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Le azioni revocatorie e la scissione di società

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÀ

D

I

P

ISA

D

IPARTIMENTO

D

I

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO

DI

LAUREA

MAGISTRALE

IN

G

IURISPRUDENZA

Le azioni revocatorie e la scissione di

società

Candidato:

Federico Cerboni

Relatore:

C.mo Prof. Francesco Barachini

(2)

I

NDICE

I

NTRODUZIONE

……….………IV

C

APITOLO

1: L’

AZIONEREVOCATORIADEGLIATTIDIDESTINAZIONE

1. Il patrimonio come entità unitaria e indivisibile. La “rivoluzione copernicana” e

la teoria “oggettiva della responsabilità”.

2

2. Tentativo di ampliare la categoria generale degli atti di destinazione. Una

possi-bile catalogazione. Gli atti di destinazione e l’”equivalenza funzionale”.

6

3. Le azioni revocatorie come presidio contro gli abusi. La struttura dell’azione

re-vocatoria ordinaria e le azioni revocatorie della L.F.: un necessario approfondimento.

13

4. (Prime) conclusioni.

21

5. Gli atti di destinazione in senso stretto tipici e atipici (cenni).

23

6. Un’applicazione pratica: il fondo patrimoniale come paradigma degli atti di

des-tinazione in senso stretto ed il suo rapporto con le azioni revocatorie.

25

7. L’importante apporto dei patrimoni destinati ex art. 2447-bis ss. nello studio del

rapporto tra gli atti di destinazione e le azioni revocatorie: in particolare il rapporto

tra opposizione ed azione revocatoria nella tutela dei creditori.

28

8. L’azione revocatoria del conferimento in società: il superamento della natura del

conferimento per l’esperibilità dell’azione. La risoluzione del conflitto assiologico tra

tutela dei creditori e destinazione all’attività. La differenza tra inefficacia ed invalidità.

Il requisito della scientia damni nel soggetto collettivo.

(3)

C

APITOLO

2: L

ASCISSIONE DISOCIETÀ

1. L’ordinanza n. 1033 del 20 marzo 2018 della Corte di Appello di Napoli ed il

rin-vio pregiudiziale alla CGUE della questione sulla revocabilità della scissione

soci-etaria. Rassegna degli orientamenti contrastanti.

42

2. La scissione di società dal d.lg. n. 22/1991, ad oggi. La struttura della fattispecie

ed il rapporto con la fusione.

47

3. Il tortuoso dibattito sulla natura della scissione: in particolare l’eterno contrasto

tra la teoria c.d. “traslativa” e quella c.d. “organizzativa”.

52

4. Il superamento dell’impostazione classica del problema e la proposta di una

teo-ria “conciliativa”. La continuazione logica del dibattito sugli atti di destinazione e

l’in-serimento concettuale della scissione nel sistema del diritto societario “ad attività”.

L’atto di scissione come “atto di destinazione attributivo”.

55

5. La lesione dell’art. 2740 c.c. come elemento sufficiente per assumere una

po-sizione assiologica sulla revocabilità: il richiamo all’«equivalenza funzionale».

64

6. La meritevolezza dell’interesse perseguito ed il suo rapporto con la relazione

degli amministratori prevista all’art. 2501-quinquies.

68

7. Il primo ostacolo alla revocabilità della scissione: l’art. 2504-quater. Il problema

interpretativo della differenza tra invalidità e inefficacia.

(4)

C

APITOLO

3: L

E AZIONIREVOCATORIEELASCISSIONE DISOCIETÀ

1. I rimedi endosocietari e la revocatoria della scissione: l’opposizione dei creditori

(art. 2503), un ostacolo (non) insormontabile.

85

2. (Segue) La responsabilità solidale per le obbligazioni della scissa (artt. 2506-bis,

comma 3 e 2506-quater, comma 3) ed il risarcimento del danno (art. 2504-quater

com-ma 2): l’ulticom-ma barriera pricom-ma del giudizio di ammissibilità dell’azione.

94

3. Il giudizio sull’onerosità dell’operazione: elemento chiave sia per la revocatoria

ordinaria, che per le revocatorie previste dalla legge fallimentare.

102

4. Analisi del requisito della scientia fraudis in rapporto agli atti di destinazione: lo

stato di consapevolezza soggettivo e l’intento fraudolento.

106

5. La scientia fraudis e le società alla luce delle recenti tendenze legislative: gli

“as-setti adeguati” e le procedure d’allerta. Conclusioni: l’estensione della tutela ai

“credi-tori successivi” e la definitiva ammissibilità della revoca“credi-toria della scissione, sia

ordi-naria che fallimentare.

111

(5)

I

NTRODUZIONE

In questo elaborato si tenta di offrire una panoramica il più esaustiva possibile su

un problema molto attuale, come quello riguardante la possibilità di agire con

l’azione revocatoria del codice civile o con le azioni revocatorie previste dalla legge

fallimentare, sull’operazione straordinaria della scissione di società.

In assenza (ed in attesa) di una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, è

stato operato, dalla Corte di Appello di Napoli, un rinvio pregiudiziale ex art. 276

TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, volto a chiedere

un’interpretazione delle norme comunitarie da cui deriva la nostra disciplina in tema

di scissione, con particolare attenzione ai punti più controversi su cui poggia il

corposo dibattito sull’ammissibilità del rimedio revocatorio.

Tale dato, che rende l’idea dell’importanza del problema, ha suscitato il mio

interesse verso un argomento su cui gradualmente si sono poste sempre più

attenzioni. Ciò che balza all’occhio, osservando l’esperienza pratica (ed il suo

impatto sulla giurisprudenza) è che spesso la scissione, invece che per perseguire il

fine per cui è stata introdotta nel nostro sistema dal legislatore, viene utilizzata come

scorciatoia per distrarre cespiti (e ridurre proporzionalmente la garanzia prevista

dall’art. 2740, comma 1 c.c.), in frode al ceto dei creditori.

Proprio partendo da questo dato empirico e nel tentativo di porre rimedio alla

confusione dettata dal mancato coordinamento delle polarizzate posizioni

ermeneutiche (solo accennate e su cui avremo modo di soffermarci ampiamente), si

proverà a tracciare una strada innovativa, orientata al superamento di alcune delle

problematiche più aspre, nell’ottica di dimostrare l’utilizzabilità dell’actio pauliana

nei confronti di un’operazione di scissione.

A tal fine, cercheremo, di dare una corretta collocazione teorica della scissione,

ragionando in modo analogico con quegli istituti che, per vari motivi, assumono

profili di somiglianza con quello in questione.

Nel primo capitolo - quindi - ci soffermeremo in primis sugli atti di destinazione,

tentando di fornire una definizione generale adeguata alla progressiva imposizione di

questi nel nostro sistema ed orientata ad uno sviluppo rivolto all’approfondimento

delle tematiche relative alla scissione. In particolare concentreremo i nostri sforzi

(6)

nell’ambito di due tematiche importanti: da un lato al rapporto tra atti di destinazione

e perseguimento di interessi meritevoli di tutela e dall’altro lato attingendo alla

“rivoluzione copernicana” di P. Ferro-Luzzi, proveremo a far rientrare le società (e

poi in un secondo momento la scissione) nel discorso sugli atti di destinazione; solo

successivamente, proprio per la somiglianza tecnica precedentemente accennata, ci

soffermeremo sui problemi relativi alla revocabilità degli atti di destinazione, un

dibattito non ancora definitivamente compiuto da cui, però, estrapoleremo importanti

indicazioni. Il concetto chiave della nostra ricerca, funzionale al rapporto tra atti

destinazione e azione revocatoria, sarà quello dell’«equivalenza funzionale» tra atti

di disposizione tradizionalmente concepiti ed atti di destinazione.

Nel secondo capitolo, invece, partiremo proprio dall’ordinanza di rinvio della

Corte d’appello di Napoli, per poi proseguire al graduale approfondimento della

natura della scissione (su cui il dibattito è tanto vivo, quanto agguerrito), fino ad

approcciarci con i primi ostacoli relativi alla compatibilità della scissione con le

azioni revocatorie.

Nell’ultimo capitolo, continueremo ad esaminare in modo rigoroso tutti i

maggiori ostacoli all’ammissibilità delle azioni revocatorie nei confronti della

scissione societaria, concentrando le nostre attenzioni su una questione a nostro

avviso dirimente, ovvero l’incapacità del micro-sistema di rimedi endosocietari

(opposizione ex art. 2503 c.c., responsabilità solidale delle beneficiarie ex art.

2506-quater, comma 3 e risarcimento del danno ex art. 2504-2506-quater, comma 2), di

garantire una tutela effettiva in tutti quei casi in cui l’operazione di scissione, anziché

volta al perseguimento di un interesse meritevole di tutela, sia posta in essere per

finalità meramente elusive e fraudolente; infine, per concludere, ci orienteremo su un

ragionamento più approfondito, rivolto - in chiave evolutiva - ad aggiornare e

coordinare l’azione revocatoria con il sistema del diritto societario, con specifico

riferimento agli atti di destinazione ed alla componente soggettiva dei requisiti

dell’actio pauliana.

(7)

CAPITOLO I

L’

AZIONE

REVOCATORIA

DEGLI

ATTI

DI

DESTINAZIONE

1. Il patrimonio come entità unitaria e indivisibile. La “rivoluzione copernicana” e

la teoria “oggettiva della responsabilità”. - 2. Tentativo di ampliare la categoria

generale degli atti di destinazione. Una possibile catalogazione. Gli atti di

desti-nazione e l’”equivalenza funzionale”. - 3. Le azioni revocatorie come presidio

con-tro gli abusi. La struttura dell’azione revocatoria ordinaria e le azioni revocatorie

della L.F.: un necessario approfondimento - 4. (Prime) conclusioni. - 5. Gli atti di

destinazione in senso stretto tipici e atipici (cenni). - 6. Un’applicazione pratica: il

fondo patrimoniale come paradigma degli atti di destinazione in senso stretto ed il

suo rapporto con le azioni revocatorie. - 7. L’importante apporto dei patrimoni

des-tinati ex art. 2447-bis ss. nello studio del rapporto tra gli atti di destinazione e le

azioni revocatorie: in particolare il rapporto tra opposizione ed azione revocatoria

nella tutela dei creditori. - 8. L’azione revocatoria del conferimento in società: il

su-peramento della natura del conferimento per l’esperibilità dell’azione. La

risoluzione del conflitto assiologico tra tutela dei creditori e destinazione all’attività.

La differenza tra inefficacia ed invalidità. Il requisito della scientia damni nel

soggetto collettivo.

(8)

1. Il patrimonio come entità unitaria e indivisibile. La “rivoluzione copernicana”

e la teoria “oggettiva della responsabilità” - L’art. 2740 c.c. nella sua formu

1

-lazione: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi

beni presenti e futuri” sancisce il principio dell’universalità della responsabilità

pat-rimoniale del debitore, al quale si affiancava, nella ricostruzione dogmatica, quello

dell’unitarietà del patrimonio. Assunto, poi, che tutto il sistema del diritto privato si

costruiva sul pilastro del diritto soggettivo per eccellenza (il diritto di proprietà), in

ossequio alla c.d. “teoria soggettiva” della responsabilità, si tendeva a collegare a

tutto ciò l’idea per cui ad un soggetto (detentore di un’unica personalità), non si

potessero che riferire beni afferenti

un solo ed unico patrimonio : pareva dunque che

2

patrimonio (come «monolitico blocco» ) e “soggetto biologicamente esistente” fos

3 4

Il primo comma sancisce questo principio cardine, attenuato al secondo comma in cui si

1

dice: “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”. L’evoluzione normativa ha provocato una rottura (ed un superamento) della rigidità imposta da questo articolo. Per quanto riguarda le società (persona giuridica) si deve stare attenti a non confondere il patrimonio con il capitale. Se si intende il capitale come quel «numero che detta regole», la funzione di garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. è rivestita dal patrimonio netto e non dal capitale, P. SPADA, Un numero che detta regole, in Rivista del

notariato, n. 3, 2014, p. 448 ss. «la funzione di garanzia, poi, non è né può essere assolta -

almeno nella prospettiva della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) - dalle attività patrimoniali che fungono da contropartita del capitale nominale, perché queste sono un netto rispetto alla somma algebrica tra attività e passività; sicché, se di funzione di garanzia vuol parlarsi, deve aversi consapevolezza che se ne parla non in senso giuridico ma profano: se nel patrimonio del debitore c’è un netto, le probabilità di capienza dei creditori sono, grosso modo, superiori». Per un’analisi approfondita del punto, soprattutto per una critica al “sis-tema del capitale” come tutela del ceto creditorio, M. MIOLA, La tutela dei creditori ed il

capitale sociale: realtà e prospettive, in Rivista delle società, n. 2-3, 2012, p. 237 ss. Tutto

un valore inverso dà alla questione M. GALLETTI, Analitica della responsabilità

patrimoni-ale e principio di proporzionalità, in Giustizia Civile, n. 1, 2019, p. 161 ss. che attribuisce

invece il compito di garanzia al capitale. G. FERRI JR, Patrimonio, capitale e bilancio, in

Diritto delle società di capitali, Manuale Breve, 2003, p. 5 s. e Struttura finanziaria dell’im-presa e funzioni del capitale sociale, in Rivista del notariato, n. 4, 2008, p. 741 ss.parla di funzione di garanzia del “patrimonio sociale”. G. B. PORTALE, Lezioni pisane di diritto

commerciale, a cura di Francesco Barachini, 2014, p. 51 ss., spiega come ormai il pensiero

per cui il capitale agisse in funzione di garanzia verso i creditori sia superato e si riconosca, piuttosto, al capitale la funzione produttiva.

G.B. PORTALE, Società a responsabilità limitata senza capitale sociale e imprenditore indi

2

-viduale con “capitale destinato” (Capitale sociale quo vadis)?, in Rivista delle società, n. 6,

2010, p. 1237 ss. richiama le origini francesi di questa concezione, importata poi nel nostro ordinamento, e la attribuisce a due trattatisti francesi: Aubry e Rau.

L’efficace espressione è una citazione di A. PIRAS, Le nuove frontiere della unipersonalità

3

societaria: Saturno non divorerà più i suoi figli?, in Il nuovo diritto delle società. Liber ami-corum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, n. 1, 2006, p. 352.

Espressione presa in prestito da L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001,

4

(9)

sero due concetti inscindibili .

5

Questi dogmi, di risalente origine storica, sono stati progressivamente messi in

discussione:

1. intanto dal progressivo emergere, nel nostro sistema, di istituti , con cui si con

6

-sente al debitore di agire sulla garanzia generica - riducendola - attraverso l’ap

7

L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 10 ss. «Allargando così, sul

5

-la scorta di tale necessità culturale il campo di osservazione viene spontaneo registrare -la lettura tradizionale (e dominante) dell’art. 2740, comma 1, lettura secondo cui - notoria-mente - la sfera di garanzia patrimoniale del debitore è delimitata dalla titolarità, imputata a quest’ultimo dei diritti soggettivi e primo fra tutti il diritto di proprietà». Il superamento del-la lettura in questione è sancito anche da C. ANGELICI, Introduzione alla riforma delle

soci-età di capitali, in Il nuovo diritto delle socisoci-età, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, n. 1, 2006, p. 16 s.

L. CALVOSA, Fondo patrimoniale e fallimento, in Quaderni di giurisprudenza commer

6

-ciale, 2003, p. 1 ss. a riguardo sostiene che questa linea scelta dal legislatore sia determinata

da scelte di politica del diritto: si tende a privilegiare lo svolgimento di certe attività e di conseguenza la circolazione della ricchezza, a discapito della tutela “tradizionale” del credi-tore.

A. PIRAS, Le nuove frontiere della unipersonalità societaria: Saturno non divorerà più i suoi

figli?, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, n. 1, 2006, p. 337 ss. evidenzia che questo fenomeno sia stato

determi-nante anche per l’ammissione nel sistema della società unipersonale a responsabilità limita-ta, che si è posta nella scia di tutta una serie di altri fenomeni di separazione patrimoniale.

D. SPAGNUOLO, Fondo patrimoniale e nuove forme di limitazione della responsabilità pat

7

-rimoniale: azione revocatoria e tutela dei creditori del disponente, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 1, 2015, p. 7 ss. sostiene che gli interventi normativi più recenti hanno di fatto

imposto di rivalutare la responsabilità patrimoniale, alla luce della disgregazione del princi-pio di unitarietà del patrimonio. Da ultimo, sottolinea, che l’ingresso nel sistema dell’art. 2645-ter, che legittima i negozi atipici di segregazione del patrimonio, ha ampliato enorme-mente il perimetro dell’autonomia negoziale, delimitato solo dalla meritevolezza dello scopo. In modo conforme - seppur viziati da una visione molto soggettivistica - si esprimono anche D. GALLETTI, Stato passivo o riparto? La “frantumazione” dell’idea di

responsabil-ità, in Rivista dell’esecuzione forzata, n. 4, 2018 p. 653 dice che «l’unicità ed universalità

del patrimonio del debitore è sempre più stretto d’assedio dall’irrompere di fenomeni giuridici che mettono in crisi la generalità di quell’asserto, ed insieme con esso anche la mai prima discussa imperatività di norme che ne costituiscono tipicamente attuazione, come il dogma della responsabilità patrimoniale del debitore, necessariamente estesa a tutti i beni che compongono il patrimonio di costui, presenti come futuri (art. 2740 c.c.)». e MI. B IAN-CA, Vincoli di destinazione del patrimonio, Enciclopedia Giuridica, 2007, p. 181 ss.,

sotto-lineando il rapporto tra patrimoni destinati e responsabilità evidenzia come «la fattispecie del patrimonio separato individua (…) un complesso di beni che formano un nucleo a sé stante nel patrimonio del debitore che, in forza di uno specifico vincolo di destinazione, è sottratto dalla funzione di garanzia svolta dal restante patrimonio generale, essendo riservato al soddisfacimento di dati creditori». A. MORACE PINELLI, Struttura dell’atto negoziale di

destinazione e del trust, anche alla luce della legislazione fiscale, ed azione revocatoria, in Contratto e impresa, n. 2, 2009, p.459 ss. «La separazione patrimoniale costituisce l’effetto

(10)

posizione vincoli di opponibilità (verso i terzi) per il perseguimento di uno

8

scopo predeterminato;

2. poi, soprattutto, dagli studi in materia di società, in particolare quelli sulla natura

del contratto di società .

9

Fondare il ragionamento soltanto sui primi non porterebbe ad esiti soddisfacenti

perché, per quanto eversivi rispetto al modello prefigurato, non consentono di

oltrepassare la concezione “proprietaria” del patrimonio.

L’occasione più dirompente si prospetta, invece, con riguardo al rapporto tra atto

di conferimento e società, in cui la visione del sistema si trasforma da statica a

di-namica. Ragionando di persona giuridica, superando la corrispondenza biunivoca tra

“soggetto biologicamente esistente” e patrimonio, per cui l’area di delimitazione per

la garanzia generica è circoscritta solamente dai beni la cui titolarità appartiene al

MI. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, 1996, p. VIII descrive il fenom

8

-eno dell’emersione dei patrimoni separati è quello di indagare sulla possibilità di dare rile-vanza sistematica all’assoggettamento di una massa di beni ad una destinazione particolare. Sulla stessa scia M. GALLETTI, Analitica della responsabilità patrimoniale e principio di

proporzionalità, in Giustizia Civile, n. 1, 2019, p. 161 ss.


Secondo G.B. PORTALE, Società a responsabilità limitata senza capitale sociale e

imprendi-tore individuale con “capitale destinato” (Capitale sociale quo vadis)?, in Rivista delle so-cietà, n. 6, 2010, p. 1237 ss., che analizza il fenomeno in ottica comparatistica, la c.d. teoria

soggettiva, cede dopo l’introduzione negli ordinamenti europei della società unipersonale a responsabilità limitata o dell’imprenditore a responsabilità limitata (figura non importata nel nostro sistema), perché davanti a questo fenomeno non si può che accettare l’idea che i beni verso la società vengano appunto destinati e quindi, si debba per forza superare l’idea del contratto di società come contratto di scambio.

P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, p. 7 s. «in effetti in principio nei contratti il

9

rapporto fra le prestazioni è puntuale: scambio (…). Nella società invece, ove le prestazioni convergono, l’indicazione di un dato che, aggiungendosi alle prestazioni, determini il “per-ché” della convergenza, assurge a momento centrale della stessa identificazione sul piano oggettivo del divisato assetto di interessi». Così anche G.B. PORTALE, Mancata attuazione

del conferimento in natura e limiti del principio di effettività del capitale nella società per azioni, in Rivista delle società, n.1, 1998, p. 1 ss., sostiene che il contratto di società, a

dif-ferenza dei contratti di scambio, produce «situazioni strumentali e non situazioni finali». Lo stesso autore richiama nell’opera citata il concetto per cui «il conferimento ha il significato di una destinazione (…) d’utilità a servizio di un programma comune». G. FERRIJR,

Inves-timento e conferimento, 2001, p. 11 «Non sembra coerente qualificare una vicenda (quella

del conferimento) in termini di trasferimento, e poi ricostruirne la disciplina in conformità (in termini, cioè, di compatibilità) con quella di uno dei termini della stessa, (…) vale a dire la società».


Anche se poi la caratterizzazione è diversa, anche F. FERRARAJR - F. CORSI, Gli

imprendi-tori e le società, 1987, p. 229 ss., concordano sul fatto che il contratto di società non possa

essere inquadrato tra i contratti di scambio. Allo stesso modo C. ANGELICI, Introduzione alla

riforma delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, n. 1, 2006, p. 12 ss.

(11)

debitore, si dà vita alla c.d. “teoria oggettiva” della responsabilità . Proprio nella

10

relazione tra beni e società si capisce che il concetto di proprietà si sposa benissimo

con l’individuo «nato da ventre di donna» e molto meno con la persona giuridica ,

11 12

e questo fa sì che

la nozione di atto di destinazione vada rivista (ed ampliata) sen

13

-sibilmente.

P. SPADA, La rivoluzione copernicana (quasi una recensione tardiva ai Contratti Associa

10

-tivi di Paolo Ferro-Luzzi), in Rivista di Diritto Civile, n. 2, 2008 p. 145 s., sostiene che Fer-ro-Luzzi nel paragonare le proprie conclusioni alla rivoluzione del noto scienziato, si conce-da un atto di narcisismo, giustificato però conce-dall’importanza della proposta. Il cambiamento di prospettiva muove «dall’individuo e dai suoi diritti sul mondo e verso gli altri, all’attività che implica nel suo farsi individui e che è … indipendente dalla platea potenzialmente mutevole ed anonima degli individui implicati». Si allinea a questa posizione C. ANGELICI,

Sull’insegnamento di Paolo Ferro-Luzzi, in Banca borsa titoli di credito, n.2, 2013, pag. 121

s.

Immagine molto evocativa, usata da più autori per l’efficacia espressiva che riveste nel

11

discorso sul superamento dell’alterità biologica. Noi per semplicità richiamiamo al suo uti-lizzo in L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 4 ss.

L. SALAMONE Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 361 ss., sulla scia di P. FER

12

-RO-LUZZI e P. SPADA, coglie il centro del problema: «per la sostanziale diversità che passa

tra la “proprietà” della persona fisica e quella dell’ente collettivo, sembra corretto valoriz-zare la diversità, pensando che l’opponibilità ai creditori degli atti dispositivi a favore del secondo si collochi nell’area concettuale dell’art. 2915, comma 1 c.c., piuttosto che in quella dell’art. 2914 c.c.».

Contrariamente a questa visione - in senso assolutamente soggettivistico - si sosteneva il patrimonio della persona giuridica si atteggiasse alla stregua di quello della persona fisica, portando a differenziare tra i concetti di patrimonio separato (generato dagli atti di desti-nazione) e quello di patrimonio autonomo (tipico, invece della persona giuridica). Questa distinzione ha poca ragion d’essere se si guarda al sistema in senso oggettivo, perché ciò che conta è l’atto (di destinazione) con cui, in modo diverso si funzionalizzano beni ad uno scopo. Legati alla visione che critichiamo, ex multis P. GABRIELE, Dell’unità alla

segmen-tazione del patrimonio: forme e prospettive del fenomeno, in Giurisprudenza commerciale,

n. 4, 2010, p. 593 ss., MI. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, 1996, p. 169

ss.

Il vantaggio di concentrarci sull’atto, invece che sul soggetto, ci consente di superare la

13

tendenza, comune in dottrina. per cui si compie una partizione concettuale tra patrimonio autonomo (della persona giuridica) e patrimonio separato (conseguente a tutti gli altri atti di destinazione). Allo stesso modo C. IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in

Giurisprudenza Commerciale, n. 6, 2007, p. 725 ss. Questa distinzione, a nostro avviso

fun-zionale e compatibile - con tutti i dovuti aggiustamenti - anche con la teoria c.d. oggettiva, viene superata da L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 354 ss., per

cui il concetto di patrimonio autonomo in contrapposizione con quello di patrimonio separa-to, richiama troppo all’alterità soggettivo, che come vedremo, è dato ininfluente per l’analisi in questione. Per l’autore, in linea con quanto anche noi sosteniamo, la distinzione può facilmente essere guardata da un punto di vista dei diritti soggettivi.

Con un linguaggio vicino al diritto soggettivo, ma in superamento della visione della società come patrimonio autonomo M. LAMANDINI, Patrimoni separati e tutela dei creditori, in

Riv-ista di diritto processuale, n. 1, 2005, p. 38 s., riferendosi ai patrimoni destinati dice: «il

pat-rimonio destinato costituisce infatti una forma di segregazione patrimoniale di «secondo grado» rispetto alla segregazione di «primo grado» rappresentata dalla stessa società.

(12)

Si supera, allora, la visione antropomorfa del patrimonio, tipica del pensiero

clas-sico e si ricostruisce il sistema dall’angolo prospettico dell’atto dispositivo (e quindi

della garanzia generica), piuttosto che da quello del soggetto.

Assunto che il contratto di società ha «natura tipicamente organizzativa» e che,

14

di conseguenza, fuoriesce dall’area dei contratti di scambio, la collocazione

sistemat-ica dell’atto di conferimento, con cui si destinano beni all’attività , non può che es

15

-sere tra gli atti di destinazione .

16

2. Tentativo di ampliare la categoria generale degli atti di destinazione. Una

pos-sibile catalogazione. Gli atti di destinazione e l’”equivalenza funzionale” - Ha senso

parlare di patrimonio solo se questo viene messo in relazione alla garanzia

patrimo-niale per le obbligazioni e quindi ci concentreremo sull’atto, trasformando di fatto la

figura del “soggetto titolare” in quella più funzionale del “soggetto agente”.

Ma in che modo gli atti di destinazione incidono sulla garanzia generica prevista

dall’art. 2740 c.c.? Come evidenzia Spada, da un punto di vista etimologico:

«“des-tinare” è lemma che significa “adibire, riservare qualcosa ad un uso, ad una

fun-zione» . Attraverso questi atti si destinano beni ad uno scopo e (non separano parti

17

P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, p. 9 s. «quello che così emerge sul piano

14

della identificazione dell’istituto è la peculiarità che il contratto di società presenta in fun-zione della sua natura tipicamente organizzativa».


In senso conforme, per espresso rinvio, G. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale

(2), 2011, p. 3 ss.

C. ANGELICI, Sull’insegnamento di Paolo Ferro-Luzzi, in Banca borsa titoli di credito, n.

15

2, 2013, pag. 121 s., a confermare quanto già ampiamente sostenuto osserva che per ra-gionare di società (e di contratti associativi) «non tanto rilevino le condizioni soggettive e individuali di chi vi partecipa, quanto oggettivamente il ruolo appunto svolto nella e per l’at-tività».

L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 362 ss. «proprio perché nel

16

-la responsabilità patrimoniale non rileva -la proprietà del bene, ma l’opponibilità dell’atto dispositivo, la proprietà dell’esistente giuridico rileva se ed in quanto globalmente intesa come vincolo di destinazione, poi opponibile ai creditori»

G. FERRI JR, Investimento e conferimento, 2001, p. 10 critica il sistema della società come

soggetto e la collega alla ricostruzione della vicenda traslativa. Sostiene: «Il ricorso alla figura del trasferimento, al fine di inquadrare la vicenda del conferimento, presuppone la ricostruzione della società in chiave soggettiva: più esplicitamente, in tanto il conferimento può immaginarsi come vicenda traslativa, in quanto si immagini la società come soggetto, destinatario di siffatto trasferimento».

P. SPADA, Consenso e indici di circolazione, in Rivista di diritto civile, 2014, n.2, cit. a p.

17

(13)

del proprio patrimonio ) realizzando, in un modo o nell’altro , riduzione della

18 19

garanzia generica per le obbligazioni, andando a compiere un sacrificio dei credi

20

-tori.

Si può affermare a questo punto che è atto di destinazione quello che, in

contrap-posizione ai contratti di scambio, in modo unilaterale consente ad un soggetto -

agente - di disporre dei propri beni (individualmente o in blocco) in funzione di uno

scopo. Si propone quindi una schematizzazione per cui questi atti, in base ad un

rilievo empirico, si possono suddividere in due categorie:

1. si ha un atto di destinazione quando si attribuiscono beni ad un “ente allo

II concetti di patrimonio separato e di patrimonio autonomo portano ad alcune ambiguità

18

nell’ambito della teoria c.d. oggettiva perché richiamano un campo semantico che attiene più ai contratti di scambio, che agli atti di destinazione: la partizione tra beni di proprietà del

soggetto - il primo - e l’alterità - il secondo.

In via ipotetica i due termini potrebbero mantenere la loro ragion d’essere anche nel nostro sistema se considerati dal punto di vista dell’atto (e dei suoi effetti), invece che dal punto di vista del diritto soggettivo. Nonostante l’ottima capacità evocativa - però - si ritiene che uno studio del genere possa prescindere totalmente dal loro utilizzo: si rischierebbe di fare con-fusione perché dovremmo ogni volta dar conto del fatto che il concetto di separazione rileva soltanto nei confronti dei terzi e non come partizione all’interno del patrimonio e che

l’au-tonomia non allude a patrimoni diversi soggettivisticamente intesi. Ma preferiamo lasciar

perdere poiché dobbiamo concentrare le nostre energie per sottolineare che l’opponibilità e l’autonomia sono la causa di un fenomeno che altro non è che la “separazione del ceto credi-torio” tra creditori generali e creditori particolari.

Focalizzandoci soltanto sul patrimonio di debitore e sulla relativa “garanzia generica”, ci basta osservare che, a prescindere sugli effetti che l’atto crea nella sua funzione progressiva, in ogni caso si avrà un’incidenza sulla garanzia prevista dall’art. 2740 c.c. P. FERRO-LUZZi I

patrimoni «dedicati» e i «gruppi» nella riforma societaria, in Rivista del notariato, n .2,

2002 si esprime sul concetto di “separazione” definendolo come un problema per il diritto civile. Anche in questa occasione l’autore, poco soddisfatto della portata del termine, richiama l’attenzione sulla dinamica delle operazioni cui si riferisce il diritto, in contrappo-sizione con la staticità della visione soggettiva.

Vedi infra la distinzione degli atti.

19

Sembra il caso di soffermarci sulla definizione di garanzia generica, di cui abbiamo parla

20

-to fino ad ora senza dare però una definizione specifica. Per ques-to motivo sembra oppor-tuno attingere, per chiarezza, alle parole di illustre dottrina: MA. BIANCA, Le garanzie reali e

la prescrizione, in Diritto civile, vol. 7, 2012, p. 4 ss. spiega che: «La responsabilità

patri-moniale è la soggezione del patrimonio del debitore al soddisfacimento coattivo dei crediti. Essa è sancita dalla norma secondo la quale il debitore risponde dell’adempimento delle ob-bligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740, comma 1 c.c.). Garanzia patrimo-niale e responsabilità patrimopatrimo-niale sono due facce dello stesso istituto: l’una designa più in particolare il lato attivo della garanzia - il diritto dei creditori - mentre l’altra ne designa il lato passivo, ossia la soggezione del patrimonio del debitore sul quale la garanzia è fondata. La garanzia patrimoniale è detta anche garanzia generica, distinguendosi come tale rispetto alle garanzie specifiche, quali forme di tutela rafforzata del credito».

(14)

scopo”, in funzione della sua azione (o scopo comune che dir si voglia) . Per

21 22

comodità espositiva faremo riferimento a loro parlando di “atti di destinazione

che determinano attribuzione”;

2. o si può parlare di atti di destinazione che impongono un vincolo alla

ricchez-za giuridica , che d’ora in poi chiameremo, in modo improprio, ma per la stessa

23

comodità espositiva richiamata poco fa “atti di destinazione in senso stretto”.

Un primo pilastro che si pone è quindi il seguente: sono atti di destinazione sia i

P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, p. 116 ss. sottolinea come, nell’ambito delle

21

persone giuridiche sia più corretto parlare di “azione”, perché il concetto di “scopo” è poco qualificante e, generalmente, poco qualificato.

P. SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Negozio di desti

22

-nazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, 2006, definisce

l’at-tribuzione come assegnazione di un vantaggio reale o personale ad altri. Il conferimento, invece, empiricamente, configurato come destinazione di beni ad uno scopo, si atteggia come atto attributivo, per esempio ai fini della trascrizione immobiliare; però aderendo al-l’impostazione c.d. oggettiva, non si dubita che sia un atto di destinazione. Per comprendere l’appartenenza del conferimento a questa categoria si deve necessariamente ripartire dai principi ed in particolare riferirsi alla “Rivoluzione Copernicana” di P. FERRO-LUZZI, I

con-tratti associativi, per cui, superando la visione incentrata sul soggetto (e di conseguenza sul

diritto soggettivo), tipica del nostro codice civile, si deve guardare al fenomeno societario dal punto di vista dell’oggetto, quindi dell’attività. Il rapporto si ribalta: si passa dalla vi-sione incentrata sul rapporto atto/diritto soggettivo (tipica dei contratti di scambio) a quella atto/azione. Il conferimento non andrà guardato come trasferimento di cespiti da un soggetto ad un altro, ma all’azione con cui si dispongono e riorganizzano beni in funzione di un’attiv-ità.

P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, p. 381 ss. il consenso nel contratto di società

assume i connotati, nei confronti delle parti, di «identità del voluto», mentre nei contratti di scambio, il consenso si atteggia come «confluenza o convergenza delle dichiarazioni». L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 358 s. distingue i contratti di

scambio, dall’attribuzione alla persona giuridica dicendo che mentre «l’imputazione alla persona giuridica significa assoggettare un diritto soggettivo al particolare regime del vinco-lo di destinazione».

P. SPADA, Consenso e indici di circolazione, in Rivista di diritto civile, 2014, n.2, p. 394

23

ss. sostiene che mentre «nell’attribuzione al distacco di una ricchezza giuridica a carico del-l’agente corrisponde un attacco a profitto di un altro, nella destinazione il distacco si atteggia come vincolo funzionale impresso alla ricchezza giuridica».

(15)

conferimenti, attraverso cui

si funzionalizzano beni verso un’attività (in particolare

24

ci riferiremo alle società dotate di “personalità giuridica” ), sia tutti gli altri atti,

25

tipici o atipici, con cui il legislatore consente al disponente di frazionare il proprio

ceto creditorio.

Prima di andare avanti occorre rilevare alcuni punti di convergenza tra le due

cat-egorie di atti: se per considerare completa la fattispecie degli atti di destinazione in

senso stretto - e per creare il vincolo di opponibilità verso i terzi - si ritiene che non

si possa prescindere dal dato formale (trascrizione) , allo stesso modo, per quanto

26

attiene ai conferimenti di beni in società,

la costituzione della società in cui i beni

vengono destinati sancisce il momento in cui la riduzione della garanzia generica si

compie, perché si avrà l’allocazione dei beni in un’attività che non sarà aggredibile

Per dare una più corretta connotazione al concetto di attività, ci affidiamo alle parole di P.

24

FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, p. 201 ss.: «L’attività invero non ci appare, ove il

concetto sia inteso nella sua più ampia portata, come un istituto ben determinato, costruibile all’interno delle varie categorie giuridiche già note, e neppure al loro esterno, come ulteriore categoria che sistematicamente si ponga accanto alle altre in una precisa collocazione. L’at-tività è invece per noi in sé e per sé più che un istituto unitario, un principio giuridico gener-alissimo di interpretazione e costruzione di una vasta gamma di fenomeni, anche molto di-versi tra loro (…) E la prima circostanza da porre in luce è che il fenomeno nei cui confronti l’attività si pone non già come figura analoga, ma in posizione piuttosto di antitesi e di su-peramento, va per noi individuato nel soggetto, visto come centro unificatore del sistema, sistema costruito in sua funzione».

La distinzione tra società con personalità giuridica e società senza personalità giuridica, in

25

realtà è abbastanza superata. Per l’analisi critica della distinzione, F. D’ALESSANDRO, La

società per azioni, in AA.VV, Diritto Commerciale, 1993, p. 232 ss. «La società per azioni

(con le altre società dotate di capitali, a responsabilità limitata ed in accomandita per azioni, rispetto alle quali funge da modello, nonché con le società cooperative) è riconosciuta dalla legge come persona giuridica. Non hanno invece questa qualificazione le società di persone». L’autore sostiene, poi, che le conseguenze applicative della distinzione tra società personificate e non personificate, sono assai meno nette e più sfumate di quanto si pensi.

P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi per un re

26

-cente dibattito, in Rivista di diritto civile n.1, 2002, p. 892 ss. evidenzia che anche gli altri

atti destinativi in sé non sono capaci di produrre situazioni finali (la destinazione in sé non produce né arricchimenti, né impoverimenti, né penalizza il ceto dei creditori), ma necessi-tano di una serie di elementi costitutivi, di cui la trascrizione (come precisato nell’art.

2645-ter) è l’elemento conclusivo, capace di costituire il vincolo di opponibilità, il quale non avrà

mai rilevanza interna, ma solo verso terzi.

Come osserva P. SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Negozio di

destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, 2006, prima la

destinazione aveva valore solo per alcuni casi nominati come fondo patrimoniale, società (massimamente unipersonale), destinazione di patrimoni ad uno specifico affare ecc., ora con l’art. 2645-ter si apre a tutte le ipotesi lasciate all’autonomia privata, previo vaglio di meritevolezza.


Allo stesso modo C. IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in Giurisprudenza

Com-merciale, n. 6, 2007, p. 725 ss. e F. GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645-ter, in Giustizia

(16)

da parte dei creditori del soggetto . Questa osservazione va orientata e va precisato

27

che i riferimenti ai beni e alle società in generale (senza riferimento alla personalità

giuridica, benché siano commerciali e registrate) non sono casuali: affinché il

con-ferimento possa agire - negativamente - sulla garanzia dei creditori particolari del

singolo socio, è sufficiente che quest’ultimo destini i beni ad un’attività; in questo

modo i creditori, per soddisfare le proprie pretese incorreranno in maggiori difficoltà

e necessiteranno di un’azione, come quella revocatoria, capace di ristabilire la parità

Se sosteniamo che con l’atto di conferimento destinativo, destiniamo un bene ad un’attiv

27

-ità, è necessario che tale attività sia effettiva, che questa abbia effetti nel mercato, che sia conoscibile ai terzi. Come sottolinea G. B. PORTALE, La mancata attuazione del

conferimen-to in natura, in Trattaconferimen-to delle società per azioni diretconferimen-to da Colombo e Portale, Vol. 1***,

2004, p. 642 ss., (che, poi, partendo da queste premesse arriverà a conclusioni diverse dalle nostre) nel nostro sistema, a differenza di quanto accade in altri sistemi, non si può parlare di un «atto di conferimento (…) autonomo e distinto rispetto al contratto di costituzione della società stessa». Quindi non possiamo che osservare che il destino del conferimento, anche rispetto ai creditori, non possa che dipendere dalla sorte della società. A nostro avviso l’is-crizione della società è il momento “finale” che consente di produrre effetti rilevanti (anche) sul patrimonio del soggetto conferente. Non sembra portare ad esiti diversi la differente vi-sione di G. FERRI JR., Struttura finanziaria dell’impresa e funzioni del capitale sociale, in

Rivista del notariato, n. 4, 2008, p. 741 ss. per cui contratto costitutivo e atto di

conferimen-to sono negozi distinti, anche temporalmente, perché in ogni caso non si nega una loro con-nessione e, soprattutto reputando in ogni caso precedente il momento organizzativo della costituzione della società, non si nega che il momento pubblicitario, che creerà il vincolo di opponibilità, sia già in essere.


Nel senso di sancire con l’iscrizione la costituzione della società, F. GALGANO, Il nuovo

diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, di-retto da F. Galgano, 2003, p. 63, L. CALVOSA, Costituzione, in Diritto delle società di

capi-tali, Manuale Breve, 2003, p. 357 s., P. BELTRAMI, La società prima dell’iscrizione nel

reg-istro delle imprese, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Cam-pobasso, diretto da Abbadessa e Portale, n. 1, 2006, p. 353 ss., B. IANNIELLO - A. M ONTE-SANO, Il conferimento in società è suscettibile di azione revocatoria, commento a Cass. Civ.

11 marzo 1995, n. 2817 sez. I, in Le Società, n. 10, 1995, p. 1297 ss., P. SPADA, Consenso e

indici di circolazione, in Rivista di diritto civile, 2014, n.2, P. FERRO-LUZZi, I contratti

asso-ciativi, 1971, p. 387 «la pubblicità rappresenta un elemento del fatto avente valore

associati-vo di natura e portata tale che in suo difetto nessun valore associatiassociati-vo sarebbe stato config-urabile». Aderiscono a questo orientamento, sottolineando che la destinazione, non pro-ducendo effetti finali, necessita di un momento formale per la sottrazione della garanzia. Si pone il problema anche F. BRIOLINI, Le azioni «restitutorie» dei conferimenti in natura,

2008, p. 41 ss. nel ragionamento sulla società apparente. L’utile apporto dell’autore consiste nel riconoscere come per il conferimento, affinché si possa compiutamente incidere sul pat-rimonio del disponente a pregiudizio dei terzi, serva necessariamente un momento costituti-vo ed anche pubblicitario. Postula infatti: «la necessità di un atto perché una vicenda di beni possa prodursi con pienezza». In questo senso anche L. D’ALESSANDRO, Riflessioni sulla

recente giurisprudenza di legittimità in tema di azione revocatoria di conferimenti di beni in natura in società di capitali, in Giustizia Civile (II), n. 3, 1998, p. 107 ss. che critica la

sen-tenza in commento, nella quale si suppone che esista un centro di imputazione anche prima della costituzione.

In senso contrario G. FRÈ - G. SBISÀ, Della società per azioni (I), Art. 2328, in

(17)

degli interessi in gioco .

28

Partendo da queste premesse ed identificata una ratio comune agli atti di

desti-nazione, si arriva al fulcro della nostra ricerca e si osserva che l’affinità tra gli

stru-menti, che resiste a qualsiasi impostazione si abbia del sistema della responsabilità e

che ci consente di ragionare in modo unitario, è data, appunto, dalla loro

«equivalen-za funzionale» : sia in seguito ai primi, sia in conseguen«equivalen-za dei secondi, si avrà una

29

Sebbene si riconosca che nelle società di capitali il discorso si complichi e che, per la con

28

-figurazione della (non) responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, il vincolo di op-ponibilità sia più stringente (e preferiamo dire così piuttosto che sottolineare un’autonomia

patrimoniale più forte come fa C. IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in

Giurisprudenza Commerciale, n. 6, 2007), riteniamo che non si possa trascurare un accenno

alla revocatoria del conferimento nelle società di persone per tre ragioni:

1) intanto perché il conferimento provoca una destinazione all’attività con riferimento a qualsiasi tipo di società e quindi l’elemento da guardare per il danno alla garanzia dei creditori riguarda più la natura del bene, piuttosto che il tipo societario;

2) poi perché per i requisiti della revocatoria l’eventus damni non consiste per forza in un danno concreto, ma basta che provochi, per giurisprudenza costante, una maggiore diffi-coltà per l’esecuzione che, sicuramente, si configura quando il creditore, per soddisfare la propria pretesa debba andare a escutere un bene che si trova nel patrimonio sociale.

Con-tra N. ROCCO DI TORREPADULA, Questioni su revocatoria ordinaria e contratto di

soci-età, commento a Cass. civ. 18 febbraio 2000, n. 1804, sez. 1, in Giurisprudenza commer-ciale, n. 6, 2001, p 791 ss. il quale sostiene che per la revocatoria del conferimento serva

un danno concreto inferto ai creditori.

3) infine perché non possiamo accettare che i rimedi degli artt. 2270 c.c. (da coordinarsi con il 2305 c.c.) e 2289 c.c. possano considerarsi l’unica tutela per i creditori personali del socio, perchè, come spiega F. BRIOLINI, Le azioni «restitutorie» dei conferimenti in

natu-ra, 2008, p. 26 ss. «si tratta di un esito incapace di fornire ai creditori la tutela che si

pos-tula discendere dagli artt. 2901 ss. e 64 ss L.F., oltre che inidoneo a proteggere l’interesse della società. Poi, per più ampie ragioni di sistema, le quali inducono a rifiutare come inaccettabile l’idea (…) che la revoca possa proporre un mero effetto liquidatorio». P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi per un re

29

-cente dibattito, in Rivista di diritto civile n.1, 2002, p. 832 ss., ovvero il risultato di creare

una limitazione della responsabilità del debitore per le obbligazioni. L’autore, nonostante la differenza tra le categorie, sostiene che «Nella prospettiva della responsabilità patrimoniale, è sano prendere atto della equivalenza funzionale tra personalità giuridica e articolazione di un patrimonio in compendi separati».

P. GABRIELE, Dell’unità alla segmentazione del patrimonio: forme e prospettive del

fenome-no, in Giurisprudenza commerciale, n. 4, 2010, p. 593 ss. che parte da un presupposto

diver-so rispetto a Spada, diver-sostiene allo stesdiver-so modo che tra i due modelli ci siano varie analogie, in primis l’impatto sulla garanzia dell’art. 2740 c.c.

Così anche C. IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in Giurisprudenza

Commer-ciale, n. 6, 2007, p. 725 ss. che si riferisce a società (particolarmente unilaterale e patrimoni

destinati ad uno specifico affare.

Si osservi, di nuovo, che occupandoci di equivalenza funzionale, si può fare a meno di con-cetti come “patrimonio autonomo” e “patrimonio separato”, che attengono ad un altro genere di problemi e che, soprattutto, attengono ad un linguaggio assiologico diverso.

(18)

riduzione - proporzionale - di responsabilità per le obbligazioni . All’esito dell’atto

30

dispositivo, infatti, i creditori potranno rivalersi su un patrimonio che risulterà

sicu-ramente depauperato . Per dare un’ulteriore chiarimento in merito alla distinzione in

31

oggetto, occorre che si sottolinei qualcosa che, in realtà, è già all’evidenza del

let-tore: se la garanzia per le obbligazioni diventa l’angolo visuale per la

caratteriz-zazione e categorizcaratteriz-zazione degli strumenti (per cui ciò che su cui ci si basa è la

sud-detta “equivalenza funzionale”) e se ciò rende “destinativo” un atto è la sua capacità

P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi per un re

30

-cente dibattito, in Rivista di diritto civile n.1, 2002, p. 892 ss. per cui la limitazione di

re-sponsabilità del debitore (qui riferito all’imprenditore) può essere conseguita, con esiti non dissimili sul piano degli effetti, sia consentendo all’imprenditore unico di avvalersi del regime tipico di un’iniziativa tipica personificata (società a responsabilità limitata), sia con-sentendo di limitare la responsabilità ad un patrimonio destinato ad una determinata attività. 
 In senso contrario MI. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, 1996, p. 189 ss.

poi evidenzia - in ottica molto soggettivistica - che non c’è perfetta coincidenza tra desti-nazione patrimoniale e separazione: «mentre la destidesti-nazione può incidere sulla facoltà di disposizione e di gestione di soggetti diversi rispetto al titolare dei beni oggetto del vincolo di destinazione, la separazione del patrimonio suppone uno stesso titolare del patrimonio generale e della massa patrimoniale separata». Per l’autrice, quindi, si può parlare di atto di disposizione soltanto nella variante dell’atto di destinazione puro, intravedendo invece nel-l’atto di conferimento una forma di contratto di scambio. Allo stesso modo F. BRIOLINI, Le

azioni revocatorie dei conferimenti in natura, 2008, p. 83 ss., che vede il conferimento come

fattispecie traslativa e non destinativa. L’autore - per essere più precisi - si propone di super-are la contrapposizione tra atto di destinazione e contratto di scambio, sottolineando che, in ogni caso si possa ravvedere una componente traslativa in un contesto di circolazione dei

beni. Nella nostra impostazione, per cui non si nega che ci sia una componente attributiva

nell’atto di destinazione del conferimento, si sottolinea che, però, non è l’elemento decisivo sulla natura dell’atto che, invece, si atteggia come destinazione. Questa considerazione non condiziona, in ogni caso, l’esito della trattazione.

R. LENZI, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645-ter, in Contratto e impresa, n. 1, 2007, p.

31

227 ss. sostiene che si può parlare di separazione patrimoniale quando la limitazione di pat-rimonio determina una correlativa riduzione di responsabilità. All’interno del ceto creditorio si avrà una divisione tra creditori generali, la cui garanzia è legata al patrimonio e creditori particolari, che potranno aggredire in via esecutiva soltanto la parte di patrimonio separata, le cui obbligazioni si formeranno in relazione all’interesse sotteso alla destinazione. Ad es-empio, conseguentemente alla costituzione di un fondo patrimoniale, i creditori che potranno aggredire il fondo saranno soltanto coloro le cui obbligazioni nasceranno in relazione ai “bisogni della famiglia”. Il fenomeno della separazione del ceto dei creditori è illustrato an-che da G. ROJAS ELGUETA, Il rapporto tra l’art. 2465-ter c.c. e l’art. 2740 c.c.: un’analisi

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di funzionalizzare beni ad uno scopo , superati analiticamente concetti come “pat

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-rimonio separato” e “pat-rimonio autonomo” , sarà ininfluente (e fuorviante) fare

33

riferimento al dato dell’alterità che, invece, per i sostenitori della visione c.d.

34

“soggettiva” della responsabilità, è l’elemento dirimente (in negativo) per

dis-tinguere un atto di destinazione da un contratto di scambio.

3. Le azioni revocatorie come presidio contro gli abusi. La struttura dell’azione

revocatoria ordinaria e le azioni revocatorie della L.F.: un necessario

approfondi-mento - Dopo aver sommariamente delineato la natura degli atti di destinazione,

necessaria per puntualizzare “a chi si applica” la disciplina che andremo analizzare,

giungiamo al cuore della ricerca. Alla luce di tutto ciò sono sono evidenti i due centri

di interessi polarizzati: da un lato c’è il disponente, che agisce nella prospettiva della

funzionalizzazione dell’azione allo scopo e dall’altro lato ci sono i creditori, che

Sulla genericità di tali termini e sulla necessità di trovare una migliore collocazione sis

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-tematica a parole dal significato simile, ma non esattamente coincidente si esprimono P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, 1971, P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del

patrimonio: spunti legislativi per un recente dibattito, in Rivista di diritto civile n.1, 2002 p.

846 ss., C. IBBA, La pubblicità del patrimonio destinato, in Giurisprudenza Commerciale, n.

6, 2007, p. 725 ss., M. GALLETTI, Analitica della responsabilità patrimoniale e principio di

proporzionalità, in Giustizia Civile, n. 1, 2019, p. 161 ss. ed in particolare, in più punti della

sua opera L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001.

Superata soprattutto la lettura contrapposta tra patrimoni separati e patrimoni autonomi,

33

portatrice di equivoci e poco esaustiva di un fenomeno molto più ampio ed articolato, che non può basarsi solo sulla lettura degli effetti (o meglio ancora di alcuni effetti).

Come evidenzia L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 12 ss., la

34

visione classica del patrimonio, quella di matrice civilistica, per cui patrimonio e persona fisica sono due fattori inscindibili, vuole che le azioni sul patrimonio si presentino come o azione che coinvolge due soggetti biologicamente distinti o, al contrario, regimi di dispo-sizione “speciali”, previsti in modo tipico e “chiuso” dall’art. 2740, comma 2. 


Quella dell’alterità tra i soggetti è la critica più forte che viene mossa verso chi considera l’attribuzione alla persona giuridica un atto di destinazione (e non un contratto di scambio). Qui si inseriscono gli studi di P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio:

spunti legislativi per un recente dibattito, in Rivista di diritto civile n.1, 2002 p. 846 ss., «la

via dell’alterità rende chi si comporta, in modo giuridicamente rilevante, una variabile inin-fluente nella prospettiva del patrimonio e delle sue dinamiche». Per l’autore si deve superare la “premessa naturalistica” perché ci sono molti casi in cui non si può distinguere le sfere di incidenza degli effetti giuridici dell’agire in base all’”alterità biologica”.


Altra parte della dottrina, tra cui MI. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati,

1996, p. 65 ss., sostiene che alterità e separazione del patrimonio siano due concetti incom-patibili perché, secondo l’autrice, «la separazione del patrimonio rappresenta una particolare disciplina della responsabilità della parte del patrimonio di un soggetto, al di fuori del fenomeno della duplicazione soggettiva».

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rano alla conservazione dell’integrità del patrimonio.

L’equilibrio tra le due posizioni è garantito - in via fisiologica - dall’ordinamento

che, relegando in secondo piano il principio sancito dall’art. 2740 c.c, accoglie con

favore la possibilità di ridurre la garanzia generica per il perseguimento di interessi

meritevoli . Il problema si pone quando al sacrificio della posizione creditoria fa da

35

contraltare un atto di destinazione in cui il soggetto agente è mosso - almeno in via

prevalente - da intenzioni opportunistiche ed abusive .

36

P. GABRIELE, Dell’unità alla segmentazione del patrimonio: forme e prospettive del

35

fenomeno, in Giurisprudenza commerciale, n. 4, 2010, p. 593 ss. in via generale sostiene che

la delimitazione di una massa di beni per il perseguimento di uno scopo, giustifica il sacrifi-cio dei creditori.


MI. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, 1996, p. 186 ss. sottolinea che il

divieto ex art. 2740, comma 2 relativo all’impossibilità di porre in essere limitazioni alla responsabilità patrimoniale non sia disposizione che attiene solo alla tutela dei creditori, ma ha valenza più estesa se si considera che la sottrazione di parte del patrimonio del debitore ha conseguenze anche sul piano della circolazione dei beni perché va a favorire la concen-trazione di ricchezze non destinate alla produzione. Ancora MI. BIANCA, Trustee e figure

affini nel diritto italiano, in Rivista del notariato, n. 3, 2009, p. 557ss. sostiene che il

giudizio di meritevolezza esprime una regola funzionale, un principio cui deve assoggettarsi ogni strumento che realizza una destinazione con effetto di separazione patrimoniale.


Quindi, se per gli atti di destinazione che imprimono vincoli alla ricchezza giuridica, non ci sono dubbi riguardo al vaglio di meritevolezza (espressamente richiamato nell’art. 2645-ter, come nel fondo patrimoniale e nel trust), si ritiene che il «distacco tra personalità giuridica e articolazione di patrimoni, si annulla sul versante tra azione giuridica ed interessi». Per P. SPADA, infatti superando il baricentro soggettivo, si deve comunque porre in essere una

valu-tazione delle motivazioni, concentrandosi però sullo studio degli interessi a servizio dei quali l’azione diventa funzionale. «La funzione, come cura di interessi precostituiti (…) che esige il controllo sulle motivazioni e sulle finalità dell’agire, si rintraccia tanto quando la diversificazione del regime viene presentata nel linguaggio della persona giuridica, quanto nel linguaggio della separazione patrimoniale».

D. SPAGNUOLO, Fondo patrimoniale e nuove forme di limitazione della responsabilità

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patrimoniale: azione revocatoria e tutela dei creditori del disponente, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 1, 2015, p. 11 ss. sostiene che «la creazione di barriere alla responsabilità

pat-rimoniale facilita operazioni fraudolente, con sacrificio ingiustificato delle ragioni dei credi-tori». Sottolinea poi che comunque l’art. 2740 c.c. continua a mantenere il valore di «norma di ordine pubblico economico» e quindi di rilevanza primaria. G. ROJAS ELGUETA,

Autono-mia privata e responsabilità patrimoniale del debitore: nuove prospettive, in Europa e dirit-to privadirit-to, n. 3, 2012, p. 813 ss. espone le due teorie, definendo maggioritaria quella sopra

riferita (che poi lungamente critica sminuendo - a nostro avviso in modo corretto - alla luce del comma 2 dell’art. 2740 c.c., l’importanza intangibile del principio in questione) e mi-noritaria quella per cui «le convenzioni tra debitore e il creditore avrebbero (…) la capacità di compromettere quel meccanismo fondamentale per l’attuazione del rapporto obbligatorio rappresentato dalla responsabilità patrimoniale».


L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, 2001, p. 370 s. «il baricentro della

dis-ciplina dei creditori deve essere individuato non nel divieto dell’art. 2740, comma 2, bensì

nel sistema revocatorio: più si aprono spazi all’autonomia privata (art. 2645-ter aggiungo io)

nella disciplina della responsabilità patrimoniale, la protezione del credito non si sorregge più su divieti di carattere generale, ma su rimedi diretti a valutare nel concreto - caso per

(21)

Sarà a questo punto necessario un vaglio sulla meritevolezza dell’operazione:

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si andrà a guardare - infatti - se c’è corrispondenza tra interesse perseguito ed azione.

Per alcuni degli atti di destinazione questo è stabilito a priori, in altri casi è rimesso

all’autonomia privata e verrà valutato ex post. La meritevolezza, che in fase

fisiolog-ica sarà l’elemento capace di legittimare l’operazione, diventerà poi, in fase

patolog-ica, un parametro che servirà a valutare in negativo - ove necessario - il requisito

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Si registra, in senso contrario, l’opinione di G. MARCHETTI, Meritevole o immeritevole?

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Questo (non) è il problema. Riflessioni sull’art. 2645-ter c.c. nel sistema moderno della re-sponsabilità patrimoniale, pt. 1 e 2, in Studium iuris, n. 5 e 6, 2018, p. 577 e 728 ss. per cui

la valutazione della meritevolezza starebbe su un piano diverso - quello della validità dell’-operazione - e quindi non sarebbe necessario se il problema riguarda l’efficacia.

M. BELLINIVIA, Destinazione non traslativa e meritevolezza dell’interesse familiare, Riv

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-ista del Notariato, n. 6, 2014, p. 1263 ss. evidenzia come la prevalente dottrina imposti il

giudizio di meritevolezza come una «comparazione degli interessi in gioco»: in particolare rileva la prevalenza dell’interesse realizzato rispetto all’interesse sacrificato dei creditori estranei al vincolo. Non è una valutazione sulla mera “liceità”, ma è una valutazione “fun-zionale”. Sul fatto che il rinvio all’art. 1322 c.c. non possa limitare il controllo di meritev-olezza alla liceità anche G. ROJAS ELGUETA, Il rapporto tra l’art. 2465-ter c.c. e l’art. 2740

c.c.: un’analisi economica della nuova disciplina, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 2,

2007, p. 185 ss. Questa meritevolezza, che qui si prescrive per un controllo sull’efficacia di un vincolo imposto ex art. 2645-ter, va valutata per ogni atto di disposizione, perché su questo parametro si compie un giudizio sulla legittimità dell’operazione. Sul contenuto del controllo di meritevolezza - per le destinazioni atipiche - c’è molto dibattito in dottrina e, non essendo questo il luogo idoneo per esplicitarlo, si rimanda a L. DELLA TOMMASINA,

Informazione preassembleare e tutela dell’investimento, 2018, p. 185 ss., in cui si coglie

l’importanza sistemica di questo giudizio e si osserva in un contesto diverso l’importanza del metodo comparativo degli interessi, quando il vaglio di meritevolezza diventa necessario per l’inserimento nel sistema di una previsione atipica, poi G. CORRADI, Vincolo di

desti-nazione ex art. 2645-ter e fondo patrimoniale, in Famiglia e Diritto, n. 12, 2018, p. 1167 ss.

per il caso specifico dell’art. 2645-ter.


Concorda anche P. SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Negozio

di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, 2006, p. 8 s, il

quale osserva in senso retorico: «Potrebbe, ad esempio, l’interesse di una società controllata a ridurre le spese generali (assolutamente lecito, aggiungo io) per giustificare la destinazione ad uffici di questa di un fabbricato della società controllante, scippandolo ai propri creditori?». Visione non limitata alla liceità, ma più restrittiva A. MORACE PINELLI,

Strut-tura dell’atto negoziale di destinazione e del trust, anche alla luce della legislazione fiscale, ed azione revocatoria, in Contratto e impresa, n. 2, 2009, p. 465 ss.

Vedi infra i presupposti dell’azione revocatoria e l’atteggiarsi di questi in modo differente

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