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RUOLO DEI PROCESSI ENDOGENI E DELLA VARIABILITA' DI EVENTI DI DISTURBO NEL PROMUOVERE LA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DEI POPOLAMENTI ALGALI DI COSTA ROCCIOSA

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Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e della Natura Corso di Laurea Magistrale in Biologia Marina

Ruolo dei processi endogeni e della variabilità di eventi di

disturbo nel promuovere la distribuzione spaziale dei

popolamenti algali di costa rocciosa

Candidata: Relatore: Caterina Mintrone Prof. Lisandro Benedetti-Cecchi

Dr. Luca Rindi

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INDICE RIASSUNTO

1. INTRODUZIONE

1.1 – Processi esogeni ed endogeni

1.2 – Auto-organizzazione: concetti generali

1.3 – Auto-organizzazione spaziale nei sistemi biologici 1.4 – Simulazione di modelli di auto-organizzazione spaziale 1.5 – Scopo del lavoro di tesi

2. MATERIALI E METODI 2.1 – Area di studio

2.2 – Caratteristiche ecologiche del popolamento indagato 2.3 – Disegno sperimentale

2.4 – Raccolta dei dati

2.5 – Analisi statistiche dei dati 2.5.1 – Dati di copertura

2.5.2 – Correlogramma e autocorrelazione spaziale 2.5.3 – Distribuzione di frequenza delle taglie delle patch

3. RISULTATI

3.1 – Analisi dati di copertura

3.2 – Analisi grafica dei correlogrammi 3.3 – Power-law ed esponente di scala

4. DISCUSSIONE

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RIASSUNTO

Gli ecosistemi possono presentare una distribuzione non-omogenea e frammentata che può persistere per un ampio intervallo di scale spaziali e temporali. La formazione di pattern regolari (regular-spatial pattern) può essere determinata da due tipi di processi: processi esogeni, generalmente associati a fattori abiotici (es. temperatura, moto ondoso, disponibilità di risorse), e processi endogeni, per lo più associati a interazioni biotiche, intra- ed interspecifiche (ad es. competizione ed erbivoria).

La teoria nota come “Spatial self-organization”, evidenzia come processi endogeni, interni al sistema, possano generare variabilità spazio-temporale nella distribuzione degli organismi, indipendentemente dall’azione di fattori esogeni al sistema. Secondo questa teoria, i processi endogeni agendo a piccola scala spaziale sono in grado di determinare pattern di distribuzione a grande scala spaziale. I sistemi naturali sarebbero quindi in grado di organizzarsi autonomamente nello spazio e nel tempo, acquisendo proprietà cosiddette emergenti, cioè che non possono essere comprese studiando singolarmente le componenti del sistema. Ad oggi sono stati identificati diversi sistemi ecologici nei quali i processi endogeni sembrano essere determinanti nel generare i pattern di distribuzione spaziale degli organismi, tra questi i più studiati sono: ecosistemi aridi e semi-aridi, ecosistemi umidi, come paludi e torbiere, letti di mitili che si sviluppano su fondi mobili della fascia intertidale.

Il seguente lavoro di tesi ha l’obiettivo di investigare i processi che determinano le modalità di distribuzione spaziale dell’alga bruna Cystoseira compressa (Esper) Gerloff & Nizamuddin, caratteristica dell’intertidale roccioso del Mediterraneo. Da un precedente studio è emerso che C. compressa può presentare una distribuzione spaziale eterogenea a chiazze (patches), la cui taglia diminuisce lungo l’asse orizzontale della costa. L’eterogeneità spaziale è data dall’alternanza di chiazze di C. compressa con aree occupate da feltri algali e/o alghe incrostanti.

Allo scopo di valutare il contributo dei fattori esogeni (mareggiate) ed endogeni (interazioni locali) nel generare il pattern spaziale regolare nella copertura di C. compressa, nell’autunno 2017 è stato allestito un esperimento manipolativo nella località di Calafuria (Livorno). Lungo la fascia intertidale sono stati selezionati 18 transetti (costituiti da 6 quadrati contigui di 30 x 30 cm) caratterizzati da una copertura

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4 omogenea di C. compressa, i quali sono stati sottoposti a tre tipologie di disturbo con differente distribuzione spaziale: 1) disturbo applicato in modo omogeneo (e casuale) lungo l’asse orizzontale del transetto (Disturbo Omogeneo), 2) disturbo applicato secondo un gradiente spaziale lungo l’asse orizzontale del transetto (Disturbo a Gradiente), 3) disturbo che alla prima data di applicazione viene distribuito casualmente e in modo omogeneo, ma alle applicazioni successive interessa uno dei margini delle chiazze precedentemente disturbate, andando così ad allargare le gap create in precedenza (Disturbo Localizzato). Tale tipologia di disturbo è motivata dal fatto che nei sistemi in cui è stata osservata la formazione di pattern spaziali autorganizzati (ad es. letti di mitili), i margini delle aree precedentemente disturbate sono risultati maggiormente suscettibili a nuovi eventi di disturbo.

Nella pratica, il disturbo è consistito nella rimozione totale degli organismi dal substrato, mediante l’utilizzo di martello e scalpello, allo scopo di creare aree di roccia nuda di 6 x 6 cm (gap), le quali sono state rese nuovamente disponibili alla colonizzazione di larve e propaguli algali. Il trattamento di disturbo è stato allestito sia ad alta sia a bassa intensità, per un totale di 12 e 24 unità spaziali perturbate, rispettivamente in ogni transetto sperimentale. Sono stati selezionati, inoltre, 6 transetti di Controllo: 3 transetti caratterizzati da un popolamento di Cystoseira compressa omogeneo (Controllo Omogeneo), e 3 caratterizzati da chiazze di C. compressa la cui taglia diminuiva orizzontalmente lungo il transetto (Controllo Frammentato).

I dati di abbondanza del popolamento algale e della fauna associata sono stati acquisiti a elevata risoluzione spaziale, mediante campionamento visivo, dopo circa 4 mesi dalla data di applicazione di ciascun trattamento. Dall’analisi dei dati è emerso che la distribuzione spaziale naturalmente frammentata del popolamento associato a C. compressa osservata lungo la costa di Calafuria è ricorrente nello spazio e permane nel tempo. Le cinture omogenee di C. compressa non tendono naturalmente verso un pattern spaziale a gradiente, possono però andare incontro ad un certo grado di frammentazione, probabilmente a causa dell’eterogeneità del substrato e del regime di disturbo naturale. Le analisi dei dati di copertura del popolamento algale non evidenziano differenze tra i due livelli di Intensità, Alta e Bassa, del disturbo. Questo risultato è in controtendenza con altri studi che hanno dimostrato come l’effetto del disturbo su una comunità dipenda anche dall’intensità stessa del disturbo. Infine, sebbene nessuna tipologia di disturbo (né a Bassa né ad Alta Intensità) sia stata in grado

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5 di determinare un calo significativo dell’abbondanza di C. compressa, sia il disturbo applicato ai margini delle gap create precedentemente sia il disturbo applicato secondo un gradiente orizzontale sono stati in grado di determinare una struttura spaziale analoga a quella osservata nei transetti naturalmente frammentati. Ciò indica che entrambe le tipologie di processi, endogeni ed esogeni, possano avere un ruolo e plausibilmente interagiscano nel determinare modalità di distribuzione a scale spaziali più ampie, riconducibili a quelle osservate nei transetti naturalmente frammentati. E’ necessario ricordare che i risultati discussi in questo lavoro di tesi sono preliminari e che come suggerisce l’assenza di una riduzione significativa della copertura di C. compressa in tutti i transetti trattati, due date di trattamento non sono sufficienti al fine di osservare un effetto significativo del disturbo, sarà quindi importante portare avanti l’esperimento affinché i trattamenti sperimentali siano in grado di generare dinamiche simili a quelle naturali, permettendo così di eseguire un test definitivo delle ipotesi.

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1. INTRODUZIONE

1.1 Processi esogeni ed endogeni

In molti sistemi naturali gli organismi che compongono le comunità sono distribuiti in modo eterogeneo nello spazio (Benedetti-Cecchi e Cinelli 1996) e/o possono formare aggregati che a loro volta si distribuiscono in maniera regolare. La comprensione dei meccanismi che determinano le modalità di distribuzione degli organismi nello spazio e nel tempo è uno dei principali obbiettivi della ricerca in campo ecologico (Benedetti-Cecchi 2000). L’interesse per lo studio di sistemi naturali che presentano pattern di distribuzione periodici o con caratteristiche spaziali ricorrenti è in aumento dal momento che è stato dimostrato che determinati pattern di distribuzione degli organismi migliorino le proprietà ecologiche degli ecosistemi, come funzionamento e resilienza (van de Koppel et al. 2004, Liu et al. 2014). La conoscenza dei processi implicati nella formazione di pattern spaziali caratteristici può essere sfruttata inoltre anche in ambito gestionale (Zinck e Grimm 2008).

La distribuzione spaziale delle comunità può essere influenzata da due tipi di processi: processi esogeni, generalmente indipendenti dalla densità locale degli organismi, e processi endogeni, generalmente densità-dipendenti (May 1984, Borcard et al. 1992, Legendre 1993). I processi esogeni, esterni al sistema analizzato, sono spesso associati a fattori abiotici, quali: eterogeneità, tipologia ed inclinazione del substrato, temperatura, disponibilità di risorse (Perfecto e Vandermeer 2008, Bailey e McCauley 2009) e eventi di disturbo naturale (ad esempio mareggiate, raffiche di vento ed incendi). I regimi di disturbo naturale hanno un ruolo importante nel promuovere l’eterogeneità spaziale e temporale nelle comunità ecologiche (Paine e Levin 1981, Sousa 1984). I processi endogeni, al contrario, sono generalmente associati alle interazioni biotiche che si instaurano tra gli organismi della comunità, quali competizione, facilitazione, predazione ed erbivoria (Bailey e McCauley 2009). L’importanza delle interazioni nell’influenzare la variabilità spaziale e temporale di piante ed animali è ampiamente riconosciuta (Benedetti-Cecchi et al. 1996). L’ambiente fisico può modificare intensità e natura delle interazioni tra gli organismi, inoltre, fattori biotici (endogeni) ed abiotici (esogeni) possono interagire nel determinare le modalità di distribuzione spaziale degli organismi (Benedetti-Cecchi et al. 1996).

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7 Secondo l’approccio ecologico classico, processi esogeni ed endogeni, sono scala-dipendenti, cioè ognuno di essi agisce ad una scala caratteristica contribuendo alla variabilità misurata principalmente a quella determinata scala di osservazione (Underwood e Chapman 1996). In generale i processi endogeni agiscono prevalentemente a piccola scala mentre i processi esogeni agiscono in modo predominante alle scale maggiori (Underwood e Chapman 1996).

Lo studio dei network cibernetici negli anni ‘40 ha evidenziato come le componenti dei sistemi complessi siano in grado di auto-organizzarsi senza che debbano seguire una direttiva esterna (Heylighen 2008). Il concetto di auto-organizzazione si è in seguito rivelato applicabile in molti sistemi complessi, compresi quelli biologici, ed ha permesso di dare una spiegazione unica ad un’ampia varietà di processi che determinano la formazione di strutture ordinate a partire da condizioni di disordine (Camazine et al. 2001). La teoria nota come “Spatial self-organization”, evidenzia come processi endogeni, interni al sistema, possano generare variabilità spazio-temporale nella distribuzione degli organismi, indipendentemente dall’azione di fattori esogeni al sistema. Secondo questa teoria, i processi endogeni agendo a piccola scala spaziale sono in grado di determinare pattern di distribuzione a grande scala spaziale (Rietkerk e van de Koppel 2008). Lo studio dei sistemi naturali auto-organizzati ha inoltre messo in luce come anche i processi esogeni abiotici possano agire a scala locale, operando simultaneamente con quelli endogeni nel determinare le proprietà dei sistemi a grande scala (Guichard et al. 2003).

1.2 Auto-organizzazione: concetti generali

Un sistema complesso è costituito da un insieme di componenti, unità diverse tra loro, connesse l’una con l’altra mediante interazioni; le unità sono quindi distinte ed allo stesso tempo connesse, autonome e contemporaneamente mutualmente dipendenti (Heylighen 2008). Le interazioni fra le componenti dei sistemi complessi si realizzano a livello locale, cioè ogni unità influenza solo le unità nelle immediate vicinanze, nonostante questo le interazioni locali fra le componenti hanno effetti globali, che caratterizzano il sistema nella sua totalità. Inizialmente le unità lontane tra loro si comportano in modo indipendente, non vi è correlazione tra le loro attività, ma poiché tutte le componenti dei sistemi complessi sono connesse direttamente o indirettamente,

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8 le influenze locali si propagano in modo continuo in tutto il sistema (Heylighen 2008).

Le interazioni locali tra le singole componenti del sistema sono in grado, quindi, di determinare la configurazione globale del sistema, ad ampia scala spaziale (Camazine et al. 2001). Per descrivere questa caratteristica dei sistemi complessi, fisici e poi biologici, è stato sviluppato il concetto di organizzazione. Nei sistemi che si auto-organizzano la configurazione globale è determinata, infatti, da interazioni che si realizzano internamente al sistema, senza l’intervento di forze esterne (Camazine et al. 2001). Sistemi di questo tipo sono quindi in grado di organizzarsi spontaneamente (Heylighen 2008, 2011), sviluppando una configurazione globale stabile, ordinata. Una dinamica di questo genere però sembrerebbe non rispettare il secondo principio della termodinamica, secondo cui in un sistema libero di evolvere, l’entropia, cioè il grado di disordine, può solo aumentare e mai diminuire. Questo paradosso è stato studiato a partire dagli anni ’50 dal termodinamico Prigogine e dai suoi colleghi, che hanno concluso che i sistemi in grado di auto-organizzarsi devono essere sistemi dissipativi (“dissipative structures”), aperti, che scambiano energia e materia con l’ambiente circostante (come organismi viventi ed ecosistemi). Questi sistemi sono dinamici e generano continuamente entropia, ma essa è attivamente dissipata o esportata fuori dal sistema (Nicolis e Prigogine 1979).

I sistemi complessi sarebbero quindi in grado di organizzarsi autonomamente nello spazio e nel tempo, acquisendo proprietà cosiddette emergenti cioè che non possono essere comprese studiando singolarmente le componenti del sistema (Heylighen 2008, 2011). Il comportamento globale di un sistema complesso risulta in parte imprevedibile ed incontrollabile, sebbene si possano individuare le proprietà spaziali globali e comprendere la natura delle interazioni tra le componenti. L’imprevedibilità è conseguenza della non-linearità delle interazioni locali tra le unità; le interazioni sono considerate non-lineari quando l’effetto di una perturbazione non è proporzionale alla sua intensità (Heylighen 2008). D’altra parte la rete di interazioni non-lineari propria di questi sistemi ne determina l’elevata resilienza alle perturbazioni esterne: caratteristica emergente che li differenzia fortemente dai sistemi fisici e chimici semplici. Ogni componente del sistema influenza le altre direttamente ed indirettamente, e viene a sua volta influenzata dalle altre, quindi la relazione causa-effetto è circolare, il comportamento di ogni componente innesca circuiti a feedback positivi e negativi che diffondono nel sistema (Heylighen 2011). Si parla di feedback positivi quando

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9 l’influenza secondaria amplifica e rinforza il cambiamento iniziale e di feedback negativi quando l’influenza secondaria sopprime o controbilancia il cambiamento iniziale. I feedback negativi, quindi, possono avere un effetto stabilizzante sul sistema e sopprimono il cambiamento iniziale di una o più componenti riportandole allo stato originario, mentre quelli positivi possono favorire la propagazione “a catena” anche di una piccola perturbazione nell’intero sistema.

Il processo di auto-organizzazione inizia con meccanismi a feedback positivo: la configurazione di una componente influenza le configurazioni delle componenti adiacenti con feedback positivi, il cambiamento iniziale si diffonde così nel sistema che assume una determinata configurazione globale, stabile, a questo punto entrano in gioco i meccanismi a feedback negativo che fanno sì che quando una componente o una regione del sistema viene perturbata, l’alterazione venga soppressa, riportando il sistema nello stato originario. Secondo Heylighen (2011) nei sistemi più complessi, caratterizzati da svariate relazioni a feedback circolari interconnesse, alcune alterazioni sono amplificate ed altre sono soppresse, e conseguentemente il comportamento globale è difficilmente prevedibile. La capacità intrinseca dei sistemi complessi di tornare allo stato iniziale è altresì dovuta alla ridondanza o organizzazione diffusa e distribuita nel sistema: se una perturbazione esterna altera la configurazione di una regione del sistema, le regioni non danneggiate possono facilitare attraverso interazioni locali il recupero delle regioni adiacenti (Heylighen 2011, de Paoli et al. 2017).

Ogni componente del sistema tende naturalmente a raggiungere la configurazione ad essa più vantaggiosa, come bilancio termodinamico nei sistemi fisici e come fitness individuale nei sistemi biologici; per questo ognuna tenderà teoricamente ad organizzarsi per migliorare la propria condizione, ma poiché tutte le componenti sono connesse e dipendenti fra loro, questo non sarà sempre possibile (Heylighen 2008). In generale la configurazione migliore per una componente può portare uno svantaggio a quelle adiacenti, ma è altrettanto vero che un vantaggio per una non determina inevitabilmente uno svantaggio equivalente per le altre; sarà possibile quindi raggiungere una configurazione di compromesso, che determini per tutte le componenti del sistema un certo grado di vantaggio. In questo senso le singole componenti possono essere definite mutualmente adattabili, esse coordinano le loro azioni locali per minimizzare gli svantaggi e massimizzare i vantaggi individuali. La configurazione globale sarà quella più vantaggiosa per il sistema nel suo insieme e nel contesto in cui si

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10 trova; i sistemi complessi sono quindi in grado di evolvere spontaneamente verso configurazioni globalmente stabili, adattandosi alle condizioni esterne. Lo stato stabile che viene raggiunto è caratterizzato dal continuo flusso di energia e materia, quindi di entropia, è lontano dall’equilibrio, questo fa sì che un sistema complesso sia comunque sensibile ai cambiamenti e dinamico, in continuo adattamento alle condizioni esterne (Heylighen 2011). Le configurazioni finali possibili, quindi, possono essere più di una (Heylighen 2008).

Nel 1987 i fisici Bak, Wiesenfeld e Tang svilupparono una nuova teoria per spiegare la dinamica di alcuni fenomeni, come i terremoti, utilizzando come base teorica il meccanismo dell’auto-organizzazione e la teoria delle transizioni di fase. Secondo la teoria denominata “Self-Organized Criticality” i sistemi complessi, composti da un elevato numero di elementi che interagiscono tra loro localmente, evolvono naturalmente raggiungendo uno stato chiamato critico, in cui anche una perturbazione minima può determinare effetti catastrofici (Bak et al. 1987). Secondo la meccanica statistica lo stato critico è quello stato in cui si trova un sistema che è in procinto di passare da uno stato ad un altro (transizione di fase); più il sistema si avvicina al punto critico (che separa una fase dall’altra) più strutture a grande scala inizieranno a formarsi, sebbene il sistema sia determinato solo da interazioni locali. Allo stato critico i pattern spaziali del sistema sono caratterizzati da invarianza di scala, quindi mancano di una scala di variabilità dominante (Kéfi et al. 2011). Lo stato critico nella teoria di Bak differisce da quello osservabile nelle transizioni di fase, caratteristico dei sistemi fisici, che può essere raggiunto solo attraverso una fine regolazione dei fattori esterni (ad es. temperatura), mentre lo stato critico nei sistemi teorizzati da Bak è robusto, cioè persiste in un più ampio intervallo (Bak et al. 1988) che comunque non determini cambiamenti nelle regole dinamiche del sistema (Bak e Chen 1991).

I sistemi complessi allo stato critico sono caratterizzati da fluttuazioni spaziali e temporali la cui taglia segue una distribuzione di potenza (power-law) e da proprietà spaziali che mostrano invarianza di scala (Figura 1.3.1). Gli aggregati (patches) di elementi interconnessi, attraverso cui la perturbazione si può propagare, hanno dimensioni che seguono una distribuzione di potenza (Bak et al. 1987) (Fig. 1.2.1). Il fatto che esistano aggregati di tutte le dimensioni, con una frequenza che diminuisce al crescere della taglia, porta alla possibilità di fluttuazioni spaziali e temporali anch’esse caratterizzate da una power-law (Bak et al. 1987). Gli eventi catastrofici, quindi,

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11 possono accadere perché la perturbazione/disturbo può propagarsi potenzialmente in tutto il sistema; nei sistemi che si auto-organizzano allo stato critico, quindi, gli effetti delle perturbazioni non sono proporzionali alla loro intensità (Bak e Chen 1991).

Le funzioni di potenza o power-law sono distribuzioni di frequenza indipendenti dalla risoluzione, dalla scala di osservazione. Una funzione Y = f(x) è una funzione di potenza quando la variabile dipendente y varia come potenza della variabile indipendente x, secondo la formula y = Axα , dove A è una costante di proporzionalità e α è l’esponente di scala. Queste funzioni sono lineari se negli assi cartesiani sono indicati i logaritmi delle due variabili. Le power-law descrivono fenomeni molto diversi, come ad esempio la frequenza dei terremoti in relazione alla magnitudine (Legge Gutemberg-Richter), la distribuzione del reddito tra gli individui (Legge di Pareto), la grandezza delle città (Legge di Zipf) sono state osservate e studiate anche in diversi sistemi naturali, come letti di mitili disturbati da forti mareggiate (Guichard et al. 2003) o nelle foreste danneggiate da incendi (Drossel e Schwabl 1992).

Figura 1.3.1 – a) Pattern di distribuzione spaziale caratterizzato da invarianza di scala; b) Power-law.

Il modello esplicativo utilizzato da Bak per spiegare la teoria della “Self-Organized Criticality” è quello della pila di sabbia. La sabbia è fatta cadere un granello alla volta in modo lento e costante, all’inizio i granelli stanno insieme e rimangono nella posizione dove sono caduti, presto iniziano ad impilarsi uno sull’altro, creando una pila di sabbia con una leggera pendenza. Mano a mano che la pendenza aumenta e la pila diventa più grande, i granelli iniziano a scivolare sui fianchi, causando delle valanghe, più la pila si ingrandisce più la dimensione delle valanghe di granelli aumenta, finché non si raggiunge il punto critico: la pila smette di crescere e il numero di granelli che sono aggiunti è uguale a quello che scivola a terra. A questo punto ogni granello che è

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12 aggiunto può provocare valanghe di qualsiasi dimensione, anche molto grandi “catastrofiche”, ma la maggior parte dei granelli cadrà senza crearne. Gli eventi più grandi comunque non sono in grado di far cambiare la pendenza della pila per cui lo stato critico permane (Bak e Chen 1991).

1.3 Auto-organizzazione spaziale nei sistemi biologici

I meccanismi attraverso i quali si realizzano i processi di auto-organizzazione nei sistemi biologici differiscono da quelli dei sistemi fisici per due motivi principali: le unità che compongono i sistemi biologici sono intrinsecamente complesse e differenti fra loro; inoltre, le dinamiche alla base delle interazioni non sono riconducibili unicamente a regole fisiche o matematiche, ma sono determinate geneticamente (Camazine et al. 2001). Nei sistemi complessi biologici le unità che compongono il sistema si comportano in base al proprio programma genetico che è stato sottoposto a selezione naturale. Quindi è proprio la selezione naturale a regolare come gli organismi interagiscano tra di loro ed in ultima analisi determina quali siano le configurazioni più adatte all’ambiente circostante; i pattern spaziali osservabili in natura sono quindi il prodotto del processo evolutivo (Camazine et al. 2001).

Sistemi biologici in grado di auto-organizzarsi sono per esempio: gli animali che si muovono collettivamente, come pesci e cavallette in migrazione (Hattori et al. 1999, Parrish et al. 2002, Dkhili et al. 2017), gli organismi viventi stessi, le cellule che li compongono, le strutture citoscheletriche al loro interno, così come le macromolecole (Isaeva 2012). Lo sviluppo di pattern spaziali generati da processi di auto-organizzazione sono stati investigati per esempio nelle colonie batteriche: nelle colonie di Bacillus subtilis, per esempio, ogni cellula si muove parallelamente alle altre e ha una tendenza alla torsione, globalmente i movimenti correlati delle cellule determinano lo sviluppo di un pattern a vortice.

I comportamenti collettivi e sincronizzati osservati in molte specie animali sono considerati processi di auto-organizzazione e sono stati studiati soprattutto negli insetti sociali e nei banchi di pesci. Cavallette e locuste quando migrano esibiscono movimenti collettivi e formano gruppi che possono presentare differenti forme e densità di individui. Le formazioni caratteristiche sembrano essere specie-specifiche e si possono

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13 distinguere formazioni peculiari, le principali sono: raggruppamenti circolari (spot), a bande e nastriformi o colonnari (Dkhili et al. 2017). Così come per i banchi di pesci, i movimenti del gruppo non sono impartiti da un individuo leader, ma sono la conseguenza di un semplice modello comportamentale che guida i movimenti di ciascun individuo (Hattori et al. 1999). Ogni individuo si comporta secondo tre tipi di interazioni locali: repulsione, cioè la tendenza a mantenere una distanza minima dai vicini; allineamento, cioè la tendenza a muoversi nella stessa direzione dei vicini; attrazione, cioè la tendenza a stare all’interno del gruppo (Aoki 1982). Ciascun individuo si muove unicamente in base alle informazioni che raccoglie tramite i suoi sensi sugli individui vicini, all’interno del suo raggio visivo o percettivo (Hattori et al. 1999) e si limita a seguire delle semplici regole, nessun individuo conosce la configurazione del gruppo o la sua velocità di spostamento (Heylighen 2008). Sono quindi tre le interazioni di base che determinano l’auto-organizzazione alla base dei comportamenti collettivi nei gruppi di animali: repulsione, attrazione ed allineamento e le proprietà emergenti di questi aggregati animali dipendono solo dall’intensità ed dal raggio di azione di ognuna delle interazioni di base (Dkhili et al. 2017).

Nelle comunità ecologiche, i processi di auto-organizzazione determinano la formazione di pattern di distribuzione spaziale a grande scala attraverso complesse reti di interazioni ecologiche che si instaurano tra gli organismi a livello locale. I principali meccanismi che determinano la formazione di pattern spaziali nei diversi sistemi naturali sono riconducibili principalmente a dinamiche locali di disturbo e recupero della comunità e a meccanismi a feedback scala-dipendenti (Rietkerk e van de Koppel 2008). Nel primo caso il disturbo naturale rappresenta il fattore strutturante le comunità e determina direttamente la distribuzione frammentata degli organismi, sebbene le proprietà spaziali emergenti del sistema dipendano dalle interazioni locali che si instaurano tra gli organismi, nel secondo caso, al contrario, sono le interazioni tra gli organismi a determinarne la distribuzione, in risposta alle condizioni ambientali.

Per feedback scala-dipendenti si intende che l’intensità e la natura delle interazioni tra organismi e il loro ambiente varia con la distanza: nello specifico le interazioni tra organismi sono positive in un’area vicina agli organismi stessi e negative invece a distanza maggiore (Rietkerk e van de Koppel 2008) (Fig. 1.3.2). Turing fu il primo a proporre la possibilità che meccanismi a feedback scala-dipendenti fossero in grado di generare pattern regolari nei sistemi chimici. Nel sistema attivatore-inibitore sviluppato

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14 da Turing, una data sostanza chimica è in grado di auto-prodursi attraverso reazioni di autocatalisi e allo stesso tempo produce un’altra sostanza in grado di diffondersi nel mezzo più velocemente della prima. Quest’ultima funziona come inibitore della prima reazione, in quanto circoscrive la diffusione della prima sostanza. L’interazione locale tra le due sostanze genera un pattern regolare ed a grande scala rispetto a quella in cui si realizzano le interazioni tra i reagenti (Turing 1952).

Figura 1.3.2 – Rappresentazione grafica di feedback scala-dipendenti.

La distribuzione spaziale degli organismi negli ecosistemi può presentarsi con proprietà spaziali differenti, si possono osservare pattern regolari, con forme e strutture che ricorrono in svariati contesti oppure si possono osservare individui aggregati in cluster la cui taglia segue una distribuzione di potenza. Secondo Rietkerk e van de Koppel (2008), la formazione di pattern regolari ad ampia scala spaziale sarebbe determinata da meccanismi a feedback dipendenti dalla scala, analoghi a quelli descritti da Turing nel sistema attivatore-inibitore, mentre pattern caratterizzati da invarianza di scala sarebbero generati quando entrano in gioco solo meccanismi di facilitazione a piccola scala. La formazione di pattern spaziali a grande scala, quindi, può essere dovuta a diversi processi endogeni che si esplicano a piccola scala, innescando meccanismi di auto-organizzazione, ma sarebbero i meccanismi di feedback negativo a scala maggiore a permettere la formazione di pattern regolari. Regolarità e forme delle patch sono determinate dal raggio di azione o scala alla quale il feedback negativo si esplica, mentre i feedback positivi possono solo determinare la definizione delle patch (Rietkerk e van de Koppel 2008).

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15 I pattern di distribuzione spaziale più studiati sono stati osservati in sistemi naturali che presentano bassa eterogeneità ambientale di fondo (condizioni ambientali omogenee e gradienti ambientali trascurabili), in particolare i sistemi in cui sono stati identificati i processi endogeni di auto-organizzazione che determinano la formazione di pattern regolari sono: ambienti aridi e semi-aridi (Couteron e Lejeune 2001, HilleRisLambers et al. 2001, Rietkerk et al. 2002), savane (Lejeune et al. 2002), paludi e torbiere (Koppel et al. 2006) e letti di mitili intertidali (van de Koppel et al. 2005, van de Koppel et al. 2008). In questi sistemi naturali la scarsità di risorse o le condizioni ambientali avverse fanno sì che i processi di facilitazione tra organismi siano fondamentali per la loro sopravvivenza; gli organismi possono facilitarsi mutualmente solo a livello locale e questo produce, direttamente o indirettamente, effetti negativi, spesso attraverso interazioni competitive, a distanza maggiore (Rietkerk e van de Koppel 2008). Feedback scala-dipendenti comunque sembrano essere in grado di determinare la struttura spaziale delle comunità anche in ambienti più eterogenei, soggetti a gradienti di stress ambientale non trascurabili, come per la vegetazione in spiagge di ciottoli soggette a forti gradienti di esposizione al moto ondoso (Van De Koppel et al. 2006), o in ambienti dove le condizioni ambientali sono meno sfavorevoli, come per la formazione di aggregati di cirripedi distanziati in modo regolare (Bertness et al. 1998).

Gli ecosistemi aridi e semi-aridi sono quelli maggiormente studiati (Rietkerk 2004), la vegetazione arborea ed arbustiva si distribuisce con forme regolari che si ripetono a distanze caratteristiche: le formazioni regolari vanno da labirinti, a bande e strisce (“a macchia di tigre”) (Rietkerk et al. 2002) fino ad aggregati circolari (spot) più o meno isolati (von Hardenberg et al. 2001, Lejeune et al. 2002) e chiazze prive di vegetazione (gap) (Rietkerk et al. 2002) (Fig. 1.3.3).

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Figura 1.3.3 – Sistemi aridi nigeriani: a) Formazioni arbustive regolari labirintiche e a spot; b)

Distribuzione spaziale frammentata, con gap non vegetati; c) Formazioni arbustive regolari a bande. In questi ecosistemi la tendenza delle piante ad aggregarsi è dovuta ad interazioni positive, di facilitazione, tra le piante stesse, che si realizzano a scala locale: la presenza di piante vicine (ad elevata densità) permette una maggiore infiltrazione dell’acqua nel suolo. L’acqua piovana quando raggiunge il suolo, scorre verso le aree dove le piante sono più concentrate e si infiltra preferenzialmente nel terreno sottostante; di conseguenza il terreno intorno agli aggregati diviene secco e inadatto per la crescita di altre piante (Rietkerk et al. 2002). Questo meccanismo di facilitazione a piccola scala e competizione a scala maggiore è ricorrente, seppur si realizzi in modi leggermente differenti l’effetto finale è il medesimo, cioè la creazione di pattern regolari. Negli ecosistemi aridi infatti un altro meccanismo analogo al precedente è in grado di generare pattern spaziali regolari: esso è determinato dalla variazione del tasso di evaporazione dell’acqua dal terreno in dipendenza della distanza dalle aree vegetate: l’ombra creata dalle fronde delle piante determina una minore evaporazione dell’acqua, che invece aumenta con la distanza dalle aree vegetate (Lejeune et al. 1999).

Nelle savane i meccanismi di feedback scala-dipendenti sono determinati da processi di facilitazione a piccola scala e competizione per le risorse limitanti a scala maggiore, questa volta la risorsa limitante è rappresentata dai nutrienti: in questi sistemi è stata osservata la formazione di spot regolari di specie arboree che si snodano in una matrice di specie erbacee (Lejeune et al. 2002).

In ambiente marino, i sistemi intertidali di fondo molle del Mare di Wadden, dominati da letti di mitili, si annoverano tra i sistemi in cui meccanismi di auto-organizzazione determinano la formazione di pattern spaziali regolari (Koppel et al. 2005) (Fig. 1.3.4).

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17 I giovanili di Mytilus edulis si distribuiscono ad elevata densità in letti che variano per estensione da decine di metri a chilometri quadrati, all’interno di queste distese i mitili si aggregano in gruppi legandosi l’uno con l’altro attraverso il bisso. A piccola scala i mitili tendono ad aggregarsi in gruppi che si allungano in cordoni (di 3/5 cm di ampiezza e distanziati l’uno dall’altro di circa 10 cm) formando una struttura reticolata o labirintica (Koppel et al. 2005); l’aggregazione dei mitili è un processo rapido che in mesocosmo, avviene nell’arco di un giorno (van de Koppel et al. 2008). A scala spaziale maggiore i mitili si organizzano in bande regolari (5/10 m di larghezza) generalmente perpendicolari al flusso delle maree o si distribuiscono in letti con frammentazione più diffusa (Koppel et al. 2005). Mytilus edulis sviluppa pattern regolari simili a quelli osservati sul campo anche in laboratorio in condizioni omogenee (van de Koppel et al. 2008). La densità degli aggregati di mitili all’interno delle bande dipende dalla densità totale degli individui, i cluster saranno più isolati dove la densità è minore (van de Koppel et al. 2008).

Figura 1.3.4 – a) Letto di mitili auto-organizzati; b) Bande regolari; c) Cluster di mitili interni alle bande.

Anche in questo sistema sono i meccanismi a feedback scala-dipendenti a determinare la distribuzione aggregata e regolare dei mitili; in particolare, interazioni di facilitazione a piccola scala spaziale attraverso protezione mutuale da onde e correnti e competizione

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18 a distanza maggiore per le alghe inducono auto-organizzazione spaziale (van de Koppel et al. 2005). Crescita e sopravvivenza dei mitili sono fortemente dipendenti dalla disponibilità di alghe, dalla dislocazione e dalla predazione, due fenomeni, questi ultimi, che dipendono fortemente dalla densità locale dei mitili (Hunt e Scheibling 2001), i co-specifici più vicini rappresentano infatti il substrato principale per i mitili che crescono su fondi molli. L’effetto della competizione per il cibo invece è diffuso a distanze maggiori, poiché l’acqua impoverita di cibo è trasportata attraverso la distesa di mitili dalle maree e dalle correnti (Koppel et al. 2005). I mitili in mesocosmo una volta posizionati in modo omogeneo nel giro di un giorno formano cluster analoghi a quelli che formano all’interno delle bande in ambiente naturale. La velocità di movimento dei mitili diminuisce quando formano gli aggregati a piccola scala, quando l’aggregazione determinerebbe la formazione di cluster troppo grandi entra in gioco un feedback negativo e il movimento aumenta nuovamente. Questo meccanismo è correlato alla competizione per il cibo sospeso all’interno di ogni aggregato (van de Koppel et al. 2008). La distribuzione frammentata e regolare dei mitili influenza il funzionamento dell’ecosistema stesso incrementandone la produttività; la caratteristica organizzazione spaziale di M. edulis permette alla specie di persistere in condizioni (concentrazione di cibo) che non ne permetterebbe la sopravvivenza in letti omogenei (Koppel et al. 2005).

Modelli teorici (Rietkerk 2004, Koppel et al. 2005) e studi osservazionali (van de Koppel et al. 2004, Liu et al. 2014) suggeriscono che i processi di auto-organizzazione spaziale migliorino fortemente il funzionamento e la resilienza degli ecosistemi in risposta a disturbi naturali ed antropici. Per resilienza ecologica si intende la magnitudine di disturbo che può essere sopportata da un sistema senza che questo passi ad uno stato differente (Gunderson 2000). La distribuzione dei mitili, per esempio, determina: maggior resilienza al moto ondoso e al flusso delle maree rispetto a cluster isolati, e minore competizione per il cibo e maggiori tassi di crescita rispetto ai mitili in letti omogenei (Koppel et al. 2005, van de Koppel et al. 2008). Una validazione sperimentale degli effetti emergenti dell’auto-organizzazione spaziale ha recentemente corroborato i risultati ottenuti mediante modelli matematici: l’aggregazione dei mitili è fondamentale per ridurre il rischio di distacco a causa del moto ondoso e le bande facilitano i processi di aggregazione a piccola scala (de Paoli et al. 2017). Anche i risultati di van de Koppel su ecosistemi aridi evidenziano come questi sistemi abbiano una maggiore resilienza ai disturbi naturali e maggior resistenza a disturbi antropici

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19 rispetto a sistemi in cui non sono presenti interazioni spaziali; sistemi spazialmente distribuiti possono sopportare regimi di precipitazioni che in sistemi omogenei determinerebbero il collasso (van de Koppel et al. 2004). Sistemi che mostrano auto-organizzazione spaziale, quindi, sembrano avere anche una maggiore capacità adattativa (adaptive capacity), intesa come capacità di un ecosistema di resistere e adattarsi a determinati stress senza passare ad uno stato caratterizzato da processi strutturanti differenti (Gunderson 2000).

Sono stati osservati sistemi ecologici naturali che non mostrano pattern di distribuzione regolare degli organismi, ma una distribuzione frammentata, caratterizzata da invarianza di scala (Guichard et al. 2003, Malamud et al. 2007): questi sistemi sono stati denominati sistemi critici. Le dinamiche di disturbo e recupero in questi sistemi sono determinanti nella formazione di pattern caratterizzati dalla distribuzione di cluster e gap che seguono una power-law (Rietkerk e van de Koppel 2008). Il disturbo, definito come evento puntiforme che causa la perdita di biomassa, è infatti una componente chiave negli ecosistemi, esso può avere origine sia naturale che antropica e può essere determinato da processi endogeni, quali erbivoria e predazione o esogeni, come tempeste, incendi, raffiche di vento (Pickett e White 1985). Esso influenza l’organizzazione biologica a vari livelli agendo in un ampio range di scale spaziali e temporali, in particolare può influenzare la distribuzione degli organismi, alterando eterogeneità e variabilità spaziale (Fraterrigo e Rusak 2008). Nei sistemi con pattern regolari a grande scala sono i processi endogeni locali a determinare le proprietà emergenti del sistema, i processi esogeni in questo caso rappresentano una fonte di variabilità che agisce ad ampia scala spaziale, ma non interagisce con i processi biotici alla scala locale; nei sistemi caratterizzati da invarianza di scala anche i processi esogeni agiscono a scala locale influenzando le interazioni biotiche locali e le proprietà a grande scala degli ecosistemi (Guichard et al. 2003, Kéfi et al. 2011).

I sistemi critici, accomunati dal mostrare pattern spaziali caratterizzati da una distribuzione power-law delle taglie delle patch, differiscono l’uno dall’altro per la sensibilità al cambiamento delle condizioni ambientali e per la risposta alle perturbazioni esterne, per questo motivo sono state distinte tre tipologie di criticalità (Pascual e Guichard 2005, Kéfi et al. 2011):

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20 sistemi fisici chiusi, in cui lo stato critico si realizza solo in prossimità della transizione di fase (Solé e Bascompte 2012) che si verifica solo in particolari condizioni esterne. In questi sistemi quindi una distribuzione power-law emerge solo allo stato critico che precede un cambiamento dello stato del sistema. Esempi di sistemi naturali di questo tipo sono letti di mitili il cui fattore strutturante è la predazione da parte di aragoste (Robles e Desharnais 2002) e foreste tropicali soggette a raffiche di vento (Kizaki e Katori 1999). In questi sistemi il disturbo agisce in modo omogeneo nello spazio, con una probabilità di colpire un’area occupata che dipende unicamente dalla densità locale degli organismi circostanti (Pascual e Guichard 2005): la suscettibilità di un’area al disturbo è infatti inversamente proporzionale al numero delle aree adiacenti occupate (Solè e Manrubia 1995). Nelle foreste tropicali reali è stata osservata invarianza di scala per la distribuzione delle taglie delle gap e delle patch di alberi; nei modelli corrispondenti il vento (disturbo) agisce creando gap nella foresta abbattendo gli alberi con un tasso che dipende unicamente dal numero di siti adiacenti che sono già vuoti, è quindi la densità locale di alberi (siti occupati) a determinare la suscettibilità di un sito al disturbo, la diffusione del disturbo tra siti suscettibili, inoltre, agisce più velocemente o a più ampia scala rispetto ai processi di recupero (Kizaki e Katori 1999). Lo stato critico indica l’imminente transizione del sistema da uno stato vegetato ad uno non vegetato, basterebbe solo un aumento minimo dell’intensità del vento (disturbo), oltre il valore critico, per far collassare il sistema. In conclusione lo stato critico e la distribuzione power-law in questi sistemi può indicare un’elevata sensibilità del sistema alle perturbazioni e quindi una minore capacità di rispondere ad esse (bassa resilienza) (Pascual e Guichard 2005);

• Self-Organized Criticality (SOC): dallo studio di sistemi fisici semplici, come le pile di sabbia, è stata sviluppata la teoria della Self-Organized Criticality che forniva una spiegazione alternativa all’insorgenza dell’invarianza di scala nei sistemi naturali. Questi sistemi si auto-organizzano, tendono naturalmente allo stato critico, caratterizzato da invarianza di scala, senza che i fattori esterni raggiungano una determinata soglia (detta anch'essa critica); lo stato critico è associato a grandi e imprevedibili fluttuazioni del sistema (Bak e Chen 1991). L’auto-organizzazione allo stato critico genera eventi di tutte le taglie, inclusi eventi catastrofici, di grande taglia, rari, ma imprevedibili la cui distribuzione di taglia segue anch’essa una

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21 power-law (Bak et al. 1987, Bak e Chen 1991). Molti fenomeno naturali mostrano dinamiche spazio-temporali tipiche della SOC, per esempio i terremoti, le epidemie di malattie infettive in popolazioni isolate, le foreste soggette ad incendi (Bak e Tang 1989, Rhodes e Anderson 1996, Malamud et al. 2007). Queste ultime sono state utilizzate a lungo come sistema modello per la criticalità auto-organizzata (Drossel e Schwabl 1992, Malamud et al. 2007). Nelle foreste soggette ad incendi, il disturbo si sviluppa a partire da una scintilla che può colpire qualsiasi albero della foresta, successivamente la propagazione del fuoco avviene a scala locale; in questo senso, il disturbo agisce in modo eterogeneo nel sistema diffondendosi a partire dagli individui disturbati a quelli suscettibili adiacenti. Il recupero al contrario è un processo che avviene su larga scala ed in modo casuale nelle gap lasciate vuote (Drossel e Schwabl 1992). Un requisito fondamentale per la genesi dell’invarianza di scala nei sistemi associati alla SOC è la doppia separazione delle scale temporali dei processi di disturbo e recupero, in particolare la frequenza di nuovi disturbi deve essere minore di quella di ricolonizzazione di siti, ma quest’ultima deve essere a sua volta minore della velocità di propagazione del disturbo (Drossel e Schwabl 1992, Pascual e Guichard 2005). Gli incendi sono eventi rari, in grado di bruciare un intero aggregato di alberi, nuovi alberi però possono formare nuovi aggregati prima che si verifichi un nuovo incendio: le fluttuazioni temporali e spaziali intermittenti caratterizzate da distribuzioni di frequenza power-law, quindi, sono dovute al lento accumulo (recupero) e veloce rilascio di energia (incendio) (Drossel e Schwabl 1992, Pascual e Guichard 2005);

• Criticalità robusta: nei sistemi robusti la relazione tra la taglia delle patch (o gap) e la loro frequenza è descritta da una power-law per un ampio range di valori delle variabili strutturanti del sistema (per esempio forza del moto ondoso). Al contrario dei sistemi SOC, distribuzione ed abbondanza degli organismi non vanno incontro ad ampie fluttuazioni temporali e/o spaziali. Nei sistemi robusti sia la propagazione del disturbo sia i processi di recupero avvengono localmente (Guichard et al. 2003, Pascual e Guichard 2005). I processi di recupero sono infatti limitati dall’abilità riproduttiva e di dispersione degli individui o dalla dipendenza del successo nella ricolonizzazione dalla densità locale. Sistemi robusti sono stati descritti sia in ambiente terrestre (Scanlon et al. 2007) sia in ambiente marino (Guichard et al. 2003). Nelle comunità intertidali dominate da mitili, il moto ondoso crea delle gap, le quali sono nuovamente disponibili alla colonizzazione dei mitili stessi o di altri

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22 organismi. Il disturbo che tende a rimuovere i mitili dal substrato roccioso si diffonde localmente dai siti disturbati a quelli adiacenti: quando il disturbo crea una gap, i margini della gap sono costituiti da mitili che hanno perso il loro collegamento attraverso il bisso con i mitili vicini e di conseguenza sono instabili e più suscettibili al disturbo rispetto ad altre aree che non sono al margine di aree disturbate (Guichard et al. 2003). Il disturbo, quindi, agisce a livello locale interagendo con i processi biotici locali, ma agisce più velocemente dei processi di ricolonizzazione (Pascual e Guichard 2005). I sistemi robusti sono molto studiati perché quando l’intensità del processo strutturante aumenta, le patch di taglia maggiore sono le prime a scomparire, causando una deviazione dalla power-law (power-law troncata). Il cambiamento nella relazione tra taglia delle patch e frequenza potrebbe essere utilizzato come indicatore di degradazione ambientale e di imminente collasso del sistema (Kéfi et al. 2011).

1.4 Simulazione di modelli di auto-organizzazione spaziale

I principali lavori sull’auto-organizzazione spaziale nei sistemi ecologici sono stati svolti attraverso la combinazione di dati ottenuti da osservazioni sul campo con modelli matematici (Drossel e Schwabl 1992, Guichard et al. 2003, Malamud et al. 2007, Rietkerk e van de Koppel 2008), denominati “interacting particle systems”, sistemi costituiti da una griglia di celle, ognuna delle quali può presentarsi in uno di differenti possibili stati. Il sistema è fatto evolvere liberalmente nel tempo e ad intervalli regolari il suo stato viene analizzato (Heylighen 2011); ogni cella può cambiare stato con una frequenza che è determinata dalle leggi dinamiche (“dynamical rules”) del sistema, derivate dall’osservazione sul campo e che nei sistemi in grado di auto-organizzarsi dipendono dallo stato delle celle laterali (Kéfi et al. 2011). Se le leggi dinamiche che governano l’evoluzione del modello matematico corrispondono ai processi che determinano il pattern spaziale osservato in natura, il sistema raggiungerà uno stato con proprietà spaziali emergenti analoghe a quelle osservate nel sistema naturale. Ad oggi vi è un numero limitato di studi manipolativi in cui è stato investigato il ruolo dei processi endogeni (spatial self-organization) nella formazione di pattern spaziali ricorrenti (van de Koppel et al. 2008, Bailey e McCauley 2009, de Paoli et al. 2017). Tali studi, infine, non considerano il disturbo come fattore strutturante, ignorando il suo contributo nella

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23 genesi e nella persistenza di pattern spaziali ricorrenti.

1.5 Scopo del lavoro di tesi

Il seguente lavoro di tesi ha l’obiettivo di investigare i processi che determinano le modalità di distribuzione spaziale dell’alga bruna Cystoseira compressa (Esper) Gerloff & Nizamuddin, caratteristica dell’intertidale roccioso del Mediterraneo, e del popolamento ad essa associato. Osservazioni precedenti hanno evidenziato come C. compressa colonizzi l’intertidale roccioso formando cinture lungo l’asse orizzontale della costa che possono presentare una distribuzione spaziale omogenea (Figura 1.4.1) oppure una distribuzione eterogenea a chiazze (patches), la cui taglia varia su piccola scala spaziale in relazione a gradienti idrodinamici o ad altri fattori non ancora identificati (Figura 1.4.2). L’eterogeneità spaziale è data dall’alternanza di chiazze di C. compressa con aree occupate da feltri algali e/o alghe incrostanti, specie generalmente dominanti in aree recentemente disturbate (Benedetti-Cecchi 2000).

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Figura 1.4.2 – Cintura di C. compressa naturalmente frammentata, con chiazze la cui taglia diminuisce

lungo l’asse orizzontale della costa.

Le forti mareggiate sono riconosciute da tempo come uno dei fattori più importanti nel determinare l’eterogeneità spaziale osservata nelle comunità intertidali, sono infatti in grado di scalzare dal substrato gli organismi lasciando aree di roccia nuda di dimensioni variabili (Paine e Levin 1981, Sousa 1984, Benedetti-Cecchi e Cinelli 1992).

Scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di cercare di comprendere il ruolo dei processi endogeni ed esogeni nella generazione di pattern spaziali ricorrenti. A tal fine è stato allestito un esperimento per valutare il contributo di eventi di disturbo meccanico (processi esogeni ad esempio mareggiate) e di interazioni locali (processi endogeni) nel generare il pattern spaziale a chiazze nella copertura dell’alga bruna Cystoseira compressa caratteristica dell’intertidale roccioso del Mediterraneo. In particolare, è stata valutata la risposta del popolamento ad eventi di disturbo meccanico, applicati in modo da simulare gli effetti di forti mareggiate, secondo tre criteri spaziali differenti in grado

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25 di discriminare tra: processi di risposta dei popolamenti alla variabilità degli eventi di disturbo esogeni al sistema e processi endogeni di auto-organizzazione che agiscono a scala locale.

Il confronto delle caratteristiche spaziali dei popolamenti trattati e di quelli naturalmente frammentati ha permesso di valutare l’importanza relativa delle due tipologie di processi, esogeni e endogeni e la loro possibile interazione nel generare eterogeneità spaziale nella distribuzione del popolamento. Infine, l’utilizzo di due tipologie di controllo naturale (omogeneo e frammentato), ha permesso anche di evidenziare se il popolamento caratterizzato da C. compressa tenda naturalmente verso una distribuzione eterogenea e frammentata oppure no.

I risultati che verranno presentati in questa tesi sono preliminari, in quanto si ritiene necessario continuare l’esperimento che verosimilmente comprenderà almeno 4 date di trattamento e altrettante di campionamento.

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2. MATERIALI E METODI

2.1 Sito di studio

Il seguente studio è stato condotto lungo la costa di Calafuria (43°28’ N, 10 °20’ E), località pochi kilometri a Sud di Livorno, per circa un anno, a partire da ottobre 2017. La costa, affacciata sul Mar Ligure, è rivolta a S-SO, risulta completamente esposta ai venti del III e del IV quadrante ed è particolarmente soggetta al moto ondoso. La roccia è costituita principalmente di arenaria che essendo molto friabile è continuamente soggetta a fenomeni di erosione che nel tempo hanno reso la scogliera frastagliata e ricca di insenature e fratture.

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27 2.2 Caratteristiche ecologiche del popolamento indagato

Il popolamento oggetto dello studio è caratterizzato principalmente dall’alga bruna Cystoseira compressa, appartenente alla classe delle Phaeophyceae e all’ordine Fucales. Il genere Cystoseira è rappresentato da 45 specie di cui 29 sono endemiche del Mar Mediterraneo (Ribera et al. 1992). Si tratta di specie a morfologia complessa, alcune delle quali considerate come alghe canopy-forming (Benedetti-Cecchi e Cinelli 1992), cioè che grazie alla struttura tridimensionale del tallo determinano un aumento dell’eterogeneità spaziale, permettendo la formazione di comunità complesse (Benedetti-Cecchi et al. 2001). I talli delle alghe canopy-forming con le loro ramificazioni hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della comunità sottostante, influenzano infatti sia i fattori fisici come luce disponibile (Reed e Foster 1984), grado di essiccamento (McCook e Chapman 1991), idrodinamismo (Fonseca e Koehl 2006), flussi di trasporto e deposizione di particolato sospeso (Airoldi 2003), sia biologici quali tassi di reclutamento e di mortalità post-insediamento di propaguli algali (Brawley e Johnson 1991, Benedetti-Cecchi e Cinelli 1992) e di larve di cirripedi (Connell 1961, Bertness e Leonard 1997, Kordas e Dudgeon 2009), così come la densità e l’efficienza dei predatori (Menge 1978).

C. compressa è molto comune nell’infralitorale roccioso del Mediterraneo, dove forma folte cinture discontinue che possono estendersi dalla zona di marea fino a 2-3 metri di profondità. Il tallo è cespitoso e si attacca al substrato attraverso un piccolo disco basale, le ramificazioni primarie sono carnose ed appiattite, la morfologia del tallo varia stagionalmente (Fig. 2.2.1) ed in relazione all’esposizione al moto ondoso (Gómez Garreta 2002). In particolare l’accrescimento vegetativo avviene nel periodo invernale e primaverile, all’inizio dell’estate le alghe raggiungono la massima complessità morfologica e dopo il periodo riproduttivo i rami più vecchi cadono e i talli riacquisiscono la morfologia iniziale, denominata “a rosetta” (Falace et al. 2005) (Fig. 2.2.2a). Lungo le coste esposte (come il sito di studio), la forma predominante è quella più semplice “a rosetta” (Gómez Garreta 2002), per questo motivo C. compressa nel presente studio non può essere considerata come canopy-forming.

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Figura 2.2.1 – Fasi fenologiche dominanti in C. compressa: a) e b) rappresentano le forme osservate nei

transetti oggetti di studio.

Cystoseira compressa (Esper) Gerloff & Nizamuddin risulta la specie dominante nella fascia intertidale oggetto di studio, sebbene in alcuni transetti condivida il substrato con Cystoseira brachycarpa J.Agardh, è stata inoltre osservata spesso interspersa a Mytilus galloprovincialis Lamarck (Benedetti-Cecchi e Cinelli 1993). Le specie algali associate a C. compressa si distinguono in alghe incrostanti corallinacee, come Lithophyllum orbiculatum (Foslie) Foslie e non corallinacee come Ralfsia sp. e Peyssonnelia sp., e alghe formanti feltri. Queste includono:

• Alghe corallinacee a tallo articolato (“articulated corallines”), come Ellisolandia elongata (J.Ellis & Solander) K.R.Hind & G.W.Saunders, Jania rubens (Linnaeus) J.V. Lamouroux e Jania virgata (Zanardini) Montagne; • Alghe filamentose verdi, Chaetomorpha sp. e Cladophora sp., e filamentose

rosse, Womersleyella setacea (Hollenberg) R.E. Norris, Callithamnion granulatum (Ducluzeau) C.Agardh, Polysiphonia sertularioides (Grateloup) J.Agardh e alghe del genere Ceramium;

• Alghe corticate a tallo ramificato (“coarsely-branched”) come Laurencia obtusa (Hudson) J.V. Lamouroux, Chondria boryana (De Notaris) De Toni, Gastroclonium clavatum (Roth) Ardissone, Hypnea musciformis (Wulfen) J.V. Lamouroux, Vertebrata fruticulosa (Wulfen) Kuntze e alghe del genere Osmundea;

• Alghe a tallo laminare (“thin tubular sheet-like”) come, Dictyota dichotoma (Hudson) J.V.Lamoroux, Dictyopteris polypodioides (A.P. De Candolle) J.V. Lamouroux.

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29 Durante la fase di campionamento sono state osservate anche le specie Padina pavonica (Linnaeus) Thivy, Acetabularia acetabulum (Linnaeus) P.C.Silva e Halimeda tuna (J.Ellis & Solander) J.V.Lamouroux. Gli erbivori più comuni sono rappresentati dalle patelle P. aspera Röding e P. caerulea Linnaeus e da altri gasteropodi come Phorcus turbinatus (Born). Altri invertebrati abbondantemente presenti sono il crostaceo cirripede Chthamalus stellatus Poli, il polichete tubicolo Vermetus triquetrus Bivona-Bernardi e policheti sedentari della famiglia Serpulidae.

2.3 Disegno sperimentale

Lungo la fascia intertidale compresa tra - 20 e + 10 cm rispetto al livello medio di bassa marea, sono stati selezionati 24 transetti (ciascuno costituito da 6 quadrati contigui di 30 x 30 cm), distribuiti lungo la costa per un’estensione di circa 2 Km e ubicati su tratti di costa con una modesta pendenza, separati da tratti con pendenza variabile e pareti verticali.

Dei 24 transetti totali, ne sono stati individuati 21 caratterizzati da una copertura omogenea di C. compressa e 3, al contrario, caratterizzati da una distribuzione spaziale eterogenea a chiazze, verosimilmente in risposta a gradienti idrodinamici che agiscono su piccola scala (Controllo Frammentato). Questi ultimi sono stati selezionati come controlli frammentati naturali per rappresentare adeguatamente all’interno dell’area del singolo transetto una delle possibili distribuzioni spaziali che C. compressa può assumere nel sito di studio. Dei 21 transetti con copertura omogenea di C. compressa, 3 sono stati scelti casualmente come controlli (Controllo Omogeneo), mentre i restanti 18 sono stati ripartiti casualmente tra le seguenti condizioni sperimentali:

• Disturbo: fattore fisso con 3 livelli: Omogeneo, a Gradiente e Localizzato; • Intensità: fattore fisso con due livelli, Alta e Bassa, incrociato con il fattore

Disturbo.

In particolare sono stati assegnati 6 transetti per ciascun livello del fattore Disturbo, di questi, ne sono stati attribuiti 3 ad entrambi i livelli del fattore Intensità (Alta e Bassa): pertanto per ogni combinazione di fattori sono presenti 3 repliche. In conclusione, il disegno sperimentale di questo lavoro è asimmetrico (Fig. 2.3.1).

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Figura 2.3.1 – Disegno di campionamento.

Nella pratica, il disturbo è consistito nella rimozione totale degli organismi dal substrato, mediante l’utilizzo di martello e scalpello, allo scopo di creare aree di roccia nuda di 6 x 6 cm (gap), le quali sono state rese nuovamente disponibili alla colonizzazione di larve e propaguli algali. Il trattamento di disturbo è stato allestito sia ad alta sia a bassa intensità, per un totale di 12 e 24 unità spaziali liberate rispettivamente in ogni transetto sperimentale. Si è scelto di applicare il disturbo a due intensità diverse, perché è ampiamente riconosciuto che la risposta di un sistema al disturbo è influenzata dagli attributi propri del disturbo stesso, quali frequenza, estensione ed intensità (Sousa 1984, Pickett e White 1985).

Per testare le ipotesi in esame, sono state applicate 3 tipologie di disturbo, distribuite spazialmente in modo differente:

• Disturbo Omogeneo: il disturbo è distribuito in modo omogeneo lungo la direzione orizzontale del transetto; durante il trattamento in ognuno dei sei quadrati (30 x 30 cm) che formano il transetto, sono create 2 gap per la Bassa Intensità e 4 gap per Alta Intensità; all’interno di ogni quadrato ogni area ha la stessa probabilità delle altre di diventare una gap (Figura 2.3.2);

• Disturbo a Gradiente: il disturbo è distribuito secondo un gradiente spaziale orizzontale: il numero di gap create nei quadrati diminuisce progressivamente da un lato all’altro del transetto, in particolare sono 6 (3), 6 (3), 4 (2), 4 (2), 2 (1), 2 (1) gap per l’Alta (Bassa) Intensità (Figura 2.3.2). All’interno di ciascun quadrato la posizione delle gap è casuale. Questa condizione permette di esaminare la risposta del popolamento ad eventi di disturbo che agiscono con intensità variabile nello spazio, in questo caso secondo un gradiente orizzontale di intensità, in accordo con la teoria ecologica secondo cui è la variabilità

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31 spaziale dei processi ecologici a generare variabilità nei popolamenti (Menconi et al. 1999);

• Disturbo Localizzato: disturbo che alla prima data di applicazione viene distribuito casualmente e in modo omogeneo, ma alle applicazioni successive interessa uno dei margini delle chiazze disturbate alla precedente data di trattamento, andando così ad allargare le gap create in precedenza. Durante la fase di trattamento all’interno di ciascun quadrato sono state create 4 e 2 gap rispettivamente per l’Alta e la Bassa Intensità (Figura 2.3.2). Tale tipologia di disturbo è motivata dal fatto che nei sistemi in cui è stata osservata la formazione di pattern spaziali autorganizzati, come i letti di mitili studiati da Guichard (2003), i margini delle aree precedentemente disturbate sono risultati maggiormente suscettibili a nuovi eventi di disturbo (Guichard et al. 2003). I processi di auto-organizzazione, infatti, possono essere generati da dinamiche di disturbo e recupero, in cui il disturbo agisce a scala locale, diffondendo da siti precedentemente disturbati verso quelli circostanti (Rietkerk e van de Koppel 2008). Mediante questa tipologia di disturbo vengono così simulati soltanto processi che agiscono a piccola scala spaziale, mentre non sono imposti processi in grado di generare variabilità a grande scala; qualora i processi di auto-organizzazione spaziale siano importanti in questo sistema, si osserveranno modalità di distribuzione a scale spaziali più ampie, riconducibili a quelle osservate nei transetti naturalmente frammentati.

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Figura 2.3.2 – Tipologie di disturbo applicate. In nero ed in grigio sono indicate le aree trattate, rispettivamente

alla prima e alla seconda data di trattamento.

L’esperimento permetterà di valutare le seguenti ipotesi:

1) Le modalità di distribuzione spaziale e di abbondanza di C. compressa e delle specie associate differiranno tra transetti perturbati, esse divergeranno da quelle dei transetti di controllo omogeneo e convergeranno verso quelle dei transetti naturalmente frammentati in base alla prevalenza dei processi esogeni o di quelli endogeni;

2) Se prevarranno i processi esogeni saranno i popolamenti dei transetti assegnati alla condizione di Disturbo a Gradiente a diventare più simili ai controlli naturalmente frammentati;

3) Se prevarranno i processi endogeni saranno i transetti assegnati alla condizione di Disturbo Omogeneo a diventare più simili a quelli dei controlli frammentati;

(33)

33 4) Se i processi esogeni e/o quelli endogeni operano con intensità diverse, vi sarà

una interazione fra il fattore Disturbo e il fattore Intensità.

2.4 Raccolta dei dati

I dati di abbondanza del popolamento algale e della fauna associata sono stati acquisiti a elevata risoluzione spaziale, mediante campionamento visivo, in 2 date di campionamento scelte in modo casuale dopo circa 4 mesi dalla data di applicazione di ciascun trattamento. Il campionamento è stato effettuato utilizzando quadrati 30 x 30 cm suddivisi al loro interno in 25 sub-quadrati di 6 x 6 cm. L’abbondanza delle specie algali e degli invertebrati sessili è stata stimata assegnando un punteggio di copertura del substrato da 0 (assenza del taxon) a 4 (copertura totale) per ogni taxon individuato in ciascun sub-quadrato. L’abbondanza degli invertebrati mobili è stata invece espressa come numero di individui per sub-quadrato. Gli organismi sono stati identificati al livello tassonomico più dettagliato possibile sul campo; i taxa che non è stato possibile identificare a livello di specie o genere sono stati raggruppati in gruppi morfologici (Steneck et al. 1994).

2.5 Analisi statistiche dei dati

Le analisi statistiche dei dati si sono concentrate su C. compressa e feltro algale (turf). Con il termine turf si fa riferimento ad un insieme di specie algali i cui talli formano complessivamente un sottile strato, spesso in grado di intrappolare sedimenti (Connell et al. 2014). Nel popolamento oggetto di studio il feltro algale è costituito da specie appartenenti a diversi gruppi morfologici quali: alghe corallinacee a tallo articolato, alghe filamentose, alghe corticate a tallo ramificato e alghe a tallo laminare.

2.5.1 Dati di copertura

Differenze nella copertura di C. compressa e feltri algali (espresse come valore medio lungo l’asse orizzontale del transetto) sono state valutate mediante l’utilizzo dei Linear Mixed-Effect Models (Singer e Willett 2009). La parte fissa del modello ha incluso la condizione sperimentale che si compone di otto livelli: Controllo Omogeneo, Controllo

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