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A proposito di percezione

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Academic year: 2021

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A proposito di Percezione

Adriano Ferrari

Per rendere più comprensibile questo tema, procederò scomponendolo in maniera un po’ scolastica in tre differenti livelli: il livello base delle sensazioni, quello intermedio delle percezioni propriamente dette e il livello superiore delle rappresentazioni mentali, che di queste ultime costituiscono il destino finale.

Al primo livello, le informazioni in entrata (input) vengono raccolte da recettori differenti e ritrasmesse secondo una specificità di dominio. Successivamente convergono per essere integrate nella percezione. Tale unificazione precede la rappresentazione, il modulo centrale che attraverso la cognizione si interfaccia tra percezione e azione. L’intero processo avviene in una sequenza lineare di livelli separati, dalla sensazione, alla percezione, alla rappresentazione.

Primo livello: le sensazioni

Il termine sensazione, di derivazione anglosassone, raccoglie in una sola parola due differenti tipi di afferenze: le informazioni sensitive e quelle sensoriali. Esse differiscono fra loro per la natura e la struttura del recettore coinvolto. Alcuni recettori hanno infatti una sede elettiva e sono raccolti in un organo specifico: la vista, ad esempio, nell’occhio, l’udito nell’orecchio, l’olfatto nel naso, il gusto sulla lingua, e potremmo aggiungere l’equilibrio, se considerassimo di per sé sufficienti per questa complessa funzione i labirinti dell’orecchio interno. Altri recettori, come quelli del tatto, sono diffusi sull’intera superficie cutanea e sulle mucose, altri ancora, come i nocicettori (dolore), sono presenti anche in profondità e coprono quasi ubiquitariamente il corpo. Le informazioni sensitive derivano dunque da recettori che hanno una sede elettiva, le sensoriali da recettori presenti in più parti del corpo. Considerate nel loro insieme, le informazioni sensitive e sensoriali costituiscono le sensazioni.

Può sembrare strano, ma non si è ancora stabilito quanti siano in realtà gli organi di senso. Aristotele citava accanto ai “classici” cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto) un sesto senso, deputato a fornire all’uomo la consapevolezza della sua capacità di raccogliere informazioni, una sorta di funzione metasensoriale che oggi potremmo ricollegare alla coscienza. Se per sesto senso intendiamo la possibilità di confrontare fra loro i segnali raccolti,

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integrandoli in una sintesi multimodale, sarebbe giusto attribuire questa funzione al secondo livello, quello delle percezioni, piuttosto che al primo. Secondo gli autori del Libro della generale ignoranza (Lloyd & Mitchinson, 2006), i sensi sarebbero nove. Accanto ai cinque sensi tradizionali, andrebbero citati il senso della temperatura, quello dell’equilibrio, quello del dolore e la consapevolezza del proprio corpo o cenestesi. Berthoz (1997) ha proposto di aggiungere anche il senso del movimento (cinestesi), mentre Lurja (1970) aveva già annoverato fra gli organi di senso, attraverso il riconoscimento dei relativi recettori, anche la percezione della pressione atmosferica, quella dei campi magnetici e quella dell’umidità - secchezza. Sembra oggi accettabile che anche la percezione del tempo (kronos) abbia diritto di essere annoverata fra i nostri sensi.

Attorno al così detto “sesto senso” si è ragionato molto. Sherrington (1906) ha riservato questa locuzione alla propriocezione, quel flusso continuo di informazioni proveniente dalle parti mobili del corpo (muscoli, tendini, articolazioni) che permette di adattare di continuo la posizione, il tono, il movimento, in un modo che a noi rimane nascosto perché continuo, automatico e inconscio. La propriocezione è indispensabile per il senso di sé stessi, poiché è solo grazie a essa che noi avvertiamo il nostro corpo come nostro, come nostra proprietà (Sherrington, 1940). Senza propriocezione viene meno il senso egoistico dell’individualità, il corpo diventa cieco e sordo a se stesso e cessa di essere proprietario di se stesso, di sentirsi come se stesso (Sacks, 1986).

La funzione dei recettori, quale che sia la loro natura e il loro numero, è quella di trasformare il segnale in entrata nell’unico linguaggio comprensibile al cervello: il potenziale di azione. I recettori sono in sostanza dei traduttori. Rispetto alla cattura del segnale, la loro attività può essere interpretata in modo differente. Ci sono dei recettori passivi, che si comportano come il parafulmine sul tetto di casa. Se un fulmine decide di scaricarsi proprio lì, sono pronti a raccoglierlo, ma non lo vanno a cercare. I recettori termici ne sono un esempio: se nell’ambiente cambia la temperatura, i recettori termici recepiscono il cambiamento. Quindi recettore passivo verso ambiente attivo. Diversa è la situazione della vista. In questo caso è l’individuo a esplorare l’ambiente, indirizzando il proprio sguardo là dove pensa ci possano essere delle informazioni interessanti: quindi recettore attivo verso ambiente passivo. Una terza situazione è quella in cui sia il recettore sia l’ambiente vengono considerati attivi. L’ambiente contiene infatti degli indizi, dei suggerimenti, delle opportunità per l’azione che l’individuo è invitato a scoprire attraverso i propri organi di senso. Il termine inglese affordance esprime l’insieme delle possibilità per l’azione (fattibilità) che l’organismo è in grado di analizzare, in un dato ambiente, attraverso un sofisticato meccanismo di esplorazione affidato a particolari neuroni, detti “canonici”. Questi neuroni plurimodali fanno parte del sistema dei neuroni specchio scoperto negli anni Ottanta dal gruppo di Giacomo Rizzolatti.

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Scendendo nei particolari, possiamo sostenere che sono cinque i principali tipi di stimoli che siamo in grado di processare – chimici: i chemiocettori sono sensibili alle sostanze chimiche che generano profumi e sapori, ma anche a fame, sete e mancanza d’aria; luminosi: i fotocettori sono sensibili alle onde elettromagnetiche; meccanici: i meccanocettori rispondono alle vibrazioni (suoni), al tatto, ai cambiamenti di pressione, di tensione, di gravità, di equilibrio; termici: i termocettori rispondono al caldo e al freddo, fuori e dentro il corpo, ed alle infiammazioni; dolorifici: i nocicettori rilevano il dolore e il prurito.

Era già noto a Weber e Fechner (1860) che il sistema sensoriale estrae dagli stimoli in arrivo quattro diversi tipi di informazione: modalità (che tipo di informazione), intensità (quanto potente), durata (presente per quanto tempo), localizzazione (in quale parte del corpo).

Modalità: in accordo con la legge dell’energia specifica della sensazione, la modalità è una proprietà dei neuroni sensitivi (Müller, 1826). Lo stimolo in grado di attivare uno specifico neurone sensitivo è stato chiamato da Sherrington (1892) «stimolo adeguato». Oggi sappiamo che uno stimolo molto intenso può attivare anche altri tipi di fibre oltre le proprie, oltrepassando il concetto di selettività, e generare segnali confondenti, come una pressione intensa e improvvisa sui globi oculari che fa letteralmente “vedere le stelle” (fosfeni). Alcuni soggetti ipovedenti sfruttano intenzionalmente questa proprietà sfregandosi con forza gli occhi (spinterismo).

Secondo Lurija (1966), la principale funzione dei recettori sensoriali è quella di elaborare, ovvero costruire, «oggetti», cioè prodotti, ben strutturati spazialmente e temporalmente e variabili per intensità e natura. Tali oggetti costituiscono le componenti modali dei sistemi sensoriali, come ad esempio il caldo/freddo o il liscio/ruvido per la percezione tattile, il colore o la forma per la percezione visiva, l’altezza o il timbro di un suono per la percezione uditiva, ecc. Secondo Peterson (2001) «l’oggetto di sensazione» è una rappresentazione che può entrare a far parte della nostra esperienza cosciente con le caratteristiche fenomeniche dell’effettivamente esistente e non del meramente immaginato.

Intensità: l’intensità della sensazione dipende dall’intensità dello stimolo. La più bassa intensità che il soggetto riesce a percepire definisce la “soglia sensoriale” e viene determinata attraverso il criterio statistico (50% delle risposte). La soglia sensoriale non è fissa e può essere abbassata o innalzata in differenti circostanze. Sono riconducibili all’elemento intensità anche i concetti di attitudine individuale verso lo stimolo, che testimonia la capacità di quel soggetto di percepire quello stimolo (ne è un esempio la capacità di riconoscere le note musicali che può giungere fino all’orecchio “assoluto”), e di riconoscibilità dello stimolo, che indica la capacità elettiva del sistema sensoriale di rilevarlo e di informarne il sistema nervoso. Uno stimolo molto selettivo (puro, pulito, nitido) viene definito epicritico. All’opposto uno stimolo confuso viene chiamato protopatico. All’attitudine individuale può essere

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ricollegato il concetto di acuità con i relativi prefissi (iper-, ipo- e a- con valore privativo). Se ci interrogassimo, ad esempio, su quale fra gli animali abbia la vista più acuta, vedremmo l’aquila competere con la lince o con il falco per il primo posto. L’ultimo spetterebbe concordemente alla talpa, escludendo ingiustamente dalla competizione l’orbettino che, fedele al suo nome, ci vede ancor meno della talpa.

I potenziali evocati (somato-sensoriali, visivi e acustici) permettono di esplorare l’efficienza del recettore. Per farlo, si somministra perifericamente uno stimolo di potenza nota e si misura, attraverso elettrodi posizionati sullo scalpo, l’intensità del segnale che raggiunge la corteccia cerebrale, proporzionale all’efficienza del recettore.

Durata: viene definita dalla relazione fra l’intensità oggettiva dello stimolo e la misura in cui esso viene recepito percettivamente. In genere, più a lungo dura lo stimolo più bassa diviene la sua percezione, per l’insorgere di un fenomeno di abituazione (in gergo “sordità” sensoriale, anche quando non riguarda l’udito). Il cervello si nutre di novità e finisce per trascurare ciò che diviene costante. La sordità sensoriale interviene anche quando lo stimolo si ripresenta in modo monotono e del tutto prevedibile.

Alcuni recettori, definiti “tonici”, registrano l’intensità e la durata dello stimolo; altri, definiti “fasici”, la sua velocità e l’accelerazione.

Localizzazione: è la capacità di riconoscere le proprietà spaziali dello stimolo. Viene valutata attraverso due stimoli somministrati contemporaneamente. Sulla cute, ad esempio, si può valutare la soglia dei due punti, la distanza minima in cui due punti di pressione esercitati simultaneamente attraverso un compasso vengono percepiti come ancora separati. Questa capacità dipende dalla zona del corpo esplorata, dal numero di terminazioni nervose presenti – che aumentano dal centro verso la periferia – e dalla rappresentazione corticale del segmento interessato (l’homunculus sensoriale di Penfield, 1937).

Topograficamente, le informazioni che possiamo raccogliere vengono distinte in esterocettive, o di superficie, ed enterocettive, o viscerali. Ciò che non appartiene né alla esterocezione né alla enterocezione è stato raccolto da Sherrington (1906) sotto il termine propriocezione, espressione che raccoglie varie sensazioni: la cinestesi o senso di movimento, la barestesi o senso di pressione e la batiestesi o senso di posizione. Mentre durante la vita fetale prevalgono le informazioni estero ed enterocettive (Gottlieb, 1971), nel lattante, dopo una breve competizione prima con l’olfatto e poi con l’udito, è la vista la sensazione di gran lunga dominante. Solo verso la fine della prima infanzia, il dominio della vista diminuisce e il bambino diviene capace di integrare in modo bilanciato i differenti input sensoriali (Forssberg & Nashner, 1982).

I sistemi sensoriali sono organizzati in modo seriale. Ai campi recettivi periferici corrisponde infatti un preciso schema rappresentativo nel SNC. Questa corrispondenza ordinata e biunivoca è necessaria per poter

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riconoscere topograficamente l’origine dello stimolo. Nella prima infanzia, le aree cerebrali collegate permanentemente a specifici recettori e attivabili esclusivamente da definiti stimoli possono raggiungere solo limitate capacità. Nel corso dello sviluppo, le varie aree sensoriali interagiscono fra loro per ricostruire i differenti aspetti sensoriali di uno stesso fenomeno. Questo processo di integrazione crea la percezione, attività di secondo livello.

Lungo un ideale asse qualitativo possiamo distinguere quanto avviene sul versante attenzione-negligenza da quanto accade sul versante gradimento-intolleranza. In ogni lingua si usano verbi differenti per indicare il livello di attenzione applicato. Per la vista, usiamo i termini vedere e guardare (vedere con attenzione), osservare (guardare in modo ingenuo, cioè senza pregiudizio), valutare (osservare secondo una scala di valori precostituita), ammirare (valutare giudicando positivamente), contemplare (ammirare in modo estetico o mistico). Per l’udito, udire e ascoltare (udire con attenzione), origliare (ascoltare sembrando disinteressati). Per l’olfatto, odorare e fiutare. Per il gusto, assaporare e gustare. Per il tatto toccare, tastare, palpare. E via di seguito.

Per comprendere il versante gradimento-tolleranza dello stimolo, possiamo citare il tipico rumore che produce un gesso intero scorrendo sulla lavagna. Non si tratta di un rumore troppo intenso, ma di un rumore decisamente sgradevole. Un altro esempio può essere offerto da quanto avviene in certe giostre del luna park: le “montagne russe” (’’otto volante’’) ad esempio, con quei vagoncini vincolati a binari capaci di accelerazioni intense e improvvise. Per qualcuno questa bomba di cinestesi costituisce un’esperienza entusiasmante. Per altri un evento da cancellare, o quanto meno da non ripetere. Ci sono pazienti che decidono di non muoversi perché non sono in grado di tollerare le informazioni generate dal movimento che essi stessi producono e altri che invece ripetono in modo compulsivo gesti intransitivi e afinalistici (manierismi) per il solo piacere che percepiscono compiendoli. In ogni caso, prima di chiederci se un paziente possa realizzare una determinata prestazione motoria, dovremmo domandarci se egli possa sopportarne le conseguenze dal punto di vista percettivo. Costringere il paziente a compiere movimenti che non riesce a tollerare percettivamente può solo portarlo alla rinuncia a muoversi, una dimensione “intenzionale” della paralisi che si sovrappone, amplificandola, a quelle motoria e percettiva.

Il processo di trasduzione dell’energia dello stimolo in impulso nervoso richiede circa 1 millisecondo (ms) per gli stimoli uditivi, 30-40 ms per gli stimoli visivi e approssimativamente tra i 15 e i 30 ms per gli stimoli tattili, secondo la parte del corpo stimolata (Bergenheim et al., 1996). Per gli stimoli olfattivi si è stimato che essi impieghino all’incirca 100-150 ms per attraversare la mucosa nasale (Hummel et al., 1996).

L’onda sonora si sposta a circa 300 metri al secondo, la luce a circa 300 milioni di metri al secondo, le molecole odorose procedono invece con molta lentezza attraverso il medium dell’aria. Ne consegue che i differenti segnali

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provenienti dal medesimo evento ambientale raggiungono i rispettivi recettori in momenti diversi. Per quanto riguarda la vista e l’udito, è possibile dimostrare che i fattori che determinano l’arrivo degli stimoli al cervello si equivalgono solo a una distanza di circa 12 metri dall’osservatore. A questa distanza si realizza il cosiddetto ’’orizzonte di simultaneità’’, in cui gli stimoli uditivi e visivi giungono al cervello esattamente nello stesso momento. Per stimoli più distanti, avviene la ben nota separazione fulmine/tuono per effetto della quale quanto più lontano è “caduto” il fulmine, tanto più tardi arriverà il relativo tuono, e viceversa.

Configurazione dei recettori

I recettori periferici hanno il compito di fornire informazioni (output) sulla disposizione (layout) degli stimoli distali. Le caratteristiche degli output provenienti dai recettori dipendono dalle caratteristiche dell’energia in arrivo e dall’assetto, o configurazione, dei recettori stessi (Fodor, 1984). I recettori in quanto analizzatori di segnale sono altamente specializzati e specifici per dominio (l’occhio non può sentire i suoni e l’orecchio non può percepire la luce); hanno un funzionamento innato, obbligato, autonomo, cioè non si possono spegnere volontariamente; trasmettono al cervello informazioni limitate al settore di loro competenza; sono dotati di elevata velocità di funzionamento; sono infine «incapsulati informazionalmente». Il cervello li configura, ovvero ne registra direttamente la soglia di funzionamento, all’atto stesso in cui programma l’azione (Berthoz, 1997). In questo senso il più sofisticato organo di senso dell’uomo non è l’occhio, come si potrebbe pensare, ma il fuso neuromuscolare. Mentre, infatti, l’occhio può servirsi solo della pupilla per calibrare grossolanamente l’intensità della luce (miosi-midriasi), i fusi neuromuscolari posseggono una innervazione dedicata, sia afferente che efferente (circuito gamma), e un sistema interno di tensionamento (fibre muscolari a sacco e a catena) capaci di calibrare la sensibilità del recettore perché questo possa rilevare nel modo più appropriato il movimento del muscolo in cui è inserito (lunghezza, accelerazione, vibrazione).

Oggi sappiamo che a ciascun elemento del repertorio motorio corrisponde una specifica organizzazione sensoriale che seleziona e prepara una determinata configurazione dei recettori, i quali non misureranno soltanto i movimenti del corpo e le sue relazioni con il mondo, ma verificheranno anche se i risultati ottenuti sono conformi alle previsioni. Quindi, «a ogni elemento del repertorio motorio corrisponde un repertorio di previsioni dello stato in cui i recettori sensoriali devono trovarsi se l’azione si svolge normalmente, pronto a individuare l’errore o la novità» (Berthoz, 2009). «Grazie a un controllo di tipo anticipatorio il cervello guida e modula attivamente la percezione anche attraverso un processo attivo di calibrazione, selezione,

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soppressione […] l’azione influenza la percezione alla sua fonte» (Berthoz, 1997).

Calibrazione: capacità di regolare i recettori periferici predeterminando centralmente la quantità di informazione da raccogliere, in modo da non superare la soglia della tolleranza percettiva. A livello sottocorticale si trovano

i nuclei di ritrasmissione che ricevono afferenza dai recettori e sono dotati di campi sia eccitatori che inibitori, in grado di aumentare o diminuire il contrasto o il potere di risoluzione spaziale degli stimoli.

Selezione: capacità di prestare attenzione allo stimolo interessante separandolo dagli altri (per es. figura/sfondo – voce/rumore).

Stabilizzazione: capacità di mantenere costante l’informazione analizzata mentre il corpo si muove (per es. visione/locomozione). Nonostante si producano continui piccoli movimenti durante la fissazione, il mondo è percepito come stabile. Mentre il nostro cervello invia il comando esecutivo ai muscoli oculari, una copia dello stesso viene infatti inviata ai centri percettivi con la finalità di compensare gli spostamenti dell’immagine retinica. Questa copia afferente agisce come memoria semantica e porta alla fusione delle immagini che derivano da molte fissazioni successive del mondo esterno (Nijhawan, 2008).

Rivalità: capacità di distinguere tra loro due stimoli proposti contemporaneamente in due punti simmetrici del corpo.

Competizione: auto-generazione di informazioni allo scopo di farle competere con altre non gradevoli. Il principio è sfruttato terapeuticamente nella TENS (Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation).

Collimazione: capacità di confrontare informazioni sensoriali differenti per una rappresentazione unitaria e coerente della realtà È un’attività di secondo livello, perché comporta l’integrazione di più informazioni fra loro.

Soppressione: processo mentale che ci aiuta a identificare il problema ma a non tenerne conto. Consente di attenuare quanto non siamo emozionalmente in grado di tollerare. Sembra avvenire tramite la liberazione di oppiacei naturali nel sistema nervoso centrale. È un’attività di terzo livello.

Disgnosia: incapacità mentale di decodificare, riconoscendone il significato, definite sensazioni pur essendo indenni gli organi di senso e le vie di trasmissione al sistema nervoso centrale. È una alterazione delle attività di terzo livello. Si possono distinguere una disgnosia percettiva, quando il paziente non riconosce stimoli noti, e una disgnosia associativa, quando incontra difficoltà ad identificare stimoli non noti.

Modello ideomotorio

È un modello concettuale utilizzato in riabilitazione. Si compone di due assi verticali (movimento e sensazione) con collegamenti orizzontali. Prende in considerazione e integra tra loro sia gli aspetti motori sia quelli sensoriali.

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Il punto di partenza dello schema è l’azione (in alto a sinistra), il momento cioè in cui il soggetto prende la decisione di fare qualche cosa. Prima di questo momento attuativo si colloca la motivazione, che a sua volta deriva dalla consapevolezza di un bisogno o di un desiderio realizzabile. La progettazione si basa sull’utilizzo di mappe cognitive che guidano l’azione, quindi un gesto per uno scopo, in un certo contesto, in un dato momento. La progettazione contiene già aspetti motivazionali e ideativi. Se manca la motivazione, avremo l’acinesia, cioè la totale passività; se manca l’ideazione avremo l’aprassia ideativa.

Il secondo passaggio dello schema è la pianificazione esecutiva. Corrisponde alla prassia, ovvero alla organizzazione sequenziale dell’attività, al modo di iniziarla, condurla e portarla a termine dal punto di vista sia temporale che spaziale. Da questo livello parte anche la scarica collaterale (così la chiamano i neurofisiologi), che permette l’anticipazione percettiva dei risultati previsti dell’azione, se questa venisse realmente intrapresa, ovvero il confronto fra il segnale in uscita e la potenziale ri-afferenza sensoriale. Questo confronto serve per verificare la coerenza fra l’intenzione e il risultato ottenuto.

Il terzo passaggio è quello esecutivo. Se l’anticipazione percettiva riceve il consenso all’azione da parte delle mente, l’azione desiderata può essere eseguita e il programma viene consegnato all’apparato locomotore perché provveda alla sua realizzazione.

Al livello esecutivo motorio corrisponde, sull’asse delle sensazioni, il livello della raccolta di informazioni oggettive (in basso a destra). Queste verranno confrontate con le informazioni che ci si aspettava di ricevere compiendo l’azione (soggettive) e per le quali era già stato chiesto il consenso alla mente. Se le informazioni man mano raccolte coincidono con quelle attese, non ci sarà bisogno di correzioni, altrimenti si procederà in senso inverso passando dalla percezione alla pianificazione esecutiva e da questa alla realizzazione, per aggiungere i correttivi richiesti. La correzione avverrà, per così dire, in corso d’opera.

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Il consenso all’azione si fonda su un processo di riconoscimento percettivo, per cui la categorizzazione dei dati sensitivi e sensoriali provenienti dal ribaltamento anticipatorio del programma motorio richiede un confronto con le informazioni già memorizzate. Il ricordo di un’esperienza passata può così essere utilizzato nell’azione presente o per prevedere le conseguenze di un’azione futura (Berthoz, 2009). Se da questo bilancio si ricava un risultato intollerabile, viene meno il consenso percettivo (conscio o inconscio) e l’azione programmata non viene eseguita. Questo meccanismo consente alle idee sbagliate, come sostiene Popper (1994), di ’’morire al posto nostro’’.

I rapporti fra movimento e percezione sono in sostanza riconducibili a due distinti circuiti: un primo previsionale, cioè a feed-forward, rappresentato dall’ideazione, dalla pianificazione esecutiva, dall’anticipazione percettiva e dal consenso percettivo all’azione; il secondo consuntivo, cioè a feed-back, rappresentato dalla pianificazione esecutiva, dalla realizzazione, dalla conseguente raccolta di informazioni oggettive e dal confronto fra queste e quelle soggettive previste. Il feed-back proveniente dal movimento viene ricevuto ed elaborato, ma non necessariamente utilizzato, nel controllo dell’azione, a meno che qualcosa non vada storto. È probabile che molte azioni, ad esempio nello sport, siano programmate e portate a termine a circuito aperto. Se non compaiono errori, il feed-back può essere ignorato. Se invece il feed-back indica che è avvenuto un errore, l’attenzione può essere diretta alla fonte dell’errore e può essere avviata la correzione appropriata.

Lo schema ideomotorio permette di comprendere la differente natura di alcuni disturbi:

Aprassia ideativa (Pick, 1902): si riscontra quando il deficit riguarda la capacità di formulare o evocare dalla memoria il progetto (il soggetto non sa cosa fare). È normalmente conservata la capacità di eseguire singoli movimenti semplici, mentre è compromessa la capacità di eseguire movimenti complessi o atti volontari che siano costituiti da una definita successione di singoli movimenti. Si può diagnosticare quando i pazienti commettono errori nell’uso di oggetti quotidiani, che pur sono in grado di riconoscere. Il paziente non sa cosa fare, non riesce a rievocare il gesto da compiere, omette o inverte l’ordine delle azioni, compie con un oggetto movimenti che sarebbero idonei con un altro oggetto, ecc. (De Renzi & Lucchelli, 1988).

Aprassia ideomotoria (Heimann & Valenstein, 1982): difetto di programmazione o di esecuzione di atti motori consecutivi, o del controllo e della correzione degli stessi rispetto a una determinata intenzione. Il paziente sa quello che deve fare per realizzare il compito che gli è stato assegnato, ma non sa come agire, ovvero fallisce quando deve trasformare il progetto ideativo in una serie di movimenti appropriati. Il paziente non sa come fare (De Renzi & Faglioni, 1999).

Dispercezione: Berthoz la definisce un’illusione senza soluzione, prodotta da una frammentazione della rappresentazione dello spazio e dalla difficoltà di trovare una coerenza tra i molteplici riferimenti corporei e le relative

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informazioni sensoriali. La colloca, perciò, all’interno dei disturbi del senso del movimento. Più semplicemente, è un errore di traduzione del programma motorio in termini di anticipazione percettiva del risultato. Possiamo immaginare che un’azione, in realtà perfettamente eseguibile da parte del soggetto, a livello di anticipazione percettiva evochi lo spettro di informazioni non tollerabili. Verrà meno il consenso alla sua realizzazione e l’azione verrà scartata. L’errore della dispercezione sta proprio nel passaggio fra pianificazione esecutiva e anticipazione percettiva. Se il soggetto ci pensa, non riesce a compiere l’azione desiderata, che può invece eseguire se non ci pensa. Potremmo parlare di una sorta di dissociazione automatico-volontaria: il paziente può non essere in grado di eseguire un movimento in una condizione artificiale, ovvero in assenza di una motivazione interna o di una sollecitazione ambientale (come, ad esempio, quando l’esaminatore richiede l’esecuzione di un’azione durante la valutazione clinica). Può invece essere in grado di eseguire la medesima azione spontaneamente, senza pensarci, in risposta a sollecitazioni provenienti dal contesto, o in modo istintivo. È possibile che a causa di connessioni nervose alterate fra le aree sensoriali e l’amigdala, o fra queste e altre regioni del SNC, gli individui affetti da disordini percettivi abbiano una mappa emotiva distorta: un archivio di disinformazioni che fa prendere all’amigdala decisioni non appropriate e produrre al corpo reazioni non calibrate rispetto alla stimolo (Fabbri-Destro & Rizzolatti, 2008).

Per capire perché possano avvenire errori a livello di scarica collaterale bisogna considerare il ruolo dei telai interpretativi, strutture funzionali in grado di trasformare gli input raccolti dai recettori periferici in rappresentazioni centrali. Un esercizio di aritmetica può aiutare a comprendere il loro ruolo. Quanto fa 11 + 11? Tutti sanno che fa 22. In realtà potrebbe fare anche 121 o 1111 secondo il modo in cui abbiamo incolonnato i numeri. Le colonne verticali, i quadretti del quaderno di aritmetica, rappresentano il telaio interpretativo. Un difetto del telaio utilizzato per l’anticipazione percettiva può giustificare il mancato consenso a un’azione in realtà perfettamente eseguibile.

Secondo livello: le percezioni

La percezione è un processo integrato e complesso che permette di selezionare dalla globalità delle informazioni (sensazioni) in arrivo un numero definito di esse per poterle identificare, valutare e combinare. In sostanza è un processo di interpretazione sensoriale, un’opinione riguardo alle informazioni ricevute dal sistema, e come tale influenzato dal pregiudizio e totalmente soggettivo. Percepire significa infatti ricercare la coerenza fra le informazioni ricevute e la propria personale esperienza del mondo. Scriveva Aristotele: «Noi percepiamo le cose nella loro interezza e nel sentimento che proviamo

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non c’è soluzione di continuità […] l’anima percepisce tutte le sensazioni tramite una stessa e unica facoltà che riunisce le informazioni di tutti i sensi […]».

Morasso (2007) considera la percezione un processo attivo e adattivo attraverso cui le sensazioni vengono trasformate in esperienza organizzata. Tale esperienza, o percetto, è il prodotto congiunto della stimolazione sensoriale e del processo stesso di confronto e sintesi delle informazioni raccolte. Mentre la sensazione è oggettiva, la percezione è soggettiva, perché comporta la scelta dell’interpretazione più attendibile per le informazioni sensoriali disponibili in un dato istante e perché dipende dall’assetto funzionale del cervello di quel preciso momento, dal suo contesto interno (Llinás & Paré, 1996). Il percorso dalla sensazione alla percezione è perciò un prodotto cognitivo condizionato anche dall’educazione ricevuta (Kuhn & Sigler, 1979). Questi aspetti giustificano una potenziale serie di errori, ad esempio le illusioni.

Lo scopo della percezione è rappresentare il mondo in modo tale da renderlo accessibile al pensiero (Fodor, 1983). Attraverso la percezione le informazioni sensitive e sensoriali possono essere trasformate in simulazioni interne, in «configurazione anticipatoria», in «copia collaterale del programma di azione»; la percezione non è, perciò, «solamente un’interpretazione dei messaggi sensoriali: essa è condizionata dall’azione, è una sua simulazione interna, è giudizio, è scelta, è anticipazione delle conseguenze dell’azione» (Berthoz, 1997), «di fatto non è soltanto un’azione simulata, ma anche, e soprattutto, una decisione. Percepire non è solo combinare e ponderare. È selezionare, è scegliere tra la massa di informazioni disponibili quelle pertinenti rispetto all’azione considerata. È eliminare le ambiguità, e dunque è decidere. Decidere è legare il presente al passato e al futuro» (Berthoz, 2003).

Nella visione classica delle funzioni della corteccia cerebrale dei primati (uomo compreso) si riteneva che il flusso delle informazioni sensoriali seguisse un percorso seriale, iniziando con l’entrata a livello delle aree posteriori della corteccia, dove venivano elaborate in aree gerarchicamente via via più elevate, per divenire progressivamente percezioni. Tali elaborazioni potevano riguardare singole vie sensoriali, per esempio la visione, oppure potevano integrare il contributo di più modalità dando origine a percezioni più complesse, quali ad esempio quella relativa allo spazio (Fogassi, 2011).

Oggi sappiamo che l’informazione proveniente dal mondo esterno non dà luogo ad una descrizione unica degli stimoli, ma essi sono descritti più e più volte con scopi diversi. Accanto alla descrizione “visiva”, tipica del lobo temporale, nei circuiti parieto-frontali vi sono molteplici descrizioni finalizzate alle diverse risposte motorie che uno stesso stimolo può determinare (Umiltà, 2001).

Il nostro cervello utilizza due mezzi indipendenti: un recettore specializzato e una combinazione di informazioni provenienti da recettori

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diversi; e crede all’esattezza della misura unicamente se le due informazioni si rivelano coerenti. Oggi si ritiene che sia la sincronizzazione temporale delle attività di diversi recettori a produrre la percezione dell’unità dell’oggetto (Berthoz, 2009). La velocità della conduzione nervosa non è infatti sempre uguale, ma aumenta secondo la distanza che deve percorrere il segnale. La percezione è allora «funzione non tanto dell’intensità di una stimolazione quanto della concordanza di questa con un’ipotesi formulata dal cervello». Nel corso dell’evoluzione sono comparsi meccanismi che permettono di adattare il repertorio delle informazioni pertinenti in funzione degli scopi, dei desideri, delle credenze di ciascuno di noi in ogni istante (Berthoz (2009). Ne consegue che «il problema della coerenza percettiva presuppone dei meccanismi centrali attivi che permettano la rimozione dell’ambiguità, il recupero o l’anticipazione dei ritardi differenziali tra i recettori, la unificazione dei riferimenti spaziali» (Berthoz, 1997).

Al centro della percezione – ci ricorda Fodor (1983) – vi è la «fissazione di una credenza», ovvero «un processo di conservazione, un processo sensibile, in svariati modi, a quello che il percipiente già sa». Per questo la percezione è soggettiva e “condita” di pregiudizio. L’analisi delle sensazioni può essere incapsulata informazionalmente, la percezione certamente no.

Percezione e azione

Secondo l’approccio ecologico (Van der Meer et al., 1999), percezione e azione si integrano tra loro: non solo dobbiamo percepire per muoverci, ma dobbiamo muoverci per percepire. Percezione e azione devono quindi essere considerate mutuamente dipendenti, poiché la percezione serve all’azione e l’azione dirige la percezione. Secondo Berthoz (1997), bisognerebbe abbandonare la distinzione fra percettivo e motorio perché, come già sosteneva Lee (1976), percezione e azione sono le due facce inscindibili della stessa medaglia. L’azione organizza infatti la percezione: «nessuno dei sensi è funzionale senza l’apporto del movimento» sosteneva Henry Poincaré più di un secolo fa (1905). A sua volta, la percezione dirige l’azione: nessuno dei movimenti sarebbe funzionale senza l’apporto dei sensi, come replicato da Bernstein (1967). Per una corretta esecuzione del movimento sono infatti necessari input sensitivi appropriati: in mancanza di afferenze sensitive non è possibile alcuna esecuzione motoria. Viceversa, è ugualmente vero che un movimento eseguito in modo non corretto, qualunque sia il motivo per cui questo avviene, produrrà la raccolta, l’elaborazione e la memorizzazione di alterate informazioni percettive, alle quali conseguirà inevitabilmente un’incapacità secondaria di progettare, pianificare ed eseguire movimenti corretti.

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Percezione-azione e cognizione

L’osservazione di un oggetto comprende la valenza intenzionale/relazionale, il suo carattere di complementarietà dinamica con l’agente dell’esperienza percettiva che è sempre anche potenzialmente pragmatica: le cose, gli oggetti acquistano la piena significazione solo in quanto costituiscono uno dei poli di una relazione dinamica con il soggetto agente, che di questa relazione costituisce l’altro polo (Gallese, 2009). Lo stesso rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: non solo la percezione appare immersa nella dinamica dell’azione, ma il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende. Si tratta di una comprensione pragmatica, pre-concettuale e pre-linguistica, e tuttavia non meno importante poiché su di essa poggiano molte delle nostre tanto celebrate capacità cognitive (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).

Percepire è eliminare le ambiguità, è scegliere un’interpretazione piuttosto che un’altra, è dunque decidere. La percezione, cioè la simulazione di un’azione rispetto all’oggetto o all’ambiente, attraverso l’emulazione dei rapporti tra il corpo e il mondo, è dunque già parte integrante della decisione. La decisione non viene dopo la percezione: percepire è già, in qualche modo, instradare il processo decisionale in una direzione o in un’altra (Berthoz, 2003). La presa di decisione implica infatti la scelta delle informazioni del mondo più pertinenti rispetto ai fini dell’azione (Berthoz, 2009).

Percezione-azione ed emozione

Il significato emotivo di uno stimolo può essere valutato dal cervello prima che i sistemi percettivi abbiano finito di elaborarlo. È pertanto possibile che il cervello sappia se è buono o cattivo prima ancora di sapere di cosa si tratta. Quando una determinata regione del cervello viene danneggiata, gli animali (uomo compreso) perdono la capacità di valutare l’importanza emotiva di certi stimoli, senza perdere tuttavia la capacità di percepirli in quanto oggetti. La rappresentazione percettiva di un oggetto e la valutazione del suo significato emozionale sono infatti elaborate dal cervello separatamente.

Illusione

L’illusione è falsa interpretazione delle informazioni, errore dei sensi, cattivo raggruppamento, sintesi operata senza cura; una soluzione escogitata dal cervello di fronte all’incongruenza tra le informazioni sensoriali e le loro rappresentazioni interne anticipatorie, per rispondere a problemi di percezione ambigui, incompatibili con i dati dell’ambiente (Berthoz, 2007). Le

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illusioni sono dunque delle soluzioni che risultano da un repertorio endogeno di forme motorie e percettive alle quali vengono paragonate le configurazioni delle entrate sensoriali. In questo senso esse rappresentano per il cervello la migliore delle vie possibili per risolvere un dato problema: il nostro cervello può così imporre al mondo interpretazioni a priori, seguendo le proprie intenzioni (Berthoz, 2009).

In molte malattie psichiatriche e neurologiche può essere compromessa la manipolazione delle informazioni sensoriali e questa condizione può produrre sintomi apparentemente psichici o motori.

Terzo livello: le rappresentazioni

Nella mente non c’è nulla che non sia già stato nei sensi.

Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, II, 3, 19

Le rappresentazioni mentali sono mappe che costituiscono il destino finale delle informazioni dopo che queste sono state raccolte ed elaborate dall’esperienza. Queste mappe fanno parte del patrimonio delle memorie procedurali su cui si basano i meccanismi anticipatori e vengono ogni volta dinamicamente ri-attualizzate nel corso del movimento stesso (Kohnonen et al., 1981). Le rappresentazioni sono, in sostanza, riproduzioni mentali soggettive del contenuto di precedenti esperienze e rappresentano per questo un modello di controllo interattivo organismo-mondo (Gallese, 2009). La guida per la percezione è costituita dalla elaborazione di una immagine di quanto potrà essere percepito attraverso l’integrazione con il mondo (Farah, 1984).

Secondo Fodor, l’architettura cognitiva si distingue, almeno per quanto riguarda i sistemi di analisi dell’input (in particolare percezione e linguaggio), in strutture modulari che trasformano computazionalmente gli input in rappresentazioni. Tali rappresentazioni vengono quindi indirizzate alla parte centrale del sistema cognitivo e costituiscono le componenti prime della struttura del pensiero. A questo livello del sistema, la percezione viene trasformata in riconoscimento, le parole in significati, gli eventi in esperienze e le localizzazioni spaziali in obiettivi del comportamento esplorativo (Meraviglia, 2012). L’immagine motoria, perciò, è uno stato dinamico durante il quale il soggetto simula una determinata azione (Decety, 1996).

Definizioni per un uso appropriato dei termini

Esperienza. È una conoscenza diretta, prodotto di una attività intrapresa volontariamente dal soggetto per raggiungere un definito risultato, realizzata adattando sé stesso al contesto ed al compito, interagendo positivamente con

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l’ambiente fisico e sociale ed utilizzando nel modo più opportuno gli strumenti disponibili.

Schema corporeo. È l’organizzazione delle sensazioni relative al proprio corpo in rapporto con i dati del mondo esterno. Ha al suo interno una dimensione spaziale e una dimensione temporale. Sfugge a qualunque raffigurazione perché in continuo rimaneggiamento. È riferito a coordinate egocentriche (come se il corpo fosse visto dall’interno). «Lo schema corporeo non è concepito come una rappresentazione del corpo, ma come uno schema delle azioni possibili […] Non c’è verosimilmente un solo schema corporeo, ma molteplici schemi corporei adattati ognuno a una funzione particolare, come ci sono molteplici rappresentazioni del corpo» (Berthoz, 2007).

Immagine corporea. Concetto proprio della sfera cognitiva (conoscenza semantica), che si struttura progressivamente nel bambino e segue le stesse tappe di ogni altro apprendimento. L’immagine corporea è il risultato di una riflessione, di un pensiero, di un processo meta-psicologico operato sul proprio corpo che trascura, pur riconoscendoli, gli elementi emozionali. Essa può essere indagata con la rappresentazione della figura umana ed è riferita a coordinate allocentriche (come se il corpo fosse visto dall’esterno). Il cervello ha del corpo un modello visivo che, di norma, è piuttosto debole e sussidiario di quello propriocettivo.

Vissuto corporeo. È il riconoscimento di sé (diverso dalla conoscenza di sé e dalla consapevolezza del proprio agire) operato attraverso il complesso delle emozioni che il corpo ci fa vivere. Consegue al modo con cui il nostro corpo sta in rapporto col mondo e stabilisce relazioni con gli altri, ma anche, se non soprattutto, alle emozioni e ai sentimenti coi quali gli altri vivono il nostro corpo. Il vissuto è sempre frutto di un’esperienza, è una rielaborazione emozionale delle proprie azioni. Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi: possedere, se necessario ri-possedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo “ripetere” noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé (Sacks, 1986).

Errori di rappresentazione

Negligenza. Il neglect è un deficit neuropsicologico che si contraddistingue per «l’incapacità di rilevare, rispondere od orientarsi verso stimoli nuovi, o comunque significativi, che vengono presentati nello spazio controlaterale alla sede di lesione, quando il deficit non può essere attribuito a disturbi sensoriali o motori» (Heilman, 1979). Si presenta generalmente per lesioni dell’emisfero destro (più raramente del sinistro), e ha manifestazioni

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cliniche molto variabili (si possono distinguere neglet percettivo, rappresentazionale, esplorativo-motorio, ecc.). Il neglect è infatti uno dei disturbi neuropsicologici che può presentare al suo interno più dissociazioni. Ha varie teorie interpretative: quelle attenzionali sono quelle attualmente più seguite e riconosciute dalla comunità internazionale. Di particolare interesse sono il neglect corporeo (o personale) e quello motorio. Il primo «si riferisce alla mancanza di esplorazione della metà del corpo controlaterale alla sede di lesione» (Rizzolatti et al., 1983); ad esempio, il paziente non è in grado di inforcare gli occhiali, lavarsi e asciugarsi il viso, pettinarsi, mettersi la crema nell’emisoma controlaterale alla lesione, ma non presenta deficit per lo spazio extrapersonale (Guariglia et al., 1992). Il neglect motorio riguarda invece la produzione di risposte nello spazio extracorporeo. Viene descritto, in assenza di rilevanti deficit motori primari, come un impoverimento o una totale mancanza di movimento all’arto superiore e/o inferiore contro lesionali durante attività spontanee (Laplane & Degos, 1983). Nel neglect extrapersonale, o di rappresentazione spaziale, il paziente trascura di disegnare gli oggetti posti sullo stesso lato della propria stanza, del proprio appartamento, della propria città, in genere a sinistra. È caratterizzato da una compromissione generale, di diversa gravità, dell’attenzione per il lato sinistro dello spazio, con la conseguente incapacità di rispondere a stimoli visivi, tattili e acustici, senza che l’attenzione sia esplicitamente diretta verso lo spazio o verso oggetti/stimoli in generale lì allocati (Robertson & Halligan, 1999). È prodotto da una lesione del lobulo parietale inferiore destro. La stessa lesione a sinistra produce aprassia. Quando la negligenza è grave – ce lo spiega efficacemente Sacks (1986) – per il soggetto è «quasi come se la metà dell’universo avesse tutt’a un tratto perso ogni significato e addirittura cessato di esistere»; questi pazienti «si comportano non solo come se in realtà nell’emispazio sinistro non accadesse nulla, ma anche come se da quell’area non ci fosse da aspettarsi alcunché di importante».

Allucinazione. L’allucinazione è un’opinione che la mente si costruisce in assenza di qualunque oggettività fornita da stimoli esterni. È cioè una percezione senza oggettività. L’allucinazione è una creazione del cervello poiché non parte da sensazioni che il cervello non è in grado di integrare in una percezione coerente, ma è prodotta da ricordi endogeni di percezioni che improvvisamente si combinano. In un certo senso l’allucinazione è un sogno fatto da svegli, è un funzionamento autonomo di circuiti interni che normalmente servono a simulare le conseguenze dell’azione (Berthoz, 2009).

Arto fantasma. Rivela l’esistenza di rappresentazioni mentali del proprio corpo, di modelli interni del corpo indipendenti dalla sua esistenza. Nell’arto fantasma la rappresentazione corticale della parte amputata rimane attiva e questa attività viene interpretata dal resto del cervello come proveniente dalla parte del corpo originariamente rappresentata in quella regione corticale. Per effetto della costante ri-attulizzazione delle mappe corticali, la

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rappresentazione dei segmenti amputati dovrebbe progressivamente scomparire. Per questo si ritiene oggi che i neuroni corrispondenti alla parte amputata siano in realtà reclutati da aree corticali precedentemente confinanti.

- Evitamento dell’ostacolo. La sensazione dell’arto fantasma viene attenuata quando un oggetto arriva a ingombrare lo spazio che sembra essere occupato dall’arto fantasma.

- Terapia dello specchio. La semplice richiesta di osservare in uno specchio (mirror box) l’immagine riflessa dell’arto conservato (che appare nella posizione in cui avrebbe dovuto trovarsi l’arto amputato) può dare al paziente l’impressione di poter controllare il proprio arto fantasma (Ramachandran & Altshuler, 2009).

- Dolore fantasma. Sensazione dolorosa associata all’arto fantasma.

- Arto fantasma soprannumerario. Alcuni pazienti cerebrolesi riferiscono di percepire la presenza di più arti rispetto ai reali.

Somatoparafrenia. Raro fenomeno che consiste nella produzione di rappresentazioni deliranti relative al lato opposto dello spazio corporeo o extracorporeo, per es. l’estraneità della metà o di parti dell’emisoma controlaterale alla lesione, oppure l’attribuzione ad altri dell’emisoma affetto o di sue parti, fino a un vero orrore (misoplegia) o alla negazione/negligenza dello spazio corporeo contro lesionale. Il paziente attribuisce a un’altra persona una parte del suo corpo. Se il paziente osserva l’arto attraverso uno specchio, lo riconosce invece come proprio. Il disturbo è attribuito a un deficit della propriocezione.

Agnosognosia. Il paziente ignora la sua malattia. Specie il soggetto emiplegico sinistro sostiene che il lato plegico del suo corpo non esiste, oppure che non è paralizzato. È stato dimostrato che le forme più gravi di agnosognosia sono prodotte da lesioni delle aree premotorie 6 e 44 di Brodmann.

Autoscopia. Raro fenomeno durante il quale il soggetto ha la sensazione di uscire da se stesso per diventare un secondo sé (sosia), vivo e pensante, proiettato nello spazio antistante ad osservare un se stesso ridotto a un involucro svuotato della sua parte attiva. È chiamato anche immagine dello specchio fantasma o allucinazione visiva dell’altro se stesso (Lhermitte, 1951). Consegue probabilmente a una lesione del giro angolare (Blanke et al., 2002). Si tratta di percezioni illusorie caratterizzate dall’impressione di percepire il proprio corpo occupare simultaneamente due posizioni nello spazio: la posizione reale e una virtuale. I fenomeni autoscopici comprendono le esperienze extracorporee (out-of-body experience), l’allucinazione autoscopica e infine l’heautoscopy (visione di se stessi). Si pensa che all’origine del fenomeno vi possano essere delle anomalie di integrazione delle informazioni

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sensoriali coinvolte nella rappresentazione del corpo, in particolare della sua forma e della posizione che esso occupa nello spazio.

- Esperienza extracorporea: i pazienti vedono il loro corpo reale nella prospettiva del corpo virtuale.

- Allucinazione autoscopica: è il corpo virtuale ad essere visto dalla prospettiva del corpo reale.

Epilogo

La scienza non è altro che percezione. Platone, Theaetetus 151e

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Adriano Ferrari neurologo e fisiatra è professore ordinario di medicina fisica e riabilitativa all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore della struttura complessa di riabilitazione delle gravi disabilità dell’età evolutiva della AUSL di Reggio Emilia. È autore di numerose pubblicazioni e promotore di importanti progetti di ricerca nel campo della riabilitazione infantile.

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