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Recensione a Joan E. Taylor, What Did Jesus Look Like

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Academic year: 2021

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ANNALI

di storia dell’esegesi

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dorso 16 mm x 288 pagine

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Die Rezeptionsgechichte des Jona-Buches in christlicher Literatur

Nenad Bozovic, Tobias Nicklas, Vladan Tatalović

Vorwort

Manuel Vogel

Menschensohn und Jonazeichen.

Exegetische und theologische Beobachtungen zu Mt 12,28-42 / Lk 11,29-32

Katharina Bracht

Die Rezeption des Jona-Buches bei Hieronymus von Stridon:

Der Jona-Kommentar als heteronomer Text

Boško Erić

Prophet Jonah and the Ninevites in the Madrashe on Virginity

by Ephrem the Syrian

Rodoljub Kubat

Reception of the Book of Jonah in the Exegesis of Theodore of Mopsuestia

Dragan Radic

The Reception of the Book of Jonah by Theodoret of Cyrus

Ivaylo Naydenov

Jona im orthodoxen Gottesdienst

Eva-Maria Gummelt

Reception History and its Value—a German Lutheran View

Cosmin Pricop

Bibel-Rezeption durch liturgische Texte:

Das Beispiel des orthodoxen Verlobungsgottesdienstes

Moschos Goutzioudis

The Narrative of Jesus’ Baptism and its Reception

in the Worship of the Church

Darko Krstić

Stephan Nemanja, Ruler and Seer.

The Reception of Apocalyptic Visions in Purpose

of the Theological Articulation of “translatio imperii” in the Hagiography

of Saint Symeon by Stephan II Nemanjic (the First-Crowned)

Vladan Tatalović

The Reception of Jesus’ First Sign in Serbian Medieval Fresco Painting

Early Christianity

Jan Bremmer

Early Christians in Corinth (A.D. 50–200): Religious Insiders or Outsiders?

Medieval and Contemporary History of Christianity

Luigi Walt

Francesco e il canto della terra.

Su alcuni riferimenti al discorso della montagna nelle Laudes creaturarum

Cristiana Facchini

L’ostilità antiebraica nel mondo cattolico: un percorso storiografico e politico

Giovanni Vian

Conflit et violence dans l’Église catholique au début du XX

e

siècle:

la répression du modernisme

ANNO XXXVII, N. 1, GENNAIO-GIUGNO 2020

SEMESTRALE –e37,20

Poste italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale Aut. MBPA/CN/BO/0010/2016 – Periodico ROC

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Joan E. Taylor, What Did Jesus Look Like?, London, Bloomsbury, 2018,

288 pp.

Gli scritti che compongono il Nuovo Testamento non contengono alcuna descrizione dell’aspetto fisico di Gesù. È una mancanza che può passare inosservata, dal momento che oggi tutti hanno ereditato un’immagine mentale di quale potesse essere questo aspetto, grazie a una tradizione universalmente riconosciuta. Ma gli autori del vangeli tacciono sull’argomento, sia perché non avevano mai visto Gesù, sia perché il suo aspetto fisico non era importante per il messaggio che volevano veicolare. È un’assenza che può stupire, secondo Taylor, dato che molte biografie greco-romane prevedevano una descrizione dei personaggi e non di rado gli antichi leggevano le qualità morali attraverso la lente della fisiognomica. Inoltre, se Gesù fosse stato particolarmente bello ciò sarebbe stato notato, dal momento che sia Mosè sia Davide, ai quali spesso egli fu accostato, furono considerati come tali; ma anche se fosse stato particolar-mente brutto, ciò non sarebbe stato passato sotto silenzio. Si intravede già, fin da ora, dove ci condurrà lo svolgersi di questo libro: a un Gesù con un aspetto di uomo qualunque. Ma prima di giungere a questa conclusione Taylor va alla ricerca di qualche informazione sull’aspetto di Gesù all’interno delle rappresentazioni artistiche, delle reliquie e della letteratura, cercando di valutare la credibilità storica di ciascuna di queste fonti.

Il risultato finale di quasi due millenni di elaborazioni iconografiche è il cosiddetto “Gesù europeo”, esportato ovunque grazie all’imperialismo e alla colonizzazione, con il suo volto sereno, gli occhi azzurri, i capelli lunghi spartiti nel mezzo, il naso piccolo e le guance rosee; un ritratto che sembra ben adattarsi alla descrizione fornita dalla Lettera di Lentulo, uno scritto apocrifo risalente al XV secolo infinite volte riprodotto su tavole accanto al dipinto del volto di Cristo preso di profilo (abbastanza somigliante, secondo Taylor, a certe gemme che rappre-sentavano l’imperatore di Roma) e ben rappresentato dal capolavoro di Leonardo noto come

Salvator mundi. La Lettera di Lentulo ha avuto un forte influsso sulla creazione del modello

tipico del Cristo europeo, subendo in alcuni momenti storici ulteriori modificazioni: è il caso del Gesù ariano dell’epoca nazista, che cercava di eliminare ogni tratto possibilmente semitico dall’iconografia gesuana. Oggi più nessuno storico mette in dubbio la completa ebraicità di Gesù, ma questa acquisizione storica non ha avuto ricadute sull’iconografia che continua a ripetersi nell’arte sacra o nelle rappresentazioni cinematografiche. Il volto di Cristo per la maggior parte delle persone continua a somigliare a quello del Gesù di Zeffirelli o al famoso ri-tratto di Walter Sallman. Un Cristo europeo e moderno, dunque, ma storicamente inverosimile. Ci sono ritratti più affidabili? Si parte dall’immagine della Veronica, una donna che avrebbe posseduto una vera immagine di Cristo, come si racconta in alcuni testi a partire dal V-VI secolo, anzitutto la Vindicta Salvatoris e la Cura Sanitatis Tiberii (Taylor sostiene [p. 31] che quest’ultima non è mai stata tradotta in una lingua moderna, mentre compare in italiano fra gli apocrifi tradotti da Mario Erbetta). La Veronica in teoria è conservata in Vaticano, ma è noto che su di essa oggi non si scorgono altro che macchie indistinte. Joan E. Taylor solo corsivamente dà conto della curiosa teoria secondo cui la Veronica sarebbe stata sottratta durante il sacco di Roma del 1527 e si troverebbe oggi a Manoppello (in realtà il Velo di Manoppello è un dipinto di epoca moderna). È interessante la constatazione che l’ico-nografia della Veronica ha subito un mutamento a partire dalla metà del XIV secolo, quando si è affermata una tipologia di volto sofferente; vi sono anche indizi che fanno pensare che la Veronica riportasse originariamente un volto con un colore di pelle piuttosto scuro (sulla Veronica è stato recentemente pubblicato A. Murphy et alii, The European Fortune of the

Roman Veronica in the Middle Ages, Turnhout, Brepols, 2017). Fino al V secolo esisteva poi

una statua a Paneas in Palestina, che secondo Eusebio di Cesarea raffigurava Cristo nell’atto di guarire l’emorroissa; ma molto probabilmente si trattava di una statua di Asclepio e Igea,

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con una dedica alla regina Berenice, mal reinterpretata dai cristiani e possibilmente alla base della stessa leggenda di Veronica.

Un’altra categoria di ritratti di Cristo è quella degli acheropiti, cioè le immagini non fatte da mano umana. Si comincia con il Salvatore acheropita lateranense, che sarà attribuito al pennello di san Luca o all’opera di qualche pittore celeste, che oggi è coperto completamente e lascia intravedere solo il volto: nel legno sottostante raffigura un Cristo seduto su un trono prezioso nell’atto di benedire con una mano e di sostenere un vangelo con l’altra. Anche in questo caso, però, nessun ritratto credibile, ma un esempio di iconografia bizantina. Della più famosa acheropita, il Mandylion di Edessa, trasportato nel X secolo a Costantinopoli, poi a Parigi, e distrutto durante la Rivoluzione francese, restano soltanto copie, soprattutto quella di Roma e di Genova, che ci testimoniano un volto scuro, con capelli lunghi e barba appuntita. Mentre dell’acheropita Camuliana non si sa quasi nulla almeno a partire dal VII secolo, è ancora esistente e largamente venerata, a partire dal XIV secolo, l’immagine impressa sulla Sindone di Torino. Taylor non accoglie nessuna delle irricevibili teorie sindonologiche auten-ticiste, né l’identificazione Mandylion-Sindone (per gli ultimi sviluppi di questa teoria cf. A. Nicolotti, “Nuovi studi sulle immagini di Cristo, fra Oriente e Occidente”, Medioevo greco 18 [2018] 299-350); nonostante la bibliografia a cui fa riferimento sia limitata, l’autrice centra due punti fondamentali: il carattere di impronta dell’immagine, che si immaginava prodotta dal sudore, dal sangue e dagli aromi sepolcrali, e il legame con la promozione contempora-nea della devozione alle piaghe di Cristo. È invece altamente improbabile che l’immagine si possa spiegare con la reazione di Maillard, e quindi non è credibile lo scenario di un uomo che nel Medioevo viene adagiato sulla stoffa per creare l’impronta sulla reliquia (p. 66). La conclusione: anche tutte queste immagini «non ci riconducono al reale aspetto di Gesù» (p. 67). Si passa allora all’iconografia del cosmocrator bizantino, il più antico esemplare del quale è conservato alla basilica di Santa Pudenziana (IV-V sec.), dove il Cristo assiso, con capelli e barba lunga, non desidera tanto essere una reale rappresentazione del Gesù terreno, quanto piuttosto del Cristo che governa e giudica il mondo. Taylor ritiene, sulla scia di altri studiosi, che questa iconografia sia stata influenzata da quella di alcune divinità barbate e intronizzate, specialmente Zeus, Asclepio e Serapide. A Santa Costanza (IV sec.) appare un Cristo andro-gino e poco barbato, con capelli e abiti color oro, nell’atto di consegnare il suo insegnamento (traditio legis); nella stessa chiesa appare il Gesù pantocrator con lunga barba e capelli scuri che dà le chiavi a Pietro (traditio clavium). A queste possibilità si aggiunge quella del Gesù adolescente, senza barba e con capelli lunghi, con caratteristiche androgine (come nella scena del battesimo del battistero ariano di Ravenna), al punto che in certi casi è difficile distinguerlo da altre figure circostanti, se non fosse per il contesto. L’iconografia ricorda quella pagana del dio Dioniso, ma anche di Ermes, Apollo e Antinoo. La tipologia del giovane Gesù, senza barba, dall’arte delle catacombe fino al VI secolo affianca e precede temporalmente quella del dio maturo e barbato. Un Cristo giovane è anche quello raffigurato come buon pastore (iconografia debitrice a quella del dio Ermes) fin dai dipinti di Dura Europos (metà III secolo). Ci sono anche altre tipologie legate alla funzione rappresentata: il Gesù che compie mira-coli, generalmente rappresentato come giovane e barbato, con in mano una verga che ricorda quella di Mosè, al quale Cristo viene paragonato non soltanto iconograficamente. Oppure la tipologia del Gesù filosofo, che si rifà a una ben precisa iconografia preesistente: un corpo non atletico, la barba, l’atteggiamento riflessivo, la posizione in piedi o assisa su un trono non pregiato, l’abbigliamento. Talvolta certi aspetti del dio intronizzato e del filosofo seduto sono sovrapponibili. Taylor considera che la famosa gemma del British Museum raffigurante Gesù crocifisso (II-IIII sec.) sia riconducibile a un’iconografia di filosofo crocifisso.

Terminati gli esempi tratti dalla storia dell’arte, l’autrice si rivolge ai testi scritti. Anzi-tutto quei testi che descrivono Gesù come deforme e basso (testimonianza ripresa da Celso, forse tratta da un contesto carpocraziano) influenzata da una rilettura di Isaia 53,2-3, ai quali si oppongono altri autori che descrivono Gesù come di notevole bellezza (Origene). Vengono poi coloro che dipingono l’aspetto di Gesù come polimorfo, specialmente in testi gnostici e apocrifi in generale, i quali attestano i diversi aspetti di Cristo quasi come se dovessero giu-stificare le contrastanti realizzazioni iconografiche loro contemporanee.

L’opera di Joan E. Taylor, a questo punto, termina la parte di analisi delle testimonianze iconografiche e dei documenti antichi. Non può considerarsi una vera e propria storia dell’ico-nografia di Gesù, perché la sua prospettiva era differente: l’obbiettivo era quello di rispondere alla domanda che è anche il titolo del libro, cioè: “Che aspetto aveva Gesù?”, presentando una dopo l’altra le risposte che dall’antichità all’epoca moderna sono state tentate dai suoi seguaci. In questo l’approccio è diverso da quello tradizionale, anche se l’autrice si sarebbe potuta avvalere di materiale ulteriore: in generale, la bibliografia pecca di anglismo, perché

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risulta evidente che la stragrande maggioranza degli studi citati è in lingua inglese, mentre mancano riferimenti a opere anche fondamentali nelle altre lingue della ricerca scientifica (uno su tutti, stupisce l’assenza di confronto con uno studio recente che ritengo fondamentale: Jean-Michel Spieser, Images du Christ, des catacombes aux lendemains de l’iconoclasme, Genève, Droz, 2015).

L’ultima parte del volume è forse quella più innovativa: l’autrice vuole cercare di rispon-dere alla domanda del libro tentando una strada nuova. Come già affermato nelle prime pagine, probabilmente Gesù aveva un aspetto ordinario, simile a quello degli ebrei del suo tempo, che non meritava di essere ricordato per la sua particolarità. Gli studi antropologici hanno stabilito che l’altezza di un uomo palestinese di quell’epoca in genere si aggirava tra i 164 e i 168 cm; la biostoria ci informa che la tipologia attualmente esistente che più si avvicina a quella degli ebrei dell’epoca di Gesù è quella della comunità ebraica dell’Iraq (occhi marroni, pelle olivastra, capelli scuri o neri). La barba doveva essere corta, in quanto la barba lunga era una caratteristica di coloro che avevano fatto voto di nazireato, dovendo poi sottostare a certe norme che Gesù dimostra di non seguire. I capelli si portavano abbastanza corti (anche per sfuggire alla piaga dei pidocchi). Gesù non rivestiva nessuno degli abiti con i quali viene comunemente raffigurato, né certamente qualcuna delle tuniche medievali che attualmente vengono ancora esposte come reliquie che sarebbero venute a contatto con la sua persona (a Trier, per esempio). Le indagini archeologiche, associate a un’attenta lettura dei vangeli, ci presentano un Gesù che si rivestiva con sandali di pelle, una tunica senza fibula decorata con fasce perpendicolari (i clavi), il tradizionale mantello (tallit) con frange (tzitzit) e con cucita sopra la lettera iota, ed eventualmente, per le stagioni fredde, un ulteriore mantello. Taylor spera che questa ricostruzione, basata su studi antropologici, biostorici e archeologi, possa soppiantare le tradizionali immagini di Gesù e ispirare nuove iconografie più consistenti con il Gesù storico. Ella stessa ha commissionato a un’artista, Cathy Fisher, la pittura di un Gesù aderente ai risultati di questa ricerca (p. 197). Questa la conclusione: «Posso ben immaginare che ci saranno persone che leggeranno questo libro, o sentiranno parlare di esso, le quali re-sisteranno all’idea che Gesù non fosse come viene raffigurato nelle pitture che adornano così tante chiese e gallerie d’arte, o come è mostrato nelle reliquie come la Sindone di Torino; essi troveranno scioccante che Gesù probabilmente non fosse un uomo alto con capelli perfetti, lunghi fino alle spalle e di colore marrone-nocciola, con pelle biancastra e rivestito di lunghe tuniche» (pp. 195-196). L’arte e la fantasia da sempre rielaborano la realtà secondo i propri canoni, questo è evidente, ma sono d’accordo con Joan E. Taylor che, come è successo con la ricerca sul Gesù storico, sia giunto il momento di sollecitare gli studiosi a riflettere mag-giormente anche su questi aspetti, restituendo a Gesù un aspetto fisico e un abbigliamento più consono a ciò che la ricerca storica e scientifica ci permette di ricostruire.

Andrea Nicolotti Dipartimento di Studi Storici – Università di Torino andrea.nicolotti@unito.it

a cura di Michele Simone

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ÉRARD

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Introduzione

all’Antico

Testamento

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a Bibbia, libro fondatore di due grandi

tradi-zioni religiose, l’ebraismo e il cristianesimo, è

una specie di biblioteca che viene presentata in un

unico volume nel quale si distinguono due parti. La

prima è l’Antico Testamento, composto da alcune

decine di testi di consistenze e stili differenti. Il lascito

biblico è la storia dell’alleanza tra Dio e gli uomini. In

un viaggio tra letteratura, storia e teologia, il libro offre una percezione della

poten-za dei testi dell’Antico Testamento, eredità al tempo stesso ebraica e cristiana.

«B

IBLICA

»

pp. 136 - € 17,00

Edizioni

Dehoniane

Bologna

www.dehoniane.it

Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299

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