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L'ablazione della fibrillazione atriale parossistica con isolamento delle vene polmonari: accuratezza ed efficienza di due tecniche a confronto.

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DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

L’ABLAZIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE

PAROSSISTICA CON ISOLAMENTO DELLE VENE POLMONARI: ACCURATEZZA ED EFFICIENZA DI DUE TECNICHE A

CONFRONTO

RELATORE Dott.ssa Maria Grazia Bongiorni CORRELATORE Dott. Giulio Zucchelli Candidato

Lorenzo Bartoli

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2 INTRODUZIONE:

La fibrillazione atriale è la più frequente delle aritmie cardiache e l’aumento della sua prevalenza negli ultimi anni, specialmente nelle società occidentali, ha portato alla ricerca di terapie alternative e maggiormente efficaci rispetto al trattamento farmacologico standard.

L’ablazione della fibrillazione atriale con l’isolamento delle vene polmonari è diventata un riferimento nella terapia della stessa aritmia da circa 10 anni. L’end point primario di questa tecnica è rappresentato dalla generazione di una lesione circonferenziale in corrispondenza dell’antro delle vene polmonari, allo scopo di ottenere un completo isolamento elettrico delle stesse. La realizzazione di una lesione continua e a tutto spessore, nonostante il perfezionamento della tecnica, risulta ancora oggi un risultato non sempre raggiungibile. L’utilizzo di cateteri circolari mappanti è da sempre considerato un elemento imprescindibile della metodica, consentendo di identificare gap lungo la lesione circonferenziale ablativa. Il loro impiego comunque si accompagna ad un aumento del costo e dell’invasività della procedura, richiedendo più punture del setto interatriale e talora l’utilizzo di più cateteri all’interno dell’atrio sinistro con aumento del rischio di complicanze quale la perforazione cardiaca e l’ictus periprocedurale.

In tempi più recenti è stata introdotta una nuova tecnica basata sull’isolamento delle vene polmonari con lo scopo di conseguire un blocco bidirezionale con l’utilizzo del solo catetere ablatore, usato al contempo per l’ablazione e per il mappaggio.

SCOPO DELLA TESI:

Lo scopo di questa tesi è stato di valutare la fattibilità di un approccio ablativo della fibrillazione atriale che preveda l’utilizzo del solo elettrocatetere ablatore (tecnica del singolo catetere) allo scopo di isolare elettricamente le vene polmonari e di metterlo a confronto con l’approccio tradizionale che si basa anche sull’utilizzo di un catetere circolare mappante per integrare le informazioni sull’isolamento.

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3 MATERIALI E METODI

Sono stati arruolati con metodica prospettica 40 pazienti sottoposti ad ablazione della FA parossistica tramite isolamento delle vene polmonari con metodica punto-punto e sistema automatizzato di annotazione delle lesioni in un singolo centro ad alto volume ablativo. L’utilizzo del catetere circolare mappante veniva lasciato a discrezione dell’operatore definendo quindi due gruppi di studio: il gruppo 1 nel quale il suddetto catetere veniva utilizzato ed il gruppo 2 nel quale si impiegava solo il catetere ablatore (tecnica del singolo catetere).

In entrambi i gruppi veniva considerato come successo la documentazione dell’isolamento elettrico delle vene polmonari e si procedeva al confronto tra i due gruppi relativamente al tempo di procedura, di fluoroscopia e di radiofrequenza, ai costi, al volume di liquidi ed alle eventuali complicanze, mettendo inoltre in evidenza discrepanze fra le osservazioni effettuate con catetere ablatore e catetere circolare mappante nel gruppo in cui si impiegava anche quest’ultimo.

RISULTATI:

Il successo procedurale veniva raggiunto nel 100% dei pazienti sia nel primo che nel secondo gruppo, mentre non si evidenziavano differenze in termini di complicanze (1 complicanza in ciascun gruppo con una p di 1,0) e volume di liquidi (2715±631,01 ml e 2602±387,14 ml per gruppo 1 e gruppo 2 rispettivamente, con una p di 0,63)

Si osservava un trend nell’ottenere tempi procedurali e di radiofrequenza inferiori nel gruppo 1 rispetto al gruppo 2. Nel primo gruppo infatti si registravano un tempo di radiofrequenza e di procedura medi di 51,93±19,01 min e 189,65±49,11 min rispettivamente, mentre nel gruppo 2 di 57,51±12,57 min e di 209,45±62,28 min. Tuttavia le p risultavano rispettivamente di 0,28 e 0,31, segnalando una mancanza di significatività statistica per queste differenze.

Si notava una diminuzione significativa dei costi e del tempo di fluoroscopia nel gruppo 2, in cui l’ablazione veniva effettuata con la tecnica del singolo catetere.

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In particolare i tempi medi di fluoroscopia erano rispettivamente di 12,14±5,99 min e 9,28±8,25 min nel gruppo 1 e nel gruppo 2, con una p di 0,04.

Al contempo nel gruppo in cui si utilizzava il catetere circolare mappante si è notata in due casi (10%) una discrepanza fra quanto evidenziato dal catetere ablatore e dal catetere circolare nel mappaggio post-ablazione, mettendo in risalto l’elevata importanza che quest’ultimo ha nella procedura ablativa. In 7 vene polmonari (9.4%) il catetere circolare tuttavia non riusciva ad entrare correttamente al loro interno dopo l’ablazione, evidenziando uno dei suoi limiti.

CONCLUSIONI:

L’ablazione della fibrillazione atriale con tecnica del singolo catetere è una metodica che risulta efficace, sicura ed efficiente, che consentirebbe un notevole risparmio in termini economici ed una diminuzione significativa del tempo di fluoroscopia.

Tuttavia il catetere circolare mappante risulta ancora oggi fondamentale in una certa percentuale dei casi, per cui è auspicabile che il suo utilizzo diventi più razionale, evitandone un impiego indiscriminato che comporterebbe solamente un aumento dei costi, del tempo di fluoroscopia, e probabilmente anche delle complicanze per il paziente.

ACRONIMI ED ABBREVIAZIONI:

FA: fibrillazione atriale. ECG: elettrocardiogramma.

RF: radiofrequenza. NYHA: New York Heart Association. CF: forza di contatto. VP: vene polmonari.

CHA2DS2-VASc: scompenso cardiaco, ipertensione, età > 75 (rischio doppio), diabete, stroke/TIA (rischio doppio), patologie vascolari, età 65-75 e sesso.

CAD: coronaropatia. FE: frazione d’eiezione.

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5 INDICE:

1. INTRODUZIONE ... 1.1. Definizione, epidemiologia e costi della fibrillazione atriale... 1.2. Classificazione della fibrillazione atriale... 1.3. Caratteristiche cliniche,complicanze ed impatto sulla qualità di vita...…. 1.4. Fattori di rischio e rischio lifetime... 1.5. Substrato elettrofisiologico della fibrillazione atriale... 1.5.1. Modello elettrofisiologico della fibrillazione atriale ... 1.5.2. Innesco………. 1.5.3. Mantenimento e progressione ... 1.5.4. Associazione con infiammazione………. 1.6. Ablazione transcatetere della fibrillazione atriale e predittori di successo/complicanza… 1.6.1. Indicazioni………...……… 1.6.2. Atrio sinistro e vene polmonari: anatomia normale e sua identificazione e substrato fisiopatologico………... 1.6.3. Isolamento delle Vene polmonari, target alternativi e criteri qualitativi…………... 1.6.3a. Perdita di cattura dello stimolo sulla linea di ablazione (Loss of Pace Capture on the Ablation Line) ………... 1.6.3b. Blocco in uscita………...………... 1.6.4. Tecnologie e Materiali………. 1.6.4a. La radiofrequenza………...………...……… 1.6.4b. La Forza di contatto………...………. 1.6.4c. Sistemi di mappaggio elettroanatomico………. 1.6.5. Gestione periprocedurale del paziente ... 1.6.5a. Monitoraggio temperatura esofagea………...……… 1.6.5b. Prevenzione tromboembolismo ... 1.6.5c. Sedazione ed anestesia ... 1.6.6. Complicanze e mortalità dell’ablazione …... 1.6.7. Recidiva ...

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1.6.8. Metodi alternativi alla radiofrequenza nell’isolamento delle vene polmonari... 2. SCOPO DELLA TESI ... 3. MATERIALI E METODI ... 3.1. Disegno dello studio ... 3.2. Popolazione in studio………. 3.3. Procedura……… 3.3.1. Radiofrequenza con tecnica del singolo catetere…... 3.3.2. Radiofrequenza con catetere circolare mappante…... 3.4. Raccolta dati e metodologia del follow-up………. 3.5. End points e loro valutazione………...………. 3.6. Statistica ... ... 4. RISULTATI ... 4.1. Gruppo uno ... 4.2. Gruppo due………... 4.3. Confronto tra i due gruppi ... 5. DISCUSSIONE ... 5.1. Efficacia ... 5.2. Sicurezza ... ... 5.3. Tempi procedurali ... 5.4. Informazioni aggiuntive ottenute con catetere circolare mappante………. 5.5. Costi... 5.6. Limiti dello studio ... 6. CONCLUSIONI ... 7. TABELLE E GRAFICI ... 8. BIBLIOGRAFIA ... 9. Ringraziamenti...

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7 1. Introduzione

1.1. Definizione, epidemiologia e costi della fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale può essere definita come la più frequente aritmia nella popolazione mondiale, dove con aritmia si intende un disturbo del ritmo del cuore.

In questa patologia si registra un’attività elettrica irregolare e caotica degli atri -ovvero le camere superiori del cuore- cui corrisponde un’altrettanto disorganizzata attività contrattile, comunemente conosciuta appunto come fibrillazione.

A questa attività di contrazione scoordinata delle camere atriali consegue il non corretto pompaggio del contenuto ematico verso i ventricoli, le camere inferiori del cuore, responsabili dell’eiezione del sangue verso la periferia. Il risultato finale è l’assenza di coordinazione fra camere superiori ed inferiori, come dovrebbe accadere in condizioni fisiologiche, con possibili riscontri emodinamici negativi.

Il comportamento di questa patologia nel tempo risulta estremamente variabile, potendo presentarsi sporadicamente se non addirittura come singolo episodio nella vita dell’individuo, oppure divenire una patologia cronica e costante.

Da un punto di vista elettrocardiografico, la si può identificare con una registrazione ECG o con un elettrocardiogramma intracardiaco o entrambe le metodiche. L’episodio deve avere delle specifiche caratteristiche ed essere registrato con un ECG a 12 derivazioni. Misurazioni con metodi diversi devono avere una durata minima di 30 secondi, intervallo di tempo stabilito in base a precedenti Consensus e utilizzato anche come durata minima per identificare gli episodi di recidiva/ricorrenza1,2,3.

Per quanto concerne le caratteristiche ECG di diagnosi3 queste sono date da:

1. Intervalli RR irregolari in assenza di blocco atrioventricolare completo. 2. Onde P non distinguibili.

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Relativamente all’epidemiologia innanzitutto si può affermare che la FA

risulti una delle maggiori cause al mondo di ictus su base cardioembolica4,5,

scompenso cardiaco5, morte improvvisa ed altre morbidità di tipo

cardiovascolare.

Peraltro va detto che mentre possiamo attenuare il rischio di ictus cardioembolico negli individui affetti da fibrillazione atriale attraverso un trattamento anticoagulante, non si può dire lo stesso per quanto concerne il

rischio di scompenso cardiaco o di morte cardiaca improvvisa6.

Le stime evidenzierebbero una prevalenza del 3% nella popolazione di età pari o superiore a 20 anni con valori più alti -incidenza inclusa- nei paesi

sviluppati 7: in Europa e negli Stati Uniti un adulto di mezz’età su quattro

svilupperà FA8.

In un’analisi condotta nel 20107, basata su una review di altri studi di

incidenza della fibrillazione atriale nella popolazione condotti fra il 1980 ed il 2010 nelle regioni cosiddette “Global burden of disease”, si conclude che la prevalenza, incidenza e mortalità associata ala fibrillazione atriale risultino in aumento in suddetto frangente temporale, con un numero stimato di persone affette al 2010 di 33,5 milioni di individui, di cui 20,9 uomini e 12,6 donne. Nello stesso lasso di tempo si è avuto un incremento dell’influsso negativo da parte della FA sulla qualità della vita nei pazienti affetti, misurato come DALYs (disability adjusted life-years), con aumenti del 18,8% nel sesso maschile, ed un 18,9% nel sesso femminile.

Nel sesso maschile si è passati da una prevalenza di 569,5 ed un’incidenza annua di 60,7 su 100.000 nel 1990, a valori rispettivamente di 596,2 e 77.5 nel 2010. Un incremento è avvenuto ugualmente nel sesso femminile, dove nel 2010 abbiamo avuto una prevalenza ed un’incidenza annua rispettivamente di 373,1 e 77,5, a fronte di valori di 359,9 e 43,8 registrati nel 1990.

La mortalità associata alla fibrillazione atriale risulta più elevata fra gli individui di sesso femminile e nel periodo che va dal 1990 al 2010 si è assistito ad un incremento di 2 e 1,9 volte fra uomini e donne rispettivamente.

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La prevalenza risulta maggiore nella popolazione anziana ed in presenza di patologie predisponenti come ipertensione, diabete, insufficienza renale cronica ed altre condizioni, per una cui più esaustiva trattazione si rimanda al paragrafo del testo in cui parleremo dei fattori di rischio della patologia. L’aumento della prevalenza della malattia può essere attribuito ad una migliore capacità di identificare la fibrillazione atriale -soprattutto le forme che indichiamo come “silenti”- , ad un aumento della prevalenza di patologie predisponenti alla FA -che al contempo siamo in grado di trattare e spesso di cronicizzare in maniera più efficiente- nonché ad un aumento dell’età media

della popolazione mondiale.7

Per dare un’idea del impatto che, già ora rilevante, aumenterà nei prossimi anni, basti pensare che entro il 2030, si stima vi saranno nella sola Europa dai 14 ai 17 milioni di casi di FA con un’incidenza annua di 120-215.000 su

milione.9

In un altro studio del 2013 si stima che dal 2010 al 2060, il numero degli adulti con età pari o superiore a 55 anni colpiti da FA è destinato ad aumentare di oltre il doppio, con un notevole impatto sanitario senz’altro correlato alle

numerose comorbidità sopracitate che vanta questa malattia10.

Si ritiene che in Italia il costo medio della gestione del paziente con FA sia di

3.000-3.200 euro all’anno11, mentre per quanto riguarda il Regno Unito si

hanno dati che identificherebbero la FA come la causa dell’1% della spesa

sanitaria nazionale12. I costi sono associati alla patologia ed alle sue

conseguenze dirette e non. Considerando la futura crescita esponenziale dell’incidenza della malattia nella popolazione risulta inevitabile affermare nuovamente la necessità di trovare delle metodiche nuove in grado di prevenire o trattare tempestivamente la fibrillazione atriale diminuendone, tra le altre cose, anche i notevoli costi.

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1.2. Classificazione della fibrillazione atriale

I riferimenti comunemente riconosciuti per la classificazione di questa patologia sono dati da tre differenti linee guida redatte dalle maggiori società mondiali di cardiologia ed aritmologia.

Queste risultano concordi nell’utilità di individuare delle classi di malattia in relazione alla durata degli episodi di fibrillazione atriale1,2,3

Le categorie così ottenute sono:

1. FA di primo riscontro: il primo episodio di fibrillazione atriale identificato, indipendentemente dalla durata dell’aritmia o dall’eventuale presenza e gravità dei sintomi. Non è detto che sia effettivamente il primo episodio in assoluto, tuttavia è il primo documentato.

2. FA parossistica: FA ricorrente (almeno due episodi) ciascuno della durata inferiore ai sette giorni, che regredisce spontaneamente o con intervento farmacologico.

3. FA persistente: quando la durata degli episodi risulta di almeno sette giorni.

Esistevano delle differenze nella classificazione della fibrillazione atriale parossistica e persistente a seguito di ripristino del ritmo sinusale mediante cardioversione: le linee guida AHA/ACC/HRS 2014 ed ESC 2016, definiscono infatti come persistente una FA della durata di almeno sette giorni e parossistica un’aritmia di durata inferiore, a prescindere da eventuali terapie utilizzate. Nel documento HRS/EHRA/ECAS del 2012 invece, si consigliava di considerare come parossistica una FA cardiovertita entro 48 ore dalla sua insorgenza e persistente una FA della durata di almeno sette giorni o cardiovertita oltre l’intervallo delle 48 ore, anche se di durata totale inferiore ai sette giorni. Questa definizione tuttavia è stata abbandonata nel documento emesso a maggio 2017 dalle stesse società.

Infine, all’interno dei documenti sopracitati possiamo trovare anche le due seguenti categorie:

4. FA di lunga durata (long-lasting): una fibrillazione di almeno un anno, qualora venga portata avanti una terapia di controllo del ritmo.

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5. FA permanente: nel caso in cui l’aritmia venga accettata dal medico e dal paziente e, per definizione, non siano più messi in atto tentativi terapeutici di controllo del ritmo. Se successivamente si tentasse un intervento funzionale al ripristino del ritmo sinusale, questa forma di FA verrebbe riclassificata come FA di lunga durata.

Inoltre nella recentissima Consensus HRS, EHRA, ECAS, APHRS, SOLAEC di maggio 2017 si è proceduto alla definizione di una nuova categoria:

6.Early persistent AF: indicata come una FA della durata superiore ai 7 giorni ma inferiore ai 3 mesi.

Quest’ultimo gruppo risulterebbe particolarmente interessante perché indicherebbe una sottopopolazione con un’outcome migliore a seguito della procedura di ablazione, rispetto ad individui affetti da FA da più di 3 mesi.

Se il paziente risulta affetto contemporaneamente da episodi di FA parossistica e persistente, ne si classifica la fibrillazione atriale a seconda di quale delle due tipologie risulti la più frequente. Vi è da dire che spesso non vi è una corrispondenza biunivoca fra rilevazioni ECG e definizione clinica della FA.

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1.3. Caratteristiche cliniche, complicanze e impatto sulla qualità di vita Una delle caratteristiche più variabili fra pazienti affetti da fibrillazione atriale è sicuramente la clinica.

Mentre molti possono risultare perfettamente asintomatici o con sintomi estremamente lievi -in genere risulta asintomatica una percentuale di pazienti

variabile dal 15 al 30%13,14- altri riportano sintomi debilitanti per frequenza o

per intensità. Inoltre anche nel singolo paziente possiamo registrare degli

episodi asintomatici affiancati da episodi sintomatici15.

La sintomatologia della FA varia in rapporto alla risposta ventricolare, allo stato generale del paziente nonché in relazione alla durata della malattia, alla sua sovrapposizione con altre patologie cardiache e alla percezione del

singolo individuo16. Preme osservare che studi su discrete coorti di pazienti

effettuate con l’uso di dispositivi impiantabili abbiano messo in evidenza la frequente assenza di un vero episodio di FA quando il paziente in realtà ne

accusava i sintomi, con una vera e propria sorta di dissociazione17

La patologia risulta asintomatica soprattutto nei casi di FA parossistica, anche a fronte di episodi particolarmente duraturi, ovvero intorno alle 48 ore. Allo stesso tempo possiamo affermare, come sottolineato dallo studio ALFA, che i pazienti con una condizione di fibrillazione atriale parossistica risultino Figura 1 Frequenza dei sintomi in relazione al tipo di Fa, seguendo lo studio ALFA di Levy S et al. The college of French cardiologists. Circulation. 1999; 99:3028–3035.

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essere più sintomatici rispetto ai pazienti con una fibrillazione di tipo

persistente o permanente18.

Da un punto di vista emodinamico, come già riportato in precedenza, la fibrillazione atriale si contraddistingue per la perdita del contributo atriale ai ventricoli, una mancata coordinazione atrio-ventricolare e, in caso di alte frequenze trasmesse ai ventricoli, una tachicardiomiopatia, responsabile di una graduale progressione verso lo scompenso cardiaco.

Una contrazione atriale inefficace causa una riduzione del 15-20% della gittata cardiaca; se questa condizione di per sé non risulta particolarmente compromissiva -non si registrano notevoli cambiamenti della pressione sistolica- il suo impatto può risultare pesante in caso di ulteriore riduzione del riempimento ventricolare o della gittata sistolica, come in caso di stenosi mitralica, nell’ipertensione arteriosa, nell’ipertrofia ventricolare e nella cardiomiopatia restrittiva.

L’irregolarità del ciclo cardiaco inoltre, specie a fronte di una fibrillazione atriale ad elevata risposta ventricolare, può determinare una riduzione del tempo di riempimento diastolico, con diminuzione di volume sistolico e quindi della portata cardiaca19,20.

Per quanto concerne i sintomi più importanti, questi possono variare notevolmente. I sintomi tipici della fibrillazione atriale sono dati dalle palpitazioni -che tuttavia risultano un sintomo poco specifico associato alle aritmie in generale- dispnea, dolore e costrizione toracica. Fenomeni meno frequenti sono la letargia, la poliuria, lo sbandamento fino a lipotimia o sincope. Meno specifiche sono astenia, difficoltà a dormire, stress psicosociale 15,21.

Mentre i meccanismi patogenetici che portano al sintomo delle palpitazioni nei pazienti con FA ed aritmie in generale deve essere ancora chiarito, più approfondita invece risulta la nostra conoscenza delle altre manifestazioni della patologia.

La sensazione di dolore e di costrizione toracica sarebbero la conseguenza di un’anomalia nella perfusione miocardica nonché di un alterato movimento cardiaco.22

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La poliuria risulterebbe una diretta conseguenza della distensione delle pareti atriali a causa dell’incremento del volume ematico all’interno dell’atrio

sinistro del paziente23; tutto ciò causerebbe il rilascio di peptide natriuretico

atriale (ANP), responsabile dell’incremento della diuresi del paziente24.

Sbandamento, lipotimia e sincope sono dei sintomi poco comuni. Alla loro insorgenza parteciperebbero vari cofattori: sempre maggiori evidenze vi

sarebbero a sostegno della disfunzione autonomica25. Importante inoltre

sarebbe il malfunzionamento del nodo seno atriale, con possibili pause, al momento della riconversione a ritmo sinusale, della durata sufficiente per portare a fenomeni lipotimici o sincopali. Infine può causare un fenomeno sincopale/pre-sincopale la contemporanea presenza, come già affermato in precedenza, di una FA con un’elevata risposta ventricolare e di altre cardiopatie come per esempio una cardiomiopatia ipertrofica, una stenosi

valvolare aortica o una pre-eccitazione da vie accessorie1,2,3. In caso di

assenza di questi cofattori, raramente la fibrillazione atriale può determinare fenomeni lipotimici o sincopali.

Dispnea, astenia e riduzione della capacità di compiere sforzi fisici sono presenti in almeno la metà dei pazienti. I meccanismi emodinamici che causano la riduzione della portata cardiaca sono già stati analizzati; in aggiunta possiamo dire che vi è evidenza, nel corso degli di episodi di FA, di un aumento della pressione atriale sinistra che, ripercuotendosi sul circolo

polmonare, potrebbe determinare dei lievi episodi di edema polmonare26.

Anche in questo caso inoltre abbiamo la compartecipazione dei fattori che abbiamo già citato nell’analisi delle cause degli episodi sincopali. Infine, dispnea, astenia e ridotta capacità di esercizio potrebbero essere la conseguenza della disfunzione ventricolare sinistra e dello scompenso cardiaco, derivanti dalla FA nel lungo termine.

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Come già evidenziato precedentemente, il tromboembolismo è la più tipica complicanza grave legata alla FA, aumentando di circa 5 volte il rischio di ictus. Lo stesso ictus inoltre appare essere più grave che nel resto della popolazione.

Come riferimento per la patogenesi della trombosi atriale abbiamo il modello

classico della triade di Virchow27, che vede la trombosi come una diretta

conseguenza di stasi/turbolenza ematica, danno endoteliale, ipercoagulabilità o una combinazione di questi tre elementi. Il fenomeno della trombosi nel corso di FA viene in particolar modo descritto a livello dell’auricola sinistra e sarebbe per lo più conseguenza della stasi ematica in corrispondenza delle pareti cardiache, dovuta ad un’inefficace contrazione dell’atrio. Alla ripresa della normale attività cardiaca, questi trombi vengono quindi immessi in circolo, determinando embolizzazioni a livello sistemico, con particolare predilezione per il circolo cerebrale.

Sicuramente interessanti, anche per possibili nuovi futuri approcci terapeutici, le nuove teorie patogenetiche che metterebbero in evidenza un meccanismo alla base del tromboembolismo più ampio e complesso. Nello specifico in questi nuovi modelli si pone enfasi sul fatto che la fibrillazione causi un continuo rimodellamento a livello atriale, con una prosecuzione della cardiopatia atriale e quindi un ulteriore aumento del rischio tromboembolico. Al contempo, gli stessi fattori di rischio sistemici che contribuiscono alla patogenesi della fibrillazione, determinano l’insorgenza ed evoluzione di altri fenomeni patologici, come l’aterosclerosi delle grosse arterie, la disfunzione sistolica del ventricolo sinistro e l’occlusione di piccoli vasi cerebrali, che incrementano il rischio di tromboembolia ma anche di ictus nello specifico. Una volta poi avvenuto l’ictus si hanno cambiamenti della funzione del sistema nervoso autonomo ed un’infiammazione sistemica post-ictale che portano ad un aumento del rischio di recidiva nel breve termine in modo transitorio. Questo modello sarebbe oltremodo importante per dare una

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Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco le due patologie risultano strettamente correlate, incrementando l’una il rischio dell’altra e finendo di conseguenza per coesistere frequentemente nello stesso paziente. Inoltre entrambe le patologie presentano un importante fattore di rischio comune ovvero l’età avanzata, che viene raggiunta da sempre più individui nelle società occidentali.

Il rischio di scompenso appare triplicato dalla presenza di FA, mentre la prevalenza della stessa aritmia nella popolazione affetta da scompenso va da meno del 10% dei pazienti di classe NYHA I al 50% dei pazienti in classe NYHA IV.

Le basi patogenetiche dell’insorgenza dello scompenso cardiaco nel corso della fibrillazione atriale sono la perdita della sincronia atrioventricolare nonché l’elevata frequenza di contrazione ventricolare. Tuttavia lo scompenso cardiaco si realizzerebbe nel lungo termine anche in pazienti con una frequenza normale o bradicardica, probabilmente a causa di un’irregolarità dell’R-R e dell’attivazione dei fenomeni di rimodellamento cardiaco29.

Sottolineiamo infine che sempre maggiore importanza viene attribuita all’impatto della malattia sulla qualità di vita, con possibilità di

miglioramento con terapia sia farmacologica che interventista 30,31. Sarà

quindi importante condurre studi epidemiologici per confrontare l’impatto sulla qualità di vita dei vari trattamenti. Per il momento possiamo comunque affermare che varie indagini non avrebbero evidenziato sostanziali differenze fra strategie per il controllo del ritmo e per il mantenimento del ritmo sinusale.32,33

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17 1.4. Fattori di rischio e rischio lifetime

Seguendo quanto affermato nella review dello studio Framingham del 2004 -ad oggi quindi con tutta probabilità le stime devono essere riviste in eccesso- il rischio lifetime di sviluppare fibrillazione atriale sarebbe di 1 su 4 negli individui di sesso maschile o femminile di età superiore ai 40, mantenendosi comunque alto -1 su 6- anche in caso di assenza di precedenti diagnosi di

scompenso cardiaco o di infarto del miocardio.34

Per quanto concerne i fattori di rischio, anzitutto preme ricordare come la FA si possa manifestare come disordine isolato o come conseguenza di altre malattie, non necessariamente cardiache.

In relazione alla FA come disordine isolato, o almeno in assenza di altre manifestazioni patologiche direttamente correlate, si è soliti fare riferimento a questa condizione come fibrillazione atriale isolata o, seguendo la terminologia anglosassone, “lone atrial fibrillation”. Questa è genericamente indicata come una FA in individui di età inferiore ai 60/65 anni senza nessuna causa apparente. Tuttavia oggi si tende ad utilizzare meno una tale definizione, essendo possibile identificare sempre più frequentemente una

causa anche in tali casi.35

Volendo fare una rapida panoramica dei fattori di rischio, questi sono da ricercare sia nel patrimonio genetico dell’individuo sia al di fuori di esso.

Sulla familiarità possiamo dire che in genere avere un parente di primo grado affetto comporta un raddoppio del rischio di sviluppare la malattia e genitori affetti avrebbero un rischio superiore rispetto a genitori sani di avere dei figli

malati36. Sebbene il rischio genetico-familiare sia da ricercare in una

ereditarietà poligenica, sono state descritte anche delle forme monogeniche, perlopiù correlate a sequenze codificanti canali ionici. Analisi di linkage group hanno identificato la regione 4q25, codificante il fattore di trascrizione

PITX2, come locus di suscettibilità37. Altri loci importanti sono KCNE238,

KCNQ139 e Kir2.140

L’età e il sesso sono i due fattori di rischio più importanti della fibrillazione atriale. Relativamente all’età è sufficiente notare di come la prevalenza della patologia raddoppi per ogni decade di vita. Per quanto riguarda invece

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l’influenza del sesso, gli individui maschi hanno un rischio 1.5 volte superiore

di sviluppo della malattia rispetto al sesso femminile41.

L’associazione con l’ipertensione risulta invece più modesta (rischio relativo di 1.2–1.5), anche se ciò è nettamente controbilanciato dall’enorme prevalenza che questa patologia vanta nella popolazione generale, tant’è che si ritiene che l’ipertensione sia alla base del 14% dei casi di fibrillazione atriale. Recentemente sarebbe stata fatta una correlazione anche con valori

pressori preipertensivi (130–139 mm Hg).42

Le patologie valvolari cardiache sono correlate ad un rischio di 1.8 e 3.4 di sviluppo della FA rispettivamente nel sesso maschile e nel sesso femminile. I rischi maggiori sono dati da patologie valvolari del cuore di sinistra, soprattutto dalla malattia reumatica e seguono una relazione dose-risposta con la gravità della stenosi43.

L’associazione con lo scompenso cardiaco è già stata discussa in precedenza.

Le cardiopatie congenite sono una frequente causa di tachiaritmie atriali, le quali risultano una delle principali cause di morbilità ed ospedalizzazione nei

pazienti affette da esse44. Fra le varie cardiopatie congenite, quelle che più

frequentemente predispongono alla FA sarebbero i difetti settali, l’anomalia di Ebstein, la Tetralogia del Fallot e il cuore univentricolare. Sebbene le cardiopatie congenite predispongano alla FA anche in età avanzata, in questa sottopopolazione la manifestazione dell’aritmia risulta essere molto più precoce rispetto alla popolazione in generale.

Per quanto concerne la patologia coronarica, possiamo limitarci a dire di come in studi recenti sia stata notata un’aumentata prevalenza, nella

popolazione affetta da FA, di patologia coronarica ostruttiva e non.45

L’associazione con l’obesità è demarcata dal fatto che per ogni punto in più

di BMI si ha un incremento del rischio di FA dal 3% al 7%46. Peculiare la

correlazione con il grasso pericardico: quest’ultimo infatti non solo condivide con il cuore parte dell’irrorazione vascolare, ma sarebbe metabolicamente attivo e produrrebbe citochine proinfiammatorie in grado di causare l’insorgenza della FA. Il valore del suo spessore viene correlato con un

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19

Sempre per quanto concerne alterazioni di peso e metaboliche, anche la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (obstructive sleep apnea syndrome (OSAS)), che è contraddistinta da episodi ipossici notturni con massivi rilasci di catecolamine, è associata alla FA con un incremento del rischio di sviluppo di quest’aritmia di 4-6 volte negli affetti. Peraltro i pazienti che soffrono di FA sono esposti ad un rischio doppio, rispetto al resto della popolazione, di risultare affetti da OSAS.

In questo contesto ciò ci interessa in particolar modo perché la mancata correzione dell’OSAS si associa ad un aumento del rischio di recidiva di FA dopo ablazione, mentre la sua correzione porterebbe ad un miglioramento

della FA sotto numerosi punti di vista.48

La FA risulta più frequente nei pazienti con insufficienza renale cronica, con

un rischio che aumenta con la gravità della patologia49.

Per quanto concerne le sostanze d’abuso, l’alcool è un potente induttore della FA in diversi modi: al di là della “sindrome del cuore in vacanza”, dove abbiamo l’induzione di un episodio di FA acuta parossistica da parte di un’assunzione di alcol abbondante ed in un breve lasso di tempo, in generale l’elevato consumo (≥36 g/d) è associato con un rischio aumentato della

malattia50,51. Soltanto recentemente vi è stata anche una correlazione con

l’uso di tabacco, con una relazione dose-risposta ed un aumento di recidiva

nel caso di ablazione transcatetere52,53.

Il diabete mellito porta ad un rischio di 1.4-1.6 volte superiore al resto della popolazione, con valori più alti per diabete di lunga durata e soprattutto con scarso controllo. Del resto pare naturale la correlazione con questa malattia che si associa ad obesità, stato infiammatorio sistemico, disfunzione

autonomica e tutte le loro conseguenze.54

L’ipertiroidismo conferisce un rischio 3-6 volte superiore rispetto alla popolazione eutiroidea di sviluppare la patologia, con un’apparente correlazione lineare fra diminuzione del livello del TSH e rischio di FA. Ciò è probabilmente dovuto ad un aumento del tono β-adrenergico e da un’azione diretta degli ormoni tiroidei sui cardiomiociti che ritroviamo a livello delle

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L’attività fisica è forse il fattore di rischio che mostra l’associazione più interessante: se un’attività fisica moderata può apportare beneficio all’individuo non solo per quanto concerne la FA, ma anche dal punto di vista cardiovascolare generale, sport di resistenza o ad alti livelli di performance possono al contrario aumentare il rischio, che triplica addirittura a fronte di un totale di più di 1500 h di attività, con una maggiore possibilità di recidiva dopo ablazione transcatetere. Inoltre i parossismi si presentano con una frequenza aumentata in contesti di riposo e quindi di prevalenza di tono vagale (pasti, riposo etc.)56.

1.5. Substrato elettrofisiologico della fibrillazione atriale

Descriviamo quindi il substrato elettrofisiologico della FA, le sue basi e la sua evoluzione nel corso del tempo.

1.5.1. Modello elettrofisiologico della fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale avrebbe origine da una serie di cambiamenti strutturali ed elettrofisiologici nella compagine dell’atrio sinistro, diretta conseguenza dell’influsso di fattori che nel tempo agirebbero a carico del cuore. Questi fattori possono essere non solo estrinseci ma anche intrinseci, ovvero dipendenti dalla genetica dell’individuo.

La fisiopatologia di questo fenomeno può essere scomposta in tre momenti fondamentali: l’innesco -in genere sotto forma di fibrillazione atriale parossistica-, il mantenimento e la progressione verso una forma di lunga

durata (long-lasting)57; ognuna di queste tre fasi ha la propria dignità, venendo

influenzata da suddetti fattori in modo indipendente l’una dall’altra. Non tutti i pazienti peraltro presentano un esordio con FA parossistica, potendo manifestare sin da subito, per esempio, una forma persistente.

1.5.2. Innesco

La Fibrillazione atriale può essere generata da circuiti di rientro o da focolai ectopici ad alta frequenza di scarica. L’elemento responsabile dell’insorgenza viene spesso identificato con il termine di Driver. La scoordinata attività

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elettrica atriale che notiamo in questa patologia è il risultato della risposta irregolare dell’atrio stesso all’attività del driver. Per quanto concerne i circuiti di rientro preme notare come questi possano essere multipli, varianti nello spazio e nel tempo, oppure essere rappresentati da un singolo elemento stabile; vi è da dire che in genere il termine Driver viene riservato per i focolai di attività ectopica o per i circuiti di rientro che agiscono da soli, non per le

situazioni in cui invece si hanno multipli circuiti di rientro58. Questi ultimi

infatti verrebbero chiamati in causa soprattutto nelle fasi avanzate della fibrillazione partecipando ai meccanismi di mantenimento e progressione.

Un Driver può vedere un incremento della propria frequenza di scarica fino al raggiungimento di un limite, oltre il quale le onde si frammentano a fronte di porzioni dell’atrio non più in grado di mantenere una conduzione 1:1, determinando un’attività atriale irregolare; questo fenomeno è noto come conduzione fibrillatoria ed è caratterizzato dall’attivazione del tessuto atriale

con cicli di lunghezza variabile59.

In genere la fibrillazione atriale parossistica può essere la conseguenza di un driver localizzabile all’interno della muscolatura antralizzata di una o più vene polmonari, in corrispondenza di quella che, in termini tecnici, viene indicata come “sleeve” della vena. In meno del 10% dei casi siamo in grado di identificare dei focolai alternativi alle vene polmonari dai quali originerebbe la FA. I principali sarebbero dati dalla vena cava superiore, dai fasci muscolari del legamento di Marshall, dal tetto dell’atrio sinistro e dalla

muscolatura del seno coronarico3.

I cardiomiociti di queste sedi, in modo simile alle cellule del nodo senoatriale, presentano uno scarso accoppiamento elettrico con il tessuto circostante; in questo modo risultano meno facilmente raggiungibili da correnti ripolarizzanti diastoliche derivate dalle cellule adiacenti, mantenendo il proprio potenziale di membrana a valori non particolarmente negativi, vicini alla soglia per la formazione del potenziale d’azione (PDA); inoltre per questo loro relativo isolamento, anche piccole correnti sono in grado di causare notevoli alterazioni del potenziale di membrana, portando al superamento di suddetta soglia60.

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22

Una volta insorta, la stessa fibrillazione favorirebbe una serie di cambiamenti strutturali (ATR, atrial tachycardia induced remodeling) nella muscolatura atriale, responsabili del mantenimento e della progressione della patologia e tali da rendere insufficiente il ricorso all’ablazione tramite isolamento delle vene polmonari per trattare forme della stessa aritmia più avanzate -persistente e permanente-. In questi casi infatti si renderebbero necessari pattern di ablazione sempre più complessi.

Questi cambiamenti in particolare andrebbero a riguardare sia la struttura

cardiaca, sia canali ionici61 e a seguito della terminazione della fibrillazione

atriale tali fenomeni risulterebbero in parte reversibili (reverse modeling)58.

Preme notare che suddetti cambiamenti vengono indotti e mantenuti anche dalle varie concause analizzate in precedenza, le quali possono favorire l’insorgenza ma anche la persistenza della stessa fibrillazione.

Figura 2: Meccanismi di innesco, mantenimento e progressione della FA. Da Yu-ki Iwasaki, Kunihiro Nishida et al. Atrial Fibrillation Pathophysiology. Implications for Management. Circulation. 2011; 124:2264-2274.

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23 Attività focale ectopica:

Dopo la ripolarizzazione a seguito di un potenziale d’azione, il potenziale di riposo delle cellule atriali è mantenuto grazie alla corrente di K+ attraverso i canali rettificanti interni (IK1). Questa, in condizioni fisiologiche, controbilancia abbondantemente la corrente pacemaker (If), presente normalmente in qualsiasi cellula cardiaca.

Alterazioni dell’equilibrio fra corrente pacemaker e corrente di potassio con potenziamento della prima ed indebolimento della seconda, possono causare un aumento dell’automatismo.

Un’altra delle modalità principali di realizzazione di aumentato automatismo ectopico è la generazione di una post-depolarizzazione precoce (Early afterdepolarizations, EDA). Questa sarebbe data, durante la fase di ripolarizzazione, dal prolungamento della durata del potenziale d’azione, a causa di un precoce recupero dal periodo refrattario dei canali del Ca di tipo L, con il mantenimento della corrente interna di ioni Ca2+(ICaL). Questo peraltro sarebbe anche il meccanismo di genesi di episodi di FA precoci nella sindrome del QT lungo.

Possibili anche delle post-depolarizzazioni tardive (Delayed

afterdepolarization, DAD), indotte durante la diastole da un rilascio anomalo di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico attraverso i canali indicati con Recettori della Rianodina (RyRs), i quali sono normalmente attivati dall’ingresso del calcio a livello citosolico. Suddetto rilascio anomalo potrebbe essere favorito se il reticolo sarcoplasmatico risulta sovraccarico di Ca2+ o se il canale risulta essere difettivo. Il calcio citosolico aumentato quindi verrebbe scambiato con 3 ioni Na+ dell’ambiente extracellulare attraverso lo scambiatore Na+-Ca2+, portando ad una depolarizzazione della membrana (questa corrente peculiare verrebbe indicata come corrente transitoria interna -transient inward current [Iti]-). Ad oggi le DADs sono considerate il meccanismo probabilmente più importante dell’attività focale ectopica, risultando indotte sia da polimorfismi del gene RyR, sia soprattutto dallo scompenso cardiaco che, come detto, è una delle principali cause della FA57,58.

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24 Rientro:

Come già affermato, il meccanismo del rientro può basarsi su circuiti singoli o multipli. In genere questi circuiti favoriscono l’insorgenza della conduzione fibrillatoria o perché uno di essi scarica con una frequenza eccessivamente elevata allo stesso modo di un focolaio ectopico (in questo caso quindi si parla di Driver), o perché essi divengono la base per circuiti di rientro anomali. I circuiti di rientro multipli sarebbero la base delle forme di FA più avanzate, estrinsecandosi dagli eventuali driver preesistenti a causa di un rimodellamento elettrico ed anatomico dell’atrio indotto sia da fattori

preesistenti all’aritmia, sia dall’aritmia stessa62. Ciò sarebbe evidenziato

dall’incremento del numero dei circuiti di rientro nei pazienti con un’aritmia long-standing.

I circuiti si creerebbero per una combinazione di dilatazione atriale e fibrosi che genererebbero percorsi di propagazione più lunghi, con una velocità di conduzione più contenuta ed ostacoli al loro interno, i quali porterebbero ad un nuovo equilibrio fra elementi di refrattarietà e di eccitabilità con l’innesco e il mantenimento dei circuiti di rientro. Un circuito di rientro può mantenersi se le dimensioni dello stesso sono maggiori della lunghezza d’onda,

impedendo il contatto testa-coda del circuito e il suo esaurimento63.

Si distinguono rientri di tipo anatomico e di tipo funzionale con possibili situazioni miste.

In un rientro anatomico l’onda circumnaviga un ostacolo ineccitabile e fisso (ad esempio una cicatrice miocardica) e genera un circuito dalle

caratteristiche stabili (localizzazione e lunghezza).

Nei rientri di tipo funzionale invece, si avrebbe un potenziale prematuro unidirezionale, circolante perifericamente ad un nucleo refrattario ma non fisso. Questo nucleo sarebbe generato dall’intrinseca eterogeneità elettrofisiologica atriale in termini di eccitabilità, refrattarietà, velocità di conduzione e ripolarizzazione e non da un ostacolo di tipo anatomico. I circuiti funzionali sono instabili e di dimensioni contenute e l’onda di

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I circuiti di rientro si stabiliscono seguendo una specifica lunghezza d’onda, (WL ossia wavelenght) data dalla distanza che viene coperta dall’impulso nella durata di un periodo refrattario (RP, ovvero refractory period).

La lunghezza d’onda può essere calcolata usando la seguente equazione: WL=RP x CV,

con Cv indicabile come velocità di conduzione64

Quanto più breve risulta la lunghezza d’onda o il periodo refrattario, tanto più elevato risulta il numero dei circuiti di rientro simultanei che albergano all’interno della struttura atriale.

Come sappiamo il periodo refrattario è dato dal lasso di tempo fra il passaggio del potenziale d’azione e il momento in cui la cellula ritorna al valore di -60mV e diviene nuovamente eccitabile. L’insorgenza del potenziale d’azione dipende dai canali del Na+, i quali funzionano in genere con un potenziale di membrana di -60 mV. Correnti di Na+ e Ca2+ in ingresso portano ad un aumento della durata del potenziale d’azione, al contrario dell’aumento delle correnti di K+ in uscita.

I determinanti della velocità di conduzione invece sono:

 Le correnti interne della fase 0, in particolare del Na, le quali forniscono l’energia per la conduzione.

 La connexina delle gap junctions, la quale favorisce il flusso elettrico nel muscolo cardiaco.

L’incremento quindi delle correnti del K+, o una diminuzione delle correnti del Ca2+, causerebbero una diminuzione della durata del potenziale d’azione e del periodo refrattario, promuovendo così la genesi di circuiti di rientro allo

stesso modo delle disfunzioni della connexina o delle correnti del Na+58.

L’analisi del fenomeno di rientro tramite questa formula risulta importante, perché essa può essere applicata per l’interpretazione dei principali modelli di funzionamento dei fenomeni di rientro multipli, ad oggi ritenuti una delle principali modalità di genesi o di mantenimento della FA. Questi modelli sono dati dalla teoria del leading circle, della spiral wave reentry e della conduzione anisotropa da parte della parete atriale.

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26

Da un punto di vista storico si cominciò a parlare di circuiti di rientro multipli nel 1959, quando Moe et al. descrissero la “multiple wavelet hypothesis”. Questa teoria per prima introdusse il concetto secondo cui la conduzione fibrillatoria potesse risultare dalla compresenza di multipli circuiti di rientro, che si generavano solo a fronte di adeguate caratteristiche atriali (fibrosi, dimensioni atriali, e caratteristiche elettrofisiologiche del tessuto in generale).65 Straordinaria fu la realizzazione di un modello al computer della fibrillazione atriale basato su questa teoria, con notevoli somiglianze alla fibrillazione atriale umana e che permise a Moe e colleghi di affermare la necessità di un numero minimo critico di circuiti di rientro, compreso fra 15 e 30, per impedire il rientro dell’aritmia66.

Allesie67 e colleghi fornirono evidenze sperimentali all’ipotesi di Moe e formularono la prima delle tre teorie suddette, ovvero la leading circle. Questa

prevede che un fronte d’eccitazione ruoti intorno ad un core ineccitabile e non delineabile anatomicamente. La velocità dell’onda e la sua lunghezza verrebbero influenzate dalle caratteristiche elettrofisiologiche del tessuto cardiaco. Dal fronte d’onda originerebbero altre onde di eccitazione. Alcune di queste, dirigendosi centrifugamente, favorirebbero l’attivazione del miocardio circostante; altre invece si dirigerebbero centripetamente e sarebbero fondamentali per il mantenimento della refrattarietà del core del circuito. Il core risulterebbe semplicemente una barriera funzionale, simulando quello che sarebbe il comportamento di una barriera anatomica come potrebbe essere una cicatrice. Sebbene come detto in precedenza, un circuito di rientro si mantiene nel momento in cui non si ha un contatto testa-coda, in questo modello la lunghezza d’onda dell’impulso e quella del circuito risultano uguali, con la testa quindi che arriva a sfiorare la coda, ma senza determinare la chiusura del circuito stesso; in questo modo si delineerebbe il circuito di rientro di dimensioni più piccole in assoluto, nel quale risulta impossibile identificare dei gap eccitabili. Circuiti più ampi, senza questa notevole vicinanza fra testa e coda dell’onda, sarebbero possibili ma causerebbero, con le loro onde centrifughe, un’attivazione atriale a frequenza

più contenuta 68,69. La teoria della leading circle comunque, per quanto

efficace nel carpire alcuni aspetti della fibrillazione atriale, sarebbe insufficiente per la spiegazione della notevole complessità della stessa aritmia.

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Figura 2: A: esempio generico di circuito di rientro. B: rientro secondo la teoria della leading circle. Da Jonathan W Waks and Mark E Josephson. Mechanisms of Atrial Fibrillation – Reentry, Rotors and Reality. Arrhythm Electrophysiol Rev. 2014 Aug; 3(2): 90–100.

Il modello della spiral wave reentry sarebbe d’aiuto nell’approfondire ulteriormente la complessità del fenomeno della FA. Secondo tale teoria si realizzerebbe una zona di blocco funzionale, la cui costituzione dipenderebbe dalla curvatura dell’onda, detta per l’appunto spiral wave o rotor. Attorno a questa zona di blocco si muoverebbe il centro dell’onda, anche in questo caso detto core. Infatti la posizione del core, definita come filamento, può rimanere stabile, collegandosi eventualmente ad un elemento di blocco anatomico,

oppure muoversi. La forma

tridimensionale dell’onda viene

indicata come scroll-wave, ed al contrario dei circuiti di rientro visti finora, non avrebbe una conformazione circolare, bensì curva o spiraliforme; la testa e la coda dell’onda si incontrerebbero in un punto specifico chiamato phase singularity (PS) e l’onda presenterebbe una velocità incostante. A differenza della zona Figura 3: Immagine di un Rotor. Da Jonathan W

Waks and Mark E Josephson. Mechanisms of Atrial Fibrillation – Reentry, Rotors and Reality. Arrhythm Electrophysiol Rev. 2014 Aug; 3(2): 90– 100

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centrale della teoria della leading circle, quella dell’onda della teoria della spiral wave reentry risulta eccitabile ma non viene stimolata. Infatti dalla periferia verso il centro l’onda aumenta la sua curvatura, determinando il fenomeno del “source-sink mismatch”: la corrente dell’onda, source, non è in grado di saturare la capacità del tessuto che ha innanzi, sink, non riuscendo a depolarizzarlo, poiché in corrispondenza del punto della massima curvatura, ovvero della phase singularity, avrebbe una velocità di conduzione troppo limitata69. La variabilità della posizione del core può essere giustificata da questo comportamento particolare dell’onda. I potenziali del rotor, dirigendoci dal centro verso la periferia, possono interagire con regioni adiacenti di tessuto atriale, dando origine a fenomeni di conduzione fibrillatoria.

La formazione dei rotors può essere favorita sia da elementi di tipo anatomico -come cicatrici-, sia dalle caratteristiche di anisotropia della conduzione atriale. Il rotor si genera nel momento in cui un impulso incontra un ostacolo,

frammentandosi nel fenomeno del vortex shedding70. Infine nei pressi delle

vene polmonari o di altre regioni eterogenee di tessuto atriale, questi circuiti

potrebbero divenire fissi -rotors stabili-71.

I rotors sono di particolare interesse, in quanto la loro ablazione risulta uno degli obiettivi verso i quali oggi si sta spingendo la comunità scientifica; i

risultati più interessanti probabilmente vengono dagli studi CONFIRM72,

portato avanti da Shivkumar et al., e PRECISE73, di Narayan et al., con

risultati molto promettenti. Questi studi però sarebbero stati smentiti o comunque non confermati da successive esperienze ed in ogni caso ulteriori approfondimenti saranno necessari.

Quando parliamo di conduzione anisotropa infine, più che parlare di una teoria relativamente alla genesi dei fenomeni di rientro, stiamo facendo riferimento alle caratteristiche di conduzione del tessuto miocardico, le quali non risulterebbero uguali nelle varie direzioni dello spazio. Tutto ciò sarebbe dovuto semplicemente al differente orientamento delle fibre miocardiche, nonché alla loro variabile reciproca connessione. Questa caratteristica può essere ulteriormente incrementata dai fenomeni di rimodellamento e fibrosi atriale. Soprattutto in queste condizioni di amplificazione, la conduzione

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29

anisotropa parteciperebbe alla genesi di fenomeni di rientro, accentuando

quelle caratteristiche elettrofisiologiche favorevoli ad essi 69,74.

Ruolo del sistema nervoso autonomo nella fibrillazione atriale:

Sia il sistema nervoso simpatico che parasimpatico sono coinvolti nella FA75,

anche se vi sarebbe una notevole variabilità di contributo da parte di ciascuno da paziente a paziente. Importante è evidenziare una maggiore sensibilità dei cardiomiociti delle vene polmonari agli stimoli autonomici, nonché un incremento del tono adrenergico seguito da un’altrettanto vigorosa risposta vagale poco prima dell’innesco di una fibrillazione atriale parossistica.

Gli atri vengono innervati sia dal sistema nervoso autonomo centrale (pre-ganglionare), sia dal sistema autonomo intrinseco del cuore, rappresentato da gruppi di gangli, noti come plessi ganglionati (PG), che possiamo identificare in specifici cuscinetti adiposi epicardici e lungo il legamento di Marshall. Questi sono concentrati in particolar modo in corrispondenza delle giunzioni fra vene polmonari ed atrio sinistro e rappresentano la connessione fra il sistema nervoso autonomo centrale ed intrinseco del cuore.

La partecipazione del sistema nervoso autonomo alla patogenesi della fibrillazione atriale si realizzerebbe attraverso l’alterazione del periodo refrattario del tessuto miocardico, l’aumentata attività di trigger di focolai ectopici76 e l’aumento in generale della vulnerabilità del tessuto atriale nei confronti dell’aritmia77.

In modelli animali lo stimolo vagale permette alla FA di mantenersi, qualora

questa comunque avesse già avuto origine grazie ad altri stimoli78. Un

elemento importante potrebbe essere dato dai PG che, stimolati, produrrebbero brevi scariche ripetitive di battiti irregolari nelle adiacenti VP79.

Importante comunque sarebbe la compartecipazione fra attività simpatica e parasimpatica, agendo soprattutto sul cuore affetto da anomalie strutturali la

prima e sul cuore sano la seconda80.

Dagli studi di Katritsis e colleghi81 sembrerebbe esservi un beneficio nel

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contemporanea ablazione dei plessi ganglionati nei pressi delle stesse, mentre altri studi avrebbero identificato un beneficio nel blocco farmacologico dei plessi82.

Peraltro, a causa della notevole vicinanza dei plessi alle vene polmonari, si può ipotizzare che nel corso dell’isolamento della procedura ablativa si verifichi in parte una distruzione dei plessi stessi.

1.5.3. Mantenimento e progressione

Ribadiamo il concetto che, una volta iniziata, la FA può esaurirsi autonomamente in breve tempo, altrimenti vari fattori possono agire consentendo il suo mantenimento nonché la sua progressione.

Abbiamo già detto anche che sia la stessa aritmia, sia fattori preesistenti a questa ma che ne hanno favorito l’insorgenza, sono responsabili dell’avanzamento della patologia, basato in larga parte sul rimodellamento della struttura cardiaca.

Il rimodellamento:

Sebbene il rimodellamento cardiaco possa partecipare all’innesco della patologia, il suo ruolo è preponderante in relazione al mantenimento ed alla progressione della FA.

Per rimodellamento si intende un processo in risposta a fattori stressogeni, il cui significato naturale risulterebbe il mantenimento dell’omeostasi. Tuttavia nel tempo questo può risultare più pernicioso che benefico per l’organismo.

Il rimodellamento amplifica l’anisotropia naturale del tessuto atriale e proprio per questo motivo, in questo contesto, si preferisce parlare di rimodellamento aritmogenico, che può essere scomposto in rimodellamento elettrico,

strutturale e neurale/autonomico58.

Il rimodellamento elettrico è basato su un’alterata espressione e/o funzione dei canali ionici. In particolare, l’elevata frequenza di stimolo della parete atriale durante la fibrillazione atriale causerebbe un incremento dei livelli del Ca2+ intracitosolici con l’attivazione di meccanismi di protezione basati sulla diminuzione della corrente in ingresso del calcio (ICaL) ed un aumento della corrente rettificante interna del K+. Ciò porta ad un decremento della durata

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del potenziale d’azione con stabilizzazione dei cosiddetti Rotors, un aumento

del release diastolico del Ca2+ dal reticolo e lo stimolo di attività ectopica83.

Il rimodellamento strutturale invece è dato dall’ipertrofia e apoptosi dei cardiomiociti, nonché soprattutto dalla fibrosi. Questa rimpiazza i cardiomiociti andati incontro a morte e separa le fibre muscolari rimanenti, rallentando la propagazione elettrica a causa di un’interferenza con i normali

meccanismi di conduzione84. Sempre maggiore interesse vi è relativamente ai

fibroblasti, alla loro capacità di accoppiarsi elettricamente ai cardiomiociti -rallentandone così la velocità di conduzione- e alla loro possibilità, quando di numero aumentato, di promuovere fenomeni di rientro o di attività ectopica. Infine i fibroblasti possono esercitare sui cardiomiociti un’azione paracrina per mezzo di AGTII e TGF1.

Nella patogenesi della fibrosi i fattori angiotensina II (AGTII) e il fattore di crescita trasformante β1 (TGFβ1) sembrano avere un ruolo preponderante, favorendo la conversione dei fibroblasti in miofibroblasti. A livello intracitosolico il cambiamento che porta a queste modifiche fenotipiche dei fibroblasti è sostanzialmente una diminuzione di miRNA-26, alla quale consegue un aumento della proteina TRPC3 (transient receptor potential channel 3) con ingresso di calcio attivante le chinasi che rispondono a stimoli extracellulari. Al contempo il canale per il potassio Kv1.5 subisce una diminuzione quantitativa che pure parteciperebbe ai cambiamenti strutturali dei fibroblasti. Inoltre si ha l’aumento dell’espressione di Nav 1.5, che

potrebbe contribuire all’aritmogenicità del tessuto atriale57.

In un futuro non troppo lontano vi potranno essere forse degli avanzamenti terapeutici in grado di agire sui canali ionici di membrana dei fibroblasti stessi, modulando la sintesi del collagene e i meccanismi elettrici

aritmogeni.85 Occorre notare che la fibrosi può essere indicata come un ottimo

predittore di risposta alla terapia 83,86.

Il rimodellamento neurale/autonomico infine non è di minore importanza. Abbiamo già discusso in precedenza del ruolo del sistema nervoso autonomo nella patogenesi della fibrillazione atriale. Sembrerebbe che nel lungo termine

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la scarica vagale sia in grado di promuovere un’up regulation della corrente del K+ acetilcolina dipendente (IKACh), causando una riduzione della durata

dei potenziali d’azione e stabilizzando in questo modo gli eventuali rotori87.

L’attivazione dei recettori adrenergici invece aumenterebbe la perdita di Ca2+ e promuoverebbe attività elettrica ectopica tramite i già citati DAD, ovvero postdepolarizzazioni tardive, attraverso l’iperfosforilazione dei

recettori della rianodina RyR2s88. In modelli animali inoltre è stata

identificato un aumento dell’innervazione autonomica indotta dalla stessa

fibrillazione atriale, contribuendo alla persistenza dell’aritmia89,90.

Sarebbe importante caratterizzare i pazienti uno ad uno in maniera tale da identificare, proprio in base al rimodellamento autonomico, coloro che possano beneficiare al meglio di una procedura di ablazione a carico anche

dei plessi ganglionati, come evidenziato in precedenza91.

Dobbiamo tenere in considerazione anche un cambiamento nel metabolismo cellulare e nell’attività degli ormoni atriali e una riprogrammazione genetica in senso fetale, tutti elementi che partecipano al rimodellamento strutturale,

funzionale, elettrico, ma anche ad un rimodellamento metabolico92.

Figura 4: Rimodellamento elettrico e strutturale. Da Iwasaki YK, Nishida K, Kato T, Nattel S. Atrial fibrillation pathophysiology: implications for management. Circulation. 2011 Nov 15;124(20):2264-74.

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Una menzione a parte meritano il contributo dello stiramento atriale nonché dell’infiammazione.

Per quanto riguarda stiramento e dilatazione atriale, basti pensare che la FA è solita presentarsi, andando quindi incontro a fenomeni di progressione e mantenimento, a fronte di elevati valori di pressione nelle camere atriali, come nelle valvulopatie, nell’ipertensione o nello scompenso cardiaco. La dilatazione che ne consegue infatti va ad influire sulle meccaniche

elettrofisiologiche dell’atrio, in un fenomeno detto feedback

elettromeccanico, con ipertrofia miocitaria ed addirittura un’influenza sui

canali di membrana, con un aumento della corrente Ical, una diminuzione della

ITO, nonché un aumento del rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico93.

Questi cambiamenti porterebbero ad una diminuzione del periodo refrattario, della durata dei potenziali d’azione e della velocità di conduzione fino a veri

e propri blocchi di conduzione intra-atriali94. Uno studio avrebbe evidenziato

di come le giunzioni fra le vene polmonari e l’atrio di sinistra divengono sito di genesi di rotori nel momento in cui la pressione in atrio raggiunge il valore

di 10 cm H2O95.

Parliamo infine del ruolo della stessa Fa nella sua patogenesi. Come già detto in precedenza, l’aritmia gioca un ruolo non secondario nei suoi processi di mantenimento e progressione, attraverso l’induzione di meccanismi di rimodellamento atriale che vengono indicati come fenomeno della “FA atriale che conduce alla FA” -secondo la terminologia anglosassone “AF begets AF”96-.

All’interno del contesto atriale le VP in particolare appaiono suscettibili al rimodellamento indotto da FA, portando ad una rivisitazione dell’espressione “AF begets AF” in “Atrial fibrillation begets atrial fibrillation in the

pulmonary veins”97 .

I meccanismi di rimodellamento sarebbero vari e dopo il ripristino del ritmo sinusale le alterazioni indotte possono perdurare per un intervallo di tempo dipendente dalla durata della FA, risultando non sempre totalmente reversibili98.

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Per quanto concerne il rimodellamento elettrico, questo comincerebbe già nelle prime ore di FA -al contrario del rimodellamento strutturale- e sarebbe dato soprattutto dall’alterazione dell’espressione dei canali ionici con una

diminuzione della corrente Ical del Ca2+99.

Nonostante ciò si registra, nelle fibrillazioni atriali di lunga data, un sovraccarico citosolico di Ca2+ causato dalle alte frequenze di stimolo atriale (effetto treppe); la down-regulation dei canali del calcio L-type con

conseguente diminuzione della corrente ICaL è probabilmente una risposta al

suddetto sovraccarico92. Numerosi sono i fattori che inducono la fuoriuscita

diastolica casuale di calcio dal reticolo sarcoplasmatico, capace di determinare postdepolarizzazioni.

Questi elevati livelli di Ca2+, insieme alle proteine AGTII e i ROS promuovono l’attività di PKA e CamKII, che fosforilano Ryr2. Il recettore rianodinico diviene così più sensibile al calcio, con una maggior probabilità di apertura del canale51. CAMKII e PKA fosforilano anche il fosfolambano, riducendo la sua attività di inibizione del trasportatore SERCA, che può in questo modo continuare a pompare indisturbatamente grandi quantità di Ca2+ all’interno del RS. RyR2 in questo modo, sensibilizzato nei confronti del calcio e contemporaneamente da esso circondato in gran copia, ha un’alta probabilità di apertura casuale durante la diastole, con il rilascio di discrete quantità dello stesso ione. Il Ca2+ quindi, attraverso lo scambiatore NCX, la cui attività è incrementata dai ridotti livelli di energetici conseguenti alle alte frequenze atriali, possono determinare una corrente depolarizzante che, se raggiunge la soglia, porta all’attivazione di potenziali d’azione con

conseguente proaritmogenicità e disfunzione contrattile88.

Altri elementi da considerare sono:

1. L’incremento della corrente rettificante interna del K+, indotta da un aumento del canale Ik1 ad opera di una riduzione dei miRNA come il mir-26 che sono responsabili della repressione della traduzione di Kir2.1 e di

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2. Il rimodellamento delle gap-junction, dato da un aumento dell’espressione e distribuzione della connessina-43 e da un’eterogenea

distribuzione della connessina-40, con alterazioni della conduzione101.

3. L’ischemia atriale secondaria all’elevata frequenza cardiaca, che potrebbe

portare all’attivazione dello scambiatore Na+/H+102. L’aumento della

frequenza infatti porta ad un maggior fabbisogno metabolico, ad una diminuzione del tempo di perfusione miocardica e di diastole -con decremento del riempimento ventricolare e quindi della gittata sistolica-. 4. L’infiammazione determinata dalla stessa FA, il cui ruolo verrà descritto

nel paragrafo seguente.

5. Infine l’induzione di stiramento, dilatazione e la fibrosi atriale.

A questi vari cambiamenti conseguono una diminuzione del periodo refrattario, della durata del potenziale d’azione e il fenomeno della “restituzione anomala”, caratterizzato dal mancato cambiamento della durata del potenziale d’azione in risposta al variare della frequenza. Il rimodellamento elettrico innescato dall’elevata frequenza è spazialmente eterogeneo, incrementando la disomogeneità elettrica degli atri.

1.5.4. Associazione della FA con l’infiammazione

Per quanto concerne l’infiammazione nella FA l’argomento è reso interessante anche per i possibili prospetti terapeutici.

Innanzitutto l’infiammazione nel corso della FA potrebbe avere numerose

cause, estrinseche ed intrinseche al cuore103.

Per quanto concerne le cause estrinseche, diverse patologie sistemiche sono associate con un’infiammazione sottesa e livelli ematici di citochine proinfiammatorie aumentati che potrebbero facilitare l’insorgenza della

fibrillazione atriale (CAD, ipertensione e diabete)104,105. Fra le varie

condizioni citate, ancora non chiaro sarebbe l’apporto della ipertensione arteriosa alla patogenesi della FA tramite infiammazione, con dimostrazioni che sono state effettuate solo in modelli animali le quali hanno evidenziato

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36

L’infiammazione inoltre potrebbe essere indotta da procedure chirurgiche

nonché da parte dell’ablazione stessa107,108.

Per quanto concerne invece i meccanismi infiammatori intrinseci a livello del cuore, se vi sia anche la partecipazione di un processo autoimmune questo non risulta ancora chiaro. Alcuni autoanticorpi, come quelli contro il recettore muscarinico M2 dell’acetilcolina e contro le Heat Shock Proteins sono state

associate con la FA109,110, tuttavia risulta ancora da chiarire se essi possano

essere una possibile concausa oppure una conseguenza della FA. Sicuramente si nota, a seguito dei fenomeni di dilatazione atriale che abbiamo descritto in precedenza, l’attivazione di processi flogistici, a causa dell’induzione del

sistema RAAS e della produzione di specie reattive dell’O2 e

metalloproteinasi della matrice (MMPs)111.

Polimorfismi di molecole, come l’IL-1, che sono responsabili della regolazione dei livelli ematici delle citochine infiammatorie, risultano

associate indipendentemente alla FA.112

Inoltre in pazienti con FA isolata abbiamo infiltrati linfomonocitari e necrosi

miocardica 113, mentre nella FA in generale si registra un aumento dei valori

ematici di vari elementi proinfiammatori -CRP, HSP β1, IL‑ 6, IL‑ 8, e TNF-

e dei neutrofili.114. Questi vanno incontro a decremento dopo che il cuore

dell’individuo viene ricondotto ad una situazione di ritmo sinusale, a meno

che il paziente non veda una precoce ricorrenza della stessa aritmia115.

I valori elevati di PCR addirittura sono stati messi in relazione alla predizione

della futura insorgenza della FA116,117.

La fibrillazione può quindi promuovere l’infiammazione, che fa parte di quei meccanismi con cui la stessa aritmia, inducendo il rimodellamento atriale, favorisce il suo stesso mantenimento e progressione, nel cosiddetto fenomeno

della “FA atriale che conduce alla FA”97.

Parte della reazione infiammatoria della FA atriale sarebbe conseguenza del danneggiamento dei cardiomiociti a causa del sovraccarico di Ca2+, con il rilascio da parte di questi di DAMP in grado di indurre una risposta

immunitaria118. Ciononostante il preciso meccanismo dell’infiammazione

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