Alma Mater Studiorum · Universit`
a di Bologna
SCUOLA DI SCIENZE Corso di Laurea in Matematica
IL PARADOSSO DI BANACH-TARSKI
E
I GRUPPI AMENABILI
Relatore:
Chiar.mo Prof.
Stefano Francaviglia
Presentata da:
Gemma Capomagi
] Sessione
2017-2018
Introduzione
Il paradosso di Banach-Tarski `e un risultato molto discusso nella storia della matema-tica, in grado di toccare vari ambiti, dalla Geometria all’Analisi funzionale. Il suo essere chiamato paradosso deriva dalla sua natura estremamente controintuitiva e distante dal senso comune. Tale risultato `e, infatti, un teorema a tutti gli effetti.
Esso risulta essere un argomento molto poliedrico e pi`u profondo di quanto si possa pen-sare a una prima lettura.
L’enunciato afferma che `e possibile decomporre una sfera di R3 in un numero finito di parti per poi riassemblarle in modo da ottenere due sfere di R3 aventi lo stesso raggio
della sfera di partenza.
La dimostrazione del teorema, realizzata per mano dei matematici Stefan Banach e Alfred Tarski, risale al ventesimo secolo (1924), in un periodo particolarmente fervido di dibattiti scientifici. In particolare, si discuteva circa la presenza o meno dell’Assioma della Scelta nel sistema di assiomi fondamentali della matematica.
C’erano studiosi che appoggiavano l’aggiunta dell’Assioma e altri, tra cui Banach e Tar-ski, che lo ritenevano inappropriato. Infatti, essi riuscirono a rendere il paradosso un teorema proprio con l’ausilio dell’Assioma, senza il quale non sarebbero giunti a una dimostrazione. Fu questa controintuitivit`a nel risultato ad accreditare la loro posizione nel dibattito.
Tuttavia, dal momento che fu indispensabile per la dimostrazione di numerosi risultati, l’Assioma della Scelta venne infine aggiunto al sistema di assiomi fondamentali.
Per ovviare quindi alla formazione del paradosso di Banach-Tarski, vennero introdotti i cosiddetti gruppi amenabili. Muniti di appropriata misura, tali gruppi agiscono su insie-mi, come ad esempio la sfera di R3, impedendovi l’origine di scomposizioni paradossali.
Nondimeno l’utilit`a di questi gruppi non si limit`o al contesto del paradosso e, studiandoli ulteriormente, si scoprirono loro propriet`a che ne permisero l’applicazione in altri ambiti. La tesi `e strutturata come segue. Nel Capitolo 1 sono citate definizioni preliminari per lo sviluppo della stessa. In particolare, sono definiti i concetti di scomposizione parados-sale ed equiscomponibilit`a. Il Capitolo 2 tratta a fondo la dimostrazione del paradosso di Banach-Tarski, con l’utilizzo del paradosso di Hausdorff. Nel Capitolo 3, attraverso il Teorema di Tarski, `e approfondito il legame tra esistenza di una misura finitamente additiva su un gruppo G e insiemi G-paradossali. Nel Capitolo 4 si introducono i gruppi
ii
amenabili, dando poi un risultato di estensione di invarianza di misure definite su algebre di Boole. In seguito, si caratterizzano ulteriormente tali gruppi e si conclude definendo l’amenabilit`a da un punto di vista topologico (accenni a modifiche di teoremi preceden-temente trattati circa la caratterizzazione dei gruppi amenabili). Per concludere, nel Capitolo 5 si enuncia un problema ancora aperto, il Problema di Marczewski, riguar-dante la scomposizione paradossale mediante componenti che soddisfano la Propriet`a di Baire, e si riformula lo stesso tramite la definizione della misura di Marczewski.
Indice
Introduzione i
1 Nozioni Preliminari 1
1.1 Accenni sui gruppi . . . 1
1.2 Scomposizioni paradossali ed equiscomponibilit`a . . . 2
2 Paradosso di Banach-Tarski 5 2.1 Paradosso di Hausdorff . . . 5 2.2 Paradosso di Banach-Tarski . . . 7 3 Teorema di Tarski 9 3.1 Semigruppo tipo . . . 9 3.2 Teorema di Tarski . . . 11 4 Gruppi amenabili 17 4.1 Misure sui gruppi . . . 17
4.2 Algebra di Boole e Teorema di Estensione dell’invarianza . . . 22
4.3 Caratterizzazione dell’amenabilit`a . . . 26 4.4 Amenabilit`a topologica . . . 33 5 Problema di Marczewski 35 5.1 Propriet`a di Baire . . . 35 5.2 Misure di Marczewski . . . 35 Bibliografia 37 iii
Capitolo 1
Nozioni Preliminari
In questo capitolo verranno illustrati alcuni risultati generali che risulteranno utili in seguito.
1.1
Accenni sui gruppi
Definizione 1.1.1 (Gruppo). Si definisce (G, ◦) gruppo, dove G `e un insieme e ◦ un’operazione binaria su G che soddisfa le seguenti propriet`a:
1. Associativit`a: (a ◦ b) ◦ c = a ◦ (b ◦ c)
2. Elemento neutro: ∃e ∈ G t.c. a ◦ e = e ◦ a = a ∀a ∈ G 3. Elemento opposto: ∀a ∈ G ∃b ∈ G t.c. a ◦ b = b ◦ a = e L’elemento b si indica solitamente come a−1.
Inoltre, un gruppo si dice abeliano se vale la seguente propriet`a: a ◦ b = b ◦ a ∀a, b ∈ G
Esempio 1.1.2. Un’isometria di Rn (o di qualsiasi spazio metrico) `e una biezione di
f : Rn → Rn che conserva le distanze.
• L’insieme delle isometrie di Rn forma un gruppo, Isom (Rn), con l’operazione di
composizione di funzioni;
• Il gruppo ortogonale di grado n, On, sul campo dei numeri reali, indica il gruppo
delle isometrie lineari dello spazio euclideo di dimensione n;
• Il gruppo speciale ortogonale di grado n, SOn, `e un sottogruppo di On ed indica il
gruppo delle rotazioni dello spazio euclideo di dimensione n.
2 1. Nozioni Preliminari
Definizione 1.1.3 (Azione di gruppo). Siano G un gruppo, X un insieme. L’insieme degli automorfismi di X, Aut (X) = {f : X → X, f biunivoca}, `e un gruppo rispetto alla composizione, con elemento neutro l’identit`a e (f ◦ g)−1 = g−1◦ f−1.
Si definisce azione del gruppo G sull’insieme X un morfismo di gruppi ρ : G → Aut (X), cio`e risulta tale che ∀f, g ∈ Aut (X) ρ (f g) = ρ (f ) ρ (g).
Esempio 1.1.4. Il gruppo SO3 agisce su S2 attraverso le rotazioni:
SO3 → Aut S2
A 7→ ρA con S2 3 P 7→ ρA(P ) ∈ S2
Definizione 1.1.5 (Orbita). L’orbita di un elemento x ∈ X rispetto all’azione del gruppo G su X `e definita in tal modo:
Gx = {gx : g ∈ G}
Definizione 1.1.6 (Gruppo libero). Un gruppo G si dice libero se esiste un sottoinsieme S di G tale che `e possibile scrivere ogni elemento di G come prodotto di un numero finito di elementi di S e dei suoi inversi in modo unico.
S `e detto insieme di generatori libero e la sua cardinalit`a `e detta rango di G.
Esempio 1.1.7. Il gruppo (Z, +) dei numeri interi con la somma `e libero, con insieme di generatori ad esempio S = {1}.
Definizione 1.1.8 (Gruppo risolubile). Un gruppo G si dice risolubile se esiste una catena di sottogruppi:
{e} ⊆ H1 ⊆ H2 ⊆ . . . ⊆ Hn⊆ G
in cui ogni Hi `e normale in Hi+1 e il quoziente Hi+1/Hi `e abeliano.
Esempio 1.1.9. Il gruppo Isom (R2) delle isometrie del piano `e risolubile. Infatti, si consideri T l’insieme delle traslazioni e M l’insieme delle composizioni di simmetrie. Allora
{id} ⊆ T ⊆ M ⊆ Isom R2
risulta essere una catena di sottogruppi come quella definita sopra.
1.2
Scomposizioni paradossali ed equiscomponibilit`
a
Definizione 1.2.1 (Insieme G-paradossale). Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X e si supponga E ⊆ X, E 6= ∅. E si dice G-paradossale, o E ammette una G-scomposizione paradossale, se, per qualche m, n ∈ Z, m, n > 0, esistono A1, ..., An, B1, ..., Bm ⊆ E
sottoinsiemi disgiunti a due a due e g1, ..., gn, h1, ..., hm ∈ G tali che:
E = n [ i=1 gi(Ai) e E = m [ j=1 hj(Bj)
1.2 Scomposizioni paradossali ed equiscomponibilit`a 3
Esempio 1.2.2 (Paradosso di Sierpi´nski-Mazurkiewicz). Vi `e un sottoinsieme non vuoto del piano R2 paradossale rispetto al gruppo delle isometrie di R2. In particolare, vi `e
S ⊂ R2 ed esistono due insiemi disgiunti non vuoti A, B, A ∪ B = S, tali che: • Ruotando A di un radiante si ottiene S;
• Traslando B di una unit`a si ritrova di nuovo S.
Dimostrazione. Per comodit`a, si identifica R2 con il piano complesso C. Si consideri il
numero complesso x = ei, che risulta essere trascendentale.
Sia S l’insieme di tutti i polinomi in x che hanno per coefficienti numeri interi non negativi, sia A il sottoinsieme di S dato dai polinomi di S che non hanno termine noto e sia infine B il sottoinsieme di S costituito dai polinomi di S che hanno termine noto non nullo. Quindi A ∪ B = S.
• Ruotando tutti i punti di A di un radiante in senso orario, cio`e moltiplicando tutti gli elementi di A per x−1 = e−i si ottiene S in quanto gli elementi di S che non hanno termine noto sono multipli di x, quindi moltiplicando per l’inverso di x si ha di nuovo S, come desiderato;
• Traslando tutti i punti di B a sinistra di una unit`a, cio`e sottraendo 1 da ogni elemento di B si ricava S poich`e i polinomi di S con termine noto diverso da zero devono avere come termine noto un numero intero positivo, quindi sottrarre 1 produce tutti i polinomi in S, inclusi quelli con termine noto 0.
Definizione 1.2.3 (Gruppo paradossale). Un gruppo G si dice paradossale se `e G-paradossale rispetto all’azione di gruppo su se stesso data dalla traslazione sinistra. Esempio 1.2.4. Un gruppo libero F di rango 2 `e paradossale, dove F agisce su se stesso con la moltiplicazione.
Dimostrazione. Siano σ, τ i generatori liberi di F , posto ρ uno tra σ±1, τ±1, sia W (ρ) l’insieme degli elementi di F la cui rappresentazione come una parola in σ, σ−1, τ, τ−1 inizia, sulla sinistra, per ρ. Allora
F = {1} ∪ W (σ) ∪ W σ−1 ∪ W (τ ) ∪ W τ−1 e tali sottoinsiemi sono disgiunti a due a due. Inoltre,
W (σ) ∪ σW σ−1 = F e W (τ ) ∪ τ W τ−1 = F
4 1. Nozioni Preliminari
Definizione 1.2.5 (G-equiscomponibilit`a). Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X e siano A, B ⊆ X. A e B si dicono G-equiscomponibili se esistono A1, ..., An, B1, ..., Bn∈ X
tali che: A = n [ i=1 Ai e B = n [ i=1 Bi dove: • Ai∩ Aj = ∅ = Bi∩ Bj ∀i, j, i < j ≤ n; • ∃g1, . . . , gn∈ G t.c. ∀i ≤ n gi(Ai) = Bi.
La notazione A ∼G B denota la relazione di G-equiscomponibilit`a.
Osservazione 1.2.6. ∼G `e una relazione d’equivalenza.
Data una qualsiasi relazione di equivalenza ∼ su una collezione di sottoinsiemi di un insieme, `e possibile definire un’altra relazione come segue:
A B ⇔ A `e equivalente ad un sottoinsieme di B
Allora `e una relazione sulle classi d’equivalenza di ∼ e risulta essere riflessiva e tran-sitiva.
La notazione sar`a usata in seguito nel contesto dell’equiscomponibilit`a: A B ⇔ A `e G-equiscomponibile con un sottoinsieme di B
Teorema 1.2.7 (Teorema di Banach-Schroder-Bernstein). Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X, e siano A, B ⊆ X. Se A B e B A, allora A ∼G B.
Quindi `e un ordinamento parziale delle ∼G-classi di ℘(X).
Dimostrazione. La relazione ∼G soddisfa le seguenti condizioni:
1. Se A ∼G B, allora esiste una biezione g : A → B tale che C ∼Gg(C) ∀C ⊆ A;
2. Se A1∩ A2 = ∅ = B1∩ B2 e se A1 ∼GB1, A2 ∼G B2, allora A1∪ A2 ∼GB1∪ B2.
Siano f : A → B1, g : A1 → B biezioni come quelle presenti nella condizione 1., con
B1 ⊆ B, A1 ⊆ A, sia C0 = A \ A1; per induzione, si definisca Cn+1 = g−1f (Cn). Infine
si definisce C = ∞ [ n=0 Cn
Poich`e g (A \ C) = B \ f (C), e poich`e g `e come in 1., vale: A \ C ∼G B \ f (C).
Considerando infine f tale che C ∼G f (C), per la condizione 2. si ha:
(A \ C) ∪ C ∼G(B \ f (C)) ∪ f (C)
Capitolo 2
Paradosso di Banach-Tarski
2.1
Paradosso di Hausdorff
Innanzitutto verr`a introdotto un risultato fondamentale per lo studio del paradosso di Banach-Tarski: il paradosso di Hausdorff.
Definizione 2.1.1 (Sottoinsieme indipendente). Un sottoinsieme S di un gruppo G `e detto indipendente se S `e un insieme libero di generatori di H, il sottogruppo di G generato da S; H `e quindi un gruppo libero di rango |S|.
Teorema 2.1.2. Esistono due rotazioni indipendenti, ϕ e ρ, attorno agli assi per l’ori-gine in R3. Quindi, se n ≥ 3, SO
n ha un sottogruppo libero di rango 2.
Dimostrazione. Siano ϕ e ρ rotazioni attorno agli assi z e x, rispettivamente, in senso an-tiorario, entrambe di angolo arccos(13). Allora ϕ±1, ρ±1 sono rappresentati dalle seguenti matrici: ϕ±1 = 1 3 ∓ 2√2 3 0 ±2√2 3 1 3 0 0 0 1 e ρ±1 = 1 0 0 0 13 ∓2√2 3 0 ±2 √ 2 3 1 3
Mostrare che ϕ e ρ sono indipendenti equivale a mostrare che nessuna parola riducibile non banale in ϕ±1, ρ±1 equivale all’identit`a.
Per assurdo, si suppone w una parola in ϕ±1, ρ±1 che termina (sulla destra) per ϕ±1 (non
6 2. Paradosso di Banach-Tarski
`e restrittivo ridursi a questo caso), w equivale all’identit`a, quindi w(1, 0, 0) = (1, 0, 0). Per giungere alla contraddizione cercata si mostra che in realt`a
w(1, 0, 0) = (a, b √
2, c) 3k
dove a, b, c sono numeri interi e b non `e divisibile per 3. Tale richiesta si mostra per induzione sulla lunghezza di w.
• Passo base: Se w ha lunghezza 1, allora w = ϕ±1. In tal caso,
w(1, 0, 0) = (1, ±2 √
2, 0) 3
• Passo d’induzione: Si suppone per ipotesi induttiva che w = ϕ±1w0 o w = ρ±1w0
dove
w0(1, 0, 0) = (a
0, b0√2, c0)
3k−1
Mediante una singola applicazione delle matrici di ϕ e ρ si ottiene w(1, 0, 0) =
(a,b√2,c)
3k con, rispettivamente (a seconda che w inizi per ϕ
±1 o per ρ±1):
a = a0∓ 4b0, b = b0 ± 2a0, c = 3c0 a = 3a0, b = b0∓ 2c0, c = c0± 4b0 Da cui segue che a, b, c sono sempre numeri interi.
Rimane solo da dimostrare che b non diventa mai divisibile per 3. Si considerino i seguenti quattro casi: w pu`o essere uguale a ϕ±1ρ±1v, ρ±1ϕ±1v, ϕ±1ϕ±1v o ρ±1ρ±1v. Nei primi due casi, usando le nozioni e le equazioni del paragrafo precedente, si ha: b = b0∓ 2c0
dove 3 divide c0, oppure b = b0 ∓ 2a0
dove 3 divide a0. Quindi, poich`e per ipotesi induttiva b0 non `e divisibile per 3, neanche b risulter`a tale.
Negli ultimi due casi, siano a00, b00, c00 gli interi presenti in v(1, 0, 0). In entrambi i casi `e semplice verificare che risulta b = 2b0 − 9b00. Ad esempio, nel caso in cui w = ϕ±1ϕ±1v,
b = b0± 2a0 = b0± 2 (a”0∓ 4b”0) = b0+ b”0± 2a”0− 9b”0 = 2b0− 9b”0
Quindi, poich`e per ipotesi induttiva b0 non `e divisibile per 3, neanche b risulter`a tale.
Assioma della Scelta: Data una famiglia non vuota T di insiemi non vuoti, esiste una funzione f tale che:
∀A ∈ T, A → f (A) 3 A
2.2 Paradosso di Banach-Tarski 7
Proposizione 2.1.3. Se G `e paradossale e agisce su X senza punti fissi non banali, allora X `e G-paradossale. Inoltre X `e F -paradossale dove F `e un qualsiasi gruppo libero di rango 2 che agisce su X senza punti fissi non banali.
Dimostrazione. Siano Ai, Bj ⊆ G, gi, hj ∈ G sottoinsiemi ed elementi di G che rendono
G paradossale. Per l’Assioma della Scelta, vi `e un insieme M che contiene esattamente un elemento per ogni G-orbita in X. Allora {g (M ) : g ∈ G} `e una partizione di X; per la mancanza di punti fissi non banali nell’azione di G, gli insiemi di questa famiglia risultano disgiunti a due a due. Sia A∗i =S {g (M ) : g ∈ Ai} e Bj∗ =S {g (M ) : g ∈ Bj}.
Allora {A∗i} ∪B∗
j `e una collezione di sottoinsiemi di X disgiunti a due a due, poich`e
per ipotesi {Ai} ∪ {Bj} `e disgiunta a due a due, e le equazioni X = S giA∗i = S hjBj∗
seguono dalle corrispondenti equazioni in G: G =S giAi =S hjBj.
L’asserzione riguardo F segue dall’Esempio 1.2.4.
Corollario 2.1.4. Un gruppo con un sottogruppo paradossale `e paradossale. Quindi ogni gruppo con un sottogruppo libero di rango 2 `e paradossale.
Teorema 2.1.5 (Paradosso di Hausdorff). Esiste un sottoinsieme numerabile D di S2
tale che S2\ D `e SO3-paradossale.
Dimostrazione. Ogni elemento di un gruppo libero di rotazioni, detto F , costruito come nella dimostrazione del Teorema 2.1.2, fissa tutti i punti della stessa retta in R3. Quindi
ogni rotazione (che non sia l’identit`a) in F ha due punti fissi su S2 dati dall’intersezione tra gli assi di rotazione e la sfera. Sia D l’insieme di tutti questi punti; poich`e F `e numerabile, anche D lo `e.
Per mostrare che F agisce su S2\D senza punti fissi non banali, si considerino P ∈ S2\D
e g ∈ F tali che g (P ) ∈ S2 \ D, g (P ) 6= P . Se per assurdo esistesse h ∈ F che fissa
g(P ), si avrebbe h (g (P )) = g (P ), quindi P dovrebbe essere un punto fisso di g−1hg, il che risulta una contraddizione per come `e stato definito D. Applicando la Proposizione 2.1.3 si ottiene la tesi.
2.2
Paradosso di Banach-Tarski
Proposizione 2.2.1. Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X, e siano E, E0 sottoin-siemi di X G-equiscomponibili. Se E `e G-paradossale, allora anche E0 lo `e.
Teorema 2.2.2. Se D `e un sottoinsieme numerabile di S2, allora S2 e S2 \ D sono
SO3-equiscomponibili.
Dimostrazione. Per mostrare l’enunciato del teorema, risulta sufficiente cercare una ro-tazione ρ della sfera tale che gli insiemi D, ρ(D), ρ2(D), . . . siano disgiunti a due a due, in quanto in tal caso si avrebbe:
8 2. Paradosso di Banach-Tarski
dove ¯D = S {ρn(D), n = 0, 1, 2, . . .}. Sia l una retta per l’origine che non passa per
l’insieme numerabile D e sia A l’insieme degli angoli ϑ tali che, per qualche n > 0 e per qualche P ∈ D, σ(P ) sta ancora in D, con σ la rotazione intorno ad l di un angolo di nϑ radianti. Allora, poich`e A `e numerabile, `e possibile scegliere un angolo ϕ non in A; sia ρ la corrispondente rotazione intorno ad l. Allora ρn(D) ∩ D = ∅ ∀n > 0, da cui segue
che per qualsiasi 0 ≤ m < n, ρm(D) ∩ ρn(D) = ∅. Cos`ı ρ risulta come richiesta. Corollario 2.2.3 (Paradosso di Banach-Tarski). S2 `e SO
3-paradossale, come ogni sfera
centrata nell’origine. Inoltre ogni B palla solida in R3 `e paradossale rispetto al gruppo
delle isometrie di R3 ed R3 stesso `e paradossale.
Dimostrazione. Il paradosso di Hausdorff afferma che S2 \ D `e SO
3-paradossale per
qualche insieme numerabile D (di punti fissi delle rotazioni); si ottiene quindi che S2 `e
SO3-paradossale dal teorema precedente e dalla Proposizione 2.2.1. Poich`e inoltre
nes-suno dei risultati precedenti dipende dalla dimensione della sfera, tale risultato vale per ogni sfera centrata nell’origine.
Basta considerare le palle centrate in 0, poich`e il gruppo delle isometrie di R3 contiene tutte le traslazioni. Per comodit`a si consideri la palla unitaria B, ma la stessa dimo-strazione vale per le palle di ogni dimensione. La scomposizione di S2 fornisce una
scomposizione per B \ {0} se si usa la corrispondenza radiale: P −→ {αP : 0 < α ≤ 1}. Quindi `e sufficiente mostrare che B `e equiscomponibile rispetto al gruppo delle isometrie di R3 con B \ {0}. Sia P = 0, 0,1
2 e sia ρ una rotazione di ordine infinito intorno ad
un asse passante per P ma non per l’origine. Allora l’insieme D = {ρn(0) : n ≥ 0} `e tale che ρ (D) = D \ {0}, cos`ı B ∼ B \ {0}.
Invece se si utilizza la corrispondenza radiale di S2 con tutto R3 \ {0} si ottiene una
scomposizione paradossale di R3\ {0} usando le rotazioni. Poich`e, esattamente come per la palla, si mostra che R3\ {0} ∼ R3, R3 `e paradossale mediante isometrie.
Capitolo 3
Teorema di Tarski
3.1
Semigruppo tipo
Le nozioni trattate in questa sezione saranno utilizzate nella dimostrazione del teo-rema di Tarski.
Definizione 3.1.1 (Semigruppo). Si definisce (T , +) semigruppo, dove T `e un insieme e + un’operazione binaria su T che soddisfa la propriet`a di associativit`a, ossia vale che:
(α + β) + δ = α + (β + δ)
Inoltre un semigruppo pu`o essere commutativo se ∀α, β ∈ T , α + β = β + α.
Infine si definisce semigruppo commutativo con identit`a un semigruppo commutativo in cui vi `e un elemento 0, detto identit`a, tale che ∀α ∈ T , α + 0 = 0 + α = α.
Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X, `e possibile definire un’azione di gruppi come segue. Sia X∗ = X × N e sia
G∗ = {(g, π) : g ∈ G e π `e una permutazione di N} Il gruppo G∗ agisce su X∗ per (g, π) (x, n) = (g (x) , π (n)).
Per le seguenti definizioni si considerino G, X, G∗, X∗ come sopra.
Definizione 3.1.2 (Livelli). Per A ⊆ X∗, sono detti livelli di A gli n ∈ N tali che A abbia almeno un elemento con seconda coordinata n.
Un sottoinsieme A di X∗ `e detto limitato se ha solo un numero finito di livelli.
Definizione 3.1.3 (Tipo). La classe di equivalenza rispetto alla G∗-equiscomponibilit`a di A ⊆ X∗ limitato `e detta tipo di A, e si indica [A].
Notazione 3.1.4. La collezione dei tipi degli insiemi limitati si denota con S.
10 3. Teorema di Tarski
Definizione 3.1.5. Per [A] , [B] ∈ S, si definisce
[A] + [B] = [A ∪ B0] , dove B0 = {(b, m + k) : (b, m) ∈ B} per k abbastanza grande affinch`e i livelli di B0 siano disgiunti da quelli di A.
Osservazione 3.1.6. + `e ben definita, cio`e [A]+[B] `e indipendente dalla scelta dei rap-presentanti di A e B, e dalla permutazione usata per definire B0. Inoltre + `e associativa e commutativa e l’elemento neutro `e dato da [∅] = 0.
Definizione 3.1.7 (Semigruppo tipo). (S, +) `e un semigruppo commutativo detto se-migruppo tipo.
Notazione 3.1.8. Se E ⊆ X, allora [E] si usa per indicare [E × {0}]. ´
E possibile definire una moltiplicazione tra gli elementi del semigruppo tipo e i numeri naturali, come segue:
nα = α + α + . . . + α n volte. Inoltre, S ammette un ordine dato da:
α ≤ β ⇔ α + γ = β per qualche γ ∈ S In particolare, tale ordine ≤ risulta essere un ordine parziale.
Infatti, vale che [A] ≤ [B] se e solo se A B e, coerentemente con la notazione del teorema di Banach-Schroder-Bernstein, Teorema 1.2.7, `e in effetti un ordine parziale. Definizione 3.1.9 (Elemento limitato). Se ε ∈ S `e fissato, allora un elemento α di T si dice limitato se per qualche n ∈ N si ha α ≤ nε.
Teorema 3.1.10 (Legge di cancellazione). Per α, β ∈ S, n ∈ Z, n > 0, se nα = nβ, allora α = β.
Per la dimostrazione della legge di cancellazione si rimanda al teorema 8.7 del testo [1].
Corollario 3.1.11. Se α ∈ S, n ∈ N soddisfano (n + 1) α ≤ nα, allora 2α = α. Dimostrazione. Sostituendo la disuguaglianza dell’ipotesi in se stessa si ottiene:
nα ≥ (n + 1) α = nα + α ≥ (n + 1) α + α = nα + 2α
Ripetendo questa sostituzione si ottiene che nα ≥ nα + nα = 2nα. Poich`e nα ≤ 2nα, si ha: nα = 2nα = n (2α) e quindi la legge di cancellazione implica che 2α = α.
3.2 Teorema di Tarski 11
3.2
Teorema di Tarski
Definizione 3.2.1 (σ-algebra). Dato un insieme X, si definisce σ-algebra su X una famiglia F di sottoinsiemi di X tali che:
• X ∈ F ;
• Se A ∈ F , allora il complementare di A, Ac∈ F ;
• Se Ai ∈ F ∀i ∈ I, I insieme numerabile di indici, allora
[
i∈I
Ai ∈ F
Esempio 3.2.2. Un esempio banale di σ-algebra su un qualsiasi insieme X `e rappresen-tato dall’insieme delle parti di X, ℘(X).
Definizione 3.2.3 (Misura). Sia F una σ-algebra definita su un insieme X. Si definisce misura una funzione µ : F → [0, ∞], con µ (E) < ∞ per almeno un E ∈ F , tale da essere numerabilmente additiva, ossia, se E1, E2, . . . ∈ F sono insiemi disgiunti a due a
due, µ ∞ [ i=1 Ei ! = ∞ X i=1 µ (Ei)
Gli elementi di F sono detti insiemi misurabili e la struttura (X, F , µ) viene detta spazio di misura.
Definizione 3.2.4 (Misura finitamente additiva). Una misura che, invece dell’additivit`a numerabile, possiede l’additivit`a finita `e detta misura finitamente additiva.
Definizione 3.2.5 (Insieme G-trascurabile). Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X, sia E ⊆ X. E `e detto G-trascurabile se per ogni misura µ finitamente additiva, G-invariante su ℘(X), µ (E) = 0 quando µ (E) < ∞.
Proposizione 3.2.6. Se E `e G-paradossale, allora E `e G-trascurabile.
Dimostrazione. Sia µ una misura finitamente additiva, G-invariante su ℘(X), µ (E) < ∞, siano Ai, Bj, gi, hj sottoinsiemi di E ed elementi di G, rispettivamente, che
determi-nano la G-paradossalit`a di E. Allora si ha: µ (E) ≥ Xµ (Ai) + X µ (Bj) = =Xµ (giAi) + X µ (hjBj) ≥ ≥ µ[giAi + µ[hjBj = = µ (E) + µ (E) = 2µ (E) Si conclude quindi che µ (E) = 0 poich`e µ (E) < ∞.
12 3. Teorema di Tarski
Teorema 3.2.7 (Teorema di Tychonoff). Sia {Ai} una famiglia qualsiasi di spazi
com-patti. Allora `e compatto il prodotto
Y
i∈I
Ai
Per la dimostrazione del teorema di Tychonoff si rimanda al teorema 3.3.3 del testo [3]; in particolare, viene utilizzato l’Assioma della Scelta.
Corollario 3.2.8. Sia X uno spazio topologico compatto, allora l’insieme XA = {f : A → X}
`e compatto per la topologia della convergenza puntuale.
Dimostrazione. La topologia della convergenza puntuale `e la topologia prodotto.
Teorema 3.2.9. Sia (S, +, 0, ε) il semigruppo tipo ed ε ∈ S un elemento specifico. Allora sono equivalenti:
1. ∀n ∈ N, (n + 1) ε nε;
2. Vi `e una misura µ : S → [0, ∞] tale che: • µ (ε) = 1,
• µ (α + β) = µ (α) + µ (β) ∀α, β ∈ S.
(Si noti che µ `e un omomorfismo di semigruppi, da S a ([0, ∞] , +).)
Dimostrazione. 2. ⇒ 1.) Ogni µ che soddisfa la condizione 2. `e tale che µ (α) ≤ µ (β) se α ≤ β, e µ (nε) = n; quindi (n + 1) ε ≤ nε implica che n + 1 ≤ n.
1. ⇒ 2.) Per mostrare tale implicazione verranno utilizzati il seguente lemma e la compat-tezza dello spazio prodotto [0, ∞]S (tutte le funzioni da S in [0, ∞]), data dal Corollario 3.2.8. Senza mancanza di generalit`a, si assuma che tutti gli elementi di S siano limitati. Infatti, avendo una misura sugli elementi limitati, questa pu`o essere estesa assegnando agli elementi illimitati misura ∞.
Lemma 3.2.10. Se T0 `e un sottoinsieme finito di S che contiene ε, allora c’`e una
funzione µ : T0 → [0, ∞] tale che:
i. µ (ε) = 1;
ii. Se φi, θj ∈ T0soddisfano: φ1+, . . . , +φm ≤ θ1+, . . . , +θn, alloraP µ (φi) ≤P µ (θj).
Dimostrazione. Si dimostra per induzione sulla dimensione di T0.
• Passo base: Se |T0| = 1, allora T0 = {ε}, e µ (ε) = 1 `e la funzione desiderata. In
questo caso la propriet`a ii. del lemma si riduce a mostrare che se mε ≤ nε, allora m ≤ n. Ma questa `e una conseguenza di 1., l’ipotesi del teorema su ε; infatti, se mε ≤ nε, ma m ≥ n + 1, si avrebbe una contraddizione: (n + 1) ε ≤ mε ≤ nε.
3.2 Teorema di Tarski 13
• Passo d’induzione: Si supponga |T0| > 1, e sia α un qualsiasi elemento di T0\ {ε}.
Si consideri, utilizzando le ipotesi d’induzione, una funzione ν su T0 \ {α} che
soddisfi il lemma. Per l’assunzione iniziale sulla limitatezza, tutti gli elementi sono limitati da un qualche nε; quindi ν prende solo valori finiti. Si definisce µ su T0 in
tal modo:
µ = ν su T0\ {α}
µ (α) = inf P ν (βk) −P ν (γl) r
dove l’inf `e su tutti gli interi positivi r e β1, . . . , βp, γ1, . . . , γq ∈ T0\ {α} tali che
γ1+ . . . + γq+ rα ≤ β1+ . . . + βp.
Poich`e α `e limitato, µ (α) `e il limite inferiore pi`u grande di un insieme non vuoto: se α ≤ nε, allora µ (α) ≤ n.
Poich`e una conseguenza della propriet`a ii. del lemma `e che µ (α) ≥ 0 (ε ≤ ε + α, quindi 1 ≤ 1+µ (α)), rimane solo da provare che µ continua a soddisfare la propriet`a ii..
Si supponga che φ1+ . . . + φm+ sα ≤ ϑ1+ . . . + ϑn+ tα, dove φi, ϑj ∈ T0\ {α}.
– Se s = t = 0, allora la disuguaglianza segue dal fatto che ν soddisfa il lemma su T0\ {α} e s, t ∈ N.
– Se s = 0 e t > 0, bisogna mostrare cheP ν (φi) ≤ tµ (α) +P ν (ϑj), ossia che
µ (α) ≥ w = P ν (φi) −P ν (ϑj) t
Sia γ1 + . . . + γq+ rα ≤ β1 + . . . + βp una delle disuguaglianze che definisce
µ (α); `e sufficiente mostrare che
P ν (βk) −P ν (γl)
r ≥ w
Moltiplicando la disuguaglianza data φ1+ . . . + φm ≤ ϑ1+ . . . + ϑn+ tα per
r ed aggiungendo la stessa quantit`a ad entrambe le parti si ottiene:
rφ1 + . . . + rφm+ tγ1+ . . . + tγq ≤ rϑ1+ . . . + rϑn+ trα + tγ1+ . . . + tγq
Sostituendo la disuguaglianza in γ, α, β, si ha:
rφ1+ . . . + rφm+ tγ1+ . . . + tγq≤ rϑ1+ . . . + rϑn+ tβ1+ . . . + tβp
Per le ipotesi d’induzione su ν, vale rXν (φi) + t X ν (γl) ≤ r X ν (ϑj) + t X ν (βk)
14 3. Teorema di Tarski
che implica che
P ν (βk) −P ν (γl)
r ≥ w come desiderato.
– Se s > 0, `e sufficiente mostrare che
sµ (α) +Xν (φi) ≤ z1+ . . . + zt+
X ν (ϑj)
dove z1, . . . , zt sono alcuni dei numeri del limite inferiore pi`u grande che
defi-nisce µ (α). Considerando il pi`u piccolo tra z1, . . . , zt, assumiamo che abbiano
tutti lo stesso valore. In altre parole, si supponga che γ1+ . . . + γq+ rα ≤ β1+ . . . + βp
dove γl, βk ∈ T0\ {α} e sia
z = (P ν (βk) −P ν (γl)) r
allora si vuole provare che
sµ (α) +Xν (φi) ≤ tz +
X ν (ϑj)
Moltiplicando la disuguaglianza in φ, α, ϑ per r e aggiungendo la stessa quan-tit`a ad entrambe le parti, si ottiene:
rφ1+ . . . + rφm+ rsα + tγ1+ . . . + tγq ≤ rϑ1+ . . . + rϑn+ rtα + tγ1+ . . . + tγq
e sostituendo la disuguaglianza in γ, α, β, si ha:
rφ1+ . . . + rφm+ tγ1+ . . . + tγq+ rsα ≤ rϑ1+ . . . + rϑn+ tβ1+ . . . + tβp
Quest’ultima disuguaglianza `e una di quelle usate per definire µ (α), e segue che sµ (α) +P ν (φi) `e limitato da X ν (φi) + s 1 rs rXν (ϑj) + t X ν (βk) − r X ν (φi) − t X ν (γl)
3.2 Teorema di Tarski 15
A questo punto si deve mostrare solo che tale lemma, con la compattezza, forniscono la misura desiderata su tutto S. Per ogni T0 definito come nel lemma, sia
M (T0) =
f ∈ [0, ∞]S t.c. 1.f (ε) = 1;
2.f (α + β) = f (α) + f (β) se α, β, α + β ∈ T0
Quest’ultima propriet`a di additivit`a `e una conseguenza della propriet`a 2. del lemma, da cui deriva che M (T0) `e non vuoto. La compattezza dello spazio prodotto [0, ∞]
S
pu`o essere interpretata cos`ı: se una collezione di sottoinsiemi chiusi di [0, ∞]S hanno la propriet`a di intersezione finita (cio`e ogni intersezione di un numero finito di elementi della collezione `e non vuota), allora l’intersezione di tutti gli insiemi nella collezione `e non vuota.
Se f /∈ M (T0), allora o f (ε) 6= 1, o f (α + β) 6= f (α) + f (β). In tal caso vi `e un
sottospazio aperto di [0, ∞]T0
che contiene f |T0 sul quale la condizione (che non valeva
per la f ) non vale: basta variare o la ε-condizione o la α-condizione; quindi M (T0) `e
chiuso.
Si noti che M (T1) ∩ . . . ∩ M (Tn) ⊇ M (T1∪ . . . ∪ Tn), dove ogni Ti `e un sottoinsieme
finito di S che contiene ε. Poich`e anche S Ti `e finito, il lemma implica che M (S Ti) 6=
∅; segue che {M (T0) : T0 `e un sottoinsieme finito di S contentente ε} ha la propriet`a
dell’intersezione finita. Per la compattezza, deve esserci una µ che si trova in ogni M (T0), e una tale µ `e una misura come quella richiesta: poich`e µ ∈ M ({ε}) , µ (ε) = 1,
e per vedere che µ (α + β) = µ (α)+µ (β), si usa il fatto che µ ∈ M ({ε, α, β, α + β}). Corollario 3.2.11 (Teorema di Tarski). Sia G un gruppo che agisce sull’insieme X e sia E ⊆ X. Allora vi `e una misura µ : ℘(X) → [0, ∞] finitamente additiva, G-invariante, tale che µ (E) = 1 se e solo se E non `e G-paradossale.
Dimostrazione. La Proposizione 3.2.6 mostra che se esiste una misura µ come nelle ipo-tesi, allora E non `e G-paradossale. Si consideri quindi E ⊆ X non G-paradossale, e sia S il semigruppo tipo dell’azione di G su X. Preso ε = [E × {0}], si ha 2ε 6= ε. Quindi, il Corollario 3.1.11 per l’equiscomponibilit`a implica che S, con l’elemento distinto ε, soddi-sfa la condizione 1. del teorema precedente. Tale teorema fornisce una misura ν su S che normalizza ε; ponendo µ (A)=ν ([A × {0}]) si ottiene la misura su ℘(X) ricercata.
Capitolo 4
Gruppi amenabili
4.1
Misure sui gruppi
Definizione 4.1.1 (Misura su un gruppo G). Se, per un gruppo G, µ `e una misura finitamente additiva su ℘(G) tale che µ (G) = 1 e µ `e invariante a sinistra, cio`e
µ (gA) = µ (A) ∀g ∈ G, A ⊆ G allora µ `e detta misura sul gruppo G.
Definizione 4.1.2 (Gruppo amenabile). Un gruppo G su cui `e possibile definire una misura (come appena descritta) `e detto gruppo amenabile.
Lemma 4.1.3. Se un gruppo G `e paradossale, allora non pu`o essere amenabile.
Dimostrazione. Per la Proposizione 3.2.6, G `e trascurabile. Si possono quindi considerare i seguenti casi:
• µ (G) < ∞, in tal caso allora µ (G) = 0, • oppure µ (G) = ∞
In entrambi i casi dunque µ (G) 6= 1.
Per un gruppo G, sia B(G) la collezione delle funzioni su G limitate, a valori reali; se µ `e una misura su G, `e possibile assegnare un numero reale R f dµ ad ogni f ∈ B (G), e tale integrale soddisfer`a le seguenti propriet`a:
1. Z (af + bg) dµ = a Z f dµ + b Z gdµ, ∀a, b ∈ R 17
18 4. Gruppi amenabili 2. Z f dµ ≥ 0 se, ∀g ∈ G, f (g) ≥ 0 3. Z χGdµ = 1 4. ∀g ∈ G, f ∈ B (G) , Z gf dµ = Z f dµ, dove (gf ) (h) = f g−1h
cio`e l’integrale `e invariante a sinistra.
Le condizioni 2. e 3. possono essere sostituite con la singola condizione:
inf {f (g) : g ∈ G} ≤ Z
f dµ ≤ sup {f (g) : g ∈ G}
Definizione 4.1.4 (Media invariante a sinistra su un gruppo). Un funzionale lineare su B (G) che soddisfa le quattro condizioni precedenti `e detto media invariante a sinistra sul gruppo G.
Osservazione 4.1.5. Un gruppo G `e amenabile se e solo se si pu`o trovare una media invariante a sinistra su G.
Infatti, se F : B (G) → R `e una media invariante a sinistra su G, ponendo µ (A) = F (χA) si ottiene una misura su G.
Teorema 4.1.6. Sia G un gruppo amenabile che agisce sull’insieme X, allora vi `e una misura finitamente additiva, G-invariante, su ℘(X) di misura totale 1.
Dimostrazione. Preso un qualsiasi x ∈ X, e sia µ una misura su G, si definisce ν : ℘(X) → [0, 1] tale che ν (A) = µ ({g ∈ G : g (x) ∈ A})
Risulta facile ora mostrare che ν, che assegna misura 1 all’orbita di x, `e come richiesta dal teorema.
Per il teorema di Tarski, il Corollario 3.2.11, `e possibile riformulare il teorema prece-dente nel seguente modo:
Teorema 4.1.7. Se un gruppo G agisce su un insieme X e G non `e paradossale, allora X non `e G-paradossale.
4.1 Misure sui gruppi 19
Dimostrazione. Se |G| = n < ∞, allora si definisce
µ (A) = |A| n ottenendo la misura su G richiesta.
Teorema 4.1.9. Un sottogruppo H di un gruppo G amenabile `e amenabile.
Dimostrazione. Sia µ una misura su G e sia M un insieme di rappresentanti (insiemi scelti) per la collezione delle classi laterali destre di H in G. Allora si definisce ν su ℘(H) nel seguente modo:
ν (A) = µ[{Ag : g ∈ M } Risulta facile mostrare che ν `e una misura su H.
Teorema 4.1.10. Se N `e un sottogruppo normale di un gruppo amenabile G, allora G/N `e amenabile.
Dimostrazione. Se µ `e una misura su G, allora si definisce
ν : ℘(G/N ) → [0, 1] ponendo ν (A) = µ[{Ag : g ∈ N } Di nuovo, si verifica che ν `e una misura.
Teorema 4.1.11. Se N `e un sottogruppo normale di un gruppo G e sia N che G/N sono amenabili, allora G `e amenabile.
Dimostrazione. Siano ν1, ν2 misure su N, G/N rispettivamente. Per ogni A ∈ G, sia
fA: G → R tale che fA(g) = ν1 N ∩ g−1A
Allora se g1 e g2 definiscono la stessa classe laterale di N in G, fA(g1) = fA(g2). Infatti,
se g2−1g1 = h ∈ N , allora
fA(g2) = ν1 N ∩ g2−1A = ν1 N ∩ hg1−1A = ν1 h N ∩ g1−1A = ν1 N ∩ g1−1A = fA(g1)
Ci`o significa che fA pu`o essere considerata come una funzione a valori reali (limitata)
con dominio G/N . Si definisce µ (A) = Z fAdν2 Poich`e fG = χG, vale µ (G) = 1. Inoltre, se A, B ∈ G, A ∩ B = ∅, allora
20 4. Gruppi amenabili
(pi`u precisamente, fA∪B(gN ) = fA(gN ) + fB(gN )). Ci`o assicura l’additivit`a finita di
µ. Infine
fgA(g0) = ν1 N ∩ g0−1gA = fA g−1g0 =g fA(g0)
quindi l’invarianza a sinistra dell’integrale `e data da ν2, per cui µ (gA) = µ (A).
Definizione 4.1.12 (Unione diretta). Un gruppo G `e un’unione diretta di un sistema di gruppi {Gi : i ∈ I} se:
G =[
i∈I
Gi e se ∀i, j ∈ I, ∃k ∈ I tale che Gi∪ Gj ⊂ Gk
Teorema 4.1.13. Se G `e unione diretta di un sistema di gruppi amenabili {Gα, α ∈ I},
allora G `e amenabile.
Dimostrazione. Sia G = S {Gα : α ∈ I}, dove Gα sono amenabili (con misura µα). Si
consideri lo spazio topologico [0, 1]℘(G), che risulta compatto per il teorema di Tychonoff, Teorema 3.2.7.
Per ogni α ∈ I, si definisce Mα come l’insieme delle misure finitamente additive
µ : ℘(G) → [0, 1] definite da µ (A) = µα(A ∩ G) , tali che
• µ (G) = 1
• µ (gA) = µ (A) ∀g ∈ G
Quindi ogni Mα risulta non vuoto. Come nella dimostrazione del Teorema 3.2.9, si
dimostra che ogni Mα `e un sottoinsieme chiuso di [0, 1] ℘(G)
.
Poich`e Mα∩ Mβ ⊇ Mγ se Gα, Gβ ⊆ Gγ, la collezione {Mα : α ∈ I} ha la propriet`a di
intersezione finita. Per compattezza, allora, esiste qualche µ ∈T {Mα : α ∈ I}, ed una
tale µ dimostra l’amenabilit`a di G.
Corollario 4.1.14. Un gruppo `e amenabile se e solo se tutti i suoi sottogruppi finita-mente generati lo sono.
Dimostrazione. ⇒) Segue chiaramente dal Teorema 4.1.8.
⇐) Poich`e ogni gruppo `e unione diretta dei suoi sottogruppi finitamente generati, il Teorema 4.1.13 conclude la dimostrazione.
Teorema 4.1.15. Se un gruppo G `e abeliano, allora `e amenabile.
Dimostrazione. Per il corollario precedente, `e sufficiente considerare gruppi abeliani fi-nitamente generati. Si supponga quindi che G sia abeliano, con insieme di generatori {g1, . . . , gm}. Basta mostrare che per ogni ε > 0 c’`e una funzione µε: ℘(G) → [0, 1] tale
4.1 Misure sui gruppi 21
i. µε(G) = 1
ii. µε `e finitamente additiva
iii. µε `e anche invariante rispetto ai generatori, nel senso che per ogni A ⊆ G e per ogni
generatore gk, |µε(A) − µε(gkA)| ≤ ε
Per la costruzione di una tale µε, `e possibile considerare i seguenti casi:
• G ha solo un generatore g1.
Si scelga un N abbastanza grande da essere tale che 2/N ≤ ε e sia
µε(A) =
|{i : 1 ≤ i ≤ N e gi
1 ∈ A}|
N
Allora µε differisce da µε(gA) di non pi`u di 2/N ≤ ε.
• Caso generale.
Si scelga un N come sopra e sia
µε(A) = (i1, . . . , im) : 1 ≤ i1, . . . , im ≤ N e g1i1g i2 2 . . . gmim ∈ A Nm
Allora µε(G) = 1, µε `e finitamente additiva, e poich`e gk commuta con gli altri
generatori, µε(gkA) differisce da µε(A) di non pi`u di
|{(i1, . . . , im) : 1 ≤ i1, . . . , ik−1, ik+1, . . . , im ≤ N e ik = 1 o N + 1}| Nm = 2Nm−1 Nm = 2 N ≤ ε come desiderato.
A questo punto, si definisce Mε come l’insieme delle funzioni da ℘(G) a [0, 1] che
soddi-sfano le condizioni i, ii, iii. Allora ogni Mε `e non vuoto e chiuso, poich`e, considerando il
complementare, si ha che
• se µ (G) < 1, allora la disuguaglianza vale per un insieme aperto che contiene µ, • se |µ (A) − µ (gkA)| > ε, per qualche A, k, ε, di nuovo la disuguaglianza vale per
un insieme aperto che contiene µ,
• ugualmente se non vale l’additivit`a finita.
Inoltre, la collezione degli insiemi Mε ha la propriet`a di intersezione finita: T Mεi =
Mmin εi, che `e non vuoto. Perci`o, per la compattezza di [0, 1]
℘(G)
, esiste qualche µ che giace in ogni Mε. Una tale µ `e invariante a sinistra rispetto ad ogni gk, quindi `e
inva-riante a sinistra rispetto ad ogni membro di G, come richiesto.
Corollario 4.1.16. Dai Teoremi 4.1.11 e 4.1.15 si ottiene che ogni gruppo risolubile `
e amenabile; in particolare quindi O1 e i gruppi delle isometrie di R1 e di R2 sono
22 4. Gruppi amenabili
4.2
Algebra di Boole e Teorema di Estensione
del-l’invarianza
Definizione 4.2.1 (Algebra di Boole). Un’algebra di Boole A `e un insieme non vuoto con tre operazioni definite sugli elementi di A : a ∨ b, a ∧ b, a0, che soddisfano le seguenti propriet`a:
1. ∧, ∨ sono commutative e associative; 2. (a ∧ b) ∨ b = b, (a ∨ b) ∧ b = b;
3. a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c) , a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ (a ∨ c); 4. (a ∧ a0) ∨ b = b, (a ∨ a0) ∧ b = b.
Si assuma che le algebre di Boole siano non degeneri, cio`e abbiano almeno due elementi. Lemma 4.2.2. Sia A un’algebra di Boole. Per qualsiasi a, b ∈ A, si ha: a ∨ a0 = b ∨ b0. Dimostrazione. Dalla propriet`a 4 della definizione precedente segue che
(a ∨ a0) ∧ (b ∨ b0) = b ∨ b0
Per la commutativit`a di ∧, si ha: (a ∨ a0) ∧ (b ∨ b0) = (b ∨ b0) ∧ (a ∨ a0).
Quindi, poich`e (b ∨ b0) ∧ (a ∨ a0) = a ∨ a0 (dalla propriet`a 4), si ottiene a ∨ a0 = b ∨ b0. Analogamente si dimostra che a ∧ a0 = b ∧ b0. Segue quindi che vi sono due elementi distinti, 0 e 1, cos`ı definiti: a ∧ a0 = 0, a ∨ a0 = 1.
Notazione 4.2.3. Sia A un’algebra di Boole e siano a, b ∈ A. • a − b indica a ∧ b0.
• a, b si dicono disgiunti se a ∧ b = 0.
Definizione 4.2.4 (4). Sia A un’algebra di Boole e siano a1, a2 ∈ A; si definisce il
seguente operatore:
a14a2 = (a1− a2) ∨ (a2− a1)
Esempio 4.2.5. Sia S un insieme, un esempio di algebra di Boole `e rappresentato da ℘(S) con le operazioni: ∨ per l’unione (∪), ∧ per l’intersezione (∩) e0 per il complemen-tare (c).
Lo 0 `e dato dall’insieme vuoto ∅ e l’1 dall’insieme stesso S. Quindi A \ B indica A ∩ Bc.
4.2 Algebra di Boole e Teorema di Estensione dell’invarianza 23
Osservazione 4.2.6. Vi `e un ordine naturale in ogni algebra di Boole definito come segue: a ≤ b ⇔ a ∧ b = a
1 `e l’elemento pi`u grande, 0 il pi`u piccolo rispetto a tale ordine.
Definizione 4.2.7 (Sottoalgebra). Un sottoinsieme A0 di A si dice sottoalgebra se A0
`
e chiuso rispetto a ∧, ∨,0.
Osservazione 4.2.8. Per ogni sottoinsieme X di A, vi `e una sottoalgebra di A che `e la pi`u piccola contenente X. Tale sottoalgebra `e detta sottoalgebra di A generata da X. Inoltre, una sottoalgebra generata da un insieme finito `e finita.
Definizione 4.2.9 (Relativizzazione). Sia b ∈ A, si definisce Ab = {a ∈ A : a ≤ b}, con
• ∨ definito come in A;
• ∧ tale che a1∧ a2 in Ab indica a1∧ a2∧ b (in A).
• 0 tale che a0 in A
b `e definito come a0∧ b in A
Osservazione 4.2.10. Ab definita come sopra `e un’algebra di Boole dove lo 0 `e lo stesso
che appartiene ad A, mentre l’1 `e dato da b. Si noti che Ab non `e una sottoalgebra di A
in quanto non risulta generalmente chiusa rispetto al complementare 0.
Definizione 4.2.11 (Atomo). Un elemento b di A `e definito atomo se Ab = {0, b}.
Definizione 4.2.12 (Automorfismo). Un automorfismo di un’algebra di Boole A `e una biezione g : A → A che preserva le tre operazioni di ∧, ∨,0.
Osservazione 4.2.13. Se un gruppo G agisce su un insieme X, allora ogni g ∈ G induce un automorfismo sull’algebra di Boole ℘(X) dato da: g (A) = {g (x) : x ∈ A}.
Definizione 4.2.14 (Misura su un’algebra di Boole). Si definisce misura su un’algebra di Boole A una misura µ : A → [0, ∞] tale che µ sia finitamente additiva, cio`e µ (a ∨ b) = µ (a) + µ (b) , se a ∧ b = 0 e µ (0) = 0.
Inoltre, se G `e un gruppo di automorfismi di A, allora una misura µ su A si dice G-invariante se µ (g (b)) = µ (b) ∀b ∈ A, g ∈ G.
Definizione 4.2.15 (Sottoanello). Un sottoinsieme non vuoto C di un’algebra di Boole A `e detto sottoanello se a1∨ a2 e a1− a2 appartengono a C ∀a1, a2 ∈ C.
Si noti che una sottoalgebra `e sempre un sottoanello.
Definizione 4.2.16 (Ideale). Un ideale I di un’algebra di Boole A `e un sottoinsieme non vuoto I di A tale che:
24 4. Gruppi amenabili
1. a ∨ b ∈ I ∀a, b ∈ I;
2. a ≤ b, b ∈ I ⇒ a ∈ I ∀a, b ∈ A.
Si pu`o introdurre la nozione di ideale I anche in un sottoanello C di un’algebra di Boole A, dove valgono:
1. a ∨ b ∈ I ∀a, b ∈ I;
2. a ≤ b, b ∈ I ⇒ a ∈ I ∀a, b ∈ C.
Osservazione 4.2.17. • Se I `e un ideale in A e C `e un sottoanello di A, allora I ∩ C `e un ideale in C.
• Se µ `e una misura su un’algebra di Boole, la collezione degli insiemi di µ-misura nulla `e un ideale.
Definizione 4.2.18 (Algebra quoziente). Se I `e un ideale in A, un’algebra quoziente `e definita usando la seguente relazione d’equivalenza:
a1 ∼ a2 ⇔ a14a2 ∈ I
Sia A/I la collezione delle classi d’equivalenza, con le operazioni di Boole ovvie. Osservazione 4.2.19. A/I `e un’algebra di Boole.
Teorema 4.2.20 (Estensione della misura). Sia A0 un sottoanello di un’algebra di Boole
A, e sia µ una misura su A0. Allora esiste ¯µ misura su A che estende µ.
Dimostrazione. Innanzitutto si mostra tale teorema con l’assunzione aggiuntiva che A `e finita, procedendo per induzione sul numero di atomi di A.
• Passo base: Se A ha un atomo, allora A = {0}, e l’asserzione `e banale.
• Passo d’induzione: In generale, scelto un elemento minimale b (rispetto a ≤) di A0 \ {0} (se A0 consiste solo di 0, semplicemente ¯µ sar`a identicamente 0). Sia
c = b0 e si consideri l’algebra relativizzata Ac con associato il sottoanello A0∩ Ac
e la misura µ|A0∩Ac.
Sia a0 un atomo di A tale che a0 ≤ b. Allora a0 ∈ A/ c, quindi Ac ha meno atomi di
A e l’ipotesi induttiva pu`o essere utilizzata per ottenere una misura ν su Ac che
estende µ|A0∩Ac. Ora, si definisce ¯µ su A prima definendola su tutti gli atomi di
A, e poi estendendola a tutto A in questo modo: ¯
µ (e) =X{µ (a) : a ≤ e, a atomo} ¯
µ sar`a poi automaticamente finitamente additiva su A. Sia a un qualsiasi atomo di A e si definisca:
4.2 Algebra di Boole e Teorema di Estensione dell’invarianza 25
– ¯µ (a) = ν (a), se a ≤ c; – ¯µ (a) = µ (b), se a = a0;
– ¯µ (a) = 0, se a ≤ b, ma a 6= a0.
Si noti che ¯µ si comporta come ν su tutto Ac; rimane da mostrare che si comporta
come µ su A0. Si osservi che per la minimalit`a di b, se d ∈ A0, allora si presentano
due possibilit`a:
– o d ∧ b = 0, cio`e, d ≤ c, quindi ¯µ (d) = ν (d) = µ (d); – o d ≥ b, in tal caso allora d = b ∨ (d − b) e
¯
µ (d) = ¯µ (b) + ¯µ (d − b) = µ (b) + ν (d − b) = µ (b) + µ (d − b) = µ (d)
Il risultato sar`a esteso alle algebre di Boole infinite con la tecnica della compattezza applicata allo spazio prodotto, [0, ∞]A. Per ogni sottoalgebra finita, C, di A, sia
M (C) =nν ∈ [0, ∞]A: ν|C `e una misura che estende µ|C∩A0
o
Si verifica che ogni M (C) `e chiuso e, come mostrato, non vuoto. Inoltre un numero finito di sottoalgebre finite di A genera una sottoalgebra finita di A; da ci`o segue che l’intersezione di tutti gli M (C) ha la propriet`a di intersezione finita. Per la compattezza, allora, l’intersezione di tutti gli M (C) su tutte le sottoalgebre finite C `e non vuota, e ogni elemento di questa intersezione soddisfa la conclusione del teorema.
Teorema 4.2.21 (Estensione dell’invarianza). Se nel teorema di Estensione della misu-ra, G `e un gruppo amenabile di automorfismi di A, e A0 e µ sono G-invarianti, allora
¯
µ pu`o essere scelto G-invariante.
Dimostrazione. Si usi il teorema di Estensione della misura per ottenere una misura ν su A che estende µ. Sia ϑ una misura sul gruppo amenabile G. Se b ∈ A, si definisce
fb : G → R tale che fb(g) = ν g−1(b)
Allora si considera ¯µ nel seguente modo:
• ¯µ (b) =R fbdϑ, se fb ∈ B (G), cio`e se fb `e limitata;
• ¯µ (b) = ∞, se fb `e illimitata.
26 4. Gruppi amenabili
Tale teorema pu`o essere applicato per estendere la misura di Lebesgue ad una misura finitamente additiva, invariante, definita su tutti i sottoinsiemi di R1 o R2.
Corollario 4.2.22. Se G `e un gruppo amenabile di isometrie di Rn (o di Sn), allora
esiste una misura finitamente additiva, G-invariante, estensione di λ misura di Lebesgue a tutti i sottoinsiemi di Rn (o Sn). In particolare, la misura di Lebesgue su S1, R1 o R2 ha un’estensione invariante per isometrie, finitamente additiva, a tutti gli insiemi.
4.3
Caratterizzazione dell’amenabilit`
a
Nella seguente sezione saranno caratterizzati i gruppi amenabili mediati vari teoremi. Teorema 4.3.1. Sia G un gruppo, sono equivalenti:
1. G `e amenabile;
2. vale la Propriet`a di Estensione di Hahn-Banach, cio`e, se valgono: i. G un gruppo di operatori lineari su uno spazio vettoriale reale V ;
ii. F un funzionale lineare G-invariante su V0, un sottospazio di V G-invariante;
iii. F (v) ≤ p (v) ∀v ∈ V0, dove p `e una qualche funzione a valori reali su V tale
che
• p (v1+ v2) ≤ p (v1) + p (v2) , per v1, v2 ∈ V,
• p (αv) = αp (v) per α ≥ 0, v ∈ V, • p (g (v)) ≤ p (v) per g ∈ G, v ∈ V.
Allora c’`e un funzionale lineare G-invariante ¯F che estende F ed `e dominato da p. Dimostrazione. 1. ⇒ 2.) Il teorema di Hahn-Banach standard garantisce l’esistenza di un funzionale lineare F0 su V che estende F ed `e dominato da p. Allora, per ogni v ∈ V ,
si definisce fv : G → R come fv(h) = F0(h−1(v)).
Poich`e F0(h−1(v)) ≤ p (h−1(v)) ≤ p (v) , fv `e limitata da p (v). Quindi, scegliendo una
misura µ su G, `e possibile definire ¯ F (v) =
Z fvdµ
Allora ¯F (v) ≤ p (v) e ¯F `e un funzionale lineare su V . Infine ¯F estende F , e poich`e fg(v) =g (fv), la G-invarianza di ¯F segue da quella di µ.
2. ⇒ 1.) Sia V = B (G) e sia V0 il sottospazio delle funzioni costanti. L’azione di g
su B (G) data da f 7→g f `e lineare, e V0 `e G-invariante. Ponendo
4.3 Caratterizzazione dell’amenabilit`a 27
le ipotesi del teorema sono soddisfatte. Quindi c’`e un funzionale lineare invariante a sinistra ¯F su B (G) con ¯F (χG) = 1.
Poich`e p (−f ) ≤ 0 ∀f , vale: ¯
F (−f ) ≤ p (−f ) ≤ 0 e ¯F (f ) = − ¯F (−f ) ≥ 0
che dimostra che ¯F (f ) ≥ 0 se f (g) ≥ 0 ∀g ∈ G, cio`e che ¯F `e una media invariante a sinistra.
Teorema 4.3.2. Sia G un gruppo, sono equivalenti: 1. G `e amenabile;
2. vale la Condizione di Fφlner, cio`e, per ogni W sottoinsieme finito di G e per ogni ε > 0, vi `e un altro sottoinsieme finito W∗ di G tale che
∀g ∈ W, |gW
∗4W∗|
|W∗| ≤ ε
con 4 definito come in 4.2.5.
Dimostrazione. 1. ⇒ 2.) In tale dimostrazione si considereranno solo i gruppi abeliani. Posto W = {g1, . . . , gm}, la dimostrazione avverr`a per induzione su m:
• Passo base: Se m = 1, sia W∗ =1, g
1, g21, . . . , g r−1
1 , dove r `e l’ordine di g1, o se
g1 non ha ordine finito, ogni intero tale che 2r ≤ ε.
• Passo d’induzione: Sia V = {g1, . . . , gm−1} e sia H il sottogruppo di G generato
da V . Si possono studiare i seguenti casi:
– Se nessuna potenza positiva di gm si trova in H, si sceglie r tale che 2r ≤ ε
e si ottiene V∗ ⊆ H dalle ipotesi d’induzione su V e ε
r. Allora, sia W ∗ =
V∗ ∪ gmV∗ ∪ . . . ∪ gm−1r−1V
∗. Dalle ipotesi su g
m si ottiene che gli insiemi di
questa unione sono disgiunti a due a due, cos`ı |W∗| = r |V∗|, ed `e facile vedere
che W∗ `e come desiderato rispetto a W ed ε. – Se gr
m ∈ H per qualche r ≥ 1, con grm uguale ad una parola di lunghezza s in
g1±1, . . . , gm−1±1 , si usano le ipotesi d’induzione per scegliere V∗ rispetto a V e
ε
rs. Sia W
∗ = V∗∪ g
mV∗∪ . . . ∪ gmr−1V
∗; poich`e V∗ funziona per V ∪ {gr m} ,εr,
segue che W∗ funziona per W, ε.
2. ⇒ 1.) Per ogni W ⊆ G finito ed ε > 0, sia MW,ε l’insieme delle funzioni finitamente
additive µ : ℘(G) → [0, 1] tali che: • µ (G) = 1,
28 4. Gruppi amenabili
• ∀g ∈ W, A ⊆ G, |µ (A) − µ (gA)| ≤ ε. Allora MW,ε `e un sottoinsieme chiuso di [0, 1]
℘(G)
. MW,ε risulta non vuoto: si definisce
µ (A) = |A ∩ W
∗|
|W∗|
dove W∗`e come enunciato nella Condizione di Fφlner, quindi µ ∈ MW,ε. Si pu`o giungere
al risultato richiesto grazie alla compattezza di [0, 1]℘(G). Teorema 4.3.3. Sia G un gruppo, sono equivalenti:
1. esiste una media invariante a sinistra su G;
2. vale la Condizione di Dixmier, che afferma che se f1, . . . , fn∈ B (G) e g1, . . . , gn∈
G, allora, per qualche h ∈ G, vale X
fi(h) − fi gi−1h ≤ 0
Dimostrazione. 1. ⇒ 2.) Se F `e una media invariante a sinistra su B (G), allora
F Xfi−gifi
= 0
e quindi, per qualche h ∈ G, fi(h) − (gifi) (h) ≤ 0.
2. ⇒ 1.) Sia V0 il sottospazio di B (G) generato dalle funzioni costanti e da tutte le
funzioni della forma f −g f , dove f ∈ B (G) e g ∈ G. Un elemento di V0 `e della forma
f −gf + αχG per qualche α reale, che risulta unico per l’ipotesi che ogni f −gf assume
un valore non positivo; quindi `e possibile definire un funzionale lineare su V0 nel seguente
modo:
F (f −gf + αχG) = α
Si desidera mostrare che F (v) ≤ sup v per ogni v ∈ V0. Se v = f −g f + αχG, allora
poich`e − (f −gf ) = −f −g(−f ) assume un valore non positivo, v = αχG− (− (f −gf )),
assume un valore non pi`u piccolo di α = F (v). Ponendo p (v) = sup v per v ∈ B (G), `e possibile applicare il teorema di Hahn-Banach standard per ottenere un funzionale lineare ¯F su B (G) che estende F ed `e dominato da p. La definizione di F garantisce che ¯F `e invariante a sinistra e normalizza χG. Infine, se f (h) ≥ 0 ∀h ∈ G, allora
¯
F (f ) = − ¯F (−f ) ≥ −p (−f ) ≥ 0. Quindi ¯F `e una media invariante a sinistra su B (G).
Per formulare le seguenti definizioni, si consideri V uno spazio vettoriale sul campo K, che pu`o essere R o C, ed un sottoinsieme C ⊆ V .
4.3 Caratterizzazione dell’amenabilit`a 29
Definizione 4.3.4 (Insieme convesso). C si definisce insieme convesso se tx + (1 − t) y ∈ C ∀x, y ∈ C, 0 ≤ t ≤ 1
In altre parole, C contiene tutti i segmenti che congiungono i suoi punti. Definizione 4.3.5 (Insieme bilanciato). C si definisce insieme bilanciato se
λx ∈ C ∀x ∈ C, |λ| ≤ 1
Cio`e, se K = R, se x ∈ C, allora C contiene il segmento congiungente x con −x. Se K = C, se x ∈ C, allora C contiene il disco centrato nell’origine la cui frontiera comprende x.
Definizione 4.3.6 (Insieme assolutamente convesso). Sia V uno spazio vettoriale sul campo K, un sottoinsieme C ∈ V `e un insieme assolutamente convesso se `e bilanciato e convesso.
Definizione 4.3.7 (Insieme assorbente). Sia V uno spazio vettoriale sul campo K, un sottoinsieme C ⊆ V `e un insieme assorbente se ∀x ∈ V si ha che tx ∈ C per qualche t > 0.
Definizione 4.3.8 (Spazio vettoriale topologico localmente convesso). Uno spazio vetto-riale topologico che ammette una base di intorni dell’origine che sono insiemi assorbenti assolutamente convessi si dice localmente convesso.
Esempio 4.3.9 (Topologia polare). Sia (X, Y, h, i) una coppia duale, cio`e una tripla formata da due spazi vettoriali X, Y sullo stesso campo K, e da una forma bilineare h, i : X × Y → K tale che:
• ∀x ∈ X \ {0} ∃y ∈ Y t.c. hx, yi 6= 0 • ∀y ∈ Y \ {0} ∃x ∈ X t.c. hx, yi 6= 0
Un insieme A ⊆ X `e un insieme limitato in X rispetto a Y se per ogni elemento y ∈ Y l’insieme {hx, yi , x ∈ A} `e limitato in K, ossia
sup
x∈A
|hx, yi| < ∞ ∀y ∈ Y
Tale condizione `e equivalente alla richiesta che l’insieme A◦, detto insieme polare dell’in-sieme A in Y , A◦ = y ∈ Y : sup x∈A |hx, yi| ≤ 1
sia un insieme assorbente in Y , ovvero [
λ∈K
λA◦ = Y
30 4. Gruppi amenabili 1. ∀x ∈ X ∃A ∈ A t.c. x ∈ A; 2. ∀A, B ∈ A ∃C ∈ A t.c. A ∪ B ⊆ C; 3. λA ∈ A ∀A ∈ A, ∀λ ∈ K. Allora la seminorma: kykA= sup x∈A |hx, yi| A ∈ A
definisce una topologia di Hausdorff localmente convessa su Y , la topologia polare su Y generata dagli insiemi di A.
Definizione 4.3.10 (Insieme diretto). Un insieme A si dice diretto se `e definita una relazione binaria ≤ tale che:
• riflessivit`a: a ≤ a ∀a ∈ A;
• transitivit`a: a ≤ b, b ≤ c ⇒ a ≤ c ∀a, b, c ∈ A; • ∀a, b ∈ A, ∃c ∈ A t.c. a ≤ c e b ≤ c.
Definizione 4.3.11 (Rete). Sia X uno spazio topologico. Si dice rete in X una funzione φ : A → X dove A `e un insieme diretto.
Teorema 4.3.12. Sia G un gruppo, sono equivalenti: 1. G `e amenabile;
2. vale il teorema del Punto Fisso di Markov-Kakutani, che afferma che, sia K un sottoinsieme compatto convesso di uno spazio vettoriale topologico X localmente convesso, e sia G che agisce su K in modo tale che ogni trasformazione g : K → K `e continua ed affine, cio`e
g (αx + (1 − α) y) = αg (x) + (1 − α) g (y) se x, y ∈ K, 0 ≤ α ≤ 1 Allora c’`e qualche x in K che `e fissato da ogni g ∈ G.
Dimostrazione. 1. ⇒ 2.) Sia µ una misura su G e si scelga qualche x ∈ K. L’idea `e di usare µ per definire un valore di media (integrale) della funzione f : G → K definita da f (g) = g (x); questa media sar`a il punto fisso desiderato.
Sia D l’insieme diretto che contiene tutti ricoprimenti aperti finiti, π = {Ui}, di K,
ordinati per raffinamento, dove si assume che ogni Ui∩ K `e non vuoto.
Se V `e un intorno dell’origine, allora π sar`a chiamato V -fine se ogni insieme in π pu`o essere traslato per rimanere in V .
4.3 Caratterizzazione dell’amenabilit`a 31
Si definisce una rete φ : D → K come segue: dato π ∈ D, si scelgono i punti si ∈ Ui∩ K
e si pone
φ (π) =Xµ (Ei) si, dove Ei = f−1(Ui) \
[
{Ej; j < i}
Allora φ (π) `e una combinazione convessa, ossia una combinazione lineare con coefficienti non negativi e la cui somma fa 1, degli si, e quindi φ (π) ∈ K.
Lemma 4.3.13. Se V `e un intorno convesso simmetrico (V = −V ) dell’origine, π `e V /2-fine, e π0 raffina π, allora φ (π0) − φ (π) ∈ V .
Dimostrazione. Si consideri solo il caso semplice in cui π contiene un singolo insieme aperto U , con punto designato s. Sia π0 = {U10} con punti selezionati si ∈ U10; allora
φ (π) = s e φ (π0) =Xαisi
dove la somma dei valori reali αi `e pari ad 1.
Per qualche t ∈ X, K ⊆ U ⊆ t + V /2, quindi per ogni si c’`e qualche vi ∈ V tale che
si = t + vi/2; inoltre vale anche s = t + v/2 per qualche v ∈ V . Per convessit`a,
X αisi = t + v0/2, con v0 ∈ V , e quindi X αisi − t = v0/2
Ma t − s = −v/2, e poich`e −v ∈ V , sommando queste equazioni, si ottiene che X
αisi
− s ∈ V
come desiderato.
Lemma 4.3.14. C’`e un unico x ∈ K tale che la rete φ converge ad x.
Dimostrazione. La compattezza di K implica che φ ha almeno un punto di accumulazione x in K. Per provare che φ → x, `e sufficiente mostrare che se U `e un qualsiasi intorno dell’origine convesso simmetrico, allora c’`e qualche π ∈ D tale che φ (π0) ∈ x + U se π0 raffina π.
A tal fine, sia π un qualsiasi ricoprimento U/4-fine in D (che esiste per compattezza), e usando il fatto che φ si accumula ad x per raffinare π se necessario, si assuma che φ (π) ∈ x + U/2. A questo punto, se π0 raffina π, allora φ (π0) − φ (π) ∈ U/2 per il lemma precedente. Poich`e φ (π) − x ∈ U/2, questo implica che φ (π0) − x ∈ U , come richiesto. Poich`e X `e uno spazio di Hausdorff, i limiti delle reti sono unici.
Lemma 4.3.15. Se ρ `e una rete su D definita nello stesso modo di φ, ma con diversi punti designati si, allora ρ converge ad x
32 4. Gruppi amenabili
Dimostrazione. Sia U un intorno dell’origine convesso simmetrico, e si scelga φ essere U/4-fine cos`ı che tutti i π0 raffinamenti di π soddisfino φ (π0) ∈ x + U/2. Si supponga che φ (π) `e definito dai punti si, mentre ρ (π0) usa ri. Poich`e π0 `e U/4-fine, ci sono punti ti
tali che ri, si ∈ ti+ U/4. Poich`e U = −U , segue che ri− si ∈ U/2, e poich`e U `e convesso,
questo implica che ρ (π0) − φ (π0) ∈ U/2. Quindi φ (π0) − x ∈ U/2, cos`ı ρ (π0) − x ∈ U . Allora ρ (π0) ∈ x + U per ogni π0 che raffina π, provando che ρ → x.
Poich`e g `e continua, la rete gφ definita da (gφ) (π) = g (φ (π)) converge a g (x). Per completare la dimostrazione basta mostrare che gφ → x; l’unicit`a del limite allora implica che x = g (x).
Si noti che ogni g ∈ G induce una mappa da D a D che preserva l’ordine, data da: g (φ) = {{y : g (y) ∈ Ui} : Ui ∈ φ}
Usando questa mappa si definisce una rete ϕ su D data da ϕ (π) = φ (g (π)); `e facile provare che se ϕ → y, allora anche φ → y.
La rete gϕ converge ad x, il limite di φ. Infatti, poich`e
(gϕ) (π) = g (ϕ (π)) = g (φ (g (π))) = gXαiri
dove ri `e qualche punto sull’i-esimo insieme del ricoprimento g (π) e αi `e la µ-misura del
sottoinsieme appropriato di G e poich`e g : X → X `e affine, vale:
gXαiri
=Xαig (ri)
Inoltre l’invarianza a sinistra di µ implica che αi `e la misura del sottoinsieme di G
derivante da φ. Poich`e g (ri) ∈ Ui, questo significa che la rete gϕ soddisfa la condizione
del lemma precedente. Quindi gϕ → x.
Ci`o implica che ϕ → g−1(x), e quindi, per l’osservazione precedente, si ha: φ → g−1(x). Perci`o gφ → x, come desiderato.
2. ⇒ 1.) Si consideri B (G) come uno spazio con norma kf k = sup {|f (g)| : g ∈ G}
e sia X lo spazio duale di B (G) (tutti i funzionali lineari limitati su B (G)), con la topologia polare, esempio 4.3.9. In tal modo X `e uno spazio topologico localmente convesso. Sia K il sottospazio di X contenente tutti i funzionali F tali che
inf (f ) ≤ F (f ) ≤ sup (f ) Si noti che F ∈ K soddisfa
|F (f )| kf k ≤ 1
4.4 Amenabilit`a topologica 33
quindi K `e contenuto nella palla unitaria di X. Poich`e tale palla `e compatta e K `e chiuso, K `e un sottoinsieme compatto di X. Inoltre, K `e convesso. Ogni g ∈ G agisce su X attraverso (gF ) (f ) = F (gf ), e la trasformazione di X indotta da g `e lineare e
continua. Poich`e inf (gf ) = inf (f ) e sup (gf ) = sup (f ), ogni g mappa K in K. Quindi,
per le ipotesi, c’`e qualche F ∈ K che `e fissato da ogni g ∈ G; un tale F `e una media invariante a sinistra su B (G).
4.4
Amenabilit`
a topologica
Definizione 4.4.1 (Algebra di Borel). Sia (X, τ ) uno spazio topologico. L’algebra di Borel di X rispetto a τ `e la pi`u piccola σ-algebra F = σ (τ ) contenente la topologia τ , ossia contenente ogni sottoinsieme aperto di (X, τ ).
Gli insiemi contenuti nella σ-algebra di Borel sono detti insiemi di Borel. Una misura definita sulla σ-algebra di Borel `e detta misura di Borel.
Definizione 4.4.2 (Gruppo topologico). Un gruppo topologico G `e uno spazio topolo-gico ed un gruppo dotato di un’operazione binaria ◦ tale che le seguenti funzioni siano continue:
f : G × G → G, dove f (x, y) = x ◦ y g : G → G, dove g (x) = x−1
Esempio 4.4.3. Un importante esempio di gruppo topologico `e rappresentato dall’in-sieme delle matrici
GL (n, R) = {A ∈ Mn(R) : det (A) 6= 0}
con l’operatore di composizione delle matrice.
Definizione 4.4.4 (Gruppo topologico di Hausdorff). Un gruppo topologico G `e di Hausdorff se G, visto come spazio topologico, `e di Hausdorff.
Si pu`o estendere l’idea di amenabilit`a ai gruppi topologici, che saranno considerati in questa sezione sempre localmente compatti e di Hausdorff. Nel seguito verranno solo ac-cennate delle modifiche alle propriet`a ed ai teoremi visti finora riguardanti l’amenabilit`a dei gruppi astratti, per renderli validi anche nel contesto topologico.
Definizione 4.4.5 (Gruppo topologico amenabile). Un gruppo topologico G si dice amenabile (topologicamente) se esiste una misura µ finitamente additiva, invariante a sinistra, sui sottospazi di Borel di G tale che µ (G) = 1.
Dire che G `e amenabile come un gruppo discreto (cio`e con la topologia discre-ta, che `e localmente compatta), `e come dire che G `e amenabile nel senso descritto precedentemente: nel caso discreto, tutti gli insiemi sono di Borel.
34 4. Gruppi amenabili
Osservazione 4.4.6. Se un gruppo topologico G `e amenabile allora `e amenabile anche topologicamente.
Infatti, presa µ una misura su ℘(G), `e sufficiente restringersi agli insiemi di Borel. Non sempre vale invece il viceversa, cio`e un gruppo topologico amenabile topologicamente non per forza `e amenabile nel senso precedente.
Osservazione 4.4.7. Se G `e compatto, allora c’`e una misura di Borel numerabilmente additiva, invariante a sinistra, tale che µ (G) = 1, detta misura di Haar; quindi tutti i gruppi compatti sono topologicamente amenabili.
Esempio 4.4.8. Se G `e il gruppo dei numeri reali positivi con l’operazione di moltipli-cazione, allora la misura di Haar `e data come segue:
µ (S) = Z
S
1
tdt ∀S sottoinsieme di Borel di G
Esempio 4.4.9. Il gruppo ortogonale SO3 `e un gruppo topologico compatto, dunque
risulta essere topologicamente amenabile, sebbene sia paradossale, come mostrato nella Sezione 2 per la dimostrazione del paradosso di Banach-Tarski, dunque non amenabile nel senso descritto precedentemente, Lemma 4.1.3.
Osservazione 4.4.10. Un sottogruppo chiuso di un gruppo amenabile localmente com-patto `e amenabile.
Osservazione 4.4.11. G `e amenabile topologicamente se e solo se c’`e una media invariante a sinistra sulle funzioni limitate, misurabili secondo Borel, da G ad R.
In effetti, si pu`o dimostrare che `e sufficiente che vi sia una media sulle funzioni limitate, continue, a valori reali, da G.
Teorema 4.4.12 (Condizione di Fφlner). Se K `e un sottoinsieme compatto di G e ε > 0, allora c’`e un insieme di Borel K∗ ⊆ G con 0 < θ (K∗) < ∞ tale che
θ (gK∗4K∗)
θ (K∗) ≤ ε ∀g ∈ K
dove θ denota la misura di Haar invariante a sinistra, se e solo se G `e topologicamente amenabile.
Vi `e anche una versione topologica del teorema del Punto Fisso di Markov-Kakutani, che si ottiene semplicemente aggiungendo la condizione che la funzione da G × K a K indotte dall’azione `e continua, cio`e la mappa (g, x) → g (x) `e continua.
Proposizione 4.4.13. Se un gruppo topologico localmente compatto G ha un sottogruppo chiuso H che `e un gruppo libero di rango 2, allora G non `e amenabile topologicamente. Dimostrazione. H `e numerabile e di Hausdorff, quindi tutti i suoi sottoinsiemi sono di Borel; il paradosso standard riguardo un gruppo libero di rango 2 implica che H non `e amenabile topologicamente, e quindi, poich`e H `e chiuso, anche G non `e amenabile topologicamente.
Capitolo 5
Problema di Marczewski
5.1
Propriet`
a di Baire
Definizione 5.1.1 (Insieme magro). Sia X uno spazio topologico. Un sottoinsieme A di X si definisce magro se si pu`o definire come unione numerabile di sottoinsiemi Ai, di
X, la cui chiusura ha parte interna vuota, ossia Int A¯i = ∅.
Definizione 5.1.2 (Propriet`a di Baire). Un sottoinsieme A di uno spazio topologico X ha la propriet`a di Baire se vi `e un insieme aperto U ⊆ X tale che A4U `e magro.
La collezione degli insiemi con la Propriet`a di Baire sar`a denotata con B.
5.2
Misure di Marczewski
Il paradosso di Banach-Tarski suscit`o reazioni contrastanti e molte domande sorsero a causa della sua formulazione. Un esempio importante, che risulta ancora essere un problema aperto, `e il seguente:
Problema di Marczewski: S2 ammette scomposizioni paradossali (rispetto alle
rota-zioni) nelle quali ogni pezzo ha la Propriet`a di Baire?
Definizione 5.2.1 (B-misura). Si denota con B-misura una misura finitamente additiva, invariante rispetto al gruppo delle isometrie di Rn, su B che normalizza il cubo unitario.
L’esistenza di una B-misura su Rn implicherebbe che il cubo unitario non `e
para-dossale usando pezzi con la Propriet`a di Baire. Inoltre una B-misura su Rn induce una
B-misura su Sn−1, che implicherebbe che Sn−1 non sarebbe paradossale usando pezzi con
la Propriet`a di Baire. Cos`ı una B-misura, sia su R3 che su S2 risolverebbe il Problema
di Marczewski.