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Analisi vibrazionale e monitoraggio di un Banbury per la miscelazione della gomma da pneumatico

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Academic year: 2021

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(1)

POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica

Analisi vibrazionale e monitoraggio di un Banbury per la miscelazione della

gomma da pneumatico

Relatore: Ch.mo Prof. Quirico SEMERARO

Correlatori: Ch.mo Prof. Paolo PENNACCHI

Ing. Davide Abramo CONTI

Tesi di Laurea di:

Marco Lorenzo PUTIGNANO Matr.819386

(2)

I

INDICE

ABSTRACT ... 1 INTRODUZIONE ... 3 1. IL CASO PIRELLI ... 7 1.1 PIRELLI TYRE S.P.A ... 7

1.2 STRUTTURA DI UNO PNEUMATICO ... 10

1.3 IL PROCESSO DI PRODUZIONE DI UNO PNEUMATICO ... 13

1.4 IL BANBURY: IL PROCESSO DI MESCOLAZIONE DELLA GOMMA ... 16

2. SISTEMA DI ACQUISIZIONE ... 19

2.1 ACCELEROMETRI MEMS ... 19

2.2 CENTRALINA DI ACQUISIZIONE DEI DATI E SOFTWARE DI DIAGNOSI ... 25

3. BACKGROUND: L’ANALISI DELLE VIBRAZIONI NEL MONDO DELL’INDUSTRIA ... 26

3.1 CONDITION BASED MAINTENANCE ... 27

3.1.1 Data acquisition ... 28

3.1.2 Data processing ... 30

3.1.3 Maintenance decision-making ... 33

3.1.3.1 Diagnostica delle macchine ... 33

3.1.3.2 Prognostica delle macchine ... 34

3.2 L’ANALISI VIBRAZIONALE DI UN GEARBOX ... 35

3.2.1 Le difettosità tipiche di un gearbox ... 37

3.2.2 Cause di guasto nei cuscinetti a elementi volventi ... 50

(3)

INDICE II

4. DEFINIZIONI DELLE REGIONI DI CONTROLLO PER IL

GEARBOX ... 61

4.1 LA CAMPAGNA SPERIMENTALE ... 61

4.2 PRE-PROCESSING DEI DATI ... 63

4.3 ANALISI DEI DATI ... 66

4.3.1 Correlazione media rms-deviazione standard rms ... 66

4.3.2 Plot esplorativi ... 67

4.3.3 Scatterplot ... 72

4.4 ANALISI DELLA VARIANZA ... 74

4.5 COSTRUZIONE DELLE CARTE DI CONTROLLO ... 83

4.5.1 Definizione dei cluster ... 83

5 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI ... 93

BIBLIOGRAFIA ... 96

APPENDICE A ... 98

ELABORAZIONEDEIDATI ... 98

A.0.1 Analisi dei residui ... 98

A.0.2 Serie storiche dei segnali... 100

(4)

III

Elenco delle figure

Figura 1.1-Lo stabilimento Pirelli alla bicocca, 1922 ... 8

Figura1.2-Componenti di uno pneumatico ... 11

Figura 1.3-Come nasce uno pneumatico ... 15

Figura 1.4-Schema del processo di mescolazione della gomma ... 18

Figura 2.1-Dimensioni della componentistica di un accelerometro MEMS ... 20

Figura 2.2-Principio di funzionamento di un accelerometro MEMS ... 21

Figura 2.3-Accelerometro mems utilizzato per la campagna sperimentale ... 21

Figura 2.4-Scelta dei punti di posizionamento ... 23

Figura 2.5-Centralina di acquisizione per la raccolta dei dati utiulizzata per la campagna sperimentale ... 25

Figura 3.1-Il gearbox ... 36

Figura 3.2-Difetti tipici di un riduttore ad ingranaggi ... 38

Figura 3.3-Posizione dei picchi sullo spettro ... 39

Figura 3.4-Ingranaggi ... 40

Figura 3.5-Rapporto di trasmissione reale ... 41

Figura 3.6-Errore di trasmissione ... 41

Figura 3.7-Sbilanciamento(sinistra) e disallineamento(destra) ... 45

Figura 3.8-Sbilanciamento rotore / Disallineamento albero ... 46

Figura 3.9-Fenomeno di risonanza ... 47

Figura 3.10-Fenomeno di modulazione ... 49

Figura 3.11-Bande laterali di modulazione ... 50

Figura 3.12-Geometria di un cuscinetto ... 50

Figura 3.13-Stadi successivi della sfaldatura ... 52

Figura 3.14-Usura(sinistra) e dentellatura(destra) della guida di un anello esterno di un cuscinetto causata da particelle abrasive ... 53

Figura 3.15-Surface distress di un elemento volvente(sinistra) e scalfiture di un anello(destra) ... 54

Figura 3.16-Corrosione dell’anello ... 54

Figura 3.17- “Fluting” provocato dal passaggio di corrente elettrica negli anelli esterni ... 55

Figura 3.18-Sfaldatura dovuta ad errato montaggio ... 56

Figura 3.19-Incisioni e scalfiture dovute a sovraccarico ... 56

(5)

ELENCO DELLE FIGURE IV

Figura 4.1-Posizione e numerazione degli accelerometri sul riduttore ... 62

Figura 4.2-Numerosità di ciascuna ricetta... 63

Figura 4.3-Serie storica singola campagna temporale segnale 9, ricetta D ... 64

Figura 4.4-Taglio dei dati per la singola campagna temporale segnale 9, ricetta D ... 65

Figura 4.5-Scatterplot valore RMS vs deviazione standard, segnale 4 ... 66

Figura 4.6-Valore RMS, albero veloce in ingresso ... 68

Figura 4.7-Valore RMS, alberi intermedi di riduzione ... 69

Figura 4.8-Valore rms, primo albero di uscita ... 70

Figura 4.9-Valore RMS, secondo albero di uscita ... 71

Figura 4.10-Scatterplot dei 12 segnali, ricetta D, data-set dopo la pulizia ... 73

Figura 4.11-Scatterplot valore medio RMS9 vs valore medio RMS2 ... 75

Figura 4.12-Individual value plot del valore medio RMS rispetto a segnale, ricetta e campagna temporale per il modello ridotto ... 76

Figura 4.13-Main effect plot del valore medio RMS rispetto a segnale, ricetta e campagna temporale per il modello ridotto ... 77

Figura 4.14-Interaction plot del valore medio RMS rispetto a segnale, ricetta e campagna temporale per il modello ridotto ... 77

Figura 4.15-Scatterplot RMS2 vs RMS4 per tutte le osservazioni del data-set ... 86

Figura 4.16-Scatterplot RMS2 vs RMS4 per la media RMS ... 87

Figura 4.17-Scatterplot RMS1 vs RMS2 per tutte le osservazioni del data-set ... 88

Figura 4.18-Scatterplot RMS1 vs RMS2 ... 88

Figura 4.19-Control chart I gruppo ... 90

Figura 4.20-Control chart II gruppo ... 91

Figura 4.21-Control chart III gruppo ... 92

Figura A.1-Scatterplot SRES vs FITS; valore medio RMS ... 98

Figura A.2-Probability plot dei residui con il modello ridotto ... 98

Figura A.3-Test di autocorrelazione sui residui con il modello ridotto ... 99

Figura A.4-Serie storica ricetta A, ricetta E ... 100

Figura A.5-Serie storica ricetta G, ricetta H ... 100

Figura A.6-Serie storica ricetta K, ricetta M ... 101

Figura A.7-Serie storica ricetta N, ricetta U ... 101

Figura A.8-Scatterplot RMS2 vs RMS12 ... 102

(6)

1

A

BSTRACT

Una problematica fondamentale nella manutenzione dei macchinari industriali è la definizione di strumenti e metodi adeguati per garantire la più lunga vita possibile della macchina. In questa ottica si inserisce l’analisi vibrazionale. In particolare il presente lavoro di tesi si inserisce nel contesto di un progetto pilota presso il Nuovo Polo Tecnologico Italiano di Settimo Torinese per l’azienda Pirelli Tyre S.p.a che ha lo scopo di determinare la regione di controllo del sistema riduttore-motore di un Banbury (nome che identifica la linea dedicata alla produzione di differenti tipi di mescole all’inizio del processo di lavorazione dello pneumatico). L’obiettivo del lavoro consiste nella caratterizzazione sperimentale attraverso analisi vibrazionale, delle condizioni di buon funzionamento del sistema riduttore-motore.

La conoscenza delle condizioni di buon funzionamento rappresenta il primo passo nella progettazione di un sistema di monitoraggio in grado di segnalare con sufficiente anticipo eventuali guasti.

Tale analisi deve far fronte a diverse sfide, prima fra tutte la difficoltà di dover trattare correttamente le diverse condizioni operative del sistema. Infatti il mescolatore opera secondo cicli continui molto differenti a seconda della mescola che si vuole ottenere e con un numero di giri e coppia estremamente variabili nel corso del tempo.

Il lavoro di tesi si è articolato in due fasi: una prima fase di definizione del problema e del caso specifico Pirelli, seguita da una esplorazione volta ad inquadrare il contesto al’interno del quale si sviluppa il lavoro di tesi ed una seconda che riporta soluzione, analisi e risultati ottenuti.

La soluzione proposta si basa sull’installazione di dodici accelerometri fissi e quattro centraline di acquisizione dei dati.

Tramite la strumentazione sono stati acquisiti i dati relativi al valore di vibrazione RMS (root mean square) del riduttore proveniente dai sensori installati in differenti posizioni.

(7)

ABSTRACT 2

L’analisi dei segnali ha permesso la caratterizzazione della macchina in presenza di diverse mescole, la correlazione presente tra segnali da sensori installati in diversi punti del sistema e di stimare le regioni di controllo che possono essere usate per il monitoraggio continuo dell’impianto.

(8)

3

I

NTRODUZIONE

La sempre maggiore disponibilità di sensori e strumenti di monitoraggio a basso costo e poco instrusivi permette di sviluppare nuovi strumenti e nuove strategie per il controllo del processo e dei sistemi produttivi.

Il presente lavoro di tesi si inserisce nel contesto del monitoraggio in linea di macchinari per la produzione di gomma da pneumatico, presso gli stabilimenti dell'azienda Pirelli Tyre S.p.A.

Nel seguente lavoro si tratta l’analisi delle vibrazioni applicata al caso del riduttore di una linea Banbury all’interno del Nuovo Polo Tecnologico Italiano di Settimo Torinese.

La linea Banbury è costituita da una serie di macchinari, posti all’origine del processo di produzione dello pneumatico, che si occupano della mescolazione della gomma allo scopo di ottenere differenti tipi di mescole, che saranno la base per le lavorazioni successive, al fine di ottenere le differenti componenti di uno pneumatico.

La macchina più critica ed interessante della linea è definita Mixer (o mescolatore chiuso), costituita da due rotori controrotanti e preposta alla vera e propria mescolazione delle materie prime.

All’interno del mescolatore vengono inviate, oltre a queste (gomma naturale e sintetica), delle cariche rinforzanti (nerofumo e silice) e dei plastificanti. La somma di questi componenti costituisce circa il 90% delle mescole, il restante 10% circa è costituito da altri componenti con specifiche funzioni quali, per esempio, agenti acceleranti, antiossidanti, vulcanizzanti ecc. I plastificanti, il nerofumo e la silice sono stoccati in silos dedicati e inviati al mescolatore all’interno del quale avviene la prima lavorazione della mescola. Questa viene quindi scaricata su un mescolatore aperto composto da due grossi cilindri, al fine di completarne la mescolazione e ottimizzarne la dispersione. A seguire, la foglia di mescola viene immersa in una vasca per il raffreddamento.

(9)

INTRODUZIONE 4

Il processo che avviene all’interno del mescolatore è particolarmente critico perchè è un processo discontinuo e lavora a condizioni operative estremamente variabili (soprattutto coppia e numero di giri).

E’, inoltre, uno dei più importanti dal momento che in base alla sua buona riuscita dipendono tutte le successive operazioni che porteranno alla realizzazione dello pneumatico.

L’elemento più soggetto a guasti è il riduttore del mescolatore, in conseguenza delle condizioni particolarmente stressanti cui è sottoposto quotidianamente. Nasce, quindi, un progetto pilota il cui scopo è conoscere il reale stato di salute della macchina, attraverso un sistema di monitoraggio in continuo della linea. Il problema è particolarmente sfidante poichè è la prima volta che si affronta la tematica delle vibrazioni da questo punto di vista in Pirelli, tanto è vero che, fino ad ora, le misurazioni sono state effettuate con strumentazione portatile a scadenze fissate, senza avere la possibilità di verificare in maniera costante la condizione effettiva di salute della macchina.

Questo progetto ha lo scopo finale di mettere a punto un metodo valido ed affidabile per raccogliere informazioni sulla macchina, tracciare una regione di controllo per il riduttore ed utilizzare questo dato come riferimento per identificare eventuali anomalie su riduttori simili, presenti all’interno del gruppo Pirelli. In questo modo potranno essere adottate eventuali contromisure atte ad allungare la vita del riduttore; si potranno, inoltre, utilizzare le soglie delle regioni di controllo come riferimento per i riduttori della restante linee Banbury della fabbrica ed, eventualmente, estendere tale sistema alle fabbriche Pirelli nel mondo.

Per perseguire tale obiettivo, innanzitutto, si è scelto il sistema di monitoraggio, considerando sia l’aspetto tecnico che quello economico, acquistando sul mercato quello che garantisse l’acquisizione, l’analisi e l’interpretazione coerente dei dati.

La soluzione finale proposta è stata quella di strumentare con dodici accelerometri fissi e quattro centraline di acquisizione il riduttore in esame. Attraverso la strumentazione sono stati acquisiti i dati relativi al valore di velocità di vibrazione RMS (root mean square, espresso in mm/s) del riduttore, proveniente dai sensori installati in differenti posizioni.

(10)

INTRODUZIONE 5

Questi hanno permesso di caratterizzare la macchina in presenza di mescole differenti, di analizzare la correlazione tra i diversi segnali e di stimare le regioni di controllo, che potranno essere utilizzate per il monitoraggio in continuo dell’impianto.

Per stimare le regioni di controllo si è tenuto in considerazione il fatto che il processo di mescolazione della gomma è un processo il cui buon funzionamento è misura di modi operativi differenti.

Avendo a disposizione segnali con distribuzioni diverse, provenienti da differenti zone del riduttore contemporanemente, la tesi propone di applicare delle carte di controllo multivariate (carta di controllo T2).

Ecco nel dettaglio come è strutturata la tesi:

Il capitolo 1 introduce al lettore il caso Pirelli che si tratterà nel corso delle seguenti pagine. Prima viene esposto il contesto industriale presentando una breve storia dell’azienda; successivamente viene esposto nei dettagli la composizione di uno pneumatico e il processo di produzione dello stesso, concentrandosi sulla mescolazione della gomma e mostrando le particolarità da tenere in considerazione durante le analisi dei dati.

Nel capitolo 2 sono riportate le caratteristiche del sistema di acquisizione, descrivendo la strumentazione utilizzata e le motivazioni che hanno portato a questa scelta.

Nel capitolo 3 si mette in luce la tematica delle vibrazioni relativa alle macchine con organi rotanti, all’interno del quale il lavoro di tesi è inserito. Si approfondiscono gli strumenti più diffusi per la manutenzione dei macchinari industriali, focalizzandosi sul concetto di Condition Based Maintenance (CBM) e dedicando particolare attenzione al modo di procedere per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati.

Si espongono, in seguito, le problematiche relative all’ analisi vibrazionale relative ad un gearbox, analizzando i principali difetti connessi al suo funzionamento e trattando, in particolare, i casi di errori dovuti ad ingranamento e cuscinetti volventi.

Il capitolo 4 è dedicato alla descrizione delle analisi che hanno portato alla definizione di una control chart per il riduttore del Banbury, partendo dalla

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INTRODUZIONE 6

campagna sperimentale e proseguendo con le elaborazioni svolte per modellare in maniera corretta i valori di vibrazione provenienti dai sensori disposti in punti diversi del riduttore. Sono esposte, infine, le regioni di controllo identificate per la macchina.

In ultimo, il capitolo 5 riporta le conclusioni relative al lavoro di tesi svolto e riflette su possibili sviluppi futuri che il progetto potrà avere all’interno dell’azienda Pirelli Tyre S.p.A.

(12)

7

1. IL

CASO

PIRELLI

In questo primo capitolo, dopo una breve introduzione sull’azienda si spiegano quali sono le caratteristiche del processo produttivo, focalizzandosi sul processo di mescolazione della gomma.

I dati che si analizzano sono relativi al valore di vibrazione RMS (root mean square) proveniente dal riduttore del mescolatore della gomma, pertanto è fondamentale conoscere bene il processo e quali sono le particolarità del macchinario su cui si effettuano delle misurazioni per interpretare in maniera corretta le elaborazioni eseguite nel seguito del lavoro di tesi.

1.1 P

IRELLI TYRE

S.

P

.

A La "Pirelli & C." fu fondata a Milano nel 1872 dall'ingegnere Giovanni Battista Pirelli, allo scopo di produrre "articoli tecnici" di caucciù vulcanizzato. Sostanzialmente si trattava di tele gommate, cinghie di trasmissione, manicotti e raccorderie in gomma.

Immediatamente venne avviata la costruzione del primo opificio, nell'area adiacente via Ponte Seveso, poi rinominata via Fabio Filzi, ove oggi sorge il "Pirellone". La struttura era costituita da due fabbricati a due piani di diversa dimensione: quello più grande adibito alla lavorazione e l'altro per negozio, uffici e servizi. L'originaria dotazione di macchinari consisteva in depuratore, masticatore, mescolatore e calandra, costruiti in Francia, oltre a caldaie di vulcanizzazione di costruzione italiana. La produzione iniziò nel giugno 1873. Data l'estrema duttilità del materiale, con l'entrata in società dell'esperto commerciante Francesco Casassa, furono previsti vari impieghi e la gamma produttiva fu ampliata con altre applicazioni, come cavi telegrafici sottomarini, giocattoli, tappeti, impermeabili, materiale per sale chirurgiche e

imbottiture anatomiche da applicare a reggiseni eculotte.

All'inizio degli anni Novanta del XIX secolo, dopo l'invenzione dello pneumatico per bicicletta, la Pirelli sfruttò immediatamente il know-how acquisito nella produzione di manicotti in tela gommata per sperimentare quel nuovo tipo di manufatto, in collaborazione alla Bianchi, e realizzarlo per il mercato.

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1.1 Pirelli tyre S.p.a 8

Terminata la primigenia fase della "produzione di sviluppo", nel 1897 fu brevettato lo pneumatico per bicicletta tipo "Flexus". Due anni dopo la Pirelli pose in vendita i suoi primi pneumatici per veicoli a motore, in questo caso per motocicletta, seguiti nel 1901 da quelli per autovettura. Il primo treno di pneumatici sperimentali per automobile fu realizzato dalla Pirelli nel 1900, su commissione della Prinetti & Stucchi, per equipaggiare un loro prototipo di quadriciclo quadrimotore, progettato da Ettore Bugatti.

A partire dal 1899, tutti gli pneumatici Pirelli furono contrassegnati con il logo in rilievo, rappresentante una stella a cinque punte iscritta in un cerchio e, per questo motivo, furono a lungo popolarmente chiamati "pneumatici marca stella".

FIGURA 1.1-LO STABILIMENTO PIRELLI ALLA BICOCCA, 1922

La produzione di questi articoli, per l'epoca tecnologicamente avanzatissimi, riscosse un grande successo di vendite, tanto da costringere l'azienda a costruire un nuovo stabilimento in zona Bicocca e trasferirvi, nel 1906, buona parte della produzione. Nel 1918 viene acquistato anche il villino della Bicocca degli Arcimboldi, utilizzata dapprima come sede del museo della gomma e

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1.1 Pirelli tyre S.p.a 9

scuola materna, successivamente come sede di rappresentanza dell'azienda stessa.

Nel 1907 arriva la prima affermazione sportiva di grande rilievo, con la Itala 35/45 HP, nel raid Pechino-Parigi. All'inizio del Novecento, inoltre, inizia l'espansione internazionale, prima in Spagna (1902), poi anche in Gran Bretagna (1914) e in Argentina (1919).

Negli anni venti ha inizio la presenza nelle gare automobilistiche, che è proseguita fino ai giorni nostri e che ha visto numerose vittorie di gran premi di Formula 1, Rally, Superbike e nella Mille Miglia.

Nel settore pneumatici, è da ricordare l'introduzione, agli inizi degli anni cinquanta, del radiale Cinturato (riproposto recentemente in versione supertecnologica ed eco-compatibile), e negli anni ottanta quella dello pneumatico ribassato. Il nuovo millennio vede un'altra rivoluzione: la realizzazione, nel 2000, del processo produttivo MIRS (Modular Integrated Robotized System) per la fabbricazione automatizzata di pneumatici ad alte prestazioni. Nel 2002 entra in funzione la futuristica sala mescole automatizzata CCM (Continuous Compound Mixing). Nel comparto dei cavi, le principali tappe tecnologiche arrivarono nel 1927, con la produzione del primo cavo con isolamento in olio, e negli anni ottanta con la realizzazione dei cavi a fibre ottiche.

Negli anni settanta il gruppo diede vita a una fusione con la britannicaDunlop, e nel 1986 tentò invano di acquistare la tedesca Continental. Fallite le due operazioni, nel 1992, Marco Tronchetti Provera succede a Leopoldo Pirelli alla guida del gruppo, posizione che mantiene anche in seguito ai cambi d'azionariato che interesseranno l'azienda.

Attualmente Pirelli è tra i principali produttori mondiali di pneumatici con un posizionamento distintivo sull’alto di gamma, pneumatici Premium ad elevato contenuto tecnologico. Attraverso partnership con le migliori case auto Prestige e Premium, Pirelli dispone di un portafoglio di oltre 1.200 pneumatici. Presente in 13 paesi con 19 stabilimenti, Pirelli produce pneumatici per auto, moto, autocarro, autobus e macchine agricole; il gruppo ha un’ampia presenza commerciale (oltre 160 paesi) equamente distribuita tra mercati maturi ed emergenti.

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1.2 Struttura di uno pneumatico 10

Pirelli si distingue per una lunga tradizione industriale da sempre coniugata con capacità di innovazione, qualità del prodotto e forza del brand. Una forza ulteriormente valorizzata attraverso la Formula 1™, di cui Pirelli è fornitore esclusivo per il triennio 2014-2016, esteso poi fino al 2018.

In linea con la strategia 'green performance', la ricerca e sviluppo Pirelli opera con una costante e crescente attenzione a prodotti e servizi a elevata qualità e tecnologia e basso impatto ambientale.

1.2 S

TRUTTURA DI UNO PNEUMATICO In questa sezione si spiega brevemente la struttura dello pneumatico: Questo è costituito da diverse parti che possono essere riassunte in:

Battistrada: è l'elemento a contatto con l'asfalto, assicura la trazione del

mezzo, resiste all'usura e protegge la carcassa, viene prodotto con la gomma (in passato naturale, ora sintetica, per trasmettere e ricevere gli attriti radenti e volventi che si generano con il movimento).

Pacco cintura o cinture e cintura radiale: strati multipli di corde o fili

d'acciaio (materiale più usato), nylon, poliestere o rayon (in disuso) interposte tra la carcassa e il battistrada, che aumentano la resistenza dello pneumatico, stabilizzano il battistrada garantendo protezione contro urti e forature e garantendo una migliore distribuzione delle forze sull'impronta laterale del battistrada e quindi anche una maggiore impronta a terra, questi fili sono disposti nella cintura con un'angolazione ridotta di 15-25° e incrociati tra loro, oppure sono disposti con un'angolazione di 0° rispetto alla mediana dello pneumatico ed eventualmente presentano anche altre cinture a diverse angolazioni per la distribuzione delle forze, in quest'ultimo caso il pacco cintura può essere sostituito da una "cintura radiale" caratterizzata da un filo metallico o da tanti fili senza giunture

disposti sempre a 0°.

Questo elemento non è usato su tutti gli pneumatici con carcassa a tele incrociate, i quali se provvisti di queste cinture prendono il nome di cinturato, ma è una consuetudine per quelli con una carcassa a tele radiali.

(16)

1.2 Struttura di uno pneumatico 11

Fianco dello pneumatico o spalla: protegge le tele dagli agenti atmosferici e

chimici e inoltre si oppone alla flessione a cui è sottoposto durante l'impiego.

Pneumatico radiale: 1: Battistrada 2: Bordo del battistrada

3: Carcassa

4: Fianco dello pneumatico o Spalla 5: Pacco cintura

6: Rinforzi laterali del pacco cintura 7: Cerchietti

8: Tallone

FIGURA1.2-COMPONENTI DI UNO PNEUMATICO

Carcassa o tela: consente la trasmissione di tutte le forze di carico tra la

ruota e il terreno come quelle che si sprigionano durante la frenata e nelle manovre di sterzatura, inoltre garantisce la resistenza alla pressione di gonfiaggio e successivamente di esercizio durante tutte le manovre. Questo elemento è composto principalmente da fili di Nylon affiancati (tela) che possono essere di diverso spessore e conferire una maggiore resistenza o scorrevolezza, infatti con l'aumento della sezione dei fili e di conseguenza una loro diminuzione di fili per pollice si aumenta la resistenza e rigidezza della carcassa ma diminuendone la scorrevolezza.

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1.2 Struttura di uno pneumatico 12

Diagonale o a tele incrociate o bias: le tele si estendono in diagonale da

un tallone all'altro dello pneumatico formando un angolo di 30-40° con la linea mediana dello pneumatico stesso, dove ogni tela o strato successivo di filo va in direzione opposta e quindi incrociandosi.

Cinturato o bias belted: si tratta di una carcassa diagonale provvista del

pacco cintura, la quale conferisce caratteristiche analoghe ai pneumatici radiali.

Radiali: le tele si estendono da un tallone all'altro con un angolo di 90°

con l'asse mediano dello pneumatico.

Nervatura fascio o cerchietti: sono fasce d'acciaio poste nel tallone,

accomodano lo pneumatico sul cerchione e lo mantengono in posizione, evitando un suo eventuale sfilamento.

Riempimento: generalmente è costituito da gomma ed è posto nella zona

del tallone e del fianco per consentire un passaggio graduale dalla zona rigida del tallone a quella flessibile del fianco.

Rivestimento interno: strato di gomma inserito all'interno degli pneumatici

tubeless, studiato appositamente per evitare perdite d'aria.

Tallone o incavo del tallone: strato di tela gommata che impedisce l'usura

provocata dallo sfregamento del tallone contro il bordo del cerchio e che garantisce l'attrito necessario per evitarne la rotazione sullo stesso.

(18)

1.3 Il processo di produzione di uno pneumatico 13

1.3 I

L PROCESSO DI PRODUZIONE DI UNO PNEUMATICO

Prima di approfondire le performance di processo, sono qui descritte le fasi produttive che portano alla realizzazione di uno pneumatico. Due le fasi principali:

 realizzazione delle mescole in gomma utilizzate per le varie componenti

dello pneumatico: battistrada, fianchi, liner, riempimento tallone ecc.;

 costruzione della struttura di base, un vero e proprio “tessuto”

gommato, che supporta tutti i componenti.

La parte gommosa dello pneumatico (battistrada, fianchi e tele) è una particolare miscela, più nota con la dizione “mescola”, composta per lo più da gomma (sia naturale sia sintetica), da cariche rinforzanti (principalmente nerofumo e silice) e da plastificanti. La somma di questi componenti costituisce circa il 90% delle mescole, il restante 10% circa è costituito da altri componenti con specifiche funzioni quali, per esempio, agenti acceleranti, antiossidanti, vulcanizzanti ecc. I plastificanti, il nerofumo e la silice sono stoccati in silos dedicati e inviati a un mescolatore chiuso (banbury), all’interno del quale avviene la prima lavorazione della mescola. Un computer controlla e gestisce le quantità degli ingredienti provenienti dai silos. Gli ingredienti di minor peso vengono invece predosati con opportuni sistemi di controllo. In una seconda fase di mescolazione sono inseriti altri particolari ingredienti, quali vulcanizzanti e acceleranti. La mescola viene quindi scaricata su un mescolatore aperto composto da due grossi cilindri, al fine di completarne la mescolazione e ottimizzarne la dispersione. A seguire, la foglia di mescola viene immersa in una vasca (batchoff) per il raffreddamento.

La mescola pronta è destinata al battistrada e/o agli altri componenti dello pneumatico; essa passa nella successiva fase di trafilatura o di calandratura e assume la forma adeguata alle successive operazioni. Il cuore della struttura

(19)

1.3 Il processo di produzione di uno pneumatico 14

dello pneumatico è rappresentato dalle tele, che sono formate essenzialmente da fili longitudinali (trama) e possono essere di vari materiali.

Le tele vengono quindi tagliate con un certo angolo rispetto alla direzione longitudinale (di marcia, di rotolamento o della trama). Altre parti fondamentali dello pneumatico sono il battistrada e il tallone.

Il primo garantisce prestazioni importantissime quali, per esempio, la frenata su asciutto e bagnato. Il secondo coincide con la zona vicina al cerchio metallico; la base del tallone è costituita dal cerchietto, che fornisce rigidità alla zona a contatto con il cerchio ed è composto a sua volta da una serie di fili d’acciaio. Per arrivare ad avere uno pneumatico finito, si deve eseguire un vero e proprio assemblaggio (confezione) dei semilavorati prodotti, ovvero dei componenti sinora descritti (battistrada, talloni, tessuti gommati, fianchi ecc.), effettuato mediante apparecchiature confezionatrici. Lo pneumatico così ottenuto (denominato “crudo”) è inviato alla successiva fase di vulcanizzazione, vera e propria reazione chimica condotta in fase solida. Dopo il raffreddamento, lo pneumatico vulcanizzato viene innanzitutto sottoposto a sbavatura per togliere eventuali imperfezioni che ne alterino l’aspetto; si procede quindi a un’ispezione visiva sia interna sia esterna, per gli pneumatici Truck seguita anche da un controllo ai raggi X in apposite aree schermate. Gli pneumatici vengono quindi controllati per uniformità e bilanciatura.

(20)

1.3 Il processo di produzione di uno pneumatico 15

(21)

1.4 Il Banbury: il processo di mescolazione della gomma 16

1.4 I

L

B

ANBURY

:

IL PROCESSO DI MESCOLAZIONE DELLA GOMMA

Nel paragrafo precedente è stato spiegato il processo di produzione dello pneumatico; in questo invece ci si concentra sulla mescolazione della gomma e sulla linea Banbury, che si occupa proprio di questa fase. Si è visto che la parte gommosa dello pneumatico (battistrada, fianchi e tele) è una particolare miscela, più nota con la dizione “mescola”, composta per lo più da gomma (sia naturale sia sintetica), da cariche rinforzanti (principalmente nerofumo e silice) e da plastificanti. La somma di questi componenti costituisce circa il 90% delle mescole, il restante 10% circa è costituito da altri componenti con specifiche funzioni quali, per esempio, agenti acceleranti, antiossidanti, vulcanizzanti ecc. I plastificanti, il nerofumo e la silice sono stoccati in silos dedicati e inviati al Banbury all’interno del quale avviene la prima lavorazione della mescola. La mescola viene quindi scaricata su un mescolatore aperto composto da due grossi cilindri, al fine di completarne la mescolazione e ottimizzarne la dispersione. A seguire, la foglia di mescola viene immersa in una vasca (batchoff) per il raffreddamento.

La mescola ottenuta sarà inviata nel reparto dei semilavorati ed è dunque la base per ottenere le restanti componenti dello pneumatico.

La linea Banbury è costituita dunque da una serie di macchinari ma quello principale è un mixer (o mescolatore chiuso) la cui funzione è quella di mescolare quantità differenti di gomma naturale, sintetica, cariche rinforzanti e plastificanti di vario tipo per ottenere diverse tipologie di mescole. Il macchinario che prendiamo in considerazione lavora diverse ricette, e ciascuna di queste è ripetuta ad intervalli temporali differenti e composta da diversi batch di produzione.

Questa macchina lavora a differenti condizioni operative e ogni ciclo di lavorazione è costituito da molte fasi, le cui principali possono essere considerate le seguenti (riportate anche nella figura 1.4):

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1.4 Il Banbury: il processo di mescolazione della gomma 17

 Inizialmente la materia prima (gomma naturale e/o sintetica) viene

tagliata e insieme alle cariche rinforzanti viene posizionata su un nastro pesato finché non si è raggiunta la composizione desiderata per la ricetta.

Una volta che il materiale ha raggiunto la quantità prevista viene trasportata su un secondo nastro dove attende che il ciclo precedente abbia finito e attende il comando dell’operatore per entrare nel mescolatore ed iniziare la lavorazione.

 Quando è il momento di iniziare la lavorazione si apre una porta che permette al materiale di essere inglobato all’interno del macchinario che tramite due rotori controrotanti e un peso pressatore inizia la vera e propria fase di lavorazione nella quale le molecole della gomma vengono decomposte e si cerca di ottenere una mescola omogenea. Per mescolare nella miglior maniera possibile gomma e additivi si ricorre a un pistone idraulico che viene mosso dall’alto e rimane in posizione abbassata per tenere spinta la gomma contro i rotori e permettere una mescolazione più omogenea.

 Infine quando è terminato il tempo ciclo previsto per la lavorazione si

apre una porta posizionata nella parte inferiore del macchinario (che fino a quel momento era stata chiusa) e l’impasto viene scaricato su un nastro posto sotto questa porta. A questo punto la mescola viene lavorata da un mescolatore aperto, successivamente raffreddata e impilata sotto forma di fogliati su dei bancali per poi poter essere inviata al reparto dei semilavorati dove si otterranno le varie componenti che costituiscono uno pneumatico.

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1.4 Il Banbury: il processo di mescolazione della gomma 18

FIGURA 1.4-SCHEMA DEL PROCESSO DI MESCOLAZIONE DELLA GOMMA

Questa spiegazione è fondamentale perché successivamente ci aiuterà a capire ed interpretare i dati che si ottengono dalle analisi.

PESATURA e ATTESA

SCARICO ALLA FASE SUCCESSIVA

LAVORAZIONE DELLA GOMMA TRA ROTORI CONTROROTANTI

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19

2. S

ISTEMA DI ACQUISIZIONE

2.1 A

CCELEROMETRI MEMS Le vibrazioni sui macchinari possono essere misurati con diversi sensori. Nel lavoro di tesi lo strumento utilizzato sono gli accelerometri; in particolare sono stati scelti quelli con tecnologia MEMS.

La sigla MEMS è l’acronimo di Micro Electro-Mechanical Systems e identifica una categoria di dispositivi di varia natura (meccanici, elettrici ed elettronici) integrati in forma altamente miniaturizzata su uno stesso substrato di silicio, che coniugano le proprietà elettriche degli integrati a semiconduttore con proprietà opto-meccaniche. La tecnologia MEMS è considerata una delle innovazioni più promettenti del XXI secolo, capaci di rivoluzionare sia il mondo industriale, sia quello dei prodotti di largo consumo. La miniaturizzazione dei sensori costruiti utilizzando tale tecnologia, unita all’integrazione del circuito necessario ad ottenere l’output di misura, ne ha consentito l’introduzione in molteplici dispositivi (palmari, console di giochi, realtà virtuale, sistemi di misura, sistemi di controllo di posizione utilizzati congiuntamente alla tecnologia GPS, etc.) ove si vuole effettuare la misura di diverse grandezze fisiche (accelerazioni, velocità, spostamenti, rotazioni, pressioni, etc.).

Questa tecnologia ha portato alla realizzazione di accelerometri MEMS in grado di misurare lungo tre assi. Si basano principalmente sulla misura di variazioni capacitive, indotte dalle accelerazioni cui il sensore è sottoposto. I processi di microincisione permettono di realizzare condensatori costituiti da più armature, che possono oscillare attorno ad una posizione di equilibrio, provocando variazioni capacitive (alcuni schemi sono illustrati nella pagina seguente). Tali variazioni sono dell’ordine di 10-18 ¸ 10-21 F e possono essere rilevate proprio grazie alla tecnologia costruttiva dei MEMS che integra l’elettronica all’interno del sensore.

(25)

2.1 Accelerometri mems 20

Questi sensori presentano molteplici caratteristiche favorevoli:

 precisione e rapporto segnale rumore elevati;

 ampia banda passante a partire da 0 Hz, sono dunque in grado di

misurare le accelerazioni statiche;  affidabilità;

 consumi limitati;

 produzione su larga scala e omogeneità della lavorazione;

 miniaturizzazione.

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2.1 Accelerometri mems 21

FIGURA 2.2-PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN ACCELEROMETRO MEMS

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2.1 Accelerometri mems 22

E’ importante sottolineare che la bontà di una misura di vibrazioni è fortemente legata al tipo di attacco tra il sensore e il punto della macchina su cui viene effettuato il rilievo. In generale più l’attacco è rigido e migliore è la qualità della misura.

La questione è soprattutto legata alla frequenza della vibrazione che vogliamo analizzare. Infatti mentre per l’analisi delle vibrazioni fino ad 1 kHz la tipologia di attacco non incide molto, la cosa cambia completamente man mano che si sale in frequenza.

Il problema si pone soprattutto quando si vogliano diagnosticare problemi legati a cuscinetti e riduttori, proprio come nel caso in esame, che per loro natura possono evidenziare sullo spettro picchi a frequenze elevate. In questo caso se l’attacco non è sufficientemente rigido si rischia di leggere valori di vibrazioni molto più bassi del loro valore reale.

Di norma, un guasto alla pista del cuscinetto non può essere rilevato tramite il livello di vibrazioni a bassa frequenza finché il difetto non diventa piuttosto grave. Questo succede perché quando gli elementi rotanti passano sull’area danneggiata della pista, si crea un impulso d’urto che, in un primo momento, può essere individuato solo nelle alte frequenze.

Per il momento non esiste uno standard accettato a livello internazionale, e perciò attualmente si trovano in uso molte tabelle e diagrammi con valori differenti.

Una caratteristica tipica di tutti i cuscinetti a rotolamento è che i loro valori dipendono da vari fattori, quali: la velocità di rotolamento, lo smorzamento del segnale, il carico e la lubrificazione del cuscinetto.

Questa è la ragione per cui è praticamente sempre necessario effettuare delle misure di riferimento in buone condizioni o normalizzare le letture rispetto a una buona condizione.

(28)

2.1 Accelerometri mems 23

FIGURA 2.4-SCELTA DEI PUNTI DI POSIZIONAMENTO

E’ sempre importante scegliere il giusto punto di misura, ove ci sia la miglior trasmissione del segnale vibratorio.

Se è possibile, nel caso di un supporto di cuscinetto è conveniente misurare nella parte inferiore del supporto, in tal modo incide sia il carico dinamico sia il carico statico della macchina.

Fin tanto che la lubrificazione è in buono stato, le superfici della pista e della sfera sono separate da uno strato di film lubrificante e quindi le vibrazioni dovute al rotolamento delle sfere sulle piste sono molto basse.

Ma man mano che la lubrificazione si esaurisce le due superfici di metallo si avvicinano aumentando in maniera costante le vibrazioni dovute al rotolamento delle sfere (o rulli) sulle piste.

Ogni qualvolta un elemento rotante (sfera o rullo) passa sulla parte

danneggiata si avrà un micro impatto che genererà un’improvvisa vibrazione “pulsante “. Talvolta si può effettuare una prima diagnosi sulla macchina senza l’utilizzo dell’analisi in frequenza, ma andando a verificare eventuali variazioni sui valori globali di vibrazione. E’ importante, in questo caso, verificare in quale direzione si sia manifestata la maggiore variazione. L’aumento del livello vibrazionale in una certa direzione può essere associato a ad una causa

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2.1 Accelerometri mems 24

specifica. Ad esempio un aumento del livello vibrazionale nella direzione orizzontale può essere ricondotto ad un problema di sbilanciamento mentre un aumento nella direzione assiale ad un disallineamento. In generale i punti su cui effettuare la misura sono i vincoli su cui la vibrazione si scarica e quindi i supporti dei cuscinetti. Per quanto riguardo il rilievo della condizione dei cuscinetti, è fondamentale effettuare la misura il più vicino possibile alla sede posizioni di misura del cuscinetto.

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2.2 Centralina di acquisizione dei dati e software di diagnosi 25

2.2 C

ENTRALINA DI ACQUISIZIONE DEI DATI E SOFTWARE DI DIAGNOSI Per acquisire i dati si sceglie di utilizzare quattro centraline della casa IFM Electronic GmbH in grado di acquisire simultaneamente al massimo quattro accelerometri. Queste sono in grado di accettare anche segnali di natura differente (rpm, proximity, ecc.) e riescono a funzionare anche a condizioni operative differenti, incluse coppie e velocità variabili tipiche della macchina che abbiamo considerato.

Il software di diagnosi si chiama Efector Octavis ed è un sistema di monitoraggio delle vibrazioni con il quale non vengono soltanto acquisiti i dati delle vibrazioni ma è anche in grado di eseguire l'analisi del segnale e la diagnosi direttamente sul macchinario.

Lo scopo della tesi prevede l’utilizzazione delle centraline solo strumento di acquisizione dei dati, ma guardando anche al futuro, sono state scelte proprio perché se sarà richiesto si potranno analizzare gli spettri in frequenza ed individuare problematiche specifiche relative a diversi organi del riduttore.

FIGURA 2.5-CENTRALINA DI ACQUISIZIONE PER LA RACCOLTA DEI DATI UTIULIZZATA PER LA CAMPAGNA SPERIMENTALE

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26

3. B

ACKGROUND

:

L

ANALISI DELLE VIBRAZIONI NEL

MONDO DELL

INDUSTRIA

Il lavoro di tesi volto si inserisce all’interno del contesto delle analisi vibrazionali e si focalizza sull’identificazione di regioni di controllo per il macchinario, che costituiranno dei valori di riferimento per il riduttore in condizioni di buon funzionamento da tenere in considerazione per identificare in futuro eventuali anomalie, eventualmente da approfondire con ulteriori strumenti.

Infatti il contesto delle analisi vibrazionali è molto ampio ed esistono numerosissimi strumenti per la diagnosi di un macchinario industriale.

Il rumore e le vibrazioni negli ultimi anni stanno assumendo grande rilevanza nel settore meccanico, sia per la necessità sempre più spinta di riduzione delle emissioni sonore per esigenze di comfort e di adeguamento a normative di certificazione sempre più restrittive, sia per problematiche di resistenza meccanica e di ottimizzazione strutturale di componenti soggetti a importanti fenomeni vibratori, sia infine per esigenze di incremento delle prestazioni, conseguibili con il superamento di limitazioni funzionali dovute a fenomeni vibratori.

Le problematiche evidenziate possono essere affrontate e risolte solo studiando il sistema meccanico in modo unitario, tenendo conto delle influenze reciproche tra le eccitazioni presenti e le caratteristiche vibro-acustiche del sistema stesso, che nelle applicazioni industriali è di norma un sistema complesso ed altamente non lineare. Le emissioni acustiche e vibratorie delle macchine, se correttamente analizzate e interpretate, possono fornire utili informazioni sul loro funzionamento.

Le finalità di tali attività di ricerca sono diverse a seconda delle applicazioni: monitoraggio ed identificazione di guasti e di malfunzionamenti per motivi di sicurezza, di controllo funzionale e di manutenzione; identificazione delle sorgenti e delle modalità di propagazione delle vibrazioni e del rumore, per la loro successiva riduzione; identificazione di malfunzionamenti, limitazioni

(32)

3.1 Condition based maintenance 27

funzionali o problematiche di resistenza strutturale imputabili ad eccessivi fenomeni vibratori e di soluzioni progettuali atte alla loro eliminazione.

3.1 C

ONDITION BASED MAINTENANCE É importante ricordare che i prodotti, seppur realizzati nel miglior modo possibile, si deteriorano nel tempo soprattutto se operano sotto certe condizioni di carico o stress. Questo è il caso delle macchine con organi rotanti di cui mi sono occupato nel seguente lavoro.

La manutenzione è stata introdotta come un modo efficiente per assicurare un livello soddisfacente di affidabilità durante la vita utile di un bene fisico.

Le prima tecnica di manutenzione è la basica manutenzione a rottura, che ha luogo solamente nel momento della fermata di un macchinario. Una tecnica più recente è la manutenzione preventiva che definisce un intervallo per mettere in atto la preventiva indipendentemente dallo stato di salute del bene fisico. Con il rapido sviluppo della tecnologia moderna, i prodotti sono diventati via via più complessi mentre sono richiesti sempre maggior qualità ed affidabilità. Questo hanno reso i costi della manutenzione preventiva sempre più elevati. Alla fine la preventiva è diventata una spesa maggiore per la maggior parte delle compagnie industriali.

Dunque, approcci più efficienti, come la condition-based maintenance (CBM), sono stati implementati per far fronte alla situazione.

Condition-based maintenance (CBM) è un programma di manutenzione che suggerisce le importanti decisioni di manutenzione basate sulle informazioni raccolte attraverso il cosiddetto condition monitoring, argomento che approfondiremo nel seguito della tesi.

(33)

3.1 Condition based maintenance 28

Si articola in tre fasi principali:

1. L’acquisizione dei dati (data acquisiton), per ottenere dati rilevanti sulla salute del sistema.

2. L’analisi e l’elaborazione dei dati (processing data) per far fronte e analizzare i dati o i segnali raccolti nella prima fase per una migliore comprensione e interpretazione dei dati.

3. Supporto alla decisione di intervento (maintenance decision-making) per raccomandare efficienti politiche di manutenzione.

3.1.1 DATA ACQUISITION L’acquisizione dei dati è un processo di raccolta e immagazzinamento di informazioni utili provenienti dai sistemi e dagli apparati designati come target per le caratteristiche del CBM. Questo processo è uno step fondamentale nel perfezionamento di un programma CBM che sia in grado di valutare i guasti dei macchinari e dei sistemi. I dati raccolti in un programma di questo tipo possono essere categorizzati in due tipi principalmente:

 event data

 condition monitoring data

I primi includono le informazioni riguardanti la storia del macchinario come la sua installazione, i guasti, le revisioni subite etc. e pertanto quali operazioni sono state eseguite su di esso (es. riparazioni di entità minori, manutenzione preventiva, cambio olio etc.).

La Condition monitoring è la misurazione dei vari stati relativi ai parametri del sistema. I dati raccolti possono essere molto diversi tra loro. Possono essere dati di vibrazione, di cui mi sono occupato nel presente lavoro di tesi, dati acustici, analisi di dati degli oli, temperatura, pressione, umidità, inquinamento etc.

Per le diverse tipologie di dati esistono diversi sensori, come micro-sensori, sensori ultrasonici, sensori per emissioni acustica e tanti altri che sono stati progettati per raccogliere differenti tipi di informazioni.

(34)

3.1 Condition based maintenance 29

L’avvento e lo sviluppo delle tecnologie senza fili, (Bluetooth, Wireless LAN, etc.), ha offerto una soluzione alternativa, semplice ed economica, alla comunicazione dei dati.

Ad esse si è aggiunto lo sviluppo di Sistemi informatici di manutenzione, come i sistemi per la gestione di manutenzione computerizzati (CMMS) o come i Resource Planning System, i quali sono stati progettati in modo tale da acquisire e raccogliere i diversi tipi di dati e gestirli effettuando il cosiddetto “data Handling”.

La raccolta di dati evento richiede normalmente l’immissione manuale dei dati nei sistemi di informazioni. Ciò che spesso accade, nella pratica CBM, è che le persone tendano ad enfatizzare la raccolta dei condition-monitoring data e trascurare la raccolta di dati evento, considerandoli, erroneamente, inutili fintanto che gli indicatori di condizione sono accettabili.

Questa credenza è sbagliata in quanto i dati evento sono utili nello stimare le performances degli indicatori di condizione e possono essere usati anche come feedback al progettista per riconoscere un eventuale miglioramento del sistema e degli stessi indicatori di condizione.

Tuttavia con il rapido sviluppo di computer e di tecnologie sensoristiche avanzate, i sistemi di acquisizione dati sono divenuti più potenti e meno costosi, portando la realizzazione di un sistema di acquisizione dati CBM più economica e fattibile.

La maggioranza dei dati richiede quindi un’immissione manuale, da cui discende il fatto che quando viene coinvolto un operatore umano, tutto diviene più complicato e incline agli errori.

Per avere una buona gestione dei dati è necessario quindi perfezionare ed automatizzare il più possibile la raccolta dei dati evento; a ciò è però legato un incremento dei costi di sistema e quindi è l’azienda che valuta il giusto compromesso tra costo e prestazioni di un sistema di acquisizione. Sistemi che offrono ottime performances hanno ovviamente costi notevoli e quindi necessitano di uno studio accurato che rapporti il beneficio delle alte prestazioni all’ammontare del costo del sistema.

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3.1 Condition based maintenance 30

3.1.2 DATA PROCESSING Il primo passo del data processing è la pulizia dei dati: quest’ultima assicura, o almeno aumenta l'opportunità, che i dati usati per l'ulteriore analisi e modellazione siano puliti ed esenti da errori; viene così minimizzata la possibilità di incorrere nel fenomeno di “garbage in-garbage out”.

Gli errori sui dati evento sono causati tuttavia da molti fattori oltre al fattore umano menzionato sopra; per ciò che riguarda invece i Condition Monitoring Data, gli errori dei dati possono essere causati da guasti nei sensori. In questo caso, determinato il sensore che crea problemi (processo non facile talvolta) questo va posto in uno stato di isolamento in modo da analizzare i suoi output per capire quali errori influiscono sul sistema. Spesso questo è l’unico modo di ricavare informazioni utili e di valutare se sostituire il sensore, ritararlo oppure effettuare altre procedure di intervento. Il passo successivo del data processing è l’analisi dei dati. In generale, non esiste un modo univoco, efficace ed automatico di pulire i dati e spesso viene quindi richiesto un esame manuale, nonostante esistano una grande varietà di modelli ed algoritmi in grado di eseguire questa procedura di “cleaning”; questo deriva dall’incapacità di tali sistemi di interpretare e giudicare correttamente i dati esaminati.

I Condition Monitoring Data, possono essere suddivisi in tre categorie principali:

 Value type: sono dati raccolti ad uno specifico istante temporale per una

variabile condition-monitoring. Essi presentano un solo valore: temperatura, pressione ed umidità sono tutti dati value type.

 Waveform type: sono dati raccolti in uno specifico intervallo temporale

per una variabile condition-monitoring. Essi presentano quindi una serie temporale di valori chiamata “time waveform”. Tra essi troviamo, per esempio, dati di vibrazione e dati acustici.

 Multidimension type: sono dati che presentano più variabili interne al

segnale (multidimensionali). I dati multidimensionali più comuni sono dati di immagine come termografie, all’ infrarosso, immagini a raggi X, immagini visuali, ecc.

(36)

3.1 Condition based maintenance 31

L’elaborazione di Waveform Data e Multidimension Data prende il nome anche di “Signal Processing”; in letteratura tecnica sono presenti numerose tecniche in grado di analizzare ed interpretare i dati sotto forma di onda, estraendo informazioni utili alla diagnostica e prognostica (estrazione di caratteristiche). Il Signal Processing per dati in più dimensioni implica generalmente una complicazione maggiore, dovuta ad una o più delle dimensioni coinvolte, rispetto al Signal Processing di dati Waveform.

In alcuni casi di analisi multidimensionali (elaborazione di immagini) capita comunque che non sia necessaria l’applicazione di tecniche di elaborazione di immagini dal momento che spesso le immagini grezze offrono sufficienti informazioni atte a identificare i guasti.

In altri casi, invece, le immagini grezze, risultano contenere informazioni complicate e non immediate per la valutazione di un guasto; si rendono pertanto necessarie tecniche di elaborazione di immagini (condizione cui si faceva riferimento in precedenza) che devono essere in grado di estrarre le caratteristiche utili alla diagnostica e per questo sono spesso caratterizzate da elevata complessità.

Ci sono numerose tecniche di Signal Processing (e altrettanti algoritmi) che riguardano la diagnostica e la prognostica di sistemi meccanici. Al fine di poter scegliere la tecnica più appropriata è necessario quindi analizzare profondamente caso per caso, riuscendo così ad orientarsi fra i numerosi strumenti a propria disposizione.

I principali dati Waveform nella pratica ingegneristica, sono i seguenti:

 Emissioni acustiche;

 Segnali di vibrazioni;

 Segnali ultrasonici;

 Correnti nei motori;

 Scariche parziali.

I tipi di analisi che possono essere effettuate su dati Waveform sono svariati e possono essere raggruppati nelle seguenti categorie, cui competono i rispettivi:

(37)

3.1 Condition based maintenance 32

 Dominio delle ampiezze (o delle magnitudo);

 Dominio del tempo;

 Dominio delle frequenze;

 Dominio del tempo e delle frequenze (congiunti).

Particolarmente importante e utilizzato è l'analisi nel dominio delle frequenze che è basata sulla trasformazione del segnale nel dominio delle frequenze. La principale caratteristica è la possibilità di identificare facilmente e estrapolare certe componenti di interesse.

L’analisi convenzionale più largamente utilizzata è l’analisi dello spettro ovvero la Fast Fourier Transform (FFT), con lo scopo di guardare sia all’intero spettro sia di focalizzarsi su certe frequenze di interesse per estrarre le caratteristiche dal segnale.

Lo spettro di frequenza di una macchina contiene il contributo di tutti gli organi costituenti il sistema;

Caratterizzando in modo corretto la dinamica della macchina, è possibile associare le varie componenti nello spettro ai vari elementi in gioco.

Sempre più spesso vengono monitorate le vibrazioni anche di macchine di piccole o medie dimensioni, grazie alla sempre maggior accessibilità alle apparecchiature per la misura delle vibrazioni in termini di costi e di facilità di utilizzo delle strumentazioni.

Se tuttavia risulta facile associare le varie componenti nello spettro ad un preciso fenomeno o ad un particolare organo del sistema, rimane comunque difficile interpretarne l’ampiezza come espressione di un difetto intrinseco di lavorazione o sintomo di un danno ingente.

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3.1 Condition based maintenance 33

3.1.3 MAINTENANCE DECISION-MAKING L’ultimo step di un programma di CBM è il supporto alla decisione di intervento (il cosiddetto maintenance decision-making). Un sufficiente ed efficiente supporto alla decisione sarebbe fondamentale per il personale di manutenzione per decidere le azioni da intraprendere.

Le tecniche relative a questa attività possono essere divise in due categorie principali:

 Diagnostica

 Prognostica

3.1.3.1 DIAGNOSTICA DELLE MACCHINE

Uno degli strumenti più utilizzati per approfondire i dati che derivano dalle segnali vibratori è costituita dalla diagnostica delle macchine; questa riguarda l’individuazione del difetto, l’isolamento e l’identificazione quando questo accade. L’individuazione del difetto è l’attività che indica se qualcosa sta andando storto nel sistema monitorato; l’isolamento del difetto localizza il componente che è danneggiato; e l’identificazione determina la natura del difetto una volta individuato.

La diagnostica è una procedura di mappaggio delle informazioni anche chiamata ”pattern recognition”. Normalmente viene fatta manualmente con l’ausilio di strumenti grafici come grafici dello spettro di potenza, grafico dello spettro di cepstrum, grafico dello spettro di auto regressione, spettrogramma etc. Comunque il “pattern recognition” manuale richiede esperienza nell’area specifica di applicazione della diagnostica. Quindi è necessario personale altamente formato e qualificato. É preferibile utilizzare un “pattern recognition” automatico. Questo può essere realizzato tramite la classificazione dei segnali basata sulle informazioni e/o sulle caratteristiche estratte dai segnali.

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3.1 Condition based maintenance 34

3.1.3.2 PROGNOSTICA DELLE MACCHINE La prognostica delle macchine è la predizione del danno prima che questo accada. La predizione del danno è un’attività per determinare se un guasto è impedente e per stimare quanto presto e quanto verosimilmente accadrà il guasto. Mentre la diagnostica è un’analisi dell’evento a posteriori, la prognostica è un’analisi dell’evento a priori. La prognostica è molto più efficiente della diagnostica per raggiungere una performance con zero-fermate. Infatti la prognostica è ad un livello superiore alla diagnostica nel senso che può prevenire danni o guasti ed è eventualmente pronta per problemi, con la possibilità di risparmiare costi extra dovuti a manutenzione non programmata. Nella realtà la prognostica non può sostituire completamente la diagnostica perché ci sono sempre dei guasti che non sono prevedibili. La diagnostica è richiesta quando la predizione del danno non funziona e accade il danno. Questo perché come tutti gli strumenti di previsione la prognostica non può essere affidabile al 100%, perciò in quei casi in cui la predizione del danno fallisce la diagnostica diventa uno strumento complementare per il supporto alla decisione della tipologia di manutenzione. Inoltre, la diagnostica può essere utile per migliorare la prognostica nel senso che le informazioni della diagnostica possono essere un aiuto per preparare in maniera più accurata gli event data e da qui costruire un miglior modello CBM per la prognostica.

I due modi per effettuare la prognostica sono:

- Prevedere il tempo residuo prima che accada un guasto considerando l’attuale condizione della macchina e il profilo delle operazioni nel passato. Questo tempo viene usualmente chiamato vita residua utile (remaining useful life, RUL)

- Nei casi in cui un guasto può essere catastrofico (es. Impianti nucleari) è preferibile predire le chance che ha una macchina senza che accada un difetto o un danno fino ad un futuro periodo (es. Il successivo intervallo di ispezione). Questo può essere un buon indicatore per il personale di manutenzione per capire se il periodo programmato per l’ispezione è adeguato oppure è da riprogrammare.

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3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 35

3.2 L’

ANALISI VIBRAZIONALE DI UN GEARBOX In questo paragrafo si approfondiscono le tematiche relative all’analisi delle vibrazioni applicate ad un gearbox, indicando quali sono le difettosità causate dalle vibrazioni e gli strumenti utilizzabili per prevenire possibili guasti. Il condition monitoring di un riduttore (o più in generale di un macchinario con organi rotanti) è l’attività che viene svolta monitorando, attraverso misurazioni continue, le vibrazioni nei piani di riferimento solitamente legati ai cuscinetti e qualche altra quantità (temperatura, pressione, corrente elettrica, potenza attiva e reattiva) che sono relative alle condizioni operative della macchina. Una delle attività più comuni collegate ai sistemi di condition monitoring applicati alle macchine rotanti, o più in generale a sistemi vibranti, è di definire delle regioni di accettazione per operare in sicurezza sulla base di analisi statistiche dei dati monitorati.

Chi si occupa di questi sistemi implementa degli algoritmi che sono in grado di definire in maniera dinamica nel tempo, sulla base dell’osservazione e delle analisi statistiche dei dati vibrazionali monitorati, delle regioni di accettazione. Possono essere impostati sia livelli di pre-allarme che di allarme e a seconda della regione che si eccede vengono messe in atto differenti azioni. E’ importante stimare correttamente la regione di accettazione; infatti una sottostima può provocare la segnalazione al di fuori della regione di accettazione delle normali condizioni operative creando dei falsi allarmi o dei passi falsi con una conseguente possibile perdita di produzione. Una sovrastima della regione di accettazione può portare a considerare come normali anche condizioni operative pericolose.

Nel caso di attivazione di un allarme, comincia la procedura di diagnostica. Vengono presi in considerazione due aspetti:

- Aspetto qualitativo

- Aspetto quantitativo

Il primo individua il tipo di difetto attraverso tecniche sofisticate di analisi del segnale, utilizzando anche tecniche speciali (logica fuzzy, reti neurali, sistemi esperti).

(41)

3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 36

Il secondo invece individua il tipo, la posizione e l’entità del difetto. Per fare ciò sono necessari modelli affidabili del sistema meccanico e del malfunzionamento rappresentato mediante eccitazioni equivalenti, tecniche di identificazione che permettono una manutenzione predittiva in grado di accorciare in maniera significative i periodi di fuori servizio ed evitare guasti catastrofici.

Nel presente capitolo vengono richiamate le nozioni relative al tipo di macchinario trattato, il riduttore ad ingranaggi, e sono analizzate le vibrazioni di questo sistema meccanico, esponendo i vari tipi di difetti riscontrabili e successivamente focalizzandosi sull’analisi dei cuscinetti volventi.

I riduttori sono macchine che consentono un efficiente accoppiamento, in termine di numero di giri e rendimento, tra la macchina motrice e quella operatrice.

FIGURA 3.1-IL GEARBOX

In un impianto il numero di giri e la coppia di spunto della macchina operatrice sono prefissati dal processo di lavorazione; in generale, il numero di giri na ed il momento torcente della macchina motrice non corrispondono generalmente a questo parametro: il motore asincrono trifase, realizzato convenientemente a

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3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 37

2, 4, 6 poli e alimentato da rete con frequenza 50 Hz fornisce velocità di rotazione in uscita fisse (circa 3000, 1500 e 750 rpm). In questi casi, si ricorre all’utilizzo di riduttori.

Un riduttore è costituito sostanzialmente da tre elementi: un albero di comando, un albero comandato, e una carcassa fissa all’interno della quale due o più alberi sono tra loro accoppiati (meccanicamente, elettricamente, pneumaticamente o idraulicamente); la carcassa trasmette un momento di appoggio al telaio.

Il riduttore più diffusamente impiegato è il riduttore ad ingranaggi: garantisce un’elevata versatilità in termini di posizioni degli assi, potenze, numeri di giri e rapporti di trasmissione; la struttura semplice, l’elevata sicurezza in esercizio, il rendimento elevato e la semplice manutenzione sono solo alcuni dei vantaggi che hanno contribuito a decretarne il successo.

3.2.1 LE DIFETTOSITÀ TIPICHE DI UN GEARBOX Occorre tuttavia tener presente che si tratta di una trasmissione che funziona per accoppiamento geometrico, con tutto quello che ne consegue: trasmissione rigida della forza, vibrazioni e irregolarità nel rapporto di trasmissione a causa di scostamenti della dentatura e oscillazioni nella rigidezza dei denti.

Tutti questi fattori determinano spesso un funzionamento non soddisfacente e rumoroso; risulta dunque evidente l’importanza dei diversi fenomeni legati all’ingranamento non corretto nella determinazione di un comportamento poco efficiente del riduttore.

I difetti più comuni che possono compromettere il corretto funzionamento di un ingranaggio sono l’eccentricità, il gioco eccessivo, l’usura, il disallineamento e la presenza di denti rotti.

Il comportamento vibratorio del riduttore è determinato principalmente dalle dinamiche di ingranamento appena descritte, ma non bisogna trascurare i segnali che derivano dagli altri organi che sono coinvolti nel meccanismo. Per caratterizzare dunque in maniera efficace lo stato di funzionamento della macchina ed interpretarne in modo corretto lo spettro acquisito non si può

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3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 38

prescindere dal considerare il comportamento vibrazionale degli organi che contribuiscono al funzionamento del riduttore.

FIGURA 3.2-DIFETTI TIPICI DI UN RIDUTTORE AD INGRANAGGI

Si è già visto nella figura 3.2 quali siano gli organi coinvolti nel meccanismo che contribuiscono al regime vibratorio della macchina.

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3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 39

FIGURA 3.3-POSIZIONE DEI PICCHI SULLO SPETTRO

Si analizzano brevemente i difetti tipici degli ingranaggi, quelli dovuti allo sbilanciamento e disallineamento, il fenomeno della modulazione e della risonanza arrivando infine alla trattazione dei difetti dei cuscinetti.

INGRANAMENTO

Vale la pena richiamare alcune nozioni di base sulla trasmissione con ingranaggi, per comprendere i fenomeni intrinsecamente coinvolti durante il

funzionamento e che determinano le caratteristiche vibratorie

dell’ingranamento. In figura 2.4 è riportato un ingranaggio costituito da due ruote dentate di raggio R1 e R2 e centro O1e O2 rispettivamente, in cui la ruota 1 è motrice e la ruota 2 è condotta.

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3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 40

FIGURA 3.4-INGRANAGGI

Il contatto tra i due denti in presa si sviluppa lungo il segmento N1e N2, detto segmento di contatto. Il rapporto di trasmissione, definito come rapporto tra la velocità angolare del cedente e la velocità angolare del movente, risulta:

𝜏 =𝛺2 𝛺1

= 𝑍1 𝑍2

Se il profilo del dente fosse perfettamente evolvente, il rapporto di trasmissione risulterebbe costante per ogni posizione angolare delle ruote. In realtà occorre tenere in considerazione gli inevitabili errori di lavorazione delle ruote e i fenomeni di deformazione sotto carico; ne risulta un rapporto di trasmissione variabile (a media costante).

Lo scostamento del rapporto di trasmissione reale da quello teorico viene indicato come errore di trasmissione.

(46)

3.2 L’analisi vibrazionale di un gearbox 41

FIGURA 3.5-RAPPORTO DI TRASMISSIONE REALE

La figura 3.6 riporta un andamento volutamente esagerato, ma che evidenzia bene alcuni fenomeni molto importanti; si nota un andamento fortemente distorto, a causa della variazione periodica della rigidezza che si ha durante l’ingranamento.

FIGURA 3.6-ERRORE DI TRASMISSIONE

La rigidezza di ingranamento di una coppia di denti varia al variare della posizione del punto di contatto; per comprendere questo fondamentale

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