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Le Multinazionali dei mercati emergenti alla conquista dei trademark nord-americani: Che ruolo gioca la reputazione?

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MARKETING E

RICERCHE DI MERCATO

TESI DI LAUREA

Le Multinazionali dei mercati emergenti alla

conquista dei trademark nord-americani: Che ruolo

gioca la reputazione?

Candidato:

Veronica Gronchi

Relatore:

Controrelatore:

Prof.ess Elisa Giuliani

Prof.essa Antonella Angelini

Anno accademico 2017/2018

(2)

INDICE

I INTRODUZIONE ... 4

II TEORIA ... 7

2.1 I PAESI EMERGENTI ... 7

2.2 COME LE IMPRESE EMERGENTI POSSONO COSTRUIRE UN BRAND GLOBALE ... 12

2.2.1 ACQUISIZIONE DEL BRAND: APPROFONDIMENTO ... 14

2.3 REPUTAZIONE AZIENDALE ... 19

III METODOLOGIA ... 26

3.1 PROGETTO DI RICERCA ... 26

3.1.1 VARIABILI ... 28

3.3 VARIABILE DI REPUTAZIONE ... 30

3.3.1 LIWC - INQUIRY AND WORD COUNT ... 30

3.3.2 COSTRUZIONE VARIABILE DI REPUTAZIONE ... 33

3.2.3 VARIABILI DI REPUTAZIONE ... 39

3.3 REGRESSIONI ... 39

IV RISULTATI ... 41

4.1 DESCRIZIONE DATASET ... 41

4.2 RELAZIONI TRA VARIABILI DI REPUTAZIONE ... 43

4.3 ANALISI DESCRITTIVA VARIABILI DI REPUTAZIONE ... 49

4.3.1 ANALISI TEMPORALE ... 49

4.3.2 ANALISI SETTORIALE ... 54

4.3.3 ANALISI PER PAESE ... 58

4.4 REGRESSIONI ... 64 4.5 INTERAZIONI ... 66 4.5.1 NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE ... 67 4.5.2 TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE ... 74 4.5.3 TRADEMARK_AGE ... 80 4.5.4 TRADEMARK_BREADTH ... 86 V CONCLUSIONI ... 92 VI SITOGRAFIA ... 97 APPENDICE ... 98

(3)

INDICE FIGURE E TABELLE

Grafico n 1 – Crescita del PIL 2010-2015 ... 8

Grafico n. 2 – Investimenti diretti esteri, OECD e paesi emergenti ... 9

Figura n. 1 – Research question ... 27

Tabella n. 1 – Correlazione variabili per componenti principali ... 35

Tabella n. 4 – Correlazione variabili e componenti principali ... 37

Grafico n. 3 – Analisi componenti principali ... 38

Figura n. 2 – Interazione variabili indipendenti, dipendenti e variabili di reputazione 40 Grafico n. 4 – Numero di assegnazioni per anni e tipo ... 41

Table n. 5 – Distribuzioni delle riassegnazioni per paese di origine ... 42

Tabella n. 6 – Distribuzioni delle riassegnazioni per settori acquirenti ... 43

Tabella 7 – Correlazione GOOD_REPUTATION – BAD_REPUTATION ... 43

Grafico n. 5 – Scatterplot GOOD_REPUTATION BAD_REPUTATION ... 44

Tabella n. 8 – Correlazione GOOD_REPUTATION RECOGNITION_REPUTATION ... 44

Grafico n. 6 – Scatterplot GOOD_REPUTATION RECOGNITION_REPUTATION 45 Tabella n. 9 – Correlazione BAD_REPUTATION RECOGNITION_REPUTATION . 45 Grafico n. 7 – Scatterplot BAD_REPUTATION RECOGNITION_REPUTATION ... 46

Tabella n. 10 – Correlazione GOOD_REPUTATION EMOTIONAL_REPUTATION46 Tabella n. 11 – Correlazione BAD_REPUTATION EMOTIONAL_REPUTATION ... 46

Grafico n. 8 – Scatterplot GOOD_REPUTATION EMOTIONAL_REPUTATION ... 47

Grafico n. 9 – Scatterplot BAD_REPUTATION WORRYSIME_REPUTATION ... 48

Tabella n. 12 – Correlazione EMOTIONAL_REPUTATION RECOGNITION_REPUTATION ... 48

Grafico n. 11 – Line YEAR VARIABILI DI REPUTAZIONE ... 50

Grafico n. 12 – Line YEAR GOOD_REPUTATION BAD_REPUTATION ... 52

Grafico n. 13 – Line YEAR RECOGNITION_REPUTATION ... 53

Grafico n. 14 – Line YEAR EMOTIONAL_REPUTATION ... 54

Grafico n 15. – Bar SECTOR YEAR GOOD_REPUTATION ... 55

Grafico n. 16 – Bar SECTOR YEAR BAD_REPUTATION ... 56

Grafico n. 17 – Bar SECTOR YEAR RECOGNITION_REPUTATION ... 57

Grafico n. 18 – Bar SECTOR YEAR EMOTIONAL_REPUTATION ... 57

Grafico n. 19 – Bar COUNTRIES GOOD_REPUTATION ... 59

Grafico n. 20 – Bar COUNTRIES YEAR BAD_REPUTATION ... 60

(4)

Grafico n. 22 – Bar COUNTRIES YEAR EMOTIONAL_REPUTATION ... 63

Tabella n. 13 – Regressioni valori di controllo e variabili indipendenti con NUM_TRAD_AFTER_SAMECLASS ... 64

Grafico n. 24 –Marginplot NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE GOOD_REPUTATION ... 67

Grafico n. 24 –Contourplot NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE BAD_REPUTATION ... 69

Grafico n. 25 –Marginplot NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE GOOD_REPUTATION ... 69

Grafico n. 27 –Marginplot NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE GOOD_REPUTATION ... 70

4.5.2 TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE ... 74

Grafico n. 30 –Contourplot TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE GOOD_REPUTATION ... 74

Grafico n. 31 –Marginplot TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE GOOD_REPUTATION ... 74

Grafico n. 32 –Contourplot TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE BAD_REPUTATION ... 76

Grafico n. 38 –Contourplot TRADEMARK_AGE GOOD_REPUTATION ... 80

Grafico n. 39 –Marginplot TRADEMARK_AGE GOOD_REPUTATION ... 80

Grafico n. 40 –Contourplot TRADEMARK_AGE BAD_REPUTATION ... 81

Grafico n. 41 – Marginplot TRADEMARK_AGE BAD_REPUTATION ... 81

Grafico n. 42 –Contourplot TRADEMARK_AGE RECOGNITION_REPUTATION . 83 Grafico n. 43 - Marginplot TRADEMARK_AGE RECOGNITION_REPUTATION .. 83

Grafico n. 44 –Contourplot TRADEMARK_AGE EMOTIONAL_REPUTATION ... 84

Grafico n. 45 –Marginplot TRADEMARK_AGE EMOTIONAL_REPUTATION ... 84

Grafico n. 46 – Contourplot TRADEMARK_BREADTH GOOD_REPUTATION ... 86

Grafico n. 47 – Marginplot TRADEMARK_BREADTH GOOD_REPUTATION ... 86

Grafico n. 48 – Contourplot TRADEMARK_BREADTH BAD_REPUTATION ... 88

Grafico n. 49 – Marginplot TRADEMARK_BREADTH BAD_REPUTATION ... 88

Grafico n. 50 – Contourplot TRADEMARK_BREADTH RECOGNITION_REPUTATION ... 89

Grafico n. 51 – Marginplot TRADEMARK_BREADTH RECOGNITION_REPUTATION ... 89

Grafico n. 52 – Contourplot TRADEMARK_BREADTH EMOTIONAL_REPUTATION ... 90

Grafico n. 53 – Marginplot TRADEMARK_BREADTH EMOTIONAL_REPUTATION ... 90

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I

INTRODUZIONE

L'espansione all'estero delle multinazionali emergenti negli ultimi anni è stata altissima: circa il 20% dei flussi di investimento globali verso l'esterno oggi è rappresentato da un gruppo di 20 principali economie emergenti, quando all’inizio

del secolo essi costituivano all’incirca il 2%1.

Nonostante la crescita, solo un numero limitato di aziende emergenti possiede dei brand conosciuti a livello globale, per esempio nel Ranking Interbrand 2017 solo due aziende emergenti sono state citate: Huawei e Lenovo. Eppure il fenomeno è presente e non trascurabile: queste imprese si stanno inserendo nei mercati sviluppati, che hanno già delle proprie multinazionali con ampie fette di mercato e molti vantaggi competitivi. Le modalità di entrata sono diverse: Huawei si è inserita nei mercati avanzati attraverso una strategica Bussiness to business, per poi passare a quella Business to consumer ed espandersi in molti altri settori; altre aziende come Havaianas hanno sfruttato le proprie risorse culturali e altri il fenomeno della diaspora, la cui strategia si basa sull’offrire alle persone emigrare in altri paesi lo stesso servizio del paese di origine, per poi diffondere il proprio prodotto anche agli altri consumatori, come i cinema Reliance Big dell’India.

Fra i vari metodi, quello che più ci interessa ai fini dell’analisi è l’acquisizione di brand di aziende sviluppate, da parte di aziende di paesi emergenti.

Acquistare un brand di un paese sviluppato può portare a un miglioramento della reputazione di queste imprese, che è particolarmente importante cisto che la reputazione, se buona, costituisce un vero e proprio vantaggio competitivo.

1 L. Casanova, A. Miroux 2016, The rise of emerging market multinationals: this is how they can become

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La fiducia che i consumatori ripongono in un brand influisce sull’equilibrio economico dell’azienda, ma molto spesso i consumatori dei paesi avanzati tendono avere dei forti preconcetti.

Infatti, è di particolare interesse capire se strategie di branding precedenti, o l’esperienza precedente nel mercato statunitense, o la qualità del brand acquisito ha un effetto sulla registrazione di nuovi marchi.

Fra i vari fattori che influenzano la presentazione di nuovi trademark, ci chiediamo che ruolo giochi la reputazione e in particolare:

• Che effetto ha la reputazione dell’impresa sulla relazione tra l’esperienza precedente sul mercato e l’attivitá di branding successiva all’acquisizione di un trademark?

• Che effetto ha la reputazione dell’impresa sulla relazione tra il valore del trademark acquisito e l’attivitá di branding successiva all’acquisizione di un trademark?

Per rispondere a queste domande, abbiamo utilizzato un dataset di imprese emergenti, provenienti da diversi paesi, settori e in un arco temporale che va dal 1981 al 2015. Abbiamo creato delle variabili di reputazione, analizzando degli articoli e calcolando il numero di parole positive, negative, il tono emozionale, i pensieri analitici, l’autenticità e la competenza, attraverso il software di analisi del testo LIWC2015. Ricavate quattro variabili di reputazione (una di buona reputazione, una di cattiva reputazione, una di riconoscimento dell’azienda sul mercato e infine una relativa all’emozione che le aziende generano), abbiamo osservato come esse regolassero la relazione tra il numero di trademark attesi, dopo l’acquisizione di un marchio di un’azienda sviluppata e le variabili indipendenti, che sono:

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• Il numero di Nice class ricoperte dai trademark del portfolio dell’azienda acquirente (che ha un effetto positivo sulla variabile dipendente);

• Il tempo trascorso dal primo trademark presentato dall’azienda, al tempo di riassegnazione del trademark acquistato (che ha un effetto negativo sulla variabile dipendente);

• L’età del trademark acquistato, ovvero dal tempo in cui è stato presentato al momento della riassegnazione (che ha un effetto negativo sulla variabile dipendente);

• Il numero delle Nice class coperte dal trademark acquistato (che ha un effetto positivo sulla variabile dipendente).

L’interazione delle variabili di reputazione è stata positiva, anche se talvolta non significativa e quello che è emerso è che le imprese che hanno una buona conoscenza del mercato e dei trademark già consolidati non sono influenzate dalla reputazione, per la costituzione di nuovi trademark. Se invece le aziende non hanno un portfolio ricco e trademark relativamente giovani, la buona reputazione li spinge a creare e registrare nuovi marchi.

La reputazione non ha un effetto significativo nemmeno se il marchio acquisito è ben consolidato, mentre se esso ricopre un numero alto di Nice class, e quindi è molto ampio, la reputazione ha un effetto positivo e più l’azienda sarà apprezzata, maggiore sarà il numero di trademark attesi.

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II TEORIA

In questo capitolo introdurremo il contesto della nostra analisi presentando un breve excursus sui paesi emergenti, su come sono riusciti a superare le difficoltà e ad affermarsi, su quali sono stati i punti di forza e di debolezza sul cammino per riuscire a confrontarsi e anche a diventare delle vere e proprie potenze mondiali.

2.1 I PAESI EMERGENTI

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un cambiamento dell’economia mondiale. All’incirca un secolo fa era possibile fare una netta distinzione tra i Paesi sviluppati e quelli sotto-sviluppati, i primi definiti come Stati con economie avanzate, elevati redditi pro-capite e un alto indice di sviluppo umano; i secondi come Stati più poveri ed economicamente più deboli, con gravi problemi economici, istituzionali e di risorse umane, nonché gravati spesso da handicap geografici e da disastri naturali o

umani2.

Negli ultimi decenni la divergenza che si era creata, quando le grandi economie avevano fatto un balzo in avanti rispetto al resto del mondo in termini di potere e ricchezza, con il boom economico scoppiato dopo gli anni della seconda guerra mondiale, si è invertita rapidamente. I tassi di crescita dei paesi sviluppati stanno lentamente decrescendo, mentre, si stanno facendo avanti quelli che sono comunemente chiamati i paesi emergenti. Essi sono definiti come paesi meno prosperi della media mondiale (dove per 'media' si intende quella influenzata dalla prosperità del blocco dei paesi più ricchi), ma che aspirano a convergere verso uno

status superiore, da paese sviluppato3. Il loro impatto a livello mondiale è talmente

alto che è stato coniato un nome per unire sotto un’unica denominazione i principali

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Paesi emergenti che grazie all’influente crescita sembrano destinati a dominare il commercio mondiale nei prossimi anni: BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). Oltre a questi appena nominati anche altri paesi stanno prendendo sempre più campo sullo scenario mondiale: Indonesia, Malaysia, Vietnam, Messico, solo per dirne alcuni.

La crescita dei paesi emergenti è caratterizzata principalmente da un aumento del PIl. In questo grafico possiamo vedere l’andamento del PIL dagli anni 2010 al 2015 delle principali economie mondiali (58 economie che rappresentano circa l’89% del PIL globale), sia di paesi sviluppati, sia di paesi emergenti e con un focus particolare sui BRICS.

Grafico n 1 – Crescita del PIL 2010-2015

Economist (2016)

Come possiamo vedere dal 2010 la maggior parte del PIL a livello globale proviene dai paese emergenti, in particolare dai Brics, questo ci può dare un’idea della crescita di questi paesi, considerati fino a pochi decenni prima paesi sottosviluppati. Andando avanti negli anni, vediamo una diminuzione generale del PIL, la crisi ha avuto un

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effetto negativo a livello globale, ma ha sicuramente avuto più ripercussioni sui paesi sviluppati.

Per avere una più chiara idea della crescita di questi paesi analizziamo l’evoluzione degli investimenti diretti esteri (IDE):

Grafico n. 2 – Investimenti diretti esteri, OECD e paesi emergenti

OECD

Possiamo vedere come gli IDE per il periodo dal 2001-2004 fossero solo una prerogativa dei paesi dell’Organisation for Economic Co-operation and Development

(OECD)4, mentre dagli anni 2005 diventano sostanziosi anche nei paesi del BRICS,

per poi essere sempre più importanti negli anni 2008-2011. L’unica inversione di rotta si registra per il Brasile, che probabilmente risentirà della crisi interna che stava vivendo in quegli anni.

L'espansione all'estero delle multinazionali emergenti come abbiamo potuto constatare è stata esponenziale: ad esempio, circa il 20% dei flussi di investimento globale verso l'esterno oggi è rappresentato da un gruppo di 20 principali economie emergenti, all’inizio del secolo era all’incirca del 2%. Non solo le multinazionali dei

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mercati emergenti hanno aumentato significativamente i loro investimenti all'estero; ma hanno anche fatto significativi progressi nel mondo aziendale globale. Circa il 30% delle aziende incluse nell'elenco Fortune Global 500 (basato sui ricavi) sono imprese dei mercati emergenti; dieci anni fa erano meno del 10%. La Cina è al primo posto fra le imprese emergenti: con 98 società. Si è classificata nel 2015 seconda in termini di numero di aziende Fortune 500 - non così lontana dagli Stati Uniti (128) e molto più del numero della terza, il Giappone (54). Tuttavia, una vasta gamma di economie emergenti sono citate: Corea, India, Brasile, Russia, Messico e Indonesia5.

La situazione iniziale di questi paesi, infatti, mostrava molti punti in comune6:

● Erano pochissimi i mercati aperti all’estero e c’era un alto numero di restrizioni e controlli;

● L’instabilità politica dei paesi non consentiva neanche di avere una stabilità economica e la corruzione, non permetteva lo sviluppo;

● C’erano problemi di liquidità del mercato e di corporate governance; ● Il consumatore medio aveva limitate disponibilità di spesa;

● I mezzi di trasporto e di comunicazione (telefono, e-mail) erano molto più arretrati.

● Le economie delle aziende emergenti si basavano soprattutto sulle materie prime. Essendo paesi molto vasti, ne avevano una grande disponibilità e non essendo ancora sviluppate da un punto di vista tecnologico e delle infrastrutture si limitavano a esportarle all’estero, invece investire nel loro stesso paese per lavorarle e vendere un prodotto finito.

5 L. Casanova, A. Miroux 2016, The rise of emerging market multinationals: this is how they can become

global industry leaders.

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Tuttavia si può dire che i periodi di crisi portano a dei cambiamenti, talvolta necessari.

La richiesta sempre più forte di materie prime, di cui questi paesi sono ricchi, ha alzato il prezzo di quest’ultime e da qui è iniziata la crescita economica e lo sviluppo, che è continuato ad aumentare grazie anche al fenomeno della globalizzazione. Questa ha sicuramente giocato un ruolo positivo per la crescita dei paesi emergenti, perché ha facilitato le loro esportazioni e il loro inserimento nella catena globale del valore. Oltre a questi fenomeni principali, altri sono stati i fattori che hanno garantito un balzo in avanti:

1. Le grandi dimensioni del mercato locale e quindi una rapida crescita della domanda interna, ha fatto sì che le imprese locali potessero raggiungere velocemente grandi dimensioni (lo possiamo notare soprattutto nelle telecomunicazioni e nei trasporti);

2. Il basso costo delle materie prime e soprattutto quello del lavoro ha reso accessibili a tutti i consumatori i prodotti e servizi, battendo i rivali sul mercato locale;

3. Gli investimenti diretti esteri da paesi avanzati in entrata hanno esposto le imprese locali al confronto, migliorandone la performance e il contesto locale.

Nonostante le comuni ambizioni e i vari punti d’incontro, i mercati emergenti non sono omogenei. La Cina per esempio ha avuto un forte slancio per le sue dimensioni, per la sua situazione demografica, per l’accesso al capitale statale e per il peso e l’apertura dell’economia. Quello che è più importante sottolineare è l’impegno da parte del governo, che in maniera diretta o indiretta ha dato una forte spinta alle

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2.2 COME LE IMPRESE EMERGENTI POSSONO COSTRUIRE UN BRAND GLOBALE

Ci sono diversi modi con cui un’impresa emergente può costruire un brand globale e connettersi con i consumatori di tutto il mondo. Il libro “BRAND BREAKOUT. HOW EMERGING MARKET BRANDS WILL GO GLOBAL” (N. Kumar, J. Steenkamp, 2015) li illustra e noi li riportiamo con una breve descrizione, tenendo conto che comunque non sono metodi infallibili e che ovviamente ci sono molte variabili che possono influenzare la buona riuscita del progetto. Porremo poi particolare attenzione sui metodi esaminati nella nostra analisi.

LA TARTARUGA ASIATICA

In questa strategia si crea un ponte nei paesi sviluppati, vendendo un prodotto a basso prezzo a una nicchia di consumatori. Una volta conquistata una parte del mercato si incrementa la qualità del prodotto e il prezzo creando una versione leggermente più alta e attaccando il segmento immediatamente successivo. Si procede con questa tecnica e si avanza fino a quando non si è raggiunta una posizione dominante di mercato, comprendente tutto il range di qualità/prezzo.

DALLE IMPRESE AI CONSUMATORI

Prima gli investimenti business to business (B2B) erano la base per le imprese dei paesi emergenti, si vendevano i prodotti ad altre imprese dei mercati avanzati, che a loro volta le vendevano ai consumatori. Nel corso del tempo, la maggior parte di queste imprese, una volta conosciuto il mercato e capito i meccanismi che lo regolavano, ha abbandonato la logica B2B, per quella business to consumer (B2C). I prodotti di queste aziende sono diventati dei veri e propri marchi per i consumatori, andando anche a colpire nelle adiacenti categorie di prodotto o nelle economie con

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un più alto valore aggiunto. Per esempio, Huawei che è la più grande rete di telefonia mobile davanti a pilastri come Ericsson, Nokia Networks, Siemens e Motorola è entrata anche nel business dei portatili, diventando uno tra i primi dieci produttori mondiali.

LA DIASPORA

Il principio è quello di sfruttare i nuovi flussi di persone che hanno attraversato il confine e che vivono fuori del loro paese di origine. Molti migranti mantengono la preferenza per i loro brand e hanno determinati modelli di consumo. Ci sono molti esempi che possiamo fare di successi nell’internalizzazione, che grazie al metodo della diaspora si sono creati un loro mercato all’estero: i cinema Reliance Big dell’India, Maybank Islamic del Malaysia e Pran del Bangladesh per citarli alcuni. Altre aziende hanno usato la diaspora come ponte per rendere il loro brand mainstream nei paesi sviluppati.

ACQUISIZIONE DEL BRAND

Il principio è di espandersi rapidamente e aggressivamente nei territori dei paesi sviluppati, acquisendo risorse da multinazionali già mature in questi territori. Molte acquisizioni non solo assicurano marchi e canali di accesso, ma anticipano mosse simili dai competitors.

LE RISORSE CULTURALI

Talvolta per una particolare categoria di prodotto ci può essere una associazione positiva dei consumatori tra il prodotto e l’azienda del paese emergente, come le Havaianas del Brasile, lo yoga dall’India, o la seta dalla Cina. Il principio su cui si basa questa idea è che il paese emergente abbia degli attributi specifici che vanno a

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LE RISORSE NATURALI

Le risorse naturali solitamente sono vendute come merci. Intendere le risorse naturali come un brand può essere considerato un ossimoro, ma ne sono esempio molte imprese: Premier (Israel), Forevermark (South Africa), Natura (brasil), etc.

I CAMPIONI NAZIONALI

In ultima istanza analizziamo le imprese dei paesi emergenti che possono contare sul sostanziale aiuto delle Stato. Queste risorse e protezioni sono usate per dominare nel mercato domestico e per poi espandersi sul mercato globale. Successivamente, dopo un primo periodo di sostentamento, lo Stato lascia l’impresa alla gestione privata. 2.2.1 ACQUISIZIONE DEL BRAND: APPROFONDIMENTO

Nonostante lo sviluppo economico di queste economie e l’aumento del numero delle imprese emergenti a livello globale (399 secondo il Global Fortune 2000), il numero dei brand globali da paesi emergenti è molto limitato (nel ranking 2017 di Interbrand Breakthrough Brands, solo due brand di aziende emergenti sono citati: Lenovo e Huawei). Non solo i brand cinesi (come quelli di altre imprese emergenti) non sono molto conosciuti, ma i loro beni sono percepiti di scarsa qualità e prodotti da aziende poco etiche nei confronti dei lavoratori e senza una coscienza ambientale.

La domanda che quindi ci dobbiamo porre è come queste imprese possono sopperire a questa visione che i paesi sviluppati hanno di loro e dei loro prodotti? Vendere un prodotto con il proprio marchio in un mercato sviluppato, vuol dire vendere il proprio brand, che deve essere valido e affidabile. Questo è un processo molto costoso per un’impresa di un paese emergente: accedere alla fiducia dei consumatori significa avere un sofisticato sistema di distribuzione e comunicazione nel paese ospitante.

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Oltre alle varie strategie presentate nella sezione precedente, le imprese emergenti possono acquisire brand stranieri ed utilizzarli per fronteggiare la mancanza di fiducia da parte dei consumatori dei paesi avanzati.

Quando si parla di acquisizione di un brand, un’azienda può agire in due modi: o acquisire direttamente il brand, o acquisire un’altra azienda e di conseguenza i relativi brand.

Per quanto questa strategia possa sembrare di più facile attuazione e soprattutto più

veloce, ha anche dei lati negativi. Durante la fase di post-acquisizione, gli studiosi

hanno notato che i manager possono essere stressati dall'urgenza di dimostrare che l'acquisizione ha avuto successo, privilegiando gli investimenti più propensi a portare ricompense a breve termine, evitando investimenti rischiosi e incerti a lungo termine in aree più strategiche come innovazione (Valentini, 2012).

Inoltre possono sentirsi sotto pressione in quanto ci deve essere una riorganizzazione delle attività che può portare a una riduzione del personale, di conseguenza anche i dipendenti possono essere demoralizzati.

Secondo la letteratura aziendale internazionale, la distanza culturale organizzativa tra le imprese (cioè nelle credenze, nei valori e nelle pratiche) può ostacolare

l'integrazione post-acquisizione (Sarala e Vaara, 2010), forse impedendo lo sviluppo di un'identità condivisa (Morosini et al., 1998 ; Birkinshaw et al., 2000).

Si evidenziano diversi ostacoli allo scambio di conoscenze e all'acquisizione di capacità innovative, comprese le questioni relative alla fiducia, alla protezione dei diritti di proprietà e ai modelli di comunicazione sfavorevoli. Ci sono prove del 'protezionismo della conoscenza' manifestato dai dirigenti delle filiali acquisite: riluttanza tra i dirigenti delle aziende acquisite a trasferire le loro conoscenze alle

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multinazionali emergenti acquisenti, menzionando spesso la restrizione del diritto dei diritti di proprietà intellettuale del paese ospitante come giustificazione7.

Ma come mai questi giganti dei mercati emergenti utilizzano questo approccio e come hanno iniziato?

Il driver principale è stata la crescita economica. Imprese di economie in rapido sviluppo, specialmente in Cina e India, sono cresciute a tassi mai visti prima. L’incremento della domanda in questi enormi paesi ha alzato il prezzo delle risorse naturali. Dal conseguente boom delle risorse naturali hanno beneficiato soprattutto altre economie – Brasile, Russia, Indonesia e altri paesi che sono ricchi di risorse minerarie, petrolio o nella produzione agricola. Da questo punto di vista, le imprese dei paesi emergenti hanno avuto un’ampia crescita, profitti più alti e cash flow positivi.

La recessione che ha colpito l’Europa, gli Stati Uniti e gli altri paesi avanzati ha facilitato queste acquisizioni, perché il prezzo delle attività si è notevolmente abbassato, soprattutto con l’avvento del nuovo millennio.

Le imprese americane ed europee, inibite dalla lenta crescita del mercato locale, acquisiscono le rivali principalmente per diventare più grandi e per sfruttare le economie di scala. Dopo ogni fusione l’esecutivo identifica le sinergie, crea un processo efficiente e riduce l’organico per diminuire i costi e aumentare i margini. Dall’altro lato, i giganti emergenti vogliono principalmente asset strategici quali:

7 E. Giuliani; V. Amendolagine, A. Martinelli; R. Rabellotti (2017). Chinese and Indian MNE’s

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competenze tecnologiche, prodotti, brand (e il relativo trademark8), network o capacità come nuovi modelli di business e tecniche innovative.

Come sostenuto finora i Paesi emergenti hanno investito in quelli sviluppati al fine di imparare da loro e di colmare quelle mancanze in termine di risorse sia tangibili che intangibili. Il trademark segno grafico del Brand, può essere interpretato come facente parte delle risorse intangibili dell’azienda. Il fatto di acquistare dei marchi già consolidati, con una forte impronta e con un’identità, permette ai suoi acquirenti di sfruttare la buona reputazione del Brand stesso.

Questi meccanismi in questi anni sono stati molto diffusi e in diversi casi hanno avuto molto successo, possiamo fare l’esempio di Jaguar e Land Rover dall’azienda cinese Tata Motors nel 2008, Volvo da Geely Automobile nel 2010, Pirelli da ChemChina nel 2015, etc.

La filosofia e le competenze del Branding si stanno lentamente diffondendo nelle imprese dei paesi emergenti, specialmente in Cina. Le imprese stanno iniziando a fare accordi con organizzazioni/aziende dei paesi sviluppati per avere una maggiore rete marketing anche all’estero. Ad esempio l’impresa cinese Haier ha fatto un accordo con l’Associazione Nazionale di Basket degli Stati Uniti, dimostrando che vuole investire nella costruzione del proprio brand all’estero e nelle comunicazioni con i consumatori. Anche Lenovo ha firmato un accordo con Hollywood, infatti, nel famoso film Trasformer 3 un piccolo robot si trasforma in un Lenovo ThinkPad Edge computer.

8 The American Marketing Association (1960) definisce i trademark con un “nome, termine, segno, simboli, disegno o combinazioni di questi, destinati a identificare merci o servizi, di un venditore o di un gruppo di venditori e a differenziare loro da altri competitors”. Il termine “trademark” è usato per

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Nelle acquisizioni finalizzate alle acquisizioni di brand è importante notare se l’azienda mantiene il brand acquisito separato dal suo portfolio, o lo unisce ad esso. Nella maggior parte dei casi si mantiene l’acquisizione separata così da conservare i suoi punti di forza: l’unicità, la posizione sul mercato e la sua associazione con il mondo sviluppato. Il brand acquisito rimane autonomo quando, comparato ai brand degli acquirenti:

● È forte in diverse regioni e canali;

● Raggiunge differenti segmenti di consumatori; ● Ha un'unica brand immagine e una eredità distintiva; ● Ha già una propria posizione e un proprio prezzo; ● Ha pochi prodotti “sostituti”.

Se la strategia di post-acquisizione è di mantenere il brand acquisito come parte del proprio portfolio, l’impresa acquirente deve sviluppare una strategia per farlo crescere e gestire le sinergie senza perdere la sua posizione distintiva.

Mentre se la strategia successiva all’acquisizione è di fare una fusione tra i brand esistenti e quelli acquisiti, l’impresa acquirente deve decidere quale vuole cancellare e come gestire il processo di migrazione, senza perdere i già esistenti consumatori del brand cancellato. Questa strategia, però, è valida se:

1. L’azienda acquirente ha un controllo considerevole, perché i clienti si trovano in una sostanziale situazione di abbandono.

2. L’acquirente crede che il suo brand sia più forte di quello acquistato dal paese avanzato.

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3. L'accordo di acquisizione o una decisione strategica impone l'interruzione del marchio acquisito e una migrazione della propria attività al marchio acquirente.

In definitiva i giganti dei mercati emergenti acquistano le imprese dei mercati avanzati per le loro complementari capacità e per i brand. L’acquisto dei brand porta dei benefit che altrimenti prenderebbero molto tempo e che non potrebbero garantire gli stessi risultati. Fra questi benefit abbiamo:

● Una brand reputation a livello globale;

● Una rete di distribuzione in un mercato già sviluppato; ● Innovazioni e prodotti;

● Sistemi e management globali.

Fra questi benefit, quello che ci interessa di più ai fini dell’analisi è il primo: la reputazione dell’azienda.

2.3 REPUTAZIONE AZIENDALE

Non esiste un’unica definizione di reputazione aziendale, questo è un concetto che per le ultime due decadi ha interessato gli studiosi del marketing, creando diverse scuole di pensiero e dibattiti approfonditi sul significato e sull’influenza delle reputazione. Nonostante l’incredibile numero di studi pubblicati in questa area, non si è ancora arrivati a una definizione univoca, sebbene molti accettino quella definita dal Webster's Revised Unabridged Dictionary (1913): “ la stima in cui si è tenuti; carattere nell'opinione pubblica; il personaggio da attribuire a una persona, una cosa o un'azione; reputazione”.

Il concetto di reputazione però, è dinamico e soprattutto molto più ampio di quello appena enunciato, è difficile trovare un accordo tra i vari studiosi, ma si può

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● La reputazione aziendale può influenzare le immagini quotidiane di un'impresa da parte degli stakeholder (Barich e Kotler, 1991; Mason, 1993); ● Esiste una classifica percepita dalla società in un campo di aziende rivali

(Fombrun, 1996);

● Diverse parti interessate possono avere diverse idee di reputazioni della stessa società in base al proprio background economico, sociale e personale (Bromley, 1993; Fombrun, 1996).

Dati questi punti fermi, si può creare una definizione che li riprenda tutti e che serva da punto fermo nell’analisi.

“Una reputazione aziendale è la valutazione complessiva di un'azienda da parte degli stakeholder nel tempo. Questa valutazione si basa sulle esperienze dirette degli stakeholder con la società, su qualsiasi altra forma di comunicazione e simbolismo che fornisca informazioni sulle azioni dell'impresa e / o un confronto con le azioni di altri principali concorrenti.9

Nella prima parte della nostra definizione si accenna a due concetti fondamentali nello studio della reputazione: gli stakeholder e il tempo.

Infatti, la reputazione è un concetto relazionale, che si costruisce all’interno dell’interazione tra più soggetti; ed è un concetto dinamico, cioè che può cambiare nel tempo e che si modifica secondo il sentito dire e la cultura di un luogo, oltre che dai comportamenti e dai risultati di un’azienda.

Nel modello di Wheeler e Davies (2004), la reputazione, insieme al capitale sociale (Tsai, Goshal, 1998), rappresenta il risultato del valore sostenibile creato dall’impresa e dell’efficacia nella gestione delle relazioni con gli stakeholder. Essa nasce dal complesso dei processi sociali che coinvolgono le imprese e gli stakeholder

9 Manto Gotsi and Alan M. Wilson, 2001, “Corporate reputation: seeking a definition”.

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(Deephouse, 2000), ed evolve attraverso queste stesse interazioni (Dutton, Dukerick, 1991; Fombrun, 1996; Michalisin, Smith, Kline, 1997). Barney (1991) sostiene che la reputazione sia una risorsa difficilmente imitabile dai concorrenti, e quindi strategica, basata su relazioni replicabili in contesti differenti tra l’impresa e i suoi stakeholder. In alcuni casi queste relazioni sono informali e quello che appare è un network sociale complesso e dinamico nel tempo (Dentchev, 2003).

Una buona reputazione supporta il processo di generazione del valore da parte dell’impresa. Sono state sviluppate molte teorie economiche riguardanti la connessione tra la reputazione e il successo dell’azienda, che miravano a dimostrare un legame diretto tra la reputazione aziendale e la creazione di valore economico. Solo successivamente la Resource based theory ha offerto un importante contributo nello spiegare il ruolo ricoperto dalla reputazione nella produzione di valore. Essa la definisce, infatti, come un asset intangibile e strategico che consente all’impresa di generare vantaggi competitivi più creati attraverso le tradizionali strategie di posizionamento (Weigelt, Camerer, 1988; Barney, 1991; Hall, 1993; Amit, Schoemaker, 1993; Michalisin et al., 1997).

La reputazione può essere considerata come una vera e propria risorsa di un’azienda e quando si ha una buona reputazione si è considerati meno rischiosi rispetto a un’impresa che ha le stesse performance finanziaria, ma una reputazione peggiore. Inoltre, è anche vista come uno dei principali vantaggi competitivi di un’azienda in quanto costituisce un elemento non imitabile e che differenzia dai competitors. Questo è importante da sottolineare perché l’azienda gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della propria reputazione, è lei che deve convincere gli stakeholder ha riporre in lei la propria fiducia, attraverso attività di ascolto, di comunicazione informativa, e simbolico-narrativa. Per fare questo deve ricorrere a diversi strumenti:

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1. In primo luogo deve ascoltare e capire le esigenze degli stakeholder, per poterli influenzare e coinvolgere nel proprio network. L’ascolto deve anche riguardare il contesto organizzativo-istituzionale e culturale-sociale in cui si trovano le imprese; il poter capire i bisogni del territorio in cui si vive e poter soddisfare le esigenze, può portare ad una reputazione molto positiva.

2. In secondo luogo, il management deve portare dei risultati reali, riuscire a tradurre quello che ha sentito in veri e propri provvedimenti, creare un’identità chiara e distintiva e avere comportamenti coerenti e responsabili (Invernizzi, 2004). Fombrun et al. (2000) sintetizzano le dimensioni su cui l’impresa può agire nei “six pillars of reputation”: l’appeal emozionale, i prodotti e i servizi, il luogo di lavoro, la performance finanziaria, la visione e la leadership, la responsabilità sociale.

3. In terzo luogo le imprese devono fare degli sforzi strategici in modo da comunicare all’esterno quello che hanno fatto e perché, come gestiscono il loro core business e quale è la loro identità. La comunicazione è un punto fondamentale per la costruzione della reputazione: nel mercato c’è un'asimmetria informativa, i consumatori non sono a conoscenza di quello che avviene all’interno dell’azienda. Per questo l’impresa deve utilizzare la comunicazione come strumento per farsi conoscere e per diffondere le proprie idee e principi. Brucato e Smith (1997) sintetizzano le caratteristiche che la comunicazione deve possedere per supportare e contribuire in modo attivo allo sviluppo della reputazione: affidabile, coerente, chiara, semplice e reperibile.

La reputazione di cui gode un’organizzazione è composta da vari fattori, sia interni che esterni all’azienda, sia a livello di macro, che al livello di micro.

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Innanzitutto il concetto di reputazione è anche influenzato da quelle che sono le altre aziende competitors sul mercato, a seconda del loro livello e della differenza che hanno con queste, si potrà indicare l’organizzazione come migliore o peggiore delle altre. Il risultato delle reazioni positive o meno che gli stakeholder hanno nei riguardi dell’azienda, non è solo dovuto all’organizzazione in se stessa, ma anche alla realtà in cui questa è immessa, che medierà in modo vantaggioso o svantaggioso il pensiero degli stakeholder. Si tratta quindi di dover tener di conto anche di fattori esterni, come il settore in cui si è, o il paese che si rappresenta. Il settore o il paese di provenienza possono avere influenze positive per competenza, tradizione, tensione innovativa e possono avere effetti negativi, come un settore poco performante o una scarsa credibilità del contesto. E’ compito dell’impresa colmare la scarsa conoscenza dei consumatori, dimostrando di essere meritevole di tutt’altro giudizio e che non si deve essere influenzati da stereotipi e preconcetti. Il primo impatto dovuto al contesto deformante ha un’influenza transitoria, che può essere scacciato dall’instaurazione di un rapporto di fiducia che l’impresa costruisce con il proprio stakeholder.

Questo rapporto contribuisce a migliorare la capacità d’interazione dell’impresa rendendola duratura e profittevole, inoltre la fiducia riguarda la credibilità e l’immagine dell’azienda e la reputazione è considerata quel vettore che contiene la fiducia difendendola e definendola. Tuttavia non è così facile accrescere questo livello di fiducia, specialmente per quelle aziende dove il paese di provenienza influisce molto. Il fatto di provenire da paesi che fino a qualche decennio fa non erano sviluppati, abbassa la percezione che i consumatori hanno di loro. Inoltre per entrare nei nuovi mercati esteri, specialmente in mercati sviluppati, essi praticano un prezzo molto basso, e questo denota scarsa qualità.

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Come abbiamo esposto in precedenza sono diverse le opzioni che un’azienda del mercato emergente può adottare, per far fronte a queste influenze negative, ma fra le più efficaci e veloci c’è l’acquisizione del brand.

Quello che ci dobbiamo chiedere è: In che modo un brand può influenzare la reputazione di un’azienda? Innanzitutto è importante sottolineare che il brand è una “promessa” fatta dall’azienda ai propri consumatori, attraverso di esso le persone possono riconoscere l’impresa e avere nei suoi confronti una determinata aspettativa. Il brand distingue l’azienda dai suoi competitors e attribuisce a questa un’identità che essa stessa si è creata. Essa si rivolge indistintamente a tutti gli stakeholder, consumatori, fornitori, azionisti ect, e gioca un ruolo fondamentale nella creazione di un network dell’azienda. Infine, la brand corporation è strettamente interconnessa all’identità e alla reputazione aziendale, la promessa di valore fatta dal management agli stakeholder rende visibile, distintiva e condivisa l’identità dell’azienda, facendo capire i vantaggi che essi possono trarre da quest’ultima. Quando l’azienda riesce a definire e consolidare la propria identità attraverso la diffusione del corporate brand, che ne faccia conoscere e apprezzare i principi e i tratti distintivi e quando l’azienda si dimostra in grado di mantenere le promesse di qualità dei prodotti, eticità, coerenza e responsabilità sociale è qui che si migliora la sua reputazione. Evidenziata quella che è la relazione tra Brand e reputazione, è semplice capire come mai i paesi emergenti, acquistano brand per velocizzare il processo di miglioramento di quest’ultima.

Quando parliamo di brand intendiamo un simbolo associato all’azienda, non un qualcosa di concreto o oggettivo, ma un concetto astratto e dinamico. Il brand è l’identità dell’azienda sul mercato ed è costruito da quest’ultima attraverso la

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comunicazione, la pubblicità e la fidelizzazione della clientela. Evoca sensazioni, emozioni valori l’anima e la personalità dell’azienda, tutto ciò che non è tangibile. Essendo un concetto così astratto, quello che noi analizzeremo nel corso del nostro studio, non è il Brand di un’azienda, ma il trademark. Il Trademark è qualunque simbolo o segno grafico, in grado di rappresentare una marca (Brand).

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III METODOLOGIA

La nostra analisi parte da un progetto di ricerca ‘Emerging market Multinational Enterprises taking over United States trademarks: predating or leveraging?’ guidato dalla Prof.essa Elisa Giuliani, Università di Pisa (Pisa, Italia), dalla Dr.essa Carolina Castaldi, Università Tecnologica di Eindhoven (Eindehoven, Netherlands) e dalla Dr.essa Arianna Martinelli, Instituto di economia della Scuola Superiore di studi universitari e di perfezionamento Sant'Anna (Pisa, Italia). In particolare, lo scopo di questo lavoro è integrare nell’analisi la dimensione reputazione delle imprese emergenti.

3.1 PROGETTO DI RICERCA

Lo studio ha per soggetto le imprese multinazionali dei mercati emergenti e ciò che interessa particolarmente è l’acquisto, da parte di queste aziende, di trademark statunitensi e soprattutto l’effetto che tale acquisto ha sul futuro dell’azienda. Le domande a cui si cerca di rispondere in questo progetto sono:

1. Qual è l'effetto dell'esperienza delle imprese emergenti nel mercato statunitense sullo sviluppo di nuovi marchi?

2. Qual è l'effetto dell'acquisizione di un marchio di fabbrica prezioso sullo sviluppo di nuovi marchi?

3. Qual è l'effetto di una "appropriazione per acquisizione" contro "appropriazione diretta" sullo sviluppo di nuovi marchi?

Una volta risposto a queste domande, lo studio prosegue per cercare di capire se dopo l’acquisto dei trademark, le imprese hanno assunto una maggiore fiducia in loro stesse e conquistato i consumatori tanto da creare dei trademark propri. Le Research question che ci poniamo, quindi, sono:

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1. Come le variabili indipendenti agiscono sulla variabile dipendete?

2. Come le variabili di reputazione moderano il rapporto tra la variabile dipendente e quelle indipendenti?

Figura n. 1 – Research question

Per rispondere a queste domande è stato creato un dataset riguardante l’acquisto di USPTO trademark da parte di multinazionali dei mercati emergenti o delle loro sussidiare dal 1981 al 2016. Per prima cosa sono state selezionate delle imprese dei paesi emergenti elencati nella Global Fortune 2000 (399 imprese focali) e per ognuna di esse sono state trovate tutte le filiali controllate con almeno un marchio USPTO. Dopo un attento lavoro di pulizia (concentratosi soprattutto sulle sussidiare e sulla relativa assegnazione di trademark) il dataset comprendeva 986 riassegnazioni di marchi a società di 8 paesi emergenti sempre tra il 1981 e il 2014. All’interno del dataset sono state poi calcolate delle variabili e le macro categorie a cui appartenevano erano: variabili di controllo dei trademark nella solita Nice class (numero di trademark nel portfolio prima dell’assegnazione nella stessa classe), variabili di controllo dei trademark (numero di trademark nel portfolio prima dell’assegnazione), qualità e caratteristiche del trademark acquisito, potenziali

VARIABILI

INDIPENDENTI DIPENDENTE VARIABILE

Variabile di reputazione

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variabili dipendenti (numero di trademark dopo l’acquisto della stessa classe e non), variabili di controllo dei brevetti, variabili di controllo del gruppo (sussidiarie, sede centrale, risorse, impiegati), variabili sulla Corporate Social Responsibility.

3.1.1 VARIABILI

VARIABILE DIPENDENTE

Numero di trademark dopo l’acquisizione (NUM_TRAD_AFTER_SAME): è il numero di trademark presentati al USPTO dall’impresa nei tre anni successivi all’assegnazione, nella solita Nice class del trademark acquistato. Questa variabile definisce la misura in cui le imprese multinazionali stanno sviluppando nuovi marchi nella stessa classe di prodotto dopo l'acquisizione di uno nuovo. Le nuove applicazioni sui marchi possono avere come conseguenza l'introduzione di nuovi prodotti e servizi (Flikkema et al., 2014). La fonte di questa variabile è il database ORBIS sviluppato dal Bureau van Dijk.

VARIABILI INDIPENDENTI

Comprendono diverse categorie, nella prima si considerano i modi con cui le imprese hanno acquisito la reputazione e la conoscenza del mercato statunitense in termini sia di quantità, che di qualità.

● Numero di trademark depositati dall’acquirente prima dell’accordo (NUM_TRADEMARK_PORTFOLIO_PRE);

● Età del più vecchio marchio nel portfolio di marchi dell’impresa al momento della riassegnazione (TRADEMARK_PORTFOLIO_AGE).

Nella seconda categoria ci si riferisce al ruolo del valore del marchio, che è stato

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● L’età del marchio riassegnato (TRADERMAK_AGE);

● Numero delle diverse Nice class coperte dal trademark acquisito (NTRADEMARK_BREADTH).

VARIABILI DI CONTROLLO

• Acquisizione diretta o indiretta (ACQ_ONLY_TRADEMARK): è una variabile binaria ed è uguale a 1 se la riassegnazione si riferisce a una acquisizione diretta del trademark, mentre è 0 se il trademark è stato ottenuto attraverso l’acquisizione dell’impresa.

● La distanza culturale tra il paese emergente e la nazionalità delle filiali delle multinazionali che acquisiscono il marchio (CULTURAL_DISTANCE); ● Il portfolio dei brevetti dell’impresa, incluso il logaritmo del numero di

brevetti USPTO depositati nei cinque anni precedenti all'acquisizione del marchio (LN_USPTO_PAT_5YBEF);

● Le dimensioni del quartier generale della multinazionale (LN_REVENUES); ● Il numero delle sussidiarie dell’impresa in tutto il mondo

(NUM_SUBSIDIARIES);

● Dove è localizzata negli Stati Uniti l’azienda del trademark acquistato (US). Poiché l'uso e la strategia del marchio sono noti per essere altamente settoriali (Flikkema et al, 2014), in particolare quando si confrontano mercati per prodotti e servizi, vengono incluse anche le variabili del settore. E le variabili annuali (per l'anno di assegnazione) vengono aggiunte al controllo per vedere gli effetti della crisi economica, in quanto l'uso del marchio dipende fortemente dai cicli economici

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(Greengalgh and Rogers, 2010). Infine, per tenere conto delle differenze tra i paesi d'origine delle nostre società Global Fortune, includiamo le variabili nazionali10. 3.2 VARIABILE DI REPUTAZIONE

Come non esiste un’unica definizione di corporate reputation, non esiste neanche un unico modo per calcolare la variabile di reputazione di un’azienda. La strada che è stata scelta è nuova, non ci sono studi che hanno utilizzato questo metodo precedentemente, quindi non c’è stata nemmeno una regola o un metodo determinato da poter seguire.

Al fine della nostra analisi sono state prese in esame 47 aziende dei paesi emergenti, dagli anni 1978 al 2016 (per il calcolo della reputazione si considerano i 5 anni precedenti all’acquisto del trademark).

Sono stati raccolti, attraverso LexisNexis (un database di articoli per la ricerca) articoli riguardanti ogni azienda per i cinque anni precedenti all’acquisto del trademark, fra le Major World Publication. La raccolta degli articoli è stata fatta al fine di capire la notorietà dell’azienda e se gli articoli ne parlassero in modo positivo o negativo e per far questo è stato utilizzato un programma di analisi del testo, Linguistic Inquiry and Word Count (LIWC).

3.2.1 LIWC - LINGUISTIC INQUIRY AND WORD COUNT

LIWC è un programma per l’analisi del testo, che fornisce un metodo efficiente ed efficace per lo studio delle varie componenti emotive, cognitive e strutturali presenti in saggi, articoli, blog, romanzi e altri scritti.

10 E. Giuliani; C. Castaldi; A. Martinelli (2018); Emerging market Multinational Enterprises taking

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La prima applicazione della LIWC è stata sviluppata come parte di uno studio esplorativo sulla lingua e la divulgazione

(Francis, 1993; Pennebaker, 1993), la seconda (LIWC2001) e la terza (LIWC2007), invece, hanno aggiornato l'applicazione originale con un dizionario espanso e un design software più moderno (Pennebaker, Francis, & Booth, 2001; Pennebaker, Booth, & Francis, 2007).

L'evoluzione più recente, LIWC2015 (Pennebaker, Booth, Boyd e Francis, 2015), ha significativamente modificato sia il dizionario che le opzioni software, questi sono stati completamente aggiornati e risultano come nuovi rispetto alle precedenti versioni.

Il programma ha due funzioni principali: la componente di elaborazione e i dizionari. La funzione di elaborazione è il programma stesso che apre una serie di file di testo e ne analizza parola per parola; il dizionario è un vero e proprio dizionario predefinito, con al suo interno una suddivisione per categorie di parole; tutte le parole che toccano un medesimo dominio sono inserite all’interno della stessa categoria o sottodivisione, esso serve a definire quali parole devono essere conteggiate nei file di testo di destinazione.

Durante il funzionamento, LIWC, accede a un singolo file di testo o a un gruppo di file all'interno di un foglio di calcolo e li analizza in sequenza. Per ogni file, LIWC legge una parola target (quelle presenti nel file di testo analizzato) alla volta e man mano che ogni parola target viene elaborata, si cerca una corrispondenza con le parole del dizionario. Se la parola di destinazione è abbinata a una parola del dizionario, la scala della categoria delle parole abbinate (o le scale) per quella parola, viene incrementata. Mentre il file di testo di destinazione viene elaborato, vengono

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incrementati anche i conteggi per vari elementi di composizione strutturale (ad esempio il conteggio delle parole e la punteggiatura della frase) (James W. Pennebaker et al. 2015).

Nell’ultima versione di LIWC, LIWC2015, possiamo trovare all’incirca 6400 parole e 90 categorie diverse. Ogni voce del dizionario si definisce, inoltre, una o più categorie di parole o sottotitoli, perchè possono rientrare nei diversi domini di quest’ultime. Le categorie includono il conteggio delle parole, 4 variabili linguistiche di sintesi, 3 categorie descrittive generali, 21 dimensioni linguistiche standard, 41 categorie di parole che toccano costrutti psicologici, 6 categorie di preoccupazioni personali, 5 marcatori linguistici informali e 12 categorie di punteggiatura.

Ai fini dell’ analisi abbiamo selezionato solo alcune categorie: le prime, che possono essere considerate delle variabili linguistiche di testo; le seconde, considerate delle categorie di parole che toccano costrutti psicologici11.

Fra le variabili linguistiche di testo abbiamo:

1. ANALYTIC THINKING - Quando ha un valore elevato riflette un pensiero formale, logico, gerarchico; i numero bassi riflettono un più informale, personale, narrativo pensiero.

2. CLOUT - Un numero elevato suggerisce che l’autore stia parlando dal punto di vista di alte competenze e sia fiducioso; numero bassi di Clout, suggeriscono uno stile più esitante, umile e persino ansioso.

3. AUTHENTIC - Più è alto, più si associa a un testo onesto, personale e divulgativo; al contrario, più è basso più si ha una forma distaccata e distanziata del discorso.

11 Developing a LIWC Dictionary: e lyrical poetry of 2PAC, Frank Waln, Litefoot, and Nataanii

Means

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4. EMOTIONAL TONE: Un numero elevato è associato a uno stile più positivo e ottimista; un numero basso rivela maggiore ansia e tristezza, mentre un numero intorno a 50 suggerisce una mancanza di emotività.

Fra le categorie di parole che toccano costrutti psicologici abbiamo scelto:

1. POSITIVE EMOTION - Un numero elevato indica che ci sono molte parole che esprimono emozioni positive (love, nice, sweet, etc.).

2. NEGATIVE EMOTION - Un numero elevato indica che ci sono parole che esprimono emozioni negative (hurt, ugly, nasty, etc.).

In più alle categorie sopra citate è stato considerato anche il Word Count (WC), ovvero il numero di parole per ogni articolo.

La scelta di queste categorie è stata fatta al fine di avere delle informazioni sugli articoli analizzati, come la loro struttura o il grado di professionalità. In secondo luogo la scelta di indagare sulle emozioni positive e negative è stata fatta, perchè si riteneva che il numero delle parole positive o negative presenti negli articoli, potesse indicare il loro grado di positività o negatività e che questo potesse rispecchiare il grado di apprezzamento delle aziende e di conseguenza la sua reputazione.

All’interno di LIWC sono stati inseriti 74.895 articoli, e per ognuno di questi è stato calcolato il numero di parole appartenente a ogni categoria sopra elencata.

3.2.2 COSTRUZIONE VARIABILE DI REPUTAZIONE

Una volta ottenuto l’output di LIWC, abbiamo dovuto lavorarci per poter ricavare le variabili di reputazione. Il primo passo che è stato fatto, attraverso il programma di analisi statiche STATA, è stato quello di raggruppare tutti gli articoli di ogni azienda per anno. I dati, dopo essere stati moltiplicati per 0.01, per eliminare la forma percentuale, sono stati sommati tra loro, in modo che a ogni anno corrispondessero tutte le news che erano state raccolte nello stesso anno e relative alla medesima

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azienda. Sono stati poi divisi per il numero di parole di tutti gli articoli relativi all’anno, in modo da ricavare la percentuale.

bys COMPANY YEAR: egen NUM_WORDS=sum(WC)

bys COMPANY YEAR: egen

NUM_WORDS_POSITIVE=sum(NUM_POSITIVE_WORD/NUM_WORDS)

bys COMPANY YEAR: egen

NUM_WORDS_NEGATIVE=sum(NUM_NEGATIVE_WORD/NUM_WORDS)

bys COMPANY YEAR: egen NUM_WORDS_TONE=sum(NUM_TONE_WORD/NUM_WORDS)

bys COMPANY YEAR: egen

NUM_WORDS_ANALYTC=sum(NUM_ANALYTIC_WORD/NUM_WORDS)

bys COMPANY YEAR: egen NUM_WORDS_CLOUT=sum(NUM_CLOUT_WORD/NUM_WORDS)

bys COMPANY YEAR: egen

NUM_WORDS_AUTHENTIC=sum(NUM_AUTHENTIC_WORD/NUM_WORDS)

Sono stati, infine, eliminati i duplicati e da un numero di articoli di partenza di 74.895, il nostro dataset si è ridotto a 822 osservazioni.

Un trattamento leggermente diverso, ai fini della analisi, è stato riservato per le variabili posemo e negemo, in quanto ritenevamo che potessero essere degli indicatori puri per il calcolo della nostra variabile. Infatti, invece di dividere il loro valore solo per il numero di parole dell’anno, abbiamo eseguito un’altra operazione e abbiamo diviso per la somma delle parole positive e negative, pensando che si potesse creare delle variabili più significative.

bys COMPANY YEAR: egen NUM_POSITIVE=sum(NUM_POSITIVE_WORD)

bys COMPANY YEAR: egen NUM_NEGATIVE=sum(NUM_NEGATIVE_WORD)

generate SUM_POSITIVE= NUM_POSITIVE/(NUM_POSITIVE + NUM_NEGATIVE)

generate SUM_NEGATIVE= NUM_NEGATIVE/(NUM_POSITIVE + NUM_NEGATIVE) Sono state ricavate così due variabili: SUM_POSITIVE e SUM_NEGATIVE.

Abbiamo ritenuto opportuno considerare nell’analisi anche la variabile TONE, in quanto per alti valori esprime l’ottimismo e la positività dell’articolo, per valori bassi indica ansia e tristezza.

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Oltre a queste variabili appena enunciate, ne abbiamo calcolata un’altra, seguendo un approccio più complesso e si vuole più sofisticato.

IL METODO DELLE COMPONENTI PRINCIPALI

L’analisi svolta ha come variabili: NUM_WORDS_ANALYTIC (ANALYTIC),

NUM_WORDS_TONE (TONE), NUM_WORDS_AUTHENTIC (AUTHENTIC),

NUM_WORDS_CLOUT (CLOUT).

La condizione di partenza è che vi sia correlazione tra le variabili scelte e per verificare abbiamo usato la matrice di correlazione:

Tabella n. 1 – Correlazione variabili per componenti principali

TONE ANALYTIC CLOUT AUTHENTIC

TONE 1 ANALYTIC -0.0498 1 CLOUT 0.3672 -0.1494 1 AUTHENTIC 0.0605 -0.0154 0.0064 1

Le variabili non sono molto correlate tra loro e questo comporta una perdita di informazioni importante, in ogni caso proseguiamo con l’analisi.

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Tabella n. 2 e 3 – Analisi componenti principali

Andando ad analizzare gli elementi ricavati possiamo vedere:

● Eigenvalue, che sono gli autovalori e ci indicano la varianza di ogni CP, sono disposti in ordine decrescente e la varianza complessiva è pari al numero delle nuove componenti;

● Proportion, che ci dice la proporzione di varianza delle componenti principali, rispetto alla varianza complessiva;

● Eigenvectors, che sono i valori dei coefficienti che legano le variabili alle componenti principali.

Per ottenere una sintesi si devono selezionare solo un numero limitato di componenti principali, anche se questo comporta una perdita di informazioni. Ci sono diversi criteri per scegliere il numero di CP e uno di questi è quello di considerare le variabili che hanno l’Eigenvalue maggiore di uno, questo perché sono variabili standardizzate, quindi per fare uno sintesi devo prendere le componenti che spiegano di più, di quanto spieghi una sola variabile.

. AUTHENTIC 0.1151 0.9601 -0.2339 0.1009 0 CLOUT 0.6806 -0.1260 0.1246 0.7109 0 ANALYTIC -0.3222 0.2366 0.8960 0.1933 0 TONE 0.6478 0.0794 0.3562 -0.6687 0 Variable Comp1 Comp2 Comp3 Comp4 Unexplained Principal components (eigenvectors)

Comp4 .614924 . 0.1537 1.0000 Comp3 .963441 .348517 0.2409 0.8463 Comp2 1.00037 .0369251 0.2501 0.6054 Comp1 1.42127 .420903 0.3553 0.3553 Component Eigenvalue Difference Proportion Cumulative

Rotation: (unrotated = principal) Rho = 1.0000 Trace = 4 Number of comp. = 4

Principal components/correlation Number of obs = 822

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Si procede con il calcolo delle correlazioni tra le variabili e le componenti principali, che ci permette di capire quali sono le variabili che incidono maggiormente sul significato di PC1 e PC2.

Tabella n. 4 – Correlazione variabili e componenti principali

Vediamo che per CP1, le variabili che la definiscono meglio sono TONE, CLOUT in positivo e ANALYTIC in negativo.

Mentre CP2 è definita principalmente da AUTHENTIC.

Possiamo quindi calcolare le coordinate delle componenti principali con l’opzione: predict cp1 cp2.

Infine dobbiamo assegnare un valore alle nuove CP e per fare questo ci possiamo aiutare con una rappresentazione grafica:

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Grafico n. 3 – Analisi componenti principali

A CP1 corrispondono alti valori di TONE e CLOUT e dei buoni valori di AUTHENTIC, gli corrispondono anche dei valori decrescenti di ANALYTIC. Il significato che si può attribuire alla prima componente principale è l’apprezzamento. Ricordiamo che alti valori di TONE indicano uno stile ottimista e positivo, alti valori di Clout suggeriscono che l’autore stia parlando in modo competente e fiducioso, al contrario alti valori si ANALYTIC indicano uno stile formale e gerarchico.

A CP2 corrispondono principalmente alti valori di AUTHENTIC, mentre gli altri valori rimangono neutri, per questo possiamo chiamare la seconda componente

autenticità, in quanto ad alti valori di AUTHENTIC si associa un testo onesto e

personale.

Attraverso il metodo delle componenti principali, abbiamo deciso di sintetizzare le nostre variabili, in modo da ricavare due componenti principali che potessero esprimere delle caratteristiche, racchiudendo tutte le variabili ricavate da LIWC.

TONE ANALYTIC CLOUT AUTHENTIC 0 .5 1 AU T EN T IC IT A' -.4 -.2 0 .2 .4 .6 APPREZZAMENTO

(40)

3.2.3 VARIABILI DI REPUTAZIONE

Abbiamo quindi individuato quattro variabili di reputazione, tre ricavate in una maniera più semplice e diretta, la quarta attraverso un metodo più complesso:

1. SUM_POSITIVE, che rinomineremo GOOD_REPUTATION, è una variabile diretta della positività e ci indica il grado di buona reputazione dell’azienda. 2. SUM_NEGATIVE, BAD_REPUTATION, è una variabile diretta della

negatività e ci indica il grado di cattiva reputazione dell’azienda.

3. TONE, EMOTIONAL_REPUTATION, è una variabile che può avere sia una valenza positiva, che negativa. Essa esprime il tono emozionale dell’articolo, l’ottimismo o l’ansia, che un’azienda scatena.

4. Pc1_apprezzamento, RECOGNITION_REPUTATION, è una variabile più complessa con una valenza positiva ed esprime il riconoscimento dell’azienda, sono solo dal punto di vista della conoscenza, ma proprio dell’apprezzamento che si ha nei suoi confronti.

Ai fini dell’analisi non sarà presa in considerazione pc2_autenticità, in quanto esprime di più la forma dell’articolo.

3.3 REGRESSIONI

Unite le variabili di reputazione al dateset originario (approfondimento in appendice II), sono state svolte le regressioni.

La variabile dipendente è un conteggio, quindi è stato stimato un Poisson Quasi Maximum Likelihhod Model (PQLM). Questo modello specifico è più flessibile del modello binomiale negativo (utilizzato anche per i modelli di conteggio) in quanto fornisce stime coerenti anche nell'ipotesi più deboli e non pone restrizioni sulla varianza condizionale (cioè, consente una sovra dispersione a causa di un numero elevato).

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Abbiamo utilizzato l'opzione vce (robust) per ottenere solidi errori standard per le stime dei parametri come raccomandato da Cameron e Trivedi (2009).

Le regressioni iniziali sono state fatte per capire la relazione tra le variabili

indipendenti e quella dipendente.

Con il comando esttab è stata creata un’unica tabella contenente i coefficienti della regressione e la loro significatività.

Una volta conosciuta la relazione tra le variabili indipendenti e quella dipendete, è stato calcolata l’interazione tra le variabili di reputazione e quelle indipendenti, per vedere che effetto avevano su quest’ultime.

Figura n. 2 – Interazione variabili indipendenti, dipendenti e variabili di reputazione TRADEMARK BREADTH TRADEMARK AGE TRADEMARK PORTFOLIO AGE NUM TRADMARK PORTFOLIO PRE EMOTIONAL REPUTATION RECOGNITION REPUTATION GOOD REPUTATIOM BAD REPUTATION TRADEMARK BREADTH TRADEMARK AGE TRADEMARK PORTFOLIO AGE NUM TRADMARK PORTFOLIO PRE

(42)

IV

RISULTATI

4.1 DESCRIZIONE DATASET

Iniziamo l’analisi con una descrizione del dataset, per capire meglio alcune caratteristiche delle acquisizioni di trademark nel database e delle imprese acquisitrici.

Il grafico n. 4 mostra l'evoluzione nel tempo del numero di assegnazioni per tipo. Possiamo notare che le acquisizioni dei marchi hanno avuto inizio nei primi anni '80, ma sono decollate verso la metà degli anni '90. Nel complesso, la "appropriazione per acquisizione" (i.e. appropriazione di un marchio tramite l’acquisizione di un’impresa) è un fenomeno più comune rispetto alla "appropriazione diretta" (i.e. acquisizione diretta del trademark). Il dato evidenzia inoltre che il calo delle riassegnazioni si è verificato dopo che la crisi economica non è ancora stata ripristinata.

Grafico n. 4 – Numero di assegnazioni per anni e tipo

La tabella n. 5 mostra una distribuzione geografica piuttosto concentrata dei paesi emergenti, in cui tre paesi rappresentano l'86,8% di tutte le riassegnazioni nel set. I

0 50 100 150 200 1981 1986 1991 1996 2001 2006 201 1 YEAR NUBER OF REASSIGNMENTS DIRECT APPROPRIATION APPROPRIATION BY TAKE-OVER

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principali investitori sono società controllate dal Messico che rappresentano la maggior parte degli accordi, seguiti da India e Brasile. Ciò suggerisce la rilevanza di fattori come il linguaggio simile e la vicinanza geografica nello spiegare la probabilità di assegnazioni di marchi.

Table n. 5 – Distribuzioni delle riassegnazioni per paese di origine

COUNTRY Freq. Percent Cum.

MX 490 49.7 49.7 IN 313 31.74 81.44 BR 53 5.38 86.82 ZA 53 5.38 92.19 CN 50 5.07 97.26 CL 14 1.42 98.68 RU 7 0.71 99.39 TH 6 0.61 100 Total 986 100

Per quanto riguarda la distribuzione settoriale12, la tabella n. 6 riporta che la maggior

parte delle sostituzioni avvengono nell'industria manifatturiera e in particolare in "Food, beverages, tobacco" e "Machinery, equipment, furiniture,recycling" (70,7%). I servizi non sono rilevanti in quanto rappresentano il 9,04% (somma di "Other services", "Financial services", "ICT" e "Transport").

12 La classificazione settoriale utilizzata è quella utilizzata dal dataset ORBIS pubblicato dal Bureau

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