1
ABSTRACT
Small Ruminant Lentiviruses (SRLVs) include Maedi/Visna virus (MVV), the first lentivirus to be isolated several decades ago, and Caprine Arthritis-Encephalitis virus. Both viruses infect sheep and goats worldwide, causing slow, progressive infiammatory pathology in many tissues. Neither therapy nor vaccines are presently available, therefore control and eradication of the disease largely depend on the early identification of infected animals. This is accomplished by means of highly specific and sensitive diagnostic tests. SRLVs characterization of the genotypes circulating in the area of interest is crucial for the development of diagnostic tests.
In this work a nested-PCR protocol which amplifies a conserved region of the gag gene has been applied to the DNAs extracted from bulk milk samples collected in several regions of Italy to identify infected flocks.
Subsequently, a phylogenetic analysis has been performed to identify the genotypes circulating within the ovicaprine population analyzed.
Our study identified several SRLV strains belonging to genotypes A, B1 and B3, confirming the genetic variability of SRLVs in ovine and caprine flocks in Italy and particularly the widespread presence of the recently described genotype B3.
RIASSUNTO
Gli Small Ruminanat Lentiviruses (SRLVs) includono Maedi Visna virus (MVV), i primi lentivirus ad essere stati isolati diversi decenni fa, e Caprine Arthritis-Encephalitis virus. Entrambi i virus infettano pecore e capre in tutto il mondo, causando una lenta e progressiva patologia infiammatoria in molti tessuti. Nè la terapia nè i vaccini sono al momento disponibili, quindi il controllo e l’eradicazione della malattia dipendono maggiormente da una identificazione primaria degli animali infetti. Questa viene portata a termine mediante test diagnostici altamente specifici e sensibili. La caratterizzazione genotipica degli SRLV circolanti nell’area di interesse è cruciale per lo sviluppo di test diagnostici.
In questo lavoro un protocollo di nested-PCR che amplifica una regione conservata del gene gag è stata applicata ai DNA estratti dai campioni di latte massale raccolti in diverse regioni italiane per identificare i greggi infetti.
Successivamente, un’analisi filogenetica è stata svolta per identificare i genotipi che circolavano all’interno della popolazione ovicaprina analizzata.
2
Il nostro studio ha identificato diversi ceppi di SRLV appartenenti ai genotipi A, B1 e B3, confermando la variabilità genetica degli SRLV nei greggi ovini e caprini in Italia e in particolar modo la diffisa presenza del recentemente descritto genotipo B3.
3
INTRODUZIONE
CARATTERI GENERALI DEI RETROVIRUS
La famiglia Retroviridae è composta da virus ad RNA provvisti di envelope in grado di infettare l’uomo e numerose altre specie animali (Apetrei et al., 2004), domestiche e selvatiche (Filoni et al.,2008).
I virioni hanno un diametro di 80-100 nm, il loro involucro esterno, l’envelope, è costituito da porzioni della membrana delle cellule ospiti ed incorpora glicoproteine virali. La forma e la localizzazione del rivestimento interno proteico sono caratteristiche per i vari generi della famiglia. L’RNA virale, di lunghezza compresa tra 7 e 12 kb, ha polarità positiva, è lineare, a singolo filamento, non segmentato, ed è presente in due copie all’interno del virus.
I segni distintivi della famiglia sono la strategia replicativa che comprende, come fasi essenziali, la trascrizione inversa dell’RNA virale in DNA lineare a doppio filamento con la successiva integrazione di questo nel genoma cellulare e l’elevata variabilità genetica, generata da questo tipo di strategia replicativa. (Coffin, 1992; Murphy et al. 1995). Nella figura 1 viene rappresentata la struttura di un retrovirus.
Figura 1: Sezione schematica di una particella di Retrovirus (Coffin et al., “Retroviruses”, Cold Spring Harbor 1997).
4
Tutti i retrovirus contengono tre geni principali che codificano per le proteine del virione: gag che dirige la sintesi delle proteine strutturali del core, matrice, capside e nucleoproteina; pol che codifica per la trascrittasi inversa, l’RNasi H e la integrasi; env che codifica per le proteine di superficie e transmembrana dell’envelope virale. In tutti i retrovirus è in genere presente un piccolo gene addizionale, conosciuto come pro, che codifica per la proteasi virionica.
I retrovirus si distinguono sulla base dell’organizzazione del genoma in semplici e complessi: i retrovirus semplici contengono, di solito, esclusivamente i geni principali sopra elencati mentre quelli complessi codificano per proteine addizionali con funzione regolatoria derivanti da meccanismi di splicing dell’RNA messaggero. I retrovirus sono ulteriormente suddivisi in sette gruppi definiti in base alla loro relazione evolutiva. Cinque di questi gruppi rappresentano retrovirus con potenziale oncogeno (precedentemente conosciuti come oncovirus) e gli altri due gruppi sono rispettivamente costituiti dai lentivirus e spumavirus.
Tutti gli oncovirus eccetto quello della leucemia umana a cellule T/ leucemia bovina (HTLV-BLV) sono retrovirus “semplici”, mentre HTLV-BLV, lentivirus e spumavirus sono retrovirus “complessi” (Coffin, 1992; Murphy et al., 1995). Come già accennato, i retrovirus si differenziano dagli altri tipi di virus in quanto ogni virione contiene due copie complete di RNA genomico a singolo filamento. L’RNA genomico retrovirale è un prodotto del macchinario di sintesi dell’RNA della cellule ospite e, come tale, ha le caratteristiche strutturali di un RNA messaggero cellulare, incluse la guanosina metilata che costituisce il cappuccio 5’ dell’RNA messaggero eucariote e la poliadenilazione all’estremità 3’. All’interno delle particelle retrovirali i due filamenti a polarità positiva dell’RNA genomico sono legati in modo non covalente in più punti e in maniera più forte in corrispondenza
5
dell’estremità 5’, formando quella che è conosciuta come struttura dimerica di legame (Murti et al., 1981; Darlix et al., 1990; Awang and Sen 1993; Muriaux et al., 1995). Una molecola di tRNA derivata dall’ospite, che funzionerà da primer per la trascrittasi inversa, è appaiata tramite la sua estremità 3’ ad una regione complementare del genoma virale posta a circa 100-200 basi dalla sua’estremità 5’ (Taylor, 1977).
I virioni contengono inoltre una varietà di tRNA “nonprimer” (circa 50-100 copie per particella virale) e una quantità variabile di altri RNA dell’ospite, alcuni dei quali possono essere retrotrascritti. Comunque nessuno di questi altri RNA derivati dall’ospite sembra rivestire un qualche ruolo importante nella replicazione retrovirale. E’ stato proposto che la presenza di due molecole di RNA genomico aumenti la probabilità di successo della sintesi di DNA: se una delle due molecole di RNA è danneggiata, la trascrittasi inversa può usare come stampo l’altro filamento di RNA (Coffin, 1979). Si ipotizza comunque che solamente una singola molecola di DNA sia sintetizzata in un ciclo replicativo.
Quindi, i retrovirus non sono realmente diploidi, nel senso usuale del termine: ogni data posizione del DNA della progenie contiene informazione genetica derivante solamente da una delle due molecole parentali di RNA. Non di meno, la natura “pseudodiploide” del genoma retrovirale ha importanti implicazioni per la generazione della notevole variabilità genetica che caratterizza i retrovirus (Panganiban and Fiore, 1988; Hu and Temin, 1990; Temin, 1993; Jones et al. 1994).
La trascrizione inversa ha luogo in un complesso ribonucleoproteico che include non solo la trascrittasi inversa e il genoma diploide ad RNA virale, ma anche altre proteine virali; è probabile che questo complesso ribonucleoproteico faciliti in maniera specifica la sintesi di DNA virale.
6
VARIABILITA’ GENETICA
Come già accennato in precedenza, i retrovirus sono caratterizzati da un elevato grado di variabilità genetica, a generare la quale concorrono vari fattori che entrano in gioco nelle diverse fasi del ciclo replicativo.
La trascrittasi inversa, l’enzima che converte l’RNA virale in DNA, è priva di attività proofreading e introduce mutazioni nel genoma virale. Studi condotti su diversi retrovirus hanno stimato che la frequenza di mutazione sia compresa tra 5x10-3 e 2x10-5 per nucleotide per ciclo replicativo (Leider et al., 1988; Dougherty and Temin, 1988; Monk et al., 1992; Mansky, 1998), cioè circa 105-106 volte maggiore del tasso di mutazione della DNA polimerasi cellulare. All’attività della trascrittasi inversa possono inoltre essere ascritti altri tipi di alterazioni genetiche quali inserzioni, delezioni ed eventi di ricombinazione. Questi ultimi possono rapidamente creare combinazioni genetiche favorevoli e rimuovere mutazioni dannose e costituiscono quindi una forza evolutiva molto potente.
La ricombinazione nei retrovirus avviene quando due virus diversi coinfettano una cellula e i rispettivi RNA genomici vengono inseriti nello stesso virione. Durante il processo di retrotrascrizione la trascrittasi inversa “salta” da un templato all’altro e genera così una molecola di DNA ricombinante. Studi in vitro hanno rilevato una frequenza di ricombinazione del 2% per kilobase per singolo ciclo replicativo (Hu and Temin, 1990). In sintesi, l’alta frequenza di errori generati nel processo di trascrizione inversa, gli eventi di ricombinazione e l’elevata velocità di replicazione comportano una rapida evoluzione del genoma delle popolazioni retrovirali (Kuwata et al., 1997). La composizione genetica di queste ultime è infine determinata dalle pressioni selettive esercitate dalla risposta immunitaria e dai fattori di restrizione dell’ospite. (Butler et al., 2007)
7
CLASSIFICAZIONE DEI RETROVIRUS La famiglia Retroviridae comprende sette generi:
1. Retrovirus dei mammiferi tipo B
2. Retrovirus dei mammiferi tipo C
3. Retrovirus dei volatili tipo C
4. Retrovirus tipo D
5. Retrovirus BLV-HTLV
6. Spumavirus
7. Lentivirus
LENTIVIRUS
I lentivirus causano infezioni persistenti, nonostante l’ospite sviluppi una risposta umorale e cellulare, e le patologie che ne derivano - malattie croniche non neoplastiche (immunodeficienza, disturbi neurologici, artriti, anemia) in diverse specie animali e AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome) nell’uomo - si manifestano dopo un lungo periodo di incubazione, che può durare mesi o anni. Da qui il nome di lentivirus.
La capacità dei lentivirus di integrare il proprio genoma nel genoma della cellula infettata e di variare gli antigeni di superficie per sfuggire alla risposta anticorpale, unitamente alla durata del periodo asintomatico che precede le manifestazioni cliniche, sono tutti elementi che rendono difficile il controllo delle infezioni lentivirali (Brodie et al. 1998).
8
All’interno dei lentivirus si distinguono cinque sierogruppi in grado di infettare diversi animali: primati, pecore e capre, cavalli, gatti e bovini.
SIEROGRUPPO I: Bovine lentivirus group Bovine Immunodeficiency Virus (BIV)
SIEROGRUPPO II: Equine lentivirus group Equine Infectious Anemia Virus (EIAV)
SIEROGRUPPO III: Feline lentivirus group Feline Immunodeficiency Virus (FIV)
SIEROGRUPPO IV: Ovine/Caprine lentivirus group Caprine Arthritis Encephalitis Virus (CAEV) Maedi/Visna Virus (MVV)
SIEROGRUPPO V: Primate lentivirus group Human Immunodeficiency Virus 1 (HIV1) Human Immunodeficiency Virus 2 (HIV2) Simian Immunodeficiency Virus (SIV)
LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI (SRLV):
Maedi Visna (MV) e Artrite Encefalite Caprina (CAE) sono due malattie infettive sostenute da due lentivirus appartenenti allo stesso sierogruppo: MVV (Maedi-Visna Virus) e CAEV (Caprine Arthritis Encephalitis Virus). MVV e CAEV sono stati originariamente isolati rispettivamente da pecore e capre, per questo motivo, anche
9
se antigenicamente e geneticamente correlati, sono stati a lungo considerati due virus distinti e specie-specifici (MVV ovino, CAEV caprino).
Negli ultimi venti anni il numero crescente di sequenze MVV e CAEV disponibili ha evidenziato la loro capacità di superare le barriere di specie in quanto stipiti MVV-like sono stati isolati da capre e stipiti CAEV-MVV-like da pecore (Zanoni 1998). In seguito a queste evidenze CAEV e MVV sono attualmente definiti con il termine unico di Small Ruminant Lentiviruses (SRLV) (Zanoni, 1998).
Gli SRLV presentano una notevole variabilità genetica, che ne influenza le proprietà biologiche (virulenza e capacità di crescita in vitro), ma soprattutto le proprietà antigeniche.
Proprio questa variabilità genetica può avere un importante ruolo nella persistenza dell’infezione, consentendo al virus di eludere le difese immunitarie dell’ospite. Virus antigenicamente differenti sono stati isolati da pecore persistentemente infette con MVV; le varianti antigeniche erano il risultato di mutazioni puntiformi del gene env (Braun et al., 1987; Andressdottir et al., 2002). La variabilità genetica costituisce un problema anche nella diagnosi delle infezioni da lentivirus ed un grosso ostacolo allo sviluppo di vaccini efficaci (Pépin et al., 1998; Skraban et al., 1999; Reina et al., 2009).
Organizzazione del genoma virale di MVV e CAEV
Al fine di comprendere meglio quali sono le strutture virali maggiormente coinvolte nella patogenesi delle lentivirosi ovicaprine e nella risposta immunitaria dell’ospite, è importante conoscere l’organizzazione del genoma di MVV e CAEV.
Questi due virus hanno la struttura genomica tipica dei lentivirus. Il genoma di MVV, e quello di CAEV, comprende tre geni strutturali (gag, pol, env) e tre geni ausiliari (rev, tat, vif). Il genoma nella sua forma provirale è fiancheggiato da due LTR (Long Terminal Repeats) identiche generate durante la retrotrascrizione.
10
a) LONG TERMINAL REPEATS (LTRs)
Le long terminal repeats (LTRs) sono sequenze geniche non codificanti caratteristiche dei retrovirus, esse sono presenti all’inizio (5’) e alla fine (3’) delle sequenze che codificano per i geni gag-pol-env.
Le regioni LTR svolgono un ruolo chiave nell’attivazione della trascrizione, nell’integrazione del provirus nel genoma della cellula ospite e nella poliadenialazione dell’RNA neosintetizzato. (Clements and Zink, 1996). Gli LTR sono suddivisi in tre sottoregioni: U3, R e U5.
Alcuni studi mostrano che tali regioni influenzano il tropismo cellulare del virus (Agnarsdottir et al., 2000).
b) GENI STRUTTURALI Il gene gag
Il gene gag codifica per tre proteine derivate da un unico precursore (Pr55): il capside (p25 in MVV; p27 in CAEV) il nucleo capside (p14) e la matrice (p17) che assicura il legame tra il capside e l’envelope. La proteina del capside è la più abbondante del virione, ed è in grado di stimolare maggiormente la risposta anticorpale durante l’infezione (Joag et al., 1996).
Il gene env
Il gene env codifica per le glicoproteine virali dell’envelope; queste sono sintetizzate come un unico precursore (gp 160), successivamente clivato dalle proteasi cellulari in due subunità: la proteina di superficie (SU; gp 135) e la glicoproteina transmembrana (TM; gp44).
Le glicoproteine dell’envelope presentano epitopi in grado di interagire con i recettori della cellula ospite e responsabili della formazione di anticorpi neutralizzanti (Pépin et al., 1998).
11
Il gene pol
Il gene pol codifica per diversi enzimi:
Trascrittasi inversa (DNA polimerasi-RNA dipendente): questo enzima effettua la trascrizione dell’RNA virale in DNA, necessaria affinché il genoma virale possa integrarsi nel genoma della cellula ospite.
dUTPase: questo enzima sembra in grado di diminuire la frequenza delle mutazioni G-to-A (Pèpin et al., 1998). Esso non è stato identificato in tutti i lentivirus, ne sono privi i dei primati (Elder et al., 1992).
Integrasi: questa proteina cliva il DNA cellulare permettendo l’integrazione del DNA virale nel genoma della cellula ospite (Stormann et al., 1995).
Proteasi: enzima necessario per tagliare le proteine precursori gag e pol.
c) GENI AUSILIARI Il gene rev
Il gene rev (regulator of virion protein expression) viene attivato precocemente nella fase di replicazione e codifica per una proteina di 19kDA (167aa) necessaria al trasporto degli RNA messaggeri dal nucleo al citoplasma (Schoborg et al., 1994). Il gene vif
Il gene vif codifica per una proteina di 29 kDA (230aa) che in corso di infezione naturale induce una debole risposta anticorpale (Audoly, 1992).
Negli anni, vif è stato implicato in varie funzioni ma il suo ruolo preciso nella infettività virale non è stato chiarito.
12
Studi condotti su CAEV e HIV hanno dimostrato che il la proteina vif ha un importante ruolo nelle ultime fasi del ciclo virale, in modo particolare durante la morfogenesi del core nucleo proteico virale (Hoglund et al., 1994; Simon et al., 1997). Studi più recenti indicano che vif, presente in tutti i lentivirus tranne EIAV (Equine Infectious Anaemia Virus), è un potente antagonista di un inibitore cellulare, APOBEC3G. Questa proteina non solo catalizza la deaminazione di citosina a uracile nel filamento negativo del DNA virale durante la trascrizione inversa, causando ipermutazioni G - A nel DNA virale e quindi attenuazione del virus ma è anche in grado di esercitare la sua funzione antivirale in modo deaminazione-indipendente, probabilmente agendo a livello della retrotrascrizione e/o della integrazione. Vif induce la degradazione di APOBEC3, impedendone così l’incorporazione nella particella virale (Jónsson and Andrésdóttir, 2013).
Il gene tat
Il gene tat codifica per una proteina (che nell’MVV e nel CAEV è lunga rispettivamente 94 e 86 amminoacidi) che sembrerebbe funzionare come transattivatore della replicazione virale, la cui esatta funzione è ancora in parte discussa (Villet et al., 2003); infatti, nonostante la presenza di tat non sia indispensabile per una efficiente replicazione virale alcuni studi dimostrano come questa proteina sia in grado di aumentare l’espressione virale (Carruth et al., 1996). Gli SRLV, come altri lentivirus, inducono apoptosi nelle cellule infette ed è stato recentemente dimostrato che la proteina Tat è implicata in questo processo (Rea-Boutrois et al., 2009).
Variabilità genetica degli SRLV
La prima sequenza genomica completa di un SRLV è stata determinata per il virus Maedi Visna nel 1985 (Sonigo et al., 1985). Il numero crescente di sequenze virali generate negli anni e le indagini filogenetiche che ne sono seguite hanno portato
13
all’attuale classificazione degli SRLV, basata nella quasi totalità dei casi sull’analisi di genomi virali completi. Si riconoscono cinque genotipi (Tabella 1): A e B, che sono quelli che prima venivano chiamati rispettivamente MVV e CAEV e sono presenti in tutti i continenti; C, D ed E, sono invece nuove varianti la cui diffusione risulta finora limitata a specifiche aree geografiche. Nel genotipo A ne sono stati finora riconosciuti 15 (A1-A15), nel B tre (B1-B3) e nel genotipo E due (E1 e E2). Il genotipo C è stato isolato esclusivamente in pecore provenienti dalla Norvegia. Il genotipo D è stato tentativamente identificato solo sulla base di sequenze parziali del gene pol e solo in pecore provenienti da Svizzera e Spagna (Shah et al., 2004; Reina et al., 2009). Il genoma di questi isolati non è stato completamente sequenziato e non ci sono altri studi che confermino l'esistenza di questo genotipo. Come risulta dalla tabella 1, l’Italia presenta un’ampia varietà di genotipi e sottogenotipi. Inoltre è in Italia che sia il genotipo E che il sottotipo B3 sono stati recentemente identificati. Il genotipo E è stato finora riscontrato solo in Italia, E1 in Piemonte e E2 in Sardegna. Il genoma di ambedue gli isolati del genotipo E è caratterizzato da due grosse delezioni che interessano le sequenze dUTPase e vpr-like, che potrebbero spiegare la ridotta patogenicità di questo genotipo (Grego et al., 2007; Reina et al., 2009; Reina et al., 2010). Del sottotipo B3 sono stati sequenziati due isolati, Fonni in Sardegna e Volterra in Toscana (Bertolotti et al., 2011). Isolati B3 circolano anche in altre aree dell’Italia centrale, nelle Marche e in Umbria, probabilmente a seguito dell’importazione di pecore sarde in queste aree geografiche (Giammarioli et al., 2011). Il sottotipo B3 è presente anche in Turchia. Questo suggerisce un antico collegamento epidemiologico all’interno del bacino del Mediterraneo, dal Medio Oriente, dove la domesticazione dei piccoli ruminanti è iniziata, verso l’Europa (Bertolotti et al., 2011). In figura 2 sono rappresentati due Alberi filogenetici.
14 Tabella 1: Distribuzione nei vari paesi dei genotipi e sottotipi di SRLV infettanti capre e pecore (Ramirez et al., 2013).
Figura 2: Alberi filogenetici ottenuti concatenando i geni gag, pol e env dei principali ceppi di riferimento SRLV (a) e utilizzando sequenze complete di geni gag (b) (Bertolotti et al., 2011).
15
E’ interessante notare che le regioni LTR presentano una maggior frequenza di variazione genetica rispetto al resto del genoma. In un largo studio retrospettivo, che ha fatto uso di numerosi database di sequenze genomiche di SRLV, il livello di divergenza nucleotidica era intorno al 35% nelle regioni LTR, circa il 22% per il gene env e al 16% di gag e pol (Zanoni, 1998), questi dati risultano essere comparabili con quanto riscontrato in HIV (Human Immunodeficency Virus) (Li et al., 1988)e FIV (Feline Immunodeficency Virus) (Bachmann et al., 1997).
Trasmissione degli SRLV
MVV e CAEV possono essere trasmessi sia per via orizzontale che verticale. L’assunzione di colostro e latte infetto rappresenta la via più frequente attraverso la quale si perpetua l’infezione nel gregge. Questa modalità di trasmissione è largamente favorita dalla permeabilità della parete intestinale degli agnelli nei primi giorni di vita (Houwers, 1997). La trasmissione orizzontale può avvenire anche mediante inalazione di secrezioni respiratorie di animali infetti (Zink and Johnson, 1994). Infezioni virali e batteriche concomitanti possono contribuire alla diffusione dei lentivirus ovi-caprini tramite essudati polmonari, soprattutto in condizioni di contatto stretto e prolungato, come avviene durante la stabulazione invernale o nelle sale mungitura. Pecore e capre sane possono infettarsi anche pervia mammaria ascendente, per riflusso accidentale di latte infetto dalla mungitrice meccanica alla mammella.
In rari casi si è osservata la siero conversione di capretti e agnelli allontanati dalle madri infette prima che potessero assumere il colostro. Ciò fa pensare ad una trasmissione per via transplacentare o più verosimilmente alla possibilità di contrarre l’infezione nel canale del parto, mediante ingestione di sangue materno, o al momento della nascita, attraverso lambitura da parte della madre. Anche se la presenza di particelle virali nel liquido spermatico non è stata ancora dimostrata,
16
esiste la possibilità che infezioni a localizzazione genitale, come la epididimite del montone da Brucella Ovis, possano far aumentare il numero di macrofagi e quindi la presenza del virus nel liquido spermatico (De la Concha-Bermejillo, 1996). Il diffondersi delle lentivirosi dei piccoli ruminanti all’interno di un gregge infetto determina una minor vita produttiva degli animali e di conseguenza un maggior indice di rimonta del gregge oltre che un lento e difficoltoso incremento ponderale degli agnelli e dei capretti.
Rilievi anatomo-clinici negli animali infetti -Maedi Visna
Maedi Visna è una malattia propria degli ovini. Si distinguono due diversi aspetti clinici, con il termine maedi (sintomatologia respiratoria), si indica una polmonite interstiziale progressiva spesso associata a patologie localizzate ad altri organi o tessuti (mammella, articolazioni e vasi sanguigni). Visna (sintomatologia nervosa) è invece un’affezione del SNC caratterizzata da una leucoencefalomielite demielinizzante. Entrambe le forme sono contraddistinte da lungo periodo di incubazione e decorso lento che con il tempo porta a morte l’animale. I sintomi clinici, inizialmente poco manifesti, sono apprezzabili solo nelle pecore di età avanzata (Brodie et al., 1998). La malattia si manifesta in soggetti di 4-5 anni con sintomatologia di tipo respiratorio, linfoadenopatia, artrite, abbattimento, mastite cronica e dimagrimento progressivo. Nei greggi con un’alta incidenza di infezione si osservano cali produttivi.
-Artrite encefalite caprina
CAE è una malattia dei caprini, caratterizzata da due forme distinte: nervosa e articolare. La forma nervosa colpisce di solito capretti di età compresa tra 3 e 6 mesi, è una forma molto rara e quando si presenta ha un decorso di qualche settimana ed esito sempre fatale. Gli animali presentano debolezza, atassia,
17
difficoltà locomotorie e nelle fasi terminali, paralisi degli arti. La forma articolare colpisce soggetti adulti ed è caratterizzata da ingrossamento bilaterale delle articolazioni del carpo (meno frequentemente interessate le articolazioni di tarso, garretto e nuca). Gli animali presentano difficoltà nella deambulazione e nella stazione quadrupedale per intensa dolorabilità articolare. Associata alla forma articolare si può osservare una polmonite interstiziale cronica. Di più frequente riscontro è l’interessamento mammario che nei casi più gravi porta ad una mastite induritiva con perdita della quasi totale della funzionalità secretoria dell’organo. Patogenesi
MVV e CAEV causano un’infezione persistente e gli animali infetti diventano serbatoi d’infezione, in grado di diffondere costantemente il virus. MVV infetta primariamente le cellule della linea monocito-macrofagica, che include monociti, macrofagi, cellule dendritiche e della microglia e le linee cellulari dendritiche mieloidi (Narayan et al., 1982; Gendelman et al., 1986; Ryan et al., 2000); il virus non si replica nei monociti circolanti e la replicazione virale è quasi esclusivamente ristretta ai macrofagi maturi di tessuti specifici (Gendelman et al., 1986; Brodie et al., 1995). Il virus è stato evidenziato anche in altri tipi cellulari, anche se non è chiaro se questi siano infetti in modo produttivo. Studi in vitro suggeriscono un’infezione naturale di cellule epiteliali di mammifero (Lerondelle et al., 1999) e in condizioni di infezione sperimentale il genoma virale è stato ritrovato all’interno dell’epitelio bronchiolare, in cellule epiteliali della tiroide, rene e intestino (Georgsson et al., 1989; Zink et al., 1990; Staskus et al., 1991). Nelle pecore dopo infezione intracerebrale la replicazione virale è stata osservata nelle cellule epiteliali e nei fibroblasti dei plessi corioidei (Georgsson et al., 1989). Di recente cellule endoteliali ottenute da tessuti ovini sono state infettate in vitro con MVV; la loro capacità di permettere la replicazione virale sembra essere correlata al tessuto
18
di origine (Craig et al., 1997). Uno studio effettuato su animali infettati naturalmente ha valutato le popolazioni cellulari sensibili all’infezione provocata da SRLV a livello di polmoni e mammelle utilizzando la metodica di PCR in situ associata ad immunoistochimica: questo lavoro ha evidenziato che a livello polmonare le cellule coinvolte sono gli pneumociti di tipo I e II, macrofagi interstiziali e alveolari, cellule endoteliali e fibroblasti; nella mammella risultano infette cellule epiteliali, cellule endoteliali, macrofagi e fibroblasti (Carrozza et al., 2003). A differenza dei lentivirus responsabili di immunodeficienza, gli SRLV non infettano i linfociti CD4+. Per questa ragione, le patologie che essi causano forniscono un prezioso modello per lo studio degli effetti sui macrofagi dell’infezione da lentivirus e del ruolo dei macrofagi infetti in assenza di immunodeficienza (Pepin et al. 1998). L’andamento dell’infezione può essere influenzato dallo stipite virale, dalla dose infettante, dall’età dell’animale al momento del contagio e da fattori genetici (De Martini et al., 1991). La sottoregione U3 dell’LTR contiene delle sequenze regolatorie che prendono il nome di Transcription Factor Binding Sites (TFBS), questi sono sede di legami specifici con i fattori trascrizionali della cellula infettata. Tra le TFBS c’è la sequenza CAAAT, questa in uno studio viene messa in relazione alla capacità del virus di infettare il sistema nervoso. In questo lavoro viene descritto come una delezione di tale sequenza determini una minor crescita del virus nelle cellule del plesso corioideo di pecora. Inoltre si descrive che, una duplicazione di LTR che include CAAAT è stata ritrovata in quattro casi di ovini affetti da sintomatologia neurologica mentre nessuna duplicazione era presente in sette casi affetti da sintomatologia respiratoria (Oskarsson et al., 2007). E’ stato dimostrato che l’affinità di legame tra virus e macrofagi è molto superiore a quella che si ha tra virus e anticorpi e questo fenomeno potrebbe spiegare l’incapacità degli anticorpi
19
neutralizzanti di impedire la diffusione del virus tra i macrofagi (Kennedy-Stoskopf and Narayan, 1986).
Risposta immunitaria
Durante infezioni da SRLV si osserva un importante processo infiammatorio progressivo che coinvolge diversi organi, in modo predominante i polmoni, le mammelle, le membrane sinoviali ed il SNC. L’infezione provocata da SRLV determina una stimolazione delle difese immunitarie innate e acquisite. La risposta immunitaria acquisita verso infezioni da SRLV è sia umorale che cellulare, questa in infezioni naturali può impiegare diversi mesi prima di essere diagnosticabile. La risposta immunitaria successiva a infezione sperimentale, evidenziabile nel sistema linfatico drenate il sito di inoculo, può essere diagnosticabile in quattro giorni Il meccanismo in grado di mantenere e conservare attivo il processo infiammatorio non è ancora del tutto chiaro. L’infezione da SRLV può interferire con le funzioni dei macrofagi e delle cellule dendritiche alterando i tipi di risposta immunitaria. Le citochine strimolatorie per la replicazione di SRLV sono simili a quelle che determinano l’incremento della replicazione di HIV nei macrofagi. IL-1beta, IL-6 e TNF-alfa, in combinazione con le molecole costimolatorie CD80/86, e CD40, sono tutte necessarie per un efficiente trascrizione di HIV (Hoshino et al., 2002 ). Uno dei più importanti mediatori dell’immunità innata nei confronti di infezioni virali è l’Interferone di tipo I (IFN I) che sembrerebbe determinare una minore replicazione virale, tale evento risulta essere fondamentale nella mancata efficienza della risposta anticorpale. Come gli altri retrovirus, SRLV determina una scarsa induzione alla produzione di IFN I da parte delle cellule infette. (Narayan and Cork, 1985). Studi sperimentali hanno mostrato che monociti infetti da SRLV rispondono a trattamenti con IFN I e che questi possono determinare una completa inibizione della replicazione virale (Bertoni et al., 2010). IFN I interferisce con la
20
proliferazione e differenziazione dei monociti. Questo potrebbe spiegare perché l’effetto inibitorio del trattamento con IFN I è evidente nei monociti mentre in altri tipi cellulari, inclusi i macrofagi, ci sono solo marginali riduzioni della replicazione virale; potrebbe anche spiegare perché il trattamento con IFN I di agnelli effettuato immediatamente dopo l’infezione sperimentale con MVV causa riduzioni della carica virale e un minore sviluppo della patologia (Juste et al., 2000) . Inoltre, IFN I sembra dotato di proprietà chemiotattiche nei confronti dei linfociti e dei macrofagi (Zink and Narayan, 1989). In alcuni studi è stata avanzata l’ipotesi che il reclutamento di altre cellule del sistema immunitario nel sito dell’infezione, aumentando il numero di cellule suscettibili di infezione da SRLV, di fatto possa aumentare la replicazione e diffusione del virus. (Lairmore et al., 1988).
21
DIAGNOSTICA
A causa del lungo periodo di incubazione prima della comparsa dei sintomi, la forma clinica della malattia è difficilmente riscontrabile prima dei due anni di vita, salvo il caso dei capretti dove l’encefalite può manifestarsi entro pochi mesi dall’infezione. (Narayan and Cork., 1985). Proprio per le difficoltà che si incontrano nel raggiungere una diagnosi basandosi sui segni clinici si ricorre a metodologie di laboratorio di tipo sierologico (ELISA, AGID test, RIA, RIPA, WB ) e diretta (PCR e isolamento virale) (de Andre´ et al., 2005). Le varie metodologie diagnostiche di tipo sierologico possono essere ulteriormente suddivise in test per screening di massa (ELISA) e test supplementari (RIA, RIPA, WB) (de Andre´ et al., 2005).
DIAGNOSTICA SIEROLOGICA 1. AGID (immunodiffusione su gel d’agar)
L’AGID ha rappresentato a lungo il test sierologico più comunemente usato per lo screening di routine. Il test AGID utilizza l’intero virus che è stato prelevato dal supernatante delle colture cellulari infette e denaturato mediante l’uso di detergenti. Diversi studi hanno comparato la sensibilità e la specificità del test AGID rispetto a RIPA, ELISA e WB. I risultati indicano una sua minore sensibilità e scarsa specificità (de Andre´ et al., 2005).
2. ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay)
In letteratura sono presenti diverse pubblicazioni che descrivono metodiche ELISA per individuare l’infezione da SRLV. Questi test possono utilizzare come antigene l’intero virus, proteine ricombinanti o peptidi sintetici. La tecnica ELISA basata su proteine ricombinanti è stata ampiamente descritta in numerosi studi. Gli antigeni maggiormente utilizzati sono le proteine del core p55 gag, p25, p16, p14, la proteina transmembrana
22
(TM) gp46 e la proteina dell’envelope gp135. Sono stati utilizzati anche peptidi sintetici derivanti da p25 o TM. Metodiche di ELISA competitiva sono invece basate sulla competizione tra gli anticorpi presenti nel siero in esame ed anticorpi monoclonali diretti contro gli antigeni virali. I numerosi studi suggeriscono che la tecnica ELISA basata sull’utilizzo dell’intero virus tenda ad essere molto più sensibile rispetto all’ELISA che utilizza una singola proteina come antigene (de Andre´ et al., 2005). Nella maggior parte degli studi effettuati sulla sensibilità del test ELISA rispetto all’AGID è stato dimostrato che la tecnica ELISA permette di svelare una percentuale maggiore di anticorpo nel siero. Inoltre in infezioni sperimentali il test ELISA è risultato in grado di rilevare la siero conversione più precocemente rispetto al test AGID (Simard and Briscoe, 1990).
3. RIPA (radioimmunoprecitation), RIA (radioimmunoassay) e WB (western blotting) Le tecniche RIPA, RIA e WB vengono usate come test supplementari per la diagnosi di SRLV. Il WB in particolare ha una maggior sensibilità rispetto al test ELISA ed è usato come test di conferma per sieri che hanno dato risultati indeterminati con l’ELISA. Sebbene queste metodiche vengano utilizzate per analizzare i casi dubbi ottenuti dai tests di screening, non sempre permettono di formulare una diagnosi certa. (de Andre´ et al., 2005; Peterhans et al., 2004)
In letteratura sono descritte fluttuazioni anticorpali misurate mediante test AGID, ELISA e WB in animali infetti studiati per diversi mesi. Motivi di tali variazioni non sono ancora ben chiare ma potrebbe essere semplicemente dovuto al fatto che i livelli di anticorpi scendono sotto il livello di sensibilità del test (de Andre´ et al., 2005).
DIAGNOSTICA DIRETTA
La diagnostica diretta può essere eseguita mediante isolamento virale o con metodiche PCR (Polymerase Chain Reaction). L’isolamento virale è una tecnica laboriosa che
23
prevede la raccolta di cellule mononucleate circolanti e loro coltivazione. Il prelievo di sangue deve essere effettuato sterilmente utilizzando provette contenenti anticoagulante e va inviato al laboratorio in un contenitore refrigerato entro 3 ore dal prelievo. L’isolamento può essere fatto anche dagli organi bersaglio degli animali infetti, tramite espianto di frammenti di tessuto (polmone, mammella, sinovia, plesso corioideo) prelevati per biopsia o post-mortem (Haase et al., 1990).
Numerosi studi hanno descritto l’utilizzo della tecnica PCR per rilevare SRLV nel sangue ed in altri tessuti. Le principali difficoltà nello sviluppo della PCR sono dovute alla variabilità genetica degli SRLV e alle bassissime quantità di virus presenti nelle infezioni naturali (1x10-6 leucociti nel sangue periferico contengono il genoma virale) (Balcklaws et al., 2004). L'elevato indice di variabilità e l'elevato tasso di evoluzione degli SRLV condiziona notevolmente la scelta di protocolli di PCR. Attualmente non esiste un protocollo gold-standard né primers universali in grado di identificare la totalità degli stipiti circolanti. Risulta quindi necessario un continuo aggiornamento sulla genetica di stipiti circolanti in un determinato territorio in un determinato periodo di tempo per permettere lo sviluppo di protocolli di PCR aggiornati sugli stipiti circolanti. Spesso è opportuno ricorrere alla combinazioni di più di un protocollo di PCR per identificare la maggioranza di virus circolanti nella popolazione ovi-caprina del territorio e per evitare la possibile selezione di stipiti non identificati da un singolo protocollo diagnostico e definiti come “escape mutants”.
Sono stati messi a punto diversi protocolli utilizzando primers designati nelle regioni maggiormente conservate dei geni gag, pol, env e nell’LTR.
I diversi studi hanno mostrato che la PCR tende ad essere meno sensibile rispetto a molti test ELISA per quanto sembri in grado di rilevare gli animali infetti prima della siero conversione. I risultati ottenuti sul campo suggeriscono che una combinazione tra
24
metodiche diagnostiche sierologiche e PCR potrebbero permettere una rilevazione ottimale di SRLV (D. de Andre´ et al., 2005).
25
CONTROLLO E PROFILASSI
Le SRLV sono classificate dall’ OIE (Organisation Internationale des Epizooties) come la più diffusa malattia infettiva dei piccoli ruminanti. La prevalenza delle infezioni da SRLV è molto variabile: in Europa e in Nord America varia dal 30 all’ 80 %, mentre in Africa e in Sud America la prevalenza risulta più bassa con punte massime del 10%. (Minardi da Cruz et al., 2013).
Ci sono alcuni paesi in cui SRLV non è mai stata segnalata e altri ancora come Islanda che sono SRLV-free in seguito a rigorosi programmi di eradicazione (Peterhans et al., 2004; Nuotio, 2006).
Sistemi di controllo dell’infezione sono stati adottati con vari risultati in diversi paesi Europei, Stati Uniti e Canada (Peterhans et al., 2004; Nuotio, 2006).
La prima azione da svolgere nella elaborazione di un programma di eradicazione è la determinazione della prevalenza della malattia (Peterhans et al., 2004). Per fare questo è possibile affidarsi a un test sierologico (ELISA) accompagnato da PCR come test di conferma su tutti gli animali del gregge di età superiore ai sei mesi. Dopo una prima fase in cui il gregge viene sottoposto a controlli periodici, sarà possibile classificare i greggi secondo il livello di sieroprevalenza. Si considera un gregge ad elevata sieroprevalenza quando questa è maggiore del 70%, media quando è compresa tra il 69 e il 40%, bassa tra il 39 e il 10%, molto bassa tra il 9 e 1% e se invece è negativa si parla di gregge indenne da SRLV.
Per il conferimento ad un gregge dello status di indenne da SRLV il numero e la frequenza dei test di controllo varia da paese a paese (Reina et al., 2009). Un metodo per considerare indenne un gregge è sottoporlo a 3 controlli sierologici eseguiti a distanza di 6 mesi l’uno dall’altro. Il risultato di negatività ai tre controlli su tutto l'effettivo del gregge permetterà di acquisire lo stato indenne. Per mantenere tale stato
26
sarà opportuno ricorrere alla rimonta interna o in caso di introduzione di nuovi soggetti questi dovranno provenire da altri allevamenti indenni. Se non si hanno garanzie sulla indennità del gregge di provenienza, i soggetti acquistati dovranno essere sottoposti per lo meno a due controlli sierologici con esito negativo prima di essere introdotti nel gregge (uno prima dell’acquisto e uno dopo sei mesi di isolamento). Per quanto riguarda il commercio di pecore e capre l’OIE ha stilato una serie di raccomandazioni. Le autorità veterinarie dei paesi importatori devono richiedere la presentazione di un certificato veterinario internazionale attestante che:
1. Gli animali non mostrano segni clinici
2. Animali con più di un anno di età sono stati sottoposti ad un test diagnostico per SRLV con esito negativo, effettuato 30 giorni prima della spedizione
3. MVV-CAEV non è stata clinicamente o sierologicamente diagnosticata nei greggi d’origine negli ultimi 3 anni e nessuna capra o pecora proveniente da greggi con uno status sanitario inferiore è stata introdotta in questo lasso di tempo. (Reina et al., 2009).
Ad oggi sono state applicate diverse strategie di eradicazione tra cui:
-Rimpiazzo totale: La macellazione totale di greggi infette e il loro rimpiazzo con animali indenni da SRLV è stata la strategia applicata nel controllo dell’epidemia in Islanda (Blacklaws et al., 2004). Questa soluzione può essere applicata efficientemente in aree geografiche con bassa prevalenza e un numero di animali inferiore al milione di capi. Il suo impiego sistematico non è indicato in regioni dove la prevalenza e il numero di animali sono elevati (Luján et al., 1993). Utilizzando questo sistema la prevalenza può essere ridotta dal 30 allo 0% in un periodo di 2-7 anni. (Peterhans et al., 2004).
27
-Abbattimento graduale degli animali sieropositivi e loro rimpiazzo con animali indenni: questa strategia è stata utilizzata con successo in Spagna in greggi estesi e semi-intensivi (Betarriatua et al., 2003; Biesca, 2006). La quota di animali sieropositivi abbattuta annualmente, per attuare questa strategia, va dal 15 al 25% (Betarriatua et al., 2003).
-Creazione di due greggi: se non sono disponibili animali indenni per il rimpiazzo e la prevalenza è elevata conviene dividere il gregge in due gruppi: uno con animali sieropositivi e l’altro con animali sieronegativi. Questa soluzione d’altro canto implica notevoli difficoltà gestionali per gli operatori che vedono raddoppiato il loro carico di lavoro (Reina et al., 2009).
-Isolamento dei neonati: i neonati dovrebbero essere ottenuti da parti cesarei o separati dalle madri immediatamente dopo il parto, per evitare il contatto fisico madre-figlio limitando così il diffondersi della malattia (Blacklaws et al., 2004; Nuotio, 2006). Nelle prime fasi di vita i neonati dovrebbero essere nutriti con colostro di animali indenni o colostro risanato termicamente, successivamente si utilizza latte indenne, risanato o artificiale. (Reina et al., 2009). Ogni paese dovrebbe istituire un laboratorio di referenza nazionale per le lentivirosi dei piccoli ruminanti. Peterhans et al illustra gli obbiettivi principali che questi laboratori dovrebbero avere:
✓ Informare e consigliare le strategie per il controllo di SRLV da adottare a seconda della situazione epidemiologica e delle condizioni regionali;
✓ Stabilire i tests diagnostici da eseguire nei laboratori regionali; ✓ Pronunciarsi su risultati conclusivi ottenuti nei laboratori regionali; ✓ Organizzare ring-test tra i laboratori regionali;
28
✓ Informare le autorità nazionali e regionali responsabili della salute animale su tutte le materie rilevanti riguardanti il controllo di SRLV;
✓ Partecipare ai ring-tests organizzati da laboratori di referenza europei; ✓ Partecipare alla conferenza europea dei laboratori di referenza nazionale In ciascun paese i programmi dovrebbero includere i seguenti punti:
MVV e CAEV non devono essere considerate due entità separate;
I greggi infetti da SRLV e quelli indenni non dovrebbero trovarsi nello stesso allevamento;
Il traffico degli animali dovrebbe essere regolato;
I tests dovrebbero essere eseguiti da laboratori accreditati.
Nonostante gli sforzi di dell'OIE e molti programmi di eradicazione che operano in diversi paesi, SRLV rimane ancora una sfida per gli agricoltori e le autorità sanitarie a causa dell'assenza di un vaccino efficace o uno strumento diagnostico in grado di rilevare tutti i sottotipi di SRLV (Minardi et al., 2013).
Le strategie di immunizzazione sviluppate nel corso degli ultimi anni non offrono garanzie adeguate per una loro utilizzazione su larga scala. L’elevata variabilità genetica di SRLV rappresenta l’impedimento più importante allo sviluppo di vaccini efficaci. I vaccini per SRLV erano inizialmente basati su virus attenuati. L’immunizzazione con cloni virali, virus geneticamente modificati e con plasmidi ricombinanti sono le più recenti alternative, all’immunizzazione classica, in via di sviluppo (Reina et al., 2009).
29
SCOPO DELLA TESI
L’OIE (Organisation Internationale des Epizooties) classifica le patologie sostenute da SRLVs come le malattie infettive più diffuse nei piccoli ruminanti. L’infezione da SRLV è caratterizzata da un lungo periodo di incubazione e determina una malattia cronica, progressiva e debilitante. La mancanza di terapie e di un vaccino fanno sì che lo sviluppo di metodi diagnostici sensibili e specifici sia di particolare importanza per il controllo e l’eradicazione della malattia. Tra le metodiche di diagnosi diretta, la PCR è un test ampiamente utilizzato in supporto alle tecniche sierologiche. Gli SRLVs, come gli altri retrovirus, presentano un elevato grado di eterogeneità genetica e l’Italia presenta un’ampia varietà di genotipi e sottogenotipi. In questo lavoro un protocollo di nested-PCR è stato utilizzato su campioni di latte massale provenienti da varie regioni d’Italia al fine di identificare la presenza di greggi infetti sul territorio. Inoltre un’indagine filogenetica è stata condotta al fine di individuare i genotipi maggiormente rappresentati nella popolazione ovicaprina dello studio. Lo studio dei genotipi circolanti in un determinato territorio è di fondamentale importanza per la messa a punto di test diagnostici al fine di controllare ed eradicare la malattia. Il nostro studio ha infatti permesso di identificare vari isolati appartenenti a genotipi A e B, in particolare B3, dimostrando l’ampia variabilità genetica degli SRLVs in greggi ovini e caprini presenti in Italia. Questo studio, tuttavia, non ha come obbiettivo di dare un quadro completo degli SRLV circolanti in Italia, in quanto la selezione dei greggi non è stata supportata da criteri statistici.
30
MATERIALI E METODI
CAMPIONI
Un totale di 128 campioni di latte massale sono stati raccolti in sette regioni italiane - Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Puglia, Basilicata e Sicilia - da greggi ovini, caprini e misti. I campioni sono stati conservati a -20°C fino al momento dell’utilizzo. Nella Figura 3 vengono evidenziate le regioni italiane dalle quali provengono i campioni analizzati, presso l’Università di Bari con metodica ELISA:
Figura 3: Cartina dell’Italia rappresentante le regioni dalle quali provengono i campioni analizzati con il saggio ELISA; all’interno di ogni regione è rappresentato il numero dei campioni.
31
SAGGIO ELISA
I campioni di latte massale sono stati analizzati con metodica ELISA per ricercare gli anticorpi utilizzando antigeni specifici quali P25 MVV (genotipo A) (Grego et al., 2002), P25 CAEV (sottogenotipo B2), P25 genotipo E (Reina et al., 2009).
Tale studio è stato eseguito presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università Bari.
I campioni con un valore di OD dubbio, cioè prossimo al cut-off, sono stati considerati positivi.
PCR
Tutti i campioni positivi al saggio ELISA e tutti i campioni di provenienza toscana sono stati testati mediante PCR. Nella tabella 2 è indicato il numero di campioni esaminati per ogni regione.
Regione N° campioni totali Toscana 59 Marche 28 Basilicata 14 Puglia 7 Sicilia 1 Lazio 1 Umbria 1 Totale 111
Tabella 2: Campioni oggetto di studio.
Questa analisi ha richiesto i seguenti passaggi:
a. Estrazione del DNA da campioni di latte massale
Aliquote di 600μl di latte massale congelato sono state centrifugate a 8000g per 10 min a temperatura ambiente. 400μl di surnatante sono stati utilizzati per l’estrazione del DNA, effettuata con il DNeasy Blood and Tissue Kit (Qiagen) seguendo il protocollo “Purification of Total DNA from Animal Blood or Cells (Spin-Column Protocol)”
32
Attrezzatura necessaria: ▪ Pipette e puntali ▪ Vortex
▪ Provette eppendorf
▪ Microcentrifuga con rotore per provette da 1,5-2ml ▪ Bagnomaria per riscaldamento a 56°C
▪ Tubi di raccolta Reagenti: • Proteinasi K • Buffer AL • Etanolo • Buffer AW1 • Buffer AW2 • Buffer AE Protocollo
1. Pipettare 20μl di Proteinasi K in una provetta da 2 ml contenente il campione di latte;
2. Aggiungere 400μl di Buffer AL, miscelare bene su vortex e mettere in bagnomaria a 56°C per 10 minuti;
3. Aggiungere 400μl di Etanolo (96-100%) al campione e mescolare accuratamente su Vortex;
4. Pipettare la miscela ottenuta nel passaggio 3 sulla colonna Spin Mini DNeasy collocata a sua volta in un tubo di raccolta da 2 ml. Centrifugare a 6000g (8000rpm) per 1 minuto. Scartare il liquido accumulato nel tubo di raccolta e il tubo stesso;
33
5. Posizionare la colonna Spin Mini DNeasy in un nuovo tubo di raccolta da 2ml, aggiungere 500μl di Buffer AW1 e centrifugare per 1 minuto a 6000g (8000rpm). Scartare il liquido accumulato nel tubo di raccolta e il tubo stesso; 6. Posizionare la colonna Spin Mini DNeasy in un nuovo tubo di raccolta da 2ml,
aggiungere 500μl di Buffer AW2 e centrifugare per 3 minuti a 20000g (14000rpm) per asciugare la membrana DNeasy. Scartare il liquido accumulato nel tubo di raccolta e il tubo stesso;
7. Posizionare la colonna Spin Mini DNeasy in una provetta pulita da 1,5ml. Pipettare 100μl di Buffer AE direttamente sulla membrana DNeasy e centrifugare per 1 minuto a 6000g (8000rpm). L’eluizione contenuta nella provetta da 1,5 ml rappresenta il DNA estratto.
Un microlitro del DNA estratto è stato sottoposto a corsa elettroforetica su gel di agarosio 0,6%. Per una valutazione qualitativa e quantitativa del DNA estratto sono stati utilizzati 5μl del marker MassRuler DNA ladder (Thermoscientific).
b. PCR
Per le PCR è stato utilizzato il Kit HotStarTaq Master Mix (Qiagen) seguendo il protocollo descritto in Grego et al. (2007), che amplifica una parte della regione del gene gag codificante per P25.
Prima PCR:
La prima PCR prevede l’utilizzo del primer senso F1
TGGTGARKCTAGMTAGAGACATGG-3'(nt 548-571), e del primer antisenso R1 5'-CATAGGRGGHGCGGACGGCASCA-3', (nt 1871-1859), disegnati per amplificare un frammento di 1324 nt. Ogni reazione, i cui componenti sono rappresentati nella tabella 3, prevede l’utilizzo di 500 ng diDNA, 1X PCR buffer, 300 nM di ciascun primer,
34
200μM di ogni dNTP, 1 U di Hot Star Taq DNA polymerase (Qiagen); volume finale di 50 µl.
COMPONENTI della reazione di PCR 1 reaz. Buffer 10x (MgCl2[1,5 mM]) 5 μl dNTP 2mM (10x) 5 μl GAG F1 10pmol/μl 1,5 μl GAG F2 10pmol/μl 1,5 μl Template DNA -
HotstarTaq DNA Polymerase 0,25 μl
H2O -
Totale Volume 50 μl
Tabella 3: Componenti della reazione di PCR.
Il programma di amplificazione prevede:
- 95°C per 15 minuti (Attivazione della polimerasi) 35 cicli:
- 94°C per 30 secondi (Denaturation) - 55°C per 1 minuto (Annealing)
- 72°C per 2 minuti (Extension)
- 72°C per 10 minuti (Final extension)
Nested- PCR
La seconda amplificazione prevede l’uso del primer senso F2 CAAACWGTRGCAATGCAGCATGG-3' (nt 1025-1047) e del primer antisenso R2 5'-GCGGACGGCASCACACG-3' (nt 1877-1855) per amplificare un frammento di 830 nt. In figura 4 sono riportate le posizioni dei primer utilizzati nelle due PCR.
Dalla prima reazione di PCR si prelevano 4 μl che vengono usati come templato nella nested-PCR. Ogni reazione ha un volume finale di 50 μl, in tabella 4 sono elencati componenti della reazione:
35 COMPONENTI della reazione di nested-PCR
Buffer 10x (MgCl2[1,5 mM]) 5 μl 5x Q-Solution 10 μl dNTP 2mM (10x) 5 μl POL R1 10pmol/μl 1.5 μl POL R2 10pmol/μl 1,5 μl Template DNA 4 μl
HotstarTaq DNA Polymerase 0,25 μl
H2O 22,75 μl
Totale Volume 50 μl
Tabella 4: Componenti della reazione di nested-PCR.
Il programma di amplificazione è il seguente:
- 95°C per 15 minuti (Attivazione della polimerasi) 45 cicli:
- 94°C per 30 secondi (Denaturation)
- 60°C per 1 minuto (Annealing)
- 72°C per 2 minuti (Extension)
- 72°C per 10 minuti (Final extension)
Figura 4: Rappresentazione del genoma degli SRLVs con schematizzate le posizioni relative dei
primer senso e antisenso della prima PCR e della nested-PCR. Le posizioni si riferiscono allo
36
ELETTROFORESI SU GEL D’AGAROSIO
Il prodotto di amplificazione ottenuto dalla nested-PCR è stato sottoposto a corsa elettroforetica su gel di agarosio all’ 1,5%.
SEQUENZIAMENTO
Gli ampliconi sono stati sequenziati da BMR Genomics (Padova). Per ogni amplicone sono state allestite due reazioni, una con il primer nested senso (POL R1) e l’altra con il primer nested antisenso (POL R2). La procedura per la preparazione dei campioni da sequenziare ha seguito le linee guida fornite da BMR:
Le quantità di DNA da utilizzare per il sequenziamento sono funzione della lunghezza del prodotto di PCR. La quantità consigliata di DNA da sottoporre a sequenziamento è di 1-2 ng per 100 bp. Templato e primers vanno forniti in quantità sufficiente per due reazioni. Nel nostro caso essendo i frammenti di DNA da sequenziare di 800 bp la quantità inviata al sequenziamento poteva essere compresa tra 16 e 32 ng.
Il campione deve essere inviato come pellet secondo il seguente protocollo:
1. Mescolare accuratamente DNA e primer in provetta da 0,2 μl;
2. Assicurarsi che la soluzione sia disposta sul fondo;
3. Lasciare evaporare ponendo la provetta aperta sul termociclizzatore a 65°C;
4. Dopo completa evaporazione il pellet ottenuto può essere quindi spedito a temperatura ambiente, provvedendo a proteggere i tubini da eventuali schiacciamenti.
ANALISI DELLE SEQUENZE
Le sequenze nucleotidiche ottenute sono state allineate con quelle disponibili in letteratura, rappresentanti i diversi genotipi di SRLV, tramite il programma CLUSTAL
37
W. L’analisi filogenetica effettuata tramite metodo Neighbor-Joining (Saitou and Nei, 1987) è stata realizzata utilizzando il pacchetto software MEGA6 (Tamura et al., 2013).
38
RISULTATI
SIEROLOGIA
Le analisi sierologiche, condotte presso l’Università di Bari, sono state effettuate mediante il saggio ELISA P25 (Grego et al., 2002; Reina et al., 2009) utilizzando antigeni specifici di MVV, CAEV e genotipo E.
Trentanove dei 59 campioni provenienti dalla Toscana sono stati sottoposti al saggio sierologico e 4 campioni sono risultati positivi al saggio specifico per CAEV. Dei 38 campioni provenienti dalle Marche 20 sono risultati positivi al test specifico per CAEV, 4 al saggio specifico per MVV e 4 sono risultati doppiamente positivi. Dei 25 campioni originari della Basilicata 11 campioni erano positivi al saggio specifico per CAEV, 1 al saggio specifico per MVV e 2 campioni presentavano doppia positività per MVV e CAEV. Tra i 16 campioni siciliani 1 solo campione è risultato positivo al test specifico per MVV. Gli 8 campioni provenienti dalla Puglia sono risultati positivi al saggio specifico CAEV in 7 casi e in 2 casi positivi al saggio specifico per MVV, due campioni risultavano positivi ad entrambi gli antigeni. I 2 campioni di provenienza laziale e umbra sono risultati entrambi positivi al saggio sierologico specifico per CAEV. Da evidenziare che nessuno dei campioni è risultato positivo al test ELISA P25 genotipo E. In 7 campioni veniva riscontrata una doppia positività, come mostrato in tabella x, sia verso antigeni specifici di MVV che di CAEV. Questi campioni provenivano dalle Marche (3), dalla Puglia (2) e dalla Basilicata (2).
Le percentuali di positività sierologica dei campioni provenienti dalle varie regioni sono rappresentate in tabella 5. I campioni risultati doppiamente positivi ad entrambi i saggi specifici per MVV e per CAEV sono stati valutati positivi una sola volta nel calcolo della percentuale. In totale sono risultati essere positivi al saggio ELISA 56 campioni su 128 totali, i positivi all’antigene CAEV sono stati 43, quelli positivi all’antigene MVV sono stati 6 e quelli positivi ad entrambi sono risultati essere 7.
39 Tabella 5: numero totale di campioni esaminati con saggio ELISA per ogni regione. Numero dei campioni positivi ad MVV, CAEV, genotipo E e campioni con doppia positività MVV e
CAEV. Percentuali di positività sierologica dei campioni per regione.
Dei 4 campioni di latte massale toscani risultati positivi al test ELISA P25 CAEV, 2 appartenevano ad allevamenti ovini, 1 ad allevamento caprino e 1 ad allevamento misto. Gli 11 campioni positivi al saggio sierologico P25 CAEV provenienti dalla Basilicata sono originari da allevamenti ovini, il campione positivo al saggio sierologico P25 MVV è originario da un allevamento caprino. I 2 campioni lucani positivi sia al test per MVV che a quello per CAEV sono provenienti da allevamenti caprini. Dei 5 campioni pugliesi positivi al test ELISA P25 CAEV, 4 sono provenienti da allevamenti misti e 1 proviene da allevamento ovino. I 2 campioni pugliesi positivi sia al test per MVV che a quello per CAEV sono provenienti da allevamenti misti. Il campione di latte massale siciliano risultato positivo al saggio sierologico P25 MVV proviene da un allevamento ovino. I campioni laziali e umbri positivi al test ELISA P25 CAEV sono provenienti entrambi da allevamenti ovini. Per quanto riguarda i campioni provenienti dalle Marche non abbiamo informazioni riguardanti la tipologia di allevamenti. I campioni positivi provenienti da greggi ovini erano17 su 65, quelli provenienti da greggi caprini 6 su 10 e quelli da greggi misti 9 su 15. In particolare, i 26 campioni positivi all’antigene CAEV, di cui conosciamo la tipologia di gregge, in 16 casi provenivano da allevamenti ovini, in 3 casi da allevamenti caprini e in 7 da allevamenti misti. I 6 campioni positivi
40
all’antigene MVV provenivano in 3 casi da allevamenti caprini, in 2 da allevamenti misti e in 1 da allevamenti ovini. La percentuale di positività al saggio ELISA è stato del 60% nei greggi caprini e misti e del 26% nei greggi ovini. Tra i campioni positivi al saggio ELISA per MVV, il 50 % proveniva da greggi caprini, il 33,3% da greggi misti e il 16,7 da greggi ovini. Dei campioni positivi al saggio ELISA CAEV il 61,5% era derivante da greggi ovini, il 27% da greggi misti e 11,5% da greggi caprini. In tabella 6 sono riportati i risultati del saggio ELISA rispetto alla tipologia di greggi
.
Tabella 6: Sono riportati i risultati del saggio Elisa rispetto alla tipologia di greggi.
ESTRAZIONE DEL DNA DA LATTE MASSALE
Un microlitro del DNA estratto da campioni di latte massale è stato sottoposto ad elettroforesi su gel di agarosio 0,6% per una valutazione qualitativa e quantitativa. La figura 5 evidenzia che i DNA estratti sono di alto peso molecolare con una lunghezza superiore a 10000bp. Le concentrazioni sono variabili e comprese tra 5 e 50 ng/ul
PCR
Il protocollo di nested-PCR ha permesso di evidenziare, in 14 campioni su 111, la presenza della banda di 800 bp, corrispondente alla sequenza di interesse. Il basso numero di campioni positivi alla PCR può essere dovuto al basso numero di cellule infette presenti nei campione di latte massale.
41 Figura 5: Gel d’agarosio dopo la corsa elettroforetica; in ogni pozzetto è stato caricato 1µl del DNA estratto. Come marker sono stati utilizzati 10µl di MassRuler DNA high range.
I 14 campioni positivi provengono dalla Basilicata (7), Marche (3), Toscana (2), Lazio (1) e Umbria (1). I campioni provenienti dalla Puglia (7) e dalla Sicilia (1), sono risultati negativi. I 7 campioni positivi provenienti dalla Basilicata sono originari in 5 casi da allevamenti ovini e negli altri due casi da allevamenti caprini e misti. I 2 campioni positivi di origine toscana sono provenienti da un allevamento ovino e da uno caprino. I 2 campioni positivi provenienti da Lazio e Umbria sono entrambi derivanti da allevamenti ovini. Per quanto riguarda i 3 campioni di provenienza marchigiana due di questi provengono da allevamenti ovini e per il terzo non siamo in possesso di informazioni a riguardo. La percentuale di positività alla nested-PCR sul totale dei campioni esaminati, è stata del 12,6%. In particolare il 18,1% dei greggi caprini, il 17,5% dei greggi ovini e lo 0,6% dei greggi misti sono risultati positivi alla nested-PCR. Le percentuali di positività alla nested-PCR, per i campioni provenienti dalle varie regioni, sono rappresentate in tabella 7.
42 Tabella 7: Risultati della nested-PCR in funzione della tipologia di gregge; sono riportate le percentuali di positività dei campioni per regione e sul totale.
ANALISI FILOGENETICA
Il sequenziamento dei prodotti di nested-PCR ha permesso di ottenere sequenze di buona qualità, di lunghezza compresa tra 588 e 789 bp. Lo studio delle sequenze ottenute in questo lavoro ha permesso di confermare come SRLV 13 dei 14 campioni positivi alla nested-PCR. Solamente un campione di origine caprina proveniente dalla Toscana, ha dato un risultato di sequenza non compatibile con sequenze di lentivirus ovi-caprine, dimostrandosi un falso positivo. Le sequenze nucleotidiche ottenute sono state allineate tramite il programma CLUSTAL W con 22 stipiti di riferimento disponibili in banca dati e rappresentanti i diversi genotipi di SRLV. Le sequenze sono state allineate dopo essere state portate tutte alla stessa lunghezza di 418 nt e quindi sottoposte ad analisi della p-distance (MEGA6). L’analisi filogenetica effettuata utilizzando il metodo Neighbor-Joining (Saitou and Nei, 1987) con il pacchetto software MEGA6 (Tamura et al., 2013) ha permesso la realizzazione dell’albero filogenetico rappresentato in figura 6. Nella tabella 8 è indicato il numero di differenze di base per ogni sito tra le sequenze. I valori di p-distance sono compresi tra 0,060 e 0,210 (media 0,147 e DS 0,033).
43
Tabella 8: Stime di divergenza evolutiva tra le sequenze.
La tabella 9 mostra i valori di p-distance medio all’interno dei genotipi:
Tabella 9: Stime di divergenza evolutiva all’interno dei genotipi.
La tabella 10 mostra i valori di p-distance medio tra i genotipi:
A B1 B3
A
B1 0,257
B3 0,226 0,204
Tabella 10: Stime di divergenza evolutiva tra i genotipi.
A n.d.
B1 0.126
44
L'analisi filogenetica ha permesso di classificare i campioni positivi come appartenenti ai genotipi A, B1 e B3. Il genotipo più rappresentato è il genotipo B3 con 10 campioni, poi il B1 con 2 e infine il genotipo A con 1. Mentre 12 dei 13 campioni risultavano positivi o almeno dubbi al saggio ELISA, uno soltanto proveniente da Pistoia (genotipo B3) non ha risposto positivamente al saggio sierologico. Nella figura 6 è rappresentato l’albero filogenetico:
Figura 6: Albero filognetico
La tabella 11 presenta i risultati sierologici e filogenetici dei campioni positivi alla nested-PCR.
45 Tabella 11: Localizzazione e tipologia dei greggi, risultati sierologici e filogenetici dei campioni positivi alla nested-PCR.
In figura 7 è rappresentato un istogramma a barre che mostra l’appartenenza ai vari genotipi e sottogenotipi dei campioni positivi alla nested-PCR confermati dal sequenziamento.
Figura 7: Istogramma a barre rappresentante il numero di campioni positivi alla nested-PCR confermati dal sequenziamento e la loro appartenenza ai vari genotipi e sottogenotipi.