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Studio sperimentale sulla correlazione tra risposte sensoriali e comportamenti ripetitivi e stereotipati in bambini con Disturbo dello Spettro Autistico.

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Academic year: 2021

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Dipartimento  di  Medicina  Clinica  e  Sperimentale   Direttore  Prof.  Mario  Petrini  

 

Dipartimento  di  Patologia  Chirurgica,  Medica,  Molecolare  e  dell'Area  Critica   Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento  di  Ricerca  Traslazionale  e  delle  Nuove  Tecnologie  in  Medicina  e   Chirurgia  

Direttore Prof. Giulio Guido

 

 

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

“Studio sperimentale sulla correlazione tra risposte

sensoriali e comportamenti ripetitivi e stereotipati in

bambini con Disturbo dello Spettro Autistico”

RELATORE

CHIAR.MO PROF.

Filippo Muratori

CANDIDATO

Beatrice Fantozzi

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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Ringraziamenti:

Ringrazio Il Dipartimento di Psichiatria dello Sviluppo dell’IRCCS Stella Maris per avermi permesso di frequentare la struttura.

Ringrazio il mio relatore, Il Professore Filippo Muratori, che mi ha dato la possibilità di intraprendere questo lavoro di tesi, ampliando così la mia conoscenza sul Disturbo Autistico.

Ringrazio il Dottor Antonio Narzisi per avermi seguito e aiutato nello sviluppo e nella stesura finale di questo lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE  GENERALE  

Introduzione………

……...…………pag. 6

CAPITOLO PRIMO

Che Cos’è L’Autismo

1. Introduzione……….pag. 8 2. La scoperta dell’Autismo……….pag. 8 2.1 Inquadramento storico del disturbo……….pag. 9 2.2 Epidemiologia………..pag. 13 3. Eziologia………...pag. 13 3.1 Le basi neuroanatomiche ……….pag. 13 3.2 Predisposizione genetica…..……….pag. 17 3.3 I Fattori ambientali……….…..pag. 19 3.4 Le Teorie Neuropsicologiche……….……..pag. 20 4. Conclusioni………..pag. 29

CAPITOLO SECONDO

Aspetti Diagnostici e Quadro Clinico

1. Criteri diagnostici ………..…….…....pag. 30 1.1 Criteri diagnostici DSM-IV TR…….…………..………...….pag .30 1.2 Criteri diagnostici ICD-10………...………...….pag. 33 1.3 Diagnosi differenziale ……….…….…………..………pag. 35 1.4 Criteri diagnostici DSM-V …..………...………...…...pag. 36 2. Quadro clinico e sintomatologia…………..………..……...pag. 41 2.1 Sintomi associati all’autismo..………..…………..pag. 43 2.2 Abilità preservate……..………..………pag. 44 2.3 Modalità d’esordio... pag. 45

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CAPITOLO TERZO

Anomalie Sensoriali nei bambini con Autismo: Il questionario Sensory

Profile

1. La percezione sensoriale………pag. 47 1.1 Anomalie sensoriali nei bambini con autismo….………..…pag. 48 2. Il Sensory Profile………..………..pag. 53 2.1 Procedure di Scoring……….……...………..pag. 55 2.2 Caratteristiche Teoriche………..………...……….pag. 57 2.3 Finalità del Sensory Profile…..………...………....pag. 60

CAPITOLO QUARTO

Comportamenti Ripetitivi nei bambini con Autismo: Il Questionario

Repetitive Behavior Scale-Revised

1. RRB- Restricted and Ripetitive Behavior…………..….……pag. 61 1.2 Spiegazione delle stereotipie e comportamenti ripetitivi..…..pag. 64 2. I comportamenti ripetitivi nei DSA nell’età prescolare……...pag. 66 3. Valutazione dei comportamenti ripetitivi e stereotipati……...pag. 67 4. RBS-R: The Repetitive Behavior Scale-Revised…....……....pag. 68 4.1 Struttura del Questionario………...pag. 69 4.2 Procedure di Scoring…………..………..…..…….pag. 71 4.3 Finalità del Questionario RBS-R………..…….……….pag. 72

CAPITOLO QUINTO

Studio Sperimentale

1. Obiettivi………....pag. 74 2. Partecipanti………..…...pag. 74 3. Strumenti………...…………pag. 75 4. Procedure………..………..………….….pag. 78 5. Analisi Statistica dei Dati………..………...pag. 78 6. Risultati………...………..pag. 79 7. Discussioni...………...………..pag. 87

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CONCLUSIONI………pag. 91

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INTRODUZIONE

La prima infanzia è il momento in cui si deciderà lo sviluppo di un bambino. Le prime relazioni getteranno la base del comportamento futuro così come l’ambiente e gli aspetti costituzionali di una persona. Con il termine Autismo ci ricolleghiamo immediatamente ad un disturbo che colpisce il bambino a partire dalla primissima infanzia, immaginandolo isolato, inaccessibile, tagliato fuori dal mondo, ma dotato di impressionanti abilità di calcolo e memoria.

In realtà la patologia Autistica è molto più complessa ed enigmatica, e solo attraverso una buona osservazione riusciamo a coglierne le caratteristiche più intime e distintive. La ricerca sull’Autismo negli ultimi vent’anni ha fornito nuove importanti informazioni sulla patogenesi, sulle caratteristiche cliniche, sulla storia naturale e sul trattamento. Le aree di progresso riguardano una migliore definizione diagnostica della sindrome “Autismo e Disturbi dello Spettro Autistico”, nuovi metodi di valutazione, il riconoscimento dei fattori genetici, la chiarificazione della disfunzione sociale e comunicativa, approcci farmacologici efficaci e trattamenti più sistematici, inclusi gli interventi per i soggetti più giovani. Questi progressi si sono attuati grazie agli sforzi di diverse generazioni di psichiatri e psicologi infantili di tutto il mondo, ai quali si sono uniti ricercatori da altri campi: genetica, epidemiologia, neurochimica, farmacologia,

neuroimaging e scienze comportamentali. Nonostante i recenti progressi, le domande

fondamentali di grande interesse per genitori e clinici, rimangono senza risposte: quali sono le cause? Qual’è la cura? Non esiste una singola causa dell’Autismo. La maggior parte dei clinici sostiene che l’Autismo sia il risultato di disturbi innati nello sviluppo cerebrale che influenzano molti sistemi comportamentali, come l’interesse per gli altri e l’abilità di comprensione, e colpiscono la comunicazione emotiva, simbolica e linguistica. In questo lavoro di tesi mi sono dedicata ad analizzare il disturbo autistico partendo dalle sue origini e prime teorizzazioni, esponendo le caratteristiche eziologiche ed epidemiologiche. Nel secondo capitolo ho analizzato il disturbo partendo dai criteri diagnostici che definiscono questa patologia, il quadro clinico e le varie manifestazioni comportamentali associate. Nei capitoli centrali mi sono focalizzata su due aspetti peculiari dell’Autismo: le anomalie sensoriali e i comportamenti ripetitivi e stereotipati, che sono stati da sempre descritti e documentati

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in letteratura. Infatti fin dalle prime descrizioni di Kanner (Kanner, 1943), vengono segnalate caratteristiche sensoriali insolite nei bambini con Autismo, ripetitività monotona e comportamenti stereotipati.

Numerosi studi descrivono la presenza di disturbi della processazione sensoriale in più del 70% di bambini affetti da Autismo (Dunn, 2007), altri studi hanno riportato evidenze cliniche di risposte abnormi a stimoli sensoriali in bambini autistici, incluso iper-responsività o ipo-responsività (Baranek, 1997). Altrettanti studi hanno messo in evidenza come i bambini affetti da questo disturbo abbiano una serie di comportamenti e movimenti ripetitivi, attività stereotipate e interessi particolari, oltre a essere estremamente sensibili al cambiamento (Bishop et al., 2006; Cuccaro et al., 2003; Richler, 2010).

Nel nostro studio sperimentale abbiamo esaminato la relazione tra questi due aspetti così importanti nell’Autismo in una popolazione di bambini di età prescolare con diagnosi di Autismo, mediante due questionari indirizzati ai genitori, rispettivamente il Sensory Profile (Dunn 1999), che ha lo scopo di indagare le difficoltà nella processazione sensoriale, e il Repetitive Behavior Scale-Revised (RBS-R), (Bodfish 1999), che valuta i comportamenti ripetitivi e stereotipati negli individui con Autismo. La ricerca ha cercato di evidenziare le differenze tra un gruppo di bambini con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) e un gruppo di bambini con Sviluppo Tipico (ST) ai questionari Sensory Profile (SP) e Repetitive Behavior Scale Revised (RBS-R), oltre che studiare l’eventuale relazione tra i comportamenti ripetitivi e stereotipati e le risposte sensoriali nei due campioni.

Ho infine discusso e commentato i risultati del nostro studio con la speranza che la ricerca, in futuro, ci permetta di comprendere ancora meglio questa enigmatica e complessa patologia che ha ancora numerose domande senza risposta.

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CAPITOLO PRIMO

CHE COS’E’ L’AUTISMO

1. Introduzione

Secondo una definizione accettata da gran parte degli esperti, oggi l’Autismo rientra nei Disturbi dello Spettro Autistico (DSA), ed è considerato un disturbo neuroevolutivo causato da una patologia dell’ontogenesi del sistema nervoso centrale che va in corso alla sua prima espressione durante la primissima infanzia.

Ci riferiamo ad un disturbo con genesi multifattoriale che colpisce tre importanti aree di sviluppo: l’interazione sociale, la comunicazione e il comportamento, quest’ultimo risulta stereotipato e non adattabile al cambiamento. Per capire una patologia così complessa non dobbiamo però limitarci a studiare e comprendere solo questi aspetti, che pur essendo patognomici dell’Autismo, non spiegano nella sua completezza tutti gli aspetti della sindrome. In realtà più che di sindrome, oggi gli esperti concordano nel definirla una “condizione life-span”, in quanto, dall’Autismo non si guarisce mai completamente, accompagna l’individuo per tutto il corso della vita. L’obiettivo della terapia è incrementare i punti di forza del bambino per dargli la possibilità di sviluppare delle strategie che gli permettano di affrontare la vita una volta adulto. In questo capitolo faremo un excursus storico partendo dalle origini di questa patologia fino ad arrivare alle scoperte odierne, cercando di delinearne le numerose cause che rimangono ancora oggi oggetto di studio.

2. La scoperta dell’Autismo

Qualsiasi trattazione che riguardi l’Autismo deve incominciare dalle trattazioni dei pionieri Leo Kanner e Hans Asperger che, indipendentemente l’uno dall’altro, pubblicarono per primi degli studi su questo disturbo nei primi anni ’40 del secolo scorso. Tali pubblicazioni (Kanner, 1943 e Asperger, 1944) descrivevano un gruppo di bambini con caratteristiche strane, i quali sembravano non sapere allacciare delle normali relazioni affettive e comunicative con i coetanei. Entrambi scelsero l’aggettivo

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“autistico” per caratterizzare la natura del disturbo sottostante, ma in realtà questo termine era ben noto nell’ambito della psichiatria, in quanto venne introdotto per la prima volta in psicopatologia da Eugene Bleuler nel 1911, per descrivere il sintomo fondamentale della Schizofrenia.

Con Autismo Bleuler intendeva la chiusura in se stessi dei pazienti schizofrenici, ovvero un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno. Questo restringimento poteva essere paragonabile ad un allontanamento dalla vita sociale verso se stesso e verso il proprio mondo interiore; da qui il termine autistico, dal greco

autòs, che significa “se stesso” e da qui la scelta di Kanner di riprendere il termine per

descrivere il comportamento dei suoi pazienti.

2.1 Inquadramento storico del disturbo

(Fig.1.1 Leo Kanner, 1896-1981. Fonte Wikipedia)

Abbiamo detto che a Leo Kanner (fig.1.1) va il merito di aver pubblicato per primo un lavoro in cui si ipotizzava l’esistenza dell’Autismo inteso come sindrome unica e nuova, mai descritta prima.

L’articolo, intitolato “Disturbi autistici del contatto affettivo” (Kanner,1943), esordiva così: “ a partire dal 1938, è venuto alla nostra attenzione un certo numero di bambini

la cui condizione differisce in modo così netto e singolare da qualsiasi altra cosa sinora riportata, che ciascun caso merita di essere considerato in modo dettagliato nelle sue caratteristiche”.

Kanner descriveva undici bambini (nove maschi e due femmine) giunti a sua osservazione che presentavano nove caratteristiche comuni che avrebbero definito la sindrome autistica.

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Ancora oggi alcune di queste caratteristiche sono considerate valide per l’Autismo classico e presenti nei criteri diagnostici internazionali, mentre altre sono state confutate e l’associazione con l’Autismo è stata invalidata.

Brevemente vediamo quali sono queste caratteristiche osservate da Kanner: 1)Incapacità di relazione sociale.

Secondo Kanner questo è il disturbo caratteristico dell’Autismo e consiste nell’incapacità di mettersi normalmente in relazione con le altre persone, manifestando “un’estrema solitudine autistica” presente fin dalla nascita. Aveva osservato, per esempio, che i neonati non anticipavano l’essere presi in braccio con adattamenti di postura rispetto ai bambini con sviluppo tipico. In realtà la ricerca attuale ha dimostrato che in molti bambini le anomalie dell’interazione emergono più tardi, a partire dal 12 mesi.

2)Abilità linguistica sviluppata con ritardo e senza funzioni comunicative.

Alcuni bambini da lui osservati, anche se in grado di parlare, non usavano il linguaggio per veicolare significati, ma si limitavano a ripetere frasi e parole udite senza funzione comunicativa, comportamento definito ecolalico.

3)Buone potenzialità cognitive e di memoria.

Quando questi bambini avevano una buona padronanza del linguaggio, sembravano avere conoscenze lessicali straordinarie e complesse oltre a buone capacità mnestiche. Tutt’oggi è confermato che alcuni bambini autistici mostrano capacità di memorizzare grandi quantità di materiale come liste di parole, nomi, numeri di telefono. Queste capacità emergono soprattutto in quei bambini senza gravi deficit linguistici.

4)Disturbi dell’alimentazione.

Erano presenti gravi disturbi dell’alimentazione tanto che era necessaria la somministrazione forzata di cibo. Kanner intrepretava questo rifiuto del cibo come il tentativo di tenere fuori il mondo e impedire qualsiasi intrusione dall’esterno. Oggi sappiamo che molti bambini autistici hanno marcate preferenze o avversioni verso determinati cibi. Questa selettività è causata da anomalie della processazione sensoriale.

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5)Panico per rumori e per oggetti in movimento.

Alcuni dei bambini osservati dallo psichiatra manifestavano attacchi di panico o grande disagio in seguito a rumori prodotti da oggetto come tricicli, altalene, oggetti meccanici. La paura e il disagio però non sembravano dipendere dall’intensità del rumore, perché il medesimo bambino poteva riprodurre rumori altrettanto intensi provando piacere.

6)Ripetività monotona.

Kanner chiamava ripetività monotona quel repertorio di interessi ristretti e attaccamento a routine disfunzionali che ancora oggi caratterizzano i bambini autistici, tanto che è considerato un criterio importante per la diagnosi.

7) Buone relazioni con oggetti inanimati.

Gli oggetti inanimati non generavano conflitti o paure a differenza di quelli in “movimento”, al contrario potevano dare sollievo ai bambini e prestavano loro molta attenzione.

8) Fisico normale, impaccio motorio.

I bambini autistici non presentavano anomalie fisiche utili alla diagnosi, anzi alcuni avevano un aspetto attraente ed intelligente. Al contempo potevano presentare goffaggine o difficoltà nella coordinazione motoria. Tuttavia, grazie all’utilizzo di tecniche di neuroimaging, si è potuto evidenziare specifiche anomalie fisiche, tra cui una lieve macrocefalia e un fisico più grande rispetto a quello degli altri bambini. 9) Appartenenza a famiglie intelligenti.

Kanner aveva notato che tutti i bambini da lui osservati appartenevano a famiglie con un alto livello socio economico, i cui genitori erano laureati o persone di successo e aveva osservato la presenza di complessi problemi nel rapporto con i figli, deducendo che tali tensioni nell’accudimento dei propri figli giocavano un ruolo importante nell’origine del disturbo autistico. In realtà l’associazione fra Autismo, intelligenza dei genitori e carenza di affettuosità nei confronti dei figli è stata disconfermata.

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Kanner parlava quindi di un disturbo nel formulare l’usuale contatto affettivo con le persone. Come lui anche Asperger concordava nel riscontrare un disturbo del contatto ad un livello profondo degli affetti e/o istinti. Indipendentemente dai lavori di Kanner, svolti a Baltimora, Hans Asperger pubblicò nel 1944, a Vienna, un articolo dal titolo

“Gli psicopatici autistici in età infantile”(Asperger,1944), che è stato per molto tempo

ignorato, nel quale si evidenziavano in un gruppo di bambini, caratteristiche simili a quelle individuate da Kanner. La definizione che Asperger dette dell’Autismo era però molto più ampia rispetto a quella di Kanner e oggi il riconoscimento della “Sindrome di Asperger” ha permesso di differenziare bambini che non mostrano ritardo nello sviluppo del linguaggio, né ritardo mentale, ma che tuttavia presentano deficit nell’interazione sociale.

Per quanto riguarda le cause dell’Autismo, entrambi gli autori concordavano nell’affermare che si trattava di un disturbo innato nel formare il contatto affettivo con le persone. Kanner, inoltre, enfatizzava la particolare tipologia di relazione tra bambini e genitori, descrivendo quest’ultimi privi di ogni attenzione e affettuosità nei confronti dei figli. Questa visione ha aperto la strada all’interpretazione psicodinamica del disturbo, che si è diffusa per molte decadi grazie anche all’ipotesi dello psicanalista Bruno Bettelheim, il quale ha formulato la metafora della fortezza vuota (Battelheim, 2001). Secondo l’autore le cause dell’Autismo vanno ricercate nell’atteggiamento delle madri: troppo fredde e insensibili ai bisogni del bambino. Queste “madri frigorifero” generano nei bambini l’idea che non avrebbero potuto influenzare il mondo circostante, costringendoli a ritirarsi in una sorta di fortezza vuota. L’Autismo rappresenterebbe quindi una difesa del bambino contro l’angoscia derivante dal fallimento delle prime relazioni con i genitori, incapaci di soddisfare i suoi bisogni di protezione, rassicurazione e contenimento, inducendolo a chiudersi e isolarsi in un mondo interiore.

La teoria di Bettelheim ha dominato il panorama scientifico per lungo tempo generando, ovviamente, forti sensi di colpa e angosce nei genitori e ripercuotendosi negativamente anche sulle ipotesi d’intervento, poichè ci si concentrava sul rapporto madre-bambino e non sulle caratteristiche del singolo bambino.

A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un progressivo abbandono della teoria psicodinamica di Bettelheim e alla nascita di nuove teorie neuorpsicologiche più idonee a spiegare il funzionamento mentale. Inoltre le più recenti tecniche d’indagine

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hanno permesso l’individuazione delle basi neuroanatomiche e dei sistemi neurotrasmettitoriali implicati nell’Autismo.

2.2 Epidemiologia

Sulla base dei dati attualmente disponibili una prevalenza di 10 casi per 10.000 sembra la stima più attendibile (Fombonne, 2003; Volkmar et al., 2004). Tale dato confrontato con quelli riferiti in passato ha portato a concludere che attualmente l’Autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a 30 anni fa (Fombonne, 2003). L’Autismo è inoltre molto più frequente nei maschi che nelle femmine con un rapporto di 4:1 (Fombonne et al, 2006). Questo sbilanciamento è coerente con le spiegazioni eziologiche che danno risalto a fattori biologici e genetici legati all’ambiente intrauterino (Surian, 2005).

3. Eziologia

Le cause dell’Autismo sono ancora oggi oggetto di studio e ricerca e non esiste una spiegazione condivisa da tutti gli esperti. Le prime teorie psicogenetiche di derivazione Kanneriana (Kanner, 1943) sono ormai superate, cosi come è stata abbandonata la proposta dello psicanalista Battehleim (Battehleim, 1967), che attribuiva ai genitori, in particolare alle madri, le cause della patologia. Oggi le conoscenze sull’Autismo sono notevolmente cambiate e sono state formulate ipotesi che pongono l’accento sulle cause organiche (Surian, 2005).

Grazie anche allo sviluppo delle tecniche di neuro-immagine, si sono potute individuare le basi neuroanatomiche e neurotrasmettitoriali, dando importanza ai fattori genetici, ai modelli neuropsicologici, senza dimenticare i fattori ambientali, interpretando cosi l’Autismo come una sindrome multifattoriale derivante dalla combinazione di diversi fattori (Surian, 2005).

3.1 Le basi neuroanatomiche

Un modo per rilevare eventuali anomalie nelle strutture cerebrali richiede l’uso di sofisticati apparecchi che consentano di formare neuro-immagini. Tra le tecniche più utilizzate vi sono la Tomografia ad emissione di positroni (Pet), la Tomografia assiale computerizzata(Tac), la Risonanza magnetica (Rm) e la Risonanza magnetica funzionale (Rmf). Tutte queste tecniche d’indagine hanno contribuito e permesso di ottenere importanti risultati nello studio del cervello delle persone con Autismo.

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-La dimensione del cervello nelle persone con Autismo: vi sono dati chiari che indicano

un’associazione fra autismo e dimensione del cervello. Le persone con Autismo tendono ad avere cervelli leggermente più grandi (Surian, 2005). Già Kanner aveva osservato le maggiori dimensioni della testa nei bambini autistici, ma il fenomeno è stato ignorato per molti anni e ha cominciato a ricevere maggiore attenzione solo dopo l’introduzione delle tecniche di neuro-immagine (Surian, 2005). Si ritiene che siano due i processi dello sviluppo neurale che possono considerarsi responsabili delle differenze nelle dimensioni cerebrali: il primo processo è quello della formazione di nuovi dendriti e connessioni sinaptiche. Si tratta di un processo che si osserva precocemente, già in fase prenatale. Una possibilità è che nel cervello autistico vi siano più dendriti e sinapsi perché si formano in quantità maggiori rispetto a quello normale (Surian, 2005). Una seconda possibilità riguarda invece la selezione delle sinapsi e dei dendriti, un processo definito pruning ovvero “potatura”. Lo sviluppo neurale, infatti, non implica solo la formazione di nuovi collegamenti fra neuroni, ma anche la perdita di collegamenti che risultano inutili o addirittura dannosi allo svolgimento di alcune funzioni mentali. Il cervello delle persone autistiche potrebbe avere più dendriti del normale non perché ne vengono formati di più, ma perché si verifica un insufficiente processo di pruning (Surian, 2005).

-Relazione fra dimensione del cervello e funzioni mentali nell’Autismo:

tradizionalmente il profilo disarmonico delle capacità e prestazioni dei bambini con Autismo è stato interpretato come l’effetto di funzioni selettivamente danneggiate (le capacità comunicative) presenti insieme a funzioni relativamente intatte (capacità visuospaziali) (Surian, 2005). Negli ultimi anni si è però diffusa una diversa concezione che vede quest’ultime come l’esito non tanto di un funzionamento normale quanto piuttosto come il risultato di una riorganizzazione funzionale che avviene nel corso dello sviluppo e che porta a un’elaborazione delle informazioni diversa dallo sviluppo tipico (Surian, 2005). Le buone prestazioni osservate nei compiti visuo-spaziali possono cioè nascondere un’elaborazione comunque diversa da quella messa in atto dai bambini con sviluppo tipico. Nel 2003 Helen Tager-Flusberg e Robert Joseph hanno scoperto che le prestazioni delle persone con Autismo nei compiti predisposti a valutare il QI sono legate in modo particolare alla dimensione del cervello e della testa (Surian, 2005).

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-Peculiarità nelle diverse strutture: le tecniche di neuro-immagine hanno condotto alla

scoperta di una molteplicità di anomalie in diverse strutture neurali. Attraverso le analisi Pet, Tac e Rm sono state rilevate anomali nel volume di molte aree, nella densità delle cellule cerebrali e nella loro organizzazione. Sono inoltre emerse anomalie nel flusso sanguigno che irrora alcune aree corticali (Pardo et al., 2007). Le peculiarità nei lobi frontali sono emerse negli studi condotti con la risonanza magnetica che hanno riportato una correlazione negativa fra le dimensioni dei lobi frontali e quelle del cervelletto. La corteccia frontale e il cervelletto hanno un ruolo importante nel monitoraggio e nel controllo attentivo e la presenza di anomalie in entrambi impedisce che il malfunzionamento di una struttura sia compensato dall'altra (Surian, 2005). Le anomalie dei lobi frontali possono essere all'origine di molti sintomi autistici, come la resistenza al cambiamento, la rigidità comportamentale e il ristretto repertorio di attività, dei problemi nelle abilità sociali e delle difficoltà nella conversazione. Quest’ultima, infatti, sebbene apparentemente priva di pianificazione, richiede complesse capacità di ragionamento, memoria di lavoro, sensibilità agli indici contestuali e spostamento dell'attenzione (Surian, 2005). Negli autistici è stato riscontrato inoltre un flusso sanguigno ridotto nei lobi temporali. Questa riduzione nell'apporto di sangue, e quindi di ossigeno, è stata osservata anche in assenza di particolari attività cognitive (Surian, 2005).

Altri studi sul flusso sanguigno corticale hanno riportato un'anomalia che riguarda il

solco temporale superiore di entrambi gli emisferi. Quest’area è d’importanza centrale

nella formazione ed elaborazione di rappresentazioni mentali che riguardano le intenzioni e soprattutto la comprensione delle azioni compiute sia da altre persone che da se stessi. Il suo malfunzionamento potrebbe essere quindi la base neurale di molte difficoltà sociali, cognitive e comunicative (Surian, 2005).

Un’altra area del lobo temporale che appare centrale nella comprensione dell’Autismo è il giro fusiforme. Il suo ruolo nell’elaborazione dei volti è conosciuto da tempo e più recentemente sono stati riportati dati che ne indicano il coinvolgimento anche nell’elaborazione di inferenze sugli stati mentali. Vi sono diversi studi (Corbett at al.,

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2009) che hanno mostrato un funzionamento anomalo del giro fusiforme, caratterizzato da una scarsa attivazione, nelle persone autistiche, misurando l’attivazione del giro fusiforme in risposta alla processazione di emozioni e riconoscimento volti.

Da tempo si conosce l’importanza dell’amigdala nel riconoscimento delle emozioni e nell’interazione sociale e si ritiene inoltre che sia una delle strutture maggiormente colpite nell’Autismo. L’ipotesi di un malfunzionamento dell’amigdala ha ricevuto conferme nelle ricerche, condotte con risonanza magnetica funzionale, in cui si chiedeva di riconoscere il sesso di alcuni volti (Surian, 2005). Questi volti presentavano delle forti espressioni emotive che venivano spontaneamente elaborate dalle persone di controllo le quali mostravano un’attivazione selettiva dell’amigdala. Tale attivazione era molto inferiore nelle persone con sindrome di Asperger o Autismo. Altri studi hanno rilevato un’ipoattivazione dell’amigdala in compiti di attribuzione di stati mentali (Surian, 2005). Analisi eseguite con la risonanza magnetica hanno rilevato anomalie strutturali dell’amigdala che possono essere la base organica del deficit nelle capacità di riconoscimento emotivo e nella comprensione degli stati mentali. Fra queste peculiarità vi sono una riduzione della dimensione e dei dendriti, della densità e della grandezza dei neuroni.

Il cervelletto è una grande struttura che si trova inferiormente alla corteccia cerebrale,

nella parte posteriore del cervello. Fino a vent’anni fa si credeva che le funzioni di questa struttura fossero sostanzialmente di tipo motorio e quindi fosse esclusivamente deputata al controllo dei movimenti. Oggi riconosciamo invece che il cervelletto svolge anche un ruolo importante in alcuni processi cognitivi, nella regolazione dell’attenzione e nella capacità d’integrazione sensoriale (Surian, 2005). Per questo si è

ipotizzato un funzionamento anomalo di questa struttura cerebrale. Un dato

comportamentale in accordo con questa ipotesi è la presenza spesso di scarso coordinamento motorio e deambulazione goffa e bizzarra negli autistici. Attraverso la risonanza magnetica funzionale sono state individuate specifiche zone del cervelletto in cui gli autistici differiscono dai soggetti dei gruppi di controllo: presentano in alcune zone un ridotto numero di neuroni e il VI e il VII lobulo del cervelletto presentano una crescita incompleta. Il cervelletto risulta però di dimensioni complessivamente maggiori rispetto alla popolazione non autistica (Surian, 2005).

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-Neurotrasmettitori: i neurotrasmettitori sono le sostanze chimiche che permettono e

regolano la trasmissione degli impulsi nervosi fra i neuroni.

Da molti anni è stata avanzata la proposta che l’Autismo sia dovuto, a livello fisiologico, da un’iperattività del sistema dopaminergico (Surian, 2005). Questa affermazione è sostenuta da due tipi di prove: in primo luogo le strutture cerebrali che risultano coinvolte nell’Autismo e in particolare nell’emergere di difficoltà e peculiarità cognitive e comportamentali, sono in buona parte strutture dopaminergiche. In secondo luogo i farmaci che agiscono sulla dopamina hanno notevoli effetti sulla sintomatologia autistica (Surian, 2005). Il legame tra sintomi autistici e strutture dopaminergiche è particolarmente chiaro per i sintomi legati all’area delle stereotipie motorie e degli interessi ristretti. Anche la rigida fissazione su alcuni tipi di informazione, l’attenzione per i dettagli e le difficoltà di comprensione sociale e psicologica sono riconducibili a un eccessiva attivazione dopaminergica (Surian, 2005). Esperimenti condotti sugli animali mostrano un aumento dell’isolamento e la riduzione del gioco sociale, come effetto delle sostanze chimiche che facilitano la produzione e inibiscono il riassorbimento della dopamina. I risultati sullo squilibrio della dopamina negli autistici sono comunque ancora controversi e restano anche non chiari i risultati degli interventi basati sulla riduzione del livello di dopamina (Surian, 2005).

3.2 Predisposizione genetica

L’influenza del patrimonio genetico sull’insorgere dell’Autismo è dimostrata da molte prove, ottenute per lo più studiando individui con gradi di parentela diversi: gemelli monozigoti e dizigoti, fratelli non gemelli e genitori. I dati ottenuti da questi studi indicano una certa ereditabilità del disturbo, ma non si è ancora raggiunto un accordo sulla reale entità di questo effetto considerando soprattutto che, altri fattori, non genetici, intervengono in fase prenatale e perinatale. E’ quindi difficile determinare esattamente in quale misura e secondo quali modalità fattori genetici e non genetici contribuiscono al processo di eziopatogenesi. Nei gemelli identici, quindi omozigoti, la concordanza nella diagnosi di Autismo non è mai del 100% e questo risultato indica che i geni forniscono un’alta predisposizione a sviluppare il disturbo che viene poi influenzata da altri fattori. Nei fratelli non gemelli e nelle coppie di gemelli dizigoti, la concordanza nella diagnosi di Autismo è di 2-6%, nella popolazione generale l’incidenza è invece dello 0,1% (Surian, 2005).

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Le prove più convincenti che riguardano il confronto tra gemelli omozigoti provengono da tre importanti studi (Bailey et al., 1995; Folstein e Rutter, 1977; Steffenburg et al., 1989), nei quali non si sono osservati casi di Autismo nel gruppo di fratelli gemelli dizigoti, ma nel caso di fratelli monozigoti la situazione era invece molto diversa: Folstein e Rutter hanno trovato il 37% di fratelli affetti dalla stessa sindrome, Steffenburg e colleghi il 91%, mentre Bailey e colleghi il 69%. Queste percentuali indicano un ruolo importante del patrimonio genetico nell’insorgere dell’Autismo. (vedi figura 1.2).

(Fig. 1.2. Studi sulle basi genetiche dell’autismo. Fonte Surian.L)

Alcuni risultati sull’origine genetica sono forniti anche da ricerche sui genitori. E’ stato scoperto che alcune caratteristiche psicologiche dell’Autismo si trovano anche, in forma lieve, nel comportamento e nelle funzioni cognitive dei padri dei bambini con Autismo (Surian, 2005). Queste somiglianze riguardano una maggiore propensione al ragionamento su problemi fisico-meccanici rispetto a quelli psicologici e all’elaborazione dei dettagli piuttosto che degli aspetti strutturali e globali.

La concordanza nella presenza dei Disturbi dello Spettro Autistico si riduce enormemente nel passare da parenti di primo grado a parenti di secondo grado, un dato che suggerisce una trasmissione poligenica piuttosto che dovuta a una sola variazione allelica. La trasmissione poligenica rimane la più probabile considerando l’eterogeneità dei sintomi autistici (Surian, 2005). Vari studi sul genoma di persone autistiche indicano aree di suscettibilità genetica in cromosomi diversi. Il primo ad essere stato

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individuato è il cromosoma 7 e altri loci sono stati individuati nel cromosoma sessuale X (Surian, 2005). Inoltre sono state identificate rare mutazioni nei geni che codificano per due proteine sinaptiche, la neuroligina e la neuressina, entrambe proteine recettrici inserite nella membrana dei neuroni che potenziano le connessioni sinaptiche tra neuroni coinvolti nell’apprendimento, memoria e risposta a stimoli esterni ambientali. In caso di Autismo queste proteine sono deficitarie e impediscono queste connessioni non favorendo quindi importanti funzioni come l’apprendimento (Piomin et al., 2001).

3.3 I Fattori ambientali

Per fattori ambientali intendiamo il contributo che l’ambiente dà nel rischio di sviluppo dell’Autismo. È stato riportato in letteratura che alcuni agenti chimici presenti nell’ambiente intrauterino come la talidomide, un farmaco usato negli anni 60’ per alleviare i malesseri della gravidanza, è risultato essere dannoso sul feto. Nei bambini esposti a questo farmaco nel periodo prenatale, la probabilità di essere autistici è stata 50 volte superiore rispetto alla popolazione normale (Surian, 2005). In generale l’uso di farmaci è considerato un fattore di rischio nell’insorgere del disturbo. Anche l’alta presenza di ormoni androgeni sembra un fattore di rischio. Negli Stati Uniti, un’epidemia di rosolia materna risultò associata ad un aumento dell’incidenza di Autismo. Varie indagini hanno dimostrato che anche complicazioni alla nascita sono associate ad un numero più alto di rischi per lo sviluppo del disturbo (Surian, 2005). Inoltre è stata definitivamente ritenuta falsa l’ipotesi che l’Autismo potesse insorgere a seguito di reazioni dai vaccini, ipotesi diffusa nell’opinione pubblica a partire da un articolo pubblicato su Lancet (Wakefield et al., 2004), ma che è stato respinto dalla stessa rivista dopo la scoperta della falsità dei dati presentati dall’autore (Godlee et al., 2011) . Indubbiamente, come conseguenza c’è stato un grande allarmismo tra i genitori i quali non hanno vaccinato i loro figli con la trivalente. Ma come mai le vaccinazioni sono state considerate essere il fattore scatenante? I segni iniziali dell’Autismo spesso non si rilevano prima della fine del secondo anno di vita, periodo in cui avvengono le vaccinazioni critiche. Inoltre una certa percentuale di Autismo mostra una regressione nello sviluppo dopo uno sviluppo apparentemente normale. Mettendo insieme questi elementi, è intuibile come si è diffusa l’idea che alcuni bambini abbiano sviluppato l’Autismo a seguito delle vaccinazioni.

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3.4 Le Teorie Neuropsicologiche

A partire dagli anni 70’/80’ lo studio dei processi cognitivi e comunicativi nei bambini con Autismo ha ottenuto notevoli successi ed ha permesso lo sviluppo di diverse teorie neuropsicologiche che hanno cercato si spiegare i principali deficit nell’Autismo. Faremo una rassegna delle teorie proposte analizzando più in dettaglio le tre che hanno suscitato maggiore interesse: il deficit di acquisizione della Teoria della Mente, il deficit delle funzioni esecutive e la teoria della debole coerenza centrale.

1-Il Deficit di acquisizione della Teoria della Mente

La teoria metarappresentativa dell’Autismo è stata sviluppata a partire dai lavori di Alan Leslie (1987, 1994, 2000), Baron-Cohen (1985,) e Uta Frith (1989) (si vedano anche Camaioni, 2003; Surian, 2002). L’ipotesi da cui si è partiti è che esista nella mente umana un “Meccanismo della Teoria della Mente”, un modulo specializzato nel produrre rappresentazioni di stati mentali come CREDERE, CONOSCERE o FAR FINTA (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985). Il Meccanismo della teoria della mente (per brevità TOMM da Theory of Mind Mechanism) è una parte del sistema cognitivo, il suo input, l’informazione che riesce ad entrare nel meccanismo, è costituito da “rappresentazioni primarie”, prodotte da altri moduli, che codificano stati di fatto in modo letterale. Il suo output, l’informazione in uscita, è costituito invece da rappresentazioni secondarie che chiameremo metarappresentazioni. La teoria della mente è quindi l’insieme delle conoscenze psicologiche fondamentali che tutti i bambini con sviluppo tipico acquisiscono nei primi anni di vita, ma non si tratta necessariamente di una conoscenza consapevole. E’ spesso una conoscenza tacita e implicita che tuttavia orienta nel bambino i suoi processi di comprensione e azione. La maggior parte degli autori concorda nell’affermare che fra i 3 e i 4 anni nello sviluppo tipico, i bambini dimostrano la capacità di attribuire credenze (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985). L’attribuzione di false credenze è il culmine di un processo evolutivo che porta il bambino a comprendere la mente delle altre persone. Sono riconoscibili dei “precursori della teoria della mente” che nei bambini autistici risultano già essere deficitari:

-deficit d’imitazione: nei bambini autistici mancherebbe la capacità di imitare gesti ed espressioni degli adulti che compare precocemente nello sviluppo tipico.

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-deficit della capacità di espressione mimica: nei bambini con Autismo mancherebbe la capacità di espressione mimica e corporea che traduce i diversi stati psicologici.

-attenzione condivisa: gli autistici non sarebbero in grado di condividere un focus attentivo con un’altra persona, come l’indicare protodichiaritivo, cioè la capacità di indicare per attirare l’attenzione su un oggetto o un evento e non solo per richiedere un oggetto.

-mancanza di gioco simbolico: l’assenza di gioco di finzione è uno dei sintomi più direttamente spiegabili dalla teoria della mente, infatti il gioco simbolico richiede metarappresentazioni, altrimenti l’intero sistema concettuale del bambino non potrebbe svilupparsi correttamente. Nel giocare a far finta che “questa scatola è un trenino” il bambino deve essere in grado di rappresentarsi mentalmente la frase senza credere realmente che le scatole siano treni o viceversa. La mancanza di metarappresentazioni rende possibile il gioco di esercizio ma non quello di finzione.

Esperimenti sulla comprensione delle false credenze nell’Autismo.

Le conferme sperimentali della teoria della mente sono dimostrate dagli esperimenti sulle false credenze. La falsa credenza corrisponde all’errata convinzione del bambino che le persone possiedano la sua stessa rappresentazione della realtà e quindi che agiranno nel modo da lui voluto.   Per valutare questo aspetto, Baron-Cohen, Leslie e Frith, hanno messo a punto il famoso test di “Sally e Ann” (Baron-Cohen, Leslie e Frith,1985). Nell’esperimento iniziale i bambini a cui è stato sottoposto il test appartenevano a tre gruppi: bambini autistici, bambini con sindrome di Down e bambini con sviluppo tipico. Gli autistici avevano in media 11 anni con prestazioni nella norma ai test di intelligenza; i bambini con sindrome di Down avevano in media 10 anni e presentavano un ritardo mentale e infine un gruppo di bambini con sviluppo tipico di 4 anni. Nell’esperimento viene mostrata una scenetta con due personaggi, Sally ed Ann: Sally nasconde una biglia in un posto X e poi va a fare una passeggiata, durante la sua assenza Ann sposta la biglia in un posto Y; Sally poi ritorna e a questo punto si chiede al bambino in quale luogo Sally andrà a prendere l’oggetto; se il bambino indicherà il posto X significa che ha sviluppato la capacità di riconoscere la falsa credenza di Sally (Vedi figura 1.3), per cui il bambino comprende che il protagonista della storia possiede una rappresentazione della realtà diversa da quella dello stato di cose effettivo e che il suo comportamento sarà determinato dalla sua credenza.

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Questa domanda è superata dalla maggior parte dei bambini con sviluppo tipico e con sindrome di Down, ma solo da 4 dei 20 bambini autistici.

I bambini autistici mostrano di non possedere questa capacità rispondendo che Sally cercherà la biglia nel posto Y.

(Fig 1.3 Test di Sally e Ann.Baron-Cohen, Leslie e Frith,1985.)

Negli ultimi decenni gli psicologi dello sviluppo hanno condotto centinaia di esperimenti utilizzando diversi compiti di false credenze tra cui un altro famoso strumento, il “compito degli smarties” (Perner et al., 1989). La procedura è molta semplice. Si mostra al bambino un tubetto di caramelle Smarties e si chiede che cosa pensa che contenga. Solitamente tutti i bambini rispondono senza esitare “Smarties”. Quindi si apre la scatola e si mostra che invece contiene una matita. Si richiude la scatola e si pongono tre domande: 1) Che cosa c’è nella scatola? 2) Che cosa hai risposto quando prima ti ho chiesto che cosa conteneva? 3) Quando …. torna, se gli chiedo cosa c’è qui dentro che cosa mi dirà?. Nella terza domanda si richiede quindi al bambino di prevedere cosa risponderebbe un’altra persona che non ha ancora visto il contenuto della scatola. Anche in questo compito, i bambini di 4 anni con sviluppo tipico rispondono correttamente mentre i bambini con Autismo trovano grandi difficoltà. Solo 4 dei 23 bambini autistici esaminati da Perner (Perner et al., 1989) hanno risposto correttamente (vedi figura 1.4).

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(Fig.1.4 L’esperimento del tubetto degli Smarties, Perner et al, 1989)

Dagli studi condotti con compiti di false credenze, Surian (Surian, 2005) ha riportato tre risultati di grande interesse :

1. I bambini autistici presentano un deficit selettivo in questi compiti, cioè anche quando hanno un livello intellettivo superiore agli altri bambini di 4-5 anni, nella maggior parte dei casi forniscono risposte scorrette, basate quindi sulla realtà esterna piuttosto che sulle credenze.

2. La loro prestazione è correlata positivamente alle capacità verbali: migliori sono quest’ultime maggiori sono le probabilità che il bambino superi le prove di false credenze.

3. Le difficoltà nei compiti di teoria della mente non possono essere spiegate sulla base di problemi di tipo affettivo, attentivo o linguistico.

2-Deficit delle funzioni esecutive

Le funzioni esecutive sono i processi di controllo e coordinazione del funzionamento del sistema cognitivo e comprendono la capacità di spostare e mantenere l’attenzione sull’informazione pertinente allo scopo di completare un compito, formare piani, inibire le reazioni impulsive attivate da stimoli esterni, organizzare le azioni e monitorarne i risultati (Surian, 2005). Le funzioni esecutive sono richieste in particolare in quelle situazioni in cui non è possibile lasciare che un processo o un’azione siano guidati da reazioni automatiche. Sono quindi responsabili della flessibilità e originalità delle azioni volontarie e sono indispensabili per la risoluzione di problemi (Surian, 2005).

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Le funzioni esecutive hanno un ruolo molto importante nell’acquisizione e nell’impiego delle capacità sociali. Surian (2005) afferma che la maggior parte degli autori concorda nel suddividere lo sviluppo esecutivo in tre fasi:

1. Da 0 a 6 anni i bambini raggiungono i livelli di prestazione degli adulti nei compiti di ricerca visiva e pianificazione semplice.

2. Da 6 a 11 anni i bambini raggiungono abilità simili a quelle degli adulti nei compiti di pianificazione più complessa.

3. Dopo gli 11 anni si raggiungono i livelli adulti nei compiti che richiedono capacità di verifica delle ipotesi e di controllo della perseverazione.

La prima teoria neuropsicologica dell’Autismo, avanzata da Antonio Damasio negli anni ’70 (Damasio, 1978), propone che la rigidità comportamentale, i disturbi dell’attenzione e i comportamenti compulsivi dei bambini autistici derivano da una disfunzione della corteccia frontale e di alcune strutture sottocorticali come i gangli della base e il talamo. Le anomalie nei lobi frontali in alcune persone con Autismo sono state confermate da esami istologici e da studi condotti con la risonanza magnetica. Gli interessi ristretti, i comportamenti ripetitivi, l’aderenza inflessibile alla routine familiare, sono tutti aspetti che suggeriscono un disturbo delle funzioni esecutive (Surian, 2005). In Inghilterra, Neil O’Connor e Beate Hermelin, i primi psicologi che hanno indagato in modo sistematico i processi cognitivi nell’Autismo, hanno sottolineato la difficoltà presente negli autistici di inibire risposte perseverative e sviluppare nuove strategie di risposta. La letteratura neuropsicologica offre un vasto repertorio di test utili alla valutazione delle funzioni esecutive utilizzati in vari studi sulle persone autistiche, ossia il Wisconsin Card Sorting Task (WCST), la Torre di Londra e i compiti Go-No-Go:

- il WCST è stato il primo compito usato per valutare le funzioni esecutive negli autistici. In questo test la prestazione è tanto migliore quanto più vengono evitati gli errori di perseverazione che consistono nel seguire un criterio anche dopo che è stato cambiato.

- Il test della Torre di Londra richiede l’uso di strategie nuove, mai utilizzate prima, ed è quindi una buona prova delle abilità di pianificazione.

- I compiti Go-No-Go richiedono uno spostamento dell’attenzione e come nel WCST l’inibizione di criteri rinforzati precedentemente.

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Negli anni ’80 e ’90 sono stati pubblicati molti studi sulle funzioni esecutive nell’Autismo, utilizzando il WCST, e i risultati sono stati che la maggior parte degli autistici presentava deficit esecutivi e in particolare gli errori di perseverazione erano molto frequenti. Il risultato di questi studi in generale risulta interessante se si considera che questi soggetti presentavano prestazioni nella media nei test d’intelligenza (Surian, 2005). Le ricerche longitudinali (in cui i gruppi in esame sono seguiti nel tempo e periodicamente controllati) di Sally Ozonoff (Ozonoff, 1995) hanno invece mostrato che il deficit esecutivo è permanente e in alcuni soggetti tende a peggiorare con l’età. Osservando che nel WCST gli autistici superano bene le prime prove che richiedono capacità di discriminazione ma non quelle successive in cui compiono molti errori di perseverazione, è possibile dedurre che il loro deficit riguardi la capacità di spostare l’attenzione su proprietà dello stimolo diverse da quelle a cui avevano prestato attenzione nelle prove iniziali (Surian, 2005). Questo suggerisce che le componenti esecutive maggiormente colpite negli autistici sono la capacità di generare nuove soluzioni e la capacità di cambiare criterio. Per quanto riguarda la memoria di lavoro i dati in merito sono poco coerenti: alcuni studi hanno trovato un deficit grave e selettivo nei bambini con Autismo, altri studi hanno invece rilevato una prestazione che non differisce dai gruppi di controllo (Surian, 2005). Un’altra componente importante delle funzioni esecutive è la capacità di mantenere e spostare volontariamente l’attenzione e negli autistici le abilità di attenzione sostenuta risultano intatte o comunque meno compromesse rispetto a quelle di attenzione selettiva e di spostamento dell’attenzione. Le difficoltà nello spostamento dell’attenzione sono state rilevate in compiti in cui era richiesto di spostare il focus attentivo dai dettagli di uno stimolo alla sua configurazione globale e viceversa. Allo scopo di spiegare tale aspetto funzionale è stata sviluppata la teoria della debole coerenza centrale (Frith, 1989). 3-Teoria della debole coerenza centrale

Uta Frith, una delle più note studiose dei processi mentali nell’Autismo, sostiene che molti dei sintomi che caratterizzano i bambini con Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) possono essere compresi ipotizzando che il loro sistema cognitivo presenti una tendenza debole alla coerenza centrale (Frith, 1989). La tendenza alla coerenza centrale è, nella definizione della Frith, un aspetto che pervade diversi processi cognitivi, dal ragionamento al linguaggio, dalle capacità di azione a quelle di percezione visiva e

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uditiva. Questa tendenza è definita come la propensione ad integrare le parti o informazioni in un tutto coerente, è una pulsione verso un significato pertinente al contesto. La proposta della Frith parte dalla constatazione di alcune peculiarità nei profili di prestazione nei test d’intelligenza dei bambini autistici. Il più celebre fra i test utilizzati per calcolare il quoziente d’intelligenza, la scala Wechsler, è composto da due tipi di prove: verbali, in cui le conoscenze linguistiche hanno un ruolo centrale, e quelle di performance, dove il linguaggio ha un ruolo secondario. Un dato consolidato nelle ricerche sull’Autismo indica un’asimmetria nei risultati nei due tipi di scale: gli autistici sono infatti relativamente abili nelle prove di prestazione ma ottengono scarsi risultati nelle prove verbali (Surian, 2005). Uta Frith, per spiegare questo profilo disarmonico, sostiene che la dipendenza dal contesto sia il fattore cruciale che influenza il superamento di una prova o l’esecuzione adeguata di un processo nei bambini autistici. I processi e le prove che richiedono una maggiore considerazione del contesto sarebbero quelli in cui i bambini con Autismo trovano maggiori difficoltà, mentre nelle prove in cui il contesto può essere ignorato, darebbero prestazioni migliori. La minore o maggiore dipendenza dal contesto può quindi spiegare le asimmetrie nei profili di QI e nei test verbali, infatti, il contesto comunicativo è cruciale per giungere a una corretta interpretazione delle domande. Frith sottolinea che la partecipazione a una conversazione, ad esempio, richiede l’impegno a cercare una coerenza nelle informazioni ad un livello superiore e il sistema cognitivo possiederebbe un’innata propensione a cercare e a raggiungere la coerenza tra informazioni diverse (Frith, 1989). Il sistema cognitivo tende a formare coerenza semantica, a livello del significato nel caso di frasi o storie, e a livello di struttura complessiva nel caso di melodie, forme visive o sequenze di suoni. Tale propensione risulta debole nell’Autismo e ciò spiegherebbe molte manifestazioni autistiche.

Quali sono gli aspetti dell’Autismo spiegati dalla debole coerenza centrale?

Percezione degli oggetti

:

fin dalle prime osservazioni di Kanner è emerso che gli

autistici tendono a focalizzarsi sulle parti degli oggetti e sui dettagli anche molto piccoli piuttosto che sugli oggetti interi. Manca quindi l’integrazione delle parti, come è previsto in un sistema cognitivo dotato di debole coerenza centrale (Surian, 2005). Questo dato è stato dimostrato in vari test sulle figure nascoste, dove viene chiesto di trovare una “figura nascosta” all’interno di un disegno molto più complesso (vedi

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figura 1.4). Molti bambini con sviluppo tipico incontrano difficoltà a individuare le figure nascoste, e impiegano parecchi secondi per trovarle, mentre i bambini autistici mostrano prestazioni sorprendenti in questi test a sostegno della tesi che hanno una debole coerenza centrale che non li permetterebbe di unire insieme grosse quantità di informazioni (Frith, 1989).

(Fig. 1.4 Test delle figure nascoste. Fonte U.Frith, 1989.)

Vi sono almeno due sintomi spiegati come conseguenza di una debole coerenza centrale: la produzione del linguaggio e gli interessi ristretti. Un sintomo frequente dell’Autismo è l’ecolalia, ossia la ripetizione letterale di ciò che il bambino ha ascoltato. Questa ripetizione è molto difficile nella maggior parte delle persone in quanto l’attenzione va spontaneamente al significato di parole o frasi piuttosto che alla loro forma superficiale. Nei pazienti autistici la ripetizione letterale risulta invece più facile, come è previsto in un sistema cognitivo meno rivolto al significato e al contesto di quanto lo sia normalmente (Surian, 2005).

Anche la tendenza a ripetere in modo ossessivo alcune routine disfunzionali può essere spiegata con riferimento a un’attenzione ai dettagli che perde di vista lo scopo generale, comunemente attribuito, ad una certa attività (Surian, 2005).

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4- Ipotesi della diatesi affettiva

Un’altra ipotesi che è stata proposta per spiegare i deficit dell’Autismo è la “Affect Diathesis Hypothesis”. Secondo Greenspan (Greenspan, 2004) nell’Autismo vi è un deficit neurobiologico comune di quei processi che permettono lo stabilirsi di connessioni adeguate tra affetti, pianificazione motoria, capacità sequenziali e formazione di simboli. Tale deficit non permetterebbe un adeguato sviluppo dei comportamenti intenzionali e di problem solving, rendendo il bambino vulnerabile a compiere azioni senza scopo e ripetitive. Secondo Greenspan è appunto l’affetto il motore dell’azione, se non si stabiliscono le normali connessioni tra emozione, intenzione e affetti, non ci sarà la traduzione in comunicazione e pianificazione. Questa difficoltà biologica nel formare connessioni precoci fornirebbe un contributo importante nel determinare i pattern di compromissione delle competenze e sintomi osservabili nell’Autismo.

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4. Conclusioni

Da quanto illustrato emerge la complessità nella ricerca delle cause e origini di una patologia come l’Autismo. Indubbiamente molti sono stati i progressi fatti a partire dalle prime teorizzazioni, le odierne scoperte hanno permesso di far luce su nuovi e importanti aspetti che non erano ancora stati presi in considerazione, ma ancora molto c’è da comprendere e scoprire per riuscire a dare finalmente una risposta a tutti i perché ancora aperti.

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CAPITOLO SECONDO

ASPETTI DIAGNOSTICI E QUADRO CLINICO

1. Criteri Diagnostici

La diagnosi di Autismo deve essere formulata da un clinico esperto come uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra infantile. Essendo competente negli aspetti clinici e diagnostici relativi ai disturbi mentali, questo professionista di solito usa i criteri sui quali è stato raggiunto un accordo internazionale, il DSM-IV e l’Icd-10. L’adozione dei criteri internazionali garantisce una migliore comunicazione tra clinici e permette di riferirsi con pertinenza ai risultati raggiunti negli studi sperimentali ed epidemiologici; studi che quasi sempre hanno usato questi criteri per l’attività diagnostica o la selezione dei campioni sperimentali (Surian, 2005). Con l’uscita del DSM-V vedremo come si sono modificati questi criteri.

1.1 Criteri Diagnostici del DSM-IV TR

Nell’ambito delle anomalie dello sviluppo neuropsichico a insorgenza precoce, l’Autismo fa parte dei Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) assieme al Disturbo di Asperger, Disturbo di Rett, al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza e al Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non altrimenti specificato. I Disturbi dello Spettro Autistico sono anche definiti Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), le due definizioni sono considerate analoghe in quanto si riferiscono entrambe ad un gruppo di disturbi eterogeneo per modalità di esordio, decorso ed evoluzione con caratteristiche comuni. Tali disturbi sono stati suddivisi in diverse categorie diagnostiche nel manuale di riferimento, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, noto con l’acronimo DSM, in base ad alcuni caratteri distintivi riguardo gli aspetti clinici, sintomatologici e all’evoluzione (Volkmar e Lord,1998), (Tab 2.1).

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Disturbi dello Spettro Autistico

-Disturbo Autistico -Disturbo di Rett -Sindrome di Asperger

-Disturbo disintegrativo della fanciullezza -Disturbo pervasivo NAS

(Tab. 2.1 Classificazione dei DSA introdotta dal DSM-IV).

La diagnosi di Autismo viene attualmente formulata facendo riferimento ai criteri del DSM-IV-TR, redatto dall'American Psychiatric Association (APA, 2000). La Tabella allegata riporta i criteri diagnostici (Tab.2.2). Nello schema i sintomi dell’Autismo sono divisi in tre domini principali: interazione sociale, comunicazione e attività stereotipate (Criterio A). Tra i criteri diagnostici viene inserito un esordio prima dei 3 anni di vita, che si esprime con ritardi o atipie in queste tre aree (Criterio B). Per definizione, pertanto, il quadro clinico conclamato deve realizzarsi entro il terzo anno di vita. La comparsa dei primi segni e sintomi è tuttavia spesso subdola e mal definita. Anche se è impossibile datare con precisione l’ “inizio” dell’Autismo, è possibile però definire, con l’aiuto dei genitori, l’epoca in cui l’espressività dei vari sintomi assume una rilevanza tale da permettere un inquadramento diagnostico in accordo con i criteri del DSM-IV-TR: facendo riferimento ai resoconti anamnestici di genitori di bambini autistici risulta che in oltre l’80% dei casi il quadro clinico dell’Autismo si è realizzato entro il 20° mese di vita. (SINPIA- Linee guida per l’Autismo). Infine la diagnosi differenziale va fatta con gli altri disturbi Pervasivi dello Sviluppo (Criterio C).

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Criteri diagnostici del Disturbo Autistico (dal DSM-IV-TR).

A. Un totale di 6 (o più) voci da (1), (2), e (3), con almeno 2 da (1), e uno ciascuno da (2) e (3): 1) compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti: a) marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee e i gesti, che regolano l'interazione sociale

b) incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo

c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per es., non mostrare, portare, né richiamare l'attenzione su oggetti di proprio interesse d) mancanza di reciprocità sociale o emotive;

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti: a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica) b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri

c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico

d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi d’imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)

d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.

C. L'anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza.

(Tab. 2.2 - Criteri diagnostici del Disturbo Autistico -dal DSM-IV-TR).

Sulla base di tali criteri sono state elaborate una serie di questionari, interviste strutturate e scale di valutazione standardizzate, ormai ampiamente utilizzate a livello internazionale con finalità diagnostiche.

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1.2 Criteri Diagnostici secondo l’ ICD-10.

Parallelamente alla produzione dei DSM, l’OMS produceva le varie edizioni dell’International Classification of Diseases (ICD). L’ICD-10 ha introdotto la

Classificazione multiassiale dei disturbi psichiatrici del bambino e dell’adolescente,

nella quale rientra in disturbo autistico.

Nell’ICD-10 l’Autismo viene classificato nella categoria delle “Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico” che comprendono:

• Autismo infantile

• Autismo atipico

• Sindrome di Rett

• Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo

• Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati

• Sindrome di Asperger

• Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico

• Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico

Molte delle categorie utilizzate per le Sindromi da alterazione globale dello sviluppo sono completamente sovrapponibili a quelle dei DSA descritte dal DSM-IV. Ciò vale in particolare per l’Autismo Infantile (vedi tabella 2.3), definito come il Disturbo Autistico del DSM-IV, la Sindrome di Rett (Disturbo di Rett), la Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (Disturbo disintegrativo della fanciullezza), Sindrome di Asperger (Disturbo di Asperger), la Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico (sovrapponibile al Disturbo NAS del DSM-IV, in cui però è compreso anche il quadro dell’Autismo atipico). Quest’ultimo viene differenziato dall’Autismo infantile perché pur essendoci una compromissione dello sviluppo, anomalie nell’interazione sociale e nella comunicazione e stereotipie di comportamento, queste si evidenziano anche dopo i tre anni (Atipicità nell’età di esordio), oppure, pur evidenziandosi prima dei tre anni non soddisfano completamente tutti i tre gruppi di sintomi principali (atipicità nella sintomatologia), analoghi a quelli indicati al punto B dei criteri per il Disturbo Autistico del DSM-IV. Un’altra categoria

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che compare nell'ICD-10 e non nel DSM-IV è quella della Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati, che descrive bambini con ritardo mentale grave e medio (Q.I. inferiore a 50), gravi problemi d’iperattività, deficit attentivo e, molto spesso, comportamenti stereotipati.

Tab 2.3. Criteri Diagnostici disturbo Autistico secondo l’ICD-10.

A. Un’anormalità o una compromissione dello sviluppo si rende manifesta prima dei tre anni in almeno una delle seguenti aree:

1) Comprensione o espressione del linguaggio usato nella comunicazione sociale. 2) Attaccamenti sociali selettivi o interazione sociale.

3) Gioco funzionale o simbolico.

B. È presente un totale di almeno sei sintomi descritti in 1), 2) e 3) con almeno due sintomi da 1) e almeno un sintomo sia da 2) che da 3):

1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, evidente in almeno due dei seguenti aspetti:

a) Incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo faccia a faccia, l’espressione facciale, la postura e la gestualità per regolare l’interazione sociale.

b) Incapacità di sviluppare (in modo appropriato all’età mentale e nonostante ampie

opportunità) rapporti con coetanei che implicano una condivisione di interessi, attività ed emozioni. c) Mancanza di reciprocità socio-emozionale, come dimostrato dalla mancanza o dall’anormalità della risposta alle emozioni delle altre persone, dall’assenza di modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale, oppure all’integrazione difettosa dei comportamenti sociali, emotivi e comunicativi. d) Mancanza della ricerca spontanea di condivisione di divertimenti, interessi o acquisizioni con altre persone (ad esempio, manca la tendenza a mostrare ad altre persone oggetti di interesse per il soggetto).

2) Compromissione qualitativa della comunicazione, evidente in almeno uno dei seguenti:

a) Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio verbale, che non è accompagnato da un tentativo di compensazione attraverso l’uso dei gesti o della mimica come modalità di comunicazione alternativa (spesso preceduto da una mancanza di lallazione comunicativa).

b) Relativa incapacità di iniziare o sostenere una conversazione (a qualsiasi livello di abilità linguistica) in cui vi sia una risposta reciproca alla comunicazione dell’altra persona. c) Uso ripetitivo e stereotipato del linguaggio o uso idiosincrasico di parole e frasi. d) Assenza di gioco inventivo o (nei primi anni di vita) imitativo.

3) Modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati evidenti, in almeno uno dei seguenti aspetti:

a) Preoccupazione pervasiva per uno o più interessi limitati e stereotipati che sono anomali nel contenuto o nell’obiettivo; o presenza di uno o più interessi che sono anomali per l’intensità e la natura circoscritta, ma non per contenuto o obiettivi.

b) Adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali specifici e disfunzionali.

c) Manierismi motori stereotipati e ripetitivi che implicano il battere o il torcere le mani o le dita, o movimenti complessi di tutto il corpo.

d) Preoccupazioni per parti di oggetti o per elementi non funzionali dei materiali in gioco (quali l’odore, la sensazione che danno al tatto, il rumore o le vibrazioni che producono).

C. Il quadro clinico non è attribuibile ad altri tipi di sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico: disturbo evolutivo specifico della comprensione del linguaggio (F80.2) con problemi socio-emozionali secondari; disturbo reattivo dell’attaccamento (F94.2); ritardo mentale (F70-F72). Con disturbo emozionale o comportamentale associato; schizofrenia (F20.-) con esordio insolitamente precoce; sindrome di Rett (F84.2).

Figura

figura  1.4).    Molti  bambini  con  sviluppo  tipico  incontrano  difficoltà  a  individuare  le  figure nascoste, e impiegano parecchi secondi per trovarle, mentre i bambini autistici  mostrano  prestazioni  sorprendenti  in  questi  test  a  sostegno
Tabella Riassuntiva: Eziologia dell’Autismo.
Tabella riassuntive quadro clinico e sintomatologia dell’Autismo:
Tabella 2 Chi 2  tra i campioni DSA e ST per il genere.
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