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"Sessualità e identità di genere nella narrativa di Elena Ferrante"

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di laurea in Italianistica

Sessualità e identità di genere nella narrativa di Elena

Ferrante.

Relatrice: Prof.ssa Cristina Savettieri

Relatore: Prof. Sergio Zatti

Candidata: Eva Florinda Maria Zago

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Indice

Introduzione ……….. 5

Capitolo I: L’amore molesto e il bisogno di possedere la madre ………... 9

I.1: Amalia e il fascino della resistenza ……… 11

I.2: Delia alla ricerca delle origini della “matrofobia”………. 15

I.3: Il corpo di Delia tra repulsione e desiderio ………. 24

I.4: Ferrante e il movimento femminista ………... 28

I.5: Vestiti, catàbasi e riconoscimento ……….. 31

I.6: Napoli e il dialetto tra passato e presente ………. . 39

I.7: Personaggi maschili ………... 42

Capitolo II: L’Amica geniale: quadrilogia di due Soggetti Imprevisti ……… 47

II.1: Lila tra “scancellatura” e smarginatura……..……….. 48

II.2: Queerness, smarginatura e reciprocità ……….... 57

II.3: Alfonso e la fluidità di genere ….……… 61

II.4: Elena tra conformismo ed emancipazione ………. 67

II.5: Filtro letterario ed esperienza femminista ……….. 75

II.6: La virilità tra patrofobia e violenza ……..……….. 85

Capitolo III: La vita bugiarda degli adulti: l’adolescenza di Giovanna e l’iniziazione al mondo adulto ……….. 90

III. 1: Napoli ………... 91

III. 2 : Vittoria e il braccialetto stregato ……….……… 92

III.3: Giovanna e le bugie degli adulti ……… 99

III.4: Violazione e iniziazione sessuale ………. 102

III.5: Roberto e un nuovo senso del sacro …….……… 107

III.6: La verità del corpo ……….………... 111

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Tavola delle abbreviazioni

AM, E. FERRANTE, L’amore molesto, Edizioni E/O, Roma, 1992.

AG, E. FERRANTE, L’amica geniale, Edizioni E/O, Roma, 2011. SNC, E. FERRANTE, Storia del nuovo cognome, Edizioni E/O, Roma,

SCF, E. FERRANTE, Storia di chi fugge e di chi resta, Edizioni E/O, Roma, 2013.

SBP, E. FERRANTE, Storia della bambina perduta, Edizioni E/O, Roma, 2014. VBDA, E. FERRANTE, La frantumaglia, Edizioni E/O, Roma, 2016.

IO, E. FERRANTE, L’invenzione occasionale, Edizioni E/O, Roma, 2019.

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Introduzione

Il presente lavoro si propone di discutere come Elena Ferrante affronti nelle sue opere i temi della sessualità e dell‟identità di genere sulla base dell‟analisi dell‟Amore molesto, il primo romanzo di Ferrante, pubblicato nel 1992, la quadrilogia dell‟Amica geniale (2011-14) e l‟ultimo romanzo, La vita bugiarda degli adulti (2019). Ritengo che in queste opere gli argomenti della sessualità e dell‟identità di genere su cui ho scelto di basare questa trattazione abbiano un ruolo di rilievo, mentre negli altri due romanzi di Ferrante, I giorni dell’abbandono (2002) e La figlia oscura (2006), non hanno la stessa preminenza. La Frantumaglia e L’invenzione occasionale sono stati strumenti imprescindibili per addentrarmi nel laboratorio della scrittura di Elena Ferrante, carpendone segreti, intenzioni, e fantasie. Nel corpus da me selezionato il contesto geografico è sempre lo stesso, una Napoli terribile e disincantata, in cui il mare perde il suo fascino per lasciare spazio al terrore e alla violenza di cui tutta la città è intrisa.

L’amore molesto esplora un mondo di sopraffazione in cui il dominio patriarcale si frappone alla creazione del rapporto madre-figlia. Delia è talmente influenzata dal comportamento violento del padre, il quale esercita un controllo ossessivo nei confronti della madre, che introietta questa stessa condotta, e sviluppa un amore molesto nei confronti della madre. Il bisogno – frustrato – di coincidere con Amalia e la paura che possa andarsene e abbandonarla sfociano in un istinto omicida che si concretizza in una delazione dietro cui si nasconde un trauma personale di Delia. L‟abuso subìto in età infantile ha eroso la sua soggettività femminile, e di conseguenza Delia avverte l‟iper-sessualizzazione di Amalia come un pericolo, a cui oppone una «algida mascolinizzazione di copertura» (Fr, 51). Questa forma di difesa emerge in un episodio chiave del romanzo, l‟esperienza sessuale con Antonio, percepita come un‟esperienza simile alla morte. Come nel mito di Persefone e Demetra dopo il rapimento della kore il terreno è inaridito, così il corpo di Delia a seguito della violenza sessuale non riesce a provare piacere, ed è quindi un «corpo androgino».1 Mettendo al centro della scena sessuale l‟insensibilità di Delia, Ferrante ha voluto andare controcorrente rispetto all‟immaginario letterario patriarcale e costruire la scena erotica dal punto di vista della donna e non dell‟uomo. A un «racconto maschile del sesso» ha voluto opporre un «racconto femminile»,2 che espliciti ciò che viene taciuto: la sgradevolezza dell‟atto sessuale.

1 I. P

INTO, Elena Ferrante. Poetiche e politiche della soggettività, Mimesis, Roma, 2020, p. 29. 2 E. F

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La morte di Amalia – probabilmente volontaria – le permette di riconoscere per la prima volta quel trauma e rinascere dentro il corpo della madre da cui in età adulta aveva sentito il bisogno di distaccarsi. Per farlo, Delia compie una catàbasi nel labirinto di Napoli, durante la quale si spoglia – letteralmente e metaforicamente – degli abiti maschili che indossava, per passare a indossare abiti femminili e scrivere una storia che riscatti le due donne – sé stessa e la madre – da una duplice forma di violenza di genere.

Nella quadrilogia dell‟Amica geniale ho indagato il tema della sessualità attraverso il confronto tra l‟esperienza sessuale di Elena e quella di Lila, mentre il tema dell‟identità di genere passa attraverso il personaggio di Lila e il suo rapporto con Alfonso. Lila emerge come personalità queer a partire dal suo rapporto problematico con la femminilità e dalla sua tendenza a esercitare un potere quasi autoritario su chi la circonda per dare e darsi dei confini da opporre alla smarginatura, sentimento di dolorosa dissolvenza dei confini di cose e persone. Attraverso la manipolazione del pannello che la ritrae in abito da sposa, metafora visuale centrale nel romanzo, Lila rifiuta di accettare una nuova vita dentro il suo corpo e di farsi imprigionare nel ruolo della maternità e della sposa felice. Questa operazione di frammentazione e ricomposizione – che Lila compie insieme a Elena – , la sua «autodistruzione in immagine» (SNC, 122) è una forma di resistenza alla colonizzazione del corpo femminile da parte del dominio patriarcale, è un modo per appropriarsi del potere di ritrarre un corpo di donna dal punto di vista della donna e non dell‟uomo. Attraverso la relazione con Elena Lila mette in atto un‟operazione di decostruzione della «logica androcentrica del soggetto» collocando la donna «nella sfera attiva dell‟autorappresentazione».3

La capacità di Lila di destabilizzare le identità emerge nella relazione che instaura con Alfonso, il quale si smargina tramite la cognata fino ad assumere l‟identità che sente più naturale e sincera, somigliandole fino all‟estremo e ribaltando la regola non scritta per cui ogni maschio deve possedere una femmina a lui subordinata. La città di Napoli, che De Rogatis definisce «città ermafrodita»,4 è la città perfetta per fare da scenario all‟energia metamorfica di Lila, a cui si oppone la forza “statica” di Elena, forza che da centrifuga si fa centripeta. Alla smarginatura di Lila, Elena oppone il bisogno di ricucire e creare connessioni fra tutti i passaggi che l‟amica recide. L‟equilibrio tra marginatura di Elena e smarginatura di Lila rispecchia allora la dinamica narrativa e stilistica secondo l‟idea del processo creativo di Ferrante:5 «[l]‟autodisciplina dell‟una che si rompe di continuo a

3 A. C

AVARERO, Il pensiero femminista, un approccio teoretico, Mondadori, Milano, 2002, p. 95. 4

T. DE ROGATIS, Elena Ferrante. Parole chiave, Edizioni E/O, Roma, 2018, p. 158. 5 G. R

ICCARDI, Concepire l’altra. Analisi di L‟amica geniale di Elena Ferrante, Ludwig-Maximilians Universität Munchen Masterarbeit, p. 12.

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7

bruscamente contro l‟estro disordinato dell‟altra» (Fr, 247). Durante un raro momento di intimità nel terzo volume, Storia di chi fugge e di chi resta, questa dinamica dà luogo a uno scambio di confidenze stimolato da Lila la quale sprona Elena a riconoscere quello che lei chiama «il fastidio di chiavare» (SCF, 156) e che, dice, è presente nel romanzo che lei ha pubblicato. Elena però, vincolata com‟è ad una posizione di conformismo rispetto alle regole del dominio maschile, al di fuori del romanzo non riesce a porsi sullo stesso piano – anche linguistico – dell‟amica. Per l‟analisi della sessualità nell‟Amica geniale mi sono concentrata sull‟episodio di violenza subìto da Lila la prima notte di nozze e sulle esperienze sessuali di Elena, dalla notte ai Maronti con Donato Sarratore al fidanzamento con Franco Mari prima e Pietro Airota poi, evidenziando l‟ipocrisia che si cela dietro gli slogan progressisti dei due uomini di sinistra.

L‟ultimo romanzo di Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, si configura come romanzo di formazione di Giovanna, un‟adolescente che viene da una Napoli borghese, molto diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto nelle due opere analizzate precedentemente. È la storia del disfarsi di un‟educazione piccolo-borghese e della ribellione alle menzogne della vita adulta. Centrale è l‟esperienza sessuale, proposta ancora una volta in maniera disturbante, tra Giovanna e Rosario, un ragazzo del quartiere del Pascone, forse ancora più degradato del rione Luzzatti della quadrilogia ferrantiana. A traghettare Giovanna nell‟altra faccia di Napoli e spronarla a guardare alla vera natura dei suoi genitori è la terribile zia Vittoria, che del padre di Giovanna, Andrea, è gemella e nemesi, simbolo vivente del mondo alla rovescia e in quanto tale concepita come una strega. Vittoria veicola un dialetto che per la prima volta in Ferrante non fa da sfondo a episodi di violenza e sopraffazione ma è una lingua affettuosa e accogliente. È lei a far entrare sulla scena un braccialetto attorno a cui si condensano le bugie e i tradimenti degli adulti e che si rivelerà essere «un regalo della malasorte» (Vbda, 326). Ma soprattutto è attraverso zia Vittoria che Giovanna apprende una narrazione cruda, adulta della sessualità, che decide di sperimentare non con il ragazzo di cui è innamorata ma con Rosario, in un episodio che ricorda da vicino la notte ai Maronti tra Elena e Donato Sarratore. Con la differenza, inevitabile alla luce del diverso periodo storico-culturale, che Elena non ha mai conosciuto il suo corpo prima dell‟approccio – involontario prima e volontario poi – con Donato, mentre Giovanna ha una personalità molto fluida, e l‟abbiamo vista esplorare la sua sessualità con l‟amica Angela. Nonostante Vittoria offra la possibilità di un sesso gioioso attraverso la narrazione delle sue esperienze adultere con Enzo, nella realtà si afferma ancora una volta il “fastidio di chiavare”. L‟iniziazione sessuale

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di Giovanna nasce dal forte bisogno di trasgressione dai dettami degli adulti, compresa zia Vittoria, ma è una pratica che non la incuriosisce né le procura piacere.

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I. L’amore molesto e il bisogno di possedere la madre.

«Il vestito della liberazione arrivava per linea materna» (Fr, 157)

L‟amore molesto è il primo romanzo pubblicato da Elena Ferrante, nel 1992. L‟incipit annuncia con tono distaccato la morte per annegamento della madre e la coincidenza tra questo evento e il compleanno di Delia, protagonista e voce narrante, delineando anche la topografia dell‟evento6

:

«Mia madre annegò la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno, nel tratto di mare di fronte alla località che chiamano Spaccavento, a pochi chilometri da Minturno» (AM, 9).

Sembra quasi che la narratrice abbia voluto compilare un articolo giornalistico a partire dalle 5 W: What? Who? Where? When? Why?

Ma alla conclusione del romanzo la protagonista e voce narrante si rifiuterà di cercare una versione cronachistica dei fatti:

«Mi ero chiesta perché mia madre avesse deciso di morire in quel posto. Non l‟avrei saputo mai. Ero l‟unica fonte possibile del racconto, non potevo né volevo cercare fuori di me» (AM, 168).

Il romanzo, infatti, vuole essere non un‟indagine bensì una «destrutturazione psicologica», che approda a una «ricreazione artistica del passato»7 della protagonista.

A parlare è Delia, che racconta della madre Amalia, e a partire dalla sue ultime ore di vita ricostruisce una lunga vicenda di violenza domestica e sopraffazione. La vicenda si svolge in soli due giorni, ma la cronologia è forzata da una continua oscillazione temporale tra passato e presente, attraverso sedici analessi e quattro visioni,8 frutto della fervida immaginazione di Delia.

Il racconto è dominato da una focalizzazione interna a tutti gli effetti, focalizzazione – potremmo dire – “progressiva”, in quanto la narrazione si fa specchio della labilità della memoria di chi narra, per cui la verità nascosta emerge per gradi. Così, ogni volta che ci viene presentato un dettaglio o una scena del passato, Delia ha poi bisogno di tornarvi e metterlo a fuoco, andando a fornire una prospettiva più ampia, attraverso epifanie, personaggi chiave e scene centrali che tornano e si richiamano, con continui «passaggi dal

6 T. D

E ROGATIS, Elena Ferrante. Parole chiave, e/o, Roma, 2018, p. 35. 7 S. M

ILKOVA, Artistic tradition and Feminine Legacy in Elena Ferrante’s “L’amore molesto”, California, Italian Studies, 6(1),2016, p. 2.

8

T. DE ROGATIS, Elena Ferrante e il Made in Italy. La costruzione di un immaginario femminile e napoletano,

in «Made in Italy e cultura. Indagine sull'identità italiana contemporane»a, a cura di D. Balicco, Palumbo, Palermo, 2015, p. 296.

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10 presente al passato con sortite nell‟onirico».9

Mario Martone, regista che nel 1995 ha tratto dal romanzo il film omonimo, mette in risalto questa caratteristica aggiungendo un particolare visivo di rilievo: la miopia di Delia, costretta fin da piccola a portare gli occhiali correttivi. Tra gli elementi di originalità introdotti nel film, Amalia, a Bologna (piuttosto che Roma) a casa della figlia, sistema i suoi disegni sparsi sulla scrivania. In una rapida sequenza di primi piani vediamo passati in rassegna alcuni di questi lavori e notiamo che essi seguono lo stesso schema “frammentato” della narrazione: per esempio nel terzo fumetto, caratterizzato da un‟impaginazione di rigore geometrico, cambia la prospettiva, che passa dal singolo oggetto – un cestino con dentro una borsa – a una visione dall‟alto che lo contestualizza. È esattamente il meccanismo che ha descritto Stiliana Milkova per lo schema narrativo del romanzo, rilevando che la memoria selettiva di Delia emerge come schizzi approssimativi, meri schemi di eventi o figure del passato che poi si configurano come distinti tableau visivi,10 fino a quando riesce a dare un nome al suo trauma, a raccontarselo e raccontarlo. Sembra quasi che Ferrante stessa alluda a questo procedimento quando Delia, nelle ultime pagine del romanzo sulla spiaggia di Spaccavento, dice: «Ero già tornata in quel luogo, dopo la morte di mia madre. Non avevo visto né il mare né la spiaggia. Avevo visto solo dettagli» (AM, 168).

Il racconto si configura allora come una progressiva revisione del punto di vista della voce narrante,11 che asseconda il percorso interiore del personaggio. Ecco allora che il tessuto della narrazione si presenta sconnesso, scucito, inattendibile: riproduzione quanto mai fedele del complesso processo di autoconsapevolezza a cui la protagonista e voce narrante giungerà, catarticamente, alla fine del romanzo, rovesciando la posizione di partenza. Il lettore all‟inizio conosce una Delia in abiti maschili, schiva al contatto con la madre, disturbata dalla sua presenza, persino dalla sua lingua, e infine la lascia mentre accoglie in sé, fisicamente – con nuovi abiti – e metaforicamente – accettando la sua eredità femminile – quella Amalia che aveva cercato di non farsi piegare dalla violenza. E che si toglie la vita per dare alla figlia la possibilità di rinascere e rigettare la cultura maschilista di cui sono state vittime – consapevolmente e non.

9 F. F

ERRARI, Elena Ferrante. L’amore molesto, 12/06/2017, in

https://fiordilibri.wordpress.com/2017/06/12/elena-ferrante-lamore-molesto/ 10

S. MILKOVA, Artistic tradition, cit., p. 2. 11 T. D

E ROGATIS, “L’amore molesto” di Elena Ferrante. Mito classico, riti di iniziazione e identità femminile,

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11 I.1 Amalia e il fascino della resistenza

Amalia è vittima di reiterati episodi di violenza da parte di un marito di cui non conosciamo il nome. Una violenza che si configura fin da subito come strumento per affermare una gerarchia patriarcale di dominio. La filosofa tedesca Hannah Arendt distingue il concetto di „violenza‟ da quello di „potere‟, attribuendo a quest‟ultimo un‟accezione positiva di controllo, condizione prima dell‟esistenza della sfera pubblica all‟interno della quale gli uomini parlano ed esercitano il potere politico.12 Pratica “prepolitica” muta è invece la violenza, che contraddice il principio di dialogo su cui l‟interazione politica verte, rischiando così di silenziare o cancellare la formazione identitaria dell‟individuo. Ferrante indaga proprio questo meccanismo nel suo romanzo: come il discorso maschile oggettivizza – tramite la violenza – la femminilità, fino a controllarla, cancellarla e assorbirla.13 Amalia subisce la colpa di essere donna e di ricevere le attenzioni degli uomini sui mezzi pubblici, per strada, per quanto coltivi «l‟abitudine a non rendersi piacente (AM, 31), per placare la gelosia del marito. Ma, come osserva Pesca, Amalia è considerata colpevole per la semplice realtà del suo corpo, segno di un potenziale autogoverno che al marito possessivo, e alla giovane figlia, risulta intollerabile.14 Così, se da un lato Amalia aderisce alla concezione di maternità propria dell‟immaginario comune, dall‟altro la sua forma di resistenza consiste in un processo di iper-femminilizzazione. Questo modo di reagire alle norme convenzionali allarma anche la figlia, la quale si costruisce una figura della donna sulla base del modello stereotipato della mentalità patriarcale, che sovrastima ed enfatizza le sue caratteristiche femminili. Delia non solo biasima il comportamento della madre, ma prevede e inconsciamente giustifica le reazioni violente del padre, che immagina che Amalia fuori casa metta in mostra il suo corpo:15

«come s‟era immaginato che si comportasse sua moglie appena lui girava le spalle, come anche Amalia forse aveva fantasticato per tutta la vita di comportarsi; una signora di mondo che si curva senza essere costretta a poggiare due dita al centro della scollatura, accavalla le gambe non badando alla gonna, ride sguaiata, si copre d‟oggetti preziosi e deborda con tutto il corpo in continue indiscriminate profferte sessuali, giostrando a tu per tu coi maschi nell‟arena dell‟osceno» (AM, 69).

12 M

ANDOLINI, Telling the abuse, in G. R. BULLARO, S. V. LOVE, The works of Elena Ferrante. Reconfuring the margins, Palgrave Macmillan, New York, 2016, pp. 271-292, su gentile concessione dell‟autrice. 13

MANDOLINI, Telling the abuse, cit. 14 C. P

ESCA, The narrative function of clothing, in altrelettere, University of Zurich, 19.10.2017, p. 5. 15 Ibidem.

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Questa ambivalenza vuole mostrare come l‟indicibile della relazione madre-figlia – ovvero la mancata simbolizzazione di questa relazione – sia funzionale al mantenimento dell‟ordine patriarcale.16 La prima notte che passa in casa di Amalia dopo il suo funerale, Delia sogna la madre in due “vesti” un po‟ antitetiche: nella prima è proiettata nel ruolo di donna incinta, emblema della femminilità; mentre nella seconda è una figura fortemente erotizzata. Il racconto si sofferma a lungo sulla descrizione dei suoi capelli, che «luccicavano come quelli di una pantera ed erano fitti» (AM, 33): penso che non sia casuale il riferimento alla pantera, animale che nella simbologia araldica è simbolo di sottigliezza astuta, che attrae gli animali con la lucentezza della sua pelle per poi divorarli.17 Effettivamente l‟idea che Delia ha di Amalia è quella di un animale seducente, colpevole della sua bellezza, di quella chioma di capelli che «si disfano come se ce li avesse scolpiti in volute sulla fronte e l‟ebano della pettinatura mutasse struttura molecolare sotto le sue mani» (AM, 34). Nella Frantumaglia Ferrante ci ha riservato una pagina inedita del romanzo, con una lunga riflessione sui capelli nerissimi della donna. Dal punto di vista di Delia, la chioma vigorosa della madre è segno del suo perfido egoismo; frustrata per la mancata somiglianza con la madre, Delia si taglia i capelli per dimostrarle di essere diversa da lei:

Io avevo i capelli fini di mio padre. […] Risultava impossibile acconciarli in modo da ottenere la pettinatura di mia madre. […] Mi guardavo allo specchio rabbiosa. Amalia era stata perfida, non mi aveva dato i suoi capelli. Si era tenuta per sé la chioma vigorosa, aveva voluto che non diventassi mai bella quanto lei.[…] Così una volta, non so come cominciò […] le rubai le forbici da sarta, attraversai il corridoio, mi chiusi nel bagno e mi sforbiciai i capelli con accanimento, a occhi asciutti, provando una gioia feroce. […] Poi andai a mostrarmi a lei per farla soffrire, volevo dirle: guarda, non ho più bisogno di pettinarmi come te. […] Vide qualcosa che la ferì o la spaventò. Si mise a piangere (Fr, 97).

Ogni interazione che Amalia ha con gli uomini, agli occhi di Delia è segno della sua colpevolezza, della sua ambiguità. Per cui anche l‟uomo da cui Amalia va a comprare il sapone per i capelli è una minaccia:

per lavarli non bastava sapone, occorreva tutto il contenitore dell‟uomo che lo vendeva nell‟interrato, in fondo ai gradini bianchi di cenere o di lisciva. Sospettavo che a volte mia madre, sfuggendo alla mia sorveglianza, li andasse ad immergere direttamente nel bidone, col consenso dell‟uomo della bottega (AM, 34).

16 P

INTO, Poetiche e politiche della soggettività, cit., p. 21. 17http://www.gongoff.com/animali-simbologia/pantera

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La presenza minacciosa di quest‟uomo è segno di come l‟immaginazione di Delia riflette quella di suo padre e del fratello della donna, zio Filippo, ai cui occhi Amalia è un oggetto carnale la cui sensualità esalta il desiderio maschile ma, allo stesso tempo, e proprio per questo, va tenuta a bada18. Così, i ricordi di figlia di Delia vagano confusi tra l‟immagine di una donna potenzialmente infedele e la vittima di un uomo che, consapevole dell‟attrazione che la moglie esercita, suo malgrado, su altri uomini, cerca con ogni mezzo di modificarne e mortificarne la personalità:19

Lui la proteggeva con una violenza che non sapevo mai se avrebbe schiacciato soltanto i rivali o gli si sarebbe anche rivolta contro uccidendolo […] Una volta si convinse che un uomo nella ressa l‟avesse toccata. La schiaffeggiò sotto i nostri occhi. Io restai dolorosamente meravigliata. Ero certa che avrebbe ucciso l‟uomo e non capivo perché, invece, avesse preso a schiaffi lei. Anche adesso non capivo come mai l‟avesse fatto. Forse per punirla di aver subìto sulla stoffa del vestito, sulla pelle, il calore del corpo di quell‟altro (AM, 63-4).

C‟è un uomo in particolare che scatena la rabbia distruttiva del padre di Delia, Nicola Polledro detto Caserta, amico dell‟uomo e dello zio Filippo. Amalia non può nominarlo, pena essere malmenata: «Amalia veniva spesso inseguita per casa, raggiunta, colpita al viso prima col dorso della mano, poi col palmo, solo perché aveva detto “Caserta”» (AM, 39). È lui, nel dopoguerra, a mettere in commercio i ritratti del marito: Caserta, «che era furbo, nero nero come un saraceno ma con gli occhi di diavolo assatanato» (AM, 52) si fa dare dai soldati americani, e soprattutto dai marinai, foto-tessere delle loro donne, siano esse mogli, amanti, sorelle, madri, e il padre di Delia ne fa ritratti. Amalia però non accetta che il marito passi a lavorare per un certo Migliaro, a cui vende ritratti di una zingara discinta senza volto, che non è altri che lei, con la sua acconciatura e le sue forme:

«una costruzione maestosa, inequivocabilmente simile alla bella pettinatura che Amalia sapeva realizzare coi suoi lunghi capelli. […] Quando nostro padre portò a termine la sua zingara, io ne fui certa e anche Amalia: la zingara era lei» (AM, 137)

Delia ha quattro anni quando assiste al primo episodio di violenza che la madre subisce per essersi intromessa negli affari del marito:

Quando Caserta andò via, mio padre senza preavviso colpì Amalia due volte in faccia con la destra, prima col palmo e poi col dorso. Quel gesto lo ricordavo preciso, col suo movimento a onda che prima va, poi viene: glielo vedevo fare per la prima volta. Lei scappò in fondo al corridoio nel ripostiglio e cercò di chiudersi dentro. Fu tirata fuori a calci. Uno la colpì a un fianco e la mandò

18 M

ANDOLINI, Telling the abuse, cit. 19 F

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contro l‟armadio della camera da letto. Amalia si rialzò e strappò tutti i disegni dalle pareti. Fu raggiunta, afferrata per i capelli e sbattuta con la testa contro lo specchio dell‟armadio, che si spezzò (AM, 137-8).

Come sostiene Kersti Yllö nella sua analisi femminista della violenza familiare, la violenza e la riduzione del corpo di Amalia a fantasia libidinale mercificata non sono altro che un modo per oggettivizzare e controllare la sua soggettività, al fine di annientarla: «A mio padre niente di Amalia era mai sembrato innocente […]. Per quel suo essere gradita lui la puniva con schiaffi e pugni» (AM, 122). L‟unico modo di resistenza che la donna conosce è quello di “aggrapparsi” alla sua macchina da cucire:20

Mia madre pedalava tutto il giorno sulla Singer come una ciclista in fuga. In casa viveva dimessa e schiva, nascondendo i suoi cappelli, le sue sciarpe colorate, i suoi vestiti. Ma, sospettavo, proprio come mio padre, che fuori casa ridesse diversamente, respirasse diversamente, orchestrasse i movimenti del corpo in modo da lasciare tutti a occhi sbarrati» (AM, 102); «Per tutti i giorni della sua vita aveva ridotto il disagio dei corpi a carta e tessuti, e forse se n‟era fatta un‟abitudine dall‟interno della quale tacitamente ripensava la dismisura secondo misura (AM, 125).

Fino a quando Amalia non va a vivere con le figlie in un edificio del centro storico che lei trova «imponente», ma che a Delia dà l‟impressione di «un carcere, un tribunale o un ospedale» (AM, 23). L‟approccio di Amalia, la quale, interiorizzando la violenza del marito, si adatta allo stereotipo di moglie e madre che si adegua alla dominazione dell‟uomo, cambia soltanto quando, non si sa quanti mesi prima di morire, «cinque, sei?» (AM, 25), inizia a frequentare regolarmente Caserta. E da allora, sappiamo dalle chiacchiere della vedova De Riso, vicina di casa di Amalia, «“Aveva la testa un po‟ per aria” […] “Era contenta”» (AM, 27-8). Talmente contenta, che dà sfogo a quella risata che il marito le ha represso per tutti gli anni che sono stati insieme, perché lui «non sopportava che ridesse» (AM, 121):

Considerava la risata di lei d‟una sonorità d‟occasione, visibilmente falsa. Tutte le volte che c‟era qualche estraneo per casa […] le raccomandava: “Non ridere”. Quella risata gli sembrava uno zucchero sparso ad arte per umiliarlo. In realtà Amalia cercava solo di dare suono alle donne d‟apparenza felice fotografate o disegnate sui manifesti o sulle riviste degli anni Quaranta: bocca larga dipinta, tutte denti scintillanti, sguardo vivace. Era così che si immaginava di essere, e si era data la risata giusta (AM, 121).

Ora finalmente, con Caserta, «Rideva soprattutto lei, con una risata così forte che si sentiva dal pianterreno» (AM, 44), e sul treno che avrebbe dovuto portarla a Roma «Nello

20 M

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scompartimento s‟è messa a ridere senza motivo e ha cominciato a sventolarsi con un lembo della gonna» (AM, 124). Questa reazione può essere sicuramente letta una «risata in faccia all‟insopportabile» (Fr, 22):

«la risata in faccia all‟Insopportabile è una scommessa per la letteratura e oggi è la risata che mi interessa di più» (Fr, 22).

Amalia sceglierà di morire col solo reggiseno indosso per affermare il suo diritto ad essere donna senza dover mortificare il suo corpo, pur senza cancellare il suo passato, simboleggiato dagli orecchini (un regalo del marito), dall‟anello di fidanzamento e dalla fede che ha indossato fino alla fine. La chiave di lettura della sua morte ce la dà Ferrante stessa nella Frantumaglia, quando ci spiega il valore della sparizione delle donne nei suoi romanzi attraverso il significato dell‟espressione “io non ci sto”, che esprime il segno della loro irriducibilità:

La scomparsa delle donne non va interpretata solo come un crollo della combattività di fronte alla violenza del mondo, ma anche come rifiuto netto. C‟è in italiano un‟espressione intraducibile nel suo doppio significato: “io non ci sto”. Se presa alla lettera significa: io non sono qui, in questo luogo, di fronte a ciò che mi state proponendo di accettare. Nel suo significato comune suona invece: non sono d‟accordo, non voglio. Il rifiuto è assentarsi dai giochi di chi schiaccia tutti i deboli (Fr, 317).

Amalia è «la vittima che non è annichilita» (AM, 125), e non ci sta più a immaginarsi «stretta tra quattro pupille, espropriata dai due sguardi» (AM, 157). Non fugge, infatti, solo dal marito violento e patriarcale, ma anche dalle «fantasie di vecchio col cervello perso» (AM, 157) di Caserta, il quale si appropria del corpo della donna svendendo al vecchio nemico il quadro del negozio Vossi. Gettandosi in acqua Amalia si rifiuta di rimanere intrappolata come merce di scambio nella loro competizione, che dimostra chi tra i due è l‟uomo più forte, più ricco.

Certamente le aveva causato più dolore la scoperta che quell‟uomo seguitava con perversa costanza a perseguitarla, come aveva fatto anni prima quando le aveva inviato i suoi regali sapendo di esporla alla brutalità del marito. Me l‟immaginavo disorientata, quando aveva saputo che Caserta era andato da mio padre a raccontare di lei, del tempo che passavano insieme. La vedevo sorpresa perché mio padre non aveva ucciso il suo presunto rivale, come aveva sempre minacciato di fare, ma gli aveva dato pacatamente ascolto per poi mettersi a spiarla, per malmenarla, per minacciarla, per tentare di reimporle la sua vicinanza (AM, 152).

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16 I.2 Delia alla ricerca delle origini della “matrofobia”

Il rapporto di Delia con la madre è caratterizzato da un desiderio possessivo prima, e da un sentimento di ostilità poi. Il desiderio infantile di ripristinare la fusione con Amalia è

frustrato dalla gelosia possessiva del padre che alimenta nella sua psiche infantile il fantasma di una madre ambigua, distante, pronta al tradimento. È il padre che la spinge ad esprimere, a sua volta, una forma di amore molesto nei confronti di Amalia (e di se stessa).21

Mi sembrò aderente al racconto – spiega Ferrante – che fosse molesto l‟amore, l‟amore che fa del padre il rivale della figlia, l‟amore esclusivo per la madre, l‟unico grande tremendo amore originario, la matrice inabolibile di tutti gli amori (Fr, 157-8).

L‟amore molesto, quindi, è l‟interferenza che il desiderio violento del padre frappone tra Delia e Amalia, separandole.22 E che si traduce in un «sistematico rifiuto della sua eredità, e (quindi) della sua femminilità».23 Questa forma di rifiuto si manifesta nel chiamare spesso Amalia col suo nome di battesimo, oltre che nel fastidio che la sua presenza per casa le provoca. Quando la madre va a trovarla a Roma, dove vive ormai da dieci anni, stravolge le dinamiche sociali e domestiche della sua vita indipendente. Amalia è estremamente socievole mentre la figlia è riservata, la madre è ordinata mentre Delia è affezionata al disordine della sua casa.24 Martone dà una rappresentazione visiva molto efficace del complesso rapporto che Delia ha con il corpo della madre. Quando Amalia le si avvicina per portarle il caffè caldo, lei sfugge al contatto spingendosi fra le lenzuola contro il muro e fingendo di dormire.

Irrigidita tra le lenzuola, avevo l‟impressione che sfaccendando mi trasformasse il corpo in quello di una bambina con le rughe. Quando arrivava con il caffè, mi rannicchiavo da un canto per evitare che mi sfiorasse sedendosi sulla sponda del letto. La sua socievolezza mi infastidiva. […] Con lei sapevo essere solo contenuta e insincera (AM, 9-10).

Delia ha vissuto in una sospensione del tempo in cui le due condizioni, quella dell‟infanzia e della maturità, sono sovrapposte e bloccate reciprocamente.25 Se – come si è visto – Amalia reagisce alla violenza con un processo di iperfemminilizzazione, Delia proprio di questo la reputa colpevole, e riscontra in quell‟atteggiamento un modello da condannare, da cui

21 D

E ROGATIS, Elena Ferrante e il Made in Italy, cit., p. 303. 22 Ibidem.

23 Nel linguaggio freudiano il rivale molesto è il padre che contende alla bambina l‟amore della madre nella fase preedipica. Cfr. FERRANTE, Frantumaglia, cit., pp. 157-8.

24 M

ANDOLINI, Telling the abuse, cit. 25 D

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distaccarsi: «Ero a tal punto decisa a diventare diversa da lei, che perdevo a una a una le ragioni per assomigliarle» (AM, 171). Delia si rifugia allora nel modello maschile e, come nota Alsop, esercita su Amalia l‟«antichissima» sorveglianza che gli uomini esercitavano sulle donne della propria famiglia. Invece di «cambiare ruolo di genere», osserva Alsop, «lei piuttosto li sostiene» e indossando i panni dell‟investigatore conduce una «indagine femminile tra uomini dai movimenti non ordinabili» (Fr, 49).26 Per quanto crescendo abbia acquisito consapevolezza della violenza del mondo napoletano in cui è cresciuta, infatti, Delia ammette di essersi sempre sentita solidale con lo zio Filippo:27

Avevo sempre provato una vecchissima simpatia per quel suo [di zio Filippo] corpo logoro e per quella sua aggressività da camorrista sbruffone. Ma quand‟ero ragazza non potevo sopportare che si schierasse a quel modo. […] Forse non tolleravo che la parte più segreta di me si servisse della sua solidarietà per avvalorare un‟ipotesi coltivata altrettanto segretamente: che mia madre portasse inscritta nel corpo una colpevolezza naturale, indipendente dalla sua volontà e da ciò che realmente faceva (AM, 55, corsivo mio).

Per questo, già da bambina si sente responsabile di quella madre colpevolmente troppo affascinante, fascino di cui avverte il peso come se fosse una colpa innata:

Noi pensavamo che nostro padre, per tutto quello che le faceva, dovesse uscire di casa un mattino e morire bruciato o schiacciato o affogato. Lo pensavamo e la odiavamo, perché era la molla di quei

pensieri (AM, 56, corsivo mio).

Da perfetta figlia della cultura patriarcale, Delia cerca – e trova – una giustificazione alla violenza di cui la madre è vittima, e cerca di arginare la dispersione del suo corpo, per prevenire una gelosia che non è già più solo del padre. Ma ha sempre l‟impressione – espressa in maniera figurale – che la donna si espanda fisicamente in direzione degli uomini vicino a lei, attirandone l‟attenzione:

Era uno sforzo inutile, il corpo di Amalia non si lasciava contenere. I fianchi le si dilatavano per il corridoio verso i fianchi degli uomini che aveva a lato; le sue gambe, il ventre si gonfiavano verso il ginocchio o la spalla di chi le sedeva davanti. O forse avveniva il contrario. Erano gli uomini che si incollavano a lei come mosche alle carte appiccicosa (AM, 62-3).

Durante i viaggi in funicolare, Delia se ne sta «crocefissa alle gambe di lei» per proteggerla dallo sguardo degli altri uomini: «come avevo visto che faceva sempre mio padre in quella

26

E. ALSOP, Femmes Fatales: “La fascinazione di morte” in Elena Ferrante’s “L’amore molesto” and “ I giorni dell’abbandono”, Italica, 91, n. 3 (Fall 2014), p. 470.

27 M

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circostanza» (AM, 62). Al fotografo che sotto casa loro espone per qualche giorno una foto-tessera della donna, Delia intima di toglierla per prevenire la gelosia del padre, che però è un sentimento che si è ormai propagato in lei: «Lanciavo sguardi furtivi nel buio per esercitare a mia volta un controllo su Amalia, anticipare la scoperta dei segreti di lei, evitare che anche lui scoprisse la sua colpevolezza» (Ibidem, corsivo mio). La dichiarazione: «Mi ero sempre figurata una trama di agguati tessuta apposta per farla sparire dal mondo» (AM, 11), palesa un desiderio assassino che emerge ripetutamente nella sua psiche infantile, risultato di un amore ossessivo nei confronti di questa donna, sfuggente e seduttiva allo stesso tempo,28 che la fa vivere col terrore che la madre possa abbandonarla:

Se tardava, l‟ansia diventava così incontenibile che debordava in tremiti del corpo. Allora scappavo in un ripostiglio senza finestre e senza luce elettrica […]. Chiudevo la porta e me ne stavo al buio, a piangere in silenzio […]. “Quando torni ti ucciderò”, pensavo, come se fosse stata lei a tenermi chiusa lì dentro (AM, 11).

L‟amore molesto per la madre in età adulta sfocia in matrofobia, nel terrore di non riuscire a definire un proprio confine corporeo, di essere smarginata, invasa dalle forme della propria madre. Delia sente quindi il bisogno di differenziarsi e rifiutare radicalmente l‟iperseduttività di Amalia.29 Si spiegano così gli abiti mascolini con cui Mario Martone veste Anna Bonaiuto nei panni di Delia, che, tra tante perplessità, ottiene di portare a spalla la bara della madre: «Me l‟avevano concesso tra molte resistenze: le donne non portano bare in spalla» (AM, 16). Durante il funerale Delia sente irrompere all‟improvviso, dall‟interno del proprio corpo, il «liquido caldo» (AM, 16) del ciclo mestruale, e lo avverte come un segno del «sollievo colpevole» (Ibidem) che prova nell‟essersi sbarazzata della madre. L‟evento fisiologico viene percepito come un‟invasione, «un segnale convenuto tra estranei» (AM, 15) contro il quale non può opporsi:

Quando la bara era stata deposta nel carro e questo si era avviato, erano bastati pochi passi e un sollievo colpevole perché la tensione precipitasse in quel fiotto segreto del ventre. Il liquido caldo che usciva da me senza che lo volessi mi diede l‟impressione di un segnale convenuto tra estranei dentro il mio corpo (AM, 16).

Delia inizia a piangere quando nello specchio dello squallido bagno del bar vede il fantasma di Amalia staccarsi dal sesso panni di lino insanguinati. Il flusso di sangue che dalla madre si trasmette alla figlia è solo il primo segnale dello strabordare del corpo di Amalia dentro

28 D

E ROGATIS, Parole chiave, p. 98. 29 Ibidem, p. 106.

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quello della figlia, la quale reagisce a questa instabilità imponendo un ritmo alle lacrime, come a voler ristabilire un controllo su se stessa. Carmela Pesca interpreta questi segnali fisici ed esterni di liquefazione come manifestazione del disagio della femminilità repressa di Delia30, e similmente Anna Scacchi osserva che la figlia avverte il corpo materno come una liquida minaccia alla propria identità dura e autonoma,31 come se il corpo di Amalia si fosse tramutato lasciando nella sua scia indizi e tracce umide della sua presenza in città.32 La mascolinità di Delia è un fattore che marca ulteriormente il distacco dalle sorelle, come messo in evidenza nella scena dei saluti, in cui Martone aggiunge un elemento di originalità rispetto al romanzo, cioè la maternità di una delle due sorelle, condizione che Delia non conoscerà mai: «non avevo voluto o non ero riuscita a radicare in me nessuno. Tra qualche tempo avrei perso anche la possibilità di avere dei figli» (AM, 78). Anche la gettoniera in disuso all‟interno dell‟ascensore della casa in cui abita Amalia, che esibisce la sua «vuotezza astinente» (AM, 24), allude alla sua sterilità:

In genere non amavo quei sarcofaghi di metallo […]. Ma quello [l’ascensore] aveva pareti di legno, porte a vetri con arabeschi grigi ai bordi, maniglie d‟ottone lavorate, due panche eleganti che si fronteggiavano, uno specchio, l‟illuminazione fioca […] – e – una gettoniera degli anni Cinquanta. […]. Ma, pur guastando la calma vecchiaia di quello spazio, la gettoniera per la sua vuotezza

astinente non mi dispiaceva (AM, 24, corsivo mio).

La collocazione della cabina, (al quinto piano, due piani oltre quello di Amalia, perché nessun inquilino vi abita e dunque il pianerottolo è buio e solitario), poi, rimanda ad una posizione di distanziamento, di riparo difensivo.33 Oltre ad essere un luogo che emana un senso di decoro e protezione anomalo per una città come Napoli, luogo degli eccessi metereologici, estetici, linguistici ed emotivi, Delia percepisce quell‟ascensore come un «utero siderale», con tanto di «lunga coda delle corde d‟acciaio» (AM, 27) che fanno da cordone ombelicale.34 È in questo spazio che va a rifugiarsi subito dopo il funerale di Amalia, ed è qui che, l‟ultima volta che è stata a Napoli, la gelosia e l‟imbarazzo nel toccare il corpo della madre esplodono nel gesto di Delia che sottrae la mano alla madre, se la porta al cuore e le chiede di uscire fuori:

30 P

ESCA, The narrative function of clothing, p. 4. 31 T. P. N

JEGOSH, L’amore molesto di Amalia e Delia, in A. SCACCHI, Lo specchio materno – madri e figlie tra biografia e letteratura, Luca Sossella Editore, Roma, 2005, p. 243.

32 M. B

OVO-ROMOEUF, Sensualité et obscenité dans “L’amore molesto” et “I giorni dell’abbandono” d’Elena Ferrante, UGA Éditions/Université Grenoble Alpes, 15 septembre 2006, p. 3.

33 D

E ROGATIS, Elena Ferrante e il Made in Italy, cit., p. 305. 34 D

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“Hai mai avuto un uomo in tutti questi anni?” […] La reazione era stata esagerata al confronto coi suoi comportamenti sempre molto contenuti […] Mi ero ritratta e la mano me l‟ero poggiata sul cuore per calmarne i battiti molto veloci. […] “Esci” le avevo detto. L‟aveva fatto davvero: non mi diceva mai di no (AM, 26).

Delia e Amalia non sono riuscite a costruire un legame madre-figlia in quanto vittime entrambe di violenza di genere, che nel caso della madre si esprime attraverso il «modo degradante e mutilato di amare del marito che evoca lo stupro del mito»,35 e nel caso della figlia si esprime fisicamente attraverso le molestie del padre di Caserta e simbolicamente attraverso l‟assimilazione al dominio maschile. La violenza subita da Delia è un momento di oggettificazione e annichilimento della soggettività, che coincide con la separazione dal modello incarnato da Amalia:36 cancellare con una forma di matricidio – per usare l‟espressione di Melanie Klein – ogni traccia dell‟origine: «tutto rifatto, per diventare io e staccarmi da lei» (AM, 77).37 Le ferite sul corpo della madre sono oggetto di adorazione e di eccitazione erotica. Vedendosi negata la possibilità di un contatto diretto con il corpo della madre: «non mi permetteva di toccarla» (AM, 35), Delia si lega al dito ferito di Amalia come ad un feticcio, tramite cui stabilisce un contatto orale di incorporazione con la madre, e fantastica di riprodurre sul suo stesso corpo quella stessa ferita, assecondando un principio simmetrico di spostamento per cui facendo del male a se stessa fa del male alla madre: 38 Quel dito ferito di mia madre, forato dall‟ago quando non aveva nemmeno dieci anni, mi era noto più delle mie dita proprio grazie a quel dettaglio. Era viola e alla lunetta l‟unghia pareva sprofondare. Avevo desiderato a lungo di leccarlo e succhiarlo, più dei suoi capezzoli […] progettavo di bucarmi anch‟io l‟unghia, per farle capire che era rischioso negarmi quello che non avevo. Ciò che di lei non mi era stato concesso volevo cancellarglielo dal corpo (AM, 75-6).

Se il matricidio comporta rimanere paradossalmente intrappolata proprio dentro l‟utero di quel fantasma materno, nell‟eterna dipendenza della «bambina con le rughe» (AM, 10),39

in Delia si innesca una pericolosa dinamica di proiezione nella madre, attraverso illusori sdoppiamenti dell‟io e miraggi di sovrapposizione identitarie.40

I suoi giochi con Antonio

35

DE ROGATIS, Elena Ferrante e il Made in Italy, cit., p. 303. 36 M

ANDOLINI, Una rivoluzione privata. La de-ri-costruzione della soggettività femminile in Cronache del mal d‟amore di Elena Ferrante,in Turning Points, SIS Interim Conference, 29-30 April 2016, su gentile concessione dell‟autrice.

37 D

E ROGATIS, Parole chiave, p. 106. 38

Ibidem. 39 Ibidem. 40 M

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vogliono essere il riflesso dei giochi che immaginava Amalia facesse con il suo presunto amante.

Non volevo essere “io” se non ero l‟io di Amalia. Facevo come mi ero immaginata che in segreto Amalia facesse. E le imponevo, in mancanza di percorsi suoi dei quali potessi essere parte, i miei percorsi da casa al “Coloniali” di Caserta il vecchio. Usciva di casa, voltava l‟angolo, spingeva la porta a vetri, assaggiava creme, aspettava il suo compagno di giochi. Ero io ed ero lei. Io-lei ci incontravamo con Caserta. Infatti non vedevo il viso di Antonio, quando Antonio appariva dalla porta sul cortile, ma quello che, in quel viso, c‟era del viso da adulto di suo padre. Amavo Caserta con l‟intensità con cui mi immaginavo che l‟amasse mia madre. E lo detestavo, perché la fantasia di quell‟amore segreto era talmente vivida e concreta, che sentivo che non avrei mai potuto essere amata allo stesso modo: non da lui, ma da lei, da Amalia. Caserta si era preso tutto quello che spettava a me (AM, 160-1).

Questo gioco delle identità però si scontra con una realtà che abbatte la possibilità di identificazione, e che innesca una drastica e forzata destrutturazione della soggettività immatura della protagonista.41 Delia si scopre sola e terrorizzata senza il conforto che l‟identificazione con la madre le dava, e a questo punto il trauma dell‟abuso diventa un processo di dissociazione dal modello femminile che Amalia incarna. Mandolini nota che la gratificazione sessuale, chiara proiezione del desiderio della figlia per la madre, si dissipa man mano che Delia si allontana dalla madre, ed è gradualmente sopraffatta da un sentimento di sgomento, che sarà una delle caratteristiche della sua vita sessuale da adulta.42 Un giorno trovai la pasticceria vuota e quella porticina aperta. Ero Amalia che nuda come la zingara dipinta da mio padre […] andava a strisciare nell‟interrato buio insieme a Caserta. Ero, all‟imperfetto. […] Ero identica a lei e tuttavia soffrivo per l‟incompiutezza di quell‟identità. Riuscivamo a essere “io” solo nel gioco, ormai, e lo sapevo. Senonché curvo, in fondo ai tre gradini oltre la porticina, Caserta mi guardò di sbieco e mi disse: “Vieni”. Mentre mi inventavo che la sua voce, insieme a quel verbo, dava suono anche ad “Amalia”, lui mi salì lievemente con un dito nodoso e sporco di crema su per una gamba, sotto il vestitino che mi aveva cucito mia madre. […] Più le cose accadevano, più mi indispettivo, perché non riuscivo a essere “io” nel piacere di lei, e tremavo soltanto. Del resto anche Caserta non mi stava venendo convincente. A volte ce la faceva a essere Caserta, a volte smarriva i suoi lineamenti. […] Così a un certo punto dovetti cedere e ammettere che l‟uomo che mi diceva “Vieni” in fondo ai tre gradini dell‟interrato era il venditore di coloniali, il vecchio cupo che fabbricava gelati e dolci, il nonno del piccolo Antonio, il padre di Caserta (AM, 161-3).

41 Ibidem.

42 M

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Questo episodio resta represso nella memoria di Delia per quarant‟anni. Era riuscita a raccontarlo al padre solo proiettandolo fuori da sé, vestendo la madre dei panni di un‟adultera, andando così a confermare il sospetto, che il padre nutriva ossessivamente, di una relazione clandestina tra la moglie e Caserta:

Saltai sulla scheggia di pavimento su cui c‟era mio padre, il cavalletto, la camera da letto. Gli riferii, nel dialetto sguaiato del cortile, le cose oscene che quell‟uomo mi aveva fatto e detto. […] gli dissi che Caserta aveva fatto e detto ad Amalia, col suo consenso, nell‟interrato della pasticceria, tutte le cose che in realtà il nonno di Antonio aveva detto e forse fatto a me. Lui smise di lavorare e attese che mia madre tornasse a casa (AM, 163).

L‟immaginario di Delia, colonizzato dalla cultura patriarcale, che vorrebbe il silenziamento del trauma infantile causato da un corpo maschile, funziona quindi da cornice narrativa in cui riordinare questa esperienza.43 L‟incapacità di Delia di ri-raccontare la storia della sua violazione sessuale, un meccanismo che origina dall‟esperienza dello stupro stesso, inibisce così il processo di identificazione della figlia con la figura della madre abusata.44 Come sottolinea Ann Cahill, l‟annientamento dell‟integrità sessuale e del desiderio della persona è la principale implicazione etica di stupro.45 De Rogatis suggerisce che la delazione di Delia possa interpretarsi come la concretizzazione del desiderio assassino che la protagonista bambina provava nei confronti della madre.46 La rimozione dell‟evento violento, la copertura con il silenzio e il comportamento dissociato sono, nella visione della psichiatra Judith Herman, un meccanismo difensivo che autorizza il minore ad adattasi all‟ambiente abusivo. Questa strategia è spesso associata ad un processo di conformità con il violentatore, con il quale la vittima stabilisce un legame e dunque rimprovera il parente non colpevole. Possiamo allora interpretare la rimozione dello stupro di Delia e la sua rielaborazione di quell‟esperienza come un tentativo di essere accettata all‟interno delle dinamiche sociali e familiari di stampo patriarcale, respingendo il suo ruolo di vittima/oggetto. Se questo atto marca ufficialmente l‟assimilazione di Delia nella sfera del linguaggio maschile, Herman suggerisce che il minore che reprime il suo abuso si disconnette dalla sua storia personale e può solo produrre un discorso non lineare e frammentato.47 Come sostiene Mandolini, avere

43 P

INTO, Poetiche e politiche della soggettività, cit., p. 21. 44 M

ANDOLINI, Telling the abuse, cit. 45

Ibidem. 46 D

E ROGATIS, Parole chiave, cit., p. 99. 47 M

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una soggettività implica anche ricordare di essere stata oppressa.48 Si spiega così l‟incapacità di Delia di costruire una narrazione unitaria e coerente della sua storia:

Non avevo dimenticato niente ma non volevo ricordare. All‟occorrenza, avrei potuto raccontarmi tutto, per filo e per segno; ma perché farlo? Mi raccontavo solo quello che serviva, a seconda dei casi, decidendo di volta in volta sull‟onda della necessità (AM, 56-7).

Così come nel rievocare le sue fantasie di bambina, «suoni compatti materializzati in immagine» (AM, 39), allude a un segreto che non era in grado di nominare:

Sapevo già allora che in quell‟immagine della fantasia c‟era un segreto che non poteva essere svelato, non perché una parte di me non sapesse come accedervi, ma perché se l‟avessi fatto l‟altra avrebbe rifiutato di nominarlo e mi avrebbe cacciata via da sé (AM, 40).

Alla stazione di Chiaia, durante l‟inseguimento di Caserta, Delia vive una forte regressione cronologica veicolata dal codice fiabesco di Alice in Wonderland:49 «ero un‟Alice invecchiata all‟inseguimento del coniglio bianco» (AM, 83). In questa circostanza si scatena in Delia una «complessa disarticolazione del tempo»,50 in cui passato e presente, realtà e immaginazione si confondono, e ci viene presentato uno dei passaggi in cui la voce autoriale e la sua istanza immaginifica è più significativa:

Mi resi conto, mentre la funicolare seguitava la sua discesa, che poco prima […] avevo composto un terzo uomo che non era Caserta e nemmeno Polledro. […] Amalia, dentro la mia testa, ora fissava a sua volta quell‟estrosa composizione somatica che avevo ottenuto poco prima. […] La fissai meglio allo sfondo, come se stessi lavorando a un puzzle non ancora identificabile nei dettagli: solo i capelli sciolti, un profilo scuro davanti a tre sagome di legno colorato che forse erano state lì poco meno di mezzo secolo prima. Ora Amalia era definitivamente comparsa a tutto campo, giovane e flessuosa, nell‟atrio di una stazione che, come lei non c‟era più. Mi fermai per darle il tempo di incantarsi a guardare le sagome: forse una coppia elegante che aveva un cane lupo al guinzaglio. Sì. Erano di cartone e di legno […] Ricorsi a dettagli scelti alla rinfusa per colorarle e vestirle (AM, 86-7).

I dettagli delle sagome, tutt‟altro che casuali, sono la marca distintiva tanto di Caserta quanto di Amalia: il soprabito di cammello (segno di una agiata condizione borghese) per lui, e il tailleur blu per lei51. Questi abiti sono per Delia la prova di una vita segreta della madre.52 Il cane lupo che portano al guinzaglio potrebbe essere Delia stessa, che, succube della cultura

48 Ibidem. 49 D

E ROGATIS, Elena Ferrante e il Made in Italy, cit., p. 298. 50 D

E ROGATIS, Mito classico, p. 278. 51

Quest‟abito è, per Delia, «la prova di un‟altra vita della madre, una vita segreta» FERRANTE, La Frantumaglia, p. 25.

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patriarcale, pensa di avere il dovere di sorvegliare la «madre infida», segnata da un‟aura di colpevolezza:

[Delia] si è convinta, da piccola, che Amalia l‟ha messa al mondo solo per proiettarla fuori di sé, separarsene e darsi agli altri sregolatamente. Questo fantasma di Amalia è il punto di incrocio tra le ossessioni paterne e il senso di abbandono sperimentato da Delia bambina (Fr, 25).

La morte della madre costringe allora Delia a fare i conti con la propria storia e a rimettere in discussione le finzioni memoriali su cui aveva eretto la propria soggettività.53 Solo dopo la sua morte, il ricordo del trauma diviene liberatorio, e Delia può accedere a un‟altra immagine della madre, non veicolata dalle voci maschili, che le permette di vedere la sua posizione di oggetto e al contempo di soggetto narrante, avvicinandosi a ciò che Teresa de Lauretis intende per “de-ri-costruzione”.54

I.3 Il corpo di Delia tra repulsione e desiderio

L‟esperienza sessuale di Delia con Antonio, nipote dell‟uomo che l‟ha molestata da bambina e, insieme, amico d‟infanzia, viene letta da Nicoletta Mandolini come un mimetismo inconsapevole dello stupro in una situazione sicura.55 La descrizione ambigua di questo episodio, infatti, mostra l‟alternanza tra controllo attivo e inerzia da parte di Delia, tra la resistenza all‟oggettivazione dell‟atto sessuale e la finale, ma sicura, ricollocazione in un ruolo di apatica passività.56 Quando Antonio cerca il contatto fisico, Delia è spaventata e insicura, e non sa se interpretare il suo comportamento come una semplice manifestazione di virilità o come un segnale di pericolo: «volevo sentirlo parlare per essere definitivamente certa che non avrebbe cercato di farmi del male» (AM, 109), ed esercita un controllo estremo sul suo corpo e sulle sue reazioni, espresso molto bene dalle scelte verbali: «dovevo», «intuivo», «sentivo», «non riuscivo», «temevo», «cercavo», «mi sedetti cautamente», «pensai», «avrei dovuto fingere», «non osai», «temevo», «bastava» (AM, 110-11). Quando realizza che Antonio non ha intenzioni violente, Delia regredisce a una condizione di totale passività: «Prima mi sedetti cautamente e poi mi allungai remissiva» (AM, 111, corsivo mio). Totalmente immune al desiderio, decide di aspettare che il suo corpo reagisca con una forma di difesa già sperimentata, l‟insensibilità:57

53 M

ANDOLINI, Una rivoluzione privata, cit. 54 P

INTO, Poetiche e politiche della soggettività, cit., p. 21. 55

MANDOLINI, Telling the abuse, cit. 56 Ibidem.

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Seppi allora che non sarebbe accaduto niente di nuovo. Stava cominciando un rito ben noto a cui da giovane mi ero sottoposta spesso, sperando che cambiando uomo di frequente il mio corpo inventasse una volta o l‟altra risposte adeguate. La risposta invece era stata sempre la stessa, identica a quella che ora andavo articolando. […] Io non avevo nient‟altro che quel piacere diffuso, gradevole e tuttavia non urgente. Ero sicura da tempo che non avrei mai superato quella soglia (AM, 110).

Delia riesce a sentire solo questo piacere non urgente, che descrive ricorrendo a una similitudine che ha per termine di paragone un flusso di liquidi incontrollato: «ero

paralizzata da un imbarazzo crescente per i liquidi copiosi che stavo versando» (AM, 110). Questo debordare degli umori della pelle rimanda all‟esperienza giovanile di masturbazione, che la lasciava «stremata e insoddisfatta» senza che riuscisse a raggiungere un piacere pieno, e che la colmava di liquidi:

la bocca, invece di seccarsi, si riempiva di una saliva che mi pareva gelida; il sudore colava dalla fronte, dal naso, dalle guance; le ascelle diventavano pozze; non un centimetro di pelle restava asciutto (AM, 110)

La descrizione dell‟approccio di Antonio al corpo di Delia è condotta con una scrittura estremamente controllata, con le frasi che si susseguono a ritmo telegrafico quasi a voler scandire l‟ansia che Delia sente crescere e che la immobilizza:

Fece il respiro corto, mi baciò su una guancia, mi leccò il collo. Intanto non cessava di premersi forte la mia mano sulla stoffa dei calzoni. Lo faceva con insistenza, perché capissi che non dovevo

starmene inerte, a palmo aperto. Gli strinsi il sesso. Solo allora mi lasciò il polso e mi abbracciò con forza (AM, 109).

L‟abuso subìto da Delia in età infantile ha eroso la sua soggettività femminile, ne ha distrutto l‟identità sessuale e annichilito il desiderio. E l‟incapacità di reagire agli stimoli le fa

percepire questo rapporto come un‟esperienza liminare alla morte:

come sempre, non sentivo nessuna spinta ad aiutarlo, anzi stentavo a muovermi […] Non riuscivo a rispondere. Temevo che il respiro già lento mi si sarebbe fermato del tutto. Inoltre ero paralizzata da un imbarazzo crescente per i liquidi copiosi che stavo versando (AM, 110).

Ferrante tiene a sottolineare che il corpo di Delia è incapace di elaborare una risposta perché è bloccato «in una sorta di rovescio programmatico della figura sessualmente densa che lei ha attribuito alla madre» (Fr, 27): alla iper-sessualizzazione di Amalia, cioè, la figlia reagisce con una «algida mascolinizzazione di copertura» (Fr, 51), per cui il suo corpo

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risulta un ingorgo «tra repulsione e desiderio» (Fr, 27). Ferrante descrive così il personaggio di Delia: «è una persona contratta in ogni muscolo, in ogni parola; gentile e gelata, affettuosa e distante. I suoi rapporti con gli uomini sono non esperienze, ma esperimenti per mettere alla prova un organismo strozzato: esperimenti tutti falliti» (Fr, 24). Penso che la sua «accondiscendenza senza partecipazione» (AM, 111), possa interpretarsi anche come un atteggiamento di inerzia rispetto all‟atto sessuale che, secondo Pierre Bourdieu, nell‟ottica maschile rappresenta una «forma di dominio, di appropriazione, di possesso»:58 «pensai, come sempre in quelle circostanze, che avrei dovuto fingere una frenesia sospirosa e incontrollata o respingerlo. Ma non osai fare né l‟una cosa né l‟altra» (AM, 111). Questo punto di vista viene fuori, meglio che nel romanzo, nel film, dove Antonio – non nella stanza d‟albergo ma in una vasca termale – ha un approccio quasi violento con il corpo nudo di Delia. Antonio è disorientato dall‟impassibilità di Delia: per quanto provi a sollecitarla lei rimane immobile, e di fronte al vacillare dell‟erezione attribuisce a Delia la responsabilità di quell‟incontro per convincerla ad assecondare il suo desiderio, salvo poi ritirarsi rassegnato: “Perché sei venuta al negozio?” allora disse indispettito, scivolando di nuovo all‟indietro lungo il mio corpo zuppo di sudore. “Non sono stato io a cercarti” “Non sapevo nemmeno chi fossi” […]. Mi accorsi che non si persuadeva e che stava provando di nuovo a carezzarmi. Scossi la testa per fargli capire: basta. Si ritrasse subito con un moto di repulsione nel sentirmi madida. […] Polledro si rovesciò al mio fianco rassegnato. Vidi nella penombra che si asciugava con il lenzuolo le dita, la faccia, le gambe. (AM, 112).

Quello che risulta straniante nell‟esposizione di questa esperienza è che l‟accento è posto sulla parte più repellente dell‟atto sessuale, accogliendo tutto quello che la narrazione tradizionale tende ad escludere, come il gesto di ripulirsi. Il disagio di Delia è talmente manifesto che Antonio lo attribuisce a un malessere e quando la vede in volto le dice serio: «”Sembri un fantasma”» (AM, 113), ma Delia non sopporta la luce: «Non volevo essere vista e non volevo vederlo» (AM, 113) perché non sopporta quell‟intimità che le fa guardare oltre «quel viso […] gonfio e camorrista» (AM, 113) e che rimanda al viso di Caserta. È importante riflettere sull‟occorrenza del verbo vedere, vedersi. Delia lo ha usato significativamente la prima volta in un gioco di parole con cui alludeva al frequentarsi dei due amanti, Amalia e Caserta, e alla sua masturbazione, come a simboleggiare che la consapevolezza di sé passa per la conoscenza del proprio corpo:

58 P. B

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“Tu lo sapevi che lei e mio padre si vedevano?”. […] Si vedevano. E mi vidi sul letto di mia madre, mentre mi osservavo stupefatta la vagina con uno specchietto. Vedersi: Amalia mi aveva guardata, incerta, e poi aveva richiuso senza fretta la porta della camera da letto (AM, 97).

Una volta che si è rivestita, Delia accende la luce, e nel vederlo assente ha l‟impressione di non averlo mai conosciuto:

Polledro aveva uno sguardo assente. Lo vidi e non riuscii più a pensare che era stato Antonio, che assomigliava a Caserta. Il suo corpo greve giaceva nel letto, nudo dalla cintola in giù. Era quello di un estraneo, senza nessi evidenti con la mia vita passata e con quella presente, se escludevo l‟impronta umida che gli avevo lasciato al fianco (AM, 116, corsivo mio).

Dopo aver staccato quell‟uomo dal fondale oscuro dei suoi ricordi, Delia si avvicina ad Antonio e lo masturba, facendogli raggiungere un orgasmo muto, secondo una dinamica quasi meccanica: «Mi lasciò fare, a occhi chiusi. Eiaculò senza un gemito, come se non stesse provando alcun piacere» (AM, 116). Quello che rimane a Delia è un‟esperienza dolorosa e umiliante: «Gli fui grata ugualmente per la dose minima di umiliazione e dolore che mi aveva inflitto» (AM, 116), che dimostra come Delia aderisca ancora al paradigma di donna che si lascia disciplinare dagli uomini.59 Solo alla fine del romanzo approderà a un nuovo tipo di sorveglianza, termine che Ferrante vuole risemantizzare attribuendogli un significato che designi l‟opposto del corpo ottuso dal sonno, «metafora ostile all‟opacità, alla morte» (Fr, 98), e che segni un passaggio di generazione, da Amalia a Delia:

Le donne delle generazioni precedenti erano molto sorvegliate dai genitori, dai fratelli, dai mariti, dalla comunità, ma si sorvegliavano poco e se lo facevano lo facevano a imitazione di chi le sorvegliava, come aguzzine di sé stesse. Delia e Olga sono invece il frutto di una sorveglianza nuova e antichissima, una sorveglianza che ha a che fare col bisogno di espandere la propria vita (Fr, 98).

La descrizione delle esperienze di masturbazione giovanili di Delia ci appare scandalosa se pensiamo che la prima pubblicazione del romanzo risale all‟inizio degli anni novanta. È importante allora riflettere sul significato che ha voluto esprimere Elena Ferrante, fornendo una descrizione dell‟atto sessuale così disturbante: perché lo ha fatto? Perché in questi termini? Ci risponde in uno dei cinquantuno frammenti che costituiscono L’invenzione occasionale, in particolare ne Il racconto del sesso, dove dichiara di voler raccontare il sesso in modo diverso, tenendo conto dei bisogni e dell‟intimità della donna, senza prescindere dalla reale soddisfazione del desiderio femminile:

59 A

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La scena erotica, in linea di massima, è stata costruita intorno al desiderio degli uomini nei confronti del nostro corpo. Dalla lirica d‟amore alla serie televisiva siamo state rappresentate come la meta sospiratissima della loro passione. Lo sguardo maschile ci ha continuamente reinventate in funzione delle sue necessità sessuali […] prescindendo dalla reale soddisfazione del nostro desiderio. Da qualche tempo le cose sono mutate. […] Ma l‟impressione è che, anche senza volerlo, ci pieghiamo tuttora al racconto maschile del sesso. […] Forse il primo passo di reale frattura dovrebbe essere […] un racconto femminile che, pur dicendo dettagliatamente del sesso, non sia afrodisiaco, e perciò espliciti ciò che noi donne per pudore, per quieto vivere, per amore, sottaciamo.60

Ferrante si prende la libertà di turbare il lettore con una prosa che espliciti proprio quello che le donne hanno sempre sottaciuto: la sgradevolezza dell‟atto sessuale, quello che nella quadrilogia Lila chiamerà “il fastidio di chiavare”. Allora, per citare Francesco Orlando, L’amore molesto ci piace e coinvolge perché ci fa intuire una verità rimossa dal discorso comune61. La logica del ritorno del represso orlandiano infatti prevede sempre che lo scrittore si ponga contro la sua epoca e non secondo la sua epoca.62

I.4 Ferrante e il movimento femminista

Attraverso la storia di Amalia e Delia, Ferrante si è inscritta all‟interno di una genealogia di narratrici che colloca al centro dell‟identità femminile la figura materna. L’Amore molesto sottopone Delia a un percorso di liberazione narrativa che Pinto assimila alla pratica di decolonizzazione dello sguardo elaborata dal femminismo radicale italiano.63

Nel 1972 si assiste a un evento epocale con lo spostamento del movimento femminista, volto verso gli Stati Uniti, all‟Europa: in Francia vengono organizzati tre incontri a cui partecipano donne italiane e francesi che identificano la connessione simbolica con il rapporto madre-figlia come primo e più importante rapporto, necessariamente gerarchico, tra donne, che la cultura patriarcale ha posizionato nell‟ambito dell‟impensato,64

dell‟inimmaginabile, l‟inedito, il non previsto e non prefigurato dalla società patriarcale.

In questo quadro, il movimento femminista vuole riappropriarsi sovversivamente di alcuni strumenti psicoanalitici e inventarne di nuovi, svicolando dalle forme di relazione con l‟altro che impone l‟ordine simbolico patriarcale. Francesca Giardini interpreta Speculum (1974) di

60 F

ERRANTE, L’invenzione occasionale, cit., pp. 33-4 61 B

RUGNOLO, COLUSSI, ZATTI, ZINATO, La scrittura e il mondo – teorie letteraria del Novecento, Carocci editore, Roma, 2016, p. 254.

62

BRUGNOLO, COLUSSI, ZATTI, ZINATO, La scrittura e il mondo, cit., p. 252. 63 P

INTO, Poetiche e politiche della soggettività, cit., p. 19. 64Ibidem, p. 26.

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