeve dell’area Baltica.

Ventuno campioni sono stati preparati in laboratorio secondo due diverse metodologie portanti ad un risultato analogo: la prima, eseguita presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, ha previsto la dissoluzione dei campioni, precedentemente frantumati, in una soluzione con acido acetico al 10%. Una volta sciolti, i singoli campioni sono stati sottoposti a setacciatura sotto acqua corrente per eliminare la frazione fine dal residuo. La seconda metodologia (più costosa ed efficiente), eseguita presso il Dipartimento di Geologia dell’Università di Lund (Svezia), ha invece previsto la dissoluzione dei campioni interi in una soluzione con acido acetico al 60% ed un acido tampone. Sul residuo è stata eseguita la separazione con liquido pesante, il politungstato di sodio, a densità di 2,84 g/cm³ che permette di separare la frazione pesante (fossili) dalla frazione leggera (residuo insolubile).

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Il passaggio successivo all’estrazione dei fossili ha previsto il picking dei conodonti (circa 300 esemplari per campione) e quindi l’utilizzo di un microscopio binoculare a luce riflessa. L’acquisizione di immagini digitali al Microscopio a Scansione Elettronica (SEM) è stata eseguita presso il Museo Geologico e di Storia Naturale di Copenaghen.

In totale sono state riconosciute 31 specie appartenenti a 23 generi riferite alle zone a Pygodus serra (con tre sottozone: Eoplacognathus reclinatus, E. robustus e E. lindstroemi), Pygodus anserinus (con due sottozone: Inferiore e Superiore) e

Amorphognathus tvaerensis (con la Sottozona a Baltoniodus variabilis) del

sistema zonale a conodonti della Baltoscandia, per la presenza dei taxa nominali. Il FAD di Baltoniodus variabilis, nella parte alta della Zona a Pygodus anserinus, nella Formazione di Dalby, permette di riconoscere in prima approssimazione il limite Ordoviciano Medio-Superiore. Inoltre la diversità specifica risulta diminuire verso l’alto della successione e la presenza di taxa cinesi suggerisce scambi faunistici con la Cina del Sud.

Questa successione di conodonti è simile a quelle conosciute in altre zone scandinave come Svezia centro-meridionale e meridionale, Norvegia sud-orientale, Estonia, Lettonia settentrionale e occidentale, Lituania meridionale e Russia occidentale. Nell’isola di Öland, sia la successione che la fauna a conodonti studiati, sono simili a quelli del sondaggio Tingskullen, situato a circa 30 km a nord di Kårehamn.

Abstract

This thesis work is part of a larger project, run by the Geocenter Denmark, whose aim is to construct through multidisciplinary approach the first calibrated astronomical timescale for part of the Ordovician. The systematic study of the conodonts from the Kårehamn P4 well, provides the necessary biostratigraphic framework for the purpose of the project itself. The core of P4 well, drilled 4 to 5 km from the offshore and to the east of the small village Kårehamn, north-eastern coast of Öland, south-eastern Sweden, is of high quality, complete and records the entire Middle Ordovician succession and a part of the Upper Ordovician succession.

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The highest part of the succession of Kårehamn is composed of mainly grey limestone referred to the Folkeslunda, Furudal and Dalby Limestone in ascending order. These limestones, barely exposed on the island, yield an abundant and diverse conodont fauna associated with orthocone cephalopods, trilobates, gasteropods and brachiopods, and palinomorphic like acritarchs and chitinozaons. This rich assemblage provides new information to the Middle and Upper Ordovician succession as well as biostratigraphy of Öland, in turn allows for precise comparisons to coeval successions of Baltoscandia.

Twenty-one samples has been prepared in the laboratory using two different techniques bearing a comparable result: the first one, performed at the Department of Earth Science of the University of Pisa, consisted of the dissolution of the samples, previously crushed, in 10% acetic acid solution. When the samples are dissolved, they are sifted under running water to remove clay from the residue. The second technique (more expensive and efficient), performed at the Department of Geology, Lund University, consisted instead of the dissolution of the intact samples in 60% acetic acid and a buffered acid. The residue has been separated using an heavy liquid, the sodium polytungstate, with density of 2,84 g/cm³ which allows to separate the heavy fraction (fossils) to the light fraction (insoluble residue).

The next step to the fossils extraction has provided the hand-picking of conodont (about 300 specimens per samples) and then the use of the binocular reflected light microscope. The digital images were taken in a Scanning Electron Microscope (SEM) at the Natural History and Geological Museum of Copenhagen, Denmark.

In total 31 species belonging to 23 genus has been identified and are referred to the Pygodus serra (with three subzones: Eoplacognathus reclinatus, E. robustus and E. lindstroemi), Pygodus anserinus (with two subzones: Lower and Upper) and Amorphognathus tvaerensis (with the Baltoniodus variabilis Zone) conodont zone of the Baltoscandian conodont zonal system, for the presence of the nominal taxa. The FAD of Baltoniodus variabilis, in the upper part of the

Pygodus anserinus Zone and in the Dalby Formation, permit to recognized as a

first approximation the Middle-Upper Ordovician boundary. Moreover the specific diversity decreases upwardly in the succession and the presence of Chinese taxa suggests faunistic exchanges with South China.

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This conodont succession is similar to those known in other scandinavian areas like central-southern and southern Sweden, south-eastern Norway, Estonia, northern and western Latvia, southern Lithuania and western Russia. On Öland, the studied succession and the conodont fauna are similar to those known from the Tingskullen drill core situated about 30 km to the north of Kårehamn.

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Indice

1. Introduzione………..pag. 6

1.1 L’Ordoviciano………...pag. 8 1.2 Storia paleogeografica dell’area Baltica durante il Paleozoico inferiore

-medio………....pag. 11 1.3 Stratigrafia del Cambriano e dell’Ordoviciano dell’area Baltica….…pag. 15 1.4 Inquadramento geografico e stratigrafico dell’isola di Öland………..pag. 17 1.5 La successione di Kårehamn………..……..pag. 20

2. I conodonti………....pag. 21

2.1 Aspetti generali dell’animale conodonte e dei suoi elementi………...pag. 21 2.2 Morfologia e composizione degli elementi ………..………...…...….pag. 23

3. Materiali e metodi………..………...pag. 26

3.1 Primo metodo di estrazione dei conodonti …..………..…..pag. 26 3.2 Secondo metodo di estrazione dei conodonti …..………....pag. 29

4. Risultati biostratigrafici…………..………pag. 34

4.1 Correlazione con l’area Baltica………..……..…………....pag. 38 4.2 Correlazione con la Cina del Sud………...pag. 40 4.3 Il limite Ordoviciano Medio – Ordoviciano Superiore….…………...pag. 41

5. Conclusioni……….……….……...pag. 44 6. Sistematica……….……….……..pag. 46

Bibliografia………...pag. 121 Tabella……….pag. 132 Tavole………..pag. 137

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1. Introduzione

L’isola di Öland, situata a sud-est della Svezia, è considerata una tra le più classiche aree dove effettuare ricerche sull’Ordoviciano della Svezia in quanto rocce carbonatiche di età Inferiore e Medio Ordoviciana sono distribuite lungo l’intera isola sia con numerose esposizioni naturali sia in cave attive che abbandonate, specialmente lungo la costa occidentale (Wu et al., 2016). La successione Ordoviciana della zona Baltica si presenta ricca di fossili, a spessori ridotti e straordinariamente completa da un punto di vista stratigrafico (Bergström, 1971), a tal punto che sono stati elaborati degli schemi molto dettagliati delle zone e sottozone a graptoliti, trilobiti, conodonti e chitinozoi, i quali permettono di effettuare correlazioni sia a scala regionale che globale. Il sondaggio Kårehamn P4 è il primo record indagato in mare aperto sul lato orientale dell’isola, prelevato a 4-5 km ad est del piccolo villaggio di pescatori di Kårehamn sul lato nord-orientale dell’isola, in previsione della costruzione del più grande parco eolico della Svezia situato in mare aperto. Questo record può fornire nuove ed importanti informazioni riguardanti la successione dell’Ordoviciano Medio e Superiore di Öland, nonché della biostratigrafia dell’area, permettendo a sua volta precisi confronti con le successioni coeve della Baltoscandia.

Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno di un progetto più ampio, condotto dal Geocenter Denmark di Copenaghen e guidato dal Dr. Christian M. Ø. Rasmussen, dedito a valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità dell’Ordoviciano, all’interno di un solido inquadramento temporale. Lo scopo di questo progetto è di costruire attraverso un approccio multidisciplinare la prima scala dei tempi astronomica calibrata per gran parte dell’Ordoviciano ed inizio del Siluriano. Diverse indagini sono già in corso sul sondaggio di Kårehamn, le quali includono revisioni litostratigrafiche, biostratigrafia di conodonti, acritarchi e chitinozoi, chemiostratigrafia strato per strato degli isotopi stabili del carbonio e dell’ossigeno, analisi U-Pb su livelli di bentonite e core scanning con Fluorescenza a raggi X (XRF). Quest’ultimo strumento permette di ottenere le concentrazioni dei vari elementi a scala millimetrica e quindi di poter ricostruire i cicli di Milankovitch espressi dalle oscillazioni di concentrazione ad es. di elementi pesanti chiave dovute ad

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aumento del loro trasporto a carico dei fiumi durante i periodi con maggiori tassi di precipitazione. Questa nuova scala dei tempi costituisce un’ancora ideale per costruire un quadro ciclostratigrafico, così da poter stimare la velocità dei tassi di sedimentazione e di speciazione durante il Grande Evento di Biodiversificazione dell’Ordoviciano (GOBE).

In particolare, lo scopo di questo lavoro di tesi è finalizzato allo studio sistematico e biostratigrafico della fauna a conodonti del sondaggio Kårehamn P4, in cui è registrata la successione della parte alta dell’Ordoviciano Medio (Darriwiliano) e della parte bassa dell’Ordoviciano Superiore (Sandbiano) di Kårehamn. Il lavoro prevede lo studio sistematico dei conodonti sia a livello di genere che a livello di specie, in modo da fornire una dettagliata distribuzione stratigrafica delle specie riconosciute, nonché il necessario inquadramento biostratigrafico a livello di zone e sottozone utile ai fini dell’intero progetto.

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8 1.1 L’Ordoviciano

L’Ordoviciano rappresenta il secondo dei sei sistemi/periodi geologici del Paleozoico avente durata complessiva di circa 45 Ma (milioni di anni) con inizio a 485,4±1,9 Ma e termine a 443,8±1,5 Ma. A livello globale l’Ordoviciano è suddiviso in tre serie/epoche (Inferiore, Medio e Superiore) e in sette piani/età, i cui limiti sono stati stabiliti basandosi sulle comparse evolutive di graptoliti e conodonti (Fig. 1).

Figura 1 – Suddivisione dell'Ordoviciano a livello globale e correlazione con le suddivisioni britanniche (modificata da Bergström, 2000).

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Il Darriwiliano (467,3±1,1 - 458,4±0,9 Ma) rappresenta il secondo piano dell’Ordoviciano Medio il cui limite inferiore è stabilito dal FAD (First Appearance Datum) del graptolite Undulograptus austrodentatus e il limite superiore dal FAD del graptolite Nemagraptus gracilis (Hall, 1847). Quest’ultimo rappresenta anche il limite inferiore del Sandbiano (458,4±0,9 - 453,0±0,7 Ma), ovvero il primo piano dell’Ordoviciano Superiore.

A livello regionale e quindi nell’area Baltica, l’Ordoviciano è suddiviso in tre serie (Oelandiano, Viruano e Harjuano) i cui limiti non corrispondono a quelli della tripartizione globale: infatti, la base della serie Viruano corrisponde ad un livello posto a metà del piano Darriwiliano e la base della serie Harjuano a metà del Katiano. Le tre serie regionali sono suddivise in ben 18 piani, anch’essi non corrispondenti ai limiti dei piani globali (Fig. 2).

Da un punto di vista paleoclimatico, l’Ordoviciano Inferiore e Medio ricadono all’interno di un periodo caldo dominato da alti livelli del mare e dalla presenza di piattaforme carbonatiche alle latitudini tropicali. In questo periodo si verificò il più grande evento globale di biodiversificazione del Paleozoico in ambiente marino (GOBE = Great Ordovician Biodiversification Event) che portò ad un notevole aumento della paleobiodiversità a livello di ordini, famiglie, generi e specie, in un lasso di tempo di soli 25 Ma, raggiungendo il suo apice alla fine dell’Ordoviciano Medio (Servais et al., 2010). In questo periodo il livello del mare aveva raggiunto un innalzamento massimo di circa 200 m al di sopra del livello attuale (probabilmente il livello più alto negli ultimi 500 Ma circa; Eriksson, 2010) e tutti i paleocontinenti raggiunsero la loro massima separazione. L’alta biodiversità raggiunta nell’Ordoviciano Medio subirà un brusco declino verso la fine dell’Ordoviciano Superiore, quando si verificò la prima delle cinque grandi estinzioni di massa che coinvolse circa il 60% dei generi di organismi marini.

Durante l’Hirnantiano, il periodo caldo instauratosi a livello globale e prolungatosi per circa 80 Ma, terminò per l’instaurarsi di un rapido evento glaciale (glaciazione Hirnantiana) con brusco abbassamento del livello del mare (Cocks & Torsvik, 2002).

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10 Figura 2 – Suddivisione dell'Ordoviciano a livello regionale e correlazione con la

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11 1.2 Storia paleogeografica dell’area Baltica durante il Paleozoico

inferiore - medio

La Svezia forma parte del paleocontinente Baltica, il quale comprende una buona parte dell’attuale Europa Settentrionale, delimitato ad est dai Monti Urali, a nord e a nord-ovest dall’Oceano Artico e Mare del Nord, e a sud-ovest dalla Zona di Tornquist. Il basamento di questo continente è un cratone metamorfico di età Archeana e Proterozoica sormontato da rocce sedimentarie del Paleozoico inferiore (Torsvik & Cocks, 2017).

All’inizio dell’Ordoviciano il paleocontinente Baltica era situato alle alte latitudini dell’emisfero sud, isolato dagli altri continenti e circondato dagli oceani Giapeto, Ægir e Tornquist (Fig. 3.1a, b). L’Oceano Giapeto, situato a nord-ovest di Baltica, separava quest’ultimo dal paleocontinente Laurentia; tra la fine del Cambriano e l’inizio dell’Ordoviciano questo oceano raggiunse la sua massima ampiezza (probabilmente più di 5000 km) e durante tutto l’Ordoviciano andò progressivamente chiudendosi. A nord-est, l’Oceano Ægir era situato tra Baltica e Siberia, mentre a sud il Mare di Tornquist, il quale rappresentava essenzialmente un “braccio” dell’Oceano Giapeto, separava Baltica dal paleocontinente Avalonia e dalle Armorican Terrane di Gondwana.

A partire dal Cambriano medio fino all’Ordoviciano Medio, Baltica iniziò la sua migrazione verso nord in direzione dell’Equatore ad un ritmo costante subendo una rotazione antioraria molto veloce e complessiva di circa 120°; questa migrazione portò nell’Ordoviciano Inferiore alla deposizione di uno spessore ridotto di carbonati di acque fredde sul lato orientale del continente. Tra l’Ordoviciano Inferiore e Medio un nuovo oceano chiamato Reico, si aprì tra i paleocontinenti di Baltica e Gondwana (Fig. 3.1b e 3.2c).

La placca Baltica rimase indipendente sino alla fine dell’Ordoviciano quando il restringimento dell’Oceano Giapeto la portò a collidere con il paleocontinente Avalonia; nello stesso periodo si verificò un episodio di regressione marina per l’instaurarsi della glaciazione Hirnantiana. Alla fine dell’Ordoviciano Baltica era alle basse latitudini (Fig. 3.2d) e ciò è confermato anche dall’assenza di sedimenti di origine glaciale sul continente stesso. Nel Siluriano ebbe inizio l’orogenesi delle Caledonidi Scandinave e Baltica andò a formare parte del

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paleocontinente Laurussia, in seguito alla sua collisione con Laurentia (Torsvik & Cocks, 2017).

In questo contesto paleogeografico, le faune planctoniche e specialmente le bentoniche mostravano uno spiccato provincialismo all’inizio dell’Ordoviciano, quando gli oceani raggiunsero la loro massima estensione. Questo provincialismo diminuì progressivamente con il progredire dell’Ordoviciano, a causa del restringimento degli oceani che circondavano Baltica a sud e ad ovest (Torsvik & Cocks, 2017).

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13 Figura 3.1 – Inquadramento paleogeografico della Terra nell'Ordoviciano Inferiore a (a) 480 Ma (Tremadociano) e (b) 470 Ma (Dapingiano) comprendente le principali

unità crostali e gli oceani più significativi. A, Annamia; ATA, Armorican Terrane Assemblage; K-O, Kolyma-Omolon; NC, Cina del Nord; M-O, Oceano

Mongol-Okhotsk; SC, Cina del Sud; T, Tarim; TS, Mare di Tornquist (modificata da Torsvik & Cocks, 2017).

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14 Figura 3.2 – Inquadramento paleogeografico della Terra nell'Ordoviciano Medio e

Superiore a (c) 460 Ma (Sandbiano) e (d) 450 Ma (Katiano), comprendente le principali unità crostali e gli oceani più significativi. A, Annamia; ATA, Armorican

Terrane Assemblage; K-O, Kolyma-Omolon; NC, Cina del Nord; M-O, Oceano Mongol-Okhotsk; SC, Cina del Sud; T, Tarim; TS, Mare di Tornquist

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15 1.3 Stratigrafia del Cambriano e dell’Ordoviciano dell’area Baltica

La sedimentazione dell’area Baltica iniziò, nel Cambriano inferiore e medio, con la deposizione di sedimenti clastici lungo il margine del Cratone Est Europeo e seguiti, nel Cambriano superiore, dalla deposizione di argille nere. Sul margine occidentale del cratone era situato un largo bacino intracratonico, il bacino Baltico (conosciuto anche come Sinclinale Baltica), che copriva il continente Baltica agli inizi del Paleozoico e il cui basamento cristallino, di età Precambriana, fu eroso e peneplanato ancor prima dell’inizio del Cambriano. La successione cambriana si presenta attualmente piuttosto completa anche se in alcune zone vi è l’evidenza di sedimentazione mancante (hiatus).

All’inizio dell’Ordoviciano, per alternanza di cicli trasgressivi e regressivi che interessarono il bacino, si depositarono argilliti e siltiti di mare profondo (Formazioni di Alum Shale e di Djupvik) con uno spessore superiore ai 10 metri. Durante l’ultimo episodio di regressione marina avvenuta nell’Ordoviciano Inferiore (Tremadociano), iniziò la sedimentazione carbonatica dei Calcari ad

Orthoceras, calcari stratificati di acqua fredda e temperata che costituiscono i

sedimenti caratteristici dell’Ordoviciano Inferiore e Medio dell’area Baltica e la cui deposizione persistette fino all’Ordoviciano Superiore, quando la piattaforma cominciò ad approfondirsi (Stouge, 2004).Sia la Formazione di Alum Shale che quella dei Calcari ad ortoceratidi, si sono depositate in un mare epicontinentale di bassa energia con tassi medi di sedimentazione di pochi mm/1000 anni (Calner et al., 2013).

La caratteristica più evidente nella distribuzione delle litofacies in Baltoscandia nell’Ordoviciano, è data dal cambiamento regionale da depositi argillosi di mare profondo ad ovest, comprendenti Norvegia meridionale e zone della Svezia sud-occidentale, a depositi carbonatici di mare poco profondo ad est, ovvero in Svezia sud-orientale ed orientale, Estonia e Russia occidentale (Eriksson, 2010) (Fig. 4).

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16 Figura 4 – Litostratigrafia dell’Ordoviciano della Svezia. Si nota il passaggio da una

sedimentazione caratterizzata da argille ad una carbonatica da ovest verso est (da Eriksson 2010).

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17 1.4 Inquadramento geografico e stratigrafico dell’isola di Öland

L’isola di Öland, in prossimità della quale è localizzata la successione studiata, si trova geograficamente nel Mar Baltico, immediatamente ad est delle coste svedesi, a fronte della città di Kalmar (Fig. 5). Situata approssimativamente a 56°13’N e 57°22’N e orientata in direzione NNE-SSW, l’isola è lunga all’incirca 150 km e larga circa 15 km.

Figura 5 – Inquadramento dell'isola di Öland e localizzazione del villaggio di Kårehamn al largo della quale è stato effettuato il sondaggio in esame

(modificata da Bagnoli & Stouge, 2013).

Dal punto di vista geologico, Öland è situata nella parte occidentale dello Scudo Baltico, poco all’esterno dell’avampaese delle Caledonidi Scandinave; più in particolare, l’isola si trova sul margine occidentale di una vasta depressione paleozoica, il bacino Baltico, che si estende ad est fino alla regione di Mosca e

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che si apre a sud-ovest nella fossa danese-polacca. La geologia di Öland è piuttosto semplice, costituita da sedimenti in situ all’incirca orizzontali del Cambriano e Ordoviciano Inferiore-Medio, i quali si sono deposti sul basamento Precambriano con debole immersione verso est.

Gli strati più antichi di Öland appartengono alla parte più alta delle arenarie del Cambriano inferiore che si trovano nella parte occidentale dell’isola, mentre gli strati più giovani, che si trovano sul lato orientale, appartengono alla parte più bassa dei Calcari di Dalby di età Medio Ordoviciana; tuttavia gran parte dell’isola è costituita dalla formazione dei Calcari ad Orthoceras (Stouge, 2004), Quest’ultima è attualmente suddivisa nelle unità carbonatiche sotto descritte. Come detto precedentemente, nell’area Baltica durante l’Ordoviciano si osserva un cambiamento della sedimentazione spostandosi da ovest verso est, passando dalla deposizione di argille ad ovest ad una sedimentazione carbonatica ad est. La successione ordoviciana di Öland, costituita prevalentemente da sedimenti carbonatici a grana fine con una composizione bioclastica tipica di carbonati di acque freddo-temperate, ha unospessore approssimativo di 41 m, di cui circa 17 m riferiti all’Ordoviciano Inferiore e circa 24 m all’Ordoviciano Medio; questa successione risulta continua sulla terraferma per poi scomparire verso est al di sotto del livello del mare con una lieve immersione. Oggi i calcari di età Medio Ordoviciana presenti in zona costiera sono per la maggior parte esposti sul lato orientale dell’isola, mentre nell’entroterra si ritrovano in cave sia attive che abbandonate, alcune delle quali situate in zone di difficile accesso in quanto attualmente riempite da acqua o coperte da vegetazione (Stouge, 2004).

La terminologia stratigrafica dell’isola di Öland evolve da un’iniziale nomenclatura basata sui principali caratteri diagnostici, come colore (rosso-verde-grigio) e contenuto fossilifero (applicando principalmente nomi di trilobiti e cefalopodi), per le unità, ad un approccio topostratigrafico, basato sulla combinazione di caratteri faunali e litologici. L’applicazione di unità litostratigrafiche sensu stricto, definite sulla base di caratteri strettamente litologici, stratotipi e attribuendo nomi geografici, è iniziata ma non è ancora completa (Stouge, 2004). Facendo riferimento alla nomenclatura litostratigrafica di Jaanusson (1960), le unità carbonatiche dell’Ordoviciano Medio in ordine ascendente sono: Segerstad, Skӓrlöv, Seby, Folkeslunda, Furudal, Kӓlla, Persnӓs e Dalby. Di seguito (Fig.6), viene fornita una panoramica sulla terminologia

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stratigrafica per la successione sedimentaria di Öland proposta da Stouge (2004), in relazione a precedenti suddivisioni stratigrafiche e nomi di unità.

Figura 6 – Terminologia stratigrafica di Öland in relazione a precedenti suddivisioni stratigrafiche (modificata da Wu et al., 2016)

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20 1.5 La successione di Kårehamn

Il sondaggio P4 (56°58’47.9’’N e 17°1’11.9’’E) (Fig. 7) è stato prelevato in mare aperto a 4-5 km ad est di Kårehamn, piccolo villaggio di pescatori sulla costa nord-orientale dell’isola di Öland, in preparazione della costruzione del più grande parco eolico in mare aperto della Svezia. Il sondaggio si presenta di alta qualità, completo, avente lunghezza di 40 m e diametro di 12 cm; questo registra l’intera successione Medio Ordoviciana e parte della successione dell’Ordoviciano Superiore dell’isola. La parte più alta (20 m) della successione di Kårehamn è principalmente composta da calcari grigi riferiti, in ordine ascendente, alle formazioni dei Calcari di Folkeslunda, Furudal e Dalby, dove i primi sono in continuità di sovrapposizione con i calcari da grigi a debolmente rossi della formazione dei Calcari di Seby.

Oggi i Calcari di Folkeslunda e Dalby sono scarsamente esposti sull’isola e sono meglio conosciuti da sondaggi più vecchi (come ad esempio Böda Hamn, Gammalsby e Skӓrlöv), in quanto solo una piccola parte dei Calcari di Furudal è attualmente esposta nella cava abbandonata di Kӓlla, situata anch’essa sulla costa orientale dell’isola poco più a nord di Kårehamn, e quindi riferita alla formazione locale dei Calcari di Kӓlla.Gli strati transgressivi sono principalmente composti da facies carbonatiche dominate da limo e intercalati da parti argillose che rappresentano una successione di depositi profondi fino al tetto di quest’ultima. Questi calcari grigi forniscono una abbondante, diversificata e caratteristica microfauna a conodonti, ma è cospicua anche l’associazione della macrofauna caratterizzata da cefalopodi ortoconi, trilobiti, gasteropodi e brachiopodi e da palinomorfi quali acritarchi e chitinozoi.

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2. I conodonti

I conodonti sono un gruppo di microfossili marini risalenti ad un intervallo di tempo che va dall’inizio del Cambriano (o tardo Precambriano) al Triassico Superiore e il loro nome deriva dalla somiglianza con piccoli denti di pesci e mandibole di vermi (Clark, 1981).

L’origine dei conodonti è considerata da molti paleontologi una delle questioni fondamentali non risolte in paleontologia sistematica così da essere stati ed essere tuttora oggetto di discussione in molte pubblicazioni sin dalla loro prima descrizione. La prima persona a descrivere e raffigurare i conodonti fu Pander (1856), il quale credeva che elementi isolati della sua collezione risalente all’Ordoviciano dei dintorni di S. Pietroburgo fossero denti appartenenti ad alcuni gruppi di pesci estinti e per questo coniò il termine conodonti. Successivamente nel 1934, gli studi separati di Schmidt e Scott misero in evidenza che elementi morfologicamente diversi si ritrovavano in natura all’interno di una stessa associazione fossile e che i differenti tipi di elementi si trovavano in un singolo conodonte. Con il termine conodonte, infatti, non si intendono solo i singoli elementi, ma anche l’animale che li porta. Il primo record indiscusso delle parti molli (e quindi dell’anatomia) di questo animale è stato fornito dal ritrovamento di un esemplare, risalente al Carbonifero della Scozia, nella cui parte anteriore (testa) è stato ritrovato un apparato completo, costituito da diversi tipi di elementi, il quale ha permesso di ipotizzare che questi elementi facessero parte dell’apparato masticatorio dell’animale (Aldridge et al., 1993). Il successivo ritrovamento di altri esemplari ha fornito ulteriori informazioni sull’anatomia dei conodonti e tramite alcuni caratteri diagnostici è stato possibile ipotizzare la loro affinità biologica, nonostante sia ancora fortemente dibattuta.

2.1 Aspetti generali dell’animale conodonte e dei suoi elementi

L’animale conodonte (Fig. 8) era un animale a corpo molle di forma allungata simile ad un’anguilla, probabilmente lateralmente compresso (Briggs et al., 1983), a simmetria bilaterale, con regione cefalica corta caratterizzata da due strutture lobate e un tronco composto da miomeri a V terminante con una pinna

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caudale sostenuta da raggi (Aldridge et al., 1993). La presenza di una notocorda nella zona del tronco ha permesso di classificare i conodonti come cordati; in particolare la presenza nella testa delle due strutture lobate intese come capsule ottiche cartilaginee indicanti la posizione di occhi grandi, di possibili tracce di fibre muscolari conservate nei miomeri di alcuni esemplari, di pinna caudale sostenuta da raggi ed infine di materiale bianco simile a smalto e dentina negli elementi conodonti (situati ventralmente e posteriormente agli occhi) permette di associare questi animali ai vertebrati (Aldridge et al., 1993).

I singoli elementi conodonti rappresentano le uniche parti mineralizzate dell’animale conodonte (Clark, 1981); questi hanno dimensioni microscopiche che vanno da 0,25 a 2 mm (Aldridge et al., 1993), sono composti da lamelle di apatite carbonatica (durezza da 3 a 5 della scala Mohs) che si accrescono versola parte esterna dell’elemento ed hanno una gravità specifica che varia da 2,84 a 3,10 g/cm³ (Ziegler & Lindström, 1981). Epstein et al. (1977) hanno descritto il colore di alterazione degli elementi conodonti distinguendo cinque indici di alterazione progressivi e irreversibili che vanno dal giallo pallido (CAI=1) al nero (CAI=5); questi diversi indici sono collegati ad un progressivo aumento di temperatura (nonché del tempo) che a sua volta è funzione della profondità di sepoltura. Il CAI (Color Alteration Index), quindi, non è altro che la stima dell’indice di metamorfismo organico degli elementi.

I conodonti sono ampiamente utilizzati per la biostratigrafia del Paleozoico e del Triassico in quanto hanno avuto una rapida evoluzione ed un’ampia distribuzione geografica essendo indipendenti dal substrato. Questi raggiunsero la loro massima diversificazione a livello di generi e specie durante l’Ordoviciano (Sweet, 1988) (Fig. 9).

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23 Figura 9 – Diagrammi mostranti i picchi di diversificazione raggiunti a livello di

generi (a) e a livello di specie (b) (modificati da Sweet, 1988).

2.2 Morfologia e composizione degli elementi

Gli elementi sono costituiti da due parti fondamentali: cuspide e base. Quest’ultima è definita come la parte dell’unità che include la cavità basale, mentre la cuspide è la struttura conica che si sviluppa al di sopra dell’apice della base. Tra le principali categorie di forma esistono (Sweet, 1981):

 Elementi coniformi: unità fondamentalmente coniche con una base più o meno espansa che racchiude una cavità basale sub-conica e una cuspide per lo più solida con asse lungo dritto o ricurvo e assottigliato verso l’apice dell’unità. La cavità basale è variabile in forma e dimensione ma comunemente con apice sempre rivolto verso il margine anteriore e generalmente rappresenta, insieme alla base, meno della metà dell’intero elemento. In relazione alla cavità basale, la cuspide può essere descritta come proclinata, eretta, reclinata o ricurva. Le facce anteriore, posteriore e laterali possono essere lisce e uniformemente arrotondate, incise da sottili strie longitudinali o segni più marcati come carene (se sono largamente arrotondati), coste (se sono poco arrotondati o con bordi taglienti) e solchi (se sono depressi al di sotto della originale superficie dell’elemento). Bordi taglienti lungo l’intero margine anteriore e/o posteriore sono strutture chiamate chiglie. In molti elementi coniformi il margine posteriore è concavo

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in vista laterale, mentre il margine anteriore è convesso. I coniformi sono suddivisi in due gruppi subordinati detti genicolati e non genicolati: i primi sono quelli in cui il margine posteriore della cuspide si unisce al bordo superiore della base formando un angolo acuto, mentre i non genicolati sono distinti da una transizione liscia, a forma di una linea diritta o leggermente arcuata in vista laterale, che corre dal margine posteriore della cuspide alla parte superiore del margine basale.

 Elementi ramiformi: sono strutture nelle quali almeno uno dei bordi della base è protratto lateralmente, anteriormente o posteriormente dalla cuspide in un processo che è dentellato sul suo bordo superiore. Come nei coniformi, la base è definita come la parte dell’unità che include la cavità basale e la cuspide è la struttura conica che si sviluppa al di sopra dell’apice della cavità basale. I processi possono essere posteriori se sono in continuità con il margine posteriore della cuspide, anteriori se in continuità con il margine anteriore della cuspide e laterali se in continuità con una delle facce laterali della cuspide. I singoli elementi sul bordo superiore dei processi sono detti denticoli e possono essere di dimensione e lunghezza uguale o maggiore alla cuspide (generalmente la cuspide è più lunga) e possono essere separati o fusi tra loro. Processi portanti denticoli sono detti denticolati, quelli senza adenticolati. La base si presenta più complessa rispetto ai coniformi, con cavità variabile in estensione e dimensione con apice al di sotto della parte prossimale della cuspide e con estensioni tipo solchi lungo il margine inferiore dei processi. In molti ramiformi la base si presenta spaziosa, in altri è ristretta ad un piccolo buco basale al di sotto della cuspide.

I termini usati per definire i diversi tipi di ramiformi in base al numero e alla posizione dei processi sono: alati, tertiopedati, digirati, bipennati, dolobati e multiramati.

 Elementi pectiniformi: fondamentalmente sono elementi a “lama” o a “piattaforma” elaborata in quanto si possono sviluppare estensioni laterali in più direzioni. In letteratura, gli elementi a forma di lama sono suddivisi in cinque categorie (stellati, pastinati, carminati, angolati e segminati) sulla base del numero e disposizione dei processi primari, mentre i termini

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generalmente usati per descrivere le piattaforme sono “planati” e “scafati” rispettivamente in base alla presenza di un margine basale recessivo circondato da un foro basale o di un’ampia cavità basale.

Gli elementi a lama sono dotati di cuspide situata sopra l’apice della cavità basale ed uno o più processi che si estendono allontanandosi dalla cuspide; questi sono considerati processi primari se si proiettano dalla cuspide stessa o secondari se si proiettano come “braccia” da quelli primari. I processi lateralmente compressi si presentano più alti, con distinzione in parte inferiore e superiore e con quest’ultima che può essere denticolata o adenticolata. Gli elementi a piattaforma, invece, presentano parte anteriore a forma di lama e posteriormente sviluppano estensioni laterali su di uno o entrambi i lati dell’asse antero-posteriore.

Gli elementi coniformi, ramiformi e pectiniformi sopra descritti, vanno a costituire diversi tipi di apparato definiti sulla base del numero di elementi morfologici che compongono l’apparato stesso. L’apparato può essere interpretato come unimembrato, se costituito da un solo tipo di elemento, o multimembrato, se costituito da più tipi di elementi; i componenti degli apparati multimembrati, vengono generalmente suddivisi in tre categorie in base alla posizione: P (principali), M (laterali) e S (con transizione di simmetria) (Sweet, 1981).

La nomenclautura utilizzata per descrivere la forma dei conodonti e la loro posizione all’interno dell’apparato è estremamente complessa, in quanto diversi autori hanno utilizzato diversi termini per caratterizzare gli stessi elementi. In questo lavoro si fa principalmente riferimento alla nomenclatura utilizzata da Bergström (1971), Cooper (1976), Löfgren (1978), Löfgren & Tolmacheva (2003), Orchard (1980), Rasmussen (2001), Stouge (1984; 2012), Stouge & Bagnoli (1990), Zhang (1998a; 1998b).

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26 3.

Materiali e metodi

I campioni provenienti dal sondaggio Kårehamn P4 sono stati preparati in laboratorio secondo due diverse metodologie, entrambe le quali hanno previsto dapprima che i singoli campioni di rocce carbonatiche venissero pesati con l’utilizzo di una bilancia, riportando il loro peso in grammi, e successivamente di essere disciolti in acido acetico (in quanto questo reagente attacca la frazione carbonatica ma preserva quella fosfatica dei fossili) per procedere all’estrazione dei conodonti. Il risultato che si ottiene dai due diversi metodi di estrazione è analogo.

Il peso dei ventuno campioni analizzati è variabile e compreso tra i 330 g e 600 g (vedi Tabella).

3.1 Primo metodo di estrazione dei conodonti

La prima metodologia, eseguita presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, ha previsto una prima frantumazione dei campioni con l’utilizzo di un martello in modo da ottenere dei frammenti di dimensioni opportune da essere posti all’interno di contenitori per eseguire la dissoluzione. In questo procedimento sono stati utilizzati due contenitori di plastica di diverse dimensioni per ogni campione: uno più piccolo dotato di fori, all’interno del quale è stato messo il campione frammentato, ed uno più grande, non forato, dentro al quale è stato posto il contenitore più piccolo (Fig. 10) e su cui è stata scritta la sigla alfanumerica dei campioni. Per il processo di dissoluzione sono stati versati all’interno dei contenitori un litro di acqua calda, in quanto accelera il processo stesso, e 100 cc di acido acetico al 10% (acido debole); dopodiché i contenitori sono stati coperti con un piatto di plastica per evitare che la soluzione venisse contaminata da materiale estraneo. Trascorsi due o tre giorni, la soluzione di acido e acqua è stata cambiata in quanto non più reagente: si è proceduto togliendo il contenitore più piccolo da quello più grande, scrollandolo accuratamente e appoggiandolo sul piatto utilizzato come coperchio e precedentemente tolto (Fig. 11). Dopo circa 30 minuti, il tempo necessario per far decantare il sedimento sciolto contenuto all’interno del contenitore più grande, è stata vuotata la parte liquida poco alla volta e lentamente in modo da

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evitare perdite di sedimento nel lavandino; dopodiché è stato riposto il contenitore piccolo in quello grande e aggiunte nuovamente le stesse quantità di acido acetico e acqua. Questa operazione è stata ripetuta fino a quando i campioni sono risultati completamente sciolti (durata di circa un mese).

Il campione così sciolto è stato sottoposto a lavaggio sotto acqua corrente con l’aiuto di due setacci: uno grande con maglie da 1 mm e uno piccolo con maglie da 180 mesh. Dapprima è stato utilizzato il setaccio a maglie più grandi, posto all’interno di un vaschetta per raccogliere il sedimento più fine, su cui è stato direttamente versato il sedimento sciolto (Fig. 12) e si è setacciato con l’aiuto di un filo d’acqua fino a rimuovere tutta la frazione fine. E’ importante che l’operazione di lavaggio sia eseguita con acqua a bassa pressione per evitare che i fossili contenutinel residuo si danneggino.

Successivamente, la frazione fine che è stata raccolta nella vaschetta, è stata travasata direttamente nel setaccio a maglie più fini e lavata fino alla rimozione di tutta la parte argillosa (Fig. 13). Terminata questa operazione, la frazione pulita è stata messa, con l’aiuto di una spruzzetta contenente acqua, in una ciotola di porcellana (Fig. 14), su cui è stata precedentemente scritta la sigla alfanumerica del campione, e messa ad asciugare. Infine le frazioni asciugate sono state trasferite in un barattolino chiuso e siglato con il nome del campione.

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28 Figura 12 – Il residuo viene vuotato nel

setaccio a maglie più grandi.

Figura 13 – Fase di setacciatura per rimozione della frazione argillosa. Figura 11 – Fase di decantazione del residuo.

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29 3.2 Secondo metodo di estrazione dei conodonti

La seconda metodologia, eseguita presso il Dipartimento di Geologia dell’Università di Lund (Svezia), è economicamente più costosa della prima in quanto prevede l’utilizzo di un liquido pesante per separare i fossili dal residuo insolubile, ma risulta essere più efficiente in quanto accorcia i tempi di picking dei conodonti. Questo metodo di estrazione, eseguito su un numero ristretto di campioni (cinque su ventuno), ha previsto una prima fase di dissoluzione dei singoli campioni interi (in questo caso non frantumati) ponendoli all’interno di un contenitore di plastica forato sul quale è stata segnata la sigla alfanumerica del campione. Il contenitore è stato a sua volta messo all’interno di un secchio contenente un litro di acido acetico al 60%, tre litri di acido tampone ed acqua quanto basta per procedere alla dissoluzione (Fig. 15). Il secchio infine viene coperto per evitare la contaminazione da materiale estraneo.

Durante la dissoluzione è stato utilizzato un pHmetro, il quale ha permesso di controllare il pH della soluzione durante l’intero processo; quando questo risultava essere intorno a 5 (quasi neutro), veniva aggiunto altro acido acetico per permettere alla soluzione di reagire meglio favorendo quindi la dissoluzione. Una volta che il campione è risultato completamente sciolto, si è proceduto al lavaggio con acqua deionizzata a filo e utilizzando un setaccio a maglia finissima (64 μm). Il residuo così pulito è stato successivamente messo in un becher ed in forno ad asciugare a 50°C.

Sul campione asciutto è stata poi eseguita la separazione con l’utilizzo di un liquido pesante, il politungstato di sodio (Na₆ (H₂W₁₂O₄₀) x H₂O), a densità di 2,84 g/cm³ che permette di separare la frazione pesante dalla frazione leggera, rappresentate rispettivamente dai fossili e dal residuo insolubile. Questa ha previsto l’utilizzo di imbuti di vetro, posizionati su di un supporto, aventi un tubicino di gomma posto nei loro colli e sul quale sono state poste due mollette, una in fondo in modo da chiuderlo evitando perdite di liquido e/o materiale, e l’altra poco sopra direttamente sul collo dell’imbuto (questa molletta viene poi utilizzata più avanti in un altro passaggio). Gli imbuti così preparati sono stati riempiti per i tre quarti della loro capienza da politungstato di sodio ed in ognuno è stato versato poco alla volta il campione sciolto, mescolando con l’aiuto di un bastoncino. Il campione è stato mescolato per due o tre volte al giorno in modo

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da evitare formazione di grumi. Gli imbuti così riempiti sono stati infine coperti (Fig. 16).

Il giorno seguente a questo primo passaggio è stata eseguita la separazione vera e propria: innanzitutto sono stati posti sotto ad ogni imbuto altrettanti imbuti con all’interno un filtro di 64 μm, con la funzione di raccogliere la frazione pesante, e sotto ancora dei becher per raccogliere la parte liquida. Dopodiché la molletta precedentemente posta sul collo dell’imbuto è stata spostata verso il basso per chiudere il tubicino di gomma proprio al termine del collo, mentre l’altra posta più in basso è stata tolta in modo da far cadere nel filtro la “prima” frazione pesante. La molletta rimasta sul tubicino è stata aperta poco alla volta per far cadere la restante parte della frazione e facendo attenzione a richiuderla prima che cadesse quella più leggera (Fig. 17). La frazione pesante è stata accuratamente pulita con acqua deionizzata (Fig. 18), utilizzando una spruzzetta, e poi posta in forno (sempre a 50° C) ad asciugare per circa un giorno intero. Prima di procedere a quest’ultimo passaggio, il becher è stato cambiato in modo che il liquido pesante colato nel primo becher venisse recuperato; il recupero è stato eseguito ponendo quest’ultimo direttamente in forno in modo da far evaporare l’acqua che si era mescolata al liquido. Evaporata l’acqua, il liquido è stato filtrato per eliminare eventuali particelle fini presenti. La frazione più leggera rimasta nell’imbuto di partenza è stata pulita con la stessa procedura di quella pesante, utilizzando quindi filtri e becher puliti, acqua deionizzata e infine asciugatura in forno.

Durante l’intero procedimento è essenziale siglare imbuti e filtri in modo da non mescolare i campioni nei vari passaggi. Infine, le frazioni asciugate sono state poste in un barattolino siglato con il nome del campione così come eseguito nella prima metodologia, ma specificando inoltre con HF e LF rispettivamente le frazioni pesante e leggera (Fig. 19).

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31 Figura 15 – Campione immerso

nella soluzione di acido e acqua.

Figura 16 – Imbuti riempiti da liquido pesante e sedimento.

Figura 17 – Separazione della frazione pesante dal liquido.

Figura 18 – Lavaggio della frazione pesante.

Figura 19 – Frazioni leggera e pesante raccolte in contenitori separati e siglati.

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La separazione con liquido pesante è stata eseguita, su un numero di tre campioni, anche presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa utilizzando il LST Fastfloat, un eteropolitungstato che ha una capacità di cristallizzazione inferiore rispetto al politungstato di sodio. In questo caso sono state utilizzate delle ampolle di vetro, aventi all’estremità inferiore un collo dotato di rubinetto. Ogni ampolla è stata posizionata su di un supporto e riempita per i due terzi della sua capienza da liquido pesante, all’interno del quale è stato successivamente versato il campione sciolto, poco alla volta e mescolando con un bastoncino per evitare la formazione di grumi. Il giorno seguente è stata eseguita la separazione posizionando innanzitutto un imbuto, con all’interno un filtro (sul quale è stato segnato il nome del campione) ed un becher sotto ogni ampolla in modo che il primo raccogliesse la parte solida e il secondo la parte liquida. Il rubinetto è stato aperto poco alla volta in modo da far cadere piano piano solo la frazione pesante e facendo attenzione a richiuderlo prima che cadesse la frazione leggera. La frazione pesante, raccolta nel filtro, è stata pulita con acqua deionizzata e messa ad asciugare per un giorno intero. Successivamente sono stati posti al di sotto delle ampolle un imbuto, sempre con filtro all’interno, e un becher puliti per raccogliere la frazione leggera; è stata spruzzata acqua deionizzata all’interno di ogni ampolla per pulirne le pareti, tenendo aperto il rubinetto in modo che tutta la frazione cadesse all’interno dell’imbuto sottostante. Anche in questo caso la frazione leggera è stata pulita con acqua deionizzata e messa ad asciugare. Una volta asciutte, le due frazioni sono state raccolte in contenitori separati e siglati.

Per tutti i metodi di estrazione, il passaggio successivo ha previsto il picking dei conodonti (nel caso della seconda metodologia presenti nel residuo pesante) dei vari campioni e quindi l’utilizzo di un microscopio binoculare a luce riflessa. Innanzitutto è stata preparata una slide dotata di caselle numerate sulla quale è stata applicata colla adragante mista ad acqua per permettere ai fossili di fissarsi; anche su questa è stato scritto il nome del campione. Il picking è stato eseguito ponendo sotto al microscopio un piattino di metallo con all’interno una piccola quantità di residuo e attraverso l’utilizzo di un pennello dalla punta fine, che deve essere immersa in acqua, sono stati presi i fossili e appoggiati sulla slide. Questa operazione è stata ripetuta fino al raggiungimento di circa trecentoesemplari per campione (vedi Tabella per totale campioni); questi esemplari, che si presentano

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ben conservati e aventi CAI (Color Alteration Index di Epstein et al., 1977) corrispondente ad un valore di 1-2, sono poi stati suddivisi nelle varie caselle in base a genere e specie e riportati per iscritto su un foglio con il numero della relativa casella.

Infine, alcuni conodonti sono stati scelti per l’acquisizione di immagini digitali al Microscopio a Scansione Elettronica (SEM). Il procedimento ha previsto il loro posizionamento su di un supporto rotondo chiamato stub, sopra il quale è stato posto un dischetto adesivo; prima di introdurlo nel SEM, lo stub viene ricoperto da un sottilissimo strato d’oro sotto vuoto. Le immagini sono state acquisite presso il Museo Geologico e di Storia Naturale di Copenaghen, Danimarca.

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34 4.

Risultati biostratigrafici

Lo studio dei conodonti nella parte più alta del sondaggio di Kårehamn, mai stata precedentemente studiata, ha fornito nuove ed importanti informazioni riguardanti la successione e biostratigrafia dell’Ordoviciano Medio (Darriwiliano) e della parte più bassa dell’Ordoviciano Superiore (Sandbiano) di Öland. In totale sono state riconosciute trentuno specie appartenenti a ventitré generi la cui distribuzione stratigrafica e il relativo inquadramento biostratigrafico sono riportati in Figura 20. Dalla distribuzione stratigrafica si può notare come molte specie, tra cui Costiconus ethingtoni (Fåhræus, 1966),

Drepanodus sp., Drepanoistodus cf. basiovalis (Sergeeva, 1963), Panderodus sulcatus (Fåhræus, 1966), Protopanderodus graeai (Hamar, 1966) e Semiacontiodus cornuformis (Sergeeva, 1963), mostrino un ampio intervallo di

distribuzione verticale in quanto presenti in tutti (o quasi) i campioni della successione, mentre altre specie come Triangulodus alatus Dzik, 1976,

Scabbardella altipes (Henningsmoen, 1948), Strachanognathus parvus Rhodes,

1955, Pygodus protoanserinus Zhang, 1998 e specie del genere Eoplacognathus, abbiano una distribuzione più ristretta o siano presenti in un solo campione come le specie Yangtzeplacognathus protoramosus (Chen, Chen & Zhang, 1983),

Erraticodon alternans (Hadding, 1913), Complexodus originalis Chen & Zhang,

1984, ed Eoplacognathus reclinatus (Fåhræus, 1966).

In biostratigrafia i conodonti sono considerati dei fossili indice chiave in quanto permettono di effettuare correlazioni dettagliate sia a scala globale che locale, ma a causa del loro spiccato provincialismo sono stati elaborati diversi schemi biozonali per tutto l’Ordoviciano (Bergström et al., 2000). Uno schema dettagliato delle zone e sottozone a conodonti, applicabile all’intera area Baltica, è stato stabilito da diversi autori e il riconoscimento dell’intervallo e della durata delle zone e relative sottozone è basata sulla presenza delle loro specie indice (Bergström, 2007a). In questo lavoro facciamo riferimento allo schema biozonale proposto da Bergström (1971), in quanto ulteriori schemi utilizzati per l’area Baltica mostrano una suddivisione in zone e sottozone basata sulla presenza di markers che non si ritrovano nei campioni della successione di Kårehamn, quali

Sagittodontina kielcensis (Dzik, 1976) e Amorphognathus inaequalis Rhodes,

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35

L’associazione della successione di Kårehamn viene riferita a tre zone a conodonti del sistema biozonale della Baltoscandia (Bergström, 1971): Zona a

Pygodus serra, Zona a Pygodus anserinus e Zona a Amorphognathus tvaerensis,

per la presenza dei taxa nominali.

Pygodus serra (Hadding, 1913) e Pygodus anserinus Lamont & Lindström, 1957,

rappresentano le specie chiave nella biostratigrafia globale a conodonti dell’Ordoviciano; Bergström (1971) suddivide la Zona a Pygodus serra in cinque sottozone sulla base delle diverse specie del genere Eoplacognathus, mentre suddivide la Zona a Pygodus anserinus in due sottozone, definite Inferiore e Superiore, adottando come limite la transizione da Baltoniodus prevariabilis (Fåhræus, 1966) a Baltoniodus variabilis (Bergström, 1962).

Nella successione di Kårehamn, la Zona a Pygodus serra si estende dalla base della Formazione di Folkeslunda fino alla parte alta della sovrastante Formazione di Furudal, nel Membro di Persnӓs, e comprende tre sottozone: Sottozona a

Eoplacognathus reclinatus, Sottozona a E. robustus e Sottozona a E. lindstroemi

in ordine ascendente; la base di ogni sottozona è determinata dalla prima comparsa (FAD = First Appearance Datum) della specie eponima.

Eoplacognathus robustus Bergström, 1971, mostra un intervallo di distribuzione

maggiore e la relativa sottozona comprende gran parte della Zona a P. serra;

Eoplacognathus reclinatus è presente in un solo campione alla base della

successione, mentre Eoplacognathus lindstroemi (Hamar, 1964) è presente nei due campioni più alti della Zona a P. serra e nella parte più bassa della sovrastante Zona a P. anserinus. In generale tutte e tre le sottozone mostrano un intervallo di distribuzione ristretto.

Oltre ai taxa nominali e quelli a lunga distribuzione, caratteristici della Zona a

Pygodus serra sono: Triangulodus alatus, Pygodus protoanserinus, Coelocerodontus aff. trigonius Ethington, 1959, Protopanderodus varicostatus

(Sweet e Bergström, 1962), Dapsilodus viruensis (Fåhræus, 1966), Decoriconus

pesequus Löfgren, 1998, Baltoniodus prevariabilis, Oslodus semisymmetricus

(Hamar, 1966), Sagittodontina kielcensis, Periodon aculeatus Hadding, 1913,

Drepanoistodus? venustus (Stauffer, 1935) e i due taxa di origine cinese Yangtzeplacognathus protoramosus ed Erraticodon alternans. Questa zona a

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36

Il FAD della specie Pygodus anserinus, segna l’inizio della sovrastante zona a conodonti, la Zona a Pygodus anserinus: questa nella successione di Kårehamn si estende dalla parte alta del Membro di Persnӓs della Formazione di Furudal fino quasi al tetto del Membro A, a metà della Formazione di Dalby. La zona è suddivisa in due sottozone chiamate rispettivamente Inferiore e Superiore, il cui limite è posto in corrispondenza del campione Kc 6 della successione in quanto quest’ultimo registra l’ultima comparsa (LAD = Last Appearance Datum) di

Baltoniodus prevariabilis e la prima comparsa (FAD) di B. variabilis. La

Sottozona Inferiore si presenta molto più estesa rispetto alla Sottozona Superiore e nella sua parte alta si ha la prima e unica presenza della specie Complexodus

originalis.

Nella Zona a Pygodus anserinus sono presenti molti dei taxa presenti nella zona a conodonti sottostante; di questi Dapsilodus viruensis, Decoriconus pesequus,

Oslodus semisymmetricus e il già menzionato B. prevariabilis, scompaiono in

corrispondenza della base della Sottozona Superiore.

Il limite superiore della Zona a Pygodus anserinus è segnato dal FAD di

Amorphognathus tvaerensis Branson e Mehl, 1933, e dall’inizio dell’eponima

zona che rappresenta la terza ed ultima zona a conodonti della successione di Kårehamn. Questa zona è presente nella Formazione di Dalby, dalla parte terminale del Membro A fino alla parte alta del Membro B della stessa (nonché tetto della successione) e comprende la prima delle tre sottozone proposte da Bergström (1971), la Sottozona a Baltoniodus variabilis. All’interno della nominata zona compaiono specie come Scabbardella altipes, taxon tipico dell’Ordoviciano Superiore, Eoplacognathus elongatus (Bergström, 1962) e

Strachanognathus parvus.

La diversità a livello specifico, che è risultata essere maggiore nella Zona a

Pygodus serra, diminuisce progressivamente spostandosi dalla Zona a Pygodus anserinus alla Zona a Amorphognathus tvaerensis e quindi verso la parte alta

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37 Figura 20 – Schema di distribuzione stratigrafica della fauna a conodonti della successione di Kårehamn e il relativo inquadramento biostratigrafico. In rosso sono

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38 4.1 Correlazione con l’area Baltica

L’associazione a conodonti registrata nella successione di Kårehamn permette di effettuare correlazioni con le successioni coeve dell’area Baltica, comprendenti varie località della Svezia centro-meridionale e meridionale, Norvegia sud-orientale (Bergström, 1971, 2007b; Bergström et al., 2000, Rasmussen, 2001), Estonia, Russia occidentale, Lettonia settentrionale e occidentale (Mӓnnik & Viira, 2012) e Lituania meridionale (Stouge et al., 2016), dove le associazioni a conodonti mostrano delle peculiarità.

In tutte queste zone dell’area Baltica, la suddivisione in zone e sottozone a conodonti è basata sulla presenza degli stessi markers, fatta eccezione per la Zona a Pygodus anserinus le cui sottozone sono generalmente suddivise sulla base della comparsa dei taxa Sagittodontina kielcensis (Dzik, 1976) e

Amorphognathus inaequalis Rhodes, 1953, diversamente della successione di

Kårehamn dove questa zona è suddivisa in Sottozona Inferiore e Sottozona Superiore per la mancanza dei taxa nominali.

I markers che definiscono le varie zone e sottozone, presentano distribuzioni pressoché identiche in tutte le zone baltiche sopra menzionate: Pygodus serra (Hadding, 1913), che caratterizza la zona eponima, mostra una distribuzione che va dalla base della Sottozona a Eoplacognathus reclinatus alla base della Zona a

Pygodus anserinus; nella successione di Kårehamn questa specie è invece

confinata alla Sottozona a Eoplacognathus robustus, mentre in Svezia centro-meridionale è presente solo nella Sottozona a E. reclinatus (Rasmussen, 2001). Tra le specie del genere Eoplacognathus che definiscono le sottozone della Zona a P. serra, Eoplacognathus lindstroemi (Hamar, 1964) estende ovunque la sua distribuzione nella parte bassa della Zona a P. anserinus.

Anche la specie Pygodus anserinus Lamont & Lindström, 1957, caratterizza la sua zona eponima estendendo la sua distribuzione fino alla base della Zona a

Amorphognathus tvaerensis (Bergström, 1971, 2007b; Bergström et al., 2000;

Rasmussen 2001; Mӓnnik & Viira, 2012; Stouge et al., 2016), fatta eccezione per la successione di Kårehamn dove fa la sua ultima presenza alla base della Sottozona Superiore della Zona a P. anserinus.

Una specie caratteristica delle zone a P. serra e a P. anserinus è Baltoniodus

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parte alta di quest’ultima zona o, come in Lituania (Stouge et al., 2016), alla base della Zona a A. tvaerensis. Baltoniodus variabilis (Bergström, 1962) è un’altra specie che fa la sua comparsa nella Zona a P. anserinus: a Kårehamn il FAD di questa specie si manifesta in corrispondenza della scomparsa di B. prevariabilis; in Estonia, Lettonia, Russia e Lituania il FAD di B. variabilis si registra invece a circa metà della Zona a P. anserinus ed è presente insieme al suo predecessore B.

prevariabilis fino al limite superiore della zona. In tutte le zone dell’area Baltica, B. variabilis si estende nella Zona a Amorphognathus tvaerensis della quale

caratterizza e dà il nome alla prima sottozona; in quest’ultima sono inoltre comunemente presenti i taxa Scabbardella altipes (Henningsmoen, 1948) ed

Eoplacognathus elongatus (Bergström, 1962) (Mannik & Viira, 2012; Stouge et

al., 2016), quest’ultimo con distribuzione corta. Anche la specie cinese

Yangtzeplacognathus protoramosus (Chen, Chen & Zhang, 1983), ha una

distribuzione molto corta relativa alla Zona a P. serra (tra le sottozone a E.

robustus e a E. lindstroemi) sia nella successione di Kårehamn che nelle

successioni di Estonia, Russia, Lettonia e Lituania.

La successione di Kårehamn si è rivelata essere molto simile sia per successione che per fauna a conodonti al sondaggio di Tingskullen, nord-est di Öland (Wu et al., 2016), situato a sud del villaggio di Tingskullsgatan e a circa 30 km a nord di Kårehamn. Nel sondaggio di Tingskullen non è registrata la successione dell’Ordoviciano Superiore, ma solo quella relativa all’Ordoviciano Medio: in entrambe le successioni la Zona a P. serra si estende nella Formazione di Furudal e comprende le sottozone a E. reclinatus ed E. robustus, mentre la Sottozona a E.

lindstroemi non è registrata nella successione di Tingskullen. Anche la Zona a P. anserinus, si estende dalla medesima formazione a partire dal Membro di

Persnӓs; nella successione di Tingskullen questa zona non è stata suddivisa in sottozone in quanto non sono stati riconosciuti markers.

(41)

40 4.2 Correlazione con la Cina del Sud

La presenza nella successione di Kårehamn di Pygodus serra (Hadding, 1913),

Pygodus anserinus Lamont & Lindström, 1957, e dei taxa di origine cinese Yangtzeplacognathus protoramosus (Chen, Chen & Zhang, 1983) ed Erraticodon alternans (Hadding, 1913), permette di correlare l’associazione a conodonti della

successione di Kårehamn con lo schema biozonale della Cina del Sud proposto da Zhang (1998b). In particolare la presenza di Y. protoramosus nella Sottozona a Eoplacognathus robustus della Zona a Pygodus serra, permette di correlare con precisione questa zona a conodonti dell’area Baltica alla Zona a

Yangtzeplacognathus protoramosus della Cina del Sud, mentre P. anserinus

consente la correlazione della zona eponima alla Zona a Yangtzeplacognathus

jianyeensis - Pygodus anserinus (Fig. 21). Questo testimonia uno scambio

faunistico, seppur limitato, tra Baltica e Cina del Sud.

Figura 21 – Correlazione tra le zonazioni della Baltoscandia e della Cina del Sud riferite all’Ordoviciano Medio-Superiore (modificata da Zhang, 1998a).

(42)

41 4.3 Il Limite Ordoviciano Medio – Ordoviciano Superiore

Baltoniodus prevariabilis (Fåhræus, 1966) e Baltoniodus variabilis (Bergström,

1962) sono considerate due specie importanti ai fini dell’interpretazione biostratigrafica, in quanto il loro passaggio stratigrafico è stato adottato per determinare il limite tra Ordoviciano Medio e Superiore. Questo limite è definito globalmente dalla prima comparsa del graptolite Nemagraptus gracilis e la sezione di Fågelsång, in Svezia meridionale, è stata scelta come GSSP (= Global Stratotype Section and Point) del limite (Bergström et al., 2000, Bergström, 2007b). Bergström et al. (2000) riportano la successione dei conodonti dell’area di Fågelsång dimostrando che il limite ricade all’interno della Zona a Pygodus

anserinus.

Nella successione di Fågelsång i conodonti sono scarsi nei livelli argillosi e risultano essere più numerosi in due specifici livelli (Bergström et al., 2000) (Fig. 22): il primo livello è chiamato ‘Hadding’s conodont bed’, avente una fauna a conodonti relativamente diversa e tipica della Zona a Pygodus serra; tra questi è presente Baltoniodus prevariabilis. Il secondo livello è un letto di calcari sottili (Ls., in Fig. 22), al di sotto del livello di fosforite di Fågelsång (= Fågelsång Phosphorite), che contiene taxa tipici della parte alta della Zona a Pygodus

anserinus, tra cui Baltoniodus variabilis che fa la sua comparsa ad un livello al di

sopra del FAD del graptolite Nemagraptus gracilis. Quest’ultimo compare nelle Argille a Dicellograptus, a circa 1,4 m al di sotto del livello di fosforite nell’intervallo stratigrafico di Pygodus anserinus Lamont e Lindström, 1957. Nella successione di Kårehamn, Baltoniodus prevariabilis è presente nella Zona a P. serra e nella sovrastante Zona a P. anserinus fino alla base della Sottozona Superiore, dove fa la sua prima comparsa (FAD) Baltoniodus variabilis. In corrispondenza del passaggio tra queste due specie potrebbe quindi essere posizionata la base dell’Ordoviciano Superiore, nonché del Sandbiano. Nella successione di Fågelsång (Bergström et al., 2000), invece, B. prevariabilis e B.

variabilis sono separati da un intervallo sterile per quanto riguarda i conodonti;

risulta quindi difficile riconoscere con precisione il limite Ordoviciano Medio-Superiore sulla base dei conodonti.

(43)

42 Figura 22 – Intervallo stratigrafico dei conodonti più importanti nella successione di Fågelsång, basata sugli affioramenti E14a, E14c e E15. Il limite tra le Biozone Pygodus

serra/Pygodus anserinus è circa 3,5 m al di sotto della base della Biozona a Nemagraptus gracilis. In rosso la disrtibuzione stratigrafica delle specie dei generi

Pygodus e Baltoniodus. Ls.= Limestone (da Bergström et al., 2000).

Un altro gruppo fossile molto utilizzato per la biostratigrafia dell’Ordoviciano Medio-Superiore dell’area Baltica è quello dei chitinozoi: il FAD di

Eisenackitina rhenana (Eisenack, 1939) è infatti considerato un importante proxy

per il riconoscimento dell’Ordoviciano Superiore, nonché del limite tra i piani Darriwiliano e Sandbiano (Stouge et al., 2016). Nell’affioramento E14b della successione di Fågelsång, il FAD di E. rhenana è stato registrato immediatamente al di sotto (circa 10 cm) della prima comparsa del graptolite

Nemagraptus gracilis (Fig. 23) e quindi al di sotto della base del limite globale

dell’Ordoviciano Medio-Superiore.

In mancanza dello studio biostratigrafico della fauna a graptoliti della successione di Kårehamn, lo studio della fauna a chitinozoi, da parte di Carmen e Heikki Bauert (Tallinn University of Technology, Estonia), può aiutare a

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