1.1 L A MODELLIZZAZIONE DEL PNEUMATICO
La complessit€ della fisica alla base della meccanica del pneumatico, giustifica il fatto che non siano ancora disponibili modelli che siano in grado di descriverne completamente il comportamento in tutte le possibili condizioni di funzionamento. D’altro canto sono molti i modelli che in modo diverso e con diversi scopi d’impiego sono stati realizzati, con l’obiettivo comune di riuscire a quantificare e prevedere l’andamento dell’aspetto pi‚ importante e fondamentale: l’aderenza. L’aderenza ƒ infatti la principale propriet€ che consente il trasferimento di forze e momenti tra il suolo ed il veicolo.
Una prima classificazione dei modelli pu„ essere fatta dividendoli in due categorie: modelli longitudinali e modelli laterali. I primi descrivono la dinamica del pneumatico quando la velocit€ del mozzo appartiene al piano di simmetria della ruota ( X O Z
h h h), l’asse del mozzo rimane sempre parallelo a se stesso ed in particolare gli angoli di imbardata ( ) e di inclinazione ( ) del pneumatico sono nulli, i secondi prendono invece in considerazione configurazioni in cui tali angoli non sono nulli e si generano forze appartenenti ad un piano ortogonale al precedente, contenente l’asse del mozzo e momenti di varia natura quali quello di autoallineamento (con versore ˆ
k
f) e quello raddrizzante (di versore ˆ
i
f) (Cfr. … 1.2.3). Una tale distinzione pu„ sembrare piuttosto grossolana e sicuramente i modelli dell’uno o dell’altro tipo non possono essere ritenuti rappresentativi del reale comportamento dei pneumatici, ƒ tuttavia importante rilevare che per deviazioni sufficientemente piccole dallo stato di moto rettilineo uniforme della ruota, i fenomeni che avvengono nel piano laterale ed in quello longitudinale possono essere ritenuti disaccoppiati [1].
Un altro tipo di classificazione possibile ƒ quello che prevede la suddivisione dei modelli in base al tipo di descrizione, alla loro accuratezza e grado di complessit€. La Figura 1.1 sintetizza efficacemente questo concetto.
D0
C APITOLO 1
Nella parte sinistra del diagramma si hanno i modelli empirici che mirano a fornire una descrizione delle forze mediante formule e diagrammi derivanti dalla sintesi di dati ottenuti da prove sperimentali.
In questo caso non c’ƒ alcuna pretesa di arrivare a formule che abbiano un chiaro legame fisico coi fenomeni in gioco, ma si privilegia invece la loro praticit€, cercando delle espressioni che forniscano risultati attendibili. Queste sono adatte ad essere impiegate in particolare per la realizzazione di modelli che permettano uno studio generale della dinamica del veicolo, senza andare a ricercare simulazioni particolareggiate che, a tale livello, comporterebbero un eccessivo ed inutile appesantimento numerico. A questa categoria appartengo ad esempio le “Magic Formulas” di Pacejka che consentono una valutazione delle forze nel piano longitudinale e laterale, al variare dell’ assetto e del carico verticale agente sul mozzo della ruota.
Da questi derivano direttamente i modelli basati sul concetto di similitudine applicati alle curve caratteristiche dei pneumatici, adottati principalmente nei casi in cui sia richiesta una simulazione in tempo reale [4].
Figura 1. 1 Caratterizzazione qualitativa dei possibili approcci alla modellizzazione dei pneumatici [1], [3]
Nella parte destra del diagramma si hanno i modelli teorici, cioƒ quei modelli che al contrario dei
precedenti sono fondati sulla ricerca della comprensione e conseguente descrizione della fisica alla
base del comportamento del pneumatico, in maniera quanto pi‚ dettagliata possibile. Essi possono
essere la sintesi di pi‚ modelli parziali di tipo avanzato e mirano alla descrizione delle modalit€ con
cui si generano le forze nella zona di contatto col suolo e come queste si trasmettano al mozzo della
ruota. Con la complessit€ aumentano parimenti i costi in termini di tempo per i calcoli necessari per le
simulazioni e questo fa sˆ che i modelli esistenti siano prevalentemente di tipo stazionario, non
consentono cioƒ di descrivere l’andamento di grandezze che variano nel tempo con rapidit€. Esempi di
modelli appartenenti a questa categoria sono quelli basati sugli elementi finiti o quelli nei quali le
diverse componenti strutturali dei pneumatici vengono discretizzate e simulate mediante elementi meccanici semplici.
Nel mezzo del diagramma si trovano i modelli fisici semplificati, basati sulla combinazione di modelli parziali semplificati, trattabili analiticamente e risolubili in forma chiusa, adottabili qualora possano essere accettate le inevitabili semplificazioni che si hanno rispetto ai modelli dettagliati, a vantaggio di una migliore comprensione della fisica essenziale dei fenomeni. Un modello molto interessante che rientra in questa categoria ƒ quello detto “a spazzola” che descrive l’aderenza tra pneumatico e suolo mediante una schematizzazione fisico-matematica del battistrada (per una presentazione dettagliata di tale modello si rimanda a [1] e alla letteratura specializzata).
Per quanto riguarda il settore aeronautico, i modelli prevalentemente impiegati sono semi-empirici e si basano sulla ricostruzione delle propriet‚ meccaniche dei pneumatici mediante interpolazione di misure sperimentali che consentono di valutarne l’andamento anche per condizioni per le quali non si hanno misurazioni disponibili. Questo aspetto porta in sƒ alcune problematiche legate al fatto che tali tecniche risalgono agli anni ’50 e sono state messe a punto per pneumatici a tele incrociate. „ chiaro quindi che anche se basate su parametri adimensionali non si ha la certezza che siano direttamente applicabili ai moderni pneumatici radiali, per i quali oltre alla diversa struttura non … possibile non prendere in considerazione le invitabili migliorie in termini di prestazioni generali.
Oltre a ci†, un altro aspetto degno di nota … la totale dipendenza di tali metodi da un’elevata quantit‚ di dati sperimentali, che per i pneumatici di impiego aeronautico di grandi dimensioni rappresenta un forte problema, poichƒ non … possibile sottoporli a carichi di prova e condizioni di derapata inferiori ai valori massimi ottenibili in condizioni operative. Per dare un’idea dei numeri in gioco basti dire che si possono avere angoli di derapata anche di 90‡, che i diametri massimi sono dell’ordine di 1400mm, i carichi radiali massimi dell’ordine di 300kN (valore che deve essere sopportato in sicurezza moltiplicato per un fattore di 2 ˆ 3), oltre al fatto che nelle fasi di atterraggio e di decollo si hanno forti e rapide variazioni della velocit‚ angolare del pneumatico, che comportano il raggiungimento di elevate temperature.
Risulta quindi evidente quanto sia importante la disponibilit‚ di modelli che permettano di valutare gi‚ durante la fase progettuale le propriet‚ statiche e dinamiche dei pneumatici e gli effetti della loro integrazione sui carrelli.
„ in tale direzione che volge lo sviluppo del modello QSTM qui presentato, cercando di cogliere i
fenomeni fisici essenziali che consentano una corretta comprensione della generazione delle forze tra
pneumatico e suolo ed una previsione del suo comportamento complessivo.
1.2 M ECCANICA DEL PNEUMATICO
1.2.1 P ROPRIET€ GENERALI DEL PNEUMATICO
Il sistema ruota-pneumatico del carrello ƒ l’interfaccia che permette al velivolo di scambiare azioni e reazioni col suolo. L’entit€ e la tipologia dei carichi e delle deformazioni agenti sul pneumatico cambiano notevolmente in funzione delle condizioni in cui tale corpo si trova ad operare. Inoltre ad una geometria solo in apparenza molto semplice corrisponde una complessa fisica dei fenomeni che sono alla base del funzionamento. ‰ infatti grazie ad una struttura piuttosto complessa che integra , come si vedr€ meglio nei paragrafi successivi, materiali gommosi (elastomeri) con elementi metallici, che si ottiene un corpo dalle propriet€ eterogenee, quali:
leggerezza
deformabilit€
resistenza
aderenza
Evidentemente non ƒ possibile rinunciare a nessuna delle caratteristiche qui elencate, ma ƒ necessario riconoscere il ruolo di rilievo occupato dall’aderenza. Senza di essa non esisterebbero quelle azioni di attrito che permettono il movimento del velivolo al suolo.
Il problema dello studio dell’aderenza va sotto la terminologia pi‚ generica di problema tribologico, e come accennato nel paragrafo precedente, molti modelli si basano sulla sua descrizione, ma nonostante i grandi sforzi fatti dalla ricerca fino ad oggi, non tutti gli aspetti sono ancora chiaramente noti, a causa anche del fatto che l’interazione tra le superfici del suolo e del pneumatico ƒ influenzata da molti fattori. Si elencano di seguito i pi‚ importanti, che non riguardano solamente lo stato del pneumatico ma anche l’ambiente esterno in cui questo si trova ad operare:
tipologia del manto stradale: a seconda del tipo di superficie con cui il pneumatico viene a contatto, cambiano sostanzialmente i fenomeni che regolano l’aderenza;
condizioni climatiche: la presenza di acqua, neve o pi‚ in generale contaminanti esterni, in dipendenza anche della tipologia del manto stradale, determinano profonde variazioni delle condizioni all’interfaccia pneumatico-suolo;
temperatura esterna: le mescole di polimeri con cui vengono realizzati i battistrada dei
pneumatici sono in genere ottimizzate per funzionare al meglio in campi prefissati di
temperatura. Solitamente nelle sigle identificative viene indicato se l’impiego … adatto per il periodo estivo o per quello invernale;
temperatura interna: anche la temperatura della mescola pu„ subire delle forti variazioni a seconda delle condizioni di esercizio, fatto questo che pu„ portare a rapide variazioni di alcune caratteristiche (come il modulo di Young, allungamenti percentuali a rottura, ecc…);
cicli termici: i cicli termici col passare del tempo sottopongono le mescole del pneumatico ad un invecchiamento che ne determina un progressivo indurimento, con conseguente deterioramento delle propriet€;
geometria del battistrada: a seconda del principale impiego previsto il battistrada presenta delle scanalature pi‚ o meno profonde, con geometrie fortemente variabili, con lo scopo di massimizzarne le prestazioni in funzione dell’ambiente di lavoro;
pressione di gonfiaggio: la pressione di gonfiaggio del pneumatico indicata dal produttore, deve essere considerata a tutti gli effetti alla pari di ogni altra specifica indicata, in quanto un valore errato di questa comporta una variazione eccessiva dalle condizioni geometriche di progetto, comportando perdita di efficienza, surriscaldamento ed usura irregolare;
carico verticale: a parit€ dei fattori fin qui menzionati, la variazione del carico verticale comporta una variazione della geometria del pneumatico ed in particolare dell’area effettiva di contatto col suolo. In generale si pu„ affermare che all’aumentare del carico verticale aumenta l’aderenza tra pneumatico e suolo;
velocit€: la velocit€ operativa del pneumatico ƒ un aspetto fondamentale, in quanto all’aumentare di questa aumentano le sollecitazioni su di esso, tanto che il costruttore indica la velocit€ massima consentita. Questa infatti ha tra i principali effetti, quello di andare ad influire sul raggio del pneumatico, comportando un aumento delle tensioni nelle fibre interne. Se questa supera il valore di sicurezza, in combinazione con l’azione della pressione interna e di eventuali sollecitazioni esterne (irregolarit€ del terreno, temperatura alta, ecc…), si pu„ arrivare addirittura al cedimento del pneumatico stesso (esplosione);
combinazione tra velocit€ e conformazione del suolo: quando un pneumatico percorre con
velocit€ costante dei terreni che presentano delle geometrie che si ripetono con regolarit€, ƒ
possibile che si instaurino dei fenomeni vibratori che ne vanno a sollecitare i modi propri,
modificandone la geometria e conseguentemente le prestazioni.
1.2.2 P NEUMATICI DI IMPIEGO AERONAUTICO
La Figura 1.2 illustra la struttura delle due principali tipologie costruttive di pneumatici di impiego aeronautico: a tele incrociate (Bias-Ply Tyres) (a) e a tele radiali (Radial-Ply Tyres) (b).
Si riportano in questo paragrafo solo le caratteristiche essenziali relative ai materiali utilizzati e al loro ruolo. Per informazioni pi‚ dettagliate si rimanda alla letteratura specializzata e ai cataloghi dei costruttori.
Entrambi i modelli hanno essenzialmente una struttura flessibile di forma toroidale, che funge da
“contenitore” per l’aria compressa che viene introdotta al suo interno per mezzo di un’opportuna valvola allestita sul cerchione della ruota. L’elemento pi‚ importante e complesso ƒ sicuramente la carcassa alla quale spetta il compito di dar forma al pneumatico e di sostenere le sollecitazioni interne che si generano in esso. Nella parte pi‚ interna si hanno alcuni strati di tela gommata (casing plies) sovrapposti che vengono disposti con le fibre ad angoli variabili rispetto al piano di simmetria (bias- ply) oppure in direzione radiale (radial) e fatti avvolgere attorno ad uno o pi‚ cavi di acciaio in modo da formare il tallone (bead), che per l’effetto della pressione interna consente al pneumatico di rimanere ancorato al cerchione. Per conferire maggiore resistenza a tale zona, dove si hanno forti azioni di usura per strisciamento vengono interposte come rinforzo altri strati di tele (chafers).
Le due diverse tipologie differiscono anche nella zona esterna della carcassa. Nel primo caso infatti si hanno alcune tele di rinforzo (breakers) che hanno lo scopo di stabilizzare la struttura complessiva,
mentre nel secondo si usa come rinforzo una cintura (belt) circonferenziale di tele di fili di acciaio impregnate di gomma, incrociate a vari angoli, che la rendono praticamente inestensibile.
Figura 1. 2(a) Pneumatico a tele incrociate (Bias-Ply Tyres)
La carcassa ƒ poi ricoperta con strati di gomma (buff line cuschion) che consentono l’asportazione
del vecchio battistrada (tread) nel processo di ricopertura dei pneumatici.
Infine la superficie esterna del pneumatico, il battistrada, ƒ realizzato con mescole di gomma naturale vulcanizzata, rinforzata con altri strati di tela gommata (tread reinforcing plies), che sono il riferimento per la ricopertura.
Figura 1. 2(b) Pneumatico a tele radiali (Radial-Ply Tyres)
In generale i pneumatici radiali hanno efficienza ponderale e velocit€ di esercizio superiori (a parit€
di capacit€ di carico) ai pneumatici con tele incrociate, e questo ne ha determinato la rapida diffusione nel settore aeronautico.
1.2.3 S ISTEMI DI RIFERIMENTO
Si riportano di seguito i sistemi di riferimento utilizzati nei lavori che hanno preceduto questa tesi (Figura 1.3). costituiti tutti da terne cartesiane, ortogonali, levogire.
Sistema di riferimento inerziale
I O X Y Z
I;
I,
I,
I di versori ˆ i
I, ˆ
j
I, ˆ
k
I, solidale al suolo, con X
I Y
Ipiano orizzontale e asse Z
Icon verso positivo dalla parte del semispazio contenente la ruota.
Sistema di riferimento “Hub”
h O X Y Z
h;
h,
h,
h di versori ˆ i
h, ˆ
j
h, ˆ
k
hed origine O
hcoincidente col punto d’intersezione tra l’asse del mozzo ed il piano di simmetria della ruota.
Valgono le seguenti relazioni:
o ˆ ˆ
h I
i k , ovvero i k ˆ
h ˆ
I 0 ;
o ˆ
j
hpiano di simmetria della ruota ( Y
hcoincidente con l’asse del mozzo);
o k ˆ
h k ˆ
I 0 .
Figura 1. 3 Sistemi di riferimento per i pneumatici [1]
Sistema di riferimento “Rim”
r O X Y Z
r;
r,
r,
r di versori ˆ i
r, ˆ
j
r, ˆ
k
r, con assi solidali alla ruota tali che O
r O
he ˆ ˆ
r h
j j .
Sistema di riferimento “footprint”
f O
f; X
f, Y Z
f,
f di versori ˆ i
f, ˆ
j
f, ˆ
k
fe origine C coincidente con l’intersezione tra l’asse Z
he la traccia al suolo del piano di simmetria della ruota. La direzione dell’asse X
fƒ data dalla retta passante per il segmento individuato da tale intersezione, mentre il verso ƒ uguale a quello dell’asse X
h( ˆ ˆ
f h
i i ). L’asse Y
fƒ ortogonale a Z
I( i ˆ
f k ˆ
I 0 ) e Z
fha verso positivo dalla parte del semispazio non contenente la ruota.
Dall’adozione di tali sistemi di riferimento restano definiti i seguenti angoli:
Angolo di imbardata , formato dagli assi X
Ie X
f, positivo per rotazioni antiorarie rispetto a Z
f;
Angolo di inclinazione , definito dalla relazione: sin k ˆ
f ˆ j
h.
1.2.4 C INEMATICA DELLA RUOTA RIGIDA
Le definizioni cinematiche utilizzate nel modello energetico presentato di seguito, sono in realt€
delle astrazioni basate su osservazioni fatte in sede sperimentale, volte ad individuare delle relazioni essenziali tra i parametri macroscopici che descrivono il moto della ruota (intesa come sistema cerchione-pneumatico). In letteratura si trovano assunzioni che differiscono tra loro, pertanto ƒ necessario indicare chiaramente quali siano state quelle scelte in questo caso. Prima per„ di procedere in tal senso si richiamano alcuni teoremi e leggi della meccanica razionale che permettono di comprendere il moto della ruota rigida.
‰ necessario innanzi tutto prendere in considerazione due piani paralleli tra loro, e
m, detti rispettivamente piano fisso e piano mobile. Solidale al piano fisso ƒ il riferimento cartesiano
O; x, y
, mentre solidale al piano mobile ƒ quello ' O'; x', y' . Si definisce moto rigido piano lo spostamento di
mrispetto a , per il quale si ha che la velocit€ del generico punto A di
mrispetto a ƒ dato dalla:
(1.1) v
A v
O' O A '
I ) Centro della velocit€ all’istante t
Punto del piano mobile (C
V) che all’istante t, considerando un moto rigido piano per il quale la velocitƒ angolare t non • nulla, ha una velocit€ nulla.
Si dimostra che dovendo valere:
(1.2)
'' 0
V V
C O
v v O C
con v
O'e k ˆ dati, C
Vsta sulla retta per O ' normale a v
O', ad una distanza da O ' uguale a
O'
v , dalla parte rispetto ad O ' che assicura il verificarsi della (1.2) anche in segno (Figura 1.4).
Figura 1. 4 Centro della velocit€ (C
V) all’istante t
C
V >0
' O
O'
v
C
V' O
'
v
O 0
'
Vv
O'O C =
II ) Centro istantaneo di rotazione
Punto geometrico C t che coincide, in ogni istante di un intervallo di tempo I in cui
0 , con quel punto del piano mobile che, all’istante considerato, „ centro della velocitƒ.
Sostituendo a C
Vnella (1.2) (valida in un solo istante) il centro istantaneo di rotazione ora definito C ed utilizzando la (1.1) per il generico punto P del piano mobile, si ottiene:
(1.3) v
p CP
la quale ci permette di concludere che il pi‰ generale atto di moto rigido piano all’istante t o ƒ traslatorio (se t 0 ), o ƒ rotatorio attorno alla normale al piano condotta per il centro istantaneo di rotazione (se t 0 ).
Dalla (1.3) si deduce immediatamente il teorema di Chasles:
le normali condotte alle traiettorie dei punti del piano mobile nelle posizioni da essi occupate ad un dato istante passano per la posizione occupata in quel istante dal centro istantaneo di rotazione. (Figura 1.5)
Figura 1. 5 Centro istantaneo di rotazione C(t):
rappresentazione grafica del teorema di Chasles
III ) Polare fissa e polare mobile
Durante il, moto il centro istantaneo di rotazione occupa in generale posizioni diverse sia sul piano fisso che su quello mobile: la linea c descritta sul piano fisso si chiama “polare fissa”
o “base”, la linea descritta sul piano mobile si chiama “polare mobile” “rulletta”.
Valgono inoltre le seguenti importanti propriet€:
o Durante il moto la rulletta rotola senza strisciare sulla base.
o Le polari definiscono in modo completo l’aspetto geometrico di un moto rigido piano (assegnata la posizione delle due linee nell’istante iniziale del moto).
P t
C t
Q t
IV ) Profili coniugati
Si consideri una linea solidale col piano mobile
m. Durante il moto di
m, genera sul piano fisso una famiglia di
1linee che ammette, in generale, una linea inviluppo b. Le due linee e b si chiamano “profili coniugati”: “profilo mobile” la , “profilo fisso” la b (Figura 1.6).
Valgono inoltre le seguenti importanti propriet€:
o La normale comune a e b nell’istantaneo punto (geometrico) di contatto B t , passa per il centro istantaneo di rotazione.
o Durante il moto, in generale rotola e striscia su b con velocit€ di strisciamento v
B t(velocit€ del punto di
mche all’istante t … sovrapposto a B t ).
o Una coppia di profili coniugati non definisce geometricamente un moto rigido piano se non ƒ data la legge di strisciamento.
Figura 1. 6 Profili coniugati
In base ai richiami ora fatti si passa allo studio del seguente problema: si consideri un disco rigido (ruota) di raggio R
0che si muove in un piano con velocit€ angolare costante (assegnata) ortogonale a , mantenendosi sempre a contatto con una retta r di (rotaia) e con velocit€ v
Adel centro A del disco, parallela ad r e costante (assegnata) (Figura 1.7).
Si determinino:
1) Velocit€ di strisciamento del disco.
2) Base e rulletta del moto del disco.
B t
C t
b
c
Figura 1. 7 Moto piano di un disco rigido a contatto con una retta
1) Disco e retta costituiscono una coppia di profili coniugati. Detto B t il loro punto geometrico di contatto, la velocit€ di strisciamento del disco ƒ la velocit€ di trascinamento di B , v
B t. Per la formula fondamentale del moto rigido piano ƒ:
t
B A
v v AB . Da questa si deduce che.
v
B tha la direzione di r , essendo questa la stessa sia di v
Ache di AB .
Il modulo di v
B tƒ dato da v
A R
0.
In questa vale il segno + se i tre vettori v
A, e AB costituiscono una terna levogira (Caso I, Figura 1.8), il segno – nel caso contrario (Caso II, Figura 1.8).
Nel caso I (Figura 1.8), v
B tha sempre lo stesso verso di v
A.
Nel caso II (Figura 1.8), v
B tha il verso di v
Ase v
A R
0(Caso II
1), ha il verso opposto se
A 0
v R (Caso II
2), mentre si annulla se v
A R
0(puro rotolamento, Caso II
3).
2) Il centro istantaneo di rotazione C appartiene alla retta per A normale ad r ; inoltre, essendo v
A CA e v
B t CB , si deduce che:
(1.4)
A tB
v CA v CB
e quindi C si trova, istante per istante, sull’intersezione della retta per A normale ad r con la retta che passa per i secondi estremi dei due vettori v
Ae v
B t. Quindi (Figura 1.8):
o Nel caso I (Figura 1.8), C ƒ esterno al segmento AB dalla parte di A.
o Nel caso II
1(Figura 1.8), C ƒ esterno al segmento AB dalla parte di B.
o Nel caso II
2(Figura 1.8), C ƒ interno al segmento AB . o Nel caso II
3(Figura 1.8), C B .
A
B
r
In tutti i casi i casi i due vettori CA e CB sono costanti, tali essendo v
A, e v
B t. Ne segue che la base ƒ una retta parallela ad r e la rulletta una circonferenza di centro A .
Infine si riscrive la velocit€ di strisciamento nella seguente forma:
t
B A
v v CB CA
CA
CB
CA
CB
(1.5) v
B t R
e- R
0
dove R
eƒ dunque la distanza tra il centro istantaneo di rotazione ed il centro del disco.
Figura 1. 8 Rappresentazione grafica della velocit€ di strisciamento, della base e della rulletta caratterizzanti il moto piano di un disco rigido
Caso I
A
B
r
C c
v
A t
v
B
c v
A t
v
BB C
r
Caso II
1
A
c v
A t
v
BB C
r
Caso II
2
A v
AB C
c r
Caso II
3
A
1.2.5 C INEMATICA DELLA RUOTA CON PNEUMATICO : R e E
e
bR
Nel paragrafo precedente si ƒ arrivati a definire la condizione di puro rotolamento nel caso di moto piano di una ruota rigida. In tal caso si ƒ visto come la velocit€ del punto di contatto tra ruota e superficie piana sia in ogni istante nulla, in quanto centro istantaneo di rotazione.
Qualora si prenda in considerazione una ruota dotata di pneumatico (elemento fortemente deformabile), il contatto col suolo avverr€ sempre per mezzo di un’area estesa, per cui le considerazioni fatte in precedenza vengono meno ed ƒ necessario ricorrere all’adozione di parametri che derivano dalla caratterizzazione del comportamento del pneumatico nelle condizioni stazionarie di (I) puro rotolamento e di (II) ruota frenata, per via sperimentale.
I ) Puro rotolamento
Si definisce la condizione di puro rotolamento stazionario (Steady Free Rolling) quella di una ruota trainata a velocit€ costante, in assenza di coppie applicate al mozzo, da una forza tale da compensare l’azione della resistenza al rotolamento.
Si misurano sperimentalmente la velocit€ del mozzo rispetto al suolo V
0e la velocit€
angolare della ruota nella condizione di puro rotolamento, da cui si risale al raggio di puro rotolamento (Effective Rolling Radius):
(1.6)
00 e
R V
grandezza compresa tra l’altezza del mozzo rispetto al suolo h e il raggio della ruota indeformata R .
Un aspetto interessante da mettere in evidenza ƒ dato dal fatto che in tale condizione la velocit€ periferica dei punti del battistrada non ƒ uniforme. Infatti i punti del pneumatico a contatto col suolo sono con buona approssimazione fermi rispetto al sistema di riferimento ad esso solidale (
I), eccetto che nelle parti pi‰ esterne dell’orma, mentre ponendosi su di un riferimento solidale al mozzo (
h) si vede il suolo che si muove rispetto ad esso, in direzione opposta a quella di avanzamento della ruota, con velocit€ V
0
0R
e. Mantenendo come riferimento
h, i punti periferici del pneumatico uscendo dall’orma accelerano fino a raggiungere la massima velocit‚ nella zona opposta a questa ( V
P
0R V
0), per poi tornare rallentare fino a V
P V
0nella zona in cui non c’… strisciamento. Queste variazioni di velocit‚
fanno sŠ che il battistrada risulti compresso in direzione circonferenziale nelle zone dell’orma e
in quelle adiacenti e che si formi una distribuzione di tensioni tangenziali in corrispondenza del
suolo (Figura 1.9).
II ) Ruota frenata
Si definisce la condizione di frenata stazionaria quella in cui alla ruota ƒ applicata una coppia frenante e la velocit€ viene mantenuta costante mediante una forza motrice applicata al mozzo.
Andando anche in questo caso ad effettuare delle misurazioni sperimentali della velocit€
angolare () a parit€ di velocit€ del mozzo (V
0), si ottiene un diverso rapporto tra queste due grandezze, chiamato raggio di rotolamento in condizione frenata (Braking Rolling Radius):
(1.7)
0eb
R V
dove
0e quindi
eb e
R R .
eb
R ƒ tanto pi‚ grande di R
equanto pi‚ la frenata ƒ intensa e tende all’infinito quando la ruota si blocca.
A parit€ di velocit€ di avanzamento del mozzo della ruota V
0, in condizioni di puro rotolamento si ha V
0
0R
e, mentre in condizioni di frenata stazionaria
0eb
V R , da cui:
(1.8)
eb 0e
R R
che rappresenta il modo di crescere di
eb
R man mano che la velocit€ angolare della ruota diminuisce per l’aumento della coppia frenante.
In condizioni di frenata stazionaria l’andamento della velocit‚ periferica del generico elemento di battistrada differisce dal caso di puro rotolamento. L’orma pu† essere idealmente divisa in due parti: quella anteriore, per la quale si hanno i punti a contatto col suolo con buona approssimazione fermi rispetto ad esso, che si riduce sempre di pi‰ al crescere dell’intensit‚
della frenata, e quella posteriore per la quale invece i punti slittano rispetto al suolo con una velocit‚ V
SLcrescente (Figura 1.9). ‰ evidente quindi come non si possa parlare di semplice strisciamento.
La prima parte viene detta di aderenza. In essa l’elemento di battistrada entra nella zona di contatto indeformato, per subire poi una deformazione di compressione per effetto del carico verticale ed una deformazione a taglio, compatibilmente col limite locale di attrito, per effetto del moto relativo tra pneumatico e suolo. Man mano poi che attraversa l’impronta la deformazione a taglio aumenta e conseguentemente anche la forza che esso scambia col suolo.
In questa fase si parla di pseudo-slittamento in quanto non si avvertono effetti macroscopici, ma si hanno solamente microscopici spostamenti relativi che attivano importanti fenomeni di isteresi e adesione molecolare.
La seconda parte ƒ comunemente indicata come zona di strisciamento, nella quale si supera
il limite locale di aderenza e nasce un evidente strisciamento dell’elemento di battistrada sul
suolo. Rimangono comunque attivi i fenomeni di isteresi e adesione molecolare che generano forze che si vanno a sommare alle precedenti.
Figura 1. 9 Confronto tra gli andamenti qualitativi della velocit€ rispetto al mozzo dei punti periferici del pneumatico, nelle due condizioni: puro rotolamento e frenata stazionaria; con h 0.92 R , R
e 0.98 R e 1.10
eb
R R [1]
Da notare che non si ha lo strisciamento totale dell’orma della ruota sulla strada, cioƒ non si ƒ in condizioni di ruota bloccata, proprio grazie alla deformabilit€ del pneumatico, che consente entro certi limiti di compensare la differenza di velocit€ tra i due corpi.
1.2.6 M ISURA DELLO SLITTAMENTO E FORZA FRENANTE
Per una ruota frenata (ed anche per una motrice) nasce la necessit€ di definire un parametro che quantifichi l'entit€ dello slittamento, in funzione del quale esprimere tutte le grandezze che caratterizzano il funzionamento della ruota (forza frenante, ecc.). Questo parametro non pu„ essere definito con riferimento alla reale velocit€ di strisciamento dei punti del pneumatico in contatto con il suolo (V
SL– “Sliding Velocity”) perchƒ questa cambia da punto a punto, all'interno dell'orma, e non esiste, nella realt‚ fisica, alcuna velocit‚ di strisciamento globale.
Il parametro in questione deve quindi essere definito in modo convenzionale con riferimento alle condizioni di moto globali della ruota (V
0, ) e deve identificare, in qualche modo, lo scostamento delle condizioni di funzionamento da quelle di puro rotolamento. Le scelte che si trovano in letteratura sono diverse da autore ad autore [3] e portano spesso a parametri indicati con lo stesso simbolo, ma con definizioni, e quindi significati, differenti.
La scelta pi‚ comune consiste nell'utilizzare uno dei seguenti tre parametri:
o Velocit€ di slittamento (Slip Velocity):
(1.9) V
S V
0 R
eo Coefficiente di slittamento pratico (Practical Slip):
(1.10)
00 e x
V R
s V
o Coefficiente di slittamento teorico (Theoretical Slip):
(1.11)
x 0 ee
V R
R
che sono fra loro correlati come indicato nelle relazioni tra parentesi e, nelle diverse condizioni, variano come segue:
V
Ss
x
xPURO ROTOLAMENTO 0 0 0
RUOTA FRENATA 0 V
S V
00 s
x 1 0
x
RUOTA FRENATA con
x 1 V
02 0.5 1
RUOTA BLOCCATA V
01
Come gi€ detto V
Sƒ un'astrazione perchŒ la realt€ fisica ƒ che esiste una distribuzione di V
SLlungo l'orma; s
x(che non ƒ altro che la V
Sespressa in percentuale di V
0) diventa singolare per ruota ferma dotata di velocit€ angolare non nulla ( V
00 , 0 ), mentre
xdiventa singolare per ruota bloccata ( 0 ) con V
00 .
La ruota frenata sviluppa, oltre l'attrito di rotolamento, una forza frenante aggiuntiva (F
b–
“Braking Force”) dipendente dalla velocit‚ del mozzo, dalla velocit‚ angolare della ruota e dalla risultante delle pressioni al suolo (F
N).
La dipendenza della forza frenante dalla velocit€ del mozzo e dalla velocit€ angolare della ruota pu„ essere espressa riportando in grafico il rapporto F F
b N, che si dice coefficiente d'attrito di frenata ("Braking Force Coefficient"), in funzione indifferentemente di una qualunque delle tre grandezze che rappresentano lo slittamento ed utilizzando la velocit€ del mozzo come parametro.
Questi grafici, noti come curve caratteristiche del pneumatico (“Tyre Stationary Characteristics”) si
presentano tipicamente come illustrato in Figura 1.10. La forma delle curve non … comunque
indipendente da F
Ne dipende inoltre dalle condizioni operative (temperatura, pressione di gonfiaggio,
stato della pista, ecc.) [1, 3, 8].
Figura 1.10 Andamenti tipici del coefficiente di attrito di frenata in funzione della velocit€ del mozzo ruota e dell’intensit€ della frenata in condizioni
stazionarie. I tre grafici costituiscono rappresentazioni diverse ma equivalenti degli stessi dati [1].
1.3 M ODELLO ENERGETICO
1.3.1 I NTRODUZIONE
Nella prima parte di questo capitolo si ƒ richiamata l’importanza e l’utilit€ di avere a disposizione modelli di analisi e simulazione affidabili che permettano lo studio della dinamica di carrelli e pneumatici, specialmente nel caso in cui si abbia a che fare con carichi importanti, per i quali la realizzazione di campagne di prove sperimentali sono molto difficoltose e dispendiose. Come gi€
accennato, il lavoro svolto in questa tesi di laurea si inserisce in un contesto pi‚ ampio di attivit€ di ricerca avviate presso il DIA, che hanno proprio lo scopo di realizzare modelli che consentano di simulare le dinamiche a terra dei velivoli.
In [1] sono stati studiati diversi modelli per la simulazione del comportamento del pneumatico sia nel piano longitudinale che laterale. Inoltre ƒ stata condotta un’approfondita analisi della bibliografia che ha evidenziato le difficolt€, riscontrate da molti ricercatori, nel reperire dati e misure sperimentali di confronto per valutare le prestazioni dei modelli analitici e numerici delle ruote dotate di pneumatico, rappresentativi dell’impiego di questo componente in campo aeronautico.
A parte qualche rara eccezione, ƒ stata in generale rilevata la mancanza di campagne di prova espressamente dedicate alla convalidazione dei modelli di analisi e simulazione. Tuttavia nell’ambito dei test effettuati sui componenti dei velivoli, esistono prove sperimentali che consentono di valutare il comportamento dei modelli di simulazione dei pneumatici in condizioni di transitorio dinamico.
Sono state individuate le quattro tipologie di prove seguenti:
1) Prova su tamburo rotante con momento frenante applicato (Drum test).
2) Prova di caduta del complesso Carrello – Ruota - Pneumatico (Drop test).
3) Prova su macchina dinamometrica trainata con pneumatico imbardato o deformato lateralmente (Yawed e Un-Yawed relaxation tests).
4) Prova di atterraggio e decollo interrotto (Landing tests e Rejected take-off tests).
Ai fini della comprensione del lavoro qui presentato ƒ necessario puntare l’attenzione solo sul primo tipo di prova.
Sulla base di questa, nel precedente lavoro [1] ƒ stata sviluppata una prima versione di un modello fisico-matematico (“modello energetico”), e del relativo codice di simulazione numerica, per la descrizione della dinamica longitudinale del pneumatico, confrontati con le risposte alle variazioni di momento frenante misurate tramite prove dinamometriche su tamburo rotante.
1.3.2 M ODELLO ENERGETICO : EQUAZIONI DEL MOTO
La macchina dinamometrica che ha fornito lo spunto per la messa a punto del modello QSTM_04 (e della successiva versione QSTM_07) per la simulazione della dinamica del pneumatico, ƒ essenzialmente costituita da un tamburo di acciaio, girevole attorno al proprio asse ed azionato da un motore elettrico, sul quale viene fatta rotolare la ruota, secondo lo schema riportato in Figura 1.11 .
Figura 1.11 Schema esemplificativo della macchina dinamometrica
W
DIn questo paragrafo vengono presentate le equazioni del moto della sola ruota e del sistema ruota- tamburo rotante in tutte le principali condizioni di funzionamento che si possono presentare. I passaggi intermedi che portano all’ottenimento delle formule qui riportate sono riprodotti per esteso nell’Appendice A, mentre per quanto riguarda la descrizione dettagliata dei dati sperimentali, la registrazione dei parametri del modello energetico e la validazione dello stesso si rimanda al Capitolo 2, nel quale vengono trattati dettagliatamente i modelli di simulazione realizzati. Per tutti i casi di seguito analizzati gli angoli di inclinazione ed imbardata sono nulli.
1.3.2.1) P URO ROTOLAMENTO STAZIONARIO SU PISTA
Il primo caso che viene preso in considerazione ƒ il pi‚ semplice e si basa sulla definizione di puro rotolamento data in precedenza, vale a dire quella di una ruota trainata a velocit€ costante, in assenza di coppie applicate al mozzo, da una forza tale da
compensare l’azione della resistenza al rotolamento (Figura 1.12).
Essendo questa una condizione stazionaria, valgono le seguenti equazioni di equilibrio:
(1.12)
0 0
0
- 0
1
roll roll
roll e
F h N x
V R
delle quali la seconda definisce evidentemente il raggio di puro rotolamento.
In tale condizione suolo e battistrada interagiscono a causa di fenomeni di aderenza ed attrito che si traducono complessivamente nella componente
roll0
F . L’equilibrio orizzontale … garantito dall’equivalente forza applicata al mozzo, la quale assicura anche l’equilibrio alla rotazione, in opposizione al momento frenante che si genera per lo spostamento rispetto alla verticale passante per il mozzo, della risultante al suolo della reazione al carico verticale N . Tale spostamento, indicato con
roll0
x , … dovuto alla asimmetria della distribuzione di pressioni nell’orma rispetto al piano Y
h- Z
hnel riferimento
h.
La forza
roll0
F applicata al mozzo ƒ quindi un contributo esterno al sistema ruota-suolo mediante il quale viene introdotta la quantit€ di energia necessaria per mantenere il sistema stesso nella condizione
Figura 1.12 Puro rotolamento stazionario su pista
V F
roll0roll0
F N
roll0
x
roll0
h
N
di moto stazionario, che altrimenti tenderebbe naturalmente ad esaurirsi per i fenomeni dissipativi descritti sopra.
La potenza cosˆ fornita ƒ pari a:
(1.13)
0 roll0
P F V
1.3.2.2) P URO ROTOLAMENTO QUASI STAZIONARIO SU PISTA
La condizione di puro rotolamento quasi stazionario ƒ caratterizzata dalla mancanza della forza applicata al mozzo della ruota, che nel caso precedente garantiva la stazionariet€ del moto.
Facendo riferimento allo schema riportato in Figura 1.13, valgono le seguenti equazioni del moto:
(1.14)
1 1 11
- -
roll roll roll
roll
I F h N x
mV F
dove m ƒ la somma delle masse del corpo che si immagina collegato al mozzo della ruota e della ruota stessa.
Non essendo ora presente alcuna azione esterna che compensi la dissipazione dell’ energia ( P ) legata ai
fenomeni che nascono all’interfaccia pneumatico-suolo e che danno origine alla risultante di forza
roll1
F , come evidenziato dalla seconda delle (1.14) la ruota ƒ soggetta ad un progressivo rallentamento.
L’ equazione dell’energia ƒ data quindi dalla seguente:
(1.15)
1 1
0
roll roll
P mV V I Le (1.14) e (1.15) se si suppone di misurare sperimentalmente V ed
roll1
forniscono tutto: forza, braccio ed energia dissipata. Da tale misurazione si pu„ anche definire il raggio di rotolamento:
(1.16)
11
roll
1 V R
e con R e f 1 V , N
1
.
La
roll1pu„ essere correlata con V derivando rispetto al tempo la
roll1
:
(1.17)
1
1
1
1 1
roll
V R
e
dove:
11
1
e e
V dR R dV
Da osservare che rispetto al caso precedente si utilizza un diverso pedice (1 anzichŒ 0) per indicare che la condizione in esame, benchŒ non siano presenti momenti applicati al mozzo della ruota ƒ, a rigore, diversa da quella che definisce il puro rotolamento stazionario.
Figura 1.13 Rotolamento quasi stazionario su pista
V
N
h N
roll1roll1
x
roll1
F
1.3.2.3) F RENATA QUASI STAZIONARIA SU PISTA
In questo caso e nei successivi oltre agli aspetti visti fino ad ora, si prendono in considerazione gli effetti dovuti alla presenza di una coppia T (considerata positiva se frenante) applicata al mozzo della ruota. In base allo schema di Figura 1.14, non avendo alcuna forza esterna applicata al mozzo, se la coppia ƒ frenante la ruota pu„ rallentare per effetto della risultante delle azioni ( F ) agenti tra battistrada e fondo stradale e per i soliti fenomeni di dissipazione dell’energia. Inoltre ƒ necessario precisare che parlando di frenata quasi stazionaria si assume che sia s
x0 , vale a dire che l’intensit€
della frenata sia costante nel tempo.
Le equazioni del moto sono:
(1.18) I F h N x T
mV F
dove anche in questo caso m ƒ la somma delle masse del corpo che si immagina collegato al mozzo della ruota e della ruota stessa.
Anche in questo caso ƒ evidente che (II• eq. delle (1.18) ) la ruota subisce un progressivo rallentamento, mentre per quanto riguarda l’equazione dell’energia ƒ
chiaramente necessario mettere in conto l’ulteriore contributo dissipativo dato proprio dalla coppia frenante ora introdotta, per cui la (1.15) diventa:
(1.19) P mV V I T 0
La misurazione sperimentale di V ed permette di definire il raggio di rotolamento frenato
eb
R :
(1.20) 1
eb
V R
mentre l’intensit‚ della frenata … data dal coefficiente di slittamento pratico s x (cfr. … 1.2.6):
(1.21)
e
be x e
R R V
R s V
1
dove R e f V , N ƒ definito come segue:
(1.22)
roll01
V R
e
essendo
roll0
la velocit€ angolare che la ruota avrebbe, a pari velocit€ V , se non fosse frenata.
Dalla (1.21) si ricava immediatamente il legame tra
eb
R ed R
e. La (1.19) si pu„ riscrivere nel seguente modo (cfr. Appendice A ):
Figura 1.14 Frenata quasi stazionaria su pista
V
V N
F N x
T
(1.19') P F V 1 T dove 1 1
2 e
bm R
I ed
ee
V dR
R dV
e si introduce a questo punto l’ipotesi fondamentale alla base di tutto il modello energetico: si scompone la risultante delle azioni tra battistrada e suolo in due contributi:
(1.23) F F
b F
rollindicando con F
rollla quota di F che genera un’opposizione al moto esclusivamente legata alla deformabilit‚ del pneumatico che d‚ origine ai fenomeni di isteresi, di aderenza ed attrito mediante i quali si ha la dissipazione dell’energia, e con F
bla quota di F dovuta esclusivamente all’introduzione della coppia frenante T . In questo modo si intende specificare chiaramente il fatto che l’introduzione dell’azione frenante data dalla coppia esterna non va in alcun modo a modificare la capacit€ dei fenomeni, che nascono all’interfaccia pneumatico-suolo, di dissipare energia, ma va esclusivamente ad interessare il loro modulo e la distribuzione delle pressioni dell’orma
Sostituendo la (1.23) nella (1.19') ed operando la divisione dei contributi come indicato si ottengono le due seguenti equazioni
(1.24)
1
roll
1 F P
V
(1.25) 1
b
b
e
F T
R
che evidenziano il concetto ora esposto, in base al quale mediante l’ipotesi effettuata … possibile scindere nettamente l’azione dissipativa da una generica azione esterna.
Infine la prima equazione delle (1.18) pu† essere usata per calcolare il braccio x della risultante verticale delle azioni al suolo:
(1.26) F h
b1 R
ebF
rollh 1 R
ebx N h N h
la quale mette in risalto, come gi€ le (1.24) e (1.25) il fatto che l’introduzione della coppia esterna determina solo una ridistribuzione delle pressioni al suolo. Infatti la x ƒ data da due contributi quello di F
be quello distinto di F
roll. Da osservare come per T 0 sia F
b s
x 0 , dalla (1.26) si ottenga correttamente la prima equazione delle (1.14) del caso di puro rotolamento quasi stazionario.
1.3.2.4) F RENATA NON STAZIONARIA SU TAMBURO ROTANTE
Questo ƒ il caso sul quale ƒ fondato il modello QSTM_04. Le equazioni del moto differiscono
formalmente da quelle di frenata su pista piana solo per la presenza di un termine aggiuntivo
Nx R
D che compare a causa del fatto che adesso deve esser messa in conto anche la curvatura della superficie del tamburo rotante col quale si trova a contatto il battistrada della ruota (Figura 1.15). Si fa subito osservare che infatti per R
Dsi cade nel caso precedente. Questo fatto, aggiunto anche alla condizione di frenata non stazionaria (e quindi s
x0 ) rende i risultati finali alquanto diversi da quelli fin qui ottenuti.
Le equazioni del moto sono:
(1.27)
W W W
D
I F h N x T mV F N x
R
con
D2D
m I
R e V R
D
D.
L’equazione dell’energia ƒ identica a quella della frenata stazionaria su pista piatta:
(1.28) P mV V I
W
W T
W
W 0 e cosˆ anche tutte le relazioni cinematiche che definiscono R
e,
eb
R e quelle derivate da queste.
In particolare vale la seguente:
(1.29) 1
b
W x
e e
V V
R R s
che consente di riscrivere il termine I
W
W T
Wche compare nella (1.28) come segue:
(1.30) 1
2 1
b
D
W W W f W
e
I T R mV u T
R
con
2D D
I I
mR I
e
f xe
u I V s
T R (fattore non stazionario), parametri adimensionali funzioni del tempo.
Operando opportunamente sulle equazioni del moto ed usando la (1.30) si riscrive l’equazione della potenza, ed effettuando per la F che compare in quest’ultima la separazione tra contributo “roll” e
“b” secondo l’ipotesi introdotta nel precedente caso si arriva alle seguenti:
Figura 1.15 Frenata non stazionaria su tamburo rotante
V
WN
N x
h
R
DT
W DF
(1.31)
1 1
1
b
D
e D
roll
R h
R R
P F
V
(1.32)
1 1
1
1
b
b
b
D e
e D
W f b
e D
R h
R R R
T u F
R R
dove 1
b
D e
R
R
Infine si ricava l’espressione del braccio x , data dalla somma dei due contributi funzione di F
rolle F
b:
(1.33)
1 1
1 1
b
b
D e
roll b
e D