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Academic year: 2021

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Relazioni ed emozioni nella costruzione

della professionalità docente

Relationship and emotions in the construction

of teacher professionalism

1

Antonia Cunti

Full Professor of Education | Department of Sport Sciences and Wellness | University of Naples “Parthenope” (Italy) | antonia.cunti@uniparthenope.it

Alessandra Priore

Postdoctoral researcher | Department of Sport Sciences and Wellness | University of Naples “Parthenope” (Italy) | alessandra.priore@uniparthenope.it

The aim of this paper is to explore emotions and relationships at school, in order to obtain clear developmental directions relating to teachers’ education. Learning and teaching processes are complex, mainly due to the interplay between the cognitive, emotional and action dimensions that call the self into question; if what one learns and how one does it, as well as the choices of teaching, form and are the derivative of ways of dealing with culture and knowledge and of an idea of the self as a subject that builds knowledge, the relational and emotional dimensions go through these processes in a very significant way; therefore, it is a priority to consciously guide the socio-emotional exchanges through which the learning and teaching processes are carried out.

Teachers’ education needs to be more specialized in order to build emotional and relational competences to be able to face and guide the growing criticality that permeates the relationship between the stakeholders in the school system, teachers, students and parents.

Keywords: emotional competences, educational relationships, teacher training, reflexivity, professional development

L’intento del contributo è quello di esplorare il tema delle emozioni e delle relazioni a scuola, allo scopo di ricavare precise direzioni di sviluppo nell’ambito della formazione degli insegnanti. I processi di apprendimento e di insegnamento evidenziano una complessità dovuta principalmente all’interscambio tra dimensioni cognitive, affettive e dell’agire che chiamano in causa il proprio Sé. Se ciò che si impara e come lo si fa

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costituisce un fattore fondamentale nello strutturarsi del modo personale di porsi rispetto alla cultura e ai saperi e dell’idea di sé in quanto soggetto costruttore di conoscenza, la dimensione relazionale e quella emotiva attraversano questi processi in maniera molto significativa; pertanto, è prioritario orientare consapevolmente gli scambi socio-emotivi attraverso cui i processi di apprendimento e di insegnamento si compiono. Il lavoro formativo con gli insegnanti dovrà sempre di più specializzarsi nell’ottica di costruire competenze emotive e relazionali in grado di affrontare e di orientare il crescente disagio che permea i rapporti tra i principali attori del sistema scolastico, insegnanti, studenti e genitori.

Parole chiave: competenze emotive, relazione educativa, formazione degli insegnanti, riflessività, sviluppo professionale

1. Emozioni in classe e qualità dell’apprendimento e dell’insegnamento

Le situazioni di criticità educativa nei contesti scolastici si presentano nell’attualità come estremamente diffuse; esse, nel loro insieme, esprimo-no uesprimo-no spettro variegato di differente gravità e, in ogni caso, chiedoesprimo-no un modo nuovo di concepire ed attuare l’agire educativo, nuovo perché an-cora scarsamente presente nei contesti professionali. Insegnanti, educato-ri, ma anche genitori ed altre figure che si collocano nell’ambito della for-mazione, vivono quotidianamente le difficoltà della relazione educativa e avvertono un disagio crescente che attanaglia in particolare pre-adole-scenti e adolepre-adole-scenti. Ci troviamo in presenza di complessità che richiedo-no interventi interrelati e sinergici, basti pensare al decremento del valore positivo attribuito allo studio e all’impegno formativo, al crescere della noia e della demotivazione nei riguardi dei luoghi della formazione, al diffondersi molto preoccupante di episodi di violenza tra pari e a danno degli insegnanti. Un altro fenomeno preoccupante è rappresentato dalla presenza di relazioni più competitive che cooperative, scarsamente carat-terizzate da fiducia e attenzione verso l’altro, abitudinarie e, dunque, po-vere di creatività e di spinte interne alla crescita e al cambiamento auten-tico. Si tratta di criticità con un alto grado di intensità emotiva, che ri-chiamano un livello articolato di analisi su dimensioni di tipo diverso ed intrecciate e che richiedono azioni meditate, intenzionalmente e meto-dologicamente orientate e strutturate anche in senso organizzativo.

L’ambito su cui ci si intende soffermare è quello della relazione tra in-segnante ed alunno che include specifici nessi tra le dimensioni cognitiva, emotiva e dell’agire, caratterizzanti i processi di apprendimento e di inse-gnamento. La comprensione degli scambi socio-emotivi che sostengono

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i processi di apprendimento e di insegnamento è fondamentale per po-terli orientare in direzione di un incremento della fiducia nella capacità di imparare e di poterlo fare per tutta la vita nonché dell’affermarsi di un atteggiamento critico ed ipotetico nei riguardi della cultura e della for-mazione. La comprensione di quanto insegnanti ed alunni mettono in campo quando si relazionano è fondamentale per pensare alla qualità di processi di formazione che possano rendere i docenti più competenti nel loro lavoro ed in grado di compartecipare ad una relazione autentica-mente evolutiva innanzitutto per se stessi.

L’idea che i professionisti della relazione d’aiuto ad ampio spettro, in tal senso anche educativa e didattica, debbano divenire competenti anche e forse soprattutto nel saper interconnettere gli aspetti personali, inter-personali e contestuali che consentono l’apprendimento, l’insegnamento e, in generale, la crescita delle persone, potrebbe apparire un’affermazio-ne scontata, un po’ meno lo è andare ad indagare le motivazioni di una resistenza al cambiamento sufficientemente diffusa. Si ritiene, infatti, che le scelte formative ed organizzative a vantaggio degli insegnanti e del loro sviluppo professionale non dovrebbero soltanto essere volte a tradurre gli obiettivi in percorsi realizzabili, quanto soprattutto essere congegnate a partire dalla comprensione delle difficoltà che limitano la disponibilità degli insegnanti oppure la messa in opera di forme relazionali e di gestio-ne emotiva di tipo alternativo. Tale è il senso della ricerca pedagogica in questo settore, inerente anche l’azione formativa, la quale mira ad agire con la consapevolezza di dover creare i presupposti della possibilità di cambiamento, agendo sulla cura delle dimensioni concrete dell’esperien-za educativa, ovvero quelle che contribuiscono a renderla complessa, pro-blematica ed incerta (Riva, 2004).

La letteratura internazionale evidenzia alcune ricorrenti resistenze, re-lative innanzitutto al riconoscimento che il saper interagire con gli allievi e con il gruppo classe, il saper intercettare le proprie ed altrui emozioni ed il saper mettere tutto questo al servizio della crescita culturale ed uma-na degli allievi si traduca in un insieme di competenze, quindi oggetto di apprendimento e di progressivo affinamento (Chen, 2016; 2019; New-berry, 2010). Come sono approcciate generalmente le emozioni nella di-dattica e come viene concepito dagli insegnanti lo scambio con gli allievi? Esse sono considerate come delle reazioni, positive o negative, dovute so-prattutto a un modo di interpretare e di sentire gli stimoli esterni; più ra-ramente esse vengono concepite come strettamente connesse con un sen-tire che accompagna lo stare a scuola degli allievi e che può essere

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modi-ficato. Si tratta, in generale, dell’ampio uso che in ambito scolastico viene fatto delle variabili ascritte, a cui vengono riportate anche quelle dimen-sioni che sono modificabili grazie soprattutto all’intervento delle variabili che attengono all’insegnare nelle sue molteplici sfaccettature. Questa po-sizione può sembrare una forma di delega, di allontanamento di respon-sabilità, di fatto però in tantissimi casi tende a perdere queste caratteristi-che laddove gli insegnanti ne avvertano soprattutto l’aspetto di impoten-za a modificare la situazione; in tal senso, ridefinire l’insegnamento e pre-cisarne la sua qualità sistemica, in interazione con altre forze e risorse può servire a contenerne, ma anche per certi versi a liberarne, il potere di in-fluenzamento.

Sebbene negli ultimi decenni le emozioni degli insegnanti siano state raramente analizzate (Crawford, 2011; Day, 2011; Schutz, Pekrun, 2007), oggi esse rappresentano un ambito della ricerca sull’insegnamento sempre più rilevante in ragione del fatto che diversi sono gli studi che hanno dimostrato che il vissuto emotivo degli insegnanti influenza quel-lo degli studenti (Jones, Bouffard, 2012; Meyer, Turner, 2002) e contri-buisce alla costruzione del clima di classe (Yan, Evans, Harvey, 2011). La scuola e la classe possono presentarsi come delle arene emotive (Cross, Hong, 2012) in cui l’insegnamento può essere pensato come un “tenta-tivo” emozionale (Sutton, Mudrey-Camino, Knight, 2009); ciò ha il sen-so di enfatizzare l’opportunità di far leva sugli aspetti sen-socio-emotivi, an-cor prima riflettendo su di essi e facendoli rientrare in un approccio di ti-po iti-potetico in cui l’insegnante ti-possa sperimentare e sperimentarsi, attra-verso forme di compartecipazione e di supporto emotivo che possano sere sempre più efficaci. Obiettivo primario degli insegnanti potrebbe es-sere, a tale proposito, quello di realizzare un incontro di comprensione, nel senso proprio di prendere con sé e su di sé le emozioni altrui, di ge-stire le emozioni proprie e di confrontarsi con quelle degli allievi.

Posto, quindi, che sia impossibile e poco utile ai fini del nostro discor-so considerare separatamente le emozioni degli uni e degli altri, è impor-tante soffermarsi sulle emozioni che gli insegnanti si attribuiscono; diver-se ricerche (Butler, 1994; Graham, Weiner, 1986; Rustemeyer, 1984) evi-denziano come queste siano riferibili a reazioni emotive che i docenti sperimentano rispetto a situazioni piacevoli/spiacevoli che si determina-no in classe, in particolare, i comportamenti che gli allievi manifestadetermina-no al cospetto delle forme della didattica poste in essere. Una situazione tipica è quella in cui l’insegnante avverte di incontrare degli ostacoli ad un pro-cedere precostituito che l’obbligano a rallentare, trovare escamotage,

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chiedere il confronto con colleghi, ecc. È stato rilevato che gli insegnanti, essendo soprattutto preoccupati di far conseguire un apprendimento ot-timale, lasciano che il ruolo delle emozioni rimanga in gran parte non esaminato, soppresso e minimizzato (Fitzsimmons, Lanphar, 2011; Smith, Davidson, Cameron, Bondi, 2009); essi hanno generalmente paura di compartecipare alle dinamiche emotive, credendo che sia qual-cosa di troppo personale, cosicché la scuola, per tanti di loro, riguarda es-senzialmente la “razionalità” e le emozioni semplicemente non fanno parte del costruire scolastico (Halstead, 2005); ne consegue che un ap-proccio frequente è quello di sollecitare gli studenti a mettere da parte le emozioni e a concentrarsi sulle attività (Williams-Johnson et al., 2008). Una questione importante da evidenziare ai fini educativi è l’aspetto cognitivo delle emozioni, laddove l’analisi di questo possa offrire indica-zioni di metodo per la gestione delle emoindica-zioni, proprie ed altrui. Qual-siasi emozione è legata ad una credenza, in particolar modo quelle che persistono e che si traducono in un sentire relativamente stabile che so-stiene il nostro esistere (Baldacci, 2008; Nussbaum, 2004). Le credenze attengono a rappresentazioni sociali e a concezioni di sé che sono state apprese potremmo dire “in profondità”, ossia attraverso condizionamen-ti prevalentemente familiari che ci dicono di noi, della realtà e del nostro rapporto con questa. Gli insegnanti hanno punti di riferimento legati a modi socialmente prescritti circa il tipo di relazioni da stabilire con gli studenti. Questi aspetti forniscono lo sfondo da cui si dipanano le forme emotive. I confini della relazione insegnante-studente sono, allora, nego-ziati durante le transazioni nelle aule e tendono a riflettere il modo in cui gli insegnanti, anche a partire dalle norme culturali e sociali, approcciano le emozioni degli studenti in classe (Williams-Johnson et al., 2008, p. 6).

Le credenze degli insegnanti sull’apprendimento possono influenzare il modo in cui esprimono le loro emozioni in classe e ciò a sua volta in-fluisce sui tipi di relazioni interpersonali che si stabiliscono; non di me-no l’interpersonale influenza l’espressione emotiva che, a sua volta, può condizionare il livello intrapersonale. In generale, modi di vedere più ri-gidi e monolitici, non ammettendo uno spazio interpretativo, provoca-no più facilmente reazioni nette, di accordo/disaccordo, a differenza di punti di vista più contestuali e, dunque, flessibili che chiamano in causa una comprensione più approfondita; in tal senso, è stato evidenziato co-me gli insegnanti dovrebbero evitare di esprico-mere emozioni troppo forti e troppo deboli (Greenleaf, 2002; Linnenbrink, Pintrich, 2002; Zemby-las, 2005). È emerso che emozioni negative degli insegnanti

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contribui-scono a suscitare emozioni negative negli studenti e diminuicontribui-scono la probabilità che gli studenti utilizzino strategie cognitive per elaborare informazioni più approfondite (Linnenbrink, Pintrich, 2002); le emo-zioni, in generale, modellano la cognizione (Mesquita, Frijda, Scherer, 1997) e, quindi, questa può avere un’influenza importante sulla motiva-zione (Pekrun, Goetz, Titz, Perry, 2002), sulle credenze e sugli obiettivi di efficacia (Kaplan, Gheen, Midgley, 2002). Le reazioni emotive più nette ed estreme sono da riferire a posizioni più intransigenti; se un in-segnante ritiene che nell’esercizio della sua funzione se ne debba ricono-scere l’autorità indiscussa, il palesarsi in una classe di un atteggiamento che esprime il desiderio di un maggiore protagonismo non costituirà l’occasione per meglio comprendere i propri interlocutori e per addive-nire ad una relazione più autentica e congeniale ad apprendimenti signi-ficativi. In questo caso, infatti, l’insegnante leggerà i comportamenti dei suoi alunni come una provocazione, come un attentato alla sua autorità e, soprattutto, alla propria identità di docente e, pertanto, avrà delle rea-zioni forti, mirate a ripristinare il precedente sistema di ruoli. L’entrare nel merito delle motivazioni altrui può porre un freno a risposte imme-diate, a modalità reattive, e consentire il passaggio dal re-agire all’agire in prima persona; in questo caso, l’azione del docente andrebbe ad in-terrompere la linearità di sequenze relazionali confermanti la staticità del sistema ed il suo inevitabile volgere verso una progressiva fine. Inter-venire riformulando, rafforzando o aprendo a nuove possibilità evoluti-ve mantiene, infatti, la vitalità del sistema di relazioni e permette a tutti i componenti di continuare a crescere. Potremmo anche fare il caso di un docente che pensa di non poter avere alcuna autorità sui suoi alunni e che ha stabilito, pertanto, con loro un’intesa di tipo amicale. Dal mo-mento che questo genere di intesa non può tradursi in un patto forma-tivo che presuppone l’asimmetria dei ruoli, la situazione potrebbe facil-mente sfuggirgli di mano; anche in questo caso, la qualità della relazione che è stata definita ha scarse possibilità di evolvere verso assunzioni di responsabilità che si basano su di una complementarietà. In entrambe le situazioni, si dà un’analoga monoliticità del sistema delle relazioni e, dunque, la possibilità che il docente reagisca con emozioni decise, sen-tendosi tradito e non riconosciuto; inoltre, alla stessa maniera, la tensio-ne è verso il superamento delle criticità per poter tornare alla situaziotensio-ne precedente, per cui il sistema delle relazioni non contempla progressioni trasformative e tende all’implosione. In generale, potremmo concludere su questo ricordando che gli insegnanti, come del resto anche i genitori,

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sono visti dagli alunni come “interpreti della realtà” significativi (Eccles

et al., 1993, pp. 154-177).

L’attitudine ad un pensiero probabilistico è parte di una seconda istanza inerente un approccio all’apprendimento nella sua complessità. Sono state proposte (Klieme, Pauli, Reusser, 2009) tre dimensioni basi-lari di un’istruzione di qualità: attivazione cognitiva, clima supportivo e adeguata gestione della classe. Attivare le menti sollecita processi cogni-tivi e metacognicogni-tivi e questi sono strettamente interconnessi con le di-mensioni emozionali dell’apprendere. Il gruppo di ricerca di Hugener (2009) individua tra i pattern di insegnamento, in grado di influenzare in misura maggiore gli aspetti emotivi e motivazionali dell’apprendimen-to, quello della scoperta che, promuovendo l’autonomia dello studente, va a contenere emozioni negative e il senso di estraneità rispetto al con-testo scolastico; l’apprendimento, in tal senso, non è semplicemente un’esperienza di benessere, ma “la colla psico-socio-emotiva” che ha il po-tenziale di portare gli studenti a nuove aree di capacità riflessive e pratiche (Gläser-Zikuda, Stuchlíková, Janík, 2013, p. 17). Se la conoscenza costi-tuisce un punto di vista su cui per un verso è necessario argomentare e per l’altro è importante discutere e confrontarsi, l’adozione nella didatti-ca di una prospettiva simile non solo comporta la possibilità di formare ad una mente aperta, flessibile e critica, ma anche, e forse soprattutto, con riferimento al taglio del nostro discorso, pone in rilievo l’idea del-l’alunno come soggetto in grado di elaborare conoscenza, come costrut-tore di cultura, pertanto riconosciuto nella sua unicità e possibilità di compartecipare alla crescita della comunità civile (Dallari, 2000). Si evi-denzia come una dimensione cognitiva che attiene al che cosa e al come dell’insegnare richiami la dimensione affettiva di poter essere inclusi ed apprezzati; se è importante dare spazio a più modi di pensare, anche quel-lo dell’alunno che seleziona, elabora e attribuisce senso va accolto, per esercitare anche su di esso un lavoro condiviso di indagine volto a resti-tuirgli in forma migliorativa il suo punto di vista.

2. Formarsi alle relazioni attraverso pratiche riflessive

L’insegnamento, inteso come lavoro di costruzione di storie di formazio-ne, si qualifica mediante uno stile riflessivo ed esplorativo (Mortari, 2009) che richiama il singolo professionista ad assumere la ricerca e il cambiamento come elementi portanti del modo di pensare, sentire ed

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agire la relazione educativa. L’esercizio della competenza riflessiva (Schön, 1983) si inscrive in uno spazio di riconfigurazione creativa ed inedita della pratica professionale che può sostenere il superamento di forme di automatismo, spesso alla base di atteggiamenti di resistenza al cambiamento (Cunti, Priore, 2014). Alla base di un diffuso senso di im-potenza degli insegnanti vi è il sentirsi divisi tra

gli standard di tipo educativo, relativi all’insegnamento e allo svi-luppo professionale continuo, che in molti Paesi oggi raccoman-dano che il docente diventi un professionista riflessivo e, al con-tempo, la crescente pressione di essere responsabili del rendimen-to degli studenti, la quale impone standard di performance che crementano le probabilità che gli insegnanti usino strategie di in-segnamento che diano priorità all’efficacia ed all’utilità di una ri-flessione nel corso delle pratiche di insegnamento (Larrivee, 2010, p. 138).

Emerge, inoltre, in maniera abbastanza netta la presenza di due tipi di problematiche su cui i docenti si sentono in modo particolare attivati: la prima riguarda la richiesta di tipo sociale di essere adeguati al compito, la seconda ha a che fare con l’esigenza di ascoltare gli studenti, di stabilire una relazione positiva, di corrispondere alle loro esigenze. Si tratta, a pa-rere di Baldacci (2008, p. 8), di una sorta di “doppio vincolo”, da cui ci si può liberare solo con un “salto logico e creativo”.

La dimensione della riflessività nel lavoro educativo, declinata in un processo di significazione e ri-significazione soggettiva della professione e del suo sviluppo, andrebbe valorizzata e posta come aspetto centrale della formazione all’insegnamento, nonché direzionata verso due possi-bili finalità che riguardano rispettivamente la ricerca dei significati e l’ascolto delle emozioni (Bruzzone, 2018; Contini, 1992; Fabbri, Stria-no, Melacarne, 2008).

Da questa prospettiva, il lavoro formativo si configura come un’atti-vità di ricerca attinente, da una parte, l’ambito dei pensieri e dei compor-tamenti, come nel caso di nuovi saperi e significati da attribuire alle espe-rienze e alle azioni e, dall’altra, la sfera identitaria ed emotiva-affettiva, laddove si cerchino e si sperimentino nuovi modi di sentirsi/sentire e di vivere la relazione. In questo secondo caso, vengono chiamate in causa, in misura maggiore, le singole soggettività, quindi i vissuti e le interpre-tazioni che sono state elaborate, ed il modo in cui aspetti personali e pro-fessionali si incontrano. L’idea che nell’insegnamento si palesi il proprio

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modo di essere persona, oltre che di pensare e di relazionarsi, non è ov-viamente nuova; la riflessione di cui la pedagogia potrebbe probabilmen-te continuare ad avvantaggiarsi riguarda, invece, il caratprobabilmen-tere poprobabilmen-tenzial- potenzial-mente evolutivo delle relazioni tra docenti e studenti. La domanda che ci si pone è a quali condizioni la relazione può essere evolutiva per entrambi e se il far diventare le relazioni una fonte generativa di cambiamenti non superficiali possa risiedere in specifici processi di apprendimento, appun-to, trasformativi. Un essenziale punto di partenza è un mutamento di prospettiva, per il quale non soltanto l’insegnante immette nel sistema di relazioni il carico formativo di tipo disciplinare volto a condizionare gli apprendimenti degli alunni, bensì la sua persona entra a far parte di un’ininterrotta comunicazione in cui anch’egli come tutti gli altri si met-te in gioco; la disponibilità a far questo da parmet-te di tutti ed in particolare degli insegnanti definisce la fluidità del sistema e la valenza trasformatrice delle stesse relazioni e dei soggetti che ne sono i protagonisti. Imparare a stare e a vivere i propri contesti, in specie lavorativi, in modo “ecologico” vuol dire anche saper ricondurre eventi, comportamenti e situazioni a processi e non a singole cause, evitando forme di colpevolizzazione che, sia se riferite a se stessi in quanto insegnanti sia agli alunni, il più delle volte rappresentano dei vicoli ciechi, soprattutto allorquando chiamino in causa dimensioni personali ritenute scarsamente modificabili.

Per lungo tempo, come si evidenziava poc’anzi, l’indagine circa le pra-tiche di insegnamento ne ha messo in primo piano la componente fredda e razionale (Chen, 2016), inerente, ad esempio, le conoscenze e le tecni-che impiegate dagli insegnanti, e ha mantenuto in trasparenza e sullo sfondo uno degli aspetti centrali delle professioni educative, ovvero le emozioni (Gomez, Allen, Clinton, 2004; Hargreaves, 1998). Probabil-mente il richiamo da parte dei docenti alla tecnica, nel senso di strumen-tazioni soprattutto disciplinari in cui il più delle volte sembra esaurirsi la cassetta degli attrezzi in senso professionale, potrebbe essere considerato, per certi versi, come un antidoto al pericolo di “perdersi” (Cunti, 2014). La concezione che gli insegnanti hanno del proprio ruolo professionale è ancora molto incentrata su modalità operative già acquisite e legate ad un modello trasmissivo delle conoscenze, piuttosto che su dimensioni rela-zionali che possano riverberarsi nel rapporto con gli studenti, ma anche a livello organizzativo e sistemico (Geerink, Masschelein, Simons, 2010; Gonçalves, Azevedo, Alves, 2013).

La ricerca sulle emozioni degli insegnanti ha esplorato e dimostrato l’importante influenza che esse esercitano su diversi aspetti che regolano

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la vita scolastica, tra i quali vi è la costruzione degli ambienti di appren-dimento e il coinvolgimento degli studenti (Roorda, Koomen, Spilt, Oort, 2011), la definizione dell’identità professionale degli insegnanti (Beauchamp, Thomas, 2009), la loro capacità di gestire l’incertezza e il cambiamento delle pratiche lavorative (Kelchtermans, Ballet, Piot, 2009), i metodi didattici e gli obiettivi dell’istruzione (Frenzel, Götz, Pe-krun 2008; Sutton, 2004; Witcher, Onwuegbuzie, Minor, 2001). In me-rito a questo ultimo aspetto, uno studio recentissimo (Chen, 2019) ha dimostrato che le scelte didattiche possono essere la conseguenza del vis-suto emotivo degli insegnanti, ovvero che le emozioni negative portereb-bero l’insegnante a scegliere una didattica che mette al centro se stesso, mentre le emozioni positive indurrebbero l’insegnante a sviluppare una didattica incentrata sullo studente.

I risultati raggiunti da una parte significativa della ricerca internazio-nale sul tema sottolineano la necessità di ripensare la formazione degli in-segnanti, al fine di integrarla con forme di supporto allo sviluppo di re-lazioni positive con gli studenti attraverso un lavoro mirato sulle emozio-ni (Newberry, 2010). A questo proposito, può tornare utile il modello elaborato da Fried, Mansfield e Dobozy, (2015) dal quale è possibile re-cuperare un possibile itinerario formativo di tipo riflessivo incentrato sul-le emozioni. Si tratterebbe di focalizzare il lavoro rifsul-lessivo su tre princi-pali livelli dell’esperienza emotiva:

– le influenze, ovvero i fattori che determinano il modo in cui gli indi-vidui sentono ed interpretano le esperienze e, di conseguenza, stabili-scono il tipo, la durata e l’intensità delle emozioni (es. le caratteristi-che personali, le valutazioni e i fattori di tipo sociale, culturale e poli-tico);

– le funzioni, nel senso dei ruoli interni ed esterni svolti dalle emozioni (es. ruolo informativo, motivazionale, regolativo dei processi cognitivi); – la complessità, nel senso della visione ampia che dovrebbe permettere

di inquadrare le emozioni nel sistema complesso che vede interagire il singolo con l’altro, nei contesti e nella concatenazione dei sistemi. L’esercizio riflessivo sui livelli delineati si propone come processo ana-litico atto a descrivere e valutare l’esperienza, ma innanzitutto come pro-cesso di sense-making e di costruzione di nuovi saperi professionali; in tal senso, un notevole valore assumono gli strumenti e le pratiche formative che permettono di migliorare la comprensione di come teorie e immagini

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personali entrano nelle pratiche di insegnamento. Ci si riferisce a stru-menti come la narrazione, ampiamente riportata nella letteratura sulla ri-flessività2, ma anche a forme alternative di rappresentazione, come nel

caso del disegno e della metafora (Black, Halliwell, 2000; Cunti, 2018; Martinez, 2016; Pulvirenti, Garaffo, Tigano, 2014), che attraverso pro-cessi proiettivi possono condurre gli insegnanti a generare nuovi insight sulle professioni, sui ruoli e sulle pratiche e a mettere in connessione la dimensione cognitiva con quella emotiva dell’esperienza.

Il potenziale formativo di un lavoro riflessivo sui contenuti emotivi si inscrive nel passaggio trasformativo dalla dimensione meramente emoti-va, relativa al vivere l’esperienza, ad una meta-emotiva che riguarda, in-vece, il saper pensare le emozioni. Cogliere con maggiore consapevolezza la dimensione cognitiva che è intrecciata con il modo di sentire ed agire di tipo emotivo rappresenta uno dei principali obiettivi della formazione. In classe, si configurerebbe così la possibilità, per tutti i protagonisti della relazione educativa, di partecipare di un clima emotivo mentalizzato, aspetto questo che sembrerebbe avere ricadute positive anche sulla rela-zione tra pari (Caputi, Lecce, Pagnin, Banerjee, 2012), sulla ridurela-zione dell’aggressività (Twemlow et al., 2001) e sull’efficacia della didattica (Jenkins, Astington, 2000; Razza, Blair, 2009).

Queste argomentazioni fondano l’importanza di ragionare in termini di competenze riflessive, laddove la capacità di riconoscere e vivere con maggiore consapevolezza le proprie emozioni, nonché di osservare e comprendere quelle altrui e soprattutto direzionarle verso un maggiore benessere, richieda lo sviluppo di un pensare ipotetico e situazionale.

In qualità di professionisti della relazione, tra le sfide più importanti vi è quella di imparare a coniugare l’efficacia del fare con il saper sostare nella relazione. L’esercizio di una modalità riflessiva riguarda sì il porre ad oggetto il proprio modo di essere docente all’interno dei contesti profes-sionali, ma anche l’essere presenti a se stessi quale modalità specifica dell’agire professionale (Cunti, 2014). Imparare a vivere le relazioni

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cative come spazio di possibilità per provare ad essere altrimenti, sia per se stessi sia per il sistema di relazioni di cui si è parte, costituisce un im-pegno di particolare rilevanza sui piani formativo e pedagogico.

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