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"Egli è il primo de' sovrani, ch'abbia fatto uno scavamento così vasto, durevole e dovizioso": scavo e pubblicazione dei reperti vesuviani in un manoscritto galianeo del 1756

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(1)

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

La cultura dell’antico a Napoli

nel Secolo dei Lumi

Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco

a cura di

(2)

STUDI E RICERCHE DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI POMPEI

(3)

Direttore Collana Massimo Osanna

Ufficio Editoria Luana Toniolo

Consiglio di Amministrazione del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna

Pierpaolo Forte Angela Barbanente

Marta Ragozzino

Comitato Scientifico del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna

Demetrios Athanasoulis Irene Bragantini Roberto Castelluccio

Stefano De Caro

Comitato Scientifico Internazionale

Carmela Capaldi – Università degli Studi di Napoli Federico II Maria Luisa Catoni – IMT Scuola Alti Studi Lucca

John Clarke – The University of Texas at Austin Francesco De Angelis – Columbia University

Steven J. R. Ellis – University of Cincinnati Giorgio Rocco – Politecnico di Bari

José María Luzón – Real Academia de Bellas Artes de San Fernando Renata Picone – Università degli Studi di Napoli Federico II Felix Pirson – German Archaeological Institute, Abteilung Istanbul Carlo Rescigno – Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

Christopher Smith – University of St Andrews William Van Andringa – École Pratique des Hautes Études

(4)

LA CULTURA DELL’ANTICO A NAPOLI

NEL SECOLO DEI LUMI

Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco

Atti del Convegno Internazionale

Napoli-Ercolano 14-16 novembre 2018

a cura di

Carmela Capaldi e Massimo Osanna

(5)

Massimo Osanna e Carmela Capaldi (a cura di) La cultura dell’antico a Napoli nel secolo dei lumi

Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco Atti del Convegno Internazionale

Napoli 14-16 novembre 2018

Didascalie delle illustrazioni degli occhielli:

Progetto grafico:

Alessio Gasparri

© Copyright 2020 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Sistemi di garanzia della qualità

UNI EN ISO 9001:2015

Sistemi di gestione ambientale

ISO 14001:2015

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto del Parco Archeologico di Pompei

In copertina:

Massimo Osanna e Carmela Capaldi (a cura di)

La cultura dell’antico a Napoli nel secolo dei lumi. Omaggio a Fausto Zevi nel dì genetliaco

ISBN: 978-88-913-2041-4 (cartaceo) ISBN: 978-88-913-2043-8 (digitale)

CDD 930.10283

1. Scavi archeologici - Pompei Via Marianna Dionigi 57

00193, Roma - Italy www.lerma.it

70 Enterprise Drive, Suite 2 Bristol, Ct 06010 - USA lerma@isdistribution.com

(6)

INDICE

Presentazione, Massimo Osanna, Carmela Capaldi ... p. VII

Introduzione ... » IX

L’omaggio del sigillo, Arturo De Vivo ... » XI

Lectio magistralis Fausto dicata ... » XIII

Foro di Cuma. Scavi dell’Università Federico II 1994-2018, Carlo Gasparri ... » XV

I. Il gusto per l’antico ... » 1

Napoli e Pompei nell’Encyclopédie, Paolo Amodio, Mario Cosenza ... » 3

Antichità e collezioni napoletane nella Reise nach Italien (1723) di Georg Christoph Martini

detto il Sassone, Antonio Milone ... » 11

Some English Travellers of the Campanian Grand Tour, José María Luzón Nogué ... » 23

“Top secrets”. I primi decenni degli scavi borbonici, Agnes Allroggen Bedel ... » 35

Johann Joachim Winckelmann, da Dresda “via Roma” a Napoli.

L’importanza dei suoi Sendschreiben per la conoscenza in Germania delle scoperte archeologiche

nel Regno dei Borbone, Friedrich Wilhelm Von Hase ... » 43

Viaggio nell’antico: Winckelmann e “la questione di Napoli”, Carmela Capaldi ... » 53

L’eredità di Winckelmann nella percezione dell’Antico, Claudia Valeri ... » 73

Roma e Pompei nei palazzi spagnoli del XVIII secolo, Mirella Romero Recio ... » 87

II. Documentare l’antico ... » 101

«Egli è il primo de’ Sovrani, ch’abbia fatto uno scavamento così vasto, durevole, e dovizioso [---]

come convenivasi ad un Re». Scavo e di pubblicazione dei reperti vesuviani

in un manoscritto galianeo del 1756, Paola D’alconzo ... » 103

Le antichità di Napoli e l’orgoglio municipale nella Mappa topografica del Duca di Noja,

Leonardo Di Mauro ... » 125

Da Cortona a Napoli, “lontano da Ercolano”. La traduzione de La Mythologie

di Antoine Banier, Eduardo Federico ... » 133

Fuentes para el estudio de la Casa de Diana en Pompeya:

la lucha por el poder y los documentos contables, María Del Carmen Alonso Rodríguez ... » 141

(7)

Winckelmann a Paestum e le origini del dorico: la gestione di un problema, Gabriel Zuchtriegel ... » 157

Au rebours: Giovanni Battista Piranesi fra Napoli, Pompei e Paestum, Luigi Gallo ... » 167

Suggestioni piranesiane nelle arti decorative del Regno delle Due Sicilie, Raffaella Bosso ... » 179

III. Antiquaria e Collezionismo ... » 195

L’altro volto dell’Antico: l’etruscheria e il collezionismo dei vasi figurati, Concetta Lenza ... » 197

Una raccolta napoletana di “vasi etruschi” a Stoccolma: Ferdinando Galiani e Gustavo III

collezionisti di antichità, Luca di Franco, Silvio la Paglia ... » 215

La Collezione Borgia al Real Museo Borbonico e l’interesse per le antichità etrusco-italiche

nel quadro della temperie culturale dell’epoca dei Lumi, Floriana Miele ... » 245

La collezione degli ori del Real Museo Borbonico, Lucia Scatozza ... » 269

Il ritratto dello Pseudo-Seneca tra scoperta e collezionismo, Marina Caso ... » 283

Le antichità di Benevento fra identità pubblica e tradizione antiquaria, Italo Iasiello ... » 295

La riscoperta dell’epigrafia ebraica in Italia meridionale

fra XVII e XVIII secolo, Giancarlo Lacerenza ... » 307

Il modello del “virtuoso” nella cultura antiquaria del XVIII secolo a Catania:

dalle reliquie di Vincenzo IV ai reperti di Ignazio V di Biscari, Stefania Pafumi ... » 319

Una disputa del secolo dei Lumi: il sarcofago agrigentino

con il mito di Fedra e Ippolito, Federico Rausa ... » 335

IV. Scavi e Scoperte ... » 349

Domenico Venuti e gli scavi borbonici di Minturno, Giuseppe Scarpati ... » 351

Una scoperta di Francesco La Vega, Valeria Sampaolo ... » 367

Rinvenimenti monetali ad Ercolano nel ’700, Marina Taliercio ... » 379

Paderni e Winckelmann. Il Gabinetto numismatico: classificare, conservare

ed esporre le monete antiche, Emanuela Spagnoli ... » 395

Die Gleichzeitigkeit des Ungleichzeitigen. Gli scavi borbonici come stratigrafia

del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano ... » 419

Pompei tra vecchi e nuovi scavi, Massimo Osanna, Laura D’esposito, Francesco Muscolino ... » 435

V. Profili biografici tra mito e realtà ... » 445

Maria Amalia di Sassonia nell’Officina dei Papiri Ercolanesi, Giuliana Leone ... » 447

Luigi Vanvitelli o Archimede Fidiaco in Arcadia, Rosanna Cioffi ... » 459

Pasquale Baffi grecista e rivoluzionario, Maria Gabriella Mansi ... » 467

Enrico Colonna, un artista fra ribellione e classicismo, Maria Rosaria Nappi ... » 475

L’assalto al forte di Vigliena e l’Antonio Toscani di Francesco Jerace, storia di una rivoluzione ideale.

Nuovi documenti e testimonianze critiche, Isabella Valente ... » 489

Conclusione ... » 505

Per concludere, Fausto Zevi ... » 507

Elenco degli Autori ... » 513

Programma del Convegno ... » 000

INDICE

(8)

II

(9)
(10)

Tra le varie possibilità offerte dalla cornice molto ampia di queste giornate di studio, ho pensato di proporre un affondo su un manoscritto galianeo sul quale lavoro da tempo, dopo averlo affrontato per la prima volta nell’ambito di una più ge-nerale riconsiderazione dei tormentati rapporti di Winckel-mann con gli ambienti napoletani, per poi presentarne qualche tratto saliente anche in un breve saggio pubblicato nel 2018, e via via in altre sedi1. Mi riferisco a un volume rilegato, conser-vato presso la Società Napoletana di Storia Patria, la cui coperta in cuoio è ornata dallo stemmo di Carlo di Borbone; l’autore e la data in cui il testo fu ‘licenziato’ si evincono dalla Dedica, firmata da Ferdinando Galiani il 5 marzo 1756, mentre il titolo è riportato sul frontespizio, che graficamente ricalca l’im-postazione di un testo a stampa: Pitture antiche che si conservano

nella Real Villa di Portici, dissotterrate per ordine della Maestà del re Carlo, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme […] per

suo ordine incise ed illustrate2 (fig. 1). In attesa di pubblicarne la trascrizione integrale commentata, ho ritenuto che antici-parne alcuni contenuti, estraendone singoli nuclei tematici compatti, fosse il modo più agile e rapido per iniziare a portarlo all’attenzione degli studi. Con tutta evidenza, ciò significa ri-chiamare ancora una volta l’attenzione sugli interessi antiquari del suo autore, Ferdinando Galiani (fig. 2), che, dopo decadi di silenzio o di sguardi distratti, nel giro di pochi mesi sembrano aver acceso il repentino interesse di diversi ricercatori: per quanto mi riguarda – avendo già discusso il suo sfaccettato rapporto con le antichità in una precedente occasione, cercando di chiarire la peculiare osmosi tra incarichi istituzionali, variegati interessi collezionistici e coinvolgimento col mercato, temi su cui altri studiosi sono poi tornati3 – ho ritenuto che in questa sede potesse risultare di qualche utilità osservare come in questo manoscritto, e in particolare nella sua Prefazione, vengano

pre-D’ALCONZO 2018; D’ALCONZO 2019a; D’ALCONZO 2020b; D’ALCONZO c.s.

1

Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria (d’ora in poi: SNSP), XXXI C 10.1. Il manoscritto misura cm 29 x 19 e consta di poco più

2

di 200 carte numerate (XIV, 193). Come ho già rilevato (D’ALCONZO 2018, pp. 62, 60 n. 33), questo testo, benché rimasto inedito, era noto da

tempo, e anche in anni relativamente recenti è stato preso in considerazione, ma estraendone non più che qualche citazione: cfr. NICOLINI 1908, p. 8; GALASSO 1975, p. 254 (riproposto in GALASSO 1989); PANE 1975, p. 205; PAGANO 1998a (riproposto in PAGANO 1998b e PAGANO 2006, pp. 24-25); GARCIAY GARCIA 2012, p. 115 (la sintetica scheda ne lascia comunque intravedere l’autonomia, e perciò stesso il notevole interesse).

Mostrando agli astanti diversi documenti inediti di Ferdinando Galiani, tutti conservati presso la Società Napoletana di Storia Patria, ho

3

affrontato questi aspetti, soffermandomi anche sulla raccolta di vasi di scavo che Galiani vendette al re di Svezia, in una relazione al convegno interna-zionale Miniere della Memoria. Scavi in archivi, depositi e biblioteche, che si è tenuto il 27 e 28 giugno 2018 (D’ALCONZO 2020a). Sugli interessi epigrafici di Galiani, si veda SOLDOVIERI 2019; presentato al pubblico dopo il mio intervento del giugno precedente, e dedicato anch’esso alla raccolta di vasi, si

veda ora pure, in questo stesso volume, il contributo di Luca Di Franco e Silvio La Paglia. Sulla figura di Ferdinando Galiani, oggetto di una bibliografia molto vasta che abbraccia l’intero spettro dei suoi interessi, si vedano almeno l’Introduzione di Furio Diaz e la Bibliografia di Luciano Guerci in DIAZ

- GUERCI 1975; DI MAJO 1998; Galiani 2007.

“E

GLI

È

IL

PRIMO

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OVRANI

,

CH

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FATTO

UNO

SCAVAMENTO

COSÌ

VASTO

,

DUREVOLE

,

E

DOVIZIOSO

”:

SCAVO

E

PUBBLICAZIONE

DEI

REPERTI

VESUVIANI

IN

UN

MANOSCRITTO

GALIANEO

DEL

1756

(11)

sentate le scelte del re di Napoli relative sia alla gestione degli scavi vesuviani che alle modalità di pubblicazione dei rinveni-menti. Tanto più considerando che, per il ruolo ricoperto da Galiani, accademico ercolanese della prima ora4, (fig. 3) questo testo si aggiunge alle altre fonti interne che documentano la

precoce archeologia borbonica, fonti, almeno in questi primi anni, numericamente limitate, anche rispetto alle testimonianze esterne, ma più significative di quanto si sia ritenuto, e sulle quali Valentin Kockel si è opportunamente soffermato anche di recente5.

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

104

Come è noto, Ferdinando Galiani fu chiamato a far parte degli accademici ercolanesi fin dal momento dell’istituzione dell’Accademia: la nomina

4

gli fu inviata da Bernardo Tanucci, vero promotore dell’iniziativa, il 13 dicembre 1755, come ricordato in DIODATI 1788, p. 23, e in CASTALDI 1840, pp. 35-36 (l’originale è conservato in SNSP, con segnatura XXXI A 8, fasc. 7, c. 11); dopo la pubblicazione del primo volume delle Antichità di Ercolano esposte, gli fu chiesto di collaborare anche alla stesura del secondo (si veda in proposito l’altra convocazione, inviatagli ancora una volta da Tanucci, il 7 settembre 1758: SNSP, XXXI A 8, fasc. 11, c. 19).

KOCKEL c.s.

5

Fig. 1. Ferdinando Galiani, Pitture antiche che si conservano nella Real Villa

di Portici, dissotterrate per ordine della Maestà del re Carlo, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme […] per suo ordine incise ed illustrate. Napoli,

Bi-blioteca della Società Napoletana di Storia Patria, Ms XXXI C 10.1, fron-tespizio. Foto © Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria.

Fig. 2. Giuseppe Sammartino, Ritratto dell’abate Ferdinando Galiani. Napoli, Museo Civico Filangieri, Inv. 402. Foto ©Archivio dell’arte – Pedicini fotografi.

(12)

Ancora qualche parola, indispensabile per ricordare le parti in cui è strutturato questo lungo manoscritto. Il fronte-spizio è affiancato dall’unica illustrazione che lo correda, un disegno a lapis, inchiostro e acquerello che sarei tentata di ri-ferire a Camillo Paderni (fig. 4): un’antiporta nella quale una felice invenzione traspone in immagine non solo i contenuti della Dedica a Carlo di Borbone (cc. I-III), ma l’offerta stessa delle pitture estratte degli scavi, che qui vengono fisicamente presentate ai sovrani nella loro concreta materialità, tanto da rendere riconoscibile l’Achille e Chirone o Educazione di

Achille, per quanto un po’ ridotto nelle proporzioni6. Se si eccettuano i rapidi schizzi eseguiti a memoria pubblicati da Cochin e Bellicard nel 1754, in alcuni dei quali i bordi irre-golari delle immagini potrebbero voler alludere ai margini degli intonaci staccati, occorrerà attendere fino al 1782, con il Voyage pittoresque dell’abate di Saint-Non, per trovare, pur con tutte le licenze di un’ambientazione più immaginata che realmente osservata, una ben più significativa raffigurazione di quello che, se non altro per lo spessore, evidentemente si voleva rappresentasse uno stacco a massello, nell’intento di rispecchiare la tecnica di prelievo dei dipinti adottata fin dalle prime scoperte ercolanesi (fig. 5). Ben diversa sarà la decisione del sovrano, al momento di scegliere l’antiporta del primo volume della Antichità di Ercolano esposte, ed è ap-pena il caso di notare che, rispetto a questa proposta galianea, che ha il tocco lieve di certe invenzioni ancora rocailles, l’im-magine di Carlo di Borbone che gli venne poi preferita si af-ferma con una perentorietà che rende ragione della sua in-terpretazione in termini di vero e proprio ritratto di Stato, in cui gli attributi del potere civile e militare convivono con altri che alludono all’impresa archeologica, simbolicamente attratta tra le virtù del sovrano, e di conseguenza del suo gio-vane regno7.

La Dedica (cc. I-IIII) (figg. 6-7) è seguita dalla Prefazione (cc. V-XIV) (fig. 8), e su di essa mi concentrerò, perché ruota in-torno all’orgogliosa rivendicazione, a nome del re di Napoli, non solo del possesso di una straordinaria collezione di antichità (che

SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 105

MANN, inv. 9109; riprodotto in AEE 1757-1792, I (1757), p. 43, tav. VIII. Per ulteriori dettagli sull’iconografia di questa antiporta, rinvio a

6

D’ALCONZO 2018, p. 62. L’attribuzione a Paderni di questo veloce abbozzo mi sembra plausibile più per motivazioni interne alla produzione del

ma-noscritto che sulla base di confronti strettamente stilistici, visto che al momento conosciamo un numero limitato di disegni o dipinti ‘d’invenzione’ eseguiti dal custode del Museo Ercolanese, che già prima di essere chiamato a Napoli si dedicava prevalentemente alla riproduzione grafica di antichità, ambito che comportava il tentativo di adeguare la maniera dell’artista allo stile dei rinvenimenti. Proprio in quanto bozzetto, non si rivela particolarmente utile confrontare questa antiporta con il disegno finito del ben noto ritratto di Carlo di Borbone, firmato e datato 1755, evidentemente già pronto per essere passato al bulino da Filippo Morghen, per poi utilizzare l’incisione in apertura dei vari volumi delle Antichità di Ercolano esposte (VÁZQUEZ

-GESTAL 2016, II, p. 373 e fig. 1). D’altro canto, mi pare che una qualche analogia si possa invece istituire tra il brano di paesaggio vesuviano inserito sullo sfondo del registro centrale di questa antiporta e il disegno con il Vesuvio in eruzione che più di dieci anni dopo Paderni avrebbe inserito nel ma-noscritto Monumenti antichi rinvenuti ne Reali scavi di Ercolano e Pompei dell’École française de Rome (il mama-noscritto è stato edito in FORCELLINO

1999 e in PANNUTI 2000, ma solo quest’ultimo riproduce la piccola veduta a cui mi riferisco).

TROMBETTA 1984, p. 166; ALLROGGEN-BEDEL 1986, p. 533; ALLROGGEN-BEDEL 2008a, pp. 53-54; MANSI 2015, p. 24; VÁZQUEZ-GESTAL

7

2016, II, pp. 385-395.

Fig. 3. Lettera inviata da Tanucci a Ferdinando Galiani con la nomina ad accademico ercolanese (Napoli, 13 dicembre 1755). Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, XXXI A 8, c. 11. Foto © Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria.

(13)

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

106

Fig. 4. Offerta dei dipinti ercolanesi ai sovrani di Napoli, in Ferdinando Galiani, Pitture antiche che

si conservano nella Real Villa di Portici, dissotterrate per ordine della Maestà del re Carlo, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme […] per suo ordine incise ed illustrate. Napoli, Biblioteca della Società

Napoletana di Storia Patria, Ms XXXI C 10.1, antiporta. Foto © Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria.

(14)

a quella data era fatto ormai noto in tutta Europa), ma soprattutto della cura a esse dedicata fin dal primo momento, in esplicita, dichiarata controtendenza rispetto a quanto accaduto altrove.

La sezione successiva è intitolata Osservazioni generali intorno

alle pitture antiche che si conservano nella Real Villa di Portici

(pp. 1-13); rinviandone l’analisi ad altra occasione, vorrei almeno rilevare che qui Ferdinando Galiani accenna anche alla distinzione delle pitture antiche in sette classi, schematicamente individuate su base iconografica, sulle quali si sofferma poi più a lungo in un’ulteriore sezione del manoscritto, non soltanto portando esempi concreti per ciascuna di esse, ma anche inserendo alcune interessanti notazioni sullo stile che le connota, in parallelo al-l’analisi delle collocazioni originarie e dei differenti formati. Pur-troppo, nel primo volume delle Antichità di Ercolano esposte tutto ciò si ridurrà a un rapido accenno inserito nell’ultima nota del capitoletto intitolato – forse proprio in dipendenza dal testo galianeo – Alcune osservazioni, aggiunto come commento finale alle tavole proposte nel primo volume sulle pitture del 1757.8

Segue la parte più densa e ponderosa del manoscritto, un lungo saggio di storia delle tecniche artistiche intitolato Del

di-pingere sopra muro usato dagl’antichi, e della maniera che lo face-vano (pp. 14-133), inteso a comprendere quali fossero i

proce-dimenti pittorici adottati dai pittori romani per eseguire i dipinti murali9.

Infine, il testo si chiude con un Indice delle pitture contenute

nel presente Libro che elenca soltanto tredici opere, e per di più è

seguito da appena quattro schede quasi del tutto complete, mentre negli altri casi il solo titolo campeggia in una pagina bianca. Se l’incompletezza dell’indice (almeno, rispetto al numero di dipinti che sarebbero stati poi pubblicati l’anno dopo) deriva dal suo valore puramente esemplificativo, ritengo che anche l’altra appa-rente lacuna possa essere spiegata sulla base del metodo adottato da Tanucci per la divisione del lavoro tra gli accademici ercolanesi, e che pertanto le uniche spieghe riportate nel manoscritto siano quelle dei dipinti le cui incisioni erano state affidate direttamente a Galiani affinché ne redigesse il testo illustrativo, in attesa di di-scuterne collegialmente l’esito insieme ai contributi stesi dagli altri accademici, così da giungere alla versione finale edita nelle

Anti-chità, che poteva differire anche notevolmente dal testo

origina-riamente elaborato da ciascun assegnatario10.

Più in generale, si può dire che, se è vero che alcune parti dello scritto galianeo possono essere rintracciate nel primo

vo-lume della serie edita dalla Stamperia Reale a partire dal 1757, esse corrispondono a una percentuale estremamente ridotta del testo di provenienza, al contrario di quanto lasciava supporre già Luigi Diodati, primo biografo di Galiani, seguito via via da altri, fino agli studiosi più recenti, che paiono aver fatto poco caso ai contenuti specifici dell’opera, semmai estraendone poche informazioni puntuali11. Ed è per tale ragione che questo lungo manoscritto merita di essere letto e considerato in tutte le sue parti, collocandolo all’interno del più ampio progetto editoriale nel quale rientrava.

Questione più spinosa è stabilire se esiste una relazione, e in che termini, tra questo testo galianeo e alcune parti del

Ca-talogo degli antichi monumenti dissotterrati dalla discoperta città di Ercolano di Ottavio Antonio Bayardi, certamente stampato

entro la fine del 175512. In effetti, i mesi corsi tra la seconda metà di quell’anno e la prima del successivo dovettero incidere in maniera significativa sul destino delle agognate pubblicazioni

SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 107

AEE 1757-1792, I (1757), nota 86, pp. 277-279.

8

Senza pretese di esaurirne i contenuti, su due differenti aspetti di questa sezione del manoscritto mi sono soffermata in D’ALCONZO 2020b e

9

D’ALCONZO c.s.

Per il solo caso del Chirone e Achille, ho messo in evidenza gli esiti di questo processo in D’ALCONZO 2018, p. 66.

10

Oltre a DIODATI 1788, p. 23 e CASTALDI 1840, p. 35-36, si vedano gli studi già indicati qui alla nota 2.

11

Pablo Vázquez-Gestal ritiene che il Catalogo sia stato stampato nel 1756 (VÁZQUEZ-GESTAL 2016, II, pp. 379, 386), ma fraintende le

testimo-12

nianze raccolte da Gabriella Mansi (MANSI 2002, p. 21; MANSI 2008, pp. 115-119), che ringrazio per i chiarimenti che mi ha gentilmente fornito.

Fig. 5. Ch. Guttemberg, da un disegno di H. Robert, Gli scavi di Er-colano, in Saint-Non, Voyage pittoresque, ou Description des royaumes

de Naples et de Sicile, 4 voll., Paris 1782-1786, II (1782), p. 3. ©

(15)

ufficiali dei rinvenimenti. Mettendo in sequenza notizie già note, occorrerà almeno ricordare che nel giugno 1755 Giovanni Fogliani perde la Segreteria di Stato di Casa Reale, e con essa la responsabilità degli scavi; immediatamente gli subentra Bernardo Tanucci, che entro la fine dell’anno istituisce l’Accademia Er-colanese e ne seleziona i primi membri; ed è probabile che alcuni di essi fossero già stati informalmente coinvolti nel lavoro anche prima della nomina ufficiale: in particolare, penso proprio a Ferdinando Galiani, alla sua solida amicizia con Pasquale Car-cani e al fatto che Tanucci aveva potuto apprezzare le capacità di entrambi quando erano ancora giovanissimi. D’altro canto,

le date di stampa dei lavori di Bayardi in parte si incrociano con quelle appena ricordate, ma a ben vedere sembrano rincor-rere gli avvenimenti: personalmente, sono portata a credere che solo i volumi del Prodromo delle Antichità di Ercolano rispecchino il modo di guardare all’antico del loro autore, che – anche a non voler considerare i contenuti, che si risolvono in un’unica, verbosa e prolissa divagazione storica – sembra non tenere in alcun conto i reperti emersi dagli scavi; qui il prelato accenna anche al suo progetto di pubblicazione, ma in un modo vago e un po’ confuso che ha poco a che vedere con ciò che scriverà nella prefazione al Catalogo del 175513. Nella Prefazione di

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

108

BAYARDI 1752, p. XX: “Con questo Proemiale ragionamento m’aprirò il cammino ad una intrapresa molto maggiore, che sarà quella d’esporre

13

in molti volumi agli occhi d’ognuno la spiegazione delle Fabbriche sì pubbliche, che private, delle Pitture, delle Statue, de’ Vasi, delle Iscrizioni, e di tutto ciò, che d’antico entro al circuito della discoperta Città s’è trovato”.

Figg. 6-7. Dedica, in Ferdinando Galiani, Pitture antiche che si conservano nella Real Villa di Portici, dissotterrate per ordine della Maestà del re

Carlo, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme […] per suo ordine incise ed illustrate. Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria,

(16)

quest’ultimo, invece, sembra saltar fuori un Bayardi diverso, sia nello stile che nei contenuti, tutto proteso in uno slancio autopromozionale che lo porta ad ascrivere a se stesso, se non la concreta realizzazione – ché ormai era troppo tardi – almeno la progettazione delle modalità di pubblicazione dei reperti, effettivamente piuttosto simili a quelle che saranno di lì a poco esposte nel manoscritto di Galiani, e poi anche, ma parzial-mente, nel primo volume delle Antichità di Ercolano esposte. A minarne la credibilità interviene anche un altro elemento: nella

Lettera di monsignor Ottavio Antonio Bayardi diretta a sua emi-nenza il sig. cardinale Angiolo Quirino bibliotecario della Santa Romana Chiesa, edita nel 1754, il prelato si era già attribuito

una serie di meriti (aver riconosciuto il teatro di Ercolano; l’in-troduzione di un corretto metodo di scavo, per quanto sotter-raneo; la decisione di trarre le piante di tutti gli edifici scoperti) che, sulla base di altre fonti e dei documenti, noi sappiamo essere stati di chi l’aveva preceduto; meriti che, non a caso, si guarderà bene dall’ascrivere a sé nell’introduzione del Catalogo: opera con la quale, com’è noto, si cercò in qualche modo di porre rimedio al fastidio con cui erano stati universalmente ac-colti i farraginosi tomi del Prodromo, che il suo autore aveva il coraggio di dichiarare non ancora completo.

A ogni buon conto, il tema esula dagli obiettivi di questo mio contributo, per cui mi limito per ora a osservare che molte delle dichiarazioni di Bayardi che sembrano precorrere l’impo-stazione del lavoro che sarà poi adottata dall’Accademia ercola-nese affiorano – in parte come giustificazioni, in parte come autoelogio – solo quando il prelato sente già vacillare il proprio incarico esclusivo, mentre prima quasi non ve n’è traccia. Sicché non si può escludere che egli abbia, per così dire, ‘tratto ispira-zione’ dal nuovo corso che vedeva profilarsi dopo l’ascesa di Ta-nucci alla Segreteria di Stato, fino poi a farsi consapevole del-l’inconciliabilità dei rispettivi metodi di lavoro e dunque abbandonare Napoli, nel maggio 175614.

Vengo al punto, ripartendo dall’inizio, ossia dalla Prefazione alla quale ho accennato poc’anzi. Per considerarne appieno il valore, è importante fare caso alla data del manoscritto: 5 marzo 1756 (fig. 7). Erano passati meno di tre mesi dalla nomina dei primi Accademici Ercolanesi (13 dicembre 1755), e siamo co-munque a ridosso dell’ultima fatica di Bayardi, il già ricordato

SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 109

A quelle stesse affermazioni che in me suscitano non poche perplessità, dà invece credito Christopher Parslow, che riconosce a Bayardi un

ap-14

proccio che “had at its core a single guiding vision that south to present a complet picture of the antiquities” (PARSLOW 1995, p. 83). Ancor più Pablo Vázquez Gestal, al quale peraltro si deve l’aver reso noti alcuni materiali molto interessanti: un paio di lettere inviate a Bayardi ad Anton Francesco Gori nel 1752, oltre al citato volume in forma di epistola indirizzata al cardinale Angelo Querini (cfr. VÁZQUEZ-GESTAL 2016, II, pp. 377-382; VÁZ -QUEZ-GESTAL 2019; BAYARDI 1754). Mi pare certamente credibile la denuncia della lentezza degli incisori, additati a causa del ritardo nella pubblicazione dei dipinti, elemento che anche in seguito sarà oggetto di costanti lagnanze di Tanucci, nonostante il ministro fosse riuscito a migliorarne la produttività; ma nella Lettera a Querini del 1754 è così smaccato l’obiettivo di difendere da un lato ed esaltare dall’altro il proprio operato, tanto più agli occhi di chi non era a giorno delle questioni di gestione interna, da suggerire una cauta valutazione della sua attendibilità; senza contare che anche qui Bayardi, dopo un’introduzione in cui rivendica i propri meriti, per il resto – e sono più di 250 pagine – si lascia andare a uno sproloquio analogo a quello del tanto vituperato Prodromo.

Fig. 8. Prefazione, in Ferdinando Galiani, Pitture antiche che si

conservano nella Real Villa di Portici, dissotterrate per ordine della Maestà del re Carlo, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme […] per suo ordine incise ed illustrate. Napoli, Biblioteca della Società Napoletana

di Storia Patria, Ms XXXI C 10.1, c. Vr. Foto © Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria.

(17)

Catalogo degli antichi monumenti (fig. 9), al quale Galiani fa

espli-cito riferimento. Soltanto l’anno successivo, invece, sarebbe stato finalmente edito il primo tomo delle Antichità di Ercolano esposte, rispetto al quale il testo galianeo sembra presentarsi quasi come una prova generale, se non proprio come un proposta di pubbli-cazione che – preso atto dell’impossibilità di procedere al più presto con l’edizione di un congruo numero di dipinti, anche a

causa della lentezza con la quale venivano eseguite le incisioni che avrebbero dovuto illustrarli (come già evidenziato da Bayardi, anche per giustificare le proprie divagazioni nel Prodromo) – avrebbe ben potuto prestarsi a introdurre la serie dei volumi dedi-cati alle pitture, presentandone le tipologie e le caratteristiche tec-nico-stilistiche, insieme all’illustrazione di alcune di esse, a mo’ di esemplificazione del metodo adottato.

In entrambe le ipotesi, è plausibile che Galiani pensasse a questo come il tomo di apertura delle Antichità di Ercolano, e probabilmente proprio per questa ragione ritenne necessario soffermarsi anche sulle finalità e le caratteristiche generali sia dello scavo che del progetto editoriale promosso da Bernardo Tanucci in nome e per conto di Carlo di Borbone, con l’obiet-tivo di correggere il tiro delle deludenti pubblicazioni ufficiali già edite.

In questo senso, già la Dedica al re, pur nella sua conven-zionalità, appare significativa:

“l’essersi ritrovato nelle vicinanze di Portici un inestimabile Tesoro d’antichi monumenti, non è fortuna, come il volgo si persuade, ma un giusto premio della vostra meravigliosa, e quasi divina virtù. […] Bene a ragione adunque questo di-scoprimento è oggetto non piccolo di applicazione, e di amore per la M. V. che non s’ingannerà nel riguardarlo non solo come atto ad ingrandir la gloria dell’età sua, ma anche come istrumento, e mezzo efficacissimo da potere in questa grande, e nobilissima Città ravvivare gli ottimi studj, e le nobili discipline, e le belle arti già quasi in tutto spente, ed ammortite” [c. IIIr]

Già da tempo, e da punti di vista diversi, sia Fausto Zevi che Agnes Allroggen-Bedel hanno notato che Giuseppe Maria Pancrazi, nelle sue Antichità Siciliane, aveva evidenziato la “Fortuna incon-trata da S. Maestà Siciliana nel felicissimo, e fortunatissimo suo Regno, d’essersi rinvenute due Città sotterrate”15, mentre nelle iscrizioni dettate da Alessio Simmaco Mazzocchi per il Museo Er-colanese si esalta la regia vis che ha riportato alla luce le antichità. Non si può dunque escludere che, lungi dall’essere soltanto un semplice artificio retorico, l’allusione di Galiani alla fortuna potesse anche intendersi come una sorta di risposta a quanto aveva scritto Pancrazi; a maggior ragione potrebbe suonare come replica anche a un interlocutore che di lì a qualche anno, proprio in relazione alla gestione degli scavi, avrebbe creato qualche problema reputa-zionale alla Corte di Napoli. Mi riferisco a Winckelman, che nei

Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Ma-lerei und Bildauer-Kunst (1755), parlando delle tre vestali ercolanesi

aveva scritto orgogliosamente: “Questi grandi capolavori dell’arte greca furono portati in Germania e lì onorati prima che Napoli

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

110

ZEVI 1988, p. 13; ALLROGGEN-BEDEL 1993; ALLROGGEN-BEDEL 2008a, pp. 53-54, 65.

15

Fig. 9. Ottavio Antonio Bayardi, Catalogo degli antichi monumenti

dissotterrati dalla discoperta città di Ercolano per ordine della maestà di Carlo re delle Due Sicilie…, in Napoli, nella Regia Stamperia, 1755,

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avesse la grande fortuna, come sappiamo, di possedere una singola reliquia di Ercolano”16; naturalmente, posto che Galiani, che si dimostra sempre molto aggiornato nelle sue letture, abbia potuto avere accesso alla prima edizione, stampata in pochi esemplari, e non solo alla seconda, che è proprio del 1756.

A parte questa nota di dettaglio, più interessante si rivela la

Prefazione [cc. Vr-XIIIv] del nostro manoscritto, in cui emerge

fin dall’inizio che l’obiettivo dell’ancor giovane abate – obiettivo che non abbandonerà mai, fino agli ultimi anni della sua vita17 – era quello di rivolgersi anche a chi non aveva modo di visitare gli scavi o il museo che in quegli anni si andava allestendo a Portici, e che per questo si affidava alle informazioni spesso im-precise, quando non proprio errate, messe in circolo ben prima che vedessero la luce i primi volumi della Stamperia Reale:

“Agli stranieri lontani dalla notizia del nostro primo stato, e del presente, niente apparirà di arduo, e meraviglioso in ciò, e sarà perdonabile se ingannati da invidiose, e maligne rela-zioni, o da poca fiducia mossi, altre cose a torto biasimeranno, altre impossibili brameranno, ed altre, che meglio forse de’ loro desiderj stessi si sono fatte, ma lasceranno o di desiderare, o di compiangere come trascurate. Ma muteranno essi opi-nione, ed alla nostra si accosteranno riempiendosi di lodi, e di stupore verso la Maestà del Re, quando alle cose, che siamo per dire avranno posta mente” [c. 5r]

Dopo aver tessuto le lodi dell’impegno di Carlo di Borbone sul fronte architettonico e urbanistico, così come nella promozione delle arti e delle varie manifatture, Galiani si sofferma sullo sforzo imposto dall’inattesa scoperta delle antiche città vesuviane, che avrebbe colto impreparato anche un regno meno giovane di quello napoletano, e che in effetti, ripercorso con poche parole, rende ragione di un’impresa realmente smisurata, per la molte-plicità degli aspetti coinvolti e per la sua stessa estensione:

“[Le scoperte] colgono il re, e quasi all’improvviso lo sorpren-dono ancora abitante nella villa d’un privato, e tra i fondamenti della sua. A questi nuovi ospiti tutto alla prima mancò fuorché la magnanimità del loro albergatore. Mancavano esperti cava-tori, né alcuno era tra noi, che di sì fatta arte avesse esperienza, o notizia. Non erano all’ordine stanze per riporre le cose scavate, né quante, o quali esse dovessero essere si poteva prevedere. D’abili artefici per ricomporre le statue, per risarcire i musaici, per ripulire i bronzi, per curar le pitture, e per disegnar tante antichità o era affatto sprovveduta Napoli, o que’ pochi, che v’erano, conveniva, che in altre opere fossero distratti, ed oc-cupati. Pure in brevissimo tempo si raccolgono d’ogni parte d’Italia, ed a qualunque spesa persone abilissime a quanto era di mestieri, e quello scavo, che più sprovvedutamente d’ogni altro erasi incominciato, meglio, e più accuratamente di quanti se ne sien fatti al mondo vien proseguito”. [cc. 6v-7r]

Anticipo qui che, poco oltre, Galiani avrebbe trovato il modo di inserire un’ulteriore rivendicazione, forse un po’ più generica, della cura infinita dedicata al restauro di tutti reperti, raccolti e preservati anche quando rinvenuti in frammenti: sap-piamo bene che non sempre è ciò che effettivamente accadde, e la notizia della fusione dei frammenti di bronzo per farne opere moderne, o il caso stesso della quadriga bronzea di Erco-lano, valgono a ricordarlo, ma è pur vero che – eccezion fatta per alcuni precoci episodi come quello appena ricordato, o il caso della distruzione in loco di alcuni dipinti, che però fu de-cisione del 1757, dunque successiva a questo scritto – il nostro abate aveva gioco facile ad affermare che altrove era assai meno testimoniata una prassi di salvaguardia così generalizzata, ap-plicata in un unico cantiere a tipologie e classi di materiali tra loro anche molto diverse18.

Tornando alle questioni più direttamente legate alla con-duzione di quello scavo che con efficacia aveva definito

“sprov-SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 111

Mi pare che l’idea sia adombrata in ALLROGGEN-BEDEL 1996, p. 241, nota 84, proprio in riferimento al manoscritto di Galiani; l’osservazione

16

di Winckelmann è stata spesso ricordata: cfr. l’introduzione di Carol Mattusch a WINCKELMANN 2010, p. 6; FERRARI 2015, p. 250.

Mi riferisco ai reiterati solleciti affinché si pubblicasse un’agile guida degli scavi e del museo di Portici, rivolti a Tanucci dal suo avamposto

pa-17

rigino, ma anche al suggerimento incluso nella relazione che scrisse dopo la caduta del segretario di Stato e la sua sostituzione col marchese Beccadelli: su questi due episodi, cfr. da ultimo D’ALCONZO 2019 e D’ALCONZO 2020a, con bibliografia precedente.

“Per ciò poi che riguarda il risarcire, chi potrà credere, che molte bellissime statue (quali per esempio sono le due equestri) che oggi s’ammirano

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intere, e senza segni nemmeno di commessure sieno state portate fuori dentro le ceste divise, e pestate in più di cento piccoli pezzi? In ogni altra parte d’Europa le statue trovate assai logore, e mutile si sono abbandonate, qui solo di tutte ha voluto il Re il risarcimento a qualunque costo.

De’ Musaici sebbene rozzi per la maggior parte, e di grossolano lavoro si è avuta quella cura, che altrove non s’è tenuta de’ più fini, e pregiati. E di grazia dicasi, quali Musaici (tolti quella della Villa d’Adriano) conservi più Roma de’ tanti bellissimi, che n’avea?

Ma lasciamo di più riprendere la trascuragine altrui, e dicasi piuttosto della gloria del Re, e del suo amore per le antichità.

Maggiore di quella delle statue, e de’ Musaici è stata la cura del Re per le pitture, onde è avvenuto, che come sole al mondo si riguardino quantunque non più di due secoli fa moltissime ve ne fossero, e da valenti disegnatori, ed intagliatori, e principalmente da Pietro Santi Bartoli ci sieno state conservate più per poterle compiangere, ed incolparne i distruttori, che per poterne appagare. Ma delle pitture si ragionerà lungamente nella dissertazione, che siegue” [c. VIIIv-IXr].

Sui restauri eseguiti nel cantiere di Portici, dove effettivamente si approntarono laboratori con differenti specializzazioni (marmi, pitture e mosaici, bronzi), per brevità rinvio a PRISCO 2008, con bibliografia precedente.

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vedutamente” avviato, parte da qui non solo la rievocazione della grande impresa del re di Napoli, ma soprattutto il tentativo di capovolgere un approccio fortemente critico che, allora come oggi, facendo leva sul biasimo innescato dai ferrei controlli im-posti dalla corte borbonica alla diffusione delle informazioni, rischiava di investirne il valore complessivo, finendo per di-menticare o sottostimare difficoltà e meriti della complessa ge-stione degli scavi vesuviani19.

Non a caso, dunque, proprio i meriti acquisiti nella con-duzione delle ricerche sul terreno e nella cura e musealizzazione dei rinvenimenti vengono orgogliosamente messi in evidenza da Galiani, che si premura di ricordarne al lettore caratteristiche che si sarebbe stentato a ritrovare in altri contesti, come ad esempio quello romano, che in questo settore poteva vantare ben altra tradizione:

“E per ciò che riguarda la cave qui si è tenuto esatto conto, e registro, e fatto quasi un giornale dello scavamento. Qui d’ogni edifizio, che non fosse intieramente sconcio, e disfatto s’è presa esatta pianta. Qui non ostante la copia delle preziosità ogni dì incontrate, non solo non s’è disprezzata cosa alcuna ancorché piccola, o vile, o rotta, ma si è finanche crivellato il terreno quasi in somma penuria si stesse. E se il Museo di Portici am-mirasi ricco d’innumerabili piccoli utensili unici al mondo, non è da credere, che da tante città illustri ruinate questi sieno i primi venuti fuori, ma egli è perché la cura usata è stata in-comparabilmente maggiore, che altrove”. [cc. VIIr-VIIv]

Questo passaggio merita due parole di commento. Prima di tutto, perché già qui si descrive, per essere poi ulteriormente riaffermato poco più avanti, un metodo che fin dall’inizio, al-meno nelle intenzioni, avrebbe dovuto fondarsi sulla capillare documentazione dell’andamento delle operazioni di scavo, così come dell’entità dei rinvenimenti; documentazione che, nono-stante le difficoltà frapposte dal procedere per gallerie sotterranee, avrebbe dovuto includere sempre anche la realizzazione delle

piante degli edifici esplorati. Né si può più dubitare di queste affermazioni – almeno, lo ripeto, sul piano delle intenzioni –, già che i documenti tuttora conservati sono lì a testimoniarne la veridicità; sicché, pur consapevoli dello iato tra teoria e prassi (ossia tra ordini impartiti e loro esecuzione, soprattutto in base alle diverse inclinazioni dei responsabili tecnici delle operazioni che si avvicendarono nei primi anni: Alcubierre, Bardet de Vil-lenuve, Rorro e Weber), converrà riconsiderare con maggiore pacatezza quella persistente idea di ricerche condotte “frugac-chiando alla cieca”, per puro spirito “di rapina”, che ha pesato come un macigno nel giudizio sulla precoce archeologia borbo-nica, talvolta dimenticando ciò che accadeva altrove20.

Beninteso: sarebbe insensato, oltre che in contrasto con le testimonianze delle fonti, negare che al re di Napoli e al suo

en-tourage interessavano in primo luogo i rinvenimenti, e tra di essi

quelli meglio conservati, o maggiormente significativi da un punto di vista sia antiquario che storico-artistico, e che dunque si cercava di privilegiare le indagini che si preannunciavano più fruttuose, spesso a dispetto di ricerche condotte con miglior cri-terio; ma ciononostante si seppe approntare una struttura opera-tiva, organizzata in forme fortemente gerarchiche che ubbidivano a una precisa catena di responsabilità, tendenzialmente capace di far convivere il costante tentativo di assecondare le istanze colle-zionistiche del sovrano con una non minore attenzione all’esigenza di documentare dettagliatamente i lavori21. Qualora, a partire dalla sola documentazione superstite degli anni che precedono il 1756, si ponga mente alla quantità di comunicazioni, rapporti, relazioni ed elenchi, per di più prodotti con periodicità costante, insieme a ciò che resta dei materiali grafici approntati da Pierre Bardet, e soprattutto quelli, davvero straordinari, allestiti da Karl Weber, allora non risulta poi così difficile credere alle affermazioni di Galiani, al netto delle pur evidenti venature celebrative; del resto, su questo aspetto Galiani sarebbe tornato a insistere quasi trent’anni dopo, in una Memoria riservata indirizzata a nuovo Segretario di Stato22. Invece, per il primo decennio dell'impresa, ci viene incontro anche un testimone precoce e una volta tanto

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

112

Una valutazione equilibrata, consapevole tanto della novità e difficoltà dell’impresa, quanto del suo andamento contraddittorio, è in ZEVI

19

1980, p. 58; CHIOSI 1986, p. 495; CHIOSI - D’IORIO 1998; SCHNAPP 1993 (pp. 215-217), e ancor più SCHNAPP 2003.

Benché spesso generalizzate, queste critiche investono in particolare la conduzione di Roque Juaquin de Alcubierre, attento più ad assecondare

20

il desiderio del sovrano di arricchire le proprie collezioni che le disposizioni sul metodo da seguire nell’esplorazione in galleria. Su Alcubierre, con giudizi talvolta contrastanti, si vedano FERNANDEZ MURGA 1962; FERNANDEZ MURGA 1986; STRAZZULLO 1982; STRAZZULLO 1999.

Su questo aspetto cfr. CORALINI, SCAGLIARINI, HELG, ZANNFINI 2006, in part. pp. 125-126; ALLROGGEN-BEDEL 2009; CORALINI 2011; AL

-21

LROGGEN-BEDEL 2017. Benché riferita ad anni più avanzati, la più limpida disamina è ora in MILANESE 2020; ringrazio l’autore per le fruttuose

discus-sioni sulle nostre ricerche in qualche modo parallele, e per avermi dato in lettura il suo testo prima che andasse in stampa.

L’elenco di tutta la documentazione prodotta entro il 1756, o che riguarda i rinvenimenti degli anni precedenti, è ormai molto ampio: oltre ai

22

materiali a suo tempo raccolti in RUGGIERO 1881, RUGGIERO 1885 e in PAH 1860-1862, si vedano almeno Fonti documentarie 1979; STRAZZULLO

1982; PANNUTI 1983; PAGANO 2005. Per la documentazione grafica, oltre a PARSLOW 1995, PARSLOW 2018 e PUGLIESE CARRATELLI 2003, finalmente

sembra chiudere la questione Valentin Kockel: “oggi sappiamo che, nonostante le giustificate critiche per la lentezza e la scarsità delle pubblicazioni, l’Amministrazione lavorò continuamente ad una meticolosa e globale documentazione architettonica rimasta inedita” (KOCKEL 2017, p. 60). Per la Memoria riservata di Galiani, cfr. PAGANO 1998, pp. 164-165 (riproposto in PAGANO 2006, pp. 27-28), e ora D’ALCONZO 2020a, pp. 148-149.

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esterno, ma apparentemente più accurato di altri suoi contem-poranei: mi riferisco a John Russel, che fu a Napoli nel 1749 e che si sofferma a descrivere i metodi di scavo e di prelievo dei re-perti, aggiungendo che gli era stato assicurato che di ogni casa trovata si rilevava sempre la pianta, per essere certi della prove-nienza di ciascun rinvenimento23.

A parte questo, merita rilevare che già dal titolo del mano-scritto, ma con maggiore chiarezza nel brano citato, sembra di poter evincere che a quella data, benché mancasse ancora qualche anno alla sua formale inaugurazione, il futuro Museo Ercolanese doveva essere già parzialmente allestito e aperto a un selezionato pubblico, ben prima che Wickelmann lo visitasse per la prima volta nel 1758; duole notare, invece, che l’abate non abbia rite-nuto necessario dedicare qualche rigo in più a una descrizione, per quanto sommaria, di questa prima fase dell’esposizione mu-seale, che purtroppo ancora oggi non siamo ancora in grado di dire come fosse distribuita tra la reggia (con interna dissemina-zione tra ambienti pubblici come la galleria e altri soggetti a differenti regole cerimoniali come gli appartamenti dei sovrani, in particolare quello della regina) e il contiguo Palazzo Cara-manico, destinato a funzione espositiva subito dopo l’acquisto ma, com’è noto, allestito in progresso di tempo24.

Continuando ad argomentare, Galiani si spostava dunque dalla rivendicazione del metodo adottato dalla Corte di Napoli all’aperta critica alle altrui manchevolezze: forzando un po’ la mano, finiva per accomunare situazioni e cronologie diverse, remote abbastanza, a dir la verità, da non essere in buona parte assimilabili alle esplorazioni condotte tra la fine del XVII e la prima metà di quel XVIII secolo, le uniche a poter essere com-parate con la neonata archeologia borbonica. Il metro di para-gone, però, restava il medesimo già enunciato, e su di esso insi-steva, ovvero sulla possibilità di ‘raccontare’ la storia degli scavi, sull’esecuzione delle piante e sulla loro affidabilità, insieme alla cura dedicata ai monumenti, fino a magnificare addirittura la scelta di lasciare “intatto quale fu trovato” il teatro di Ercolano25; con ciò intendendo, evidentemente, la rinuncia a cavarne tutti

o quasi i rivestimenti marmorei, come in passato era stato fatto altrove, ma non certo alludendo a iscrizioni e sculture, il cui mancato prelievo all’epoca avrebbe rappresentato un caso dav-vero inaudito di rispetto del contesto, a maggior ragione in uno scavo destinato a restare sotterraneo:

“Or di qual altro scavamento può dirsi lo stesso? Quale è quello di cui abbiasi la storia? Di quale le piante? Noi sappiamo che fino i nobilissimi edifizj dell’antica Roma sono stati con tanto poca cura scavati, che la maggior parte de’ disegni la-sciaticene dal Lauro, dal Montano, dallo Scamozzi, e da altri sono falsi, e patentemente capricciosi. Troveransi per tutta Eu-ropa, e pur troppo per disgrazia frequenti gli esempj di Teatri, e d’Anfiteatri restati intatti dall’ingiurie del tempo sopraterra, e poi barbaramente guasti, e disfatti anche ne’ secoli più culti. Ma non troverassi altro che il Teatro Erculanense sepolto ot-tanta, e più palmi sottoterra, e lasciato intatto quale fu trovato. Né qui per non arrossirci dell’età nostra istessa ci conviene rammentare l’infausta sorte del sepolcro de’ Liberti della Casa d’Augusto, o di quello de’ Nasoni presso Roma”. [cc. VIIv-8r]

In coda, salta agli occhi la critica alle istituzioni pontificie, che evidentemente non avevano saputo o voluto impegnarsi nella conservazione dei monumenti che si andavano scoprendo a Roma e negli immediati dintorni, per lo più siti sepolcrali la cui memoria, già negli anni in cui scriveva Galiani, era ormai affidata quasi esclusivamente alle riproduzioni grafiche eseguite da Sante Bartoli e poi da suo figlio Francesco26 – ma anche da Camillo Paderni, che prima di traferirsi a Napoli aveva lavorato per George Tur-nbull27 – mentre nel frattempo un gran numero di pitture erano state staccate e immesse sul mercato, finendo spesso in collezioni inglesi. D’altronde, già nel 1729 Montesquieu aveva scritto che “Rome nouvelle vend pièce à pièce l’ancienne”28. Sappiamo che la concessione di licenze di scavo (con conseguente sfruttamento commerciale dei risultati delle ricerche) era a Roma non soltanto normata, e con notevole anticipo rispetto al Regno di Napoli,

SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 113

“I was assured however, that whenever any apartment, or room is discovered, a plan and draught of the whole is taken exactly as every thing is found

23

standing, wich in time will be made public” (Russel 1750, II, lettera LXX, 15 settembre 1749, p. 314). Christopher Parslow (1995, p. 34) ritiene invece che Russel abbia un po’ troppo ingenuamente creduto a queste assicurazioni; eppure, esse coincidevano proprio con gli ordini impartiti nel 1740 al-l’insofferente Alcubierre, come lo stesso Parslow ha documentato (Ivi, p. 37).

La bibliografia su Museo Ercolanese conta ormai molti titoli, ma resta imprescindibile ALLROGGEN-BEDEL - KAMMERER-GROTHAUS 1980, a

24

cui vanno aggiunti almeno i contributi raccolti in Herculanense Museum 2008; da ultimo, segnalo anche D’ALCONZO 2019b, dove ho pubblicato una descrizione di tutti gli ambienti del museo redatta da Camillo Paderni nel 1769.

Per il dibattito sulla possibilità di portare completamente in luce il teatro di Ercolano, benché in buona parte esso, così come il progetto di

25

Weber, si collochi in anni successivi al 1756, ma anche per una completa rassegna delle planimetrie del monumento, rinvio a ALLROGGEN-BEDEL

2008b, con bibliografia precedente; informazioni complementari in CARRAFIELLO 1995, pp. 284-291.

Cfr. almeno LACHENAL 2000; MODOLO 2014; WHITEHOUSE 2014, con bibliografia di riferimento; MODOLO 2019.

26

Cfr. TURNBULL 1740; TURNBULL 1741; CONNOR BULMAN 2001.

27

MONTESQUIEU 1949-1951, I (1949), p. 707. Per l’intreccio tra antiquaria, scavi e collezionismo negli ambienti romani, cfr. POLIGNAC 1993;

28

(21)

ma praticata con larghezza, come risulta anche dal radicamento nella capitale pontificia di appaltatori e mercanti di nazionalità soprattutto inglese, impegnati ad accaparrarsi i rinvenimenti mi-gliori per i loro facoltosi clienti d’Oltremanica; ancora negli anni Sessanta, come ricordava qualche anno fa Ilaria Bignamini, il cardinale Albani si sarebbe dimostrato tanto incline a favorire l’intraprendenza dei richiedenti anglosassoni, che le licenze loro rilasciate risultano molto più numerose di quelle accordate a ri-chiedenti di altre nazionalità, che pure non mancano29.

Acclarato a suo modo che, in fatto di documentazione dello scavo e di salvaguardia dei reperti, piuttosto che attirare critiche, Napoli poteva orgogliosamente ergersi a modello – anche nei con-fronti di “quegli stati più culti dell’Europa” che invece aveva voluto emulare promulgando la prima legge di tutela del patrimonio ar-cheologico e storico-artistico, emanata meno di sei mesi prima30 –, Ferdinando Galiani si preoccupava di replicare a quanti avevano lamentato che non si stesse scavando a cielo aperto, cosa che in ef-fetti si iniziò a fare qualche anno dopo, ma solo a Pompei31. Tra coloro che ne avevano scritto pubblicamente, il primo era stato Scipione Maffei, le cui affascinanti parole svelavano però la di-mensione astratta, o se si vuole la connotazione utopica di chi non aveva visitato i luoghi32; nello stesso anno, e potendo vantare una pregressa esperienza diretta del cantiere ercolanese, se ne era ram-maricato anche Marcello Venuti, ma solo per ammettere subito dopo che la situazione rendeva impossibile scavare in apricum. Na-turalmente, nessuno dei due antiquari viene esplicitamente citato, e se le lettere maffeiane potevano essere ignorate, contando su una loro circolazione relativamente ridotta, nel caso del cortonese si può immaginare gravasse un’ostentata damnatio memoriæ, indice della reazione stizzita della corte di Napoli alla pubblicazione non autorizzata della sua Descrizione delle prime scoperte di Ercolano (1748), ma anche di un perdurante discredito personale di cui Ve-nuti era rimasto vittima, a causa di poco chiari intrighi di corte. A ogni buon conto, era obiezione che non si poteva lasciar cadere,

se non altro perché a quella data era condivisa ormai da molti,33 ai quali il nostro abate si premurava di chiarire gli effettivi impedi-menti a procedere con uno scavo a cielo aperto:

“Meglio sarà il passare ragionando a togliere dalla mente di moltissimi un inganno nel quale essi vivono, credendo che il non essersi alzata tutta la immensa terra, o per dir meglio il duro tufo, onde sono ricoperte le Ville Erculanensi intorno al Teatro, sia nato da sbigottimento nell’animo del Re ad impresa così stranamente ardita e dispendiosa. Il suo grande animo s’è conosciuto nello scoprimento del Tempio di Serapide, in Pozzuoli, dove ventiquattro palmi di terreno non han bastato a sgomentarlo dall’ordinare, che tutto si togliesse via, e si net-tasse, solo per lasciar godere un bellissimo pavimento di marmo, e la pianta d’un magnifico edifizio intieramente ca-duto. La cagione sola per cui a Portici non s’è fatto lo stesso è stata il non essersi trovate fabbriche, che valessero il prezzo di sì sterminata opera. Essendo, come ai dotti è noto, le case degli antichi d’un piano solo, e queste di mediocre magnifi-cenza, almeno riguardo all’architettura, né avendo potuto tali fabbriche resistere all’impeto della cenere piovutavi, e della terra ruinatavi dal monte, sonosi trovate tutte infrante, e con-quassate […] Delle quali cose una più chiara dimostrazione insieme colla loro descrizione avrassi nell’opera, che ragionerà delle fabbriche incontrate nello scavare. Se questa adunque del pari impossibile, ed inutile opera s’eccettui, niente si tro-verà, che si potesse fare, e che non siasi eseguito”. [c. VIIIr]

Dunque la decisione di non portare allo scoperto gli edifici non derivava – o non soltanto – dall’oggettiva difficoltà di rimuo-vere la grande quantità di “duro tufo” che li ricopriva, impegno che Galiani riteneva paragonabile a quello affrontato senza titu-banze per portare alla luce il Serapeum puteolano; piuttosto, il pessimo stato di conservazione in cui erano state ritrovate le case

II. DOCUMENTAREL’ANTICO

114

BIGNAMINI 1997, p. 37; l’intento quasi prevalentemente collezionistico degli scavi condotti a Roma – oltre a emergere già in LANCIANI 2000

29

– è ben profilato in HERLOTZ 2004 per il XVII secolo, e in BIGNAMINI 2004 per il successivo; ma si vedano anche SPERONi 1988, pp. 28-36, 45-48;

MANFREDINI 2018, pp. 105-121.

Sulla prima legislazione di tutela del patrimonio storico-artistico e archeologico del Regno di Napoli: STRAZZULLO 1972; SPERONI 1988, pp.

30

79-82; D’ALCONZO 1995; D’ALCONZO 1999, pp. 19-40; D’ALCONZO - MILANESE 2018, pp. 19-29.

Il 16 agosto 1763, dopo il rinvenimento di un’epigrafe da cui si ricavava con certezza che il sito della Civita corrispondeva all’antica Pompei,

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Tanucci prescrisse di non interrare più gli edifici esplorati, venendo incontro a una richiesta di Karl Weber: CORTI 1957, p. 152; ZEVI 1988, p. 20;

CARRAFIELLO 1995, p. 284, DE CARO 2015, p. 3. Per l’avvio degli scavi a cielo aperto cfr. anche REPRESA FERNÁNDEZ 1987 e PARSLOW 2001. Eric Mo-ormann ritiene che l’inizio dello scavo a cielo aperto vada anticipato al 1755 (MOORMANN 2015, pp. 26-27); ma, anche a non voler considerare l’ordine di Tanucci, credo che, se la nuova modalità fosse stata adottata fin dal 1755, Galiani vi avrebbe fatto almeno un cenno.

MAFFEI 1748, p. 35; a distanza di poco meno di vent’anni, l’auspicio del veronese verrà rilanciato da Domenico Migliacci: “lagnavasi meco in

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Verona il fu eruditissimo Marchese Scipione Maffei, il quale si avanzò a dirmi, che se tali scoverte in realtà rare e sorprendenti non si fossero la seconda volta ricoperte, egli in quell’età già decrepita e cadente si sarebbe posto in lettiga per aver il piacere prima di morire di venir ad ammirare tali miracolosi avanzi dell’antichità gentilesca incorrotti e sinceri; i quali avrebber recato un indicibil lume per rischiarir infinite cose dell’antica filologia, che tuttavolta rimangono al bujo” (MIGLIACCI 1765, p. 12).

Per un’accurata rassegna delle critiche avanzate da più parti, ma soprattutto dai visitatori stranieri, cfr. PARSLOW 1995, pp. 31-35; MOORMANN

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che circondavano il teatro dell’antica Ercolano aveva convinto il re che non meritassero un lavoro così gravoso34. Strana afferma-zione, che sembrava ignorare che ormai da quattro anni era stata raggiunta la Villa dei Papiri, di cui Karl Weber, a dispetto delle difficoltà frapposte dal lavoro in cunicoli sotterranei, continuava a rilevare la pianta con estrema precisione, annotando ogni det-taglio: dalle gallerie di accesso, ai varchi lasciati da scavatori del passato, fino ai luoghi in cui ciascun reperto era stato ritrovato35. Più rilevante mi pare notare che già qui si preannuncia, per essere ripreso nel prosieguo del testo, un aspetto dell’originario progetto editoriale delle Antichità di Ercolano esposte, la cui man-cata realizzazione negli anni successivi avrebbe portato in evidenza – con alcune eccezioni, come quella della Villa dei Papiri o delle pompeiana Villa di Diomede – una carenza inizialmente non pre-vista, supplita in seguito, e solo in parte, da disegnatori estranei al cantiere di Portici (penso ad esempio ai rilievi di Piranesi, o ai tanti eseguiti nel secolo successivo). Ma, nonostante ciò che siamo abituati a ripetere, e che in parte è anche vero – ossia che al so-vrano la redazione delle piante degli edifici scavati non interessava, preferendo che le maestranze si concentrassero sulla ricerca di re-perti da portare in superficie per acquisirli alle collezioni reali –, bisogna prendere atto che fin dall’inizio si era pensato anche a questo, benché si tenda spesso a dimenticarlo: se ne trova con-ferma nella prefazione del Catalogo pubblicato nel 1755 da Ba-yardi, che tra l’altro ne attribuiva a se stesso il poco credibile

merito36, come del resto aveva già fatto l’anno prima, dando alle stampe un appassionato autoelogio in forma di epistola indiriz-zata al cardinale Angelo Quirini37; senza dimenticare che nel la-sciare Napoli, nel maggio del 1756, Bayardi portò con sé alcuni disegni degli edifici di Ercolano, senza che Alcubierre, che anni prima glieli aveva consegnati, riuscisse a recuperarli. Del resto, sappiamo pure che quasi dieci anni dopo Berardo Galiani fu chia-mato a verificare prima l’entità di un furto delle carte lasciate da Weber dopo la sua morte, e poi a controllare i materiali recupe-rati, tra i quali si trovava un manoscritto intitolato Le piante di

alcuni edificij sotterranei …ed altre, lavoro sul quale l’ingegnere

svizzero aveva chiesto tempo prima un parere proprio al marchese Galiani, in vista di una pubblicazione interamente dedicata alle architetture delle antiche città vesuviane38.

Al tema delle piante degli edifici si ricollegava infine l’esposi-zione del piano complessivo del progetto editoriale, che l’abate Galiani scandiva in quelle che egli definisce cinque “opere” diverse, da non intendersi come singoli volumi, quanto piuttosto come sezioni coordinate di un’unica edizione, ciascuna delle quali avrebbe potuto constare anche di più tomi, come del resto sarebbe poi effettivamente accaduto negli anni successivi, a partire dal 175739. Nella parte poi effettivamente realizzata, la sequenza – che può essere utilmente confrontata con quanto aveva preannun-ciato Bayardi nel 175540 – non è poi molto diversa da quella dei volumi editi dalla Stamperia Reale, ma con una lacuna sostanziale

SCAVOEPUBBLICAZIONEDEIREPERTIVESUVIANIINUNMANOSCRITTOGALIANEODEL 1756 115

Riferendo delle discussioni sulla possibilità di scavare a cielo aperto nel sito di Ercolano, Mario Pagano riporta informazioni che sembrano

so-34

stanzialmente sovrapponibili a quelle contenute nel manoscritto oggetto di queste mie considerazioni: “ma su questo tagliò corto Ferdinando Galiani, giudicando eccessive le difficoltà e la spesa dovute all’alta profondità, alla durezza dei materiali vulcanici e alla presenza, su parte del sito, del sovrastante abitato di Resina. Inoltre, egli riteneva che le murature fossero generalmente in cattive condizioni. La presenza di grotte e vuoti “antichi” (non tutti, però, opera di precedenti scavatori, ma anche provocati dal compattamento, sotto le volte antiche, del materiale vulcanico), costituiva un altro elemento a sfavore” (PAGANO 2006, p. 17, senza alcun riferimento alla fonte dalla quale ha attinto queste notizie).

PARSLOW 2018; PARSLOW 2019; LONGO AURICCHIO et al. 2020, pp. 36-38.

35

“Nel Prodromo tratterò da qui a poco dell’origine, del progresso, e della ruina d’Ercolano; ne additerò il giusto sito, farò la Storia della discoperta,

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dacché il Principe d’Elbeuf soggiornava in queste contrade fino al giorno d’oggi, e tratterò di tutte le avventure della medesima discoperta. Vi aggiungerò le piante de’ scavi, e delle ruine, e darò conto de’ precisi siti, donde questo, o quell’altro pezzo fu dissotterrato, e per maggiormente far conoscere il luogo della Città d’Ercolano, come pure de’ di lei avanzi, metterò sotto l’occhio d’ognuno le coste di questo marittimo Cratere formato, e ratificato con minuta scrupolosa esattezza” (BAYARDI 1755, p. XX). Ancora tra gli anni Settanta e Ottanta persisteva il progetto di pubblicare una vera e propria

storia degli scavi, ricostruita sulla base della documentazione raccolta nel tempo: lo riferisce Björnståhl, che nel 1771 l’aveva appreso da Pasquale Carcani (BJÖRNSTÅHL 1782-1787, II (1784), p. 65) e ci si soffermerà di nuovo Ferdinando Galiani, nella già citata Memoria indirizzata al marchese della Sambuca alla fine del 1783 (D’ALCONZO 2020a, pp. 148-149).

“Per discoprire una interna fabbrica è stato necessario piu d’una volta a forza di picconi strappare, dirò così, dal terreno, e da muri la sudetta

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lava; onde dopo che si sono visitati gli edifici, è convenuto riempiere un’altra volta i vani per non vedere precipitata la grossa Terra di Resina, che vi sta sopraposta, avvertendo però sempre di ricavare le piante nonmeno degli edifici medesimi, che delle strade, essendosene ritrovate molte tra di loro in-crociate, e selciate a guisa dell’Appia, e d’altre antiche vie Romane. Pubblicherò queste piante colla loro spiegazione, le quali si fono regolarmente pro-seguite almeno fino a tanto, che l’esattissimo Colonnello Alcubieres è stato l’unico Direttore di sì grand’opera, benché per altro anche al Capitano Weber, che ora vi assiste si debba la sua lode” (BAYARDI 1754, pp. 13-14).

CARRAFIELLO 199, pp. 284-291, con bibliografia.

38

Questo solo estratto del manoscritto è stato edito alcuni anni fa da Mario Pagano, senza alcun commento (PAGANO 2006, pp. 24-25).

39

“Darò dunque ormai principio alla pubblicazione d’un Opera da altri bramata, da Voi voluta, e vi premetterò un intero Catalogo di quanto

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venne dissotterrato, e di cui il Vostro singolare Museo viene composto; indi passerò a mettere sotto l’occhio le Pitture in Tavole distribuite, passerò alle Statue, poscia a’ Vasi, dopo alle Lucerne, e finalmente agli altri vari pezzi d’antichità, che in molte classi, né possono, né si sogliono ordinariamente di-stribuire” (BAYARDI 1755, p. XVIII).

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