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LA KAFALAH TRA ORDINE PUBBLICO INTERNO E TUTELA DEI MINORI (ADOZIONE INTERNAZIONALE E RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE)

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(1)

S

OMMARIO

:

1.

P

REMESSA

.

2.

P

ROFILI STORICI ED EVOLUZIONE NORMATIVA

.

2.1. DIRITTO ROMANO.

2.2. ETÀ MODERNA.

2.3. NORMATIVA VIGENTE.

2.4. LA CONVENZIONE DI NEW YORK SUI DIRITTI DEL FANCIULLO. 2.5. LE ALTRE CONVENZIONI INTERNAZIONALI.

2.5.1. LA CONVENZIONE DE L‟AJA DEL 29.5.1993.

2.6. LA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI.

3.

I

L DIVIETO ISLAMICO DI ADOZIONE

:

LA KAFALAH

.

3.1. L‟ORIGINE DIVINA DEL DIVIETO.

3.2. LA KAFALAH.

3.3. DIRITTO MAROCCHINO E DIRITTO ALGERINO. 3.4. EFFETTI DELLA KAFALAH. RINVIO.

(2)

4.

K

AFALAH E ADOZIONE INTERNAZIONALE

.

4.1. LA CONVENZIONE DE L‟AJA DEL 29.5.1993. 4.2. LA CONVENZIONE DE L‟AJA DEL 19.10.1996. 4.3. IL SISTEMA ATTUALE.

4.4. RILEVANZA DELLA KAFALAH.

4.5. LA KAFALAH E L‟ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI.

5.

K

AFALAH E RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

.

5.1. LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E L‟ESEGESI COSTITUZIONALMENTE ADEGUATA.

5.2. KAFALAH E AFFIDAMENTO.

5.3. LA SENTENZA CASS. 1° MARZO 2010, N. 4868: DIBATTITO DOTTRINARIO.

6.

O

SSERVAZIONI CONCLUSIVE

7.

B

IBLIOGRAFIA

.

(3)

1. Premessa.

Il presente lavoro intende approfondire la disciplina

dell‟adozione internazionale vigente nel nostro ordinamento,

focalizzando l‟attenzione sui profili problematici concernenti la

kafalah

1

– istituto di origine islamica – e la sua compatibilità

con l‟ordine pubblico interno e il diritto italiano più in

generale.

Nell‟ambito applicativo della materia in esame occorre

porre attenzione ai rischi, molto rilevanti, circa la possibilità

che l‟interesse superiore del minore ad avere una famiglia

venga posto in secondo piano, in favore del soddisfacimento

1 Diversi autori, come i Giudici di legittimità, utilizzano il vocabolo

kafalah aggiungendovi l‟h finale. Altri autori, viceversa, omettono di apporre tale consonante, senza che, ovviamente, l‟istituto ne risulti minimamente modificato. Nel presente lavoro si userà il termine kafalah, così come è normalmente usato dalla Suprema Corte.

(4)

del mero desiderio di genitorialità (seppur degno di attenta

considerazione) con il rischio – niente affatto peregrino – di

incorrere nella creazione di una sorta di mercato di bambini.

Peraltro, già in queste considerazioni iniziali può

osservarsi che non sussistano particolari criticità relative alla

disciplina delle adozioni che hanno meritato, negli ultimi anni,

attenzione specifica da parte della dottrina e della

giurisprudenza.

Come dianzi accennato, la presente ricerca sarà

principalmente focalizzata sull‟analisi dell‟istituto della

kafalah e del suo rapporto con l‟ordinamento giuridico italiano.

Solo negli ultimi anni – anche per ragioni di ordine

culturale e di flussi migratori – è cresciuta l‟attenzione nei

confronti di tale istituto da parte degli studiosi, sulla spinta di

taluni (per la verità, molto sporadici) arresti giurisprudenziali.

(5)

1.1. Vasta eco ha avuto, negli anni novanta del secolo

scorso – anche per la visibilità delle persone coinvolte – la

tematica dell‟adozione da parte di persone singles, di recente

affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza

del 13.2.2011, n. 3572, con la quale i Giudici di legittimità

sembrano aver aperto un nuovo spiraglio alla ammissibilità di

tale adozione, ma ai sensi dell‟art. 44 della l. n. 184/83, ossia

adozione non legittimante o in casi particolari

2

.

Sul solco di tale pronuncia il Tribunale per i minorenni di

Caltanissetta, con la sentenza 18.7.2011, n. 19, ha da ultimo

riconosciuto l‟efficacia in Italia dell‟adozione di un bambino

originario dello Zambia da parte di una signora nubile.

2 La Cassazione, infatti, ha stabilito che “deve escludersi che allo stato

della legislazione vigente soggetti singoli possano ottenere, ai sensi dell‟art. 36 c. 4 della legge 184/1983, il riconoscimento in Italia dell'adozione di un minore pronunciata all‟estero con gli effetti legittimanti, anziché ai sensi e con gli effetti di cui all‟art. 44 della stessa legge 184/1983 (adozione in casi particolari)”.

(6)

Anche in questo caso i giudici sono ricorsi all‟istituto

della adozione in casi particolari, senza effetto dunque di

adozione piena.

Il Tribunale ha così applicato l‟art. 44 sottolineando che

esso prevede una deroga all‟ordinario regime che limita

l‟adozione alle coppie sposate qualora (come nel caso

affrontato) tra adottante ed adottato “si è instaurato all‟estero

un consolidato e significativo legame genitoriale da un punto di

vista affettivo, educativo, relazionale, sociale e di esclusivo

accudimento e crescita del minore da parte dell‟adulto, il quale

ultimo è venuto così a svolgere funzioni e compiti genitoriali

riconosciuti dal minore a dal contesto di vita degli stessi, oltre

che dall‟ordinamento giuridico straniero, e non si può

comunque

provvedere

in

Italia,

secondo

i

principi

dell‟ordinamento giuridico vigente nello Stato, all‟affidamento

preadottivo e all‟adozione piena e legittimante del minore

stesso da parte della istante non coniugata”.

(7)

1.2. Decisamente „in voga‟ è stato, altresì, il dibattito circa

la configurabilità, o meno, del diritto dell‟adottato di conoscere

le sue origini, con l‟orientamento giurisprudenziale prevalente

che nega l‟esistenza, nel nostro ordinamento, di un tale diritto

sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato,

assicurare al minore lo stabile e definitivo inserimento

nell‟ambito della nuova famiglia adottiva, scopo al quale è

funzionale la rescissione di ogni relazione con la famiglia di

origine ed il ripudio di qualsiasi ipotesi interpretativa che possa

anche indirettamente avallare un concetto, ritenuto altamente

pregiudizievole per l‟interesse del minore, di doppia

genitorialità; dall‟altro, poggiando su alcuni dati normativi di

fonte internazionale e, soprattutto, interna quale l‟art. 28,

comma 2, della l. 184/83 che prescrive testualmente che

“qualunque attestazione di stato civile deve essere rilasciata

senza alcun riferimento alla paternità e maternità del minore” e

vieta agli ufficiali di stato civile e dell‟anagrafe di fornire

(8)

informazioni o certificazioni da cui possa risultare il rapporto

di adozione, e l‟art. 73, che punisce penalmente chi, essendone

a conoscenza in ragione del proprio ufficio, rivela notizie atte a

rintracciare un minore adottato o, in genere, circa lo stato di

figlio legittimo per adozione

3

. Senz‟altro rilevanti gli interessi

in gioco: diritti di rango costituzionale, alla salute ovvero alla

riservatezza, che hanno implicato da parte della giurisprudenza

un notevole sforzo di bilanciamento.

1.3. Da ultimo, ha destato un certo scalpore l‟intervento

delle sezioni unite della Suprema Corte (1°.6.2010 n. 13332

4

)

che, su impulso del Procuratore generale ai sensi dell‟art. 363

c.p.c., hanno formulato un principio di diritto nell‟interesse

della legge, sancendo l‟illegittimità dei decreti di idoneità

all‟adozione che attribuiscono rilevanza ai requisiti razziali dei

3 Cfr. le interessanti considerazioni di Lamorgese, Brevi note sul

diritto dell'adottato di conoscere le proprie origini, nota a Trib. Min. Perugia 19.7.1999, in Giur. merito, 2000, 2, 319 ss.

4

(9)

minori adottandi: la Corte, accogliendo l‟istanza del

Procuratore Generale, ha chiarito che le indicazioni

discriminatorie formulate dagli adottanti devono essere

apprezzate dal Giudice di merito nel quadro della idoneità

all‟adozione, che appare all‟evidenza compromessa da una

disponibilità condizionata al possesso da parte del minore di

determinati caratteri.

L‟istanza depositata dal Procuratore Generale – su

impulso dell‟associazione “Amici dei bambini”, ente

autorizzato ex art. 39 ter l. 184/83 a curare le procedure di

adozione – muove dall‟esame di un decreto di idoneità

all‟adozione di un minore straniero emesso dal Tribunale per i

minorenni di Catania nella cui motivazione, tra l‟altro, si fa

riferimento alla dichiarazione dei coniugi istanti di non essere

disponibili ad accogliere “bambini di pelle scura o diversa da

quella tipica europea” e nel cui dispositivo si tiene conto di tale

dichiarazione e si dichiarano i coniugi “idonei all‟adozione

(10)

sino a due minori di nazionalità straniera che presenti le

caratteristiche risultanti nella motivazione”.

Le sezioni unite hanno, pertanto, enunciato il ricordato

principio di diritto nell‟interesse della legge, secondo il quale

“il decreto di idoneità all‟adozione pronunciato dal Tribunale

per i minorenni ai sensi dell‟art. 30 della legge n. 184 del 1983

e succ. modif. non può essere emesso sulla base di riferimenti

alla etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni

relative a tale etnia. Ove tali discriminazioni siano espresse

dalla coppia di richiedenti, esse vanno apprezzate dal giudice

di merito nel quadro della valutazione della idoneità degli

stessi alla adozione internazionale”.

1.4. È sembrato, piuttosto, estremamente rilevante il

dibattito sorto agli arbori del nuovo millennio sulla

qualificazione dell‟istituto islamico della kafalah, non solo

nell‟ambito della disciplina delle adozioni internazionali ma

(11)

anche – in materia di immigrazione – con riferimento al

ricongiungimento familiare.

Invero, molto si discute – e molto si discuterà – circa il

diritto di cittadinanza (pieno, nullo o affievolito) che la kafalah

può ottenere nel nostro ordinamento giuridico

5

.

5

Cfr. sul tema Galoppini, L’adozione del piccolo marocchino ovvero gli scherzi dell’eurocentrismo, nota a Trib. Min. Trento, 5.3.2002 e Trib. Min. Trento, 10.9.2002, in Dir. famiglia, I, 2004, 138; Gandolfi, Nota a Cass. n. 21395 del 4.11.2005, in Giur. it., 2007, n. 3, 615; Gelli, La kafala di diritto islamico: prospettive di riconoscimento nell’ordinamento italiano, in Famiglia e dir., 2005, n. 1, 62; Id, Ancora sulla kafala di diritto islamico: opposizione del kafil alla dichiarazione dello stato di adottabilità, in Famiglia e dir., 2006, n. 3. 248; Long, Adozione extraconvenzionale di minori provenienti da Paesi islamici, nota a Trib. Min. Trento, 5.3.2002, e Trib. Min. Trento, 10.9.2002, in Nuova giur. comm., 2003, I, 149; Id, Ordinamenti giuridici occidentali, Kafala e divieto di adozione: un’occasione per riflettere sull’adozione legittimante, in Nuova giur. comm., 2003, II, 175; Id, Il ricongiungimento familiare del minore affidato con Kafala, nota a Trib. Biella 26.4.2007, in Dir. Famiglia., 2007, n. 4, 1828; Id, La Kafala: una risorsa sociale per i bambini e per le famiglie di religione islamica in Italia?, in Minori giustizia, 2007, n. 2, 170; Vanzan e Miazzi, Kafala e protezione del minore in Italia, in Dir. imm. citt., n. 2, 2004, 75; Miazzi, Nota a Trib. Reggio Emilia, 9.2.2005, in Dir. Immigrazione e cittadinanza, n. 2, 2005, 185; Orlandi, Le adozioni internazionali in Italia: realtà e disciplina giuridica, Milano, 2006, 527; Id, La Kafala islamica e la sua riconoscibilità quale adozione, in Dir. famiglia, 2005, 635; Id, La kafalah di diritto islamico e il diritto al ricongiungimento familiare: una interessante pronuncia del Tribunale di Biella, nota a Trib. Biella 26.4.2007, in Dir. Famiglia, 2007, n. 4, 1847; Piscitelli, La situazione giuridica dei minori stranieri affidati con kafalah: prime problematiche all’esame dei nostri Giudici, in Riv. Coop. Giur. Int., 2007, n. 27, 109; Pizzolante, La

(12)

Al di là dell‟apparente “esoticità” del tema che si intende

approfondire, esso è di rilevante spessore, non solo e non tanto

per i concreti interessi implicati, quanto per le questioni

generali – talune addirittura di rango costituzionale – che

vengano a porsi allorché si sia chiamati a dipanare la

“matassa”, culturale e giuridica, rappresentata dall‟istituto de

quo.

Il cuore del problema è, infatti, costituito dalla possibilità

o meno di sussumere la kafalah sotto gli istituti tipici di

“protezione del minore” o, comunque, sotto uno dei fatti che, ai

sensi della vigente normativa, rilevano ai fini della protezione

del “nucleo familiare”.

Diciamo subito che difficilmente può pervenirsi ad una

soluzione accettabile del problema se ci si àncora a criteri

meramente formali, così adottando un canone ermeneutico del

tutto formalistico e dimenticando l‟antico ammonimento

Kafala islamica e il suo riconoscimento nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. Internaz. priv. e proc., 2007, n. 4, 947.

(13)

secondo cui “regula est quae rem quae est breviter enarrat,

non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat”

6

.

Ed ancora: “scire leges non est verba earum tenere sed

vim et potestatem”.

Non si tratta certo – sia ben chiaro – di fabbricarsi un

criterio ermeneutico di comodo sì da piegare la palese volontà

di legge ad esigenza c.d. metagiuridiche, ma, al contrario, di

rispettare la detta volontà evitando di costringerla nei limiti

imposti da un criterio meramente letterale.

Siffatte considerazioni si impongono non certo per effetto

dei pronunciamenti propri degli antichi giuristi romani, ma per

effetto del consolidato orientamento della giurisprudenza di

6 Digesto, 50, 17. Senza voler estendere il discorso a temi

metagiuridici, trovo comunque opportuno richiamare, quanto ai criteri codificati dall‟art.12 disp. prel. cod. civ., l‟insegnamento di Semerano: “la capacità dell‟atto linguistico di tradurre i vari contenuti di coscienza è legata alla polivalenza evocativa della parola che, da sola, in sé, è destinata ad arricchirsi, nel suo divenire storico, di una pluralità di valori semantici, anche se sviluppati da un‟unica realtà, dalla pertinenza di un significato originario”. Sull‟art. 12 dianzi citato si vedano Giuliani, Le prelegi. Gli articoli 1-15 del Codice civile, Torino, 1999; Quadri, Applicazione della legge in generale, in Commentario del Codice civile a cura di Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 1974

(14)

legittimità

7

così come autorevolmente avallato dal Giudice

delle leggi

8

(cfr. Cort. Cost. sent. 28/1995; n. 203/1997; n.

376/2000).

2. Profili storici ed evoluzione normativa.

L‟origine storica dell‟adozione è molto antica: risalente

già alle epoche precedenti la legislazione romana, se ne trova

traccia – in una forma grezza – sin nel codice di Hammurabi

9

.

7

Cfr, ex multis Cass. Sent. N.7472/2008: “Laddove, ove plurimi, ed antagonisti, siano i valori costituzionali di riferimento (come appunto nel caso del ricongiungimento familiare, con riguardo al quale vengono in gioco, da un lato, l‟esigenza di protezione dei minori e,dall‟altro, la tutela democratica dei confini dello Stato), potrà considerarsi “adeguata” solo quella interpretazione della norma ordinaria, che realizzi l‟equo bilanciamento di tali superiori interessi, alla luce anche della scala di valori presupposta dal Costituente”.

8

Il puntuale rilievo è di Long, Kafalah: la Cassazione fa il passo del gambero, in NGCC, 2010, 7-8, 835 ss.

9 Cfr. sul punto Thomas, L’adozione: nazionale, internazionale, in

casi particolari, ordinaria di maggiorenni, procedure ed effetti giuridici, aspetti socio-psicologici, Giuffrè, 2006, p. 251, il quale rileva che sin dall‟antichità il concetto di adozione consisteva nell‟accoglienza di una persona, in qualità di figlio, da parte di un‟altra a prescindere dall‟aspetto naturalistico di tale filiazione. Orlandi, Le adozioni, cit., 3, ricorda come

(15)

2.1 Diritto romano.

Presso i romani

10

, il termine adoptio designava, in origine,

il passaggio di un filiusfamilias (adottato) dalla potestà di un

paterfamilias alla potestà di un altro paterfamilias (adottante).

Non vi era una trasmissione diretta della potestas dal

primo paterfamilias all‟adottante, ma la liberazione dalla

patria potestas precedente – e quindi l‟uscita dell‟adottato

dalla

familia

originaria,

che

avveniva

mediante

l‟emancipazione del filiusfamilias – doveva precedere

l‟acquisto della potestas da parte dell‟adottante.

Le donne, ovviamente, non potevano effettuare l‟adoptio

non spettandogli la patria potestas.

l‟adozione fosse conosciuta “sin dai tempi biblici” (sono noti gli esempi di Giacobbe che di prese cura dei nipoti, di Mosè che fu tratto in salvo dal Nilo e cresciuto come un figlio da Batiah, infine della moglie di re David che crebbe i cinque figli della sorella) e che nella cultura indiana la prime tracce di adozione risalgono a 5.000 anni fa.

10

Sulla ricostruzione che si offre si veda E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1961, 80 ss.

(16)

L‟adottato usciva in tal modo dalla sua familia originaria

e perdeva, rispetto ad essa, ogni rapporto di agnazione: se, da

un lato, questi perdeva ogni diritto di successione nei confronti

del suo originario paterfamilias, dall‟altro lato acquistava la

posizione di filiusfamilias nella familia adottiva entrando nei

rapporti di agnazione e gentilità e, alla morte dell‟adottante,

aveva i diritti propri dei filiifamilias sull‟eredità di

quest‟ultimo.

Con la progressiva disgregazione della familia romana,

l‟adoptio perde la sua funzione originaria divenendo un mezzo

per assicurare assistenza all‟adottato e fargli acquisire i diritti

di successione.

In

epoca

giustinianea

è

abolita

la

preventiva

emancipazione dell‟adottando dalla famiglia originaria e

l‟adozione si presenta come un atto compiuto dai due

(17)

Nel VI secolo d.C. l‟effetto precipuo dell‟adozione è

ormai quello di attribuire all‟adottato la situazione giuridica di

figlio dell‟adottante, si afferma il principio adoptio naturam

imitatur, ed è quindi richiesto che l‟adottante sia di almeno

diciotto anni maggiore dell‟adottato.

Si distingue tra adoptio plena (effettuata da parte di avo

paterno o materno) e minus plena (da parte di un estraneo): in

quest‟ultimo caso l‟adozione non comporta il distacco

dell‟adottato dalla sua famiglia di origine né la perdita dei

diritti di successione nei confronti dei suoi parenti di sangue,

né la sottoposizione alla patria potestas dell‟adottante; l‟unico

effetto è l‟attribuzione all‟adottato dei diritti successori quale

heres suus nei riguardi dell‟adottante

11

.

11

Volterra, op. cit., 82, sottolinea che nelle fonti giuridiche romane non è mai menzionata l'adoptio testamentaria (ossia la dichiarazione resa in un testamento di adottare una determinata persona), anche perché tale istituto sarebbe stato in contrasto con la nozione romana di adoptio, non essendo concepibile l'acquisto della potestas da parte di un defunto. L'Autore rileva però come l'adoptio testamentaria sia ricordata da numerosi testi letterari e anche in una iscrizione bilingue latina e neopunica. L'A. Ricorda l'esempio tipico di tale adozione: quella di Ottaviano da parte di Cesare. Una siffatta

(18)

2.2. Età moderna.

Passando all‟età moderna, si è soliti individuare nel nostro

ordinamento

diverse

fasi

dell‟evoluzione

dell‟istituto

dell‟adozione in generale.

Occorre in primo luogo riferirsi alla normativa contenuta

nel codice civile del 1942, ispirata al Code Napolèon, di

derivazione romanistica, che disciplinava l‟adozione sia dei

minorenni che dei maggiorenni: era definita adozione semplice

ed aveva fini prettamente di tutela patrimoniale

12

.

adozione aveva evidentemente un intento meramente morale ed il suo principale se non unico effetto era quello di imporre all'erede la condizione di assumere il nome del de cuius adottante.

12 Cfr. Orlandi, Le adozioni, cit., 11 s., il quale si sottolinea che

“nonostante gli interessi dell‟adottato fossero tenuti in debita considerazione, questo tipo di adozione era essenzialmente finalizzato a dare degli eredi a chi ne fosse privo e a garantire che il patrimonio degli adottanti non andasse disperso. Si trattava di un modello adottivo che non era idoneo a tutelare in

(19)

Col tempo ci si è resi conto che tale modello di adozione

non era idoneo a risolvere le problematiche dei minori orfani o

abbandonati.

Pertanto, con la legge 5.6.1967, n. 431 (modifiche al

Titolo VIII del libro I del codice civile “Dell‟adozione” ed

inserimento del nuovo capo III, “Dell‟adozione speciale”),

separato il regime delle adozioni dei minori da quello tra

maggiorenni, si puntava al vero e pieno inserimento dei

bambini nella nuova famiglia

13

.

Siffatta riforma segnava un primo adeguamento alle

istanze di protezione della realtà minorile contenute nella

Convenzione de L‟Aja del 5 ottobre 1961 sulla protezione

maniera efficace il minore e le esigenze di cui era portatore”. Peraltro, questo tipo di adozione è tutt‟ora disciplinata dagli artt. 291 ss. c.c., ed è nota come adozione «civile» o adozione di persone maggiore di età. V. sul punto C. M. Bianca, Diritto Civile 2, La famiglia - le successioni, Milano, 2005, 469 ss.

13

Orlandi, Le adozioni, cit., 12, osserva –citando Manera, La legge sull’adozione nazionale ed internazionale, in Il dir. di fam. e delle pers., 1993, 313- che tale legge operato una sorta di “rivoluzione copernicana”, perché da quel momento si è iniziato a considerare prioritari gli interessi del minore rispetto a quelli dei genitori biologici o adottivi: il centro dell‟attenzione si è spostato dagli adottanti all‟adottato. V. anche Fadiga, L’adozione, Bologna, 1999, 11; Cavallo, Figli cercansi, Milano, 2005, 14.

(20)

dei minori e nella Convenzione di Strasburgo del 24 aprile

1967 sull‟adozione dei minori,

Tale legge non disciplinava ancora l‟adozione

internazionale

14

.

2.3. Normativa vigente.

La legge 4.5.1983, n. 184, “Disciplina dell‟adozione e

dell‟affidamento dei minori”, ha modificato la l. n. 431 del

1967 senza che fossero tuttavia intaccati i principi di

riferimento

15

.

14 Pertanto, le Corti di Appello procedevano alla delibazione di

qualsiasi provvedimento straniero in materia di tutela dei minori con forse eccessiva facilità (così Orlandi, Le adozioni, cit., 13, che richiama Manera, La legge sull’adozione, cit., 320).

15

Sottolinea Orlandi, op. ult. cit., che “la scelta operata dal legislatore è stata quella di realizzare un modello di adozione forte, inserendo il bambino adottato a pieno titolo nella sua nuova famiglia, affermando così una genitorialità sociale basata sull‟amore e non più esclusivamente sulla consanguineità. In effetti una delle più significative innovazioni introdotte con la riforma è stata la maggiore enfasi posta sul ruolo dei servizi sociali, chiamati proprio da questa legge ad interagire in maniera più stretta e coordinata con il Tribunale per i minorenni in ogni fase della procedura”.

(21)

La legge n. 184 del 1983 ha disciplinato le adozioni

nazionali ed internazionali per quasi vent‟anni sino a che non

ha subito modifiche, anche di non poco momento, prima dalla

l. 31.12.1998, n. 476, “Ratifica ed esecuzione della

Convenzione de L‟Aja del 29.5.1993, per la tutela dei minori e

la cooperazione in materia di adozioni internazionali”, che ha

particolarmente inciso rispetto alla disciplina delle adozioni

internazionali, e successivamente dalla l. 20.3.2001, n. 149, che

è intervenuta quasi esclusivamente sul regime delle adozioni

nazionali modificando, tra l‟altro, il titolo della l. 184 del 1983,

divenuto “diritto del minore ad una famiglia”.

La l. 31.5.1995, n. 218, sul diritto internazionale privato

nel capo V disciplina l‟adozione, con una normativa che

tuttavia non trova applicazione rispetto all‟adozione

internazionale di minori (art. 41, § 2).

Pertanto le fonti principali della disciplina delle adozioni

internazionali nel nostro ordinamento sono la Convenzione de

(22)

L‟Aja del 29.5.1993 ed il titolo III della L. 184/1983, così

come modificato dalla l. 476/1998 (che ha ratificato e dato

esecuzione alla Convenzione)

16

.

2.4. La convenzione di New York sui diritti del fanciullo.

Di sicura rilevanza è, altresì, la Convenzione sui diritti del

fanciullo, fatta a New York il 20.11.1989, adottata e aperta alla

firma dall‟Assemblea generale delle Nazioni Unite con la

risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989 ed entrata in vigore il

2 settembre 1990 ai sensi dell‟art. 49.

16 Cfr. C. M. Bianca, Diritto Civile 2, cit., 444, il quale individua i

seguenti punti basilari della disciplina dell‟adozione di minori stranieri da parte di cittadini italiani: “1) la dichiarazione di idoneità degli adottanti; 2) la intermediazione necessaria degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali; 3) la preventiva autorizzazione della Commissione all‟ingresso del minore in Italia; 4) la verifica della non contrarietà dei provvedimenti stranieri ai principi fondamentali del diritto italiano di famiglia e dei minori; 5) l‟applicazione della legge italiana al minore che si trova in Italia in situazione di abbandono”. V. anche Adozione internazionale, a cura di C. M. Bianca e Rossi Carleo, in NLCC, 2002, 175 ss.; P. Morozzo della Rocca, Adozione internazionale, in Digesto disc. priv., sez. civ. Agg,, 2000, 26 ss.

(23)

La convenzione, ratificata dall‟Italia con legge 27.5.1991,

n. 176, stabilisce in buona sostanza che il minore debba essere

considerato come soggetto di diritti fondamentali, e quindi non

solo oggetto di una speciale protezione nei rapporti giuridici

familiari ed extrafamiliari.

Di qui la conseguenza che le misure di protezione del

minore devono tener conto della titolarità dei diritti del

fanciullo, riconosciuti a livello internazionale, ed essere

complementari rispetto ad essi.

Come si avrà modo di evidenziare più innanzi, la

Convenzione di New York è utile al corretto inquadramento

dell‟istituto della kafalah, invero essa sembra trovare una sorta

di “legittimazione” internazionale nella Convenzione che, al

suo art. 20, espressamente prevede:

“Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o

definitivamente privato del suo ambito familiare oppure che

non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio

(24)

interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello

Stato. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una

protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione

nazionale. Tale protezione sostitutiva può in particolare

concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della

kafalah di diritto islamico, dell‟adozione o, in caso di

necessità, del collocamento in un adeguato istituto per

l‟infanzia. Nell‟effettuare una selezione tra queste soluzioni, si

terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità

dell‟educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica,

religiosa, culturale e linguistica”

17

.

17

Cfr. sul punto Orlandi, Le adozioni, cit., pag. 534. La Convenzione di New York afferma i diritti esclusivi del fanciullo, tra cui: il diritto alla vita ed alla salute, i diritti della personalità (nome e cittadinanza) (art. 7); i diritti di espressione e comunicazione (artt. 12, 14 e 15); i diritti sociali ed economici (artt. 26, 27). Inoltre, essa prevede, tra l‟altro, agli artt. 9 e 10 la possibilità di intrattenere rapporti personali con entrambi i genitori anche se residenti in Stati diversi; all‟art. 12 la possibilità del minore di essere ascoltato in giudizio e agli artt. 37 e 40 la tutela processuale minorile.

(25)

2.5. Le altre convenzioni internazionali.

Non sarà inutile, per un quadro completo della normativa

di riferimento, un cenno ulteriore alle convenzioni

internazionali che hanno, nel tempo, forgiato l‟istituto

dell‟adozione internazionale.

La Convenzione Europea sull‟adozione dei minori, o

Convenzione di Strasburgo, del 24.4.1967, era volta

all‟armonizzazione delle leggi interne degli Stati membri per

eliminare i problemi posti dalla diversità delle discipline

sull‟adozione.

Essa contiene “disposizioni essenziali” (parte II, artt. da 4

a 16) che sanciscono una serie di principi di base vincolanti per

gli Stati membri e che riguardano i presupposti, le procedure e

gli effetti dell‟adozione.

Tra questi, l‟art. 6 prevede che “La legislazione può

permettere l‟adozione soltanto da parte di due persone unite in

(26)

matrimonio,

che

vi

procedono

simultaneamente

o

successivamente, oppure da parte d‟un unico adottante”: sul

punto la giurisprudenza è unanime nel non riconoscere

carattere self executing a tale norma, di contro a chi

desidererebbe la possibilità di ammettere l‟adozione alle

persone singles (v. ex multis Cass. 7950/1995).

La Convenzione, mediante l‟enunciazione di tali principi

essenziali, intende indirizzare gli Stati membri i quali poi, nella

formazione della disciplina interna, restano liberi di attenersi o

meno ad essi con la facoltà di prevedere disposizioni più

favorevoli all‟adottato ai sensi dell‟art. 16.

La disciplina dell‟adozione internazionale era stata per

anni considerata lacunosa e bisognosa di un intervento

legislativo.

La selezione troppo superficiale e benevola degli aspiranti

genitori adottivi, le lentezze ed i ritardi della giustizia, la

mancanza di garanzie nel percorso adottivo effettuato all‟estero

(27)

e nel contempo la crescita incontenibile al ricorso a tale istituto

(che non era stato previsto dal legislatore del 1983),

comportava numerosi problemi, i principale dei quali era il

turpe mercato di bambini a scopo di adozione, dilagante in tutti

i Paesi più poveri, dall‟Asia al Sud America.

Per far fronte a tali lacune e carenze, è sorta a livello

internazionale la necessità di creare una disciplina uniforme

dell‟istituto, volta a salvaguardare i fondamentali diritti dei

minori ed a creare, a tal fine, un sistema di cooperazione fra

tutti gli Stati interessati da tale fenomeno, sia quelli riceventi

che quelli di origine dei minori.

2.5.1. La Convenzione de L’Aja del 29.5.1993.

Sulla base di questa fondamentale esigenza è nata la già

citata Convenzione de L‟Aja del 29.5.1993, sulla tutela dei

minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale,

(28)

che richiama espressamente la Convenzione delle Nazioni

Unite sui diritti del minore del 20 novembre 1989 e la

Dichiarazione dell‟Assemblea Generale ONU del 20

novembre 1986 sui principi sociali e giuridici applicabili alla

protezione dei minori.

Sottoscritta dai delegati di trentasette Stati membri e di

trenta Stati ospiti, essa enuncia gli essenziali obiettivi di

garantire nell‟adozione internazionale la realizzazione del

miglior interesse del bambino ed il rispetto dei suoi diritti

fondamentali, di creare un sistema di cooperazione tra gli Stati

aderenti finalizzato a tale realizzazione, di garantire il

riconoscimento in tutti gli Stati aderenti delle adozioni

realizzate

in

conformità

dei

principi

espressi

dalla

Convenzione

18

.

18 Cfr. C.M. Bianca, Diritto Civile 2, cit., 445, il quale evidenzia che, ai

sensi della Convenzione, per l‟efficacia dell‟adozione internazionale occorre “che le autorità competenti del Paese di origine: abbiano stabilito che il minore è adottabile; abbiano accertato che l‟adozione internazionale corrisponde al miglior interesse del bambino dopo avere debitamente

(29)

In questo modo, in qualsiasi parte del mondo un bambino

fosse stato dichiarato adottabile ed in qualsiasi parte del mondo

una famiglia avesse chiesto di adottare, le regole sarebbero

state le stesse, sempre che i Paesi di appartenenza dell‟uno e

dell‟altra avessero firmato e ratificato la Convenzione.

La Convenzione non è stata stipulata per favorire

l‟accesso all‟adozione internazionale, renderne più facile o

celere il percorso, ma per evitare che la carenza di garanzie

delle prassi adottate nel precedente sistema favorisse uno

squallido mercato dei bambini.

Infatti – e ciò è emerso anche da alcuni colloqui intercorsi

con operatori del settore – la scarsa formazione delle coppie

adottive era fondata sulla superficiale idea che ogni altra

vagliato la possibilità della sua sistemazione nel Paese di origine; si siano assicurate sulla libertà, gratuità e informazione dei consensi circa gli effetti dell‟adozione (in particolare: se comporti o meno la cessazione del rapporto di parentela tra il bambino e la sua famiglia di origine); si siano assicurate che il consenso della madre sia stato dato solo dopo la nascita del figlio, e che siano stati presi in considerazione i desideri e le opinioni del bambino (art. 4)”

(30)

situazione per il bambino proveniente da Paesi poveri, dell‟est

europeo principalmente, era sicuramente migliore, piuttosto

che sul concetto di residualità dell‟istituto dell‟adozione

internazionale rispetto ad altre forme di sostegno e sulle

difficoltà insite nell‟accoglienza di un minore straniero,

portatore di esperienze e cultura affatto diverse.

Altro fattore di ricorso all‟adozione internazionale era il

convincimento che tale tipo di adozione era ritenuta più

semplice di quella nazionale: il controllo effettuato nel Paese di

origine era spesso relativo e meno rigoroso di quello operato in

Italia; la scelta dei minori era più ampia e sicura; si evitavano

eccessivi iter burocratici e tempi lunghi per ottenere

l‟adozione.

La grande novità della Convenzione de qua risiede nel

fatto di essere stata progettata congiuntamente dai Paesi

riceventi e da quelli di provenienza dei minori.

(31)

Tra i suoi obiettivi principali, oltre alla rilevanza attribuita

al superiore interesse del minore – individuato nella

aspirazione allo sviluppo della sua personalità in modo

completo ed armonico all‟interno di un ambiente familiare

idoneo – ricordiamo il principio di sussidiarietà dell‟adozione

internazionale: essa dev‟essere considerata un rimedio estremo,

destinato ad intervenire solamente in una situazione di reale

abbandono non altrimenti rimediabile.

Sulla base di tale principio, ogni Stato aderente alla

Convenzione dovrà

preliminarmente

prendere

quei

provvedimenti che consentano al minore di rimanere nella sua

famiglia naturale, ovvero, se ciò risulti impossibile, di

permanere comunque nel suo Paese di origine presso un‟altra

famiglia.

Solo allorquando sarà realmente accertata l‟impossibilità

di tali sistemazioni alternative, e che l‟adozione internazionale

(32)

realizzi effettivamente e concretamente il miglior interesse

dello stesso, il bambino potrà essere adottato all‟estero.

2.6. La commissione per le adozioni internazionali.

Per dare effettiva attuazione ai principi da essa formulati,

la Convenzione ha imposto l‟obbligo per ogni Stato ratificante

della creazione di un‟apposita Autorità centrale e di un sistema

di enti pubblici e/o privati controllato da tale Autorità, ai quali

delegare il compito di coordinare, sorvegliare e realizzare il

procedimento adottivo ponendo il divieto dello svolgimento

dell‟attività di ricerca del minore sia alle coppie, sia ad

intermediari privati.

In Italia l‟Autorità centrale per l'adozione internazionale è

rappresentata

dalla

Commissione

per

le

Adozioni

Internazionali.

(33)

Questi i suoi compiti principali: - collabora con le

Autorità Centrali degli altri Stati, anche raccogliendo le

informazioni necessarie ai fini dell‟attuazione delle

convenzioni internazionali in materia di adozione; - predispone

il testo di accordi bilaterali in materia di adozione e lo propone

al Governo per la firma (a meno che non si tratti di intese

semplificate che vengono firmate dal Presidente della

Commissione con le Autorità competenti in materia di

adozione); - autorizza gli enti allo svolgimento delle procedure

di adozione in Italia e all‟estero nel campo dell‟adozione

internazionale dopo aver accertato che possiedano i requisiti

della legge richiesti, e verifica altresì che tali requisiti

permangano nel tempo; - cura la pubblicazione e la tenuta

dell‟albo degli enti autorizzati; vigila sull‟operato degli stessi e

li sottopone a controlli e verifiche che possono portare a

provvedimenti limitativi, sospensivi o anche di revoca

dell‟autorizzazione; - organizza incontri periodici con i

(34)

rappresentanti degli enti autorizzati e assicura che questi siano

omogeneamente diffusi sul territorio nazionale; - controlla

l‟andamento delle procedure adottive nelle varie fasi

garantendo che l‟adozione risponda al superiore interesse del

minore; - autorizza l‟ingresso in Italia dei minori adottati o

affidati a scopo di adozione; - conserva gli atti e le

informazioni relativi alla procedura, comprese quelle

sull‟origine del bambino, sull‟anamnesi sanitaria e sull‟identità

dei suoi genitori naturali; - cura la stesura della relazione

biennale al Parlamento sull‟andamento delle adozioni

internazionali, sullo stato di attuazione delle Convenzione de

L‟Aja e sulla stipula di eventuali accordi bilaterali con paesi

non aderenti che viene presentata dal Presidente del Consiglio

o dal Ministro delegato

19

.

19 Si veda il D.P.R. 8 giugno 2007, n. 108, Regolamento recante

riordino della Commissione per le adozioni internazionali, in http://www.commissioneadozioni.it/media/57924/revizione%20dpr%20108_ 07.pdf, che ha abrogato il precedente D.P.R. 1° dicembre 1999, n. 492, in Fam. e dir., n. 2, 2000, 105 ss., con commento di Massimo Dogliotti,

(35)

3. Il divieto islamico di adozione. La kafalah.

Appare opportuno, dopo le brevi considerazioni iniziali

sopra svolte, un breve inquadramento dell‟istituto in questione,

anche alla luce delle osservazioni effettuate dalla dottrina e

dalla giurisprudenza (queste ultime non molte, per la verità)

che si sono volte ad esaminarlo a causa o per effetto del

continuo aumentare del numero degli immigrati presenti sul

territorio nazionale e, tra questi, delle persone di fede islamica.

3.1. L’origine divina del divieto.

Nei Paesi musulmani vige un vero e proprio divieto di

adozione il quale trova il suo fondamento direttamente nel

Corano, il quale ammette solo i rapporti di filiazione naturale:

Commissione per le adozioni internazionali, enti autorizzati, e regolamento di attuazione della l. n. 476 del 1998.

(36)

“Dio non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né

ha fatto (…) dei vostri figli adottivi dei veri figli” (Sura

XXXIII).

Dunque, il divieto di adozione ha per gli islamici

un‟origine divina

20

: esso sembra avere il fine di preservare la

concezione islamica secondo cui la famiglia ha origine divina.

Ne segue che “poiché i vincoli di filiazione sono

espressione della volontà divina, l‟uomo non può

artificialmente determinarne la cessazione e costituirne di

nuovi al di fuori della generazione biologica; essendo

l‟adozione un istituto giuridico volto a costituire un rapporto di

filiazione indipendente dalla procreazione biologica, esso deve

essere vietato”

21

.

20

Cfr. Long, Ordinamenti, cit., 177, la quale sottolinea come «quasi tutti i Paesi islamici (ad eccezione di Tunisia, Turchia, Somalia e Indonesia) vietano con un‟espressa disposizione di legge l‟adozione». Si veda anche Gelli, La kafala, cit., 62; Aldeeb, Bonomi, Le droit mussulman à l’èpreuve des ordres juridiques occidentaux, Zürich, 1999.

21

Sempre Long, Ordinamenti, cit., 178, specifica che «dall‟analisi del Corano risulta, in effetti, che non si vieta espressamente l‟adozione in sé, ma soltanto quelli che nei Paesi di matrice culturale europea sono oggi

(37)

È opportuno aggiungere che, nel diritto islamico, la sola

filiazione biologica crea rapporto di filiazione, ma solo nel

caso della donna: nel caso dell‟uomo la filiazione non deve

solo essere biologica, ma deve anche collocarsi nel contesto di

un rapporto lecito: per l‟islam, il figlio nato da un rapporto

illecito non può essere considerato figlio di suo padre.

Naturalmente il divieto di cui sopra non giunge al punto di

impedire ogni forma di assistenza in favore di minori che

versino in stato di abbandono o comunque di necessità

(solitamente perché un minore possa essere affidato ai sensi

della kafalah, occorre che egli sia stato dichiarato in stato di

abbandono dal Tribunale competente): in queste eventualità

viene in soccorso, per l‟appunto, l‟istituto della kafalah.

considerati tra i suoi effetti essenziali, espressione della costituzione di un legame giuridico di filiazione tra adottante e adottando: la trasmissione del nome dall‟adottante all‟adottato (…) e la costituzione di impedimenti matrimoniali (…). L‟Islam, dunque, vieta l‟adozione intesa nel modo in ci oggi la intendono i Paesi di matrice culturale europea, cioè come strumento volto a creare un rapporto giuridico di filiazione tra un adulto e un minorenne non uniti da un legame di generazione biologica».

(38)

3.2. La kafalah.

Con essa

22

un soggetto (kafil) promette davanti a un

giudice o a un notaio di curare e mantenere – così come

provvederebbe un buon padre di famiglia – un minore (makful)

sino al raggiungimento della maggiore età (ma la kafalah è

revocabile).

Il kafil assume dunque l‟obbligo di provvedere alla cura

del minore, senza che a tale obbligo consegua alcun vincolo di

filiazione o interruzione dei rapporti correnti tra il minore e la

famiglia di origine.

Appare opportuno precisare inoltre che la kafalah può

essere “giudiziale” ovvero meramente “negoziale” e che il kafil

acquisisce la potestà genitoriale sul makful. Il minore oggetto

di kafalah non essendo considerato figlio del kafil non ne

22 Si vedano, per tale ricostruzione, Long, Ordinamenti, cit., 178,

nonché le opere richiamate in nota dall‟A., e Orlandi, Le adozioni, cit., 532. Cfr. anche Vanzan e Miazzi, cit., 78.

(39)

assume il nome, ma, nel testamento del kafil può essere

equiparato ad uno dei suoi eredi.

Le considerazioni sin qui svolte nulla dicono circa i

concreti effetti della kafalah nel nostro ordinamento anche (ma

non solo) ai fini del ricongiungimento a maggiorenni qui

residenti di minori ad essi legati non da vincoli di filiazione

biologica o di adozione, ma, per l‟appunto, da quelli che

specificamente conseguono alla kafalah.

Deve infatti tenersi presente – ai fini del riconoscimento

dell‟efficacia nel nostro ordinamento dell‟istituto de quo – che

“la kafalah pur mostrando alcune affinità sia con l‟adozione sia

con l‟affidamento sia con la tutela, non può ovviamente essere

identificata con nessuno di essi, a causa dell‟esclusione (ad

essa connaturata) del sorgere di qualsiasi rapporto di filiazione

nonché del carattere (altrettanto immanente) di continuità – ma

(40)

non di definitività – nella protezione del minore (ossia del

raggiungimento della maggiore età)”

23

.

3.3. Diritto marocchino e diritto algerino.

Può essere qui opportuno fare un breve accenno, più

specificamente, alla disciplina che la kafalah ha nel diritto

marocchino e algerino: ciò per il fatto che i casi problematici

che hanno agitato le acque dei nostri tribunali si riferiscono

prevalentemente (per non dire esclusivamente) a minori

provenienti dai paesi appena indicati

24

.

In Marocco il diritto conosceva due tipi di kafalah: una ad

opera di funzionari ministeriali ed una giudiziaria.

23

Così CLERICI, La compatibilità del diritto di famiglia mussulmano con l’ordine pubblico internazionale, in Fam. e dir., 2009, 208.

24

Riportiamo qui, in sintesi, quanto riferito nel Rapporto Colombani (cfr. http://www.adoption.gouv.fr/IMG/pdf/rapportColombani.pdf pp. 107 ss). Com‟è noto, nell‟autunno del 2007, Sarkozy ebbe ad affidare a Jean-Marie Colombani – direttore di Le Monde – uno studio sulla situazione dell‟adozione in Francia. In questo contesto devono essere collocate le considerazioni che si riportano e che risentono del particolare legame che lega la Francia alle sue ex colonie.

(41)

Il primo tipo mostrava tutti i limiti che conseguivano

all‟assenza di controllo da parte di un giudice:

conseguentemente la materia è stata novellata con legge 13

giugno 2002 (e con annesso decreto di applicazione emanato

nel giugno del 2004), sì che, in atto, la kafalah è pronunziata

dai giudici tutelari. Questi ultimi devono accertare lo stato di

abbandono del minore e, conseguentemente affidare il minore

ad un istituto (pubblico o privato) ovvero a un privato cittadino

(nel qual caso di quest‟ultimo, deve trattarsi di soggetto

maggiorenne,

musulmano

e

idoneo

ad

assicurare,

materialmente e moralmente, l‟educazione del minore stesso).

L‟idoneità dell‟affidatario è accertata da una commissione

composta da rappresentanti di diverse autorità religiose o

amministrative.

Il giudice tutelare ha il compito di monitorare con

continuità l‟andamento dell‟affidamento, controllando che il

(42)

Nel caso in cui il kafil intenda abbandonare in modo

definitivo il territorio nazionale, occorre l‟autorizzazione del

giudice tutelare e le autorità consolari marocchine del luogo di

residenza del minore sono chiamate a seguire la situazione e

controllare l‟educazione.

La kafalah cessa con il raggiungimento, da parte del

minore, della maggiore età, ovvero trattandosi di una ragazza,

permane sino al suo matrimonio.

Concludendo, nell‟ordinamento marocchino, la kafalah è

una misura provvisoria che non crea alcun vincolo di filiazione

e neppure ha effetto sul nome del minore o sui beni che egli

può ereditare. Il giudice tutelare ha l‟obbligo di vigilare in

modo permanente sull‟andamento della misura in questione.

Nell‟ordinamento dell‟Algeria l‟adozione è formalmente

proibita così come chiaramente statuito dall‟art. 46 della legge

9 giugno 1984, la quale così recita “l‟adozione (tabanni) è

proibita sia dalla sharia sia dalla legge”.

(43)

Contrariamente a quanto avviene in Marocco la kafalah

può, in Algeria, essere accordata sia da un giudice sia da un

notaio. Con decreto del 13 gennaio 1992, è stato statuito che il

makful possa cambiare nome, assumendo quello del suo tutore.

3.4. Effetti della kafalah. Rinvio.

L‟istituto della kafalah, così come sopra sinteticamente

delineato nel suo essere determinato dalla legislazione e dalla

fede islamica, pone, con riferimento agli effetti che esso può

determinare nel nostro ordinamento, soprattutto (per non dire

esclusivamente) due problemi: il primo, costituito dagli effetti

riconducibili alla kafalah ai fini dell‟adozione internazionale

(cfr. infra § 4); il secondo, rappresentato dall‟idoneità della

kafalah a consentire il ricongiungimento familiare ai sensi

dell‟art. 29, 2 comma, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (cfr. infra §

5).

(44)

Va subito detto che non poco ha pesato, in particolare

sulla giurisprudenza, la preoccupazione che l‟istituto in esame

potesse costituire – sia con riferimento all‟adozione

internazionale sia con riferimento al ricongiungimento

familiare – il “cavallo di Troia” capace di eludere la volontà di

legge.

Preoccupazione sicuramente giustificata, ma forse

eccessiva, alla luce delle considerazioni svolte, soprattutto in

dottrina, che appaiono idonee a dar vita ad un‟elaborazione

giurisprudenziale che sia, al tempo, cauta ed equa, in un‟ottica

di equo bilanciamento dei valori costituzionali seguendo il

canone

ermeneutico

della

«esegesi

costituzionalmente

adeguata» (v. infra § 5.1).

(45)

4. Kafalah e adozione internazionale.

Come è noto

25

, la normativa vigente – anche

successivamente alle modifiche apportate alla legge 4.5.1983

n.184 per effetto dell‟avvenuto recepimento della Convenzione

de L‟Aja del 1993

26

– non offre soluzioni ad alcuni problemi di

fondo, tra cui quello costituito dalla possibilità di adottare

minori provenienti da paesi islamici, stanti le profonde

differenze che a livello giuridico (oltre che, ovviamente, a

livello religioso) contraddistinguono gli istituti volti alla tutela

dei minori.

25

Cfr. Orlandi, La kafala islamica e la sua riconoscibilità quale adozione, in Dir. Famiglia, 2005, 2, 635

26

E‟ opportuno precisare che sotto l‟imperio della previgente normativa (artt. 31 e 32 legge n.184/1983) l‟efficacia nello Stato del provvedimento emesso da autorità straniera poteva essere adottato anche nel caso di “in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori”. L‟ampiezza della previsione ben ha consentito alla previgente giurisprudenza di convertire in adozioni i provvedimenti di kafalah, ciò che non è più consentito dalla normativa vigente.

(46)

Come è stato, infatti, puntualmente rilevato

27

, gli istituti di

fede islamica pur garantendo una reale tutela dei minori “sono

difficilmente „leggibili‟ alla luce dei Paesi occidentali. In

particolare i problemi si pongono quando i rispettivi istituti

devono essere „interfacciati‟, quando cioè un minore,

proveniente da un Paese islamico dove è oggetto di una

specifica tutela, viene ad essere portato in Paesi occidentali

dove non esiste quel tipo di tutela, ma ne esistono altre di

natura diversa”.

Cosa accade dunque, per venire alla concretezza dei fatti,

nel caso di un minore oggetto, nel suo Paese, di kafalah: può

questa essere inquadrata, ai fini dell‟adozione, in alcuno degli

istituti previsti dal vigente ordinamento?

4.1. Convenzione de L’Aja del 29.5.1993.

27

(47)

La nostra normativa sembra risentire del fatto che la

Convenzione de L‟Aja del 1993 non fa alcun riferimento

all‟istituto della kafalah, sì che è comune l‟opinione che detta

Convenzione non si applichi all‟istituto in esame

28

.

Ed infatti, a mente dell‟art. 2, § 2, della Convenzione,

questa trova applicazione ai soli rapporti di adozione da cui

derivi un rapporto permanente tra padre e figlio, sì che, mentre

vanno ricompresi tutti i rapporti così qualificabili (a

prescindere dal fatto che essi interrompano del tutto o solo

parzialmente il legame di filiazione naturale), non altrettanto

può dirsi dei rapporti di diversa natura.

4.2. Convenzione de L’Aja del 19.10.1996.

Appare, peraltro, opportuno un cenno alla Convenzione

de L‟Aja del 19.10.1996, avvertendo preliminarmente che essa

è stata sì firmata, ma non ratificata dall‟Italia.

28

(48)

Il Rapporto esplicativo di detta convenzione chiarisce, al

punto 237, che “il ragazzo che ne beneficia (della kafalah, ndr.)

non diviene membro della famiglia del kafil ed è questo il

motivo per cui la kafalah non è protetta dalla Convenzione

sull‟adozione del 29 maggio 1993”.

Sembrerebbe, dunque, improprio il riferimento alla

kafalah che si rinviene nella presentazione della Proposta di

legge n. 3739 recante: “Ratifica ed esecuzione della

Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile,

il riconoscimento, l‟esecuzione e la cooperazione in materia di

responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori,

conclusa a L‟Aja il 19 ottobre 1996”: ciò perché sembrerebbe,

a parere di alcuni, doversi ritenere che la Convenzione del

1996 concerna lo stesso ambito della Convenzione del 1993

29

.

29 Nel senso, invece, che la Convenzione de L‟Aja del 1996

consentirebbe di considerare la kafalah come presupposto per l‟adozione, cfr. Long, Ordinamenti giuridici occidentali, kafala e divieto di adozione: un’occasione per riflettere sull’adozione legittimante, in NGCC, 2003, 175 ss.

(49)

Il ritardo, che qui si rileva, nella ratifica, è ben presente

alla politica (cfr., tra i tanti, gli interventi riportati nell‟articolo

“Vincolo religioso all‟ingresso di minori in affido „kafala‟”,

comparso su Il Sole24Ore del 4 ottobre 2010).

Ciò nondimeno, le proposte di legge pendenti giacciono,

per dir così, inevase.

Giace la proposta di legge n. 3739, di iniziativa del

deputato Valente (presentata il 25 novembre 2010), recante

“Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente le

competenze,

la

legge

applicabile,

il

riconoscimento,

l‟esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità

genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa a

L‟Aja il 19 ottobre 1996”.

Giace, del pari, la proposta di legge n. 3858 (presentata il

15 novembre 2010) di iniziativa dei deputati Di Biagio,

Barbieri, Calabria, Lamorte, Orlando, Rosato, Rubinato,

Touadi, Zacchera, recante identico oggetto.

(50)

Giace, infine, la proposta di legge del deputato Di

Stanislao (presentata il 25 novembre 2010) anch‟essa avente ad

oggetto la ratifica della convenzione de qua.

Il ritardo “politico” non è certo privo di effetti quanto

all‟eliminazione degli inconvenienti che conseguono

all‟impossibilità di declinare, secondo moduli sovrapponibili,

adozione e kafalah.

E‟ opportuno riportare quanto affermato nel preambolo

alla proposta di legge 3858 (ma analoghe considerazioni

vengono svolte nei preamboli che introducono le altre proposte

di legge):

“E‟ importante infine considerare che tra i vari

provvedimenti che ricadono nell‟ambito di applicazione della

Convenzione, sono inclusi quelli della kafalah, unico istituto in

grado di consentire l‟accoglienza in famiglia dei minori il cui

Paese di origine non conosce l‟adozione, come avviene in

(51)

alcuni paesi islamici tra cui il Marocco, nei cui orfanatrofi e

istituti vivono circa 65.000 minori abbandonati.

L‟istituto della kafalah, rientrando tra quelli indicati

dalla Convenzione ONU del 1989, sarà anch‟esso riconosciuto

per effetto della ratifica della Convenzione del 1996 e potrà

finalmente essere regolamentato.

Attraverso il monitoraggio dell‟autorità centrale sarà,

infatti, possibile affrontare caso per caso le delicate questioni

di compatibilità tra il sistema giuridico italiano e quello

islamico, e distinguere tra i vari provvedimenti di kafalah

(giudiziale o notarile, intrafamiliare o extrafamiliare, kafalah

su minori che hanno legami con la famiglia di origine od orfani

di entrambi i genitori e quindi abbandonati). Queste distinzioni

permetteranno l‟approvazione da parte dell‟autorità centrale

italiana dei soli provvedimenti che non si manifestino contrari

alle norme nazionali in materia di protezione dell‟infanzia e,

più in generale, alle regole dell‟ordine pubblico nazionale. Per

(52)

questa via sarà possibile provvedere al riconoscimento e alla

regolamentazione dei differenti provvedimenti per renderli

compatibili con quelli previsti nell‟ordinamento interno, al fine

di proteggere i minori conformemente al loro superiore

interesse”

30

.

30

Le proposte di legge indicate nel testo sono all‟esame della commissione competente (III Commissione permanente, Affari esteri e comunitari). L‟ultima seduta si è tenuta il 13 luglio 2011 (per l‟intero resoconto della stessa si veda

http://www.camera.it/453?bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201107/0713/html/03#52n2). Il relatore, On. Tempestini, ha ricordato che il sottosegretario Alberti Casellati aveva prospettato l'imminente presentazione del disegno di legge per la ratifica della Convenzione. Malgrado tale annuncio, in considerazione del ritardo già maturato dall'Italia, l'Ufficio di presidenza della Commissione ha valutato, in via cautelativa, l'opportunità di calendarizzare le proposte di legge di ratifica al fine di avviare un iter di esame parlamentare. Auspicando che possa al più presto essere abbinato il preannunciato disegno di legge, il relatore ha illustrato il provvedimento segnalando che la Convenzione in esame, adottata il 19 ottobre 1996, al termine della XVIII Sessione della Conferenza de L'Aja di diritto internazionale, è finalizzata alla revisione della precedente Convenzione del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e la legge applicabile nel campo della protezione dei minori. Al riguardo, ha ricordato che la nuova Convenzione, entrata in vigore sul piano internazionale il 1° gennaio 2002 e sottoscritta dal nostro Paese nel maggio 2003, trae origine dall'esigenza di porre rimedio ad alcune aporie emerse nel funzionamento della Convenzione del 1961, soprattutto a seguito dell'entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989. Il relatore ha altresì evidenziato che con la Convenzione di New York si è operato un vero e proprio révirement nella normativa internazionale in materia di infanzia, poiché sono stati introdotti alcuni importanti princìpi volti a garantire ai minori e ai loro diritti una collocazione privilegiata all'interno di ciascun sistema giuridico e sociale. Fra questi merita menzione il principio della centralità della famiglia per un

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