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L’<i>Exemplum</i> costantiniano nell’agiografia sarda

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L’EXEMPLUM COSTANTINIANO NELL’AGIOGRAFIA SARDA

ANNA MARIA PIREDDA

Università di Sassari

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La visione della croce. – 3. Il Battesimo di Costantino. – 4. Conclusioni. – Abstract

1. – Premessa

La tradizione agiografica costantiniana si sviluppa in età tardoantica in due filoni relativi alle differenti modalità di

conversione[1] di Costantino ivi presenti: il filone più antico è rappresentato dal racconto della visione avuta

dall’imperatore prima della battaglia di Ponte Milvio; il secondo dalla leggendaria guarigione narrata dagli Actus Beati

Sylvestri. I due differenti modelli di conversione si ritrovano nell’agiografia della Sardegna rispettivamente nella Passio

Sancti Ephysii e nel Condaghe di San Gavino.

2. –

La visione della Croce

Lattanzio nel De mortibus persecutorum tramanda per primo la storia della conversione che precede la battaglia

contro Massenzio. Il retore africano afferma che Costantino, mentre riposava, ricevette l’ordine divino di mettere sugli

scudi dei suoi soldati un coeleste signum, che descrive nei particolari:

Commonitus est in quiete Constantinus, ut caeleste signum Dei notaret in scutis, atque ita praelium

committeret. Fecit ut iustus est, et transversa X littera, summo capite circumflexo, Christum in scutis notat. Quo

signo armatus exercitus capit ferrum[2].

La visione è narrata in maniera più articolata nella Vita Constantini[3] composta dal vescovo di Cesarea di Palestina,

Eusebio[4], che nutriva un’immensa stima per il “beato” imperatore[5]. Secondo Eusebio sarebbe stato Costantino stesso

a raccontargli l’evento, «confermandolo con giuramenti»[6]. Il «trofeo luminoso a forma di croce che sovrastava il

sole»[7] era apparso in cielo quando il sole cominciava a declinare[8], proprio nel momento in cui l’imperatore aveva

invocato in soccorso il Dio di suo padre: tale visione aveva lasciato sbigottiti l’imperatore e il suo esercito, «spettatore del

prodigio»[9]. Mentre Costantino rifletteva sull’avvenimento era calata la notte, durante la quale gli era apparso in sogno

Cristo stesso, che gli aveva ordinato «di costruire un oggetto a immagine del simbolo che si era palesato in cielo e di

servirsene come protezione nei combattimenti contro i nemici»[10]. Il mattino successivo, al risveglio, l’imperatore aveva

svelato l’arcano ai suoi amici; poi, convocati alcuni orefici, aveva descritto nei particolari il monogramma cristologico ed

aveva ordinato loro di riprodurlo «in oro e pietre preziose»[11]. Tale manufatto, «perché così piacque a Dio»[12], era

stato mostrato dallo stesso Costantino ad Eusebio.

Il racconto della descrizione del monogramma di Cristo nella Vita Constantini rivela una precisa consonanza con i

capitoli del libro dell’Esodo (25.9-40), nei quali Dio fa vedere a Mosè un modello dell’arca dell’alleanza, affinché possa

crearne una copia[13]. Il parallelismo fra Costantino e Mosè, il legislatore per eccellenza nella letteratura giudaica e

cristiana[14], è importante nella biografia eusebiana, dove peraltro l’imperatore viene paragonato ai grandi monarchi della

storia antica, quali Ciro il Grande e Alessandro Magno[15]. Costantino, “allevato” al pari di Mosè nelle «dimore dei

tiranni»[16], è presentato da Eusebio «come il nuovo legislatore prescelto da Dio per salvare l’umanità dall’errore del

paganesimo e per farsi garante della morale cristiana»[17]; egli è divenuto «nel nuovo orizzonte cristiano» isapòstolos:

l’uguaglianza con gli apostoli è, infatti, il motivo della sua sepoltura al centro dei dodici cenotafi nella Chiesa dei Santi

Apostoli a Costantinopoli[18]. La celebrazione eusebiana di Costantino «quale icona-mimesi di Dio»[19] ha fatto sì che il

primo imperatore cristiano fosse considerato santo a breve distanza dalla morte e divenisse «oggetto di culto nella Chiesa

orientale senza interruzione fino ai nostri giorni»[20].

Da questa tradizione agiografica discende la presenza della tipologia costantiniana nella Passio Sancti Ephysii. Il

martire Efisio, originario di Aelia Capitolina (Gerusalemme), è descritto come un dux dell’esercito romano, che l’imperatore

Diocleziano aveva inviato dall’Oriente in Italia per perseguitare i cristiani. Giunto in Apulia, mentre si dirigeva con l’esercito

a Gaeta e si trovava a trenta stadi da Urittania, Efisio sentì un grande e terribile suono ed una voce che gli chiedeva dal

cielo[21]: «Efisio, da dove vieni? Dove vai?»:

O Ephyse, unde venis, vel quo vadis?[22].

Sconvolto, il dux rispose che proveniva dalla città di Antiochia ed era stato mandato in Italia per ricondurre i sudditi

dell’impero al culto degli dei; la voce divina gli comunicò che la sua missione sarà del tutto differente: egli avrebbe dovuto

conseguire la palma del martirio per testimoniare la fede nel vero Dio. Nello stesso momento gli apparve in cielo una croce

luminosa e Cristo si rivelò a lui quale figlio di Dio, preannunciandogli che in virtù della croce egli avrebbe ottenuto la

vittoria su tutti i suoi nemici[23] e la pace del Signore:

In ipsa autem hora apparuit et crux in similitudine crystalli, et vox de coelo audita est: Ego sum Christus,

Filius Dei vivi, quem crucifixerunt Iudaei, quem tu persequeris … In virtute crucis quam tibi ostendi vinces omnes

inimicos tuos et pax mea semper tecum erit[24].

Al suo arrivo a Gaeta, Efisio convocò gli artigiani della città per chieder loro di riprodurre la croce vista in cielo; per

paura delle persecuzioni tutti rifiutarono l’incarico, fuorché uno di nome Giovanni, al quale Efisio mostrò come modello la

(2)

croce riprodotta nella sua mano destra:

Tunc Ephysus vocavit ad se quendam, nomine Ioannem, quem audierat peritum esse magistrum in auro et

argento; et demonstravit illi crucem quam habebat in dextera manu, ut ad illius similitudinem crucem sibi diligenti

componeret studio[25].

La riproposizione del modello costantiniano in questo passo della Passio Sancti Ephysii non proviene direttamente

dalla Vita Constantini, ma è mediata dagli Acta di San Procopio di Cesarea, principale ipotesto della passione sarda[26]. In

particolare nella cosiddetta “seconda leggenda”, una rielaborazione agiografica della passione di San Procopio[27], è

contenuto l’interessante racconto delle immagini che si formarono miracolosamente durante la notte nella croce costruita

dall’argentarius[28]; le iscrizioni sottoscritte indicavano che sulla parte superiore della croce era riprodotta l’effigie di

Cristo, l’Emmanuele, a destra quella dell’arcangelo Michele e a sinistra dell’arcangelo Gabriele:

Cumque consummata esset crux in nocte atque erecta, tres in ea apparuerunt imagines litteris descriptae

graecis: in titulo superiori Emmanuel, in dextera crucis parte Michael, in sinistra Gabriel[29].

L’artigiano Giovanni, perterritus, cercò disperatamente di cancellare le tre immagini[30] ma queste permasero per

volere divino; quando Efisio, giunto ante gallorum cantum a casa dell’argentarius[31], venne a conoscenza del fatto, si

prostrò per adorare la “venerabile croce” ed effondendosi in lacrime l’avvolse in un drappo di porpora:

Tunc Ephysus, hoc evenisse Dei voluntate intelligens, tulit secum quam Ioannem fecerat venerabilem crucem,

et adorans eam magno amore, fusisque ante eam plurimis lacrimis, post orationem diligentissime involvit eam in

purpura[32].

Il riferimento alle immagini acheropite è di grande importanza, perché del corrispondente passo degli Acta di San

Procopio è stata data lettura nel 787, come prova a favore dell’iconodulia[33], nella quarta sessione del II Concilio di

Nicea[34]. Non è improbabile, quindi, che l’agiografo di Efisio se ne sia servito per conferire maggiore prestigio alla sua

opera.

L’exemplum costantiniano si ritrova un’altra volta all’interno della Passio di Efisio, in quella che può essere definita la

“sezione sarda” dell’opera, perché assente negli Atti di San Procopio: è l’excursus relativo[35] alle vicende belliche del

dux[36] con la gens barbarica, quae Sardinian insulam tenebat[37]. Dopo aver esposto con toni romanzeschi il difficile

approdo della flotta romana alla foce del Tirso, l’agiografo narra l’addentrarsi di Efisio con le sue truppe nell’isola, lungo il

corso del fiume, sino al luogo in cui si trovava accampata, in assetto di guerra, la popolazione barbarica. Qui, mentre i due

eserciti stavano per affrontarsi, apparve ad Oriente su un cavallo bianco un uomo, simile ad un “eunuco cubiculario”[38],

che teneva nella mano destra una spada affilata da entrambi i lati ed aveva su di sé l’immagine della santa e vivifica

croce:

Factum est autem, dum utriusque partis gentes magno clamore sibi invicem appropiarent, vidit beatus

Ephysus ad dexteram suam in orientis parte virum Eunucho cubiculari ac palatii primo similem, in equo albo

sedentem, et in dextera manu sua rompheam utraque parte acutam tenentem et desuper sanctae et vivificae crucis

similitudinem portantem[39].

Colpito da tale visione Efisio smontò da cavallo e, deposte le armi, si prostrò davanti al vir divino, che gli consegnò

la romphaea e lo invitò a seguirlo: Sequere me[40]. A seguito di questo evento i barbari terrorizzati si diedero

disordinatamente alla fuga ed Efisio ottenne la vittoria che il Signore gli aveva promesso[41].

L’exemplum costantiniano in questa sezione del racconto mi pare possa rappresentare una spia del processo di

composizione della Passio Sancti Ephysii[42]: l’agiografo potrebbe essere stato indotto ad utilizzare per la riscrittura latina

gli Acta di San Procopio di Cesarea proprio per la presenza della medesima tipologia costantiniana anche nella leggenda

sarda di Sant’Efisio. Nell’arricchire la tradizione autoctona con il riuso di un documento agiografico tanto illustre, egli

poteva esaltare la Chiesa sarda sia per l’azione evangelizzatrice nei confronti delle riottose popolazioni della Barbagia[43]

sia per la posizione iconodula tenuta durante la crisi iconoclasta[44].

3. –

Il battesimo di Costantino

Il secondo filone della tradizione agiografica costantiniana è rappresentato dagli Actus Beati Sylvestri, opera sulla

quale si dibatte da più di un secolo in merito alla struttura testuale ed alla collocazione culturale, geografica e

cronologica[45]. Si tratta di un documento che, sebbene annoverato generalmente fra i racconti agiografici, può anche

essere definito «un apocrifo, secondo l’accezione più estesa del termine che intende per apocrifo qualsiasi “falso”»[46].

Gli Actus Sylvestri, che «nascono per modificare la memoria delle origini dello stato cristiano»[47], hanno come

protagonista Papa Silvestro, nel ruolo di guida alla conversione di Costantino[48]. Secondo questa leggenda l’imperatore

non sarebbe stato battezzato in fin di vita dal vescovo ariano di Nicomedia, Eusebio[49], ma dal vescovo ortodosso di

Roma, Silvestro. Costantino, pagano[50] e ammalato di lebbra[51], non riuscendo a guarire nonostante il ricorso a medici

e maghi, si rivolse ai Capitolii Pontifices, i quali gli consigliarono di fare un bagno nel sangue di tremila bambini;

l’imperatore rinunciò, però, a tale atto crudele in nome della pietas e della iustitia romana[52]. La notte stessa egli vide in

sogno gli apostoli Pietro e Paolo, che lo invitavano a cercare papa Silvestro, rifugiatosi sul monte Soratte per sfuggire alle

persecuzioni: solo il santo vescovo di Roma avrebbe potuto indicargli la piscina pietatis, nella quale immergersi per guarire

dalla lebbra. Dopo aver incontrato Silvestro, Costantino si convertì ed entrò nel fonte battesimale in palatio

Lateranensi[53], dal quale riemerse mondato dal peccato e dalla lebbra:

Tu emunda hunc servum tuum omnium terrenorum principem Constantinum. Et sicut animam eius ab omni

stercore peccati mundasti: ita corporis eius ab omni hac lepra elephantiae ablue: ut ex persequente credentem et

defendentem se habere virum hunc sancta tua ecclesia glorietur per dominum nostrum Iesum Christum filium

(3)

tuum[54].

Gli Actus Sylvestri, che narrano «del trionfo del cristianesimo e dell’inizio, con il battesimo di Costantino, di una

nuova più gloriosa fase dell’impero»[55], hanno svolto un importante ruolo nei rapporti fra la Chiesa ed i regni

romano-barbarici, «sancendo e fondando in un passato divenuto mitico, il modello del corretto rapporto fra potere spirituale e

temporale»[56]. Importante è la testimonianza offerta da Gregorio di Tours negli Historiarum libri, dove è istituito un

preciso parallelismo fra Costantino e Clodoveo, che si è accostato al lavacro battesimale come un novus Costantinus, per

essere «mondato dall’antica lebbra e purificato dalle macchie dei peccati»[57]. L’exemplum costantiniano, funzionale al

riconoscimento della stretta correlazione fra regalità e fede[58], ha avuto in epoca carolingia «une exploitation sans

précédent»[59], poiché è stato impiegato per sottolineare il legame tra i sovrani franchi e il papato, realizzatosi con la

renovatio imperii.

Da questa ideologia[60] ha tratto origine nella Sardegna tardogiudicale il racconto dell’inventio delle reliquie dei

martiri turritani, Gavino, Proto e Gianuario, a noi pervenuto attraverso due fonti: l’Officium dei santi in latino[61] e il

Condaghe[62] di San Gavino di Torres in sardo[63]. I due testi riportano, pur con molte varianti, la stessa notizia: Comita,

“giudice” del Logudoro, è ammalato di lebbra[64]; i medici non riescono a curarlo ed egli dispera ormai di poter guarire;

ma gli appare in sogno san Gavino, che lo esorta a ritrovare le sue reliquie e quelle dei suoi compagni nel martirio, Proto e

Gianuario. Per ottenere la guarigione, Comita dovrà edificare in loro onore una nuova chiesa sul monte Agellus, nell’antica

città di Torres, e lì deporre i corpi dei tre martiri. Il pio[65] “giudice” si reca in pellegrinaggio a Turris insieme con il clero,

gli alti funzionari e tutto il popolo del suo Giudicato, esegue fedelmente gli ordini del santo e miracolosamente viene

risanato dalla lebbra.

La leggenda agiografica dell’inventio è assente nei manoscritti che tramandano la passione dei martiri[66] e di certo

successiva alla sua composizione[67]; è comunque collocabile in un periodo in cui il giudicato del Logudoro esisteva ancora

ed il giudice aveva tutto l’interesse a vedere legittimato il suo potere regale secondo l’exemplum costantiniano divulgato

dagli Actus Sylvestri[68].

La presenza del modello costantiniano nell’inventio, accennata cursoriamente nell’Officium turritano[69], viene

esplicitata dall’arcivescovo di Sassari Salvatore Alepus[70] nella Homilia in libellum certaminis beatorum martyrum Gavini,

Prothi et Ianuariii, pubblicata a Roma nel 1532[71]. Di questa omelia, pronunciata per la ricorrenza della dedicazione della

basilica dei santi martiri a Porto Torres, è pervenuto soltanto un compendio riportato da Giovanni Arca nel De Sanctis

Sardiniae[72]; in questa breve sintesi è istituito il parallelismo fra il racconto agiografico turritano e la conversio

Constantini, alla fine della puntuale esegesi tipologica il dotto arcivescovo turritano definisce «pari» per dignità di fede e di

governo il primo imperatore cristiano ed il rex sanctissimus Comita[73].

4. –

Conclusioni

Come traspare dai testi esaminati, l’agiografia della Sardegna ha utilizzato in periodi differenti entrambi i paradigmi

costantiniani[74]: nella Passio Sancti Ephysii, che riflette una realtà ancora influenzata dalla cultura bizantina, è presente

l’exemplum eusebiano, mentre nell’Inventio delle reliquie dei martiri turritani, che rivela l’avvenuto passaggio dell’isola al

sistema culturale occidentale, è utilizzato quello degli Actus Sylvestri. Entrambe le opere agiografiche evidenziano,

comunque, il radicamento del culto dell’imperatore Costantino nella realtà devozionale sarda e ribadiscono la

«straordinaria capacità di adattamento»[75] dei testi agiografici, che nel loro riuso cambiano funzionalità ed ambiente di

ricezione.

Abstract

The two different conversion models of Emperor Constantine, passed down through tradition, both the one told in

Vita Constantini by Eusebius of Caesarea and the other described in anonymous Actus Beati Sylvestri can be found in the

hagiography of Sardinia: the first one in Passio Sancti Ephysii, the second one in the Condaghe of San Gavino of Torres.

I due differenti modelli di conversione dell’imperatore Costantino pervenuti attraverso la tradizione, quello

raccontato nella Vita Constantini da Eusebio di Cesarea e quello presente negli anonimi Actus Beati Sylvestri, si ritrovano

nell’agiografia della Sardegna: il primo nella Passio Sancti Ephysii, il secondo nel Condaghe di San Gavino di Torres.

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

[1] Sulla «natura problematica della c.d. “conversione” dell’imperatore al cristianesimo» si veda SALVATORE CALDERONE in Letteratura

costantiniana e «conversione» di Costantino, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio su Cristianesimo nel mondo antico

(Macerata, 18-20 dicembre 1990), Macerata 1992, 231-252 (231). [2] Lact. Mort. Persec. 44.4-6.

[3] Nell’introduzione alla traduzione italiana da lei operata, Laura Franco fa presente che «si tratta di un’opera “mista”, difficilmente inquadrabile in un genere letterario preciso» (Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note di L. FRANCO, Milano 2009, 18).

[4] Sull’attribuzione della Vita Constantini ad Eusebio di Cesarea vi è stato, soprattutto intorno agli anni Trenta del Novecento, un serrato dibattito: si veda l’introduzione di Luigi Tartaglia in Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note a cura di L. TARTAGLIA, Napoli 1984, 13-17.

[5] Il titolo esatto della biografia è: «Vita del beato imperatore Costantino». Eusebio ricorda che in occasione del concilio dei vescovi, convocato da Costantino a Gerusalemme per il trentennale del suo regno, «uno dei ministri di Dio, in sua presenza, osò dichiararlo beato (µακάριον)

(4)

perché già nella vita terrena aveva ricevuto l’onore del potere assoluto su tutti gli uomini e in futuro avrebbe regnato insieme al figlio di Dio» (Eus. Caes. V.C. II.48: Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note di L. FRANCO, 399).

[6] Eus. Caes. V.C. I.28.1 (119): «… fu lo stesso imperatore vittorioso, tempo dopo, a riferire l’episodio, confermandolo con giuramenti, proprio a noi che siamo gli estensori di questa opera quando fummo onorati della sua amicizia e confidenza, sicché chi potrebbe diffidare al punto di non prestar fede al racconto? Tanto più che anche gli eventi successivi testimoniarono la fondatezza di quelle dichiarazioni».

[7] Eus. Caes. V.C. I.28.2 (120-121): «e accanto a esso una scritta che diceva: “vinci con questo”». Lucio DE GIOVANNI precisa che le «due versioni di Lattanzio e di Eusebio sono state variamente poste in relazione dalla storiografia e, tra gli studiosi, perdura ancora il dibattito sul significato del così detto monogramma costantiniano» (Istituzioni scienza giuridica codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, 176, cfr. la bibliografia in nota).

[8] Nella nota al passo L. FRANCO evidenzia che la notizia potrebbe essere una rielaborazione cristiana di un passo del panegirico pagano latino a Massimiano e Costantino (Panegyrici Latini VI.21.3-7), in cui viene descritta l’apparizione di Apollo a Costantino (Eusebio di Cesarea, Vita di

Costantino, 119). Come avverte Luigi Tartaglia, il racconto della visione è, infatti, «uno dei capitoli maggiormente incriminati della VC» (L.

TARTAGLIA, Introduzione a Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 59, nt. 80). L’autenticità della Vita Constantini, ricorda Marilena Amerise, «è stata oggetto di una querelle paragonabile forse alla questione omerica» (M. AMERISE, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda

eredità, Stuttgart 2005, 17). Per una disamina delle varie posizioni sull’argomento assunte dagli studiosi – il più scettico dei quali è stato H.

GRÉGOIRE, Eusèbe n’est pas l’auteur de la “Vita Constantini” dans sa forme actuelle et Constantin ne s’est pas “converti”en 312, «Byzantion» 13 (1938), 561-583 – si veda l’introduzione di Tartaglia in Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 13-21.

[9] Eus. Caes. V.C. I.28.2 (120-121). [10] Eus. Caes. V.C. I.29 (121). [11] Eus. Caes. V.C. I.29 (121).

[12] Eus. Caes. V.C. I.30 (121). Segue la descrizione del labaro con il monogramma: V.C. I.31.1-2. [13] Il parallelismo è proposto da A. CAMERON, Eusebius. Life of Constantine, Oxford 1999, 209.

[14] Si pensi alla Vita di Mosè scritta da Filone Alessandrino: TARTAGLIA, Introduzione a Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 10. [15] Tartaglia, Introduzione a Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, 7-13. L’idea di sovranità di Eusebio è il risultato di una «originale rielaborazione in chiave cristiana» di teorie presenti nella tradizione filosofico-letteraria classica e imperiale, in particolare «in testi ascrivibili al genere dello Speculum Principis, di cui la vita di Costantino contiene diversi elementi» (FRANCO, Introduzione a Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, 27).

[16] Eus. Caes. V.C. I.12.1 (95).

[17] FRANCO, Introduzione a Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, 12 s. Cfr. Eus. Caes. V.C. I.24 (113): «In tal modo Dio signore di tutto il cosmo, di sua volontà, scelse Costantino, che era nato da un tale padre, quale governatore e guida di tutti, e avvenne così che, nel suo caso soltanto, nessun uomo si poté attribuire il merito della sua designazione, mentre gli altri sovrani furono insigniti della carica per deliberazione altrui».

[18] L’imperatore è isapostolos, “eguale agli apostoli” o «addirittura il tredicesimo tra essi», come vuole indicare la sua sepoltura al centro dei dodici cenotafi degli Apostoli (M. RIZZI, Filosofia, Teologia e potere in Eusebio di Cesarea, «Enciclopedia Costantiniana» I, 2013).

[19] AMERISE, Il battesimo di Costantino il Grande, 9. La studiosa ricorda che la posizione di Eusebio nei confronti dell’Arianesimo «contribuì non poco all’obliterazione della Vita Constantini nel IV secolo» (ibid., 10). Per le implicazioni politiche del pensiero di Eusebio nel contesto della sua teologia è fondamentale: R. FARINA, L’impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zurigo 1966. Un novo approccio alla controversia ariana e quello di Jon M. ROBERTSON nella monografia Christ as mediator. A Study of the Theologies of Eusebius

of Caesarea, Marcellus of Ancyra and Athanasius of Alexandria, Oxford 2007.

[20] G. BONAMENTE, Costantino santo, «Cristianesimo nella Storia» 27 (2006), 735. Costantino, afferma Constantinos G. PITSAKIS, è «surtout un saint – un vrai saint, à juste titre, à ses propres mérites» nella leggenda e nella tradizione popolare, perché è così che «le regarde la conscience générale des fidèles: un vrai saint beaucoup plus qu’un grand personnage historique canonisé» (L’idéologie impériale et le culte de Saint

Constantin dans l’Église d’Orient, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. SINI - P.P.

ONIDA, Torino 2003, 271). Sul culto tributato al primo imperatore cristiano in Sardegna si vedano in particolare: A.F. SPADA, Santu Antine. Il culto di

Costantino il Grande da Bisanzio alla Sardegna, Nuoro 1989; L. PANI ERMINI, Una testimonianza del culto di S. Costantino in Sardegna, in Memoriam

Sanctorum Venerantes. Miscellanea in onore di V. Saxer, Città del Vaticano 1992, 613-625; R. FARINA, La pietas del servo di Dio Costantino

Imperatore. Santità e culto di Costantino Imperatore nella “Vita di Costantino” di Eusebio di Cesarea, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., 297-304; V.

POGGI, Perché in Sardegna Costantino è santo, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., 325-342. [21] È palese il riferimento alla conversione di San Paolo narrata negli Atti degli Apostoli 9.3.

[22] Passio Ephysii 5 (Passio Sancti Ephysii martiris Carali in Sardinia, «Analecta Bollandiana» 3 [1884], 364). Il testo è quello del ms. Vat. Lat. 6453. L’edizione critica della Passio Sancti Ephysii, con collazione di tutti i codici, è stata preparata da Graziano Fois ed è in corso di stampa all’interno del Corpus Christianorum. La domanda rivolta ad Efisio riecheggia il famoso episodio del Quo vadis, presente negli Atti di Pietro (sull’evento leggendario presente nel famoso testo apocrifo si veda E. NORELLI, L’episodio del Quo vadis? Tra discorso apocrifo e discorso agiografico, «Sanctorum» 4 (2007), 15-45.

[23] Sulla vittoria per grazia di Dio: F. HEIM, La théologie de la victoire de Constantin à Théodose, Paris 1992. È «soprattutto nei panegirici costantiniani» che la figura dell’avversario della sacra maiestas viene presentata in maniera piuttosto fosca, mentre l’imperatore «è particolarmente protetto dalla divinità ed è con essa in continuo contatto» (D. LASSANDRO, Sacratissimus Imperator. L’immagine del princeps nell’oratoria

tardoantica, Quaderni di «Invigilata Lucernis» 8, Bari 2000, 36).

[24] Passio Ephysii 6 (364-365). [25] Passio Ephysii 7 (365).

[26] La dipendenza della Passio di sant’Efisio dagli Atti di San Procopio, segnalata dai Bollandisti in AA SS Ian. I, col. 997 (Plane similia sunt

[scilicet: Acta Ephysii] Actis S. Procopii, quae ex Metaphraste VIII Iulij dabimus), è stata ribadita da Baudouin DE GAIFFIER, il quale ritiene che la

leggenda di Procopio di Cesarea sia stata «à peine remaniée» dall’agiografo di Sant’Efisio: Les “doublets” en hagiographie latine («AB» 96, 1978, 266 [261-269]). Sulle nuove linee di ricerca relative ai concetti di riscrittura e di reimpiego del prodotto agiografico si vedano: M. VAN UYTFANGHE, Le

remploi dans l’hagiographie: une ‘loi du genre’ qui etouffe l’originalité?, in Ideologie e pratiche del reimpiego nell’alto medioevo, XLVI Settimana di

studio del CISAM (Spoleto 16-21 aprile 1998), Spoleto 1999, 359-411; M. GOULLET - M. HEINZELMANN (Hg.), La réécriture hagiographique dans

l'Occident médiéval. Transformations formelles et idéologiques, Stuttgart 2003; e le sezioni monografiche: Le riscritture agiografiche

(«Hagiographica» 10, 2003, 109-214) e L’edizione critica delle fonti agiografiche («Sanctorum», 1, 2004, 9-112).

(5)

«per lo sforzo combinato della leggenda e degli agiografi» (Le leggende agiografiche, trad. it., Firenze 1906 [rist. anast. 1987], 181). [28] Negli Acta di Procopio l’argentarius si chiama Marco, mentre nella Passio di Efisio si chiama Giovanni.

[29] Passio S. Ephys. 8 (365).

[30] Passio S. Ephys. 8 (365): Videns itaque Ioannes tres illas imagines perterritus nimis crucem et eius imagines destruere laboravit; sed

minime quod voluit perficere valuit, quia Dei voluntati contraire non potuit.

[31] Passio S. Ephys. 8 (365). [32] Passio S. Ephys. 8 (366).

[33] DELEHAYE, Le leggende agiografiche, 198. Come immagini “acheropite” vanno intese «non soltanto quelle generate per contatto diretto con il volto o il corpo del Signore, ma anche le immagini apparse per “ierofania”» (E. BRUNET, Le icone acheropite a Nicea II e nei Libri Carolini, in

Sacre impronte e oggetti «non fatti da mano d’uomo» nelle religioni, Atti del Convegno Internazionale (Torino, 18-20 maggio 2010), a cura di A.

MONACI CASTAGNO, Torino 2011, 208). Sulle immagini acheropite nella religiosità bizantina: P. MIQUEL, Icône, «DS» 7,2, 1971, coll. 1224-1239. [34] Il brano è stato letto dal diacono Stefano (Deo amabilis diaconus, notarius et referendarius venerabilis patriarchici secreti: J.D. MANSI,

Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae 1767, vol. XII, 89). Fu il secondo Concilio di Nicea (4 settembre - 23 ottobre 787),

convocato dall’imperatrice Irene, a promulgare il decreto dogmatico sul culto delle immagini. La vittoria iconodula di Nicea dava «alle immagini un ruolo gnoseologico, di conoscenza di Dio stesso, nel segno visibile della sua incarnazione, o del suo ripresentarsi nei santi» (C. LEONARDI, Medioevo

latino. La cultura dell’Europa cristiana, Firenze 2004, 326).

[35] L’excursus non è presente negli Atti di San Procopio.

[36] Il titolo di δούξ indica la carica amministrativa di un funzionario nell’amministrazione bizantina; tale titolo è attestato per la prima volta sotto Diocleziano e veniva attribuito al comandante dei limitanei; come ricorda Andrea LAI, «il δούξ di Sardegna dipendeva dal magister militum

Africae, comandante supremo dell’esercito della diocesi africana» (Flavio Pancrazio ∆ΟΥΞ ΣΑΡ∆ΙΝΑΣ: un contributo alla prosopografia altomedievale sarda dal codice Laudiano Greco 35, «Sandalion» 31 [2008] 188); di tale diocesi era entrata a far parte la Sardegna nel 534, dopo la conquista

bizantina.

[37] Passio S. Ephys. 11 (367). Nel manoscritto Vaticano la gens barbarica non viene identificata, mentre nella recensio contenuta nel ms. dell’Archivio della Curia Arcivescovile di Cagliari (BHL Novum Supplementum, 2567), una riscrittura cinquecentesca della passio, la gens è identificata con le popolazioni barbariche degli Iolenses e degli Ilienses. La campagna di Efisio contro la gens barbarica riecheggia, secondo Raimondo TURTAS, «la campagna del dux Sardiniae Zabarda contro i barbaricini attestata da Gregorio Magno» (Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999, 44). Sul sintagma barbarica gens si sofferma Piergiorgio SPANU in Martyria Sardiniae, 70-71; si veda inoltre: ID., Le Barbariae sarde

nell’Alto medioevo: sulla possibile esistenza di un “ducato” dei Barbaricini, in Alétes, Miscellanea per R. Caprara, Massafra 2000, 504-508. Un

riferimento alla Barbaria sarda è presente nel dossier agiografico dei santi Senzias e Mamiliano (E. SUSI, Osservazioni preliminari sul dossier

agiografico dei santi Senzias e Mamiliano, in «Sanctorum» 1 [2004], 82).

[38] L’espressione eunuchus cubicularius si riferisce ad una funzione gerarchica relativa alla burocrazia della corte imperiale di Bisanzio. In un sigillo ritrovato presso Tharros è presente il termine cubicularius (P.G. SPANU - R. ZUCCA, I sigilli bizantini della ΣΑΡ∆ΗΝΙΑ, Roma 2004, 101; 104 s.).

[39] Passio S. Ephys. 8 (365). Il vir angelico viene definito Eunuchus Augustalis palatii cubicularius in AASS Ian. I, 1000. Come ha rilevato Guglielmo CAVALLO, intorno al X secolo la classe dirigente è locale, ma continua ad usare titolature bizantine (Le tipologie della cultura nel riflesso

delle testimonianze scritte, in Roma, Bisanzio e l’Italia nell’Alto Medioevo, XXIV Settimana di studio del CISAM, [Spoleto 3-9 aprile 1986], Spoleto

1988, II, 475). Paolo MANINCHEDDA rileva che, nella Sardegna del periodo, epigrafi e sigilli restituiscono un ambiente bilingue e con due tradizioni scritte, greca e latina, ed afferma: «In ultima analisi, le iscrizioni del X secolo rappresentano più un gusto grecizzante che una realtà linguistica e culturale greca come, a nostro avviso, confermano i più antichi documenti scritti in sardo» (Medioevo latino e volgare in Sardegna, Cagliari 2007, 100)

[40] Passio S. Ephys. 8 (365).

[41] Nel consegnare la spada ad Efisio, infatti, il vir angelico aveva detto di essere stato mandato in suo aiuto dal re del cielo per permettergli di sbaragliare tutti i suoi avversari ed i barbari: Rex ille, respondit, de quo me interrogas, misit me in adiutorium tibi, cum romphea quam manu mea

gestare cernis, in qua cunctos vinces inimicos et barbaros. Cumque eam acceperis et cum ea tibi resistentes prostraveris, memor illius qui tibi mittere eam curaveris semper eris (Passio S. Ephys. 14 [365]).

[42] Di certo, come sostiene Giampaolo Mele, la «documentazione medievale, compresa quella di interesse liturgico e musicale, ha navigato in un mare magnum di oralità» (G. MELE, I condaghi: specchio storico di devozione e delle tradizioni liturgiche nella Sardegna medievale, in La Civiltà

Giudicale in Sardegna nei Secoli XI-XIII. Fonti e Documenti Scritti, Atti del Convegno Nazionale a cura dell’Associazione “Condaghe di S. Pietro in

Silki” [Sassari 16-17 marzo 2001 - Usini 18 marzo 2001], Sassari 2002, 173). Ma non è improbabile che per la celebrazione liturgica del santo martire Efisio esistesse una memoria scritta, come lascia trapelare la presenza del termine stratilates, di chiara ascendenza bizantina; sulla presenza di questo termine all’interno della passio si veda in particolare: TURTAS in Storia della Chiesa in Sardegna, 43-45. Per un illuminante panoramica sull’interrelazione tra “scrittura” e “oralità” nella Sardegna giudicale: G. MELE, Codici agiografici, culto e pellegrini nella Sardegna medioevale. Note

storiche e appunti di ricerca sulla tradizione monastica, in Gli Anni Santi nella Storia, Atti del Congresso Internazionale (Cagliari 16-19 ottobre 1999),

a cura di L. D’ARIENZO, Cagliari 2000, 535-569.

[43] L’influsso del greco bizantino sulle popolazioni delle Barbagie, convertite al cristianesimo «soltanto quando l’isola, a partire dal 533 d.C., entrò a far parte dell’Impero bizantino», è stato evidenziato da Giulio PAULIS (Il corvo, 55). Attilio MASTINO precisa che «gli stessi rustici, i contadini al servizio della chiesa sarda, per la negligenza dei rispettivi vescovi, risultavano ancora pagani alla fine del VI secolo» (La Sardegna in età

tardoantica, in La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno, Atti del Convegno Nazionale di studi [Cagliari 10-12 ottobre 1996], a cura di

A. MASTINO, G. SOTGIU, N. SPACCAPELO, con la collaborazione di A.M. Corda, Cagliari 1999, 275).

[44] Dà notizia di un tentativo di infiltrazione iconoclasta nell’isola la biografia di san Teodoro Studita, risalente alla seconda metà del IX sec. (TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna, 161).

[45] Sugli Actus Sylvestri si vedano in particolare: W. POHLKAM, Privilegium ecclesiae Romanae pontifici contulit. Zur Vorgeschichte der

Konstantinischen Schenkung, in Fälschungen im Mittelalter. II. Gefälschte Rechtstexte. Der bestrafte Fälscher (Schriften der Monumenta Germaniae

Historica; 33,2), Hannover 1988, 41-490; V. AIELLO, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande dall’Antichità

all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata, 18-20 Dicembre 1990), a cura di G. BONAMENTE - F. FUSCO, Macerata 1992,

t. I, 17-58; AMERISE, Il battesimo di Costantino il Grande, 93-119; T. CANELLA, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006.

[46] T. CANELLA, Modelli letterari e varianti mitiche fra gli Actus Silvestri e alcuni apocrifi mediorientali, «Sanctorum» 4 (2007), 81. [47] T. CANELLA, Modelli letterari e varianti mitiche, 85.

(6)

[48] Con il battesimo impartito a Costantino papa Silvestro (314-355) «si avvia a divenire figura emblematica di vescovo, dotata, come è stato detto, di forte carisma e di efficace autorità mondana» (AIELLO, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, 56). Su papa Silvestro e sulle trasformazioni operate dalla tradizione agiografica per modellarne la figura si veda del medesimo studioso: Cronaca di una eclisse. Osservazioni sulla

vicenda di Silvestro I vescovo di Roma, in Il tardoantico alle soglie del Duemila. Diritto Religione Società, Atti del Quinto Convegno Nazionale

dell’Associazione di Studi Tardoantichi, a cura di G. LANATA, Pisa 2000, 229-248.

[49] Il vescovo Eusebio di Nicomedia era stato insieme con Ario «discepolo di Luciano d’Antiochia» M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV

secolo, Roma 1975, 31. Come nota Vincenzo AIELLO il battesimo impartito ad Ancyrona da Eusebio poteva «creare un notevole imbarazzo alla chiesa

post-teodosiana, impegnata nel recupero delle frange eretiche» (Aspetti del mito di Costantino in Occidente: dalla celebrazione agiografica alla

esaltazione epica, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata» 21 [1988], 91).

[50] A. MARCONE, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Bari 2002.

[51] Actus Sylv. Redazione A (1) (POHLKAMP, Privilegium ecclesiae Romanae, 449). Il «mitema» del re malato, guarito e convertito, che si trova anche nella leggenda di Tiridate IV, re d’Armenia contemporaneo di Costantino (298-330 d.C.), ha come modello il passo vetero testamentario di II Re 5,1-19, dove Naaman, capo dell’esercito degli Aramei, viene guarito dal profeta Eliseo attraverso sette immersioni nel Giordano (M. CIRESE,

Il battesimo di Costantino e l’ingresso di Alessandro nell’Islam, in L’albero della Croce prima, dopo, nell’esilio nell’Islam, a cura di R. FAVARO, «Studi

sull’Oriente Antico» 7,2 [2003], 194). La maggior parte dei «mitemi» che compongono gli Actus trova «riscontro in alcune tradizioni letterarie circolanti in area siro-palestinese fra fine del IV e inizi V secolo» (CANELLA, Modelli letterari e varianti mitiche, 85): si tratta di testi apocrifi quali la

Dottrina di Addai, gli Atti di Giuda Ciriaco, gli Atti di Pietro e Simone (ibid. 85-97). Cfr. F. PARENTE, Qualche appunto sugli Actus Beati Sylvestri, «AB»

100 (1982), 878-897.

[52] Costantino, rinunciando al gesto crudele, si pone la domanda: Quid iuvat barbaros superasse, si a crudelitate vincamur? Alla quale risponde: Vincat ergo nos pietas in isto congressu. Vere enim omnium adversantium poterimus esse victores, si a sola pietate vincamur. Omnium et

enim se esse verum dominum comprobat, qui verum se servum ostenderit esse pietatis (Vita Sancti Sylvestri, in B. MOMBRITIUS, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, Hildesheim-New York 1978 [= Paris 1910], II, 511,6-7; 18-21). Nell’Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (X.8.6) «la virtù che

distingue Costantino è la pietas (eusebeia) verso Dio, che è da Dio ricambiata con l’essergli amico, protettore e custode» (P. SINISCALCO, Qualche

notazione su San Costantino, in Poteri religiosi e istituzioni, 291).

[53] «Il ruolo di questa residenza crebbe indiscutibilmente con il crescente significato del papato, un significato che si doveva misurare all’interno della città, nell’ambito della Chiesa universale e nel gioco delle parti con le potenze laiche» (I. HERKLOTZ, Gli eredi di Costantino. Il papato,

il Laterano e la propaganda visiva nel XII secolo, trad. it., Roma 2000, 10).

[54] Vita Sancti Sylvestri, 513,3-7.

[55] S. BOESCH GAJANO, Le metamorfosi del racconto, in Lo spazio letterario di Roma antica, G. CAVALLO - P. FEDELI - A. GIARDINA (dir.), Roma 1990, 219-220.

[56] CANELLA, Gli Actus Silvestri, XXI. Tale versione è stata ufficializzata dal Liber Pontificalis, che la tramanda nella Vita Silvestri: (Silvestro) cum gloria baptizavit Constantinum Augustum, quem curavit dominus per baptismo a lepra (Liber Pontificalis III, ed. T. MOMMSEN, Gesta Pontif. Rom. 1, 1898, 47). La leggenda costantiniana veicolata dagli Actus «lavava anzitutto una macchia che, agli occhi di un mondo ormai cattolicizzato, gravava sull’immagine del primo imperatore cristiano, colui che aveva convocato il concilio che aveva condannato la dottrina trinitaria di Ario» (G. ARNALDI, La leggenda dell’imperatore Costantino e di Papa Silvestro. A proposito del libro di Tessa Canella sugli Actus Silvestri, «Sanctorum» 5 [2008], 212). Ambrogio, con il racconto dell’inventio crucis nel De obitu Theodosii, è il primo «a recuperare in positivo la figura di Costantino» (V. AIELLO, Il tempo del potere negli auspici di Ambrogio vescovo di Milano, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione

cristiana del tempo e della storia, a cura di L. De Salvo - A. Sindoni, Soveria Mannelli 2002, 129). Infatti, come ha di recente evidenziato Cesare

ALZATI, Ambrogio «lega esclusivamente a Costantino la fine delle persecuzioni e ne fa il discrimen tra la tirannide dei persecutori pagani e la compiuta realizzazione – nella fede cristiana – dell’ideale istituzionale romano di una potestas che si esercita in conformità alla iusta moderatio» (Beatus Constantinus nel ricordo di sant’Ambrogio a Milano, in «Diritto @ Storia. Rivista internazionale di scienze Giuridiche e Tradizione Romana» 12 [2014], < http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Alzati-Beatus-Constantinus-ricordo-S-Ambrogio-Milano.htm > 2-3).

[57] Greg. Tur. Hist. II, 31 (MGH SS I,1, 77): Procedit novos Costantinus ad lavacrum, deleturus leprae veteris morbum sordentesque

maculas gesta antiquitus recenti latice deleturus.

[58] Facendosi battezzare e accettando l’ingiunzione di Remigio (Greg. Tur. Hist. II, 31: mitis depone colla) il re dei Franchi si sottometteva all’autorità della Chiesa; pertanto «era inevitabile che Clodoveo e i successivi sovrani Franchi, ormai cattolici, fossero sentiti, da parte cattolica, coadiutori dell’opera ecclesiastica di diffusione e consolidamento della fede cristiana» (B. LUISELLI, La formazione della cultura europea occidentale, Roma 2003, 200). Gregorio di Tours sottolineava anche in tal modo la centralità del ruolo episcopale nella società cristiana contemporanea, fortemente minacciata dall’atteggiamento dispotico dei re, cfr. M. HEINZELMANN, Histoire, rois et prophètes. Le rôle des éléments autobiographiques

dans les Histoires de Grégoire de Tours: un guide épiscopal à l’usage du roi chrétien, in De Tertullien au Mozarabes.Antiquiteé Tardive et Christianisme Ancien (IIIe-VIe siècles), Paris 1992, 537-550. Peraltro l’agiografia, come precisa Antonio DE PRISCO, costituiva per Gregorio di Tours

«un validissimo strumento per veicolare temi forti della sua pastorale» (Il pubblico dei santi nei Miraculorum libri octo di Gregorio di Tours, in Il

pubblico dei santi. Forme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici, Atti del III Convegno di studio dell’AISSCA, Verona 22-24 ottobre 1998, a cura

di P. GOLINELLI, Roma 2000, 27).

[59] Ph. GABET, Constantin et Clovis, développements et transformations rémois aux IXe et Xe siècles, in Clovis, histoire et mémoire, dir. M. ROUCHE, Paris 1997, t. II, 75.

[60] Sull’importanza della tradizione agiografica costantiniana in riferimento alla regalità in età medievale si veda F. MONFRIN, La conversion

du roi et des siens, in Clovis, t. I, 289-320. Questa leggenda costantiniana è stata utilizzata ampiamente dalla Chiesa di Roma (V. AIELLO, Aspetti del mito di Costantino in Occidente, 98.) e ha avuto molta importanza nel pensiero politico-religioso e nel giudizio di Dante su Costantino (L. BANFI, Costantino in Dante, in Costantino il Grande, 91-103). Dante, Mon. III, 10,1: Dicunt adhuc quidam quod Constantinus imperator, mundatus a lepra intercessione Silvestri tunc summi pontificis, Imperii sedem scilicet Romam, donavit Ecclesiae cum multis aliis Imperii dignitatibus.

[61] Dell’Officium pubblicato a Venezia nel 1497 dallo stampatore Pietro de Quarengiis di Palazzolo Bergamasco, sono pervenute solo due copie: una è conservata nella Biblioteca Comunale di Sassari (fondo Pasquale Tola); l’altra nella British Library di Londra (esemplare acquistato nel 1910 dal bibliofilo Tammaro de Marinis; cfr. British Museum General Catalogue of printed books to 1955 compact edition, XV, New York 1967, 510, c. 191, n. 3). L’incunabolo conservato a Sassari è stato riprodotto in anastatica: Ufficio Liturgico dei santi martiri Turritani Gavino, Proto e Gianuario, Sassari 1997. Sull’Officium si vedano, in particolare, gli studi di B.R. MOTZO, La passione dei santi Gavino, Proto e Gianuario, «Studi Cagliaritani di Storia e Filologia» 1927, 129-161 (ora in ID., Studi sui Bizantini in Sardegna e sull’agiografia sarda, a cura della Deputazione di Storia Patria per la Sardegna, Cagliari 1987, 187-221) e di G. ZICHI, Dall’incunabolo del 1497 all’Officium proprium del 1917, in Officia propria Sanctorum Gavini, Proti

et Ianuarii Martyrum Turritanorum, secc. XV – XX, a cura di G. ZICHI - M. PISCHEDDA, Sassari 2000, 19-22.

[62] Il termine “condaghe” non ha, nel caso del Condaghe di san Gavino, il significato di registro amministrativo-giuridico che solitamente si attribuisce a questo tipo di documenti sardi (G. MELONI, Il condaghe di San Gavino, in Dal mondo antico all’età contemporanea, Studi in onore di M. Brigaglia, Roma 2002, 192; dello stesso studioso si vedano inoltre: G. MELONI, Il Condaghe di San Gavino, Sassari, 2004; ID., Il Condaghe di San

Gavino, Cagliari 2005). Giampaolo MELE ritiene che «il termine Condaghe derivi direttamente dal libro Kontákion, inteso come manoscritto liturgico

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sancire la sacralità di una serie di scritture di natura amministrativa e giuridica, avvolte in un’aura di ufficiale e solenne religiosità» (I condaghi, 148). Nel ciclo agiografico turritano il termine «condaghe» viene utilizzato per indicare sia la Passio sia l’Inventio, come traspare dal poema in lingua sarda composto prima del 1479 dall’arcivescovo di Sassari Antonio Cano; il poeta espone in versi la passione dei martiri mentre rimanda ad un “altro” condaghe la storia di Comita: «comente custu ateru condaghe designat» (A. CANO, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et

Januariu, a cura di D. MANCA, Cagliari 2002, 54, v. 1082). Sulla base di questo verso Raimondo TURTAS ritiene che «l’Inventio ci restituisca

sostanzialmente, in latino e sotto forma di nona lezione adattata per l’ufficio liturgico dei martiri turritani, il testo di una composizione in sardo (cioè l’«ateru condaghe») contenente la narrazione del ritrovamento dei corpi dei martiri da parte del giudice Comita, della costruzione della chiesa in loro onore, della traslazione nel nuovo tempio» (A proposito del condaghe di San Gavino, «Cooperazione Mediterranea, Cultura Economia Società» 15 [2003], 228)

[63] Nel Cinquecento sono state operate traduzioni e riscritture in lingua latina del condaghe (Riletture cinquecentesche del Condaghe di San

Gavino di Torres, in Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall’età giudicale al Settecento, a cura di G. MELE, Oristano 2005, 367-388).

[64] Officium IX.

[65] Comita viene descritto come uomo devoto e attento, secondo il dettato evangelico, alle esigenze dei più deboli (Officium IX). Il comportamento di Comita è esemplato su quello del «pio» re, esaltato da gli «specchi dei principi» medievali (M. ROUCHE, Miroirs des princes ou

miroir du clergé?, in Committenti e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale, XXXIX Settimana di Studio del CISAM [Spoleto, 4-10

aprile 1991], Spoleto 1992, 341-364).

[66] I codici che contengono la Passio sono il Montepessulanus H 1,1 ex Claraevallensis Q73 ed il Montepessulanus H 1,2 ex Claraevallensis

Q72, appartenenti rispettivamente al sesto ed al quinto volume del Liber de Natalitiis, il Legendario cistercense in uso presso l’abbazia di Clairvaux.

Entrambi i codici, della seconda metà del XII sec., sono conservati nella Biblioteca della Facoltà di Medicina di Montpellier (B. DE GAIFFIER, La passion

de Saint Gavin martyr de Sardaigne, «AB» 78 [1960], 312-313; G. ZICHI, Note introduttive, in Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et Ianuarii,

Testo latino a cura di G. Zichi, Versione italiana di K. Accardo, Sassari 1989, 23-26).

[67] La Passio turritana, databile tra la fine dell’XI secolo ed i primi del XII, è strettamente collegata alla presenza a Clairvaux del giudice Gonario di Torres, che dopo aver abdicato al regno era divenuto monaco nell’abbazia cistercense. Qui il monaco Erberto, vescovo di Turris dal 1181 al 1195/6 (TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna, 949), lo incontrò nel 1178 e «ammirò la sua perfezione e lo spirito di penitenza» (P.F. SIMBULA,

Gonario e i Cistercensi nel Regno di Torres, in Il Regno di Torres, Atti di Spazio e Suono 1992-1993-1994, a cura di G. MELONI - G. SPIGA, Porto

Torres 2002, 91). La composizione dell’inventio è certamente successiva a quella della passio, perchè «n’est guère probable», come ha giustamente osservato Baudouin De Gaiffier, che la passione trasmessa da Gonario abbia «omis le paragraphe de l’Inventio qui célèbre le rôle d’un de ses ancêtres dans la translation des reliques» DE GAIFFIER, La passion de Saint Gavin, 321.

[68] L’Inventio potrebbe essere stata composta, a mio avviso, nel primo quarto del XIII secolo, sotto Mariano II di Torres (L’inventio delle

reliquie dei martiri turritani e la figura agiografica di Costantino, in Culti, Santuari, Pellegrinaggi in Sardegna e nella Penisola Iberica tra Medioevo ed Età Contemporanea, a cura di M.G. MELONI - O. SCHENA, nota introduttiva di G. CRACCO, C.N.R. Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, Genova

2006, 502, n. 60); questo giudice, infatti, ha goduto dell’appoggio di papa Onorio III, il quale ha dato ampio spazio alla tradizione della dedicazione della basilica lateranense nell’omelia Celestis providentia maiestatis, che è stata definita dal suo editore James M. POWELL «a celebration of the role of the Lateran in the salvation history of the Chrurch» (Honorius III Sermo in Dedicatione Ecclesiae Lateranensis I and the Historical Liturgical

Traditions of the Lateran, «Archivum Historiae Pontificiae» 21 [1983], 198).

[69] Officium IX: Regnante igitur super amba loca tam<quam> Sanctissimo imperatore contingit illum gravissima teneri infirmitate. L’abbreviazione tā dell’incunabolo veneziano è stata resa in modo paleograficamente corretto con tam da Bachisio Raimondo MOTZO (La passione, 217); tale abbreviazione, presente nell’incunabolo, potrebbe derivare sia dal codice deperdito, utilizzato per la stampa, sia da una errata lettura del medesimo da parte di Pietro de Quarengiis. Nell’incunabolo, peraltro, gli errori di stampa sono numerosi, come avverte Giancarlo ZICHI (Dall’incunabolo del 1497, 14). Sulla base di queste considerazioni ho ritenuto utile emendare tam, presente nelle edizioni dell’Officium, con

tamquam, più corretto anche sotto il profilo grammaticale e logico (L’inventio delle reliquie dei martiri turritani e la figura agiografica di Costantino,

496).

[70] Salvatore Alepus, definito da Pasquale TOLA uno «dei più celebri e dotti arcivescovi della chiesa turritana» (ALEPUS Salvatore, in ID.,

Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, a cura di M. Brigaglia, Nuoro 2001, t. A-C, 112), partecipò al Concilio di Trento e si attivò per

introdurre le riforme nella sua diocesi. Di questo arcivescovo ci sono pervenuti i discorsi tenuti nelle sinodi turritane e nelle visite pastorali (A. RUZZU,

La Chiesa Turritana dall’episcopato di Pietro Spano ad Alepus [1420-1566], Sassari 1974, 173-216) e quello pronunciato in apertura della terza

sessione del Concilio di Trento (Oratio in publica solemni Sessione a resumpto Concilio tertia, ad Patres habita Tridenti undecima mensis octobris,

quae fuit Dominica coena nuptiarum, Venetiis Anno Domini MDLI). Quest’ultima omelia viene definita una praeclara oratio da G.F. Fara (I.F. FARAE, Opera 3. De rebus Sardois libri III-IV, Introduzione, edizione critica, apparato e traduzione italiana a cura di E. Cadoni, Sassari 1992, 294).

Sull’Alepus: G. ALBERIGO, Alepus, Salvatore Alessio, «Dizionario Biografico degli Italiani» 2 (1960), coll. 155-157; A. VIRDIS, Giubilei “Turritani” del

Cinquecento. L’Anno Santo del 1550 e i giubilei del 1552, 1556, 1560 nella diocesi di Sassari, «Sacer» 7 (2000), 39-44.

[71] L’opera, pubblicata presso la tipografia di Valerio Dorico, è stata censita in un catalogo del primo Novecento dal bibliofilo Tammaro DE MARINIS (Cat. De Marinis XI, 1911, no 108, fr. or 40): M. SANDER, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu’à 1530, Milano 1942, vol. I, 48: «283.

Allepus, De. Homelia. Roma, Valerio Dorico, 1532. In-8°. Homelia Revereñ. Dñi Salvatoris de Allepus elec. Archiepi. Turritani in Libellum Certaminis beatorum Martyrum Gavini Prothi et Ianuarii qui Passi sunt in eadem Turritana. A la fin, verso f. 39: Impressum Rome per accuratissimum Magistrum Valerium de Dorich Brixianum. Visum & approbatum per Dominos Vicarium D.N. Papae & Magistrum Sacri palacii Apostolici Anno Virginei Partus. M.D.-XXXII. 40 ff. n. ch., sign.: A-F; car. Rom. Au verso du titre, une lettre. Recto f. 40, bois: St. Laurent. Au verso, autre bois: la “Casa di Loreto”;

au dessous de cette figure, en gros car, goth.: Eterna fac cum sanctis / tuis gloria numerari». Questa omelia dell’Alepus è menzionata nell’inventario dei libri posseduti dal magistrato cagliaritano Monserrat Rosselló (E. CADONI - M.T. LANERI, Umanisti e cultura classica nella Sardegna del ‘500, 3.

L’inventario dei beni e dei libri di Monserrat Rosselló, “Quaderni di Sandalion” 9, Sassari 1994, vol. II, 624: “N. 4085. Salvatoris Allepusii Homilia in

libellum certaminis bb. Martyrum Gavini, Prothi et Ianuarii, 8 fol., Romae 1532”); e in un’opera inedita di Gavino Gillo y Marignacio, che rende noto il nome del dedicatario dell’omelia, l’«Ill.mo Cardenal Hippolito de’ Medicis del Tit. de s. Lorenço in Damaso Vice Cancellario delas Iglesia» e cita anche il titolo di un compendio «Ex serie antique historie compendium autoris Salvatoris Alepusii» (Ms S.P.6.6.27, f. 173, Collezione Baylle della Biblioteca Universitaria di Cagliari, cfr. P. MARTINI, Catalogo della biblioteca sarda del cavaliere Lodovico Baille, Cagliari 1844, 208, n. 591). A questo compendio, evidentemente si riferisce anche Giovanni Francesco Fara nel IV libro De rebus Sardois (I.F. FARAE, Opera, 300), si vedano anche la

Carta familiar e il De primatu. Un fascicolo manoscritto, non datato, conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Sassari (Fondo capitolare, SR 3, n.

16, 8r-8v) fa riferimento all’opera di Salvatore Alepus con queste parole: «la hystoria de san Gavino, Proto y Januario, impressa en Roma y aprobada por el maestro del sacro Palacio, año de 1532 que empieça Serie antique historie Compendium» (secondo Raimondo TURTAS il ms. pare sia stato redatto dopo il 1620, A proposito del condaghe, 229, n. 59).

[72] Il bollandista Benjamin BOSSUE, che ha composto il Commentarius Praevius e le note alla Passio e all’inventio dei martiri turritani per gli

Acta Sanctorum di ottobre, ha ritenuto opportuno non riportare il compendio dell’Alepus, che così sintetizza: «Homilia fere tota consistit in comparanda dedicatione templi Turritani cum consecratione ecclesiæ Lateranensis sub S. Silvestro papa, agente Constantino Magno. Piis, inquit, ille

humeris imponit cophinos Augustus; hic sanctus rex» (Comita) divertens ab oneribus dorsum, mundandas manus extendit in sarculum, et his similia (AASS oct. XI, Brussels 1864, c. 568D).

[73] I. ARCA Sardi, De Sanctis Sardiniae libri tres, Calari 1598, II, 29-30: «Amplificat Augustus solemnem Ecclesiam, erigit princeps aedem

augustam: complent ambo, ille super apostolorum, hic super martyrum corpora altaria erigunt lapidea, intendunt omnes consecrationi dispares non minori impensa, immo aequales a fidei dignitate et principatus effecti».

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[74] Per la storia del mondo cristiano Costantino costituisce «un personaggio a vario titolo nodale», egli è infatti «figura imprescindibile per la comprensione degli ordinamenti istituzionali che la società ha assunto in Europa e non solo» (C. ALZATI – Ş. TURCUŞ, Idea imperiale e continuità

romana. Aspetti del culto di san Costantino in ambito romeno, «Enciclopedia Costantiniana» II, 2013, 501).

[75] S. BOESCH GAJANO, L’agiografia, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra Tarda antichità e Alto Medioevo, XLV Settimana di Studio del CISAM (Spoleto, 3-9 aprile 1997), Spoleto 1998, t. II, 810. La capacità di trasformazione dei testi agiografici dimostra, come sottolinea Henry Fros, che i santi «ne sont pas seulement les intercesseurs et les modèles d’une vie chrétienne, mais qu’ils nous aident aussi à mettre le sceau à une société et à promouvoir sa cohésion» (H. FROS, Cultes des Saints et sentiment national. Quelques aspects du probléme, «AB» 100 [1982], 733).

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