Between, vol. IX, n. 18 (Novembre/November 2019)
Love and lies. The conflict of
codes in Laclos’ Liaisons
dangereuses
Mauro Nervi
Abstract
I argue that in Laclos’ novel not only morality and immorality (or different forms of morality) but mainly two language codes are in competition with each other: the naive code, currently used by the majority, and the libertine code, mostly represented by the leading couple’s letters. The former is apparently consistent (even if it shows interesting nuances, especially in M.me de Volanges and in M.me de Rosemonde), while the latter is more depending on the addressee: sarcastic but reliable when addressing to his/her peer, the libertine is forced to simulate the naive code when writing to those who share the current morality. However, this pretence by the libertine always comes along with a subversive intention at many levels: ambiguity, irony, logical contradiction.
Keywords
Laclos, Liaisons dangereuses, Diderot, XVIII century literature, Epistolary novel
Eros e menzogna. Le Liaisons
dangereuses come confronto di codici
Mauro Nervi
«[…] l’amour, que l’on nous vante comme la cause de nos plaisirs, n’en est au plus que le prétexte»
(Lettera 81)
1. Lo stile dell’amore
La virtuosa presidentessa di Tourvel, moglie onesta e religiosissima, ammirata benefattrice dei poveri, scopre improvvisamente di essersi innamorata del libertino Valmont; sconvolta, fugge precipitosamente dal castello di madame de Rosemonde, zia di Valmont, prima di cedere al proprio colpevole sentimento. Si sente però in dovere di scrivere all’anziana Rosemonde, figura materna e intelligente, una dettagliata lettera di scuse nella quale confessa il proprio amore per «lui» senza tuttavia mai pronunciare il nome di un uomo amato con tanta esasperazione (j’aime, oui, j’aime
éperdument, 102)1 – ma ribadendo naturalmente, a fine lettera, che
meglio sarebbe morire piuttosto che rendersi indegna della fiducia della Rosemonde. Quest’ultima, nella lettera immediatamente successiva, dà prova della sua benevola intelligenza rispondendole che aveva naturalmente capito al volo la causa di una fuga così
1 I passi delle Liaisons sono citati secondo il numero della lettera.
improvvisa, e che anzi se così non fosse dalla lettera della Tourvel non avrebbe potuto capire nemmeno chi sia l’oggetto di un amore tanto travolgente:
Si je n’avais été instruite que par elle, j’ignorerais encore quel est celui que vous aimez; car, en me parlant de lui tout le temps, vous n’avez pas écrit son nom une seule fois. Je n’en avais pas besoin; je sais bien qui c’est. Mais je le remarque, parce que je me suis rappelée que c’est toujours là le style de l’amour. Je vois qu’il en est encore comme au temps passé. (103)
Lo stile dell’amore, dice quindi la Rosemonde in questa straordinaria osservazione metalinguistica, è fatto di tabù, di sottrazioni, di ellissi ancor più che di effusioni retoriche; ed è uno stile che prescinde non solo dalla persona, ma anche dai tempi; è sempre lo stesso come in passato. La Tourvel, più che essere il soggetto attivo del proprio linguaggio, ne è come posseduta: a prescindere dalle sue vicende individuali, si manifesta in lei un sistema di segni che è atemporale e sovraindividuale; la Rosemonde non ha fatto altro che metterne in evidenza i vincoli di appartenenza a un codice, un codice – fra l’altro – cui lei stessa ha a suo tempo aderito, ma che l’età avanzata le consente ora di osservare dall’esterno, per mettere in guardia e rendere consapevole la sua giovane amica.
L’osservazione della Rosemonde è scevra da ogni moralismo: è un punto di vista puramente formale, non contiene un giudizio sull’operato e nemmeno sui sentimenti della presidentessa, che anzi viene confortata con parole di grande affetto e umana comprensione. Ma il fatto stesso che il codice di cui fa uso la Tourvel venga riconosciuto porta a constatare che esistono altri codici utilizzabili che con esso confliggono; codici assai meno ingenui, nei quali l’ellissi, quando presente, non è dovuta allo sconvolgimento dell’amore, ma all’intento di manipolare il destinatario; e nei quali anzi vige incontrastato il regime della menzogna. Il freddo e splendido romanzo di Laclos è dunque intessuto da questa continua opposizione fra un linguaggio veridico, impegnato a comunicare nel modo più trasparente
l’emozione amorosa, o la riprovazione morale, o talvolta entrambe le cose nello stesso tempo, e un linguaggio ingannevole, seducente, stratificato su diversi piani, che mira invece non a comunicare, ma semmai a «esercitare un potere»2.
Questi linguaggi pragmaticamente opposti convivono nel romanzo in modo limpido e complesso anche in virtù della forma narrativa prescelta. Quando Bachtin3 esamina la pluridiscorsività nel
romanzo, dedica poche ma enfatiche parole all’utilizzo di generi intercalari quali il diario, la descrizione di viaggi e (appunto) la lettera per l’organizzazione della pluridiscorsività, sottolineando come essi possano non solo svolgere nel romanzo una parte costitutiva, ma anche determinarne l’intera costruzione, dando vita così a generi speciali di romanzo: il romanzo-‐‑diario, il romanzo epistolare e così via4. Ora, io
credo che forse, assai più di Dostoevskij, il romanzo di Laclos avrebbe potuto fornire a Bachtin abbondanza di materiale esemplificativo per la maestria e la complessità con cui le diverse voci si intrecciano fra loro, in un struttura narrativa dove la verità del personaggio ingenuo e la menzogna del libertino si confrontano continuamente, e dove anche la posta in gioco è profondamente diversa: la felicità amorosa (qualunque cosa ciò, alla fine, voglia dire) per l’ingenuo, l’esercizio del potere per il libertino. La forma epistolare consente di esibire nel modo più cristallino questa opposizione di voci, perché fa a meno di un narratore che le riferisca, e aumenta l’effetto di realtà, creando nel lettore l’illusione di avere un accesso non mediato alle voci dei protagonisti, che sono perciò immuni da un giudizio sovraordinato.
2 Questa retorica dell’amore – con una particolare attenzione alle lettere
di Cécile, e in un’ottica critica diversa da quella qui utilizzata – è trattata, fra gli altri, da Florenne (1998).
3 Per esempio in Bachtin (1979: 108-‐‑140). Sul problema vedi anche le
importanti osservazioni di Jean Rousset sul romanzo epistolare polifonico in Rousset (1966), che contiene infatti al capitolo IV anche una lettura delle
Liaisons, e la trattazione di Laurent Versini (1979). 4 Bachtin (1979: 129).
2. Romanzo epistolare e verità/menzogna
Questa apparente immediatezza del testo spiega naturalmente, fra le altre cose, il successo straordinario del genere epistolare nel Settecento europeo5, ma nel caso delle Liaisons il rapporto tra verità e
finzione diventa particolarmente complesso; il romanzo di Laclos, pubblicato nel 1782, si colloca all’apice di un’evoluzione della sensibilità letteraria che era iniziata oltre un secolo prima. Genere basso, disprezzato fin dai tempi di Boileau perché ritenuto privo di modelli classici, destinato allo svago più che a un vero impegno intellettuale, il romanzo fu nei primi decenni del Settecento al centro di una polemica cui in veste di accusatori parteciparono eminenti gesuiti, quali padre Bougeant e il maestro di Voltaire, padre Porée6; fu solo con
il diffondersi dei romanzi di Fielding e di Richardson che anche sul piano teorico si osserva un capovolgimento del giudizio non solo estetico ma anche morale. Nel 1761 Diderot pubblica sul Journal
étranger un commosso elogio postumo di Richardson, di cui viene
esaltata la moralità efficace (“semina germogli di virtù nei cuori”) e che difende da quello che sarà il più frequente rimprovero fino ai giorni nostri, e cioè l’insopportabile prolissità. Da allora in poi, Richardson è stato sempre la principale obiezione a chi ponesse in dubbio la moralità del genere romanzo in sé; e anzi, l’autore inglese diventerà un simbolo morale tanto ingombrante da generare l’inevitabile reazione prima del suo collega Fielding (che con Shamela e Joseph Andrews ci regala due esilaranti parodie della Pamela), poi di Sade, che non solo è agli antipodi di Richardson nella prassi dei suoi romanzi, ma che anche nel suo scritto più teorico7 ritiene che la virtù trionfante sia del tutto priva
di interesse per il lettore.
5 Sull’importanza dell’impressione di autenticità per la diffusione del
romanzo epistolare nel Settecento europeo vedi Humbert (2002: 1195-‐‑6).
6 Su questa polemica, vedi May (1963).
7 Idée sur les romans, pubblicato nel 1800 come introduzione a Les crimes de l’Amour.
Che Richardson fosse diventato un grande modello di linguaggio virtuoso e sincero, lo si vede proprio nelle Liaisons, dove uno dei suoi romanzi più lunghi e significativi, Clarissa8, è citato due volte, nella
lettera 107, dove insieme ai Pensées chrétiennes rientra fra le letture della sconvolta Tourvel; e nella lettera 110, dove addirittura lo stesso Valmont ipotizza di ricorrere ai brutali mezzi del libertino Lovelace. Ma naturalmente non sono solo le citazioni dirette a evocare il romanzo di Richardson: sia nella Clarissa che nelle Liaisons si parla di un libertino che seduce una donna modello di virtù, determinandone la morte, e che poi muore lui stesso in un duello. Le somiglianze e le citazioni intertestuali sono numerosissime, e sono state esaminate da Laurent Versini nel suo classico studio sulle fonti del romanzo di Laclos9 – tanto numerose da far pensare a una specie di romanzo-‐‑
palinsesto. E tale sarebbe forse, se dovessimo prendere per buona la «prefazione» del redattore fittizio della raccolta, nella quale si dichiara che il libro avrebbe raggiunto il suo scopo se ogni madre ritenesse opportuno regalarlo alla figlia il giorno del matrimonio; perché proprio questo era in fondo lo scopo dichiarato del romanzo di Richardson, preparare le fanciulle al matrimonio e le madri a una scelta intelligente del futuro sposo. Ma anche in questo si manifesta l’ambigua sottigliezza del capolavoro di Laclos: ogni dettaglio, e anche lo stesso schema generale, del modello richardsoniano viene ripetuto, ma capovolto di segno: l’ironia prende il posto del sentimentalismo, l’onestà si rende ridicola e la crudeltà ottiene sempre la meglio – almeno dal punto di vista retorico, che è quello che conta – sulla stupidità della virtù. Naturalmente lo stesso Versini sottolinea che quella fra Laclos e Richardson è una fausse affinité: e questa sembra una cosa ovvia. Ma non altrettanto ovvio è che un romanzo possa mantenersi, rispetto a un modello, in questo miracoloso equilibrio fra autenticità e ironia, fra verità e menzogna, riproducendo così sul piano del rapporto intertestuale quell’ambiguità che informa di continuo i rapporti intratestuali fra i personaggi. A prescindere dall’ambiguità
8 Pubblicato nel 1748.
strutturale dei sentimenti di Valmont nei confronti della Tourvel10,
nessuno affermerebbe che il visconte sia sincero nelle lettere a lei dirette, che pure sono capolavori di mimesi del linguaggio sentimentale: allo stesso modo è evidente che la pretesa di Laclos di scrivere un romanzo dove, come in Clarissa, la vittima muore e il libertino viene punito, non può essere presa sul serio da nessuno. Un esempio lampante dell’ironia che troveremo nel romanzo lo si trova già nella prima pagina, in quella «avvertenza dell’editore» il quale, essendo fittizio e dunque a tutti gli effetti un personaggio del romanzo, dichiara il sospetto che la raccolta di lettere pubblicata sia a sua volta fittizia e che si tratti «solo di un romanzo» (ce n’est qu’un Roman); e dopo questa mise en abîme tipicamente laclosiana11 l’editore argomenta
il suo sospetto prima di tutto affermando enfaticamente, in tono alto e solenne, che non sono possibili costumi così depravati in un secolo tanto illuminato; e subito dopo rincarando l’argomento con un altro ben più materialistico e di registro diametralmente opposto, secondo il quale non s’è mai vista farsi suora una ragazza che ha sessantamila libbre di rendita, né una presidentessa giovane e carina morire di dolore. Quella che Genette chiama la «decodifica dell’ironia» è affidata a questi sottili meccanismi testuali, che creano nell’argomentazione discrepanze di tono anche se non di logica; per cui il redattore potrà ben sostenere – come del resto, secondo l’epistolario, avrebbe sostenuto lo stesso Laclos12 – di aver pubblicato un romanzo moraleggiante, dove
il vizio viene alla fine comunque punito (anche se, a dire il vero, la virtù non viene in nessun modo premiata13). Una tesi in fondo
inoppugnabile, anche se di continuo contraddetta dalla evidente simpatia autoriale nei confronti dei due protagonisti libertini, i quali saranno anche corrotti nei costumi e inclini a un certo sadismo, ma che hanno tutte le battute migliori, esibiscono lucidità, intelligenza, e anche
10 Per la quale vedi Ares (2015).
11 Sui rispecchiamenti interni in Laclos vedi Lowrie (1988). 12 Vedi il lavoro di D. A. Coward (1972).
13 In questo senso si parla di «fallimento della consolazione» in
una nobile superiorità rispetto alla meschina bigotteria dei loro interlocutori.
3. I due codici
Perciò, rispetto al romanzo sentimentale che lo precede, Laclos introduce questa eccezionale novità: la morale non è più al centro della narrazione, centro che viene invece occupato dal linguaggio: nel senso che lo scontro in atto non è più fra due diverse concezioni della moralità – come era in Richardson e mille altri – ma fra due diversi codici. Da un lato c’è il codice ingenuo, che è quello corrente delle convenzioni sociali, delle buone maniere e della religiosità tradizionale. In tale codice, spesso ipocrita, confluisce tuttavia anche il linguaggio diverso (dal punto di vista del contenuto, non della forma) del trasporto amoroso privo di finzioni, dettato da sentimenti che sono certo spontanei, ma proprio per questo anche modellati sul linguaggio letterario, l’unico che sia disponibile a un sentimento che ha un’alta opinione di se stesso; ed è il codice adottato dalla maggioranza dei personaggi, talvolta con sfumature diverse e con maggiore o minore aderenza emotiva agli impliciti della convenzione linguistica. Caratteristica di questo codice è di essere relativamente compatto, nel senso che è privo di significative variazioni in rapporto al suo destinatario: considera tutti simili a sé, e conosce perciò un solo livello di comunicazione, da pari a pari, in un rapporto egualitario dove tutti usano la stessa figuralità convenzionale, ereditata soprattutto – anche se certo non esclusivamente – dal romanzo richardsoniano, per comunicare nel modo più semplice e lineare le stesse configurazioni di sentimenti, comuni a loro e ai romanzi che, come classe sociale, hanno tutti letto. Come ha dimostrato Versini, che lo ha scrutinato da questo punto di vista nel modo più esaustivo14, il romanzo è fra le altre cose la
rappresentazione di una cultura profondamente letteraria, di un ambiente sociale che si sforzava di aderire, almeno sul piano delle
14 Vedi per esempio tutta la terza parte della monografia e i confronti
convenzioni linguistiche, a una serie di modelli romanzeschi precedenti il cui fascino era ormai in declino e destinato, dopo pochi anni, al grande falò della Rivoluzione15. I personaggi ingenui delle
Liaisons credono di vivere sentimenti autentici, e invece sono
all’interno di un immaginario puramente libresco: non diversamente da Don Chisciotte, il loro linguaggio è simultaneamente letterario in un duplice senso, sia perché ovviamente sono essi stessi personaggi di un romanzo, sia perché sono posseduti da una tradizione letteraria che si sforzano continuamente di tradurre in realtà, o che scambiano per la realtà stessa.
In questa compattezza generale del codice ingenuo, si insinuano naturalmente differenti sfumature, legate non tanto alla psicologia dei personaggi quanto alla funzione che essi esercitano all’interno della narrazione. Così, la presidentessa di Tourvel rappresenta per eccellenza quello che Barthes, nella prefazione al suo fondamentale saggio su Sade, chiama le corps victimal16, la debolezza femminile fatta bersaglio della prepotenza maschile; la Tourvel si colloca su una lunga strada che parte dalla Clarissa di Richardson (1748), stuprata ma vittoriosa sul libertino grazie alla sua virtù, e la Justine di Sade (1791), che nonostante la sua indefettibile virtù (e anzi, viene quasi il sospetto, proprio a motivo di essa) viene sottomessa alle violenze più estreme, le supera fortunosamente solo per cadere in altre, fino a subire paradossalmente, alla fine, la morte esemplare del libertino – un fulmine dal cielo17. Per quanto riguarda la Tourvel, il suo linguaggio è
15 Nella notevole sceneggiatura di Christopher Hampton tratta dal
romanzo e portata sullo schermo da Stephen Frears, Valmont si rifiuta di accelerare la seduzione della Tourvel nonostante l’impazienza della marchesa di Merteuil, rispondendole: «ogni cosa a suo tempo, marchesa» (all
in good time), e la Merteuil risponde sarcastica: «Visconte, il secolo volge al
termine» (the century is drawing to its close). Battuta fulminante e degna di Laclos, se si pensa a quale termine il secolo sia poi andato incontro. Vedi anche Hampton (1986).
16 Barthes (2001: XXI).
17 Questa è la fine del libertino già in un canovaccio della Commedia
convenzionale fino a quando riceverà da Valmont la terribile lettera di congedo suggerita dalla Merteuil (141-‐‑142)18: dopo la quale la sua
loquacità moraleggiante si interrompe all’improvviso, mentre la sua ultima lettera (161) – scritta nel delirio che precede la morte – esce dalle convenzioni in quanto è l’unica, in tutto il romanzo, a mancare di un elemento costitutivo essenziale di ogni lettera: il destinatario. Come osserva la benpensante Volanges, che alla fine decide di inviarla a madame de Rosemonde, la lettera «ne s’adresse à personne pour s’adresser à trop de monde» (160), dimostrazione, secondo lei, che la Tourvel ha ceduto ormai «au désordre de ses idées». E questo è in parte vero, nel senso che il tono allucinatorio della lettera dimostra come la follia abbia prevalso sull’ordine retorico che prima dominava nelle lettere della presidentessa, senza che il delirio la renda peraltro più consapevole della manipolazione spietata cui è stata sottoposta. La moltiplicazione dei destinatari, che annullando il piano di allocuzione vanifica il messaggio, è in realtà espressione sintetica ed efficace di un’agitazione interiore, molto più delle esclamazioni e delle metafore che caratterizzavano le precedenti lettere della Tourvel. Solo la follia può riscattare il codice ingenuo dalla banalità, e solo qui in limine la Tourvel raggiunge una specie di individualità soggettiva.
Il linguaggio di Cécile de Volanges, la minorenne sedotta da Valmont in spregio al suo futuro marito che si era reso colpevole verso la marchesa di Merteuil, appartiene certamente al codice ingenuo nelle lettere riportate dal romanzo. Ma di lei sappiamo dai resoconti di Valmont che è stata sottoposta durante il sesso a un efficace catéchisme muore il protagonista anche nel Don Giovanni di Goldoni. Nel celebre libretto di Da Ponte non solo si invoca il fulmine su don Giovanni nel finale del primo atto: ma anche la vendicativa e ciononostante innamorata Donna Elvira ha il presentimento della «fatale saetta / che gli piomba sul capo» (atto II, scena 11, recitativo e aria n. 23).
18 I differenti modi di leggere la famosa lettera citata dalla Merteuil
(141), soprattutto in rapporto alle differenze di genere, sono focalizzati in Vanpee (1993).
de débauche, che ha corrotto il suo linguaggio senza che lei nemmeno se
ne accorgesse:
Je m'ʹamuse à n'ʹy rien nommer que par le mot technique; et je ris d'ʹavance de l'ʹintéressante conversation que cela doit fournir entre elle et Gercourt la première nuit de leur mariage. Rien n'ʹest plus plaisant que l'ʹingénuité avec laquelle elle se sert déjà du peu qu'ʹelle sait de cette langue! elle n'ʹimagine pas qu'ʹon puisse parler autrement. Cette enfant est réellement séduisante! Ce contraste de la candeur naïve avec le langage de l'ʹeffronterie ne laisse pas de faire de l'ʹeffet; et, je ne sais pourquoi, il n'ʹy a plus que les choses bizarres qui me plaisent. (110)
Cécile quindi, che dovrebbe essere il personaggio ingenuo per eccellenza, viene corrotta da Valmont sul piano linguistico ancor prima e più profondamente che nella sua morale; e d’altra parte la corruzione libertina trova in lei un terreno fertile benché inesperto, come si capisce dai diversi punti dell’epistolario in cui la Merteuil, ammirata dalle potenzialità di Cécile, si ripromette di farne una sua allieva. Così anche il personaggio di madame de Rosemonde presenta interessanti incrinature nel suo codice ingenuo: non è affatto la vecchia fredda e moralista dipinta da Valmont in opposizione alla Tourvel («le froid de son âge […] elle en aurait fait autant, m'ʹa−t−elle dit, comme s'ʹil pouvait y avoir quelque chose de commun entre elles deux! entre elle, qui n'ʹa plus qu'ʹà mourir; et l'ʹautre, qui fait le charme et le tourment de ma vie! », 100)19, ma come si è visto sopra intende perfettamente lo «stile
dell’amore» e possiede una straordinaria capacità di leggere attraverso il codice ingenuo senza rimanerne alla superficie. La migliore caratterizzazione della Rosemonde viene data dalla Merteuil in risposta a un giudizio vagamente misogino di Valmont («plus les femmes vieillissent, et plus elles deviennent rêches et sévères», 110): ci sono donne come la Rosemonde che una volta superati i cinquant’anni,
19 Va osservato fra l’altro che la vecchia Rosemonde sopravviverà sia
dice la Merteuil, riescono a rivestire il loro esprit con quelle attrattive che un tempo adornavano la loro figura; e in questo modo «leurs longues réflexions sur la faiblesse humaine, et surtout les souvenirs de leur jeunesse, par lesquels seuls elles tiennent encore à la vie, les placeraient plutôt peut−être trop près de la facilité» (113). Di nuovo un accenno alla giovinezza della Rosemonde che la redime dall’accusa di sterilità e superficialità, e che mette in guardia dall’errore di considerare il suo codice come uniforme e appiattito sullo stereotipo della vecchiaia. Questa capacità di penetrazione delle sfumature del codice ingenuo è caratteristica della Merteuil. Non solo la Rosemonde infatti – da lei considerata con interesse e una certa benevolenza – viene salvata da un giudizio superficiale, ma anche la madre di Cécile, madame de Volanges, che nella configurazione del romanzo è almeno ideologicamente la sua nemica naturale, viene trattata dalla Merteuil con attenzione e quasi rispetto per la sua lucidità nell’odio. La definizione è data prima dalla marchesa («Cette femme, si clairvoyante contre Vous […]», 63), quindi accettata da Valmont («une femme haineuse, mais clairvoyante») nella lettera in cui comunica alla Merteuil la riuscita seduzione della Tourvel (125); e viene spiegata e approfondita dalla Merteuil: «D'ʹabord, Madame de Volanges vous hait, et la haine est toujours plus clairvoyante et plus ingénieuse que l'ʹamitié» (113). E di fatto la Volanges è l’unica che non viene ingannata dalla finzione di Valmont, come dimostra nella lettera 9 alla Tourvel, ed è sul punto di fare la scelta migliore per la figlia, come si legge nella lettera 98 alla Merteuil, nella quale tutto è giusto tranne un piccolo dettaglio: il destinatario, che lei crede una virtuosa confidente ed è invece una sua mortale nemica.
Fra tutti i personaggi dominati dal codice ingenuo, forse uno solo lo è in modo integrale, compattamente coerente con i suoi luoghi comuni, ed è Danceny. Il giovane cavaliere di Malta – qualifica che lo obbligherebbe al celibato, come osserva con dispiacere la piccola Volanges che lo ama (7) – viene manipolato dai due libertini in quasi ogni punto: viene presentato a Cécile per l’intermediazione della Merteuil, viene da lei ammaestrato su come sedurre Cécile, insegnamento che mette in pratica con palese goffaggine; subisce senza
saperlo il tradimento della marchesa quando questa decide di denunciare lui e Cécile a madame de Volanges; addirittura raccomanda a Cécile di accogliere nella sua camera Valmont, che crede amico e intermediario, rendendo così tecnicamente possibile la sua seduzione; torna a vedere Cécile, sempre quando lo decidono i due e per loro tramite; diventa amante della Merteuil – pur senza aver dimenticato Cécile – quando la marchesa lo vuole. Le sue lettere private a madame de Volanges e a Cécile (64-‐‑65) finiscono, aperte, per essere inviate da Valmont alla Merteuil (66), un gesto che sancisce in modo plateale la superiorità conoscitiva dei due. Persino nelle due lettere estatiche indirizzate alla Merteuil dopo l’inizio della loro relazione (148, 150), Danceny non sa rinunciare alle esclamazioni oppositive («Ô vous, que j'ʹaime! ô toi, que j’adore! ô vous, qui avez commencé mon bonheur! ô toi, qui l'ʹas comblé!», 148) o all’ingegnosità metalinguistica con cui in una lettera esalta il valore di una potenziale lettera (che la Merteuil rifiuta di scrivergli) anche sul piano fisico, come oggetto da accarezzare (150). Le sue lettere sono straripanti di formule retoriche da romanzo. E la cosa vertiginosa è che la stessa Merteuil, per indurlo a confidarsi apertamente con lei e quindi per ingannarlo, gli scrive un’assoluta verità:
Quittez donc, si vous m'ʹen croyez, ce ton de cajolerie, qui n'ʹest plus que du jargon, dès qu'ʹil n'ʹest pas l'ʹexpression de l'ʹamour. Est−ce donc là le style de l'ʹamitié? non, mon ami, chaque sentiment a son langage qui lui convient; et se servir d'ʹun autre, c'ʹest déguiser la pensée que l'ʹon exprime. […] Mon ami, quand vous m'ʹécrirez, que ce soit pour me dire votre façon de penser et de sentir, et non pour m'ʹenvoyer des phrases que je trouverai, sans vous, plus ou moins bien dites dans le premier Roman du jour. (121)
A differenza dello style de l’amour di cui parlava la Rosemonde, lo
style de l’amitié preteso qui dalla Merteuil non prevede l’ellissi, ma franchise et simplesse, e cioè banalmente un’effusiva sincerità che
crede. Il romanzo sentimentale è qui menzionato esplicitamente come modello del codice ingenuo, ma questa osservazione così acuta e veritiera non è fine a se stessa, bensì mira ad accreditare – indebitamente – la sincerità di chi scrive, e contemporaneamente a manipolare senza scrupoli l’interlocutore.
Il fatto che Danceny sia il rappresentante più compiuto e senza incrinature del codice ingenuo ha un rapporto certo non casuale con il suo essere al centro della svolta tragica più importante del romanzo. Dopo la rottura fra i due protagonisti, la Merteuil per vendicarsi illumina Danceny mostrandogli le lettere in cui Valmont si prende gioco di lui: da qui il duello fra Danceny e Valmont, e la catastrofe finale. A sua volta, Valmont si vendica della marchesa affidando in punto di morte a Danceny l’intero carteggio, che gli rivela infine tutta la realtà e di cui pubblica due lettere chiave20, portando così alla rovina
la Merteuil. In altri termini, è il destino di Danceny quello di essere manipolato persino quando viene portato a conoscenza del vero stato delle cose.
4. Il codice libertino
A differenza del codice ingenuo – che a parte le sfumature esaminate si presenta sostanzialmente compatto – il codice libertino esibisce due grandi varianti, in rapporto al suo destinatario. Quando è diretto a un altro libertino (e cioè, a parte poche eccezioni, nelle lettere che i due protagonisti scambiano fra loro), dominano, da un punto di vista formale, l’ironia e il cinismo ai danni dei personaggi ingenui. Dal punto di vista del contenuto invece, almeno in generale, il codice prevede che l’informazione sia veritiera: quando parlano fra loro, i due libertini dicono i fatti così come si sono svolti, e in fondo è solo attraverso questo scambio che sappiamo come procedono in realtà le vicende. Fermo restando che anche Valmont e la Merteuil possono ingannare se stessi o l’un l’altro, l’intera vicenda è una grande trama di
20 L’autobiografica 81 e il resoconto dell’inganno subito da Prévan nella
illusioni creata dalla loro collaborativa menzogna, nella quale cadono senza eccezioni gli altri personaggi, e che rimarrebbe incomprensibile al lettore nei suoi punti nodali se non fosse appunto per la sincerità con cui i due si informano vicendevolmente. Quando invece il codice libertino è diretto a un personaggio ingenuo, è in sostanza sempre menzognero; tuttavia questa menzogna presenta una varietà di forme linguistiche e logiche ben calibrata sul destinatario, a seconda dell’effetto che si intende raggiungere21.
Un caso molto particolare di sincerità del libertino è la lettera 81 indirizzata a Valmont, la cui importanza – ben riconosciuta dalla critica – è segnalata sia dalla sua posizione centrale in termini di collocazione nel romanzo, sia dal fatto di essere una delle due lettere rese pubbliche da Danceny al fine di «démasquer une femme aussi réellement dangereuse que l’est M.me de Merteuil» (169). Smascherare è qui un termine particolarmente appropriato: la Merteuil può deporre la maschera solo davanti a Valmont, raccontandogli – per una volta in piena sincerità – la propria vita e la propria educazione sentimentale. Così facendo, la marchesa non solo espone quali sono i presupposti e le modalità della propria formazione, ma chiarisce anche i principi generali che governano la condotta libertina, e le sue vere finalità.
Un libertino non diventa tale per caso, né può essere il frutto dell’educazione altrui: qui corre la differenza fra un vero libertino e un disgraziato i cui costumi sono stati corrotti dall’ambiente sociale o dalle amicizie personali. La marchesa è il frutto prezioso di una lunga e sofferta autoeducazione:
Mais moi, qu’ai-‐‑je de commun avec ces femmes inconsidérées? quand m'ʹavez-‐‑vous vue m'ʹécarter des règles que je me suis prescrites, et manquer à mes principes? je dis mes principes, et je le dis à dessein: car ils ne sont pas comme ceux des autres femmes, donnés au hasard, reçus sans examen et suivis par habitude, ils
21 Questa “logica della scrittura”, e le sue conseguenze sullo scambio
sont le fruit de mes profondes réflexions; je les ai créés, et je puis dire que je suis mon ouvrage.
Je suis mon ouvrage: una giusta fierezza attraversa tutto il resoconto
della marchesa22, che è ben cosciente come l’appartenenza al sesso
femminile renda tutto più difficile, ma al contempo renda anche possibile lo sviluppo di capacità che un maschio non avrà mai, semplicemente perché non ne avrà mai bisogno: «Croyez−moi, Vicomte, on acquiert rarement les qualités dont on peut se passer». Vedremo subito quale di queste capacità sia la più importante: ma ciò che la marchesa vuole sottolineare è che la sua ricerca non aveva come scopo l’amore, nemmeno inteso volgarmente come piacere carnale. La Merteuil è un esempio splendido e irripetibile di eroe intellettuale, che ambisce prima di tutto alla conoscenza razionale, al sapere come stanno veramente le cose: «Ma tête seule fermentait; je ne désirais pas de jouir, je voulais savoir; le désir de m'ʹinstruire m'ʹen suggéra les moyens». E questo perché ha capito benissimo fin dal primo momento che è proprio questa superiorità conoscitiva a stabilire una gerarchia fra gli esseri umani anche al di là degli svantaggi legati all’appartenenza al genere femminile; e le è chiaro da subito che, se esiste una simile gerarchia, lei intende essere fra i dominatori e non fra i dominati, e l’amore sarà solo uno strumento per raggiungere questo scopo. In una frase di importanza centrale lo dice esplicitamente: «l'ʹamour que l'ʹon nous vante comme la cause de nos plaisirs n'ʹen est au plus que le prétexte».
Per raggiungere i suoi obiettivi, la marchesa ha dovuto prima di tutto difendere se stessa dall’ambiente circostante: nessuno doveva conoscere veramente lei, e lei doveva conoscere tutto e tutti. La paziente raccolta di informazioni può avvenire solo dietro lo schermo di una irreprensibile freddezza, che si ottiene grazie alla prima qualità
22 Vedi Thomas (1986), dove tale fierezza viene assimilata a un potente
superamento dei ruoli di genere imposti. Di una duplicità sessuale della marchesa parla anche Vartanian (1963). Vedi anche l’importante monografia di R. Pomeau (2014: 214-‐‑217).
del libertino, che è la dissimulazione. Non è una semplice menzogna, ma qualcosa che attinge all’esercizio spirituale, una forma di ascesi finalizzata alla conoscenza e al dominio: la marchesa si impone infatti dei dolori volontari, in modo da abituarsi alla dissociazione fra il proprio stato interiore e l’aspetto esteriore, che deve sempre apparire lieto e sereno, e posarsi sugli oggetti che la interessano senza destare in alcun modo l’interesse altrui: uno sguardo distratto, che infatti un libertino come Valmont capisce e apprezza immediatamente: «j'ʹobtins dès lors de prendre à volonté ce regard distrait que vous avez loué si souvent». E subito sotto, con frase strutturalmente simile, passa dal particolare al generale: non solo lo sguardo, ma tutto il corpo è tenuto sotto il ferreo controllo della volontà: «Je me suis travaillée avec le même soin et plus de peine, pour réprimer les symptômes d'ʹune joie inattendue. C'ʹest ainsi que j'ʹai su prendre sur ma physionomie cette puissance dont je vous ai vu quelquefois si étonné». Fra Valmont e la Merteuil la complicità è profonda, perché entrambi conoscono il valore di questa assoluta padronanza sul proprio corpo. Il libertino ha necessità vitale di un simile autocontrollo esattamente come l’attore23: il quale – a meno che non sia un cattivo attore – non fa mai coincidere il proprio stato emotivo interiore con il proprio aspetto, ma fa anzi leva sulla propria freddezza intellettuale per simulare ogni tipo di emozione, le più diverse da un personaggio all’altro, utilizzando il corpo come un docile strumento comunicativo che risponde non all’impulsività immediata, ma al controllo del raziocinio. Tutto ciò si legge nell’ammirevole scritto teorico di Diderot sul Paradosso dell’attore, scritto pochi anni prima delle Liaisons (1770-‐‑1780) e che certamente Laclos non poteva conoscere – in quanto pubblicato postumo nel 1830 – ma le cui sorprendenti analogie con la lettera 81 testimoniano di un’affinità culturale profonda24. Il paradosso dell’attore consiste nel
fatto che colui che risveglia le emozioni più forti è anche colui che ne
23 Su Valmont e la Merteuil come attori, ma anche come spettatori, vedi
Dunn (1984).
prova di meno: e anzi, proprio la freddezza emotiva durante la recitazione è una precondizione dell’eccellenza:
C’est l’extrême sensibilité qui fait les acteurs médiocres; c’est la sensibilité médiocre qui fait la multitude des mauvais acteurs; et c’est le manque absolu de sensibilité qui prépare les acteurs sublimes. Les larmes du comédien descendent de son cerveau […] il pleure comme un prêtre incrédule qui prêche la Passion; comme un séducteur aux genoux d’une femme qu’il n’aime pas, mais qu’il veut tromper. (Diderot 1994: 46)
Queste «lacrime che scendono dal cervello» sono da mettere in relazione con l’affermazione della marchesa secondo cui ma tête seule
fermentait; o con il rimprovero che Valmont rivolge a se stesso nella
lettera in cui racconta la seduzione della Tourveil, quando sperava freddamente nell’effetto delle lacrime, ma non riuscì a farle uscire:
J’avoue qu'ʹen me livrant à ce point j'ʹavais beaucoup compté sur le secours des larmes: mais soit mauvaise disposition, soit peut−être seulement l'ʹeffet de l'ʹattention pénible et continuelle que je mettais à tout, il me fut impossible de pleurer. (125)
5. «I principi inalterabili del pudore»
Quando invece i libertini si rivolgono a un personaggio ingenuo raramente deflettono da una menzogna ininterrotta; la quale però si articola in figure e su piani sempre diversi. Ne esamino qui alcune, senza la pretesa di essere esaustivo – pretesa che richiederebbe un esame ben più dettagliato del romanzo nel suo complesso. Menzogna è la mimesi del discorso ingenuo, che attira l’interlocutore sul piano a lui congeniale per ingannarlo e manipolarlo nel modo più efficace: una mimesi che non è tuttavia mai completa, ma lascia sempre un varco al plurisenso, talvolta rincarando con sospetta esagerazione i principi morali che informano il codice ingenuo originale. Quando tale varco si amplia, il testo assume il carattere sempre più evidente di ambiguità
ironica, dove il piacere della superiorità linguistica e conoscitiva si
unisce alla pulsione aggressiva nei confronti del moralismo conformista. Un ulteriore strumento di manipolazione logica – e di grandissima importanza nell’economia del romanzo – è l’allusione
metalinguistica: si parla spesso, nelle lettere, della lettera in generale,
nella sua materialità, oppure si critica un determinato linguaggio, soprattutto – come si è visto anche sopra, nei rimproveri della Merteuil a Danceny – il cosiddetto «linguaggio da romanzo»25.
Esemplari per la mimesi del discorso ingenuo sono naturalmente le numerose lettere che Valmont invia alla Tourvel per sedurla26. Quasi
mai, però, la simulazione ha le caratteristiche dell’effusione sentimentale fine a se stessa: ben più spesso invece assume l’aspetto del double bind, dell’ingiunzione paradossale che mette l’interlocutore dalla parte del torto qualunque cosa faccia, e anche se non fa nulla. Pierre Bayard, in quella che è una delle più significative monografie sulle Liaisons, ha analizzato con finezza e nei dettagli la ragnatela logica invincibile con cui Valmont immobilizza progressivamente la Tourvel nel gioco del double bind27. La presidentessa non può naturalmente assecondare Valmont senza venir meno ai suoi principi morali; ma non può nemmeno respingerlo, perché causare sofferenza è un peccato contro il prossimo inconciliabile con i valori cristiani; e tagliare ogni rapporto con lui – chiudere il canale comunicativo – può voler dire condannare alla perdizione un’anima che, forse, sta cercando di tornare a Dio attraverso un amore puro per lei. Per parte sua, a Valmont è invece perfettamente chiara la natura convenzionale delle proprie lettere, che in quanto tali si equivalgono; sicché, quando la Tourvel gliele fa restituire chiuse, si limita a cambiare la busta e rispedirle, per non perdere tempo: «mettre mes doléances en lieux
25 Questa prevalenza della narrazione libertina sull’atto vero e proprio è
ben evidenziata in McCallam (2003).
26 Casi paradigmatici, che riassumono con enfasi i loci communes del
romanzo sentimentale e che meriterebbero un’analisi dettagliata, sono le lettere 24, 35, 36, 42, 58, 68, 77, 91, 137.
communes, et de ne point dater […] c’est toujours la même Lettre qui va et vient; je ne fais que changer d’enveloppe» (110). Straordinario è poi il dittico delle lettere che la Merteuil invia alla Volanges e a Cécile quando deve impedire che la madre rinunci a maritare la figlia con Gercourt per assecondarne l’amore verso Danceny (98). La lettera alla Volanges (104) è una difesa dell’etica reazionaria che giudica il denaro un presupposto indispensabile alla felicità, e contemporaneamente dell’etica aristocratica, in nome dei «principes inaltérables de pudeur, d'ʹhonnêteté et de modestie». L’abitudine viene esaltata come fondamento alla solidità di ogni matrimonio, contro ogni passione. In clamorosa opposizione a tutto ciò, nella lettera immediatamente successiva indirizzata a Cécile cade la retorica del moralismo, pur rimanendo intatta la volontà di inganno: un marito vale l’altro, e tutti sono comunque meglio di una madre importuna; Cécile potrà sposarsi e continuare la sua storia con Danceny, oltre che quella con Valmont; la vergogna dell’adulterio è momentanea come il dolore della deflorazione. Mentre scrivendo alla madre la Merteuil fa la moralista per nascondere di essere libertina, scrivendo alla figlia fa la libertina per nascondere i suoi progetti di manipolazione.
Nell’ambiguità ironica si esprime invece il puro piacere di far coincidere nello stesso testo il codice ingenuo con il codice libertino. Esempio superlativo di questa figura è la lettera 48 scritta da Valmont alla Tourvel usando come scrivania la schiena di una sua amante e che è fitta di doppi sensi al solo scopo di deridere la presidentessa: «Tout semble augmenter mes transports: l'ʹair que je respire est plein de volupté; la table même sur laquelle je vous écris, consacrée pour la première fois à cet usage, devient pour moi l'ʹautel sacré de l'ʹAmour». La lettera viene inviata aperta alla Merteuil, in primo luogo perché la spedisca con il timbro postale di Parigi: ma soprattutto perché l’ironia, quando è fine a se stessa e non ha un intento manipolatorio, deve necessariamente avere un pubblico.
Per quanto riguarda le allusioni metalinguistiche, di cui il romanzo è praticamente intessuto nella sua interezza, ho già esaminato sopra il caso delle lettere che parlano – quasi ossessivamente – dell’oggetto lettera, dell’educazione linguistica di un personaggio nei
confronti di un altro (esemplare è il caso visto sopra della piccola Volanges), e della critica al «linguaggio da romanzo» da parte di quelli che sono, in fondo, i personaggi di un romanzo. Un altro esempio affascinante potrebbe essere il rispecchiamento simmetrico della scrittura da un punto all’altro del testo: così la lettera 117 viene scritta da Cécile a Danceny sotto dettatura di Valmont, così come la lettera con cui abbandona la Tourvel è scritta da Valmont sotto dettatura della Merteuil. Vorrei però concludere esaminando quale sia la funzione di queste aporie metalinguistiche facili a rintracciarsi in ogni punto delle
Liaisons.
La prima funzione è quella di creare un double bind in cui cadono nell’ordine il personaggio ingenuo, ma anche il libertino (ciò che determina la catastrofe, come dirò subito sotto), e alla fine anche il lettore, esposto a un testo il cui presupposto implicito è l’ingannevolezza
di ogni testo: per cui si realizza in pieno il paradosso di Epimenide, e
l’impossibilità di decifrare il senso ultimo del testo medesimo. Bayard, che ha individuato con precisione questo meccanismo delle Liaisons, ha riassunto il problema in una formula, che è imputabile al romanzo nel suo complesso: «celui qui me lit se trompe»28, e che lo rende, sotto
diversi aspetti, un romanzo impossibile29. – Ma all’interno del romanzo, il
double bind ha anche la funzione, cui ho già accennato, di acquisire il potere: il tema di Laclos non è dunque l’amore, ma la dominazione.
Ciò naturalmente crea un ulteriore paradosso logico quando si tratta dei rapporti fra i due libertini, accomunati dalla volontà di dominio, che però non è, per sua natura, suddivisibile: il fragile equilibrio del dominio si spezza alla fine proprio su questo punto. Se il libertino mente sempre, gli sarà difficile astenersi dal tentativo di dominare il suo pari: l’abbandono della Tourvel da parte di Valmont rompe l’equilibrio, perché la Merteuil lo considera un successo non
28 Ibid.: 180.
29 Il complesso rapporto che si instaura fra le Liaisons e il lettore è preso
in considerazione in Hofer (1975). Valerie Minogue ritiene che il lettore stesso subisca una seduzione confrontabile, sul piano formale, alla seduzione della Tourvel da parte di Valmont (1972).
sulla presidentessa, ma su Valmont (145); e d’altra parte la stessa Merteuil riconosce esplicitamente (152) che Valmont desidera non tanto i suoi favori quanto abusare del proprio potere. E nella lettera 131 di nuovo la Merteuil riconosce il paradosso:
Mais dites−moi, Vicomte, qui de nous deux se chargera de tromper l'ʹautre? Vous savez l'ʹhistoire de ces deux fripons qui se reconnurent en jouant: Nous ne nous ferons rien, se dirent−ils, payons les cartes par moitié; et ils quittèrent la partie. Suivons, croyez−moi, ce prudent exemple, et ne perdons pas ensemble un temps que nous pouvons si bien employer ailleurs.
Purtroppo, come sappiamo, questo «prudente esempio» non verrà seguito dai due libertini, che cadranno vittime di uno scontro apparentemente inevitabile come inevitabili sono tutte le inferenze logiche – inevitabili al di là di ogni proposito psicologico. La rottura dell’equilibrio del dominio è sancita dalle poche parole della Merteuil alla lettera di ultimatum di Valmont: «Hé bien! la guerre» (153). E proprio in questo consiste la tragicità delle Liaisons: nell’apparente impossibilità di un pasdeguerre che mantenga l’equilibrio e contemporaneamente riconosca il proprio paradosso30.
30 Questo lavoro è dedicato a Ilaria Meoli, che ha collaborato in modo
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L’autore
Mauro Nervi
Mauro Nervi è laureato in Germanistica e Filosofia, ed è dottore di ricerca in Filologia nell’Università di Pisa. Ha pubblicato su Kafka, Hölderlin, Kleist e Goethe. Ha recentemente pubblicato una monografia sul Processo di Franz Kafka (Il Processo di Kafka. Un’altra
idea di letteratura, Carocci, Roma 2019).
L’articolo
Data invio: 31/05/2019
Data accettazione: 31/10/2019 Data pubblicazione: 30/11/2019
Come citare questo articolo
Nervi, Mauro, “Eros e menzogna. Le Liaisons dangereuses”, Spazi
tra le nuvole. Lo spazio nel fumetto, Finzioni. Verità, bugie, mondi possibili,
Eds. R. Galvagno – M. Rizzarelli – M. Schilirò – A. Scuderi, Between, IX.18 (2019), http://www.betweenjournal.it