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According to the latest UN Global Report on Trafficking in Persons, many states have reported an increase in the victims of this phenomenon, due, on the one hand, to the improvement of detection procedures and, on the other, to a greater incidence of the phenomenon itself. Women and girls are the most vulnerable, while minors account for about 30% of registered victims. The most widespread form of trafficking is for the purpose of sexual exploitation, followed by trafficking for the purpose of labour exploitation. There is also an increased risk in the context of migration. The need to implement systems of social protection and child protection emerges strongly, both in order to prevent, then to understand and manage with increasing effectiveness the cases of trafficking and exploitation of children, by answering their specific needs.

Keywords: migrant children, trafficking, exploitation, human rights, education

Secondo l’ultimo Rapporto globale dell’Onu sulla tratta di esseri umani, molti Stati hanno riportato un incremento delle vittime di questo fenomeno, dovuto, da una parte, al miglioramento delle procedure di individuazione, dall’altra, a una maggiore incidenza del fenomeno stesso. Le donne e le ragazze sono le più vulnerabili, mentre i minori rappresentano il 30% circa delle vittime registrate. La tratta a fini di sfruttamento sessuale è la forma più diffusa, seguita dalla tratta a scopo di sfruttamento del lavoro. Si rileva altresì un accresciuto rischio nel contesto della migrazione. È quanto mai necessario implementare i sistemi di protezione sociale e di tutela dell’infanzia, sia per prevenire sia per comprendere e gestire con sempre maggiore efficacia i casi di tratta e sfruttamento dei minori, rispondendo ai loro specifici bisogni.

Parole chiave: minori migranti, tratta, sfruttamento, diritti umani, educazione

I minori migranti e il fenomeno della tratta

Migrant children and the phenomenon of trafficking

Fabrizio Pizzi

Assistant Professor of Education | Department of Human, Social and Health Sciences | Uni-versity of Cassino and Southern Lazio (Italy) | f.pizzi@unicas.it

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1. Le stime ufficiali di un fenomeno “sommerso”

Nella lingua inglese si suole distinguere tra le espressioni trafficking e

smuggling of human beings (Aronowitz, 2001). Entrambi i fenomeni sono

una forma organizzata di immigrazione irregolare, ma con delle differen-ze. “Trafficare” (trafficking) gli esseri uma ni è un’attività criminale a sco-po di sfruttamento delle persone, consta di un fase di reclutamento e di ingresso irregolare nei Paesi di destinazione, e successivamente di inseri-mento nei canali dell’illegalità, come il lavoro nero, forzato (l’elemosina, per esempio), il business della prostituzione, a volte persino il commercio di organi umani; la perso na trafficata è legata ai trafficanti dalla coerci-zione e da un debito che deve es sere pagato tramite lo sfruttamento a lun-go termine. Invece, “contrabbandare” (smuggling) le persone consiste nel tra sporto illegale di esseri umani da un Paese di origine ad uno di arrivo; la relazione tra i contrabbandieri e i migranti può anche terminare, una volta arrivati a de stinazione.

L’Onu ha dato ufficialmente una definizione di questi due fenomeni, nei due Protocolli che completano la Convenzione contro il crimine or-ganizzato: il Protocollo per prevenire, sopprimere e punire il traffico di

per-sone, specialmente di donne e bam bini ed il Protocollo contro il contrabban-do di immigrati via terra, mare ed aria, stipulati a Palermo nel dicembre

2000.

Se in tali documenti ci si sofferma soprattutto sulla repressione del cri-mine, è con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (2005) che il focus si sposta verso l’assistenza e la protezione nei confronti della vittima e il rispetto dei suoi diritti fonda-mentali, con una particolare sensibilità al genere e all’età1.

1 A livello europeo, tra gli strumenti normativi, è possibile altresì menzionare: la Car-ta dei diritti fondamenCar-tali dell’Unione europea del 2000 che vieCar-ta espliciCar-tamente la tratta di esseri umani; la Direttiva 2004/81/CE riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le auto-rità competenti; la Direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressio-ne della tratta di esseri umani e la proteziorepressio-ne delle vittime; la Direttiva 2011/92/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornogra-fia minorile; la Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di di-ritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

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Il fenomeno della tratta e dello sfruttamento di esseri umani, compre-si i minori, è molto complesso e risulta difficile restituirne la reale portata per molteplici ragioni. Innanzitutto esso appare in gran parte sommerso. I dati ufficiali mostrano soltanto la punta dell’iceberg di una realtà che è molto più ampia. Inoltre, l’analisi del fenomeno presenta un’ulteriore difficoltà dovuta alla pluralità di fonti analitiche sul tema, facenti capo ai due volti della tratta, quelli della vittima e dell’autore del reato, che “mol-to raramente finiscono per coincidere. Ciò in virtù dell’assenza di un si-stema integrato e coerente in grado di assorbirle e rielaborarle congiun-tamente” (Save the Children, 2019, p. 7).

A livello internazionale, in base all’ultimo Rapporto globale sulla tratta

di esseri umani pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la

Dro-ga e il Crimine, i cui dati riguardano il triennio 2014-2016, emerge un progressivo incremento del numero delle vittime di tratta rilevate a livello mondiale, con numeri del 40% superiori a quelli del 2011. Tale aumento potrebbe corrispondere a una crescita effettiva del fenomeno ma anche rappresentare una maggiore capacità degli Stati di riconoscere e identifi-care le vittime di tratta, che risultano essere in larghissima misura donne. Se si considerano i minori, essi costituiscono il 30% del totale, con netta prevalenza delle bambine rispetto ai bambini. Lo sfruttamento sessuale riguarda il 59% delle vittime identificate, mentre il 34% è oggetto di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. Rispetto a tale dato, va sottoli-neata la differenza di genere: nel caso delle donne, l’83% delle vittime è trafficata a scopo di sfruttamento sessuale; nel caso degli uomini è netta-mente prevalente lo scopo di sfruttamento lavorativo. Altro aspetto da te-nere in considerazione è la zona geografica di rilevazione. La tratta a sco-po di sfruttamento sessuale è quantitativamente più rilevante in Europa e nelle Americhe, mentre in Africa e in Medio Oriente prevale lo sfrutta-mento lavorativo (Unodc, 2018, pp. 21-29).

Per quanto riguarda il continente europeo, è possibile fare riferimento alla Seconda relazione sui progressi compiuti nella lotta alla tratta di esseri

umani redatta dalla Commissione Europea (2018). Dal documento

emerge che nel periodo 2015-2016 oltre 20mila persone fra uomini, donne e bambini sono state registrate come vittime della tratta nell’Ue. Le donne e le ragazze continuano ad essere le più vulnerabili (68%), mentre i minori rappresentano il 23% delle vittime registrate. La Rela-zione evidenzia anche l’utilizzo di internet e dei social media per reclutare le vittime e l’accresciuto rischio di tratta nel contesto della migrazione.

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A livello nazionale, secondo i dati del Dipartimento per le Pari Op-portunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri2, nel 2018 il nume-ro di vittime minori d’età presenti in pnume-rogrammi di pnume-rotezione è stato di 221, di cui 210 ragazze e 11 ragazzi. Il dato sembra mostrare un aumento del numero di vittime minorenni nel corso dell’ultimo triennio, essendo state 111 nel 2016 e 200 nel 2017, mentre se si considerano le sole nuove prese in carico, la situazione risulta inversa (Save the Children, 2019, pp. 7-8).

2. Le varie forme dello sfruttamento

La tratta dei minori riguarda bambine/i e ragazze/i solitamente prove-nienti dalle aree più povere del mondo. Essi sono venduti, a volte anche consapevolmente dalle proprie famiglie, a trafficanti senza scrupoli che poi li collocano “nelle strade delle più popolose metropoli occidentali, sfruttati dai propri ‘padroni’ e perseguiti spesso dalle polizie e dai tribu-nali locali per vagabondaggio” (Salimbeni, 2011, p. 58).

La prostituzione risulta essere la forma più comune di sfruttamento di minori, soprattutto di genere femminile, ma anche maschile; essa può av-venire in strada e in luoghi al chiuso (appartamenti, alberghi, all’interno di locali). In Italia, la prostituzione minorile straniera riguarda ragazze

che giungono principalmente dalla Nigeria3, dai Balcani e dai Paesi

del-l’Europa dell’Est (Save the Children, 2019, p. 17). Le minori sono spo-state continuamente all’interno della stessa città o in altre aree geografi-che e obbligate dai propri sfruttatori a dichiarare sempre la maggiore età.

Nel nostro continente l’in dustria del sesso sta crescendo soprattutto attraverso attività illegali, se non propriamente criminali, gestite dalla malavita organizzata e dalle mafie (Europol, 2018). Sono coinvolte cen-tinaia di migliaia di donne ogni anno, operanti principalmente in Italia,

2 Il Dipartimento per le Pari Opportunità è il soggetto deputato, in Italia, a coordi-nare, monitorare e valutare gli esiti delle politiche di prevenzione, contrasto e pro-tezione sociale delle vittime di tratta.

3 Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (2017, pp. 8-11), le donne e le ragazze minorenni non accompagnate di nazionalità nigeriana sono tra i soggetti più a rischio. Le ragazze coinvolte sono sempre più gio-vani e diventano oggetto di violenza e di abusi già durante il viaggio verso l’Europa.

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Grecia, Belgio ed Inghilterra. Una realtà in espansione, per quanto anco-ra limitata, è anco-rappresentata dalla prostituzione minorile stanco-ranieanco-ra maschi-le rivolta a uomini, esercitata da adomaschi-lescenti o neomaggiorenni che pro-vengono soprattutto dall’Europa dell’est e dal Maghreb (Bufo, 2005, pp. 160-165). Tali fenomeni sono ancora sostanzial mente inesplorati, anche per via delle oggettive difficoltà a rilevarli, giacché riguardano fasce della popolazione straniera che oscillano frequentemente da una condizione di regolarità ad una di irregolarità.

Lo sfruttamento lavorativo rappresenta la seconda forma di cui cado-no vittima i micado-nori migranti, soprattutto i micado-nori stranieri cado-non accom-pagnati. Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale del La-voro (2017, pp. 8-13), nel mondo sono più di 150 milioni i bambini “in-trappolati” in impieghi che mettono a rischio la loro salute mentale e fi-sica e li condannano ad una vita senza istruzione né svago. Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, in quanto sottoprodotto della povertà stessa, tuttavia non man-cano casi di bambini lavoratori anche nelle aree marginali del Nord del

mondo4. In Italia, secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (2018, p.

11), nel 2018 sono stati registrati 263 illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani sia stranieri, e il 76% delle violazioni riguarda il settore terziario.

Di non facile quantificazione è il fenomeno dei mi nori stranieri sfrut-tati nelle attività illegali, come spaccio di stupefacenti, borseggi, furti in appartamento in cui sono coinvolti soprattutto nomadi, est-europei, nordafricani e sudamericani. Difficile da quantificare è anche l’attività di accattonaggio, che riguarda in prevalenza lo sfruttamento di minori ru-meni, marocchini e dei Paesi balcanici. Tale attività è spesso mascherata da commercio ambulante e non è sempre agevole distinguere le due mo-dalità.

4 Tra le organizzazioni più impegnate nel combattere la piaga del lavoro minorile vi è l’Unicef, la quale ha assunto a riguardo una posizione che tiene conto della natura complessa del fenomeno e delle condizioni concrete in cui versa l’infanzia sfruttata. In particolare, l’organismo delle Nazioni Unite ritiene che si possa fare una distin-zione tra il cosiddetto child labour (sfruttamento economico in condizioni nocive per il benessere psico-fisico del bambino) e il children’s work, una forma di attività economica più leggera e tale da non pregiudicare l’istruzione e la salute del minore (https://www.unicef.it/doc/367/lavoro-minorile-cosa-dice-unicef.htm).

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Sull’interpretazione di questo coin volgimento ci sono pareri di-scordanti: chi lo considera un normale rapporto di lavoro senza le-gami di sfruttamento poiché inserito nella tradizione che pre vede il contributo del minore al sostegno della famiglia; chi la considera una forma di sfruttamento, ma non consapevole (in quanto inter-pretata sulla base di parametri culturali diversi) e comunque non riconducibile a situazioni para-schiavistiche; chi infine la conside-ra una gconside-rave forma di sfruttamento paconside-ra-schiavistico (Bertozzi, 2005, p. 32).

In ogni caso, esiste indubbiamente la ten denza ad una trasformazione dell’ambulantato in accattonaggio, caratterizzato da maggiore coercizio-ne e forme di sfruttamento coatto.

L’attuale emigrazione minorile dai Paesi più poveri del mondo sembra quindi legarsi in maniera netta e costante ad aspetti quali miseria e op-pressione, da cui emerge anche l’esistenza di “un vero e proprio mercato organizzato da adulti che fanno incetta di bambini per un viaggio verso la schiavitù” (Salimbeni, 2011, p. 58). Le vittime vengono obbligate a vi-vere in condizioni particolarmente dure e le modalità di assoggettamento sono tali per cui risulta difficile intervenire ed aiutarle ad uscire fuori da tali condizioni: spesso sono minacciate, violen tate e percosse ogni qual volta cercano di opporsi. Altre volte, le vittime si trovano in una situazio-ne di soggeziosituazio-ne psicologica determinata da un forte stato di bisogno economico o da una marcata asimmetria socio-culturale, da rendere mol-to ardua persino una loro chiara presa di coscienza dello stamol-to di asservi-mento in cui versano. Nei casi dei minori d’età o di persone soggette a una forma di relazione interpersonale del tipo “controllato-controllore”, può accadere che gli individui in grado di esercitare un potere di tipo giu-ridico, fattuale o di controllo sul minore, come nel caso della potestà ge-nitoriale o tutoria, diano il consenso a venderlo ai trafficanti e l’e ventuale mancanza di un rifiuto da parte della persona trafficata è attribuibile “allo stato di immaturità psicologica che le impedisce di avere una rappresen-tazione realistica di quanto essa si accinga ad affrontare” (Salimbeni, 2011, p. 64).

Per definire il tipo di relazione di sfruttamento, il parametro dell’età è assolutamente rilevante, anche al fine di circoscrivere con esattezza il campo di azione della criminalità organizzata dedita a tali pratiche, di qualunque tipologia, nei confronti dei minori. A tal riguardo, gli opera-tori del settore sostengono unanimemente che non possa sussistere

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nes-suna attenuante per gli sfrut tatori, soprattutto quando i minori sono abusati sessualmente. In questo caso, si tratta sempre di prostituzione co-atta, in quanto, violandone l’integrità psicologica, fisica e culturale, si le-de l’interesse superiore le-del fanciullo (art. 3 le-della Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia del 1989).

3. Il sistema di protezione in Italia

Da un punto di vista normativo, in Italia esiste uno speciale permesso di soggiorno per proteggere coloro i quali sono sottoposti a violenza o a gra-ve sfruttamento, previsto dall’art. 18 del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 - Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero5. Con l’entra-ta in vigore del Decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 - Disposizioni ur-genti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica (convertito in Legge 1° dicembre 2018, n. 132), con cui si abo-lisce il dispositivo della protezione umanitaria, è introdotta una tipologia specifica di “casi speciali”, tra cui rientrano anche le vittime di tratta e di grave sfruttamento con permesso di protezione speciale “ex art.18”. Tale permesso è valido sia per i minori sia per i maggiori di età e la portata è piutto sto ampia: si va da vicende di sfruttamento lavorativo a casi di vio-lenza sessuale.

Per de finizione giuridica la “violenza” è tanto la coercizione fisica quanto quella psicologica, è tutto ciò che viene imposto contro la volontà del soggetto. “Sfruttamento”, per definizione, è utilizzare il corpo o la mente altrui per trarne profitto proprio (Salimbeni, 2011, pp. 71-72).

La normativa prevede inoltre che debbano emergere concreti pericoli per l’incolumità della persona, come conseguenza del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di cui si è vittima o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini o del giudizio. A volte l’incolumità a rischio è anche quella

5 Così come integrato dal D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 - Regolamento recante nor-me di attuazione del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’im-migrazione e norme sulla condizione dello straniero.

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dei propri familiari, come nei casi di persone provenienti dalla Nigeria, in

cui la madame6solitamente conosce bene la famiglia della vittima.

Il permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 (o meglio, ex art.18), du-ra sei mesi e può essere rinnovato per un anno, tdu-ranne se l’andamento del procedimento processuale richiede un tem po maggiore; può essere poi convertito per motivi di studio o di lavoro. Tale tipologia di permesso consente di accedere ai servizi assistenziali e allo studio, di iscriversi alle liste di collocamento e di svolgere attività di lavoro subordinato: ciò ren-de possibile avviare un percorso di inserimento socio-professionale.

Il programma di protezione per le vittime di tratta e/o sfruttamento prevede un percorso che va “adattato alle esigenze e ai bi sogni della per-sona, in considerazione della diversità e difficoltà del profilo psicologico della vittima” (Giovannetti, 2008, p. 188); conseguentemente, c’è da ri-levare un’articolata tipologia per l’accoglienza nei progetti ex art. 18. I percorsi di integrazione prevedono solitamente anche la formazione pro-fessionale, quella scolastica e l’avviamento al lavoro (Save the Children, 2019, pp. 45-48).

Tra le forme di accoglienza previste, vi è quella “protetta”, presso case di fuga o di primo intervento: esso rappresenta un momento molto deli-cato, di verifica della motivazione nel processo di fuoriuscita dallo sfrut-tamento. In questa fase sono necessarie diverse modalità di supporto, che comprendono l’analisi dei bi sogni, il recupero delle potenzialità indivi-duali, la rielaborazione dell’esperienza vissuta e dell’intero progetto mi-gratorio.

Per i minori e le minori può essere utilizzata la forma di accoglienza presso le famiglie, che riguarda sia il primo periodo di fuoriuscita sia pe-riodi più lunghi. E’ una prassi che sembra facilitare il percorso verso l’au-tonomia. Si tratta di famiglie che solitamente fanno parte di una rete di volontariato e quindi sono sensibi lizzate su questo tema, ma ciò non è sempre garanzia di buona riuscita.

Vi è poi l’autonomia abitativa, in una strut tura autogestita che acco-glie coloro i quali hanno terminato il progetto individuale e/o che usu-fruiscono di borse lavoro o sono in attesa di assunzione ma non ancora

6 Dette anche maman, sono le sfruttatrici che comprano le ragazze e che vivono dei loro guadagni, sottoponendole a continui ricatti ma, nello stesso tempo, a volte rap-presentano paradossalmente gli unici contatti nel Paese di arrivo cui le vittime si possono rivolgere per le proprie necessità.

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eco nomicamente indipendenti. Il passaggio a una casa auto noma è pre-visto nel momento in cui essi sono assunti.

I minori che entrano nel sistema di protezione pos sono richiedere un permesso di soggiorno che è rilasciato dal questore a seguito di un per-corso “sociale” oppure “giudiziario”. Il perper-corso sociale si attiva su richie-sta dei servizi so ciali e delle associazioni convenzionate con gli enti locali abilitate alla realizzazione di programmi di assistenza e integrazione degli stranieri vittime di violenza o sfruttamento. Sia i servizi sia le associazioni possono richiede re, al posto del minore, il permesso di soggiorno senza che l’interessato sia costretto a sporgere denuncia.

Il percorso giudiziario è invece attivato dal procuratore della Repubblica nei casi in cui la vittima sporga denuncia nei confronti degli sfrut -tatori, si dichiari disponibile a collaborare e renda dichiarazioni nel corso di un procedimento penale riguardo ai fatti di violenza o sfruttamento subiti. Tale percorso dipende quindi dal ruo lo attivo che la vittima ha de-ciso di svolgere nel procedimento penale.

Nel nostro Paese il primo Piano Nazionale d’Azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani è iniziato nel 2016. Terminato a di-cembre 2018, è stato un passo importante nel contrastare e prevenire il crimine della tratta e nel rafforzare gli strumenti di tutela delle vittime, sulla base delle priorità identificate dalla Strategia europea anti-tratta 2012-2016. Il Piano Nazionale d’Azione ha contestualmente previsto l’istituzione di una Cabina di Regia di coordinamento, a carattere politi-co-istituzionale, con il compito di garantire un approccio multidiscipli-nare e integrato tra i diversi attori, sia istituzionali che della società civile (Save the Children, 2019, p. 12).

E’ altresì da ricordare come, con il D.P.C.M. 16 maggio 2016, è stato formulato il regolamento del Programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che fonde in un solo programma, atto a semplifi-care e potenziare le modalità di protezione e assistenza alle vittime di trat-ta e sfruttrat-tamento, tutte le azioni previste dall’art.13 della Legge 11 agosto 2003, n. 228 (Misure contro la tratta di persone) e del già citato art.18

del Testo Unico sull’immigrazione del 19987.

7 Per quanto riguarda l’Italia, oltre a quelli menzionati, ricordiamo altri recenti riferi-menti normativi, tra i quali: il Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 - Attuazione della Direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime (prevede che i minori siano inclusi

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nel-4. Criticità riscontrate e prospettive pedagogiche

Il fenomeno della tratta e del grave sfruttamento di esseri umani, in par-ticolare di minori, rappresenta una sfida per le autorità e per gli operatori impegnati nella tutela dei diritti umani, a livello nazionale e internazio-nale. Un quadro attuale dei risultati raggiunti in Italia nel contrasto a tali fenomeni è tracciato dal Gruppo di Esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani che, a seguito della seconda missione di valutazione sull’implementazione della Convezione europea del 2005, ha redatto un rapporto pubblicato a gennaio 2019. Il documento esami-na le evoluzioni intervenute dopo la pubblicazione del primo rapporto, nel 2014, sottolineando gli sforzi compiuti dal nostro Paese su vari aspet-ti, per esempio a favore dei minori non accompagnati. Sono tuttavia enunciate anche una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità com-petenti e alla relativa gestione del fenomeno (pp. 69-75). Giacché il nu-mero di persone individuate e assistite come vittime di tratta è rimasto sostanzialmente stazionario in Italia, malgrado il significativo aumento del numero di richiedenti asilo e di migranti che giungono nel Paese, si auspica una intensificazione degli sforzi per identificare in modo proat-tivo le vittime di tratta8. Altro punto da evidenziare è l’esortazione a sen-sibilizzare e formare, su tutto il territorio nazionale, insegnanti, educatori e professionisti delle politiche rivolte all’infanzia, sul tema della tratta nelle sue varie forme, assicurandosi che campagne di informazione sul-l’argomento siano realizzate nelle scuole.

Nell’ultimo Rapporto di Save the Children sui minori vittime di trat-ta e grave sfruttrat-tamento in Itrat-talia (2019, pp. 33-52) sono messe in eviden-za le principali criticità che le giovani vittime incontrano nel loro

percor-la definizione di “persone vulnerabili”); percor-la Legge 29 ottobre 2016, n. 199 - Dispo-sizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo (introduce come aggravante specifica il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa, ed estende le provvidenze del fondo anti-tratta alle vittime di caporalato); la Legge 7 aprile 2017, n. 47 - Disposizioni in materia di misure di pro-tezione dei minori stranieri non accompagnati (prevede un programma di assistenza specifico per i minori vittime di tratta).

8 Su tale aspetto, cfr. le Linee Guida redatte dalla Commissione Nazionale per il Di-ritto di Asilo e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (2017).

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so di “liberazione”. I maggiori ostacoli riguardano sia il momento della fuoriuscita, ossia la decisione di “emergere” e di liberarsi dalla propria condizione di sfruttamento, sia la fase dell’inclusione/integrazione, cioè il percorso che la ex vittima deve intraprendere nel tentativo di inserirsi nella società d’accoglienza. Questi due percorsi presentano problemati-che di vario tipo, concernenti, tra gli altri: lo sfruttamento in senso stret-to, connesso con la condizione della vittima; il quadro normativo e isti-tuzionale, con la necessità di fare rete per garantire prese in carico multi-agenzia, tenendo in debito conto i ruoli e le funzioni di tutti gli enti coin-volti (Forze di Pubblica Sicurezza, Regioni, Procure ed enti locali); i per-corsi di avviamento all’autonomia per il tramite di collaborazioni efficaci a livello territoriale9.

Nel nostro Paese, il tema della tratta e dello sfruttamento minorile vie-ne affrontato mediante modalità diverse, vie-nel tentativo di contemplare i molteplici aspetti di cui esso è costituito. Si è cercato, per esempio, di fa-vorire la fase di “aggancio” dei minori in strada, avvalendosi di varie figu-re professionali. Si sono sperimentati, in particolafigu-re, percorsi con opera-tori pari (peer), educaopera-tori e mediaopera-tori culturali per riuscire a far emergere il sommerso o per tentare di ritrovare chi si fosse allontanato dai percorsi educativi o lavorativi. “Unità di strada” sono state sperimentate in alcune città come Torino, Roma, Napoli (Save the Children, 2007).

Una specifica tipologia di intervento è l’educazione di strada, o edu-cativa territoriale, basata su una azione di avvicinamento degli operatori ai luoghi di vita quotidiana delle persone, soprattutto di quelle più vul-nerabili che di spontanea volontà non si avvicinerebbero facilmente ai servizi. Si realizzano interventi rivolti in particolare ad adolescenti e gio-vani singoli e/o riuniti in gruppi informali che spesso non partecipano ad ambiti istituzionali di aggregazione e di formazione e quindi sono mag-giormente esposti a rischio di disadattamento, devianza ed emarginazio-ne o già vivono esperienze di disagio conclamato. Quando gli operatori di strada si rivolgono ai giovani utenti offrendo loro una guida e un so-stegno devono stabilire un contatto basato sulla fiducia, in modo da po-ter “costruire ponti”, anche al fine di ottenere le necessarie informazioni riguardanti i loro bisogni (Hegstrup, Hegstrup, Rosendal Jensen,

Kor-9 Per ulteriori informazioni a riguardo, si può consultare la Piattaforma Nazionale Anti-Tratta (https://piattaformaantitratta.blogspot.com).

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nbeck, 2012, p. 12). Per il tramite di tale modalità, gli operatori possono contattare in maniera diretta e più efficace i minori stranieri – soprattutto quelli non accompagnati – presenti nel territorio in situazioni di margi-nalità, “verificando di persona le condizioni in cui vivono, aiutandoli ad ottenere un permesso di soggiorno, proponendosi come interlocutori dialoganti e non come agenzie di socializzazione forzata o di repressione” (Rebughini, 2006, p. 59). E’ un lavoro ‘sul campo’ che richiede costanza e dedizione. Sono, tuttavia, iniziative non molto diffuse e, laddove si rea-lizzano, non sempre sufficien ti rispetto al numero di minori che avreb-bero bisogno di aiuto (Gigli, 2007; Regoliosi, 2000; Zampetti, 2016).

L’esperienza della tratta può avere effetti devastanti che si superano con molta difficoltà e gli operatori chiamati a gestire tali casi hanno un ruolo chiave nell’accompagnare le vittime verso la ‘riconquista’ della pro-pria dignità. Sembra opportuno porre l’accento sul fatto che i professio-nisti del lavoro di outreach sono, o posso essere, educatori sociali, oltre che operatori sociali. Tale profilo può essere considerato come una “pro-posta pedagogica di tipo sociale” (Hegstrup, Hegstrup, Rosendal Jensen, Kornbeck, 2012, p. 12). Tra i compiti della pedagogia di stampo sociale vi è quello di sostenere l’integrazione di soggetti a rischio all’interno della società. Ciò significa che, da una prospettiva educativa, si “tende a lavo-rare proattivamente e preventivamente, piuttosto che retroattivamente e come forma di trattamento” (Ivi, p. 14).

Il tema in parola chiama in causa la riflessione pedagogica, allorché emerge la necessità di ripensare il concetto di protezione dei minori. Il lo-ro bisogno di accoglienza non è generico e non può basarsi su un soste-gno solo di tipo materiale (per quanto necessario), ma anche e soprattut-to di tipo educativo: così la società diventa veramente accogliente. E’ gra-zie alla relazione educativa che il soggetto viene sostenuto nel riprogettare la propria vita, superando le difficoltà vissute e sviluppando le proprie ri-sorse, “nel compiersi di un’operazione di ricomposizione della propria storia e di riscoperta della complessità della propria esistenza” (Kanizsa,

Tramma, 2011, p.85)10. L’accompagnamento educativo rivolto alla

tipo-logia di utenza di cui ci stiamo occupando richiede, per gli educatori, una formazione finalizzata all’acquisizione di specifiche competenze:

relazio-10 A tal riguardo emerge altresì la rilevanza del metodo pedagogico delle storie di vita nelle relazioni d’aiuto (Demetrio, 1999).

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nali, comunicative, interculturali, imprescindibili per una corretta presa in carico (Cambi, Catarsi, Colicchi, Fratini, Muzi, 2013; Fiorucci, 2017; Oggionni, 2014; Reggio, Santerini, 2014).

Spetta alla progettualità pedagogica, pertanto, il compito di promuo-vere un assetto sociale maggiormente attento nei confronti dei minori più vulnerabili, tanto a livello macro (ripristinando il senso educativo de-gli interventi da attuare), quanto a livello intermedio e micro (ripensando il funzionamento delle istituzioni e dei servizi e rivendicando la necessità di una specifica proposta educativa in tali ambiti).

Riferimenti bibliografici

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