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Le S.U. si pronunciano sull’appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative - Judicium

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FRANCESCO P.LUISO

Le S.U. si pronunciano sull’appello

in materia di opposizione alle sanzioni amministrative

§ 1. Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con tre pronunce deliberate contestualmente1, hanno affrontato il discusso problema del rito applicabile all’appello avverso la sentenze del giudice di pace che decidono dell’opposizione alle sanzioni amministrative2. L’occasione dell’intervento della Corte è stato determinato da tre regolamenti di competenza3, con i quali era stata posta la questione relativa all’applicazione o meno del c.d. foro erariale ai procedimenti di appello avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace.

È bene precisare fin da ora che la Cassazione ha disinnescato la mina più pericolosa (quella appunto attinente al foro erariale) correlata al problema generale del rito applicabile, sicché la rilevanza pratica della questione – come vedremo – si è così sostanzialmente ridotta. Tuttavia resta integra la portata generale della questione stessa, che conviene dunque riesaminare seguendo l’ordine degli argomenti esposti nelle sentenze.

§ 2. In primo luogo, la Corte avalla un’interpretazione, a mio avviso non corretta, dell’art.

359 c.p.c. Sostiene, infatti, la Cassazione che l’espressione <<si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale>> deve essere intesa come un rinvio alle norme “ordinarie”, e quindi agli artt. 163 ss. c.p.c.

Senonché l’art. 359 c.p.c. non richiama affatto gli artt. 163 ss. c.p.c., né le disposizioni del titolo primo del libro secondo ma – appunto – le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale. Ora, non vi è dubbio che, in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, nel procedimento di primo grado davanti al tribunale si osservano le norme dettate dagli artt. 22 e ss. della L. 689/1981 e 204-bis ss. del D. Lgs. 285/1992. Sicché, anche dal punto di vista letterale, l’art. 359 c.p.c. non fornisce alcun argomento a favore di quanto affermato dalla Cassazione: anzi, esso depone in senso contrario.

Né ha maggior valore osservare, come fa la Corte, la mancanza di una esplicita disposizione, analoga a quella contenuta in altre fattispecie (controversie di lavoro e previdenziali, di locazione, di separazione e divorzio, etc.), che estenda al giudizio di appello le regole speciali previste per il giudizio di primo grado. È nota, infatti, la scarsa affidabilità dell’argumentum a contrario, essendo ad esso contrappone l’analogia: si potrebbe, dunque, affermare che, anche in questo caso, in appello

1Cass. 18 novembre 2010 n. 23285; Cass. 18 novembre 2010 n. 23286, in Diritto e Giustizi@ 27 novembre 2010, con nota di VALERINI, Giudizi di appello in materia di sanzioni amministrative: non è applicabile la regola del foro erariale; Cass. 22 novembre 2010 n. 23594: tutte decise nella camera di consiglio del 12 ottobre 2010.

2 Per lo stato della giurisprudenza e della dottrina sia consentito rinviare a LUISO, Ancora sul processo di appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, in Giur. it. 2010,148.

3 Nel caso delle sentenze 23285 e 23286 si trattava di regolamento di competenza di ufficio proposto dal giudice ad quem; nel caso della sentenza 23594 si trattava di regolamento di competenza proposto dalla parte.

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si applicano le norme speciali del giudizio di primo grado, come in tutte le altre ipotesi in cui il legislatore ciò espressamente prevede.

Vi è solo da notare, a questo proposito, la inesattezza del richiamo al principio c.d. della

“ultrattività del rito”. Tale espressione, infatti, di solito è utilizzata non già per richiamare il problema che qui interessa – e, cioè, del rito de iure applicabile al giudizio di appello – sibbene il diverso problema delle modalità di introduzione dell’appello, laddove sia contestata la correttezza del rito seguito in primo grado: in virtù del principio appunto denominato della ultrattività del rito, l’appello deve essere proposto secondo il rito di fatto seguito in primo grado, sia esso corretto o meno.

§ 3. Prosegue la Cassazione affermando che, in ogni caso, la questione del rito applicabile all’appello avverso le sentenze che decidono dell’opposizione alle sanzioni amministrative sarebbe ininfluente ai fini dell’individuazione del giudice, cui proporre il gravame. Ma l’affermazione non convince.

Infatti, la questione relativa all’individuazione del giudice competente per l’appello è strettamente collegata al foro erariale. In altre parole, se non entrasse in questione la regola del foro erariale, nessun dubbio potrebbe sorgere circa il giudice competente per l’appello.

Ciò premesso, la questione del rito applicabile all’appello, contrariamente quanto sostiene la Corte, rileva sicuramente (anche) ai fini della competenza, in quanto – se al processo in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, che si svolge in primo grado dinanzi al tribunale, non si applica la regola del foro erariale – evidentemente tale regola non trova applicazione neppure quando, dinanzi allo stesso tribunale, si tiene un processo di appello che segua lo stesso rito. Tant’è che la Corte, per escludere il foro erariale in appello, invoca le stesse ragioni che escludono il foro erariale in primo grado.

È vero che la Corte ritiene che tali ragioni sussistono a prescindere dal rito applicabile: però è altrettanto vero che, se si ritenesse applicabile il rito speciale anche al giudizio di appello, l’esclusione del foro erariale non avrebbe necessità di essere giustificata autonomamente, perché discenderebbe in via automatica dall’applicazione del rito speciale.

E ancora: come già rilevato in relazione ad una precedente pronuncia della stessa Corte4, costituisce un inganno ottico affermare che il procedimento di impugnazione sarebbe caratterizzato da un maggior tecnicismo. Perché ciò è vero solo se si dà per acquisito quanto appunto si deve decidere: se, infatti, si ritiene che al giudizio di appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative si applica il rito speciale, non è riscontrabile nessun maggior tecnicismo nel caso in cui il tribunale sia giudice di appello (monocratico) rispetto a quello riscontrabile quando lo stesso tribunale è giudice di primo grado (ugualmente monocratico).

§ 4. La decisione della Corte, dunque, non è a mio avviso convincente nella parte in cui ritiene che l’appello debba svolgersi secondo il rito ordinario. Accettata, peraltro, tale affermazione come premessa, restano da verificarne le conseguenze una volta esclusa, per ragioni diverse dal rito, l’applicazione del foro erariale.

4 Cass. 19 giugno 2009 n. 14520 in Giur. it. 2010, 148.

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Il primo punto attiene alla forma dell’atto introduttivo, che sarà la citazione e non il ricorso.

Ciò non incide ovviamente sul contenuto dell’atto di appello (che è sempre uguale), quanto sulla determinazione della tempestività dello stesso, che dovrà essere valutata tenendo conto – non già della data di deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale ma – della data di richiesta della notificazione della citazione all’ufficiale giudiziario. Sicché l’erronea utilizzazione del ricorso al posto della citazione potrà certo portare alla conversione dello stesso5, stante l’identità di contenuto, ma l’atto di appello sarà tempestivo solo se la notificazione del ricorso con il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza sarà richiesta nel termine per proporre l’appello6.

La seconda conseguenza riguarda la difesa tecnica, necessaria ex art. 82 c.p.c. in tutti i giudizi dinanzi al tribunale. Ciò non pone problemi particolari per la parte privata; mentre per la parte pubblica all’applicazione del rito ordinario consegue – ove tale parte pubblica sia lo Stato – la necessità della difesa dell’amministrazione da parte dell’avvocatura dello Stato. Ma all’inconveniente si può facilmente ovviare, come rilevano le stesse S.U., utilizzando quanto previsto dell’art. 2 del r.d. n. 1611 del 1933, in base al quale “per la rappresentanza delle amministrazioni dello Stato nei giudizi che si svolgono fuori della sede degli uffici dell’avvocatura dello Stato, questa ha facoltà di delegare funzionari dell’amministrazione interessata, esclusi i magistrati dell’ordine giudiziario, ed in casi eccezionali anche procuratori legali, esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio”.

La terza conseguenza attiene alla impossibilità per il tribunale di disporre mezzi di prova di ufficio, ed alla necessità che l’assunzione dei testimoni avvenga previa formulazione dei relativi capitoli. Analogamente, la pronuncia della decisione avverrà non ai sensi dell’art. 23 della L.

689/1981, ma previa precisazione delle conclusioni e con la concessione dei termini per il deposito delle difese conclusionali.

La quarta conseguenza è che alle eventuali notificazioni non procederà l’ufficio.

L’utilizzazione del rito ordinario non impedisce, invece, che anche in sede di appello trovino applicazione il penultimo e l’ultimo comma dell’art. 23 della L. 698/1981. I poteri del giudice in ordine al provvedimento opposto, e la regola sull’onere della prova attengono, invero, non al rito ma al rapporto tra il potere autoritativo della amministrazione ed il controllo giurisdizionale dello stesso. Prova ne sia che tali norme sono applicabili anche in sede di giudizio di cassazione.

§ 5. In conclusione. L’impianto sistematico della decisione non è a mio avviso convincente.

Vi sono argomenti che portano all’opposta conclusione, secondo la quale le peculiarità del rito in primo grado si riproducono in appello anche se ciò non è espressamente previsto dal legislatore.

Tuttavia, occorre dare atto che – eliminato il foro erariale – le differenze pratiche fra l’una e l’altra alternativa sono secondarie. Tutto sommato, quindi, la decisione delle S.U. deve essere salutata favorevolmente.

5 Contrariamente a quanto affermato da Trib. Livorno 18 gennaio 2007, di cui è dato conto in Riv. dir. proc. 2007, 945, secondo la quale all’errore del rito consegue l’inammissibilità dell’impugnazione.

6Non quindi corretta l’affermazione, contenuta in Trib. Verona 29 marzo 2007, in Giur. merito 2007, 1904, secondo cui è indifferente che l’appello sia stato proposto con ricorso o con citazione, quando «siano stati comunque rispettati i termini per l’impugnazione propri del modello impugnatorio concretamente prescelto». Non spetta all’appellante la scelta fra l’uno e l’altro modello.

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