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Studio conoscitivo sulle modalita' di assistenza dei soggetti autistici

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie Presidente Prof. S. Marchetti

Tesi di Laurea

APPROCCIO CONOSCITIVO SULLE MODALITA’ DI ASSISTENZA DEI SOGGETTI AUTISTICI

Relatore: Dott.ssa Elena Oliveri Correlatore: Dott.ssa Gabriella Giuliano

Candidata: Annalisa Cotardo

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No man is an island

No man is an island,

Entire of itself,

Every man is a piece of the continent,

A part of the main.

If a clod be washed away by the sea,

Europe is the less.

As well as if a promontory were.

As well as if a manor of thy friend's

Or of thine own were:

Any man's death diminishes me,

Because I am involved in mankind,

And therefore never send to know for whom the bell tolls;

It tolls for thee.

John Donne

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INDICE

1. PREMESSA... 5

2. LA DISABILITA’ ... 8

2.1 Quadro normativo internazionale di riferimento ... 8

2.2 Quadro normativo nazionale ... 10

2.3 Quale bisogno..quale offerta? ... 20

2.4 In Toscana: quadro normativo e strategie regionali ... 24

3. L’ AUTISMO ... 27

3.1 Definizione e cenni di epidemiologia ... 27

3.2 Servizi territoriali in Italia ... 31

4. CENSIMENTO DELLE STRUTTURE NELLE AA.SS. TERRITORIALI TOSCANE ... 43 4.1 ASL 1: Massa ... 44 4.2 ASL 2: Lucca ... ... 46 4.3 ASL 3: Pistoia ... 47 4.4 ASL 4: Prato ... 48 4.5 ASL 5: Pisa ... 49 4.6 ASL 6: Livorno ... 51 4.7 ASL 7: Siena .... ... 53

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4 4.8 ASL 8: Arezzo ... 54 4.9 ASL 9: Grosseto ... 55 4.10 ASL 10: Firenze ... 56 4.11 ASL 11: Empoli ... 57 4.12 ASL 12: Viareggio ... 60

5. PROPOSTE PER UN’ANALISI CONOSCITIVA ... 62

6. CONCLUSIONI ... 70

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1. PREMESSA

Il presente elaborato offre un quadro conoscitivo delle diverse proposte di assistenza, pubblica e privata convenzionata, rivolta ai soggetti con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) in Italia e, particolarmente, in Toscana. Per avere un quadro completo del contesto all’interno del quale la patologia di interesse ed i servizi dedicati si collocano, è importante fornire una panoramica delle normative vigenti che risultano essere la base sulla quale si sviluppano le politiche nazionali e regionali.

L’evoluzione delle tipologie di assistenza rivolte ai soggetti disabili e la relativa normativa sono sempre associate ad una speculare evoluzione del pensiero sociale e delle ideologie; è per questo motivo che, oltre a fornire dati relativi alla strutturazione del servizio sociosanitario nazionale e regionale toscano, è riportata una breve trattazione degli interventi per persone disabili che si sono susseguiti nel tempo.

Attualmente le politiche a riguardo fanno riferimento alla “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità” adottata nel 2006, documento di importanza internazionale che rappresenta la base di politiche interne di più Paesi. In Italia tale Convenzione è stata recepita solo nel 2009 ma sin dal 1978, a seguito della nascita del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), le istituzioni hanno mostrato di essere sensibili nei confronti di tale tematica. Il SSN individua nelle Regioni gli organismi che devono adottare politiche e strategie specifiche per rispondere in modo adeguato al bisogno della popolazione, in base alle direttive nazionali ed alla richiesta del proprio territorio.

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Il presente elaborato, pur fornendo inizialmente informazioni sulle modalità di gestione della patologia in questione sul territorio nazionale, tratta in modo più dettagliato la realtà della Regione Toscana riportando l’offerta dei servizi delle Aziende Sanitarie Locali (AA.SS.LL.), delle strutture sanitarie convenzionate e di alcuni soggetti del Terzo Settore, sia per quanto riguarda l’età evolutiva che l’età adulta.

A conclusione del lavoro vi è la proposta di tre questionari: due mirano a raccogliere informazioni sulle attività e sui progetti di strutture extraospedaliere ed associazioni del Terzo Settore, mentre l’altro è orientato a raccogliere le impressioni dei familiari e dei pazienti sulla propria qualità della vita e sul grado di soddisfazione in merito all’assistenza ricevuta.

L’interesse della sottoscritta verso tale argomento nasce sia da esperienze personali per contatti con persone affette da ASD ed i loro familiari, ma anche e soprattutto da riflessioni critiche circa il ruolo del neuro psicomotricista, essendo questo il profilo professionale di appartenenza.

Il paziente disabile, ed in particolare il paziente con diagnosi di ASD, è un soggetto che ha bisogno di cure ed assistenza per tutto l’arco della propria vita. Fino al raggiungimento della maggiore età, con più o meno difficoltà, il bambino con diagnosi di autismo può ricevere un intervento riabilitativo da parte di terapisti della neuro psicomotricità dell’età evolutiva, psicologi ed altre figure specifiche ed allo stesso tempo essere inserito in un contesto scolastico ricevendo il supporto di insegnanti di sostegno con formazione adeguata. In seguito al compimento del 18° anno di età, i genitori spesso riferiscono una notevole difficoltà nel continuare a ricevere un’assistenza adatta e ad inserire il proprio familiare in un contesto lavorativo appropriato, di socializzazione o

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ricreativo. Tale situazione costringe il paziente a dipendere esclusivamente dal proprio caregiver (spesso coincidente con la figura di un familiare) portando, il più delle volte, ad un peggioramento della qualità della vita di entrambi.

È per questo motivo che il presente lavoro compie un’analisi dei servizi offerti ai soggetti con diagnosi di autismo in età evolutiva ma soprattutto adulta ed alle loro famiglie, proponendo quindi degli strumenti che possano raccogliere informazioni provenienti dai soggetti che richiedono assistenza nonchè dalle strutture che offrono servizi, con lo scopo di fornire informazioni utili ai familiari circa le possibilità assistenziali presenti sul territorio toscano, dando contestualmente spunti ai servizi per migliorare l’offerta.

Infine, è opportuno sottolineare che nell’elaborato saranno utilizzati termini specifici in accordo col periodo storico di riferimento: pertanto, il termine “handicappato” sarà utilizzato se in riferimento a documenti antecedenti al 1980, anno in cui la International Classification of Impairment Disabilities and Handicaps (ICIDH) introduce i concetti di “menomazione” e “disabilità” con l’obiettivo di spostare l’attenzione dalla patologia del soggetto al contesto di vita

[1]. Lo stesso criterio sarà utilizzato anche in riferimento alle Aziende Sanitarie

Locali (AA.SS.LL.), che fino all’emanazione della Legge n.92 del 1992 sono denominate Unità Sanitarie Locali (UU.SS.LL).

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2. LA DISABILITA’

Nel mondo quasi una persona su cinque convive con una forma riconosciuta di disabilità; in Europa una persona su sei, circa 80 milioni di persone [2].

Il concetto di disabilità si è evoluto nel tempo e, in accordo con la Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF), è oggi considerato un “termine ombrello” che identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale.

Tale classificazione adotta un approccio multi prospettico, biopsicosociale, possibile grazie all’integrazione del modello medico e del modello sociale [3]:

- il primo vede la disabilità come un problema causato direttamente da malattie, traumi o altre condizioni di salute che necessitano di assistenza medica sotto forma di trattamento individuale da parte di professionisti; a livello di governo politico del sistema la risposta principale è quella di modificare o riformare le politiche di assistenza sanitaria.

- il secondo vede la questione principalmente come un problema creato dalla società; ne deriva che la questione riguarda gli atteggiamenti e le ideologie e richiede cambiamenti nel contesto sociale; le disabilità diventano, in questo modo, una questione di politiche sociali.

2.1 Quadro normativo internazionale di riferimento

Un documento di notevole importanza normativa è la “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”, adottata a New York il 13 dicembre 2006. La Convenzione rappresenta infatti il primo trattato del nuovo

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secolo centrato sui diritti umani e sulle relazioni delle persone con disabilità ed è basato sulla concezione della stessa come in continua evoluzione e con caratteristiche variabili a seconda dei diversi contesti che caratterizzano le società.

Lo scopo della Convenzione è esplicitato nell’articolo 1: <<promuovere,

proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità>> [4] .

I principi entro i quali la Convenzione si muove, sono esplicitati all’articolo 3

[2; 4]:

 il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la

libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone;

 la non discriminazione;

 la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società;

 il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa;

 la parità di opportunità;

 l’accessibilità (ai servizi, alle strutture e agli edifici, ai beni,

all’informazione);

 la parità tra uomini e donne;

 il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità.

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10 2.2 Quadro normativo nazionale

In Italia il riconoscimento della disabilità come argomento di importanza nazionale avviene in seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009 della Legge 3 marzo 2009 n. 18, recante la ratifica e l’esecuzione della Convenzione. Con l’emanazione del DPR del 4 ottobre 2013, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale ai sensi dell'art. 5, comma 3, della Legge suddetta, l’Italia aderisce al programma di azione biennale per la promozione dei diritti e dell'integrazione delle persone con disabilità, il cui scopo ultimo è di attuare i principi della Convenzione ONU. Il programma richiede una partecipazione attiva delle istituzioni e delle società civili ed imprese perché possano realizzarsi gli obiettivi previsti per ogni linea di intervento:

Linea di intervento 1: Revisione del sistema di accesso, riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario.

Obiettivo: introduzione della definizione “persona con disabilità” e processo di valutazione/certificazione della disabilità in modo omogeneo sul territorio nazionale.

Linea di intervento 2: Lavoro ed occupazione.

Obiettivo: aggiornare la legislazione in vigore al fine di renderla più efficace nel collocamento delle persone disabili.

Linea di intervento 3: Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita

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Obiettivo: favorire l’applicazione dell’articolo 19 della Convenzione ONU secondo il quale le persone disabili devono essere libere di scegliere il luogo di residenza usufruendo se necessario di servizi di domicilio, residenziali o di altro tipo che permettano loro di vivere nella società; le strutture ed i servizi sociali destinati a tutta la popolazione devono essere adattati ai bisogni delle persone con disabilità.

Linea di intervento 4: Promozione e attuazione dei principi di

accessibilità e mobilità.

Obiettivo: aggiornare i regolamenti riguardo l’accessibilità e l’abbattimento delle barriere architettoniche ed inserire nei programmi didattici lo studio di tecniche e tecnologie riguardanti gli aspetti funzionali in materia di edilizia ed urbanistica in rapporto alla disabilità.

Linea di intervento 5: Processi formativi ed inclusione scolastica.

Obiettivo: potenziare l’inclusione scolastica di alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) sia minori che adulti.

Linea di intervento 6: Salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione. Obiettivo: tutelare i bisogni dei bambini disabili sin dalla nascita e garantire alle donne disabili la possibilità di accedere ai servizi ginecologici e riproduttivi nello stesso modo in cui ciò è permesso alle donne senza disabilità; individuare la figura del Disability&Case Manager che dovrà esaminare le esigenze e la situazione individuale e strutturare con il cittadino stesso una risposta adeguata ai suoi bisogni. Per quanto

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riguarda la riabilitazione l’obiettivo è di assicurare interventi specifici a domicilio o presso centri socio-riabilitativi ed educativi a carattere diurno o residenziale.

Linea di intervento 7: Cooperazione internazionale.

Obiettivo: formulazione di un piano di azione per le persone con disabilità della Cooperazione Italiana DGCS/MAE (DGCS: Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo; MAE: Ministero degli Affari Esteri) previsto nelle “Linee Guida per l'introduzione della tematica della disabilità nell'ambito delle politiche e delle attività della cooperazione italiana" approvate nel novembre 2010 dalla stessa DGCS [5; 6].

Abbiamo fino ad ora menzionato gli obiettivi proposti dalle istituzioni internazionali ed europee, adottati anche dal nostro Paese, per favorire un cambiamento nella visione sociale della disabilità.

Per quanto riguarda l’organizzazione delle strutture e dei servizi, in risposta alle esigenze mediche e non solo dei soggetti disabili, il primo approccio legislativo in Italia si ha però con la Legge n.833 del 23 dicembre 1978 con la quale viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) [7].

Riporteremo di seguito alcuni articoli di particolare interesse per le tematiche trattate nella presente tesi:

a) articolo 2: obiettivi e competenze del SSN.

Il SSN si propone di assicurare interventi di riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psichica perseguendo:

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dei servizi medico-scolastici e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati (art. 2, lettera d);

- la tutela della salute mentale privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari regionali in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, e da favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei disturbati psichici (art. 2, lettera g).

b) articolo 14: tra le competenze delle Unità Sanitarie Locali la Legge individua interventi di:

- prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche (art. 14, comma 3, lettera c);

- assistenza medico-specialistica, infermieristica, ambulatoriale e domiciliare, per le malattie fisiche e psichiche (art. 14, comma 3, lettera i);

- assistenza ospedaliera per le malattie fisiche e psichiche (art. 14, comma 3, lettera l);

- riabilitazione (art. 14, comma 3, lettera m).

c) articolo 26: le Unità Sanitarie Locali erogano servizi che puntano al recupero sociale e funzionale di soggetti con minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali attraverso i loro servizi o mediante convenzioni con altri istituti presenti nella regione di appartenenza del soggetto o in altre. d) articolo 45: viene <<riconosciuta la funzione delle associazioni di

volontariato aventi la finalità di concorrere al conseguimento dei fini istituzionali del Servizio Sanitario>>. È compito della programmazione e

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della legislazione sanitaria regionale regolare, mediante apposite convenzioni, i rapporti fra le associazioni di volontariato e le UU.SS.LL. e) artt. 53 e 55: disciplinano i rapporti di cui all’art. 45. Il Piano Sanitario

Nazionale individua le linee di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali riferendosi alle Regioni che avranno poi il compito di esplicitare proprie linee e modalità di intervento, ciascuna tramite il proprio Piano Sanitario Regionale (art. 55 L. 833/78). Atti e provvedimenti emanati dalle regioni devono quindi attenersi ai piani regionali che a loro volta si ispirano al piano sanitario nazionale.

2.2.1 La disabilità tra vecchie e nuove soluzioni assistenziali

Vediamo ora quali sono state, negli anni, le soluzioni offerte alle persone disabili. Di quelle in elenco, alcune sono ancora in evoluzione mentre altre rappresentano soluzioni del tutto abbandonate in quanto ne sono stati evidenziati problemi e limiti [8].

Istituti di ricovero: così come le scuole speciali per i bambini, queste strutture erano considerate la giusta risposta per le esigenze di soggetti disabili. Il boom di richieste risale agli anni settanta, quando le famiglie con disabili trovavano in queste strutture l’unica forma di aiuto e supporto. Il ricovero in istituto rappresentava, quindi, la conseguenza della mancanza e dell’insufficienza degli interventi sociosanitari di prevenzione del bisogno assistenziale. In questa situazione l’attenzione e gli investimenti erano per la struttura e non per le persone ospitate che si ritrovavano a vivere in un ambiente a loro sconosciuto, spesso lontano dal luogo di appartenenza (si è arrivati addirittura a parlare in questi casi si

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“deportazione assistenziale”). E mentre la famiglia trovava sollievo grazie agli istituti, il disabile viveva in generale un peggioramento delle sue condizioni di handicap a causa della permanenza in un ambiente in cui ogni fase della propria vita e della propria giornata era scandita meticolosamente e non ammetteva eccezioni. In questo contesto veniva meno la possibilità di avere la propria intimità e di effettuare scelte personali.

La famosa antropologa americana Margareth Mead rivede nel ricovero in istituto delle persone disabili una pratica socialmente e legalmente ammessa che, nelle società primitive, corrispondeva a quella usata nei confronti dei bambini di cui nessuno voleva occuparsi e il cui unico scopo era sbarazzarsene. In tale contesto infatti non esistevano istituti e tutto ricadeva sulla famiglia, sulla tribù, sui vicini: quando ai bambini non si poteva garantire una vita degna, li si sopprimeva.

Ospedali psichiatrici: la Legge Giolitti n. 36 del 14/02/1904 prevedeva che chi fosse ritenuto “pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo” dovesse essere internato in manicomio. In questa definizione sono stati fatti rientrare probabilmente tutti i soggetti con caratteristiche differenti rispetto a quelle della gente “normale”, privi di famiglia o appartenenti ad un nucleo familiare che li allontanava: persone con epilessia, sindrome di Down, cecità, sordità, spasticità, distrofia, ecc. Anche in questo caso il disturbo del ricoverato tendeva pertanto alla cronicizzazione. Il mutato panorama ideologico registratosi a partire dal secondo dopoguerra e la lotta alla discriminazione hanno portato nel 1968 alla messa in discussione dell’istituzionalizzazione in campo psichiatrico. Con la Legge

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n. 180 del 1978, meglio conosciuta come Legge Basaglia, la Legge Giolitti veniva abrogata a causa della sua incompatibilità con la Costituzione della Repubblica Italiana (1948); in seguito all’approvazione della Legge 431/78 veniva stabilita l’insufficienza dell’assistenza psichiatrica basata esclusivamente sull’internamento in manicomio e prevista la creazione di strutture extra-ospedaliere radicate sul territorio. Vale la pena di notare come, contestualmente all’istituendo SSN, i cui riferimenti normativi rispetto alla disabilità sono già stati trattati, la normativa nazionale sancisca, con la Legge Basaglia la fine dei manicomi e, tramite la L. 431/78, obblighi ogni regione a sostituire i propri manicomi con una rete di servizi che siano in grado di svolgere, oltre a quello di cura, anche il ruolo di prevenzione e riabilitazione; il paziente è considerato, come qualunque altro individuo, un soggetto avente diritto e l’importanza della volontarietà a ricevere le cure diventa fondamentale. Con il Decreto del Presidente della Repubblica del 22 aprile 1994 (“Approvazione del Progetto Obiettivo Tutela della Salute Mentale”) l’Ospedale Psichiatrico viene integralmente sostituito dal Dipartimento di Salute Mentale delle aziende UU.SS.LL. territoriali.

Assistenza domiciliare: lo scopo è quello di togliere il disabile dall’isolamento e stimolarlo verso i rapporti con l’esterno guadagnando in autosufficienza. Tale tipo di aiuto deve comprendere il sostegno psicologico e può comprendere prestazioni domiciliari, infermieristiche e tutte le pratiche con scopo ricreativo e che mirano ad un contatto con l’esterno. Questo servizio nasce all’inizio degli anni settanta in alcuni comuni dell’Italia del Nord (Aosta, Brescia, Monza), viene svolto da

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personale sociosanitario e può essere di competenza del Comune o, dalla loro nascita, delle UU.SS.LL.

Centri diurni: nati tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, tali centri sono attualmente strutture territoriali non residenziali previste per ospitare in ore diurne soggetti in età post-scolare che presentino condizioni di non autosufficienza, bisognosi di continua assistenza e per i quali non sia stato possibile l'inserimento al lavoro "normale" o "protetto”. Si tratta di strutture intermedie, aperte e di

appoggio alla vita familiare e devono, in quanto tali, permettere di avere

esperienze e collegamenti esterni e non essere la meta definitiva per chi vi entra. Il personale deve essere composto da infermieri, medici, assistenti domiciliari e dei servizi tutelari ed educatori; sono quest’ultimi ad assicurare le prestazioni socio-educative-assistenziali e che spingono il singolo verso l’adozione di comportamenti e funzioni indispensabili per la vita di tutti i giorni. Le attività svolte possono avere significato prevalentemente psicomotorio, mirare al raggiungimento di una maggiore autonomia personale e al mantenimento del livello culturale raggiunto, avere significato prevalentemente occupazionale o rientrare nell’area sanitaria. Il fine ultimo del centro diurno è il mantenimento del soggetto all’interno del proprio contesto socio-ambientale.

Strutture residenziali: la Legge n. 118 del 30/03/71 segna una svolta per quanto riguarda le strutture di accoglienza di soggetti portatori di handicap che rappresentano alternative al ricovero in istituto, in questo periodo messo in discussione. Per la prima volta, infatti, e precisamente all’art. 4 della suddetta Legge, si parla di “istituzioni terapeutiche quali

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comunità di tipo residenziale e simili”. L’importanza di queste strutture si

trova nella possibilità di offrire ai soggetti disabili altri punti di riferimento esterni alla famiglia. In particolare si tratta di:

- Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA): sono luoghi assistiti nelle 24

ore dove si svolgono attività terapeutiche e riabilitative in condizioni di residenzialità rivolti ai soggetti che non necessitano di un ricovero ospedaliero. Tali centri sono quindi caratterizzati da una ricettività relativamente limitata (la capienza non dovrebbe essere di norma superiore ai 20 posti letto) e da un’alta assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrata da un livello alto di assistenza tutelare.

- Case-famiglia: rappresentano il punto di riferimento per una strategia

di recupero e di reinserimento graduale di handicappati psichici non in grado di gestirsi autonomamente e di programmarsi la vita di ogni giorno. Questo tipo di soluzione sembra essere adatta anche all’accoglienza di soggetti giovani in quanto la Legge n.184 emanata il 4/05/83 prevede che, in casi particolari, il minore possa essere affidato sotto tutela sia alla comunità pubblica che privata. In tali strutture i soggetti ospitati e gli operatori vivono in stretto rapporto e ciò determina l’instaurarsi di dinamiche relazionali che portano gli operatori ad essere considerati dei veri e propri punti di riferimento. La peculiarità di questa soluzione ne rappresenta anche la maggiore criticità: la riuscita di tali strutture dipende quindi dalle capacità degli operatori che si trovano a viverla e questo spiega in parte perché

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queste esperienze maturino principalmente da azioni di volontariato più che dalla programmazione delle amministrazioni locali.

- Comunità-alloggio: sono determinate dalla volontà di un gruppo di

individui di vivere insieme e di affrontare e risolvere in modo comunitario i problemi che scaturiscono dalla propria situazione fisica, psichica e sociale. Per evitare la creazione di piccoli istituti è necessario che tali comunità siano inserite nel vivo di un contesto sociale ed abitativo. Anche per le comunità alloggio lo scopo è il reinserimento del soggetto disabile all’interno della società e proprio per questo motivo il personale deve avere funzione principalmente organizzativa.

Nelle realtà delle strutture residenziali gli interessi della collettività, le responsabilità delle Amministrazioni Pubbliche, le disponibilità del

volontariato si sposano e si intrecciano: l'Ente Pubblico può e deve avere una funzione di indirizzo, coordinamento e verifica degli interventi che vengono effettuati mentre i privati possono integrare e sostenere questa strategia attraverso le loro risorse ed il loro impegno. I centri socio riabilitativi ed educativi sono previsti dalla Legge 104/92 agli art. 7 (“Cura e riabilitazione”), art. 8 (“Inserimento ed integrazione sociale”) ed art. 10 (“Interventi a favore di persone con handicap in situazioni di gravità”). La Legge quadro stabilisce che tali strutture residenziali possono essere realizzate da enti locali (i Comuni, anche consorziati tra loro e con le Province, le loro unioni, le comunità montane e le UU.SS.LL.) sia in maniera autonoma che tramite consorzi e

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forme di collaborazione con associazioni e organizzazioni del privato- sociale.

2.3 Quale bisogno..quale offerta?

In Figura 1, è riportata la distribuzione, per regione, dell’offerta di strutture residenziali e semiresidenziali in termini di dotazione di posti letto secondo l’annuario statistico italiano 2012 dell’ Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT - dati relativi all’anno 2009).

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Figura 1: Assistenza residenziale e semiresidenziale per regione - Anno 2009 (quozienti per 10.000 abitanti)

REGIONI E RIPARTIZIONE

Posti letto di Assist. Residenz.

Posti letto di Assit. Semiresidenz. Posti leto di Asisst. Residenz. di riabilitazione Posti letto di Assit. Semiresidenz. di riabilitazione Piemonte 50 7,5 0,4 0,1 Valle d'Aosta 10,3 2,6 0 0 Liguria 26,1 4,3 2,9 1,8 Lombardia 66,7 14,6 3,8 1,4 Trentino-Alto Adige 80,1 1,7 1,8 0,2 Bolzano 72,6 1,3 2,1 0,1 Trento 87,23 2,1 1,6 0,3 Veneto 65,8 18,6 0,4 1 Friuli-Venezia Giulia 55,7 4,3 0,6 3 Emilia-Romagna 50,5 16,9 0,4 0 Toscana 36,9 9,7 2,8 2,6 Umbria 23,3 11,3 1,9 1,7 Marche 13,3 2,5 4,7 1,2 Lazio 12,2 2,6 3,3 4,3 Abruzzo 20,1 1,5 7,2 5,8 Molise 1,9 0,5 8,5 2,8 Campania 3,7 2,1 2,2 5,4 Puglia 9,8 1,7 2,7 1,8 Basilicata 8,9 1,2 7,6 3,6 Calabria 8,4 1,1 2,2 1 Sicilia 4,7 1,1 1,5 3,1 Sardegna 10,6 2,7 3,7 4,6 Nord 58,6 12,9 1,8 1 Nord-Ovest 57,5 11,5 2,7 1,1 Nord-Est 60,2 15 0,5 0,8 Centro 20,9 5,5 3,2 3,1 Mezzogiorno 7,3 1,7 2,8 3,6 Sud 7,8 1,7 3,2 3,7 Isole 6,2 1,5 2 3,5 ITALIA 33,4 7,6 2,4 2,3

Volendo fornire una dimensione del bisogno di assistenza nel settore della disabilità in termini generali, si può far riferimento ai dati ISTAT del 2010 secondo i quali in Italia le persone con disabilità di sei anni e più che vivono in famiglia sono circa 2 milioni e 600 mila, pari al 4,8% della popolazione italiana;

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è doveroso specificare che, sempre secondo la medesima indagine ISTAT, il 62,2% delle persone con disabilita è colpito da tre o più patologie croniche ed il 57,3% delle famiglie con almeno un disabile non riceve alcun tipo di aiuto né pubblico né privato.

Il confronto tra il tasso dei disabili che vivono in famiglia e quello dei disabili che vivono in istituto evidenzia che, dove è alto l’uno l’altro è basso e viceversa (Figura 2; Fonte: ISTAT, Indagine multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari - Anni 2004-2005”; ISTAT, Indagine sui presidi residenziali socio-assistenziali - Anno 2004). Questo può dipendere dall’offerta sul territorio di strutture residenziali, dalle diverse strutture familiari esistenti nelle regioni, dagli atteggiamenti culturali, o, più verosimilmente, può dipendere dall’interazione di questi fattori [9].

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Figura 2- Persone con disabilità di 6 anni e più che vivono in famiglia e persone con disabilità adulte (18-64 anni) e anziane (65 anni e più) che vivono in istituto per regione - Anni 2004-2005 e Anno 2004

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2.4 In Toscana: quadro normativo e strategie regionali

E’ attraverso il Piano Sanitario Regionale (PSR) che le Regioni danno attuazione a quanto previsto dalla programmazione nazionale. In Regione Toscana il PSR guida la programmazione regionale in materia sanitaria ma anche socio sanitaria e sociale (ai sensi degli artt. 18 della L.R. n° 40 del 24 febbraio 2005 “Disciplina del Servizio Sanitario Regionale” e 27 della L.R. n° 41 del 24 febbraio 2005 “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale” come modificati dalla L.R. 60 del 10 novembre 2008 e dalla L.R. 83 del 28 dicembre 2009) ed è pertanto individuato come Piano Sanitario e Sociale Integrato (PSSIR). Il PSSIR assolve la funzione (prevista dal D.Lgs. 502/1992 art. 1, comma 13) di “piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale, anche in riferimento agli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale”.

Il PSSIR sposa il concetto di salute proposto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e definito come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità”. È quindi adottando la definizione di salute dell’OMS e quella di disabilità dell’ICF che la Regione Toscana ha scelto di sviluppare un atto programmatorio integrato che sia in grado di affrontare problematiche legate alla sfera sanitaria ma anche e soprattutto sociale. La Regione Toscana per rispondere alle necessità della persona disabile prevede, con le Leggi nn. 41/2005 e 66/2008, di realizzare politiche che valorizzino la centralità della persona, sviluppandone le capacità esistenti e le potenzialità di crescita in una logica diversa dal puro assistenzialismo ed orientata allo sviluppo dell’autonomia [10]. Nel PSR relativo

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al triennio 2008-2010 si legge che “la strategia regionale di promozione di un sistema integrato di interventi socio sanitari ha come strumento fondamentale i Progetti Obiettivo ad alta integrazione, che costituiscono parte integrante e nucleo delle attività dei servizi socio sanitari territoriali. La loro realizzazione avviene nell’ambito della organizzazione sanitaria territoriale, fatte salve le necessarie connessioni ed implicazioni rispetto all’organizzazione delle strutture ospedaliere di secondo e di terzo livello [11].

Gli interventi sono quindi organizzati per progetti obiettivo che nel PSR del 2008-2010 si rivolgono nello specifico a:

- salute mentale - dipendenze - disabilità - anziani

- materno infantile e consultori - salute immigrati

- salute in carcere

Il vigente PSR Toscano si propone di portare a termine gli obiettivi del precedente piano e indica le priorità da affrontare nel nuovo triennio:

 piena realizzazione di modalità di programmazione e gestione dei percorsi di cura che consentano una presa in carico globale della persona con disabilità;

 implementazione degli interventi abilitativi precoci per particolari condizioni di disabilità (autismo, alta complessità clinico-assistenziale) e con particolare riferimento all'età adolescenziale e giovane adulta;

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 attuazione della continuità assistenziale nel passaggio tra l’età minore ed adulta e del raccordo tra i presidi territoriali sociosanitari e le aree attinenti all’inserimento scolastico e lavorativo;

 definizione di modalità di coinvolgimento attivo e collaborazione, nel processo abilitativo, delle famiglie, della scuola, delle organizzazioni no profit presenti sul territorio;

 sperimentazione di modalità assistenziali innovative, finalizzate anche ad accreditare percorsi di cura, e revisione delle tipologie di prestazioni erogabili;

 approntamento di schede informative e di valutazione dei percorsi di cura, finalizzate anche alla definizione di indicatori;

 revisione delle modalità di suddivisione e partecipazione alla spesa di competenza sanitaria e sociale;

 definizione delle caratteristiche della lungoassistenza nei servizi residenziali e diurni e completamento dei percorsi assistenziali relativi a tali regimi, tramite una maggiore articolazione dell'offerta in base alle necessita degli utenti, da verificare eventualmente anche con azioni sperimentali.

Come emerge dalle priorità espresse nel PSSIR 2012-2015 e dai Progetti Obiettivo del precedente PSR 2008-2010, la Regione Toscana dimostra di essere attenta ai bisogni dei soggetti con disabilità e riconosce la necessità di avere strutture, presenti a livello territoriale, in grado di fornire assistenza e supporto alle famiglie; allo stesso tempo questi documenti evidenziano la carenza di tali servizi principalmente per quanto riguarda la sfera dell’età evolutiva.

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3. L’ AUTISMO

3.1 Definizione e cenni di epidemiologia

Il disturbo autistico, o sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico secondo l’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases and related health problems pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1992), è stato individuato per la prima volta nel 1943 dallo psichiatra austriaco Leo Kanner.

L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo con esordio nei primi 3 anni di vita e caratterizzato da [12]:

 compromissioni qualitative del linguaggio, anche molto gravi, fino ad una totale assenza dello stesso,

 incapacità o importanti difficoltà a sviluppare una reciprocità emotiva, sia con gli adulti sia con i coetanei, che si evidenzia attraverso comportamenti, atteggiamenti e modalità comunicative -anche non verbali- non adeguate all’età, al contesto o allo sviluppo mentale raggiunto,

 interessi ristretti e comportamenti stereotipati e ripetitivi.

Quanto riportato fa riferimento ai criteri diagnostici contenuti nel DSM-IV(Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) la cui versione aggiornata, il DSM-V, è stata pubblicata nel 2013. L’introduzione del DSM-V non ha portato sostanziali differenze per quanto riguarda la diagnosi dei disturbi autistici in Italia ma per una maggiore precisione è opportuno indicare le modifiche apportate:

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- il disturbo autistico, la Sindrome di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, il disturbo generalizzato (pervasivo) dello sviluppo non altrimenti specificato sono stati riuniti in un unico gruppo: Disturbo dello Spettro Autistico (ASD);

- la triade sintomatologica rappresentata da

· compromissione qualitativa di interazione sociale · compromissione qualitativa della comunicazione

· comportamento, interessi ed attività che appaiono ristretti, ripetitivi e stereotipati

è stata sostituita da soli due criteri:

· comunicazione sociale compromessa · comportamenti ripetitivi;

- il disturbo del linguaggio non è più considerato specifico per l’autismo; - sono state inserite specifiche per indicare forme più leggere del disturbo

che può presentarsi con o senza compromissione del linguaggio, con o senza disabilità intellettiva, con o senza un andamento regressivo [13].

Per quanto riguarda l’eziopatogenesi non ci sono in letteratura dati certi: l’autismo è una sindrome definita al momento in termini esclusivamente comportamentali e si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e probabilmente con diversa eziologia.

Il disturbo autistico influenza lo sviluppo del bambino nell’acquisizione di nuove competenze che saranno raggiunte attraverso una modalità “autistica”; l’obiettivo dell’intervento deve pertanto favorire lo sviluppo delle competenze compromesse dal disturbo stesso in modo tale da contenere l’effetto negativo

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che la particolare pervasività della sintomatologia e l’andamento cronico del quadro patologico hanno sul raggiungimento delle autonomie.

I dati epidemiologici a disposizione mostrano come l’autismo sembri non presentare prevalenze geografiche e/o etniche: è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni ceppo o ambiente sociale. È emersa, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine, una differenza che aumenta ancora di più se si esaminano i quadri di Sindrome di Asperger [12].

Le recenti statistiche sulla frequenza dell’autismo, elaborate dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC), riportano che in America un bambino su 88 ha un disturbo dello spettro autistico. Questi dati hanno mostrato un incremento di 10 volte negli ultimi 40 anni, probabilmente in parte dovuto ad un miglioramento nel processo diagnostico.

L’incremento della diffusione dell’autismo negli anni è stato dimostrato dal grafico pubblicato dall’associazione Autism Speaks (Figura 3).

Un punto importante da tenere presente nell’accostarsi agli studi epidemiologici sui Disturbi dello Spettro Autistico è che in questa patologia, di complessa valutazione clinica e anamnestica, le diagnosi cliniche formulate in condizioni di routine possono avere bassa affidabilità e validità. Solo nel 1988 ha iniziato a essere disponibile uno strumento standardizzato di valutazione con accettabile attendibilità, la Childhood Autism Rating Scale (CARS) [14], e solo nel 1994 e

nel 2000 sono rispettivamente state rese disponibili delle interviste diagnostiche standardizzate con alta attendibilità e validità, la Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R) [15] e la Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) [16],

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che richiedono un addestramento specifico e hanno lunghi tempi di somministrazione.

Figura 3. Tratto da www.AutismSpeaks.org

Negli Stati Uniti si stima che tale patologia interessi 1 bambino su 54 e una bambina su 252. I disturbi dello spettro autistico interessano circa 2 milioni di individui negli Stati Uniti e decine di milioni in tutto il mondo [17].

Una prevalenza di 10-13 casi per 10.000 sembra la stima più attendibile per le forme classiche di autismo, mentre se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico la prevalenza arriva a 40-50 casi per 10.000 [12].

Per quanto riguarda l’Italia, le stime di prevalenza sono basate sulle rilevazioni dei casi trattati dal SSN con diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo

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(DPS- codice F84 secondo la classificazione ICD-10). Come per altri Paesi europei, in Italia non esistono dati nazionali di prevalenza e va pertanto fatto riferimento alle rilevazioni effettuate da alcune regioni (Emilia-Romagna e Piemonte). Le stime più recenti indicano una prevalenza nella popolazione fino a 18 anni del 2,3/1000 in Emilia-Romagna (anno 2011) e del 2,9/1000 in Piemonte (anno 2010), con stime che salgono rispettivamente a 2,8/1000 e al 4,2/1000 nell’età della scuola primaria (6-10anni) [18].

Applicando tali stime alla popolazione residente in Regione Toscana e stimando circa 500.000 la popolazione dei minori, i bambini e gli adolescenti affetti da autismo sarebbero circa 2.500; tali stime, se applicate alla popolazione generale, permettono di affermare che il numero dei soggetti con autismo è compreso tra le 10 mila e le 15 mila unità.

Si osserva inoltre che la fascia di età che presenta la maggiore incidenza riportata dai servizi di Neuropsichiatria Infantile è quella coincidente con l’età della scuola dell’obbligo, mentre i casi in età pre-scolare sono solo il 17,1% della casistica, indicando la mancanza di una diagnosi precoce e quindi di una tempestiva presa in carico assistenziale riabilitativa [10].

3.2 Servizi territoriali in Italia

Prima di analizzare la situazione relativa ai servizi offerti nella Regione Toscana, è utile avere una visione d’insieme di come viene affrontato e recepito il tema dell’autismo nelle diverse regioni d’Italia. A tal proposito faremo riferimento ad una indagine condotta nel 2010 dalla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPIA). L’indagine ha come base i dati raccolti

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Figura 4: Tabella riassuntiva dell’indagine svolta dalla Regione Emilia-Romagna al 31/12/2006 relativa al territorio Nazionale

dalla Regione Emilia-Romagna nel 2006 riguardo le attività svolte dalle Amministrazioni Regionali sul tema dell’autismo: tutte le regioni si sono dimostrate disponibili a fornire i dati richiesti ad eccezione delle regioni Friuli, Marche e Basilicata che non hanno inviato le informazioni richieste. Dai dati raccolti (Figura 4: “Tabella riassuntiva dell’indagine svolta dalla Regione Emilia-Romagna al 31/12/2006”) emerge che le Amministrazioni Regionali hanno elaborato, seppur in maniera diversificata, atti ufficiali sul tema dell’autismo, alcuni dei quali sono incentrati sull’attivazione di progetti sperimentali specifici per la presa in carico nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza e rivolti al delicato passaggio verso l’età adulta [19].

Nel 2010 la SINPIA ha effettuato una nuova indagine indirizzata ad acquisire conoscenza su quanto deliberato dagli Assessorati alla Sanità delle diverse Regioni in merito ai seguenti punti:

- Programmi regionali per autismo sostenuti da finanziamenti “vincolati” - Modalità di finanziamento

Atti Ufficiali n. di regioni adempienti/n. totale regioni

che hanno partecipato alla rilevazione

Delibere 13/18 Linee Guida 5/18 Gruppo tecnico 9/18 Diagnosi precoce 8/18 Trattamento 11/18 Progetti sperimentali 8/18 Adulti 5/18 Monitoraggio Altro 8/18 *

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33 - Modello organizzativo gestionale - Centri regionali di riferimento - Equipe competenti in ogni Azienda

- Attività di screening precoce in collaborazione con Pediatri - Modalità operativa per l’autismo in età adulta.

Tale rilevamento non include le iniziative intraprese dai servizi sociali, i programmi di formazione o le attività di raccordo con le istituzioni scolastiche ed educative.

Per quanto riguarda l’adozione di programmi specifici per l’autismo, sono poche le Regioni che hanno dei piani sostenuti da relativi finanziamenti:

 Piemonte: esiste un Piano di riferimento per l’organizzazione dei servizi dedicati all’autismo che prevede un finanziamento per l’implementazione a livello delle Aziende locali; tale finanziamento avviene in maniera indiretta tramite la presentazione di progetti locali dell’Azienda ad una specifica Commissione di valutazione che deciderà se attuare o no un finanziamento ad hoc;

 Lombardia: con delibera n°1994 ha enunciato le linee di indirizzo per l’organizzazione sanitaria per l’autismo ed ha da allora deliberato tre progetti di finanziamento di natura specifica;

 Sicilia: in relazione alla adozione delle linee guida per l’autismo si è scelto di vincolare l’1/1000 del bilancio aziendale per l’autismo (circa un milione di euro ogni milione di abitanti, ovvero circa 5 milioni di euro). È comunque ancora da definire il percorso di impiego di tali risorse e il relativo controllo di attuazione.

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Il modello organizzativo di tipo Hub and Spoke, che permette al territorio di avere livelli di raccordo con altre agenzie come la scuola e i servizi sociali, è stato adottato da poche regioni: Abruzzo, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Sardegna. Tale modello parte dal presupposto che per alcune situazioni caratterizzate da elevata complessità, siano necessarie competenze tanto specifiche quanto costose che non possono essere erogate in maniera diffusa ma devono essere concentrate in centri regionali di alta specializzazione. L’assistenza di maggiore complessità viene quindi concentrata in “centri di eccellenza” (hub) ed è rivolta ai pazienti che, inviati da centri periferici funzionalmente sotto-ordinati (spoke), superano la soglia di complessità degli interventi effettuabili a livello periferico. In questo modello quindi i centri hub erogano il servizio mentre ai centri spoke compete principalmente la selezione e l’invio dei pazienti di alta complessità al centro di riferimento.

Un punto importante dell’indagine riguarda i programmi da condurre in collaborazione con i pediatri di libera scelta per le attività di screening: tali programmi sono stati realmente effettuati solo in quattro regioni (Emilia-Romagna,Toscana, Sardegna, Abruzzo).

Infine, per quanto riguarda i servizi specifici per gli adulti, solo in tre regioni (Piemonte, Marche e Toscana) si registrano programmi dedicati.

Nel complesso, la rilevazione del 2010 condotta dalla SINPIA mette in luce i seguenti aspetti di criticità:

 Profonde differenze negli impegni e nella programmazione tra i diversi Servizi Sanitari Regionali;

 Rischi di aggravamento nelle differenze tra territori regionali;

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 Forti ripercussioni negative sul carico familiare.

Da quanto detto emerge con chiarezza la mancanza di omogeneità sul territorio nazionale del percorso assistenziale per soggetti con autismo. La SINPIA insieme alla Società di Psichiatria ha presentato una richiesta scritta al Ministero della Salute per avere una soluzione alle problematiche emerse: ritardi nella diagnosi, assenza di un percorso definito che conduca l’individuo autistico nel passaggio dall’età evolutiva all’età adulta, carenza nella diffusione dei servizi competenti al trattamento e di programmi volti alla individuazione precoce [20].

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3.3 Programmazione dei servizi territoriali in Toscana

Riportando l’attenzione sulla Regione Toscana, si riportano alcuni risultati di un’indagine conoscitiva condotta nel 2006 e presenti nel Piano Sanitario Regionale del 2008-2010:

 la prima diagnosi di autismo avviene in media all’età di 3 anni e 9 mesi e ciò determina la perdita di parte delle possibilità di recupero legate ai trattamenti precoci;

 la fascia di età che presenta la maggiore incidenza coincide con l’età della scuola dell’obbligo;

 non sempre è presente una valutazione funzionale ed una programmazione adeguata dell’intervento precisa, documentabile e valutabile nel tempo;

 non è garantita la continuità delle cure tra i servizi per i minori e quelli per gli adulti: solo sei aziende sanitarie territoriali su dodici si occupano di adulti con problemi di autismo e nessuna azienda dichiara di seguire

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persone con disturbi dello spettro autistico con un’età maggiore di 44 anni.

Sulla base di quanto emerso da questa indagine il PSSIR si propone di raggiungere alcuni obiettivi specifici:

 individuazione precoce del disturbo e attivazione di programmi per il trattamento precoce;

 presa in carico della persona attraverso una valutazione funzionale multiprofessionale e interdisciplinare e conseguente definizione del progetto terapeutico–riabilitativo individualizzato;

 definizione e qualificazione della rete integrata dei servizi per la cura, riabilitazione e assistenza dei disturbi dello spettro autistico con particolare attenzione ad assicurare la continuità della presa in carico dall’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia Adolescenza all’Unità Funzionale Salute Mentale Adulti allo sviluppo di interventi coordinati e qualificati lungo tutto l’arco di vita;

 miglioramento e potenziamento dell’integrazione scolastica dei minori; garanzia di interventi educativi e assistenziali domiciliari e di comunità;

 garanzia di percorsi specifici di accoglienza ospedaliera.

Al fine di costituire una rete integrata di servizi è necessario assicurare la presenza di una rete pediatrica territoriale e, a livello aziendale, di un Gruppo Interdisciplinare Adulti Infanzia ed Adolescenza. La rete pediatrica ha il compito di individuare precocemente il disturbo mentre il gruppo interdisciplinare, coordinato da un responsabile e istituito nell’ambito del

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Dipartimento di Salute Mentale, è costituito da professionisti con competenze specifiche nel settore dei disturbi dello spettro autistico[10].

Il Gruppo Operativo Interdisciplinare deve assicurare:

 la diagnosi, la presa in carico globale della persona in tutte le fasi della vita e la definizione del progetto terapeutico riabilitativo individualizzato;

 il percorso assistenziale, le modalità terapeutiche specialistiche e gli interventi integrati specifici che assicurino la continuità dell’assistenza e le finalità riabilitative in tutte le fasi della vita;

 la valutazione sul tipo e grado di intensità di supporto nelle varie fasi della vita;

 interventi di supporto guidato (parent training) per i familiari e attività di counseling.

Nella costruzione di tale rete regionale di assistenza è necessaria anche la presenza di:

 Centri diurni in grado di accogliere persone con disturbi di salute mentale nelle varie fasi della vita (zona–distretto e/o plurizonale);

 Strutture residenziali (aziendale e/o Area Vasta) che assicurano la continuità del percorso assistenziale sia in fase di lungodegenza che per brevi periodi, tenendo anche in considerazione la situazione delle famiglie;

 Centri di riferimento di Area Vasta per la formazione, la consulenza e il supporto tecnico al Gruppo Operativo Interdisciplinare aziendale.

Nel PSR del 2008 è stato esplicitato il bisogno di costruire una rete di servizi territoriali in grado di accompagnare il bambino autistico verso l‘età adulta e

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allo stesso tempo di accogliere l’adulto affetto da autismo; tali strutture sono individuate nei soggetti del Terzo Settore (AA.VV., Cooperative, ecc.).

Come è noto, detto settore è storicamente e fortemente radicato nel territorio della Regione Toscana. Pertanto, nel PSSIR è riportato il numero dei soggetti del Terzo Settore presenti sul territorio includendo fra questi tutte le strutture che offrono un servizio ai soggetti disabili, non indicando però quante tra queste siano rivolte specificatamente ai soggetti autistici. Al gennaio 2011 si contano oltre 5.100 soggetti iscritti ai registri regionali [7]:

- organizzazioni di volontariato: 2.930 unita - associazioni di promozione sociale: 1.684 unità - cooperative sociali: 552 unità.

Inoltre, circa due terzi delle associazioni di volontariato possono essere definite di welfare:

- attive in ambito sociale: 970 unità - attive in ambito sanitario: 1026 unità - attive in ambito socio-sanitario: 216 unità

A parere della sottoscritta, in effetti, la valorizzazione della comunità sociale nei confronti delle problematiche sanitarie-assistenziali è particolarmente importante anche su un piano etico. Valorizzare e dare importanza all’associazionismo è fondamentale in quanto rappresenta, uno stimolo indispensabile per la comunità scientifica nazionale, le pubbliche istituzioni, la scuola e la società. Il Terzo Settore è infatti in grado di sensibilizzare e portare verso la promozione di orientamenti diagnostici, abilitativi ed educativi adeguati ed in conformità con le conoscenze scientifiche internazionali.

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Nel prossimo capitolo l’attenzione sarà focalizzata sui servizi offerti ai soggetti autistici sia da parte delle AA.SS.LL. toscane che delle associazioni ONLUS maggiormente rappresentative sul territorio nazionale con sedi in Toscana.

Inoltre, se l’impianto legislativo ed organizzativo strutturato nella Regione Toscana può essere considerato, almeno sulla carta, ottimale si osserva però, tra le figure professionali coinvolte, l’assenza della figura dei riabilitatori e, nello specifico, dei Terapisti della neuro psicomotricità dell’età evolutiva, disciplina che come detto costituisce il profilo professionale della sottoscritta.

Stante il percorso di studi affrontato sia per la Laurea Triennale che per quella Magistrale, si ritiene infatti che il profilo del Neuropsicomotricista sia anzi tra i più indicati ad intervenire nell'assistenza dei soggetti autistici nelle diverse fasi evolutive. Vero è che trattasi di profilo professionale di recente inquadramento; si auspica allora che, tra gli addetti ai lavori, si sviluppi un dibattito per meglio inquadrarne le funzioni.

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4. CENSIMENTO DELLE STRUTTURE NELLE AA.SS.

TERRITORIALI TOSCANE

Nel terzo capitolo sono state riportate alcune informazioni circa l’approccio normativo all’assistenza della patologia autistica sul territorio nazionale e regionale. In questo capitolo sarà offerta una panoramica dei servizi erogati dalle AA.SS. Territoriali Toscane evidenziando prevalentemente la presenza o assenza di strutture extra-ospedaliere che offrono assistenza ai soggetti con diagnosi di ASD (disturbo spettro autistico, DSM V). Questo capitolo si propone inoltre di evidenziare l’importanza che l’associazionismo ha nel garantire l’attuazione di interventi che risultano fondamentali sia da un punto di vista strettamente riabilitativo che del coinvolgimento sociale. Si ricorda infatti che è con l’art.45 della Legge 833/78, in alcuni suoi punti riportata nel capitolo terzo, che si afferma a livello istituzionale l’importanza delle associazioni di volontariato (AA.VV.) nel raggiungimento degli obiettivi previsti dal SSN; i rapporti tra le AA.SS. Territoriali e le associazioni sono regolati da convenzioni previste dalla programmazione e legislazione sanitaria regionale.

Al proposito si ritiene opportuno innanzitutto segnalare la pubblicazione da parte dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS) di un documento relativo al panorama italiano sull’assistenza ai soggetti con diagnosi di ASD [18]. In base a

tale documento i centri di riferimento pubblici territoriali in Regione Toscana per la patologia in esame sono:

- ASL2 di Lucca - ASL4 di Prato - ASL6 di Livorno

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44 - ASL7 di Siena

- ASL9 di Grosseto - ASL12 di Viareggio

Esistono tuttavia, nelle AA.SS. Territoriali non citate, centri di riferimento privati accreditati. Particolare menzione merita l’ IRCCS Stella Maris che si trova nell’ambito territoriale della ASL5. Al fine di censire più estesamente i servizi assistenziali offerti in Regione Toscana, si è fatto riferimento:

- per le strutture pubbliche e la relativa organizzazione, ai siti internet di ciascuna ASL e, quando disponibile, alla Carta dei Servizi;

- per le strutture private accreditate, ad un elenco fornito dalla Regione stessa, è aggiornato al 31/05/2014 [21];

- ove, nei documenti citati fossero state riportate strutture del Terzo Settore, ne è stato stilato l’elenco.

Per una più chiara esposizione circa l’offerta dei servizi, le strutture private accreditate saranno inserite nel paragrafo dedicato alla ASL in cui trovano sede.

4.1 ASL 1: Massa

La rete integrata dei servizi e presidi zonali in grado di garantire la presa in carico e il percorso assistenziale delle situazioni di patologia psichica comprende: Centri di Salute Mentale, Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura presso il Presidio Ospedaliero di zona, strutture riabilitative semiresidenziali e residenziali, ambulatori distrettuali. Per quanto riguarda gli interventi erogati al di fuori dell’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia ed Adolescenza

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(UFSMIA) è importante sottolineare che questi hanno comunque la garanzia di una presa in carico congiunta e di una valutazione dei piani di trattamento effettuata periodicamente.

Esiste inoltre un Centro per la cura dei Disturbi dello Spettro Autistico che eroga interventi riabilitativi di tipo educativo a valenza relazionale, intensivi e personalizzati in piccolo gruppo, interventi logopedici individuali e di gruppo, interventi di informazione/formazione per insegnanti ed educatori, sostegno psicologico ai genitori degli utenti inseriti.

È interessante notare che nella relazione dell’ASL1 relativa ai risultati conseguiti nel 2009 dall’Unità Funzionale Salute Mentale, sia evidenziata sia una difficoltà nel dare una risposta adeguata e tempestiva all’utenza che l’assenza in Area Vasta di strutture residenziali per adolescenti con disturbi psicopatologici gravi. La soluzione a tale problematica si ha ricorrendo ad un ricovero in comunità terapeutiche fuori regione, anche se lontano dal contesto di appartenenza [22].

La carta dei servizi, offre un elenco delle strutture residenziali e semiresidenziali presenti sul territorio e tra le strutture convenzionate rivolte a pazienti con autismo (adulti e non) troviamo la Residenza Sanitaria Assististenziali (RSA) di Pontremoli (32 posti letto totali) che al suo interno individua 2 nuclei di RSA, uno per pazienti in stato neurovegetativo e l’altro per pazienti con patologia psichiatrica [23].

Sono presenti anche tre Centri di Socializzazione per l'handicap per i quali non è però specificata la tipologia di soggetti a cui sono aperti e il tipo di servizio offerto:

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46 - Moncigoli di Fivizzano, 12 posti - Quercia di Aulla, 12 posti

Strutture private accreditate: nell’elenco di cui sopra, sono presenti numerosi

enti ma sembrerebbe che l’unica struttura che si rivolge in maniera specifica al paziente autistico sia l’Istituto privato di riabilitazione a ciclo diurno della Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale (ANFFAS).

4.2 ASL 2: Lucca

Nel territorio di competenza della ASL2, il servizio assistenziale rivolto ai soggetti con ASD sembra essere sostenuto in maniera importante dal Terzo Settore. Il sito della ASL2 di Lucca offre infatti un elenco delle strutture extraospedaliere presenti in zona ma nessuna di queste sembra essere rivolta ad adulti o bambini con autismo [24]. Viene fornito però un elenco degli enti facenti

parte della consulta delle associazioni tra cui emergono:

- Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici Toscana Onlus (ANGSA)

- Lucca Associazione Sindromi Autistiche (L.A.S.A.) - Associazione Famiglie Salute Mentale (FASM) - ANFFAS

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Per quanto riguarda le strutture private accreditate troviamo:

- “Il Mirto”: Residenza Psichiatrica Terapeutico-Riabilitativa. Ospita 10 giovani adulti che soffrono di patologie psichiatriche di medio/grave entità[25].

- “La Rondine”: realtà residenziale a vocazione terapeutico - riabilitativa che si configura come struttura intermedia tra il ricovero ospedaliero ed il regime di trattamento ambulatoriale. Situata nel paese di Lammari, può ospitare fino a 9 pazienti adolescenti con problematiche di tipo psichiatrico, ambosessi, con età compresa tra 14 e 18 anni [26].

4.3 ASL 3: Pistoia

È interessante riportare un progetto per l’autismo finanziato dalla Regione e realizzato insieme alla associazione Agrabah: “Formazione lavorativa per futura Farm Commuity” [27]. Questo progetto, finanziato dallo stesso assessorato

regionale per il Diritto alla Salute dall’ASL3, è rivolto ai soggetti adulti ed ha preso spunto da una simile iniziativa della ASL di Pavia. Il principio cardine di tale idea è che è possibile effettuare una riabilitazione anche per gli adulti disabili che possono quindi apprendere nuove capacità e metterle in pratica in un contesto lavorativo. Il progetto prevede di fornire agli utenti (12 soggetti adulti affetti da autismo), in un ambiente adeguato, gli strumenti per poter sviluppare quelle capacità che poi saranno usate e consolidate nel progetto più ampio che sarà la Farm Community vera e propria.

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Nell’elenco delle strutture private accreditate che operano nel territorio della ASL3 è presente la struttura residenziale “Casa di Gello” dell’associazione Agrabah.

4.4 ASL 4: Prato

Per quanto riguarda le iniziative dell’azienda a favore dell’autismo, sono da sottolineare gli “Interventi educativi domiciliari per minori e giovani adulti con disabilità” [28]. Il servizio educativo domiciliare per disabili è svolto da personale

educativo con formazione specifica per disturbi dello spettro autistico e rappresenta un supporto socio-educativo all’autonomia personale e alla socializzazione. L’intervento può essere strutturato in forma individuale o di piccolo gruppo per quattro ore settimanali con progettualità personalizzate e differenziate per le diverse fasce di età.

Inoltre, come riportato nel documento dell’ISS, la ASL4 offre valutazioni multidisciplinari diagnostiche e funzionali, trattamenti (neuro psicomotori, logopedici, di comunicazione e psicoeducativi individuali e di gruppo), counseling ai genitori e consulenza alla scuola.

Tra le strutture private accreditate, soluzioni di tipo residenziale:

- Centro terapeutico riabilitativo ANFFAS ONLUS, nel comune di Prato - Strutture gestite dalla Humanitas Soc. Coop. Sociale

In particolare, per quanto riguarda le strutture della Humanitas Soc. Coop. Sociale è necessario menzionare il “Progetto Rigoccioli”: attraverso questa iniziativa sono offerti interventi residenziali, diurni e territoriali, in particolare a

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favore di persone con ASD, quando necessario anche presso il domicilio dell’utente. I servizi sono offerti attraverso personale qualificato e supervisionato in rapporto educativo 1:1 [29].

Di seguito l’elenco delle strutture residenziali che fanno parte del “Progetto Rigoccioli”:

- Agenzia territoriale, Prato

- Appartamento via Livorno, Prato - Appartamento Il Piccolo, Prato

- Casa Famiglia Il Podere, Carmignano - Casa Famiglia Pietranera, Carmignano - Casa Famiglia Rigoccioli, Carmignano - Casa Famiglia via Roma, Prato

- Casa Michele, Poggio a Caiano

4.5 ASL 5: Pisa

Per quanto riguarda la Zona Pisana sono attivi 6 centri pubblici per un totale di 109 posti (dati riferiti ai primi 9 mesi del 2011); si tratta sempre di strutture semiresidenziali che accolgono nelle ore del giorno le persone con disabilità. L’obiettivo è di migliorare la qualità della vita dei disabili, promuovendone e sviluppandone le potenzialità residue e favorendo la socializzazione attraverso specifiche attività socio-sanitarie, riabilitative ed educative [30; 31].

I centri a gestione diretta da parte della ASL sono: - “L’arcobaleno” a Navacchio, 13 posti

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50 - “Il Quadrifoglio” a Pisa 20 posti - “L’alfabeto” a Vecchiano, 15 posti. I centri a gestione convenzionata sono:

- “L’amico è…” ANMIC a Pisa, 21 posti

- “1864…” Croce Rossa a Calambrone, 22 posti

- “Dinsi Une Man” laboratorio polifunzionale e di socializzazione a Pisa, 28 posti.

Nella relazione aziendale del 2014 si afferma che nella definizione di nuove modalità di erogazione di servizi e percorsi assistenziali sarà effettuata una importante azione di coinvolgimento del Terzo Settore [32] . Tale coinvolgimento

si evince anche da un corposo elenco degli enti facenti parte della consulta delle associazioni [31]. Tra questi si occupano di disabilità mentale in genere i seguenti

soggetti:

- Cooperativa sociale AGAPE - Cooperativa sociale Ponte - Associazione Autismo Pisa

Per quanto riguarda le strutture private accreditate esistono alcune soluzioni rivolte a soggetti con disabilità mentale, che fanno tutte riferimento alla IRCCS Fondazione Stella Maris; si tratta di:

- Presidio di riabilitazione, Fauglia: struttura residenziale

- Centro Diurno Psichiatrico Subacuto per Adolescenti, Pisa: centro di ricovero

- Istituto di Riabilitazione di Calambrone – Sede Virgo Fidelis: centro di ricovero

Riferimenti

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Costituito da una struttura in acciaio ad alta resistenza, verniciatura protettiva con antiruggine e due mani di smalto (arancione RAL 2004 a richiesta verniciature con