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Il paziente con sepsi grave e shock settico, dal pronto soccorso alla medicina d'urgenza: analisi retrospettiva di un anno di attivita della terapia sub intensiva

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Indice

- Introduzione pag. 2

- Materiali e metodi pag. 31

- Discussione pag. 38

- Conclusioni pag. 47

Riassunto………..……… pag. 48

….

(2)

2

DEFINIZIONE DI SEPSI, SEPSI GRAVE E SHOCK SETTICO

Per circa un secolo, la sepsi è stata definita come una risposta infiammatoria sistemica dell’ospite ad un’infezione.

La reazione dell’ospite all’invasione di un microorganismo coinvolge una miriade di segnali e di risposte che rapidamente si amplificano e che possono estendersi al di là del tessuto invaso.

In Europa, fin dalla definizione data da Schottmuller (1914), i termini “sepsi” e “setticemia” furono identificati come sinonimi e vennero usati per indicare un’infezione batterica generalizzata con batteriemia persistente [1].

Nel 1989-1991, Bone et al. attribuirono alla sindrome settica una definizione molto semplice basata sull’associazione tra sintomatologia clinica e presenza di una sorgente d’infezione documentata .

Nel 1991-1992 i membri dell’American College of Chest Physicians (ACCP) e la Society of Critical Care Medicine (SCCM) svilupparono una definizione più precisa [2].

Essi introdussero il concetto di SIRS, ossia l’attivazione di una reazione infiammatoria sistemica grave, infettiva e non, che si manifesta quando sono presenti due o più tra le seguenti condizioni:

• temperatura corporea >38° C o <36° C; • frequenza cardiaca >90 battiti al minuto;

• frequenza respiratoria >20 atti al minuto oppure PaCO2 <32 mmHg;

(3)

3 • conta leucocitaria >12000/mm3 o < 4000/mm3 oppure >10%

di forme immature.

Per SEPSI si intende una condizione in cui siano presenti contemporaneamente una risposta infiammatoria sistemica associata ad un’infezione presunta e/o

accertata.

Si parla di SEPSI GRAVE quando alla suddetta condizione sia possibile ricondurre una disfunzione d’organo, ipoperfusione o ipotensione.

L’ipotensione determina acidosi metabolica, in particolare acidosi lattica (non riconducibile ad altre cause) e le anomalie della perfusione possono interessare uno o più apparati o sistemi contemporaneamente (cardiovascolare, respiratorio, renale, epatico, coagulazione, sistema nervoso centrale).

Per SHOCK SETTICO si intende una sepsi talmente grave da provocare ipotensione nonostante adeguata infusione di liquidi (fluid resuscitation) e la necessità pertanto, di ricorrere a terapia con farmaci vasopressori e/o inotropi.

Nel 2001 (Levy et al, 2003) si giunse finalmente ad una definizione più accurata formulata dalla Society of Critical Care Medicine (SCCM), la European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), l’American College of Chest Physicians (ACCP), l’American Thoracic Society (ATS) e la Surgical Infection Society (SIS) che sponsorizzarono l’International Sepsis Definitions Conference.

Integrando l’obiettività clinica con alcuni parametri laboratoristici e/o strumentali vennero stilati una serie di criteri diagnostici ben precisi, di seguito elencati [3]:

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4 sepsi, suggerita da un’infezione documentatao sospetta + uno o più dei seguenti elementi:

Variabili generali

• Febbre (temperatura corporea >38. 3°C) • Ipotermia (temperatura corporea <36°C)

• Frequenza cardiaca >90 bpm o >2 DS sopra i valori normali per età (220-età) • Tachipnea >30 atti/min

• Alterazione dello stato mentale

• Edema significativo o bilancio di liquidi positivo (>20 ml/kg nelle 24 h) • Glicemia plasmatica >120 mg/dl in assenza di diabete mellito

Variabili infiammatorie

Leucocitosi >12.000/mm3

Leucopenia < 4.000/mm3

Globuli bianchi normali ma con >10% di forme immature

Proteina C reattiva plasmatica > 2 DS sopra il valore normale

Procalcitonina plasmatica > 2 DS sopra il valore normale

Variabili emodinamiche

• Ipotensione arteriosa (pressione sistolica <90 mmHg, pressione arteriosa

media <70 mmHg oppure riduzione della pressione sistolica >40 mmHg o più negli adulti o di più di 2 DS sotto i valori normali per età)

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5 • Indice cardiaco > 3.5 l/min/mq

Parametri di disfunzione d’organo

Ipossiemia arteriosa (PaO2/FIO2 <300)

Oliguria acuta (urine output < 0.5 ml/kg/h per almeno 2 h)

Aumento creatinina ≥ 0.5 mg/dl rispetto ai valori basali

Alterazione della coagulazione (INR >1.5 o aPTT > 60 s)

Ileo paralitico (assenza di peristalsi)

Trombocitopenia (conta piastrinica <100.000/mm3)

Iperbilirubinemia (bilirubina totale >4 mg/dl)

Parametri di perfusione tissutale

• Aumento dell’acido lattico >3 mmol/l

• Aumento del tempo di riempimento capillare ungueale (> 2 sec) o marezzatura cutanea.

Dal punto di vista eziologico la sepsi può essere causata da qualsiasi classe di microrganismo (più frequentemente batteri, ed in percentuale man mano minore da micobatteri, miceti, protozoi e virus).

Circa il 20-40% dei pazienti con sepsi severa e il 40-70% di quelli con shock settico presentano emocolture positive per batteri o funghi. In particolare approssimativamente il 70% degli isolati risultano essere batteri Gram positivi (Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae) e Gram negativi (Escherichia

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6 coli, Klebsiella e Pseudomonas Aeuruginosa); i restanti sono miceti o associazioni di microrganismi [4].

In pazienti le cui emocolture risultano negative, l’agente eziologico viene spesso stabilito sulla base della coltura o dell’esame microscopico di materiale infetto prelevato localmente. Le sedi di infezione più frequentemente responsabili di sepsi sono il polmone, l’addome e l’apparato urinario [5].

(7)

7

EPIDEMIOLOGIA

L’incidenza di sepsi severa e shock settico è aumentata nel corso degli anni raggiungendo attualmente i 300.000-500.000 casi per anno; circa i 2/3 dei casi si verificano in pazienti ospedalizzati per altre patologie [4].

E’ la seconda causa di morte nelle Unità di Terapia Intensiva.

Il numero di pazienti affetti da sepsi per anno è aumentato da 164.072 nel 1979 a 659.935 nel 2000, un incremento del 13,7% annuo [5].

(8)

8 Le possibili cause dell’aumento d’incidenza della sepsi negli ultimi anni

sono molteplici e verosimilmente imputabili ad una maggiore consapevolezza diagnostica da parte della classe medica. In secondo luogo, è aumentata la popolazione di pazienti a rischio e ciò potrebbe essere dovuto :

• ad un maggior ricorso a procedure invasive;

• all’aumento della sopravvivenza dei pazienti a rischio di sepsi;

• all’invecchiamento della popolazione ed alla sua crescente istituzionalizzazione,

• all’aumentata sopravvivenza dei pazienti con malattie croniche;

• al maggiore ricorso a terapie immunosoppressive, chemioterapie e trapianti; • all’aumento di infezioni da HIV;

• all’aumento delle infezioni ospedaliere ed alla crescente presenza di resistenze antimicrobiche [4,6];

• al miglioramento della tecnologia medica, che pur riducendo la mortalità, ha aumentato la morbilità dei pazienti.

Negli studi di Rossi et al. e del gruppo EPISEPSIS l’età media dei pazienti colpiti è risultata di 61 anni. I focolai di infezione più frequenti sono risultati a livello polmonare ed intra-addominale.

Le colture microbiologiche sono risultate positive nel 58% dei casi [7].

Nel corso del tempo è inoltre variata la frequenza dei microrganismi patogeni responsabili di sepsi: dal 1979 al 1987 responsabili risultavano in massima parte

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9 essere i batteri gram-negativi; nel 2000 invece si assisteva ad una progressiva incidenza di sepsi legate ad infezioni da parte di gram-positivi (52,1% dei casi). Oltre all’incremento delle sepsi da batteri gram-positivi, si è anche registrato un progressivo aumento di infezioni fungine [8,9].

La proporzione di pazienti con sepsi che ha presentato un’insufficienza d’organo, marker di severità della patologia, è aumentata nel tempo dal 19.1% nei primi 11 anni dello studio al 30.2% degli ultimi anni. L’insufficienza d’organo ha un effetto cumulativo sulla mortalità: fino al 70% dei pazienti con insufficienza

multi-organo non sopravvive mentre approssimativamente solo il 15% dei pazienti senza insufficienza d’organo muore. Gli organi che più spesso vanno incontro ad insufficienza sono i polmoni (18% dei pazienti) ed i reni (15% dei pazienti); meno frequentemente si osservano un’insufficienza cardiovascolare (7%), ematologica (6%), metabolica (4%) e neurologica (2%).

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10 La mortalità dei pazienti ospedalizzati è diminuita del 27,8% durante i primi 6 anni dello studio e del 17,9% durante gli ultimi 6 anni [8]. (Fig.2)

Fig. 2: Mortalità nei pazienti ospedalizzati 1979-2000

Nelle Unità di Terapia Intensiva i pazienti settici rimangono ricoverati per lunghi periodi e i costi di cura sono molto elevati. Si calcola che la spesa annua per la cura della sepsi sia di 16,7 miliardi di dollari negli USA.[1]

Secondo lo studio di Martin et al. la cura dei pazienti settici costa $50.000 per paziente e circa 17 miliardi di dollari all’anno negli USA. [7]

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11

FISIOPATOLOGIA DELLA SEPSI

Negli ultimi 25 anni si è assistito ad una progressiva implementazione delle nostre conoscenze in merito alla fisiopatologia della sepsi.

La risposta infiammatoria viene innescata da uno stimolo infettivo che, una volta giunto a contatto con il sangue, viene riconosciuto come estraneo dal sistema immunitario [10,11].

Nell’ambito di queste reazioni, risulta di fondamentale importanza comprendere che e’ la risposta dell’ospite, piuttosto che la natura del microrganismo patogeno, a determinare l’esito del paziente e che tale risposta seppur innescata con fini protettivi può provocare danni collaterali ai tessuti normali [12].

Tra le cellule del sistema immunitario ad entrare per prima in azione, i macrofagi rivestono un ruolo principale nella regolazione della risposta infiammatoria successiva ad un insulto [11]. Recenti ricerche sui batteri gram negativi hanno evidenziato che i recettori toll-like situati sulla superficie dei macrofagi permettono di identificare gli agenti infettivi grazie al riconoscimento del lipopolisaccaride (LPS). Il LPS dei microorganismi gram negativi stimola i macrofagi a produrre citochine, che, a loro volta, attivano le cellule T e B e implementano le risposte immunitarie adattative.

Il TLR4 (Toll-like receptor 4) è il recettore per il lipopolisaccaride. La sua stimolazione induce l’attivazione a livello intracellulare del fattore nucleare kB (NFkB) che a sua volta determina la fosforilazione e la degradazione dell’IkB,

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12 un inibitore del NF-kB, che permette la traslocazione degli eterodimeri di NF-kB al nucleo. Il sistema NF-kB/IkB esercita una regolazione trascrizionale sui geni pro-infiammatori, che codificano varie citochine e molecole di adesione.

L’attivazione del NF-kB permette l’induzione di geni effettori NF-kB dipendenti, come quelli del TNF-α, dell’IL-1, chemochine e molecole di adesione [13].

Le citochine sono un elemento chiave nella risposta infiammatoria alla base di tale patologia. Sono peptidi immunoregolatori con una potente azione infiammatoria e le loro interazioni possono provocare o attenuare il danno tissutale.

Tra le citochine proinfiammatorie troviamo:

• TNFα : è una delle citochine protagoniste nella risposta dell’organismo alla sepsi. La sua azione è mediata dal legame con due differenti recettori

(p55 e p75) localizzati su neutrofili, cellule endoteliali e fibroblasti. Potente mediatore dell'infiammazione locale attiva l'endotelio vascolare, stimola la produzione di ossido nitrico che, determinando vasodilatazione, aumenta la permeabilità vascolare e l'espressione delle molecole di adesione sull'endotelio. Come risultato finale si assiste all'attivazione del complemento, dei linfociti T e B con produzione di immunoglobuline ed al conseguente reclutamento di cellule infiammatorie.

• IL-1: stimola la sintesi ed il rilascio di prostaglandine, ed enzimi litici quali l’ elastasi e la collagenasi; promuove inoltre la migrazione trans-endoteliale dei neutrofili ed attiva le cellule endoteliali che rispondono rilasciando PAF e IL-8, che a sua volta è una citochina chemotattica.

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13 TNFα ed IL-1 sono responsabili dell’inibizione della contrattilità miocardia e dell’aumento della permeabilità vascolare. L’IL-10 ha invece una potente azione antinfiammatoria ed inibisce la produzione di citochine pro-infiammatorie e chemochine. Il bilancio tra citochine proinfiammatorie e antinfiammatorie è cruciale nella risposta dell’ospite alle infezioni [14].

I neutrofili, una volta attivati dai prodotti batterici, migrano rapidamente nel sito dell’infiammazione e lì provocano la distruzione dei microrganismi stessi mediante il processo di degranulazione (liberazione di sostanze litiche dai loro granuli primari e secondari). Tale processo può danneggiare l’organismo stesso e determinare una distruzione microvascolare .

Il danno endoteliale riscontrato durante la sepsi risulta imputabile al contatto con numerose sostanze nocive, le citochine prodotte durante la risposta infiammatoria. Questo danno è causa della trasformazione delle cellule endoteliali da superfici anti-coagulanti a pro-anti-coagulanti; della produzione di sostanze vasoattive con conseguente aumentata permeabilità vascolare e perdita delle funzioni di barriera ed, infine, dell’ induzione dell’apoptosi. A livello clinico questo si traduce in formazione di edema e conseguente ipotensione dovuto alla massiva perdita di liquidi nell’interstizio. A complicare il quadro si generano fenomeni di microtrombosi che sono responsabili dell’insufficienza multiorgano spesso fatale nella sepsi. [9-16].

Altri mediatori dell’infiammazione che giocano un ruolo importante sono:

• le specie reattive dell’ossigeno (ROS), che seppur nella loro azione di difesa contro i micro-organismi possono determinare danno cellulare;

(14)

14 • il nitrossido (NO), responsabile della vasodilatazione resistente alle amine e

della depressione del miocardio caratteristiche dello shock settico;

• l’acido arachidonico (AA), metabolizzato a prostagladine e/o leucotrieni dalla ciclossigenasi o dalla 5’ lipossigenasi, con potenti effetti pro-infiammatori; • il fattore attivante le piastrine (PAF), che, grazie agli effetti diretti

sull’endotelio (stimola l’adesione dei neutrofili) porta a cambiamenti nella forma delle cellule in seguito al rimaneggiamento del citoscheletro. Il risultato finale si traduce in una perdita dei legami intercellulari che contribuisce all’aumentato danno microvascolare con conseguente incrementata permeabilità caratteristica della sepsi;

• eicosanoidi, responsabili di innumerevoli effetti locali quali vasocostrizione, aggregazione piastrinica, infiltrazione dei neutrofili ed aumento della permeabilità vascolare [11,13].

Nel corso della sepsi, l’alterazione del sistema della coagulazione rappresenta un indice di criticità importante: i pirogeni endogeni TNF-α, IL-1 e IL-6 hanno

un’azione endocrina sul fegato e contribuiscono all’innesco della risposta di fase acuta caratterizzata dalla produzione di sostanze ad effetto pro-coagulante in luogo degli anticoagulanti endogeni. Si assiste infatti ad un aumentato rilascio di fibrinogeno e ad una riduzione della produzione di antitrombina con formazione di trombi microvascolari, che alterano la perfusione d’organo promuovendone la disfunzione. Il numero delle piastrine può subire improvvise e drastiche variazioni

(15)

15 fino ad esitare in coagulazione intravascolare disseminata (CID), con conseguente aumento della mortalità.

Alcuni recenti studi hanno proposto un modello di attivazione del

sistema della coagulazione non più basato su quello classico «a cascata» ma su di un sistema di attivazione cellulare [16], dove il fattore tissutale (TF), complessato con il fattore VIIa sulla superficie di membrana (piastrine attivate), sembrerebbe essere il maggiore attivatore della coagulazione in vivo, seguito poi dalla eccessiva produzione di trombina da parte del complesso protrombinasico (fattore Xa e fattore Va).

Il principale stimolo all’avvio del processo fibrinolitico è determinato dalla trombina che promuovendo il rilascio di attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) consente, in presenza di fibrina, la conversione da plasminogeno a plasmina. Quando la produzione di plasmina eccede rispetto alla capacità da parte del suo inibitore specifico, l’α2-antiplasmina, di neutralizzarla, vengono coinvolti anche altri fattori della coagulazione. Il meccanismo deputato all’inibizione della fibrinolisi è

essenzialmente rappresentato dalla sintesi e rilascio di un inibitore specifico di t- PA, il PAI-1, anch’esso di sintesi endoteliale, in grado di complessarsi

irreversibilmente con esso neutralizzandone rapidamente l’attività. [15-17].

L’endotelio, inoltre, sembra rivestire un ruolo fondamentale sia nei processi coagulativi che fibrinolitici.

Infatti l’endotelio provoca sia l’amplificazione dell’infiammazione, che la coagulazione intravascolare. (Fig.3) [18].

(16)

16 Fig. 3: 1) l’endotossina si lega ad un recettore superficiale del macrofago; 2) stimolazione e produzione di TNF-α e IL-1; 3) trascrizione geni proinfiammatori mediante NF-kB; 4) attivazione endotelio e liberazione endotossine e TF; 5) TF lega e attiva il fattore VII innescando la vie estrinseca della coagulazione; 6) Attivazione trombina e formazione di fibrina→formazione del coagulo; 7) la plasmina attivata dal tPA, limita le dimensioni del trombo; 8/9) la trombina è pure in grado di attivare il sistema NF-kB nell’endotelio 10) ciò amplifica la risposta infiammatoria e 11) stimola il PAI ad inattivare il tPA

Tre sono i meccanismi fondamentali di cui l’organismo dispone per impedire il propagarsi del processo infiammatorio e coagulativo: 1) l’ inibitore della via del fattore tissutale, antitrombina, proteina C hanno proprietà antinfiammatoria indiretta e rappresentano gli inibitori fisiologici della coagulazione controllando la formazione della trombina; 2) l’inibitore della via del fattore tissutale (TFPI), che inibisce la formazione di fattore Xa e IXa della cascata coagulativa. [19]; 3) l’ antitrombina (AT) ha una potente attività anticoagulante, perché blocca direttamente la trombina,

(17)

17 ed inibisce diminuendo la formazione di enzimi che portano alla produzione di trombina stessa [18]. Inoltre l’azione dell’AT è aumentata di circa 1000

volte dall’eparina e dai glicosaminoglicani (GAGs) presenti nell’endotelio. Il legame dell’AT ai GAGs induce la produzione di PGI-2 che inibisce la formazione di

citochine e l’attivazione leucocitaria (Fig 4).

Fig.4:1) l’antitrombina: blocca la trombina con meccanismo diretto, 2) i fattori XIIa, IXa e Xa, 3) mediante meccanismo subordinato alla presenza di GAG sull’endotelio o 4) GAG esterni come l’eparina (HP). 5) Infine induce l’endotelio a produrre prostacicline che limitano l’aggregazione piastrinica e la sintesi di citochine proinfiammatorie.

Un altro importante cofattore coinvolto nella genesi e nel perpetuarsi delle disfunzioni legati allo stato settico è rappresentato dalla Proteina C attivata (APC). La APC esplica, infatti, un azione anticoagulante bloccando in maniera selettiva i

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18 fattori Va e VIIIa con conseguente riduzione dei livelli di trombina ed un’azione fibrinolitica formando complessi stabili con i PAI-1 e bloccandone l’azione [18], infine possiede proprietà antinfiammatorie, bloccando l’ NF-kB nei monociti e nelle cellule endoteliali, riducendo la produzione di TNF-α, (Fig.5).

La trombomodulina (TM) nelle cellule endoteliali, legandosi alla trombina, ne modula l’azione: il complesso trombina/TM favorisce l’attivazione della proteina C ed il suo legame al recettore endoteliale.

Fig. 5: l’APC.1) la proteina C viene attivata attivata da T/TM ed EPCR, 2) blocca i fattori Va e VIIIa, 3) diminuisce la sintesi di trombina e riduce la produzione di TAFI, 4) con legame diretto con il PAI favorisce la fibrinolisi, 5) inibisce la sintesi di citochine inibendo il NF-kB dopo legame con EPCR

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19 Pertanto le attuali conoscenze sulla fisiopatologia della sepsi permettono di affermare che infiammazione e coagulazione sono la faccia della stessa medaglia. Infatti l’attivazione dei processi infiammatori e coagulativi è sempre correlata alla produzione di molecole con attività antinfiammatoria, anticoagulante e fibrinolitica ; quindi il tentativo di delimitare l’infezione dipende da un corretto bilancio dei vari componenti di questa rete. La sepsi si verifica in caso di sbilanciamento a favore dei processi infiammatori e coagulativi (Fig. 6) [18].

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CLINICA E PRINCIPI DI TERAPIA

Identificare un paziente con sepsi in emergenza-urgenza risulta per il clinico una problematica di non semplice soluzione in quanto l’obiettività clinica ed i dati laboratoristici possono essere a volte molto aspecifici. In determinate categorie di pazienti infatti, anziani, alcolisti, immunocompromessi, e/o defedati la clinica rimane molto subdola anche in presenza di una grave infezione; in questi casi è possibile registrare ad esempio la sola presenza di alterazione dello stato cognitivo, anche in assenza di alterazione della curva termica. Nella sepsi grave, le manifestazioni cliniche della disfunzione e/o ipoperfusione d’organo si presentano ancor prima dei segni della SIRS. A volte è possibile documentare la presenza di segni e sintomi riconducibili al sito d’infezione come disuria e dolore in regione lombare nell’urosepsi; tosse con escreato purulento e tachipnea nella polmonite; diarrea e dolore addominale in quella di pertinenza gastroenterica.

Nella maggiore parte dei casi vengono registrati:

• alterazioni della temperatura corporea, più frequentemente ipertermia dovuto al rilascio in circolo di citochine; se presente invece ipotermia, questa si associa ad una prognosi peggiore;

• alterazioni degli scambi gassosi con ipossiemia, riduzione della saturazione arteriosa di O2 e del rapporto PaO2/FiO2, dovuta alle variazioni del rapporto ventilazione-perfusione caratteristiche del danno polmonare acuto. Circa un quarto dei pazienti con shock settico sviluppa la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Dal punto di vista eziologico tale sindrome può essere causata da due

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21 meccanismi: uno stimolo tossico diretto, come in caso di aspirazione di contenuto gastrico, inalazione di sostanze tossiche o trauma toracico chiuso; oppure da insulti sistemici (sepsi, trauma, politrasfusioni, pancreatiti), che determinano il rilascio di numerosi mediatori [TNF-alfa, NO, PMN] responsabili dei danni polmonari. [20-21] I criteri clinici per la diagnosi di ARDS, proposti dall’”American-European Consensus Conference” del 1994 sono i seguenti:

 esordio acuto;

 infiltrati bilaterali all’Rx-torace;

 pressione di incuneamento polmonare (PAWP) < 18 mmHg o assenza di evidenza clinica di ipertensione atriale sinistra;

 rapporto PaO2/FiO2 < 200 [22,23].

Da un punto di vista fisiopatologico ed anatomopatologico è possibile distinguere tre stadi: il primo, definito essudativo e caratterizzato da accumulo negli spazi alveolari di fluido, proteine e cellule infiammatorie, provenienti dai capillari; il secondo definito fibro-proliferativo, con deposizione di tessuto connettivo in risposta allo stimolo nocivo ed infine lo stadio della risoluzione e guarigione. La terapia si basa sull’impiego di una particolare modalità di ventilazione meccanica con intubazione endotracheale, che può esitare in una minima ritenzione di CO2, definita “ ipercapnia permissiva”.Viene impiegata una pressione inspiratoria di picco al di sotto di 35 cmH2O, volumi tidal di 6 ml/Kg e una ‘pressione positiva tele-espiratoria esterna’ (PEEP) tra 10-15 cmH2O, in modo da evitare l’atelettasia da compressione e limitare il collasso fasico delle vie aeree [24]. L’esito risulta essere

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22 infausto nei casi non responsivi e/o non prontamente diagnosticati con una mortalità del 60% per evoluzione verso una MOF. Tra i sopravvissuti si assiste nella maggior parte dei casi al recupero della normale funzione respiratoria in genere entro 6-12 mesi dall’episodio acuto mentre in minima parte si registra l’evoluzione in fibrosi e quindi in una sindrome restrittiva [25,26].

• alterazioni cardio-circolatorie, a genesi multifattoriale, caratterizzate da ipotensione arteriosa e tachicardia. Nelle fasi iniziali dello shock settico l’ipotensione è imputabile all’ipovolemia assoluta legata alla perdita di liquidi da perspiratio, vomito, diarrea e/o ridotta introduzione e, ad un’ipovolemia relativa dovuta al pooling venoso ed all’essudazione nello spazio interstiziale. A questo si associa talvolta riduzione della frazione di eiezione per depressione delle performance cardiaca dovuto al danno da citochine infiammatorie. Dopo un’adeguata infusione di fluidi, l’ipotensione non corretta, è imputabile alla riduzione delle resistenze vascolari periferiche da vasodilatazione, anche questo esito del suddetto danno.

• manifestazioni renali con rilievo di oligoanuria, aumento di urea e creatinina. Anche l’eziologia di tale danno risulta essere multifattoriale e legata ad ipopefusione da ipotensione e disidratazione; danno endoteliale imputabile a trombosi del microcircolo e tossicità da citochine ed infine danno da riperfusione;

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23 APTT, D-dimero e diminuzione delle piastrine sono le manifestazioni più frequenti in corso di sepsi; nei casi più gravi tali alterazioni possono evolvere fino alla CID, responsabile dell’exitus del paziente;

• alterazioni della funzionalità epatica con incremento della bilirubina diretta (imputabile a colestasi intraepatica), degli enzimi di lisi epatica ed in particolare con AST ed ALT maggiori di 2000 U/l ed incremento dell’LDH per valori doppi rispetto ai precedenti; tale situazione si configura come un danno ischemico da necrosi centro lobulare (“fegato da shock”), evenienza comunque rara con tale gravità;

• infine alterazioni a carico del sistema nervoso centrale caratterizzate da confusione, letargia fino al coma per alterazioni del flusso cerebrale [27-28].

L’approccio del medico d’urgenza a tale patologia dovrebbe basarsi, come per altre gravi patologie tempo-dipendenti quali l’ictus e/o l’infarto, sulla precocità della diagnosi. Nel corso degli anni messaggio sempre più insistente da parte degli esperti è stato quello dell’ identificazione e definizione di tempi entro i quali era necessario se non obbligatorio raggiungere determinati obiettivi terapeutici. Da questo nasce la terapia della spesi severa e dello shock settico basata sull’EGDT (Early Goal-Directed Therapy), in cui viene individuato come cut-off temporale entro cui raggiungere la stabilizzazione emodinamica del paziente ed intraprendere un’antibioticoterapia empirica, basata sul sospetto diagnostico del focolaio infettivo più probabile, entro 6 ore dall’accesso in DEA. Numerosi studi hanno infatti

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24 confermato un miglior out come nei paziente che ricevevano un approccio più tempestivo. [28]

Durante le prime 6 ore gli obiettivi della rianimazione di un paziente con shock settico dovrebbero essere volti ad ottimizzare i seguenti parametri:

• raggiungere una saturazione di O2>95% con ossigenoterapia , e se necessario ricorrere all’intubazione endotracheale ed alla ventilazione meccanica;

• in presenza di ipotensione (PAS < 90 mmHg, e MAP < 65 mmHg) e/o con lattato>4 mmol/l infondere un bolo di 20-40 ml/kg di cristalloidi in 30-60 minuti;

• qualora dovesse persistere ipotensione anche dopo la fluid challenge, raggiungere una PVC di 8-12 mmHg con l’infusione di boli di 500 ml di cristalloidi ogni 30 minuti;

• una volta raggiunta una PCV pari a 8-12 mmHg e/o qualora non fosse disponibile la misurazione della PVC, in presenza di una PAS < a 90mmHg e di una MAP > a 65 mmHg intraprendere terapia con agenti vasopressori; in particolare viene considerato comunemente terapia di prima linea l’uso di noradrenalina (al dosaggio iniziale di 5 microg/min ev), con successiva associazione con dopamina (al dosaggio iniziale di 5 microg/Kg/min) in caso di persistenza di MAP < 65 mmHg. Come terapia di terza linea, in caso di insuccesso dei primi due vasopressori, considerare l’introduzione di adrenalina al dosaggio iniziale di 2 microg/min.

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25 • raggiungere una ScvO2 pari al 70%. Se dopo normalizzazione della PVC, della MAP e della SO2 dovesse persistere una ScvO2 e/o un lattato > 4 mmol/l, considerare di ricorrere ad emotrasfusione con emazie concentrate per valori di emoglobina inferiori a 7 g/dl e di ematocrito pari al 30% (in tal modo si cerca di incrementare la capacità di trasporto dell’ossigeno). Se nonostante l’ematocrito raggiunga valori superiori al 30%, dovesse persistere una ScvO2 < al 70% considerare l’introduzione di dobutamina (per migliorare la performance cardiaca al dosaggio di 2-20 microg/Kg/min).

In aggiunta e contemporaneamente alla suddetta terapia, risulta di fondamentale importanza intraprendere nel più breve tempo possibile, raccomandabile entro un’ora dall’accesso al DEA, un’antibioticoterapia empirica ad ampio spettro mirata sulla probabile fonte d’infezione e sulle caratteristiche de paziente. L’antibioticoterapia va intrapresa previo prelievo di emocolture. Almeno due set di emocolture dovrebbero essere ottenuti da siti di puntura differenti. Se presente un CVC da più di 48 ore, dovrebbe essere prelevato un campione da ciascun lume del catetere. Qualora invece si sospetti un’infezione della cannula, questa dovrebbe essere rimossa ed inviata la punta ad analizzare. La terapia antibiotica verrà in seguito sostituita ed ottimizzata in relazione ai dati colturali ottenuti.

Controverso risulta invece l’utilizzo della proteina C attivata umana ricombinante (rhAPC) . La rhAPC è una proteina endogena con proprietà antiinfiammatorie ed anticoagulanti e sembra essere in grado di migliorare l’outcome dei pazienti con

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26 shock settico. Trova indicazione, se somministrata entro 24 ore dall’insorgenza dell’ipotensione, in pazienti con shock settico con punteggio APACHE II pari o superiore a 25 in assenza di controindicazioni (rischio di emorragia, piastrinopenia, recente intervento chirurgico).

L’uso di plasma fresco congelato è riservato ai pazienti con anomalie della coagulazione, in previsione di eventuali interventi chirurgici e/o manovre invasive e nel caso di diatesi emorragica, mentre i concentrati piastrinici sono indicati se la conta è <5000/mm3. (piastrine >50000/mm3 se previsti interventi chirurgici).

Di fondamentale importanza è inoltre il controllo glicemico.

E’ noto infatti che l’iperglicemia costituisce uno stimolo per l’attivazione di PAI-1, con conseguente blocco della fibrinolisi [29]. In caso di shock settico la glicemia dovrebbe oscillare in un range di 80 – 110 mg/dl. Il buon controllo glucidico sembrerebbe ridurre del 40% il rischio di morte nei pazienti trattati rispetto ai controlli.

Sono, infine, importanti la profilassi per la trombosi venosa profonda (TVP) e per l’ulcera da stress [30-31].

Qualora dovesse risultare necessario ricorrere ad un supporto renale, recenti trials hanno dimostrato l’equivalenza tra l’emofiltrazione continua veno-venosa e la dialisi intermittente .

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27

BIOMARKERS

La maggior parte degli indicatori di infiammazione utilizzati di routine nella diagnosi di sepsi sono poco specifici e non consentono una sicura stratificazione prognostica. Accanto agli indici più convenzionali (conta dei globuli bianchi, valori della coagulazione, del lattato e della PCR), negli ultimi anni si è sempre più rafforzata l’ipotesi che la PCT possa essere un buon indice prognostico, in particolare nella sepsi-grave e shock settico.

• la PROTEINA C-reattiva è una proteina di fase acuta, sintetizzata a livello epatico in risposta a stimoli infiammatori (si ritrova infatti a valori elevati anche in corso di malattie autoimmuni) ed infettivi [32,33]. In considerazione della sua cinetica di induzione (circa 2-3 giorni) e di eliminazione (emivita biologica di circa 1 giorno) non può essere utilizzata per una diagnosi precoce né come unico markers nel monitoraggio della risposta alla terapia intrapresa [34,35].Inoltre i livelli sierici non correlano con la severità di malattia né con gli indici maggiormente utilizzati a tal fine (SOFA);

• il dosaggio dei GLOBULI BIANCHI si è dimostrato poco specifico (SP) nella discriminazione di quadri infiammatori da settici (v.n. 4,2 – 12,4 x10^9 /L) [36]

l’IL-6 è una citochina pro-infiammatoria. È sintetizzata da diversi tipi di cellule, in particolare monocitarie del sangue (stimolazione acuta) e da cellule endoteliali (per malattie di durata più lunga). La sua induzione avviene rapidamente (è un indicatore precoce di sepsi postoperatoria dopo chirurgia oncologica) [32,33] così come altrettanto rapida è la sua cinetica di eliminazione (qualche ora). Possiede un

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28 ruolo centrale nell’indurre la sintesi di proteina di fase acuta come la PCR e la LPB (lipopoysaccharide-binding protein). Non è specifica per la diagnosi di sepsi in quanto può essere indotta sia in caso di infezioni batteriche che virali, in corso di malattie autoimmuni e traumi tissutali [37,38];

• la CONTA PIASTRINICA, rappresenta un elemento molto importante da monitorare in corso di sepsi poiché si può assistere ad una precoce attivazione di meccanismi che conducono ad un loro maggiore consumo fino a quadri conclamati di CID (v.n. 150 – 450 x 10^9/L).

• il PT, indicando la quantità totale di protrombina presente nel sangue, fornisce una misurazione indiretta della via di attivazione estrinseca della coagulazione (v.n. 75 – 112%). Numerosi dati in letteratura confermano [39,40] che frequenti alterazioni del PT sono già presenti nelle fasi iniziali della sepsi ad indicare una coagulopatia tipica che spesso compare anche prima della diagnosi;

• la PROCALCITONICA (PCT) è precursore, pro-ormone, della calcitonina ed è sintetizzata da tessuto neuroendocrino extratiroideo presente nell’organismo, a seguito dell’attivazione della trascrizione e traduzione del gene CALC-I in corso di infezioni batteriche [41,42].

L’induzione della PCT può essere provocata da numerosi stimoli, sia in vivo che in vitro; più importanti per la sua produzione sono rappresentati da endotossine batteriche e le citochine pro-infiammatorie. In seguito all’induzione, concentrazioni plasmatiche significative, vengono raggiunte dopo 6 ore, con valori di picco dopo

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12-29 48 ore. L’emivita osservata è di circa 25/30h [43], e tali valori diminuiscono rapidamente nei giorni successivi.

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno confermato l’ipotesi che la PCT possa essere considerato un buon indice prognostico, in particolare nella sepsi-grave e shock settico. In questi studi si è inoltre cercato di individuare un cut-off ideale per stabilire la gravità di malattia. Tale valore risulta essere uguale e/o superiore a 2µg/L. Si è infatti riscontrato che spesso i pazienti con sepsi grave-shock settico in cui la patologia progredisce fino a condurre ad un esito infausto, presentano dei valori al momento della diagnosi più elevati rispetti ai pazienti con prognosi favorevole e in netto rialzo durante il periodo di osservazione [43, 44, 40] .

Di fondamentale importanza risulta inoltre in tale setting, non solo il valore assoluto di tale biomarker, preferibilmente appurato prima dell’inizio dell’antibioticoterapia ma il suo andamento nel tempo. Indice del successo della terapia antibiotica è rappresentato da una riduzione dei valori di PCT pari al 30-50% al giorno rispetto al valore iniziale nei primissimi giorni di terapia fino alla sua completa normalizzazione.

Uno studio francese, realizzato nel 2004 su 75 pazienti affetti da sepsi o shock settico, ha concluso che dosaggi elevati di PCT hanno valore prognostico negativo in una percentuale significativa di casi [46].

In confronto alla PCR, la PCT presenta caratteristiche di cinetica più adatte alla precocità di diagnosi fondamentale in tale patologia ed inoltre rispetto ad essa,risulta più affidabile in termini sia di sensibilità che di specificità nella valutazione

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30 della severità, della prognosi e del decorso clinico nei pazienti con sepsi severa e shock settico [47,48]. Tale superiorità della PCT rispetto ai bio-marker utilizzati di routine nella pratica clinica [43] è stato confermato da un recente studio condotto presso l’Università di Copenaghen (tra Febbraio 2005 e 2006). Risultati analoghi erano stati ottenuti negli studi condotti da Harbarth et al. nel 2001

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MATERIALI E METODI

La presente tesi si basa su un’analisi retrospettiva delle cartelle mediche dei pazienti ricoverati con diagnosi di sepsi

Terapia Sub-Intensiva della U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera provenienti dal Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero di Cisanello.

La popolazione in esame è costituita da 47 pazienti, 23 uomini e 24 donne.

L’età media complessiva della popolazione si attesta intorno a

l’età media per sesso è pari a 71,34 anni per gli uomini e 84,04 anni per le donne. donne

51%

pazienti ricoverati in Sub

60 65 70 75 80 85 età uomini 71

età media pazienti

La presente tesi si basa su un’analisi retrospettiva delle cartelle mediche dei pazienti ricoverati con diagnosi di sepsi-sepsi severa-shock settico nell’anno 2013 presso la della U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera provenienti dal Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero di Cisanello.

La popolazione in esame è costituita da 47 pazienti, 23 uomini e 24 donne.

L’età media complessiva della popolazione si attesta intorno ai 77,67 anni, mentre l’età media per sesso è pari a 71,34 anni per gli uomini e 84,04 anni per le donne.

uomini 49% donne

51%

pazienti ricoverati in Sub-UTI con sepsi nel 2013

età donne 84

31 La presente tesi si basa su un’analisi retrospettiva delle cartelle mediche dei pazienti shock settico nell’anno 2013 presso la della U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera provenienti dal

La popolazione in esame è costituita da 47 pazienti, 23 uomini e 24 donne.

i 77,67 anni, mentre l’età media per sesso è pari a 71,34 anni per gli uomini e 84,04 anni per le donne.

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Da una prima analisi si può constatare come la nostra popolazione si distacchi in maniera significativa per età dalla popolazione presa in esame nei

in letteratura in merito a tale patologia, dove l’età media della popolazione si aggira intorno ai 60 anni. Altra differenza fondamentale è il differente setting di tali pazienti, essendo per lo più post-chirurgici nei dai di letteratu

nostra popolazione. Cio’ rende conto della differenza di età basata soprattutto sulle numerose comorbidità presenti nella nostra popolazione in esame.

Come si può evincere dai dati sopra riportati, la nostra popolazione

un’elevata percentuale dei casi ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco prevalentemente su base ischemica, BPCO, encefalopatia vascolare ischemica cronica con grado variabile di decadimento cognitivo e sindrome da immobilizzazione con ulcere sacrali e calcaneari.

encefalopatia vascolare ischemica cronica 17% carcinoma 7% epatopatia 2% sindrome da immobilizzazione 10% disturbo umore 7%

Da una prima analisi si può constatare come la nostra popolazione si distacchi in maniera significativa per età dalla popolazione presa in esame nei

in letteratura in merito a tale patologia, dove l’età media della popolazione si aggira intorno ai 60 anni. Altra differenza fondamentale è il differente setting di tali pazienti, chirurgici nei dai di letteratura, ed invece internistici nella nostra popolazione. Cio’ rende conto della differenza di età basata soprattutto sulle numerose comorbidità presenti nella nostra popolazione in esame.

Come si può evincere dai dati sopra riportati, la nostra popolazione

un’elevata percentuale dei casi ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco prevalentemente su base ischemica, BPCO, encefalopatia vascolare ischemica cronica con grado variabile di decadimento cognitivo e sindrome da

e sacrali e calcaneari.

diabete mellito tipo 2 7% scompenso cardiaco IRC BPCO 5% FA 5% ipertensione arteriosa 15% disturbo umore M. di Parkinson 5% comorbidità 32 Da una prima analisi si può constatare come la nostra popolazione si distacchi in maniera significativa per età dalla popolazione presa in esame nei vari studi presenti in letteratura in merito a tale patologia, dove l’età media della popolazione si aggira intorno ai 60 anni. Altra differenza fondamentale è il differente setting di tali pazienti, ra, ed invece internistici nella nostra popolazione. Cio’ rende conto della differenza di età basata soprattutto sulle

Come si può evincere dai dati sopra riportati, la nostra popolazione presenta in un’elevata percentuale dei casi ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco prevalentemente su base ischemica, BPCO, encefalopatia vascolare ischemica cronica con grado variabile di decadimento cognitivo e sindrome da

diabete mellito tipo

scompenso cardiaco 15% IRC 5% BPCO 5%

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33 Dato non di poco rilievo è che 4 dei nostri pazienti risultavano istituzionalizzati (residenti in RSA) e 2 erano già portatori all’accesso in PS di catetere vescicale e catetere venoso centrale tipo PICC.

All’accesso in Pronto Soccorso, i 47 pazienti venivano ricoverati in Terapia Sub-Intensiva rispettivamente con diagnosi di: sepsi (20 pz), sepsi severa (3 pz), shock settico (14 pz), altro – in cui vengono comprese diagnosi come iperpiressia, riacutizzazione di BPCO, febbre di ndd - (10 pz).

Dall’analisi delle cartelle della Terapia Sub-Intensiva si può constatare come le diagnosi poste in Pronto Soccorso variassero rispettivamente nell’ordine seguente: sepsi (24 pz), sepsi severa (5 pz), shock settico (14 pz), riducendosi drasticamente i pazienti inquadrati nella dizione “altro” che si ridistribuivano tra la sepsi e la sepsi severa.

Analizzando lo stesso campione di pazienti secondo i criteri diagnostici di Levy (Levy et al Crit Care Med 2003), di seguito riportati nella tabella come “diagnosi ideale”, si può constatare come le diagnosi di sepsi più o meno si equivalgono nei 2 setting in esame rispetto ai criteri di letteratura, mentre viene drasticamente sottostimata la diagnosi di sepsi severa e sovrastimata quella di shock settico.

Diagnosi in PS Diagnosi in Sub-UTI Diagnosi ideale*

Sepsi 20 24 16

Sepsi severa 3 5 22 Shock settico 14 14 8 Altro 10 4 1

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34 Per quanto concerne l’individuazione del focolaio infettivo, dall’analisi dei dati in Pronto Soccorso ed in Terapia Sub-Intensiva, si può constatare come non emerga alcuna problematica sulla diagnostica strumentale, ed invece, importanti criticità sulla diagnostica di laboratorio (es.: adeguato utilizzo PCT, invio emocolture prima di intraprendere antibioticoterapia empirica).

Indivuduazione focolaio infettivo Diagnosi in PS Diagnosi in Sub-UTI

Diagnosi strumentale 47/47 47/47 Diagnosi di laboratorio - PCT 9/47 9/47 - Emocolture 1/47 4/47 - Urinocolture 0/47 2/47 - Es. espettorato 0/47 0/47 - Es. liquor 0/47 0/47 - Tamponi (sedi varie) 0/47 1/47

Tale condizione viene confermata dalla netta prevalenza di diagnosi, sia in Pronto Soccorso che in Terapia Sub-Intensiva, riconducibili ad un focus infettivo facilmente rilevabile con metodiche di imaging (es. addensamento polmonare, colecistite acuta).

(35)

Una chiave di lettura dei dati sopra riportati può essere trovata nel fatto che risulta difficile riuscire ad attuare una diagnostica di laboratorio di secondo livello in Pronto Soccorso, dato il bacino di utenza dello stesso e la numerosità giornaliera degl accessi, mentre in Sub-Intensiva viene talvolta non considerata in quanto rimandabile ai Reparti ad intensità di cura

risoltasi la fase acuta e quindi stabilizzati. Infatti solo pochissimi pazienti v

Intensiva, in particolare solo 5 dei 47 pazienti in esame, mentre la maggior parte viene trasferita in reparto di medicina interna (18 pz), e soltanto una minoranza (3 pz), vengono trasferiti verso intensità di

Questi pazienti hanno rispetto alla media un’età

pari a 60 anni). In considerazione delle importanti comorbidità e dell’età media dei pazienti il numero dei decessi si attesta intorn

polmonite 30% IVU 13% colecistite 4% endocardite 2% colangite 2% ascesso epatico2%

a chiave di lettura dei dati sopra riportati può essere trovata nel fatto che risulta difficile riuscire ad attuare una diagnostica di laboratorio di secondo livello in Pronto Soccorso, dato il bacino di utenza dello stesso e la numerosità giornaliera degl

Intensiva viene talvolta non considerata in quanto rimandabile ai Reparti ad intensità di cura inferiore, dove i pazienti vengono destinati una volta risoltasi la fase acuta e quindi stabilizzati.

Infatti solo pochissimi pazienti vengono direttamente dimessi dalla Terapia Sub , in particolare solo 5 dei 47 pazienti in esame, mentre la maggior parte viene trasferita in reparto di medicina interna (18 pz), e soltanto una minoranza (3 pz), vengono trasferiti verso intensità di cura superiore (U.O. di Rianimazione) Questi pazienti hanno rispetto alla media un’età comunque inferiore (

. In considerazione delle importanti comorbidità e dell’età media dei pazienti il numero dei decessi si attesta intorno a 14 pazienti.

non noto 45% ascesso epatico 2% erisipela 2%

focolaio infettivo

35 a chiave di lettura dei dati sopra riportati può essere trovata nel fatto che risulta difficile riuscire ad attuare una diagnostica di laboratorio di secondo livello in Pronto Soccorso, dato il bacino di utenza dello stesso e la numerosità giornaliera degli Intensiva viene talvolta non considerata in quanto rimandabile , dove i pazienti vengono destinati una volta

engono direttamente dimessi dalla Terapia Sub-, in particolare solo 5 dei 47 pazienti in esameSub-, mentre la maggior parte viene trasferita in reparto di medicina interna (18 pz), e soltanto una minoranza (3 e (U.O. di Rianimazione). inferiore (media di età . In considerazione delle importanti comorbidità e dell’età media dei

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La media dei giorni di ricovero in Terapia Sub

particolare per i pazienti con sepsi si aggira intorno ai 3,6 giorni; 4,7 per i pazienti con sepsi severa e 4,62 per quelli con shock settico.

Per quanto concerne l’impostazione di una terapia medica adeguata, punto chiave del protocollo di Rivers in merito al trattamento dello shock settico

geriatria 9% rianimazione 6% gastroenterologia 2% malattie infettive 2% pneumologia 2%

destino

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5 5 1 2

sepsi sepsi severa 3,6

media dei giorni di ricovero in Terapia Sub-Intensiva è pari a 4,4 giorni; in per i pazienti con sepsi si aggira intorno ai 3,6 giorni; 4,7 per i pazienti con sepsi severa e 4,62 per quelli con shock settico.

o concerne l’impostazione di una terapia medica adeguata, punto chiave del protocollo di Rivers in merito al trattamento dello shock settico -EGDT

deceduti 30% medicina interna 38% pneumologia dimessi 11% 3 4

sepsi severa shock settico

4,7 4,62

giorni di degenza

36 è pari a 4,4 giorni; in per i pazienti con sepsi si aggira intorno ai 3,6 giorni; 4,7 per i pazienti

o concerne l’impostazione di una terapia medica adeguata, punto chiave del EGDT-, da attuarsi medicina interna

38%

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37 nelle prime 6 ore di permanenza del paziente in ospedale, l’analisi dei dati della nostra popolazione consente diverse considerazioni:

- viene sempre attuato un adeguato e tempestivo trattamento dei pazienti con shock settico secondo EGDT;

- viene però sottostimata, secondo le linee guida di Levy, la diagnosi di sepsi severa versus quella di sepsi, verosimilmente per la difficoltà di individuare nella compromissione d’organo uno step successivo nella gravità della patologia. A questo proposito potrebbe essere utilizzato ad esempio il SOFA (illustrato nel paragrafo successivo di questa tesi) come strumento di valutazione del danno d’organo;

- viene sovrastimata la diagnosi di shock settico versus quella di sepsi severa, probabilmente per un inadeguato riempimento volemico – o un’attesa non congrua prima di intraprendere la terapia con amine. Da ciò risulta di fondamentale importanza l’applicazione di un protocollo condiviso nel trattamento di questa patologia così complessa e dalle mille sfaccettature.

Diagnosi/Trattamento Pronto Soccorso Terapia Sub-Intensiva Diagnosi ideale

sepsi 20/6 24/24 16

sepsi severa 3/2 5/5 22

shock settico 14/14 14/14 8

(38)

38

DISCUSSIONE

PROPOSTA GESTIONE SEPSI SEVERA E SHOCK SETTICO IN SUB-UTI

(diagnosi effettuata secondo i criteri di Levy et al Crit Care Med 2003)

Scopo della seguente tesi è quello di proporre dalla revisione dei dati di letteratura, (interamente basati su studi condotti in Unità di Terapia Intensiva), e dall’analisi delle cartelle dei pazienti ricoverati presso la Sub-Intensiva della U.O. di Medicina d’Urgenza e d’Accettazione di questo Presidio Ospedaliero con diagnosi di sepsi severa e shock settico nell’anno 2013, un protocollo di gestione della suddetta patologia che riesca a conciliare le esigenze cliniche con le risorse più limitate (in termine di monitoraggio invasivo del paziente) di questo setting senza perdere di appropriatezza diagnostica e terapeutica.

All’accesso in PS, al paziente con sospetta sepsi severa e/o shock settico (secondo i criteri di Levy et al Crit Care Med 2003), una volta rilevati i parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, temperatura corporea, frequenza respiratoria e saturazione di ossigeno), vengono eseguiti emogasanalisi ed esami ematochimici specifici volti ad inquadrare la presenza ed il grado di compromissione d’organo (emocromo, creatinina, elettroliti, funzionalità epatica, bilirubina, coagulazione, fibrinogeno, PCR, PCT, lattati se non presenti su EGA); e disposto per monitoraggio della diuresi. Dovrebbero essere prelevate emocolture (campioni per aerobi ed anaerobi) da vena periferica e, se presente qualsiasi tipologia di catetere venoso centrale, anche da quest’ultimo se in sede da più di 48 ore. Dovrebbero essere inoltre eseguiti, una volta stabilizzato il paziente, esami strumentali, volti ad individuare il

(39)

39 focolaio infettivo ed intrapresa la terapia di supporto (stabilizzazione emodinamica secondo EGDT ed assistenza ventilatoria non-ed-invasiva, se necessario) ed antibioticoterapia empirica a largo spettro.

All’accesso in Terapia Sub-Intensiva, il monitoraggio clinico e bio-umorale del paziente dovrebbe seguire i seguenti punti:

• tutti i giorni compilare la seguente scheda di rilevazione parametri vitali e monitoraggio funzione respiratoria

Mattino Pomeriggio Sera PA sistolica PA diastolica PA media (MAP) Frequenza cardiaca Ritmo sinusale Si No Si No Si No Temperatura corporea Diuresi (pref. ml/h)

Farmaci vasoattivi mcg/kg/min Dopamina Noradrenalina Dobutamina Adrenalina Altro Diuretico Fluidi somministrati Cristallodi ml/24h Albumina 20% g/24 Colloidi ml 24/h Emazie Concentrate Unità/24h

Plasma fresco congelato ml/24h

Concentrato piastrinico Unità/24h

(40)

40

Legenda

- Per le rilevazioni emodinamiche inserire i valori peggiori delle 24h

- Per il calcolo della MAP utilizzare la formula (PA sistolica-PA diastolica)/3+ PA diastolica - Per i farmaci vasoattivi inserire il dosaggio massimo raggiunto nelle 24h

- Per il calcolo del bilancio utilizzare lo schema allegato: - Bilancio = Entrate - Uscite

- Entrate = sommare i volumi di tutte le infusioni endovenose delle 24h + 1/2 volumi somministrati per via enterica

- Uscite = sommare i volumi della diuresi + eventuali liquidi drenaggio + sondino naso gastrico + eventuali stomie + 0,5ml/kg/die (perspiratio)

- Segnare + se il bilancio è positivo tra 0 e 1000ml; ++ tra 1000 e 2000 ml; +++ se oltre i 2000ml - Segnare - se il bilancio è negativo tra 0 e 1000ml; -- tra 1000 e 2000 ml; --- se oltre i 2000ml

Profilo respiratorio

mattina pomeriggio sera Ossigenoterapia Cannule nasali Maschera di venturi Modalità ventilazione FiO2 PEEP ASB Altro EGA pH paO2 pCO2 HCO3 BE LATTATI Legenda

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41 • Solamente in prima giornata di ricovero raccogliere i seguenti dati al fine di

inquadrare il paziente con eventuali indici di gravità:

Iniziali Età Sesso Peso (kg) Altezza (cm)

Tipologia di ricovero M ChU ChE Provenienza RM RC PS

Comorbidità Tumore solido

Tumore con metastasi

Chemio-radioterapia (< 6 mesi)

Immunodepressione Neoplasia Ematologica Diabete mellito insulino-dipendente

Terapia farmacologica Statine

β-bloccante

Terapia cortisonica cronica

Terapia immunosoppressiva SAPS II

Legenda

M=ricovero medico, ChU=ricovero chirurgico urgente, ChE= ricovero chirurgico elettivo, RM= Reparto Medico, RC=Reparto Chirurgico, PS=Pronto Soccorso

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42 Il SAPS II è un sistema che consente di valutare il rischio di mortalità nei pazienti in Terapia Intensiva e quindi, confrontando la mortalità osservata nelle T.I. con quella predetta dal modello statistico in questione, di valutare il SMR (Standardized Mortality Ratio), comunemente usato per stimare le prestazioni delle T.I. [50].

Il SAPS II permette di confrontare dati tra pazienti eterogenei per età, sesso, malattie croniche, malattie sottostanti, severità della malattia attuale, assegnando punteggi diversi a seconda della categoria a cui appartengono i pazienti studiati [51]. Il SAPS II oltre a questi valuta anche numerosi parametri fisiologici quali: frequenza cardiaca, pressione arteriosa sistolica, temperatura corporea, PaO2/FiO2 ratio, flusso urinario, conta globuli bianchi, urea, sodio, potassio, bicarbonati, bilirubina, GCS. Assegnando i diversi punteggi vanno considerati i valori peggiori nelle 24 ore.

(43)

43 • Tutti i giorni e/o a discrezione del medico monitoraggio dei seguenti parametri

bio-umorali e calcolo di indice di gravità (SOFA).

Il SOFA è uno strumento per descrivere l’estensione della disfunzione d’organo nei pazienti critici al momento dell’ammissione in Terapia Intensiva e la sua variazione durante la degenza [52]. Bisogna infatti tener presente che l’insufficienza d’organo non può essere vista come fenomeno del tutto-o-nulla, ma come un continuum di alterazioni.

Il SOFA permette di descrivere la disfunzione d’organo sulla base di variabili semplici, specifiche dell’organo o sistema in questione [53]: esso è composto dalla somma dei punteggi (che vanno da 0 a 4 a seconda della gravità) ognuno dei seguenti sistemi: respiratorio, cardiovascolare, epatico, coagulazione, renale e neurologico.

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44 Profilo di laboratorio GB GR Hb PLT %neut %linf Aptt PT INR D-Dimero Na K Cl Ca Bilirubina GOT GPT Creatinina Urea LDH CPK PCR PCT Amilasi lipasi Glicemia Proteine tot. Albumina BNP SOFA

(45)

45 • Compilare all’ingresso in Reparto la scheda seguente e aggiornarla in base ai risultati ottenuti. In particolare determinazione del focolaio infettivo tramite esami strumentali e/o colturali ed ottimizzazione antibioticoterapia secondo antibiogramma.

Di seguito la tabella da utilizzare:

(46)

46

Legenda

Per tipo CVC inserire numero lumi. Sede infezione

È già in corso una terapia antimicrobica? E’ la terapia in corso empirica?

E’ la terapia in corso appropriata? Farmaci

Terapia impostata (se diversa da quella in corso)

Empirica Mirata E’ la nuova terapia appropriata?

Sito isolamento

microrganismo isolato ( aggiungere MDR se multi resistente) Gram + Gram - Altro Terapia antimicotica Se si impostatat su: Isolamento in liquido sterile Colonizzazione + scoring system Scoring System Classe farmaco tipo CVC

sede CVC

Tampone rettale all’ingresso per KPC?

Se Si positivo? Ripetuto entro 7gg Se Si positivo? Tampone nasale all’ingresso

(47)

47

CONCLUSIONI

L’analisi dei dati riportati in questa tesi ed il costante confronto con i dati di letteratura ha consentito di evidenziare punti di forza e punti da migliorare nella gestione di questa complessa patologia a partire dal primo approccio in Pronto Soccorso fino poi alla Terapia Sub-Intensiva ed in seguito ai Reparti di destinazione. Di fondamentale importanza risulta la condivisione di protocolli comuni da seguire e con i quali confrontarsi non solo quando il paziente staziona in DEA ma nel suo intero percorso all’interno dell’Ospedale per consentire un’adeguatezza di trattamento ed un risparmio di energie e risorse nell’esecuzione di una diagnostica mirata nei tempi e nei modi più opportuni.

Altra importante considerazione deriva dal fatto che gli studi condotti ed i protocolli di gestione di questa patologia fanno riferimento ad una popolazione completamente diversa dalla nostra presa in esame in termini di età e comorbidità e, ad un setting, quello della Terapia Intensiva, con risorse maggiori rispetto a quello in cui ci siamo trovati ad operare. A ciò verosimilmente possiamo ricondurre le incongruenze evidenziate ma, da una critica ed attenta preparazione, è possibile anche prospettare un futuro in cui tale patologia possa essere gestita nel modo più adeguato in un setting nuovo ed in una fetta di popolazione, quella geriatrica, che comunque non troverebbe risposta in una più elevata intensità di cura (Terapia Intensiva).

Da ciò la proposta del protocollo di trattamento presente in questa tesi, che vuole essere un punto di partenza, un primo mattone, nella gestione condivisa ed unificata di una patologia tanto difficile quanto in costante incremento.

(48)

48

RIASSUNTO

La sepsi è una delle patologie a più costante incremento nella popolazione mondiale e con la più alta mortalità nelle Unità di Terapia Intensiva.

Obiettivo di questa tesi, basata sull’analisi retrospettiva delle cartelle dei pazienti ammessi con diagnosi di sepsi- sepsi severa- shock settico, nell’anno 2013 nella Terapia Sub-Intensiva della U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera fin dal loro accesso in Pronto Soccorso e dal confronto con i dati di letteratura, nasce la proposta di un protocollo di trattamento condiviso di tale patologia che riesca a conciliare le esigenze cliniche con le risorse più limitate (in termine di monitoraggio invasivo del paziente) di questo setting senza perdere di appropriatezza diagnostica e terapeutica.

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49

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