P ECORE V ERONESI
LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DELVENETO
46
L
AP
ECORAB
ROGNA E L’
ALLEVAMENTO OVINO INL
ESSINIAL'altopiano dei monti Lessini è situato nella parte settentrionale della provincia di Verona; si estende dalla sponda sinistra dell’Adige sino al confine Vicentino nell’alta Vallata del Chiampo e dai monti Castelberto, Sparavieri e Cima Posta, che costituiscono la linea di demarcazione dalla provincia di Trento, ai contrafforti delle colline veronesi.
In quest’area, verso il principio del XIII secolo, vennero singole tribù tedesche, appartenenti al ceppo Bavarese, che formarono sedi stabili; qui esercitarono l'alleva- mento del bestiame e condussero vita da pastori (Marcon, 1948).
Di rilevante importanza era l'alpeggio ovino, strettamente collegato all'artigianato laniero locale, dove Verona primeggiava, soprattutto per la produzione degli allora rino- mati 'panni alti veronesi', molto richiesti nel Nord Italia.
Gli Scaligeri, per garantire la produzione laniera, decisero di perfezionare la preesi- stente normativa sui pascoli lessini. Questa fu raccolta ed ordinata nei cosiddetti 'Statuti della Podestaria', da Antonio dalla Scala (Rama e Molinari, 2000). Tale regolamento, che permise di razionalizzare l'opera intrapresa dagli ecclesiastici, e la creazione di un vasto complesso zootecnico transumante, costituito non solo da ovini, ma anche da bovi- ni e altri animali, rimarrà vigente nel periodo seguente la caduta della signoria e rappre- senterà la normativa di riferimento fino al 1800.
Dopo gli Scaligeri, la Repubblica di Venezia pose all'asta le superfici pascolive della Lessinia, che diventarono di proprietà de 'La Nobile Compagnia dei Lessini' (Simeoni, 1913), una società retta da speciali statuti e godente di altrettanto speciali prerogative.
I pascoli vennero quindi concessi in affitto ai mandriani, i quali pagavano al fattore un contributo per ogni singono animale.
L'inizio del XVI secolo vide il lanificio veronese mostrare i primi segnali di crisi, nonostante la precedente politica di salvaguardia dei pascoli lessini e del patrimonio ovino portata avanti dalla Serenissima1. Le ripercussioni sull'attività armentizia furono quelle di un maggiore incremento dell'allevamento bovino, e di un sistema misto ovino- bovino presso i montanari; entrambe le condizioni causarono un sensibile scadimento della qualità della lana.
Perduta l'importanza della lana e accresciuta invece quella dei bovini, l'allevamento delle pecore divenne 'scomodo', e fu spesso accusato di procurare danni all'ambiente.
Putroppo le indagini relative all’allevamento ovino in Lessinia sono assai scarse.
Verso la fine del 1700 il patrimonio zootecnico ovino presente nell'altopiano si aggira-
1 Quanti intendevano commerciare lana dovevano, ad esempio, presentarsi dal Notalo Stabile della Domus Mercatorum ed iscriversi in un apposito registro, previo versamento di una somma di dena- ro, impegnandosi inoltre a rispettare gli obblighi relativi alla registrazione di acquisti e vendite. Le normative avevano lo scopo di chiudere il mercato alle esportazioni e far sì che le lane prodotte nel veronese confluissero in toto nella città (Rama e Molinari, 2000).
va intorno ai 30.000 capi, valore quattro volte superiore alla consistenza dei bovini (Rama e Molinari, 2000). Successivamente le notizie sono assai vaghe, ma comunque testimonia- no una diminuzione del numero degli allevamenti e dei capi ovini. Tuttavia è possibile affermare che la pecora costituì, nonostante una più o meno graduale sostituzione con la vacca (da latte), una presenza costante nel territorio, che non venne mai a mancare.
Certamente non riuscì più a recuperare l'antica importanza, anche se era rimasta una certa consistenza dei capi, così come confermano i censimenti del 1881, 1908, 1930 (Tabella 5).
Tabella 5. Confronto patrimonio zootecnico ovino con quello bovino
Ovini Bovini
1881 5.340 11.476
1908 8.117 12.778
1930 8.160 15.301
Fonte: Zanone e Todeschini, 1938.
Intorno alla metà degli anni '50 i pascoli lessini erano caratterizzati da un’elevata pre- senza di animali; il patrimonio ovino si era leggermente ridotto rispetto al censimento del 1930 ed aveva una consistenza di circa 7.000 capi. Come in altre zone della montagna veneta, all’allevamento degli ovini erano destinati i pascoli più magri e più disagevoli, dove cioè non poteva trovare convenienza l'allevamento del bestiame pesante. La razza allevata nella zona era rustica e di taglia media e, oltre agli agnelli, dava circa 60-70 litri di latte per capo, utilizzato in genere per la preparazione di formaggi casalinghi (Marcon, 1948).
La produzione casearia ottenuta con il latte ovino era il cacio pecorino (pegorìn), fresco o stagionato, il cacio misturino (mistorìn), misto di vacca e di pecora, e le for- magelle, piccoli caci rotondi di solo latte ovino. Questi formaggi, assieme agli agnelli, venivano venduti e costituivano buona parte del reddito ricavabile dagli ovini.
Un discreto introito, almeno fino agli anni '50, era poi rappresentato dalla lana; le pecore venivano tosate due volte l'anno: ad aprile, prima della salita in alpeggio, e a ini- zio settembre3, al ritorno da questo. Appuntamento strategico per il commercio della lana era la fiera di Badia Calavena che si teneva il 1° e il 3° mercoledì di ogni mese. Alla manifestazione non mancavano montanari, contadini, commercianti e allevatori, prove- nienti dal veronese, ma anche dal vicentino e dal mantovano, che vendevano o baratta- vano lana sucida (sporca) o pulita, già filata o filata sul posto dal filaòro di turno (soli-
3 Le pecore venivano scargate prima dei bovini (29 settembre, giorno di San Michele), di solito nella prima settimana di settembre. Facevano eccezione i pastori che riportavano dal pascolo le cosidette pègore casaline, le quali venivano riconsegnate al proprietario solo dopo l'ultimo taglio del fieno, e cioè verso la metà del mese (Rama e Molinari, 2000).
LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DELVENETO
48
tamente un vicentino) (Rama e Molinari, 2000).
Con molta probabilità, la razza locale veronese precedentemente citata è la pecora Brogna, conosciuta attualmente anche come Nostrana (e vari altri nomi: Brognola, Progna, Ross-a-vis, Testa rossa). Le informazioni circa la sua origine sono ancora assai scarse.
Si tratta di un animale di taglia media, ben proporzionato nelle forme, la testa è acor- ne, leggera, con profilo leggermente montonino, nei maschi, a volte, possono essere pre- senti abbozzi di corna. Le orecchie sono di media grandezza, leggermente pendenti;
sono presenti evidenti macchie rossastre, a volte anche nere o brune sulla testa e le orec- chie. Il vello è bianco, semichiuso con bioccoli fini e corti.
La Brogna non viene contraddistinta da una specifica attitudine produttiva, e per- tanto può essere classificata come razza a triplice attitudine. La produzione della carne si ottiene da agnelli macellati ad un peso vivo di circa 15-20 kg; produce circa 100 i litri di latte con un tenore medio in grasso dell’8,3% e in proteine del 5,7% (Pastore et al., 2000). La produzione di lana è piuttosto scarsa, 1,5-2 kg e di qualità discreta.
Delle cinque valli che solcano l’altipiano della Lessinia, la Val d'Illasi è quella che attualmente ospita un maggior numero di allevamenti. I comuni più interessati sono Tregnago, Mezzane di Sotto, Illasi, Roverè Veronese, Selva di Progno e Grezzana. È allevata in minore numero anche in altri comuni della provincia di Verona; qualche alle- vamento di piccola consistenza si trova anche nei comuni Vicentini di Chiampo, Crespadoro e Altissimo.
Interessante è notare la presenza attuale della razza in un’area ben circoscritta, che coincide con un’isola linguistica di cultura nordica; ciò fa pensare oggi ad uno stretto legame tra le due realtà probabilmente frutto dal forte attaccamento alle tradizioni della gente di origine Cimbra.
Per quanto riguarda la consistenza, nel 1990 erano presenti circa 1.400 capi (Bittante et al., 1990); alla fine del 2002 su 18 allevamenti iscritti al Registro Anagrafico Pecore brogne al pascolo in Lessinia
sono stati contati 556 capi. Si stima che ci siano attualmente in Lessinia circa 50 alleva- menti, per un numero complessivo di 1.200 pecore.
Oggi la pecora Brogna viene allevata principalmente in greggi di piccole dimensio- ni con il sistema stanziale e semi-stanziale. In entrambi i casi l’alimentazione nel perio- do primavera-autunno viene effettuata con il pascolamento di terreni di proprietà delle stesse aziende o di quelle limitrofe; nel sistema semi-stanziale, durante il periodo esti- vo, le greggi vengono monticate nella Malga Fraselle, l’ultima Alpe dell’altopiano anco- ra caricata con ovini.
Esemplare di Pecora Brogna
Gregge di pecore brogne nell’azienda sperimentale di VenetoAgricoltura a Villiago (BL)
L
A PECORAB
RENTEGANA E LA PASTORIZIA SULM
ONTEB
ALDOIl colosso montano del Baldo si eleva solitario e maestoso nell'estremo lembo nord- occidentale della provincia veronese, fra il Garda e l'Adige. In questa montagna tanto cara ai veronesi, l'allevamento ovino, almeno fino al '700, si mantenne molto vivace per l’elevato prestigio raggiunto dalle lane montebaldine1.
I primi insediamenti stabili si ebbero a partire dal XV-XVI secolo; questi sorsero nei luoghi abitualmente frequentati dai pastori: un caso esemplare è Pradonego, antico cen- tro di pascolo, come suggerisce il nome. La produzione armentizia costituì per le genti insediatesi in questi luoghi un'importante fonte di reddito. Il detto locale: «ci gh'à muche el tribola, ci gh'à cavre l'è pitoco, ci gh'à pecore l'è un sior» lascia ben intendere l'im- portanza di questi animali. Per questo si avviò un processo di specializzazione nell'alle- vamento, testimoniato dalle numerose malghe costruite nel '500 e '600. I pastori di peco- re transumavano in pianura nei mesi invernali, mentre d'estate raggiungevano il Baldo;
si insediavano nei piccolissimi baiti collocati all'interno dei circhi glaciali od anche in luoghi molto aspri del versante orientale. Ciò accadde però solo in un secondo momen- to, in seguito alla maggior diffusione dell'allevamento bovino, che occupò le zone pasco- live migliori sopra i 900 - 1.000 m, spingendo a poco a poco negli ambienti rupestri più elevati quello ovino.
1 Forse il loro grado di apprezzamento fu in parte dovuto alla bella descrizione fatta da Leandro Alberti nella sua Italia del '500 : « tali lane sono da annoverare fra le lane buone, e fine d'Italia, per i sec- chi pascoli per le pecorelle ». Anche Biondo di Forlì, nel 1518, nell'Italia Illustrata non dimenticò di sottolineare che: « … la bontà della lana viene de l'herba che pasceno i greggi, e gli armenti, che sono qui in somma perfettione…» (Turri, 1971).
Baito dei pastori nel disegno di un visitatore austriaco dell’Ottocento, quando l’allevamento ovino era ancora imponente sul Baldo (Turri, 1999)
LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DELVENETO
52
Oltre ai vecchi baiti di pecore, costituiti da muri a secco crollati e di contigui recinti per gli ovini, non vi è molto di interessante nel Baldo sull’edilizia dei pastori di pecore.
Secondo i dati del Sormani-Moretti, alla fine dell'800 ogni estate sul Baldo salivano sino a 8.000 capi ovini, per utilizzare i pascoli alti della montagna, allora di proprietà comunale. Si trattava di greggi transumanti la cui lana andava a rifornire le vecchie bot- teghe tessili di Vilmezzano, Caprino, Valsecca e Gaon. Secondo alcuni autori locali, la buona qualità delle lane baldensi era da attribuire alle caratteristiche dei pascoli estivi, che si presentavano ricchi, asciutti e adatti agli ovini.
Per quanto riguarda la vita pastorale e l’allevamento ovino nel Baldo, esiste una pre- ziosa testimonianza scritta (Turri, 1999).
«Un pegorar, Francesco Arduini detto Marai, nato alle Marzane, una contrada sopra Vilmezzano, è stato uno degli ultimi pastori di pecore del Monte Baldo. È campato a lungo, l'ho intervistato quando aveva novant'anni ed era ancora lucido. Aveva avuto diversi fratelli e tutti avevano esercitato la stessa attività. Ognuno aveva un suo gregge, di circa 50-60 pecore. Non era un numero elevato perché da sempre gli studiosi dell'Accademia di Agricoltura di Verona avevano calcolato che una famiglia per vivere bene doveva avere almeno 80 pecore. Ma nell'insieme i fratelli Arduini possedevano un patrimonio ovino di diverse centinaia di bestie e potevano campare bene. Allevavano pecore brentegane, grandi, grosse quasi come vitelli. D'estate portavano i loro s'ciapi (greggi) sul Monte Baldo, a Tratto Spin, a Malga Fassole (nel comune di Avio), a malga Campo sotto la cima dell'Altissimo. Stavano su da maggio a settembre. Ad ottobre scendevano e fin che potevano tenevano le pecore nelle stalle nutrendole con del fieno che andavano a comperare a Lusani, da un grosso proprietario locale, Christanel, discendente di una famiglia di nobili originari d'Irlanda. Poi ad aprile scendevano verso il basso, dalle parti di Santa Lucia, nelle terre demaniali della Campagna veronese, dove si trova un ambiente adatto alle pecore, 'simile a una steppa', con tanti arbusti, erbacce, terreni brulli (l'irrigazione non era ancora arrivata). Per spingere in giù le greg- gi si percorreva una vecchia pista lungo il Tasso sino a Bussolengo. I carabinieri con- trollavano attentamente i pastori, che spesso non ci pensavano molto a spingere le peco- re dentro i coltivi, oltre i terreni demaniali, dato che non c'erano scese (siepi) che li deli- mitavano. I daziari esigevano il pagamento di 60 lire all'anno per ogni pecora. Quando il pascolo era povero od esaurito si scendeva verso Mantova, si arriva sino al Po. A disturbare l'attività dei pastori baldensi c'erano spesso i pastori che venivano dal Friuli o dal Feltrino. Si intrufolavano abusivamente nei pascoli dove loro avevano pagato e li rovinavano. Bisognava chiamare i carabinieri. Dove feltrini e friulani passavano spor- cavano (imboassavano) il pascolo e le pecore non potevano più pascolare per qualche settimana.
Sul Monte Baldo i pastori andavano dappertutto con le pecore. Arrivavano perfino
nella valle degli Ossi, dove c'era, in quell'ambiente pauroso e solitario, un baito collega- to a quello di Tratto Spin. Per vivere e mangiare i pastori si accontentavano di poco.
Dormivano in baiti primitivi, e in quanto all'alimentazione si rifornivano di polenta por- tata sulla montagna con grossi sacchi a dorso di mulo. Scendevano poi con il formaggio che vendevano ai negozianti che venivano su a prenderlo nei posti più comodi con le loro barossole.
La vita del pastore era dura ma bella. Si dormiva dove capitava. In pianura si trova- va ospitalità nei fienili dei contadini e qualche volta si filava con le donne dei bacani, specie le mantovane, che non badavano alla puzza che i pegorari si portavano dietro sempre, come fosse il loro odore ».
Sul Monte Baldo la pecora locale più diffusa era la Brentegana o Brentegana scelta un incrocio tra ovini di razza Bergamasca e meticci locali trentini (Botrè, 1942).
Brentegana significa “di Brentonico”, un aggettivo divenuto nome che indica nel comune di Brentonico (TN) la zona di origine di questa pecora.
Cinquant’anni fa’ questa popolazione ovina veniva allevata principalmente nella zona di confine tra le provincie di Trento, Brescia e Verona, a nord del lago di Garda.
Non è nota la consistenza storica di questa razza, l’unico dato bibliografico si rife- risce al 1983, anno in cui si allevavano, nei comuni di Affi e Caprino Veronese, circa 3.000 capi.
Un gregge al pascolo nella zona di Malga Buse, uno degli alpeggi per l’allevamento ovino rima- sti (Turri, 1999)
LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DELVENETO
54
Negli ultimi venti anni, la Brentegana scelta è stata sostituita quasi completamente con la pecora Biellese.
Secondo recenti studi si stima che gli esemplari presenti non siano più di un centi- naio (Pastore et al., 2000).
La Brentegana scelta (o Brentegana Trentina) allevata attualmente è un animale di taglia pesante, con un'altezza al garrese di 90 cm nei maschi e 80 nelle femmine, e un peso, rispettivamente, di 98 e 78 kg. La testa è acorne, leggera, con profilo leggermente montonino; le orecchie sono lunghe e pendenti, il vello è bianco. I caratteri riproduttivi sono buoni, tanto da permettere tre parti in due anni (tasso di gemellarità del 50%).
L'attitudine produttiva principale, nonostante le testimonianze del passato che segnala- no la bontà della lana, è la carne: gli agnelli, venduti ad un peso di 15-20 kg, e i castra- ti, che raggiungono circa 60-65 kg. La produzione della lana è comunque buona (5-6 kg in due tose), anche se di qualità grossolana, da materasso. Per quanto riguarda il latte, quello prodotto viene utilizzato esclusivamente per gli agnelli.
Oggi l’allevamento ovino nella montagna baldense rappresenta un’attività che for- nisce un reddito complementare a quello della coltivazione della vite. Solitamente, per un periodo compreso tra il tardo autunno e l’inizio della primavera le pecore pascolano nelle zone limitrofe agli ovili, utilizzando i foraggi delle aree marginali di mezza colli- na; durante l’estate vengono portate in alpeggio (C.N.R., 1983).
Oltre alla Brentegana scelta, nel veronese veniva allevata anche la Brentegana, un incrocio tra la pecora locale veronese con la Vicentina e la Bergamasca.
Pecore Brentegane scelte
Completamente diversa dalla precedente, la pecora Brentegana (o Brentegana Veronese) è di taglia media, più leggera, più piccola di statura e produce meno carne e lana, ma più latte.
Le femmine pesano mediamente 53 kg ed hanno un’altezza al garrese di 71 cm, il tronco è lungo 71 cm ed il torace ha una profondità di 29 cm.
La testa è acorne coperta di lana sulla fronte, il profilo è leggermente montonino, le orecchie sono lunghe; il vello è bianco, poco presente nella regione ventrale e di qualità mediocre.
Pecora Brentegana