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L’ARTE DEL SOTTOTITOLAGGIO 1. Introduzione
2. Traduzione audiovisiva 3. Suddivisione della TAV
3.1. Traduzione intralinguistica 3.1.1.Sottotitolaggio
3.1.2.Doppiaggio 3.1.3. Voice-over
3.1.4. Interpretariato in simultanea o consecutivo 3.1.5. Commento libero
3.2.Traduzione intralinguistica
3.2.1. Sottotitolazione per i non udenti o per persone con deficit uditivi 3.2.2. Descrizione audio per non vedenti
3.2.3. Sottotitolazione in tempo reale 3.2.3. Sottotitolazione in tempo reale
3.2.4. Sopratitolazione per l’opera e il teatro 3.2.5. Traduzione simultanea
4. Contesto europeo, sottotitolazione vs. doppiaggio 5. Natura multimodale della TAV
6. Sottotitolaggio 7. Questioni particolari
8. Strategie di sottotitolazione 9. Aspetti della traduzione
2 9.2. Il parlato filmico 9.3. Gli allocutivi 9.4. Lo slang e il turpiloquio 10. Proposta di traduzione 1. Introduzione
Il sottotitolaggio è uno dei numerosi metodi di trasferimento e adattamento linguistico in cui si esplicita la traduzione audiovisiva. In virtù del fatto che comporta il trasferimento dalla lingua orale a quella scritta, questo metodo si contrappone agli altri che sono essenzialmente orali. Per questo motivo, il sottotitolaggio risulta una forma di trasferimento e adattamento complessa e interessante. La mia tesi si è sviluppata a partire dalla proposta di traduzione di una sitcom televisiva britannica, Teachers, creata da Tim Loane e originariamente mostrato su Channel 4 nel 2001. La serie è ambientata in una scuola media e affronta la vita quotidiana e le avventure di un gruppo di insegnanti. Nella prima parte ho trattato della parte più teorica riguardante la traduzione audiovisiva con le sue relative suddivisioni in traduzione intralinguistica e interlinguistica. Dopo aver affrontato la questione del sottotitolaggio sono passata all’analisi traduttologica e agli aspetti linguistici e traduttivi rilevanti.
3 2. La traduzione audiovisiva
Con traduzione audiovisiva si fa riferimento a tutte le modalità di trasferimento linguistico che mirano a tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi al fine di renderli accessibili ad un pubblico che non parla una determinata lingua. Fino all’avvento del cinema sonoro, nell’autunno del 1927, con il film Il cantante di jazz di Alan Crosland con Al Jolson, la produzione cinematografica, la cosiddetta silent era, era costituita da film muti, in cui solo successivamente vennero introdotte delle didascalie, brevi testi scritti su un foglio e inseriti tra le sequenze di un film tra una scena e l’altra, considerate come dei predecessori dei sottotitoli di oggi. Queste didascalie, infatti, verranno considerate veri e propri sottotitoli solo in seguito al loro diretto inserimento sullo schermo, insieme alle scende del film. In Italia, fra la fine del ’29 e gli inizi del ’31, a causa di una legge emessa durante il regime fascista che vietava l’uso delle parole straniere, anche in ambito televisivo, si assistette a una sorta di controrivoluzione per cui i film sonori vennero ammutoliti di nuovo e riproiettati con qualche didascalia e con l’accompagnamento delle orchestrine di sala, tipiche del muto. L’apparizione del cinema sonoro fece sorgere la necessità di offrire adattamenti linguistici delle varie produzioni cinematografiche a pubblici diversi, così contribuendo a dare risalto al problema della traduzione audiovisiva: occorreva trovare il sistema di far circolare i film prodotti nonostante le barriere linguistiche. Inizialmente si ricorse alla produzione di versioni plurime dello stesso film, le grandi case cinematografiche cominciarono a produrre film in versioni diverse basati su una stessa sceneggiatura, lasciando inalterati gli sfondi e le scene d’ambiente ma facendo recitare i dialoghi in lingue diverse da attori diversi o anche dagli attori originari a cui venivano insegnate alcune battute nella lingua in questione. Questa soluzione risolse sicuramente i problemi linguistici ma questa pratica, dati gli alti costi di realizzazione, venne sostituita da modalità di traduzione più rapide e sostenibili come il
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doppiaggio e il sottotitolaggio. Negli anni ’90 fu la comparsa del formato digitale ad innescare la vera rivoluzione nella produzione dei sottotitoli – soprattutto per quanto riguarda quelli di tipo interlinguistico – in quanto consentì di realizzare e inserire in un DVD sottotitoli in più lingue. Un DVD (Digital Versatile Disk), infatti, arriva a contenere fino a 17 gigabyte di informazioni e può disporre di sottotitoli in un numero notevole di lingue diverse. Proprio il potenziale offerto da questa nuova tecnologia ha portato le più grandi case di produzione hollywoodiane a fare richieste sempre crescenti all’industria del sottotitolaggio.
Affrontando l’argomento della traduzione audiovisiva è importante innanzitutto la questione della terminologia giusta da usare. I primi studi in questo campo preferivano infatti l’etichetta di traduzione filmica (film
translation) e traduzione per lo schermo (screen translation). Se con questi
termini si prediligeva l’aspetto dialogico nel primo caso, e l’aspetto della distribuzione nel secondo, col termine ‘traduzione audiovisiva’ (TAV), si indica invece la dimensione multi-semiotica di tutte le opere cinematografiche e televisive in cui i dialoghi subiscono una traduzione. L’adattamento filmico ingloba diversi sistemi semiotici: quello verbale, visivo e grafico, e può essere inteso in modi diversi e a diversi livelli. Roman Jakobson, (Aspetti linguistici della traduzione, in Saggi di
linguistica generale, 1966), è stato uno dei primi a distinguere tre modi
diversi di interpretare i segni linguistici:
1) la traduzione intralinguistica consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua, ne sono esempi la parafrasi e la sinonimia.
2) la traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua;
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3) la traduzione intersemiotica o trasmutazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici tramite sistemi di segni non linguistici, ad esempio nel caso di poesie messe in musica o di un romanzo adattato al cinema.
Nella traduzione di un libro, il testo viene trasferito da una lingua all’altra. In questo caso il nuovo lavoro sostituisce completamente l’originale e i due testi sono completamente indipendenti l’uno dall’altro. Quando si tratta di un film, invece, il messaggio viene espresso da vari elementi come l’immagine, la recitazione, il suono, il dialogo e ovviamente solo alcuni di questi possono essere trasferiti. Quando un film viene doppiato, la componente visiva rimane per intero la stessa ed è solo quella uditiva ad essere cambiata. Nel caso dei sottotitoli, rimangono entrambe le componenti, sia visiva che uditiva, e la traduzione è solo aggiunta. Così, la forma trasferita di un elemento deve ‘coesistere’ con altri elementi della stessa opera. Il dialogo filmico è un testo ‘scritto per essere detto come se non fosse stato scritto’. (Gregory, 1987).
3. Suddivisione della TAV
In virtù della molteplicità delle strategie di traduzione audiovisiva, esistono numerose classificazioni; principalmente viene distinta la traduzione interlinguistica da quella intralinguistica.
3.1. Traduzione intralinguistica
Nel primo gruppo possiamo collocare la traduzione vera e propria fatta da una lingua sorgente straniera ad una lingua di arrivo altra. Rientrano in questa tipologia il sottotitolaggio e il doppiaggio, insieme al voice-over, l’interpretariato consecutivo o in simultanea e il commento libero.
6 3.1.1. Sottotitolaggio
Si tratta di una forma di traduzione complessa che comporta il trasferimento dalla lingua orale a quella scritta. Generalmente i sottotitoli sono più corti dell’audio, così da dare allo spettatore il tempo di leggere il testo, dandogli allo stesso tempo l’impressione che non stia leggendo; sono formati da una o due righe di 30 o 40 caratteri (inclusi gli spazi) che vengono di solito proiettate sulla parte inferiore dello schermo. Il numero di righe massimo è due, per ragioni di leggibilità e il tempo di esposizione è limitato e variabile, compreso comunque tra un minimo di un secondo e mezzo per i sottotitoli più brevi, e di sei-sette secondi per quelli più lunghi. La permanenza sullo schermo dipende essenzialmente da quello che accade sulla scena e dalla velocità con cui si svolgono i dialoghi. Si possono distinguere i sottotitoli sovraimpressi nella versione originale della pellicola e proiettati come parte inseparabile del prodotto audiovisivo, da quelli chiusi che sono opzionali e possono essere aggiunti facoltativamente dallo spettatore. Esiste una relazione diretta tra la durata di un sottotitolo e il numero di caratteri che questo può contenere perché si possa leggere, e vengono tenuti di conto parametri basati su una velocità media di lettura. Se la stima della velocità media di lettura attuale è di tre parole al secondo ad esempio, necessiteremo almeno di quattro secondi per leggere un sottotitolo completo di due linee da 70 caratteri, con una media di dodici parole. Se avessimo meno tempo, dovremmo calcolare l’impiego di un minor numero di caratteri. La sottotitolazione implica diverse operazioni tecniche tra le quali troviamo lo spotting: la sincronizzazione tra il testo proiettato e il dialogo in corso in ciascuna scena. È importante rispettare, per quanto possibile, i cambi di inquadratura e di scena poiché lo spettatore tende ad abbassare nuovamente lo sguardo e a rileggere il sottotitolo se questo permane troppo tempo sullo schermo. Generalmente è impiegata la figura di un tecnico per il calcolo della lunghezza del sottotitolo e la sua relativa sincronizzazione. Dopo questa prima localizzazione dei tempi di entrata e
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uscita dei sottotitoli, sincronizzati con l’audio, abbiamo la traduzione dell’originale, adattata e aggiustata ai caratteri consentì dalla durata del sottotitolo. Successivamente troviamo la fase della simulazione: sono proiettati i sottotitoli tradotti con l’immagine audio per verificare che siano rispettati i criteri di leggibilità. L’ultima fase è quella della correzione degli eventuali errori e il riallineamento del testo. Le parole del dialogo originale possono essere ridotte tra il 40 e il 70 % per ragioni pratiche in modo da dare agli spettatori il tempo necessario per leggere i sottotitoli durante la visione del film. Sul versante linguistico sono tre sono le principali operazioni necessarie per avere una traduzione efficace dei sottotitoli secondo Antonini: l’eliminazione, la resa/interpretazione e la semplificazione. L’eliminazione consiste nel tagliare elementi che nel dialogo modificano solo la forma ma non il significato quali esitazioni, false partenze e ridondanze e più in generale informazioni che possono essere dedotte dalla componente visiva come cenni col capo o saluti. Nell’operazione di resa ci si occupa di caratteristiche quali lo slang, il dialetto e espressioni tabù della lingua in molti casi attenuandoli o eliminandoli. Infine, con la semplificazione, si cerca di rendere i sottotitoli più leggibili, scandendo la sintassi in blocchi segmentati.
Una forma particolare di sottotitolazione è il fansubbing, termine formato dall’unione delle parole fan (appassionato) e sub, abbreviazione di
subtitle (sottotitolo). Si tratta di una traduzione amatoriale non autorizzata,
e quindi non messa in commercio, dei dialoghi in una lingua diversa da quella originale e la sua relativa sincronizzazione al video e all’audio di un’opera audiovisiva nella lingua in cui si traduce. A realizzarlo sono i
fansubber, in origine soprattutto appassionati di anime giapponesi
interessati a promuovere i loro generi preferiti rendendoli disponibili, soprattutto via internet, a persone che non conoscono la lingua originale in cui sono stati creati.
8 3.1.2. Doppiaggio
È il procedimento col quale nei prodotti audiovisivi (film, serie televisive, cartoni animati) si sostituisce la voce originale dell’attore con quella del doppiatore. Nasce dalla necessità di rendere comprensibili i dialoghi di un film a spettatori di differenti nazionalità, consentendo di conseguenza una distribuzione commerciale più ampia. Tale processo fa parte della cosiddetta localizzazione. Nel trasporre i dialoghi, oltre a doverli sincronizzare alle immagini, si deve affrontare soprattutto la questione linguistica: i giochi di parole, il turpiloquio, termini connotati culturalmente, varietà linguistiche differenti. Un doppiaggio che non colga questi aspetti sarà accusato di cadere nel doppiaggese, una variante linguistica artificiosa, influenzata da quella di partenza, con una sintassi e un lessico che risultano innaturali nella lingua d’arrivo, che usa formule stereotipate non riconducibili al parlato naturale. Si contraddistingue per la forte presenza di calchi, talvolta di errori grammaticali o lessicali, l'uso di registri linguistici non adatti e in generale uno stile piatto e scarsamente inventivo che tende a replicare le strutture della lingua di partenza. Classico esempio l’espressione inglese Hey man/mate! usata tra amici, che si è portati a tradurre in italiano letteralmente come hey amico! ma che in realtà non è sentita naturale nella lingua italiana parlata, dove sarà più probabile sentire invece espressioni come Hey senti un po’! Succede talvolta, come nel caso dell’esempio riportato, che l’uso ripetuto di certe espressioni si diffonda in maniera tale da farle sentire assimilate al parlato naturale, e non più estranee.
9 3.1.3. Voice-over
Una voce narrante parla nella lingua di arrivo con un lieve scarto temporale e la voce originale è sentita per breve tempo all’inizio e alla fine della frase. È usato generalmente per documentari o telegiornali e nell’est Europa è usato anche per le fiction.
3.1.4. Interpretariato in simultanea o consecutivo
Nell’interpretazione simultanea la traduzione da parte dell’interprete avviene quasi contemporaneamente allo svilupparsi del discorso stesso. Per ovvie ragioni sussiste sempre uno scarto di tempo, chiamato décalage, più o meno ampio a seconda della differenza tra la lingua di partenza e quella di arrivo. Nell’interpretazione consecutiva invece, l’interprete memorizza tutto ciò che viene detto, aiutandosi con particolari appunti per poi riferirlo al termine del discorso dell’autore.
3.1.5. Commento libero
È una forma di adattamento rivolto ad un pubblico specifico come potrebbero essere i bambini, in cui la sincronia è applicata alle immagini anziché ai discorsi; funziona soprattutto quando la cultura d’arrivo è diversa da quella target.
3.2. Traduzione intralinguistica
Nel secondo gruppo rientrano il tipo di traduzione in cui la lingua fonte è la stessa della lingua di destinazione. Ci sono quattro tipi principali di traduzione intralinguistica: la sottotitolazione per i non udenti, descrizione
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audio per i non vedenti, la sottotitolazione in tempo reale, la sopratitolazione per l'opera e il teatro e la traduzione simultanea.
3.2.1. Sottotitolazione per i non-udenti o per persone con deficit uditivi I sottotitoli per non-udenti sono preparati appositamente per questo target di persone, anche se ovviamente tutti possono beneficiarne, e vengono trasmessi via televideo
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La Radiotelevisione italiana ha cominciato a trasmettere sottotitoli nel maggio 1986, fornendo un importante sostegno informativo alle persone sorde. A partire dalla prima trasmissione della RAI dotata di sottotitoli (il film La finestra sul cortile di A. Hitchcock), per molti anni lo sforzo è stato tutto teso a fare in modo che ciò che andava in onda fosse, se non perfetto, comunque realizzato secondo precise regole accuratamente studiate. Ciò era possibile in quanto, all’epoca, si sottotitolavano esclusivamente programmi pre-registrati, film, telefilm e qualche documentario. Tutti i programmi che settimanalmente la RAI mandava in onda con sottotitoli venivano sottoposti al vaglio di un gruppo di esperti, che in sostanza decidevano anche su ciò che poteva essere sottotitolato, secondo questi rigidi canoni qualitativi. L’impostazione di fondo era quella di garantire un prodotto di altissima qualità - altrimenti, si diceva allora, non avrebbe avuto senso trasmettere i sottotitoli. Attualmente la RAI sottotitola il 18% dei programmi trasmessi sulle sue tre reti nell’arco delle 24 ore. Questo dato è significativamente basso se paragonato ad altre emittenti europee, come la BBC (vicina al 90%), o più in generale, ad altri paesi come la Francia (circa il 35%), che sta gradualmente innalzando i suoi livelli di sottotitolazione, la Spagna o altri paesi, come la Svezia, la Danimarca e l’Olanda i cui livelli sono molto più elevati (oltre il 50%).Un dato incoraggiante per la televisione pubblica italiana riguarda invece la qualità dei sottotitoli per programmi pre-registrati che sicuramente non teme alcun confronto, mentre ancora non riesce ad essere molto competitiva nel settore della sottotitolazione in diretta, laddove manca sostanzialmente11
il tempo necessario per produrre sottotitoli di qualità. Ne sono un esempio lampante i talk show, le inchieste giornalistiche montate a ridosso della messa in onda e le notizie arrivate all’ultimo momento e trasmesse in diretta, per le quali è inevitabile ricorrere alle tecniche di sottotitolazione in tempo reale.
Nei sottotitoli sono incluse informazioni aggiuntive come ad esempio l'indicazione di chi sta dicendo cosa, di solito tramite l'assegnazione di un colore speciale per ciascuno dei personaggi principali e vengono usate particolari convenzioni tipografiche come il simbolo‘ < ‘ per segnalare voci fuori campo. Altre indicazioni sulle componenti sonore sono date tramite il metalinguaggio fonologico con il quale vengono segnalati rumori vari e musica.
3.2.2. Descrizione audio per i non-vedenti
Una voce descrive ciò che succede nei momenti in cui non ci sono dialoghi, includendo la mimica, i gesti, l’abbigliamento e i paesaggi.
3.2.3. Sottotitolazione in tempo reale
La sottotitolazione in tempo reale, detta anche respeaking, viene fatta usando un software di riconoscimento del parlato, tarato sul modello vocale di un determinato respeaker che trasforma l’input orale in uno scritto. Attraverso il software di riconoscimento del parlato possono essere elaborati anche testi complessi. Questa forma di sottotitolazione è usata da una decina d’anni per sottotitolare i programmi televisivi in diretta.
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3.2.4. Sopratitolazione per l’opera e il teatro
Sono sottotitoli formati da una riga proiettati su uno schermo sopra il palco o sul retro delle poltrone in teatro. La traduzione può essere sia interlinguistica che intralinguistica così da permettere agli spettatori non esperti di capire ciò che viene detto. Questa segue gli stessi principi usati per la sottotitolazione televisiva con l'unica eccezione della velocità dei soprattitoli, che devono essere più lenti, così che il pubblico possa avere il tempo di spostare lo sguardo anche a grande distanza, dagli attori al display sopra il palco.
3.2.5. Traduzione simultanea
Proviene da uno script o da sottotitoli disponibili in una lingua pivot ed è usato ad esempio durante i festival del cinema.
4. Contesto europeo, sottotitolaggio vs. doppiaggio
Possiamo dividere i paesi europei in diversi gruppi in base alle modalità traduttive adottate: ci sono paesi principalmente doppiatori e paesi principalmente sottotitolatori.
I paesi doppiatori sono quelli che utilizzano la sincronizzazione labiale sia nel cinema che nella televisione. Tra questi la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna. Dopo la Prima Guerra Mondiale, infatti, alcune nazioni adottarono il doppiaggio come forma di protezionismo e di resistenza al dominio americano. L’Italia è una delle nazioni che più utilizza il doppiaggio, retaggio del periodo fascista che non ammetteva lingue diverse dall’italiano, e ci sono numerose società a Roma e Milano che vantano grandi artisti in questo settore.
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I paesi sottotitolatori sono quelli che invece sottotitolano tutto ciò che viene dall’estero, che sia per il cinema o per la televisione. Tra questi troviamo i paesi scandinavi, l’Inghilterra, i paesi dell’est, il Portogallo e altri piccoli paesi come il Belgio, la Svizzera e i Paesi Bassi. Si tratta di paesi che prediligono l’autenticità linguistica e che sono abituati al sottotitolaggio e che percepirebbero il doppiaggio come una forma troppo invasiva o il cui mercato non è abbastanza grande da sostenere gli ingenti costi del doppiaggio.
La distinzione si fa meno uniforme se consideriamo il contesto extra-europeo: Cina, Giappone, America Latina e Québec si avvalgono prevalentemente del doppiaggio, probabilmente per promuovere e standardizzare un’unica lingua a fronte delle minoranze linguistiche mentre a preferire il sottotitolaggio sono piccoli paesi con popolazioni ridotte come Israele, Honk Kong e la Tailandia.
Entrambe le tecniche di traduzione audiovisiva hanno i loro pro e contro, ed è importante sottolineare che nessuno dei due è migliore dell’altro in assoluto. La scelta della forma di traduzione è motivata da ragioni economiche, linguistiche e da tradizioni storico-culturali. La sottotitolazione realizza contemporaneamente una traduzione intralinguistica poiché il testo è tradotto, ridotto e rielaborato nella lingua d’arrivo. Possiamo quindi sostenere che la sottotitolazione sia una forma di trasposizione fortemente marcata1. All’obiezione di mancata equivalenza comunicativa i linguisti rispondono che anche la semplificazione è ritenuta una delle strategie traduttive universali, un processo determinato da motivazioni psico- e sociolinguistiche del traduttore impegnato nel rendere accessibile il testo trasposto da una lingua all’altra.2 Quindi la sottotitolazione sfrutta semplicemente una delle strategie traduttive in maniera più sostanziale.
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Pavesi, La traduzione filmica, 2005.
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La sottotitolazione risulta essere trasparente in quanto rispetta l’integrità del dialogo originale, è molto più economica del doppiaggio, lo spettatore può sentire i dialoghi e le voci originali (a differenza del doppiaggio dove si sono perse). Un incentivo importante è dato dalla facilitazione nell’apprendimento delle lingue straniere e è inoltre un ausilio per non-udenti e immigrati. È opinione comune che la sottotitolazione influisca sul fatto che una buona parte degli abitanti dei paesi doppiatori sia meno portata all’apprendimento delle lingue straniere (dell’inglese in particolare) degli abitanti dei paesi sottotitolatori. D’altra parte, la sottotitolazione ha anche degli svantaggi sostanziali. Non solo comporta la riduzione delle informazioni originali ( dal 40 al 70 per cento) che vengono compresse per ragioni di spazio, ma queste perdono le sfumatura della lingua parlata per un marcato innalzamento del registro indotto dal codice scritto. Il sottotitolo può avere un effetto deturpante sull’immagine e può essere fonte di distrazione per coloro che già conoscono la lingua. Il continuo ‘salto’ dal centro dell’azione alla parte bassa dello schermo impedisce il totale coinvolgimento nell’opera stessa. Per quanto riguarda il doppiaggio, il vantaggio più sostanziale è la comprensione immediata di ciò che viene detto, si ha una maggiore illusione cinematografica. Se consideriamo i dialoghi, assistiamo ad una minore riduzione di quelli originali. È un utile supporto sia per bambini in età scolastica che per persone con poca dimestichezza nella lettura. Per contro il doppiaggio richiede più tempo, l’impiego di diverse figure professionali e di costosi apparati tecnici. Quella dei doppiatori viene definita un po’ come una casta dato che a lavorare sono sempre gli stessi professionisti con l’effetto che a lungo andare le solite voci possono stancare o indurre a collegamenti falsati, identificando una certa voce con un determinato attore. Comunque, pur conservando l’oralità nel passaggio dalla lingua originale, non sempre si riescono a rendere i registri e le varietà dialettali.
15 5. Natura multimodale della TAV
Il testo audiovisivo è un testo che per comunicare un messaggio si serve di canali multipli, risulta essere quindi multimodale in quanto la sua produzione e la sua rappresentazione poggiano sull’utilizzo di varie fonti semiotiche. Rappresenta una tipologia testuale prodotta dalla combinazione della sfera sonora e di quella visiva nella quale i dialoghi sono il punto focale essendo gli unici elementi che possono essere adattati e modulati nel processo traduttivo, anche se i codici non verbali giocano un ruolo fondamentale. A causa della dipendenza da questi codici, questa traduzione viene definita da Maria Pavesi come ‘traduzione vincolata’. (Maria Pavesi,
La traduzione filmica, 2005)
Il testo verbale, costituito da dialoghi, è da intendersi come parlato filmico: un parlato adattato e prefabbricato per sembrare autentico, con le sue debite varietà di registro. Tra le caratteristiche del parlato filmico emerge una maggiore uniformità
nella struttura dei turni di conversazione e degli enunciati, che tendono ad avere tutti il medesimo numero di parole
nella struttura sintattica, tendente a enunciati mono-clausola e una distribuzione estremamente omogenea dei tipi e del grado di subordinazione;
nelle scelte lessicali, per lo più medie, comprese nel vocabolario di base, distanti sia dai termini letterari che da gergalismi, dialettismi e tecnicismi.
Risulta anche essere più lento e accurato rispetto al parlato spontaneo, in modo da essere comprensibile al primo ascolto, essendo un messaggio di natura monodirezionale che non ammette replica. I temi del discorso tendono ad avere un andamento lineare e ad esaurirsi o a progredire dentro un singolo turno.
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La traduzione del materiale filmico è inter-semiotica in quanto tiene in considerazione l’interrelazione esistente tra l’iconico e il verbale. Diversamente dalla traduzione letteraria, deve tenere conto delle immagini e dei suoni, dei fattori situazionali e tecnici, come i movimenti e i gesti degli attori. I fumetti invece, pur non rappresentando un prodotto audio-visivo hanno di particolare che i dialoghi sono contemporaneamente visti e letti: le immagini delle strisce servono a completare e a migliorare il contenuto verbale. Il lettore si immagina i suoni e i rumori, grazie alle onomatopee, e anche se le immagini sono statiche si ha la percezione generale di vedere un film. Non a caso molti manga sono diventati anche film d’animazione o cartoni animati.
Un film è composto da una serie di segni codificati, articolati secondo regole sintattiche. La sua tipologia, il modo in cui è organizzato e il significato di tutti i suoi elementi si traducono in una struttura semantica che lo spettatore decostruisce al fine di comprendere il significato del testo. Quello che interessa al traduttore è conoscere il funzionamento di ciascuno di questi codici, e la possibile incidenza di tutti i segni, linguistici e non linguistici, all'interno di una traduzione.
Oltre al già citato codice linguistico troviamo quello paralinguistico i cui simboli rappresentano alcune funzioni sovra-segmentali. In Spagna, per esempio, nel doppiaggio la risata è di solito rappresentata con una r tra parentesi (R), e i silenzi e le pause con una barra (/). Anche nella sottotitolazione esistono convenzioni tipografiche come punti o punti di sospensione, i tagli dei sottotitoli, l'uso di lettere maiuscole che rappresentano segni paralinguistici (silenzi, pause, tono della voce).
Per quanto riguarda il codice musicale, le canzoni che compaiono nei film di solito richiedono un adattamento nella traduzione. Nel campo del doppiaggio, e anche in quello dei sottotitoli, le canzoni spesso rivestono una funzione narrativa e di solito comportano un taglio (il traduttore utilizza una nuova unità di doppiaggio), o una modifica dei sottotitoli (il traduttore non
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mescola i testi e dialoghi nello stesso sottotitolo). Il corsivo è spesso usato nel sottotitolaggio per la rappresentazione dei testi delle canzoni. Infine, il traduttore solitamente rappresenta anche gli effetti speciali che non sono registrati nella colonna sonora del film come ad esempio nella descrizione degli effetti in parentesi come fischi, applausi, rumori.
Un altro codice che ha un impatto diretto sul compito del traduttore è quello acustico. In un testo audiovisivo in cui una storia viene raccontata, il suono può essere diegetico (o appartenente alla storia) o non-diegetico (appartenente ad una persona o un oggetto, che non è parte della storia, come un narratore fuori schermo). Allo stesso tempo, il suono può essere prodotto all’interno dello schermo (associato alla visione della sorgente sonora) o fuori dallo schermo, quando la sua origine non è presente e quindi posta in contemporanea con la percezione del suono. In questi casi, il traduttore facendo anche l'adattamento (scrittura dialoghi) utilizza il simbolo (ON) quando la sorgente sulla schermata del suono percepito, e il simbolo (OFF) quando la sorgente sonora può non essere percepito. Nel campo della sottotitolazione, l'uso del corsivo, per esempio, può anche segnare il suono proveniente dalla schermata OFF. I dialoghi sullo schermo devono adattarsi al labiale dei personaggi sullo schermo, il così detto sincronismo labiale, mentre i dialoghi fuori campo consentono soluzioni non vincolate e più libere.
Il codice iconografico è il codice più rilevante trasmesso attraverso il canale visivo. Il problema per i traduttori è costituito da icone che rappresentano indici e simboli. La norma generale per quanto riguarda questi simboli iconografici di solito è di non tradurli (non rappresentarli linguisticamente) a meno che non siano accompagnati da una spiegazione a voce o la loro comprensione sia considerata essenziale ai fini della storia. In questi casi, si tenta di rappresentare l'icona linguisticamente all'interno della traduzione, o di fare qualche riferimento indiretto ad esso all'interno del dialogo, ad esempio, sostituendo l'espressione deittica che segnala l'icona nel testo di partenza per il suo nome completo nel testo di destinazione. La
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sfida per il traduttore, nei casi di traduzione di un testo associato ad icone, è quella di ottenere una traduzione che rispetti la coerenza con l'immagine, vale a dire, aggiungere o includere nella traduzione qualche segno linguistico che sia più o meno direttamente connesso all’icona sullo schermo. La traduzione audiovisiva differisce da altri tipi di traduzione per il fatto che l’assenza di un'immagine legata al testo verbale consente la libera traduzione di una frase esistente o di un gioco di parole senza che questo causi degli errori di coerenza all'interno della costruzione semiotica del testo di arrivo.
Per quanto riguarda il codice fotografico, il traduttore effettua cambiamenti di illuminazione, di prospettiva o di uso del colore (bianco e nero, uso intenzionale di alcuni colori, significato convenzionale di riferimento). Cambiamenti di illuminazione possono anche rendere necessario l’uso di particolari sintassi tipografiche in sottotitolazione (corsivo in scene buie in cui non conosciamo l'identità del personaggio che parla, l'ordine dei sottotitoli in base ai personaggi.) L'uso di un determinato colore come segno legato alla cultura può anche avere un impatto diretto sulla traduzione. Un colore che ha certe associazioni in una cultura potrebbe non avere quelle stesse associazioni in un'altra cultura, come ad esempio i diversi colori associati al lutto, ad esempio nero nei paesi occidentali e blu in Turchia. Le scelte adottate saranno così subordinate a questi codici visivi.
6. Sottotitolaggio
I tratti distintivi che caratterizzano il sottotitolaggio possono essere sintetizzati secondo lo studio del danese Gottlieb in 5 parametri che se presenti allo stesso tempo, distinguono la sottotitolazione da altre forme di traduzione. Si tratta di una traduzione
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- scritta, in quanto si contrappone a traduzioni orali, ad esempio quelle fatte per il doppiaggio
- aggiuntiva, abbiamo l’aggiunta di dialoghi sovraimpressi che coesistono con i dialoghi e la colonna sonora, veicolando lo stesso messaggio attraverso un canale semiotico diverso
- immediata, viene seguito il ritmo del dialogo orale
- sincronica, i sottotitoli compaiono in concomitanza alle immagini filmiche - multimodale, in quanto costituisce uno dei canali di trasmissione del
messaggio.
Il sottotitolo riporta in forma scritta i dialoghi tra gli attori, generalmente nella parte inferiore dello schermo, per non interferire troppo con le immagini. Il sottotitolo si distingue dalle didascalie (captions), generalmente testi in prosa usati per dare spiegazioni sotto forma di brevi titoli. È un supporto alla didascalia per contestualizzare l’azione. Come già accennato gli aspetti tecnici che caratterizzano i sottotitoli sono vincolati da restrizioni di spazio, lunghezza delle battute e tempo di esposizione sullo schermo. I film per il grande schermo hanno più spazio e più caratteri a disposizione di quelli per il piccolo schermo data la maggiore concentrazione del pubblico. Anche i DVD tendono ad avere sottotitoli più lunghi visto che lo spettatore da telecomando può gestire la propria visione. I sottotitoli in lingue che hanno una direzione di lettura che va dalla destra alla sinistra avranno i sottotitoli allineati sulla destra, mentre in Giappone possiamo trovare sottotitoli disposti in verticale. In generale i caratteri sono in bianco, a distanza proporzionata con un’ombreggiatura in grigio o sono racchiusi in una casella di testo che diventa più scura a seconda della scena sulla quale vengono proiettati. Il contrasto cromatico agevola una lettura rapida e nitida. Altro requisito importante è un’adeguata segmentazione del testo; se il sottotitolo non rientra in una sola riga si adotta la distribuzione grafica su due righe in cui si dovrà però mantenere la compattezza del gruppo sintattico. La disposizione del testo deve essere tale da necessitare il minimo spostamento dello sguardo nel passaggio dalla riga superiore a
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quella inferiore. Inoltre particolare attenzione deve essere prestata al ritmo di lettura, che dovrà essere adeguato al pubblico a cui sono rivolti i sottotitoli che e che dovrà corrispondere all’esposizione dei sottotitoli su schermo, anche se la sincronizzazione non è così rigida come nel caso del doppiaggio. La sfasatura tra immagini, un’eventuale colonna sonora, e sottotitolo porta infatti a confusione e può compromettere la comprensione da parte dello spettatore.
7. Questioni particolari
Ci sono alcune regole che disciplinano i sottotitoli. Anche se questi possono variare da paese a paese, vi è la tendenza ad allinearli. Secondo Ivarsson e Carrol, le maiuscole possono essere usate per tradurre grida o esclamazioni che sono pronunciate a voce molto alta. L’uso del corsivo è abbastanza comune nella sottotitolazione. Di solito può stare a significare che il discorso non viene pronunciato dal personaggio sullo schermo ma può venire, per esempio, da una voce al telefono, dalla radio o dalla TV, che ci sia in corso un monologo o una scena onirica, che a parlare sia il narratore, che si tratti di una canzone o comunque di tutto quello che avrebbe dovuto essere scritto in corsivo in un normale testo, come titoli, parole in una lingua straniera ecc. (Ivarsson e Carrol).
Un caso particolare è dato dalle canzoni. Se i testi sono tradotti, sostengono sempre Ivarsson e Carroll, è consigliabile usare il corsivo. Tuttavia sottolineano che non tutte le canzoni presenti in un film devono essere tradotte, ma solo quelle che risultano importanti ai fini della comprensione della trama.
21 8. Strategie di sottotitolazione
Gottlieb ha elaborato una proposta di classificazione delle strategie di sottotitolazione:
Espansione: il testo di arrivo necessita di elementi aggiuntivi per comprendere realtà extralinguistiche non appartenenti alla cultura o per esplicitare e rendere più chiare le scelte linguistiche dell’originale
Trasposizione: la traduzione rispetta la struttura sintattica dell’originale quando non vi sono limiti spazio-temporali e la resa risulta egualmente efficace.
Parafrasi: il testo è cambiato al fine di mantenere il messaggio originale attraverso un’equivalenza situazionale. Il termine parafrasi non indica una riformulazione bensì una resa che abbia lo stesso potenziale espressivo ed è di solito usato per le espressioni idiomatiche.
Imitazione: si riportano porzioni del testo originale, come nomi propri, formule di saluto, testi di canzoni in lingue diverse rispetto a quella del film originale, citazioni. Si cerca di riprodurre lo stesso effetto.
Trascrizione: usata per rendere espressioni non-standard, dialetti, giochi di parole necessita di creatività.
Dislocazione: si usa un’espressione diversa per riprodurre particolari effetti ritmici.
Condensazione: si fornisce una traduzione più sintetica e la variazione riguarda solo la forma e non il contenuto, si omettono le informazioni secondarie.
Riduzione: la traduzione è privata di elementi non essenziali. C’è una variazione sia a livello formale che contenutistico.
Cancellazione: si ha una totale omissione di parti del testo e talvolta può portare a problemi di incongruenza tra l’originale e la traduzione.
Rinuncia: quando manca la trasmissione di significato e il significato non è restituito nemmeno in parte.
22 9. Aspetti della traduzione
9.1. Analisi traduttologica
9.2. Il parlato filmico
La traduzione filmica si distingue da altri tipi di traduzione in quanto il testo da trasferire è un dialogo, e questo è un parlato che simula quello naturale, che viene scritto per essere ‘parlato’, o nel caso dei sottotitoli per essere letto. La parlata spontanea, quella che avviene quotidianamente, usata in varie situazioni e con scopi differenti viene ricreata sullo schermo con un intento di verosimiglianza, anche se tuttavia rimane una componente di convenzionalità e di finzione. Rispetto alla lingua naturale, quella cinematografica è unidirezionale e l’emittente e il ricevente si trovano distanti tra loro, è compatta ed esplicita, non frammentata e spesso implicita come nel caso della conversazione spontanea in cui i partecipanti condividono lo stesso universo conoscitivo. È inoltre più densa, non ci sono interruzioni, se non funzionali, o momenti morti chiamati disfluenze, che possono essere necessarie al parlante come meccanismo di controllo e pianificazione del discorso, e saranno tanto maggiori quanto maggiore è la durata dell’enunciazione. Distinguiamo le disfluenze fonetiche da quelle testuali. Le prime interrompono o alterano la il fluire della conversazione lasciando inalterata la sequenza verbale: sono
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le pause realizzate con nasalizzazioni, allungamenti di vocali o consonanti, vocalizzazioni varie:
- SIMON: She’s, er...enigmatic. SIMON: È…è enigmatica.
- SIMON: Er... Can’t. Got stuff to do SIMON: Ehm..non posso. Ho da fare. - SIMON: Mm. Have you got tonight free?
SIMON: Mm. Sei libera stasera?
Le disfluenze testuali, invece, interrompono la sequenza verbale e richiedono, di solito, da che l’ascoltatore ricostruisca il segmento testuale; ne sono esempi le false partenze, le autocorrezioni, le ripetizioni.
- SIMON: Sh-She’s not like that either. SIMON: Non…non è così nemmeno lei.
- SIMON: Great. Great. How about next weekend maybe? If you're busy,
maybe not.
SIMON: Ottimo. Ottimo. Che ne dici del prossimo fine settimana forse? Se
sei occupata, magari no.
- MAGGIE: 'Er, Simon, it's me. I'm running late and if you're still there,
you're running late. 'Oh, and er... stop poking round my stuff’.
MAGGIE: 'Ehm, Simon, sono io. Sono in ritardo e se sei ancora lì, pure tu.
E..eh ... smettila di frugare tra la mia roba’.
- SIMON: Look, I wanted to, er, you know, talk to you. SIMON: Senti, ti volevo…ehm…sai ti volevo parlare.
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- SIMON: So, er... how are the latest crime statistics?
SIMON: Allora, ehm ... come sono le ultime statistiche della criminalità?
- SIMON: Er... well... I... SIMON: Ehm ... bene ... Io. ..
Il linguaggio filmico presenta inoltre maggiore uniformità nei turni di conversazione, non si verificano sovrapposizioni, se non volute e create
ad hoc, in modo che gli spettatori possano capire le singole battute di
ciascun personaggio.
Nel dialogo filmico ci sono alcune costanti linguistiche che ricorrono con sistematicità e che possiamo raggruppare principalmente in due categorie: caratteristiche morfo-sintattiche e caratteristiche lessicali.
9.2.1.Morfosintassi del parlato Sintassi del periodo
Generalmente nel parlato troviamo una prevalenza della paratassi sull’ipotassi, marcata invece nello scritto. Si ha una strutturazione sintattica per cui in un periodo le proposizioni vengono coordinate, risultando in tal modo di pari livello gerarchico tra loro e non interdipendenti. È tipica del linguaggio semplice e popolare, e crea l’effetto stilistico di velocità e immediatezza comunicativa.
Prevalenza di forme di coordinazione generica: and, but, then, - e, ma,
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- SIMON: No, but it’s a nice image thou SIMON: No, ma è una bella immagine.
- KURT: The school secretary typed up these reports. She’s a hopeless
speller, you know?
KURT: La segretaria ha trascritto i voti. La sua ortografia è senza
speranze però.
- MAGGIE: They don’t need to. So, I’ll see what I can do, yeah? MAGGIE: Non c’è bisogno. Allora, vedo cosa posso fare, ok?
- SIMON: You could get us both in the shit. And you're too young for a
tattoo.
SIMON: Perché potresti mettere nella merda tutti e due. E poi sei troppo
giovane per un tatuaggio.
- SIMON: So can I stay the night? SIMON: Allora posso rimanere stanotte?
uso del che polivelente : quando, all’interno di una frase, invece di usare il relativo adatto, usiamo il "che", parliamo i "che polivalente", un tratto caratteristico dell'italiano popolare, divenuto tipico anche dell'italiano neostandard.
- SIMON: You're meant to be nice to me. That's what you're for. SIMON: E tu dovresti essere carina con me è a questo che servi.
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- KURT : If you look hard enough, you'll find someone who gives a shit. KURT: Se cerchi abbastanza bene, troverai qualcuno che glie ne frega.
congiunzioni diverse sono spesso costruite con il che: adesso che, visto
che `
- SIMON: That's more like it! I'll throw in all of the first team since you
asked so nicely.
SIMON: Ci siamo! Lo metto in cima alla lista visto che lo hai chiesto in
maniera così carina.
- KURT: D’you think masochists beat themselves up about being
masochists?
KURT: Pensi che i masochisti si picchino da soli visto che sono
masochisti?
Sintassi della frase
Nel parlato si fa ricorso con una certa frequenza alle frasi segmentate. Si tratta di particolari costruzioni, così chiamate perché sono il risultato di una trasformazione che suddivide l’informazione di un’unica frase in due segmenti. Dal punto di vista comunicativo, queste strutture servono a concentrare l’attenzione dell’ascoltatore su un particolare elemento, isolandolo e evidenziandolo rispetto al resto della frase. Le due forme più diffuse di frase segmentata sono la dislocazione ( a sinistra e a destra) e la frase scissa. Troviamo poi anche costruzioni con tema sospeso.
dislocazione a sinistra: si verifica con l'anteposizione di un componente della preposizione, rispetto alla posizione che occuperebbe normalmente.
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- SUSAN: So it's YOUR commitment phobia we're dealing with. You're
projecting your fears onto your dad.
SUSAN: È della TUA fobia per i legami ciò di cui stiamo parlando. Stai
proiettando le tue paure su tuo padre.
dislocazione a destra: consiste nello staccare il complemento iniziale dal resto della frase mediante una pausa, resa generalmente nello scritto con una virgola, e a riprenderlo mediante un pronome clitico con funzione anaforica, utile per mettere in evidenza una parte dell’enunciato che costituisce il centro di interesse comunicativo della frase.
- SIMON: You're meant to be nice to me. That's what you're for. SIMON: E tu dovresti essere carina con me. È a questo che servi.
- SIMON’S DAD: If you don't know what to do with your life, that's your
problem! I do!
SIMON’S DAD: Se non sai cosa fare della tua vita, è un tuo problema!
Io lo so!
la frase scissa: Si tratta di una costruzione caratterizzata dalla suddivisione dell’informazione in due nuclei frasali distinti, l’uno introdotto dal verbo essere e contenente l’elemento nuovo che si vuole evidenziare, l’altro introdotto da un che con funzioni intermedie tra quelle del pronome relativo e quelle della congiunzione subordinante e contenente la parte restante della frase
- SIMON: Well, because... it’s... what everyone expects you to do. It’s
conventional. I’m just not like that.
SIMON: Beh, perché …è…quello che tutti si aspettano che tu faccia. È
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tema sospeso: Lo troviamo di solito in un costrutto retorico in cui non è rispettata, volutamente, la coesione tra le varie parti della frase. È quindi una rottura della regolarità sintattica della frase. È un effetto della mimesi del parlato
- SIMON: You give your cod psychology to me and I teach by the book.
The kids hate me and aren't taking any notice of what I say..
SIMON: Mi propini la tua psicologia da quattro soldi e io seguo il libro
per filo e per segno. I ragazzi, mi odiano e non mi prestano la minima attenzione quando parlo.
Altri fenomeni
c'è presentativo: un particolare tipo di frase presentativa, di struttura ‘ c’è x che’. Con questa struttura il parlante il parlante spezza in piccoli blocchi l’informazione.
- SIMON: There's time for that.
SIMON: C’è tutto il tempo per quello.
- SIMON: It's important. There's exam questions on this bit. SIMON: È importante. C’è sempre una domanda a riguardo.
9.2.2. Altri fenomeni di sintassi
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presente indicativo usato come futuro semplice
- SIMON: Good stuff! Right, to make up for being late we’ll do something
different.
SIMON: Ben fatto. Per rimediare al ritardo facciamo qualcosa di
diverso.
- LIZ: As from today, teachers are no longer allowed to smoke anywhere
on school premises. Don't want to give our students confusing signals. Right Susan?
LIZ: Notizie ancora migliori dall’ufficio della signora Hunter. Da oggi,
gli insegnanti non sono più autorizzati a fumare presso i locali della scuola. Non vogliamo certo dare ai nostri studenti dei segnali confusi, vero... Susan?
imperfetto indicativo con funzione attenuativa
- SIMON: Yeah. Apart from that other thing. You know, when I... When I
said I wanted to sleep with you. Can we forget it ever happened?
SIMON: Sì, a parte l’altra cosa. Sai quando..quando ho detto che volevo
venire a letto con te. Possiamo fare come non sia mai successo?
- SIMON: I don't. I'm here because I want to be. I wanted to see you again. SIMON: Non è così. Sono qui perché ne ho voglia. Volevo vederti di
nuovo.
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- SIMON: Sadist. I thought you said you had the day off today.
SIMON: Sadica. Pensavo avessi detto che avevi il giorno libero oggi.
Sistema dei pronomi personali
semplificazione delle terze persone: si usano solo lui/lei/loro; è assente il paradigma esso/a/i/e
Il te assume la funzione di soggetto. La differenza tra tu e te sta nel fatto che il primo ha funzione di soggetto, il secondo di complemento. Nell’italiano parlato è sentito sempre meno come errore .
- SIMON: Yes, but I’d rather you got it than Cruella. SIMON: Si, ma molto meglio te di Crudelia.
- KELLY: All right. You’re borin’ KELLY: Va bene, te sei noiosa.
ciò tende ad essere sostituito con questo e quello, che perdono l'originario
valore dimostrativo, e diventano a tutti gli effetti dei pronomi neutri
- CLARE : This doesn't have anything to do with that...sheep incident, does
it?
CLARE: Questo non ha nulla a che fare con quella…storia della pecora?
- KURT: And that's going to impress?
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uso del pronome gli per il dativo plurale, invece del pronome loro posposto - SIMON: I won't stop them expressing themselves
SIMON: Non gli impedirò di esprimersi liberamente.
- SUSAN: Initially I’d try to deal with it myself, put myself in their place,
tell them I did the same when I was young.
SUSAN: Inizialmente proverei ad occuparmene da sola, mi metterei al
loro posto, gli direi che mi è successo lo stesso quando ero giovane.
Una caratteristica dell’italiano parlato che si sta diffondendo sempre più e il cui uso sta diventando accettabile, se non ancora corretto, è l’uso del pronome gli come dativo singolare femminile . La maggior parte dei personaggi si dà del tu.
Lessico
sono evitate parole di registro alto, formale e settoriale.
prevalgono parole generiche (iperonimi): coso, fatto - KURT: How can you give that an A?
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- PAULINE: My mum said she'd give you one - PAULINE: Mia mamma ha detto di averlo fatto.
- SIMON: Yeah, right. I mean, no. That thing. SIMON: Si, giusto. Cioè, no. Per quella cosa.
- SIMON: You know, that thing I said the other day. It was stupid.
SIMON: Per quella cosa che ho detto l’altro giorno. È stata stupida.
- SIMON: Yeah. Apart from that other thing. You know, when I... When I
said I wanted to sleep with you. Can we forget it ever happened?
SIMON: Sì, a parte l’altra cosa. Sai quando…quando ho detto che
volevo venire a letto con te. Possiamo fare come non sia mai successo?
- SIMON: Serious stuff, then. SIMON: Roba seria allora.
troviamo espressioni gergali e di linguaggio giovanile. - ARNIE: Yeah, I had a bust-up with Sonya.
ARNIE: Sì ho rotto con Sonya.
- ARNIE: Year 12. Loud.
ARNIE: Della seconda. Gnocca.
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- ARNIE: You’d be a skint hypocrite. ARNIE: Saresti un ipocrita al verde.
- ARNIE: I dunno. You haven’t got an arse like that. ARNIE: Boh. Non hai un culo come quello.
- ARNIE: You’re mates with a copper? ARNIE: Te la fai con un piedipiatti?
sono presenti parole espressive, -diminutivi affettivi e attenuativi
- SIMON: Molly hasn’t got a red coat, has she? SIMON: Molly non ha un cappottino rosso, vero?
- SUSAN: No teensy-weensy bruise to the ego? SUSAN: Nemmeno un livido piccino picciò?
-superlativi e formule varie di enfasi
- SIMON: It’s fine. Marcella’s ok and Molly’s... a little person. It’s great. I
like little people.
SIMON: Sì. Marcella è ok, e Molly è…piccola. Fantastico. Mi piacciono i piccoli
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- SIMON: Great. Great. How about next weekend maybe? If you're busy,
maybe not. The weekend after would be...
SIMON: Ottimo. Ottimo. Che ne dici del prossimo fine settimana forse?
Se sei occupata, magari no. Il fine settimana dopo sarebbe ...
- MARCELLA: Fabulous. Thanks. MARCELLA: Favoloso. Grazie.
- Locuzioni
- MARCELLA: Oh, wow, yeah, she’ll love it. MARCELLA :Oh wow, le piacerà un sacco.
Esclamazioni - Wow.
Parole per sollecitare una risposta
- SIMON: I don’t suppose anyone took registration, did they?
SIMON: Suppongo nessuno abbia preso nota, no?
- SIMON: I never said anything. Did I?
35 Imperativi
- SIMON: In private. Come on. SIMON: In privato. Andiamo!
Saluti
- SIMON: Morning. Nah, trying to give ‘em up. Well, I did it. SIMON: ‘Giorno. Nah, sto cercando di smettere. Beh, l’ho fatto.
Frammenti di frasi - SIMON: Really?
SIMON: Davvero?
Discourse markers
- BRIAN: Right! Excellent. BRIAN: Bene, eccellente.
- SIMON: Yeah. Apart from that other thing. You know, when I... When I
said I wanted to sleep with you. Can we forget it ever happened?
SIMON: Sì, a parte l’altra cosa. Sai quando…quando ho detto che volevo
venire a letto con te. Possiamo fare come non sia mai successo?
Fillers o riempitivi, suoni o parole usate in una conversazione per segnalare le pause di riflessione, quando non si è ancora finito di parlare. I suoni di riempimento più comuni sono uh / ʌ /, er / ɜ ː / e um / ʌm /. Le espressioni più comuni troviamo come, sai, così, in realtà.
- SUSAN: Er, thanks, Jenny. Two lagers, a lager top for Simon and a
Scotch.
SUSAN: Ehm, grazie Jenny. Due birre, uno shandy per Simon e uno Scotch.
36 - MAGGIE: Ehm, not really.
MAGGIE: Ehm, non proprio.
- SIMON: Very good. Very good. Anyway, we probably won’t need to be
involved. Best leave it to the police, yeah?
SIMON: Bene, molto bene. In ogni caso, probabilmente non avremo
bisogno di essere coinvolti. Così..meglio lasciar fare alla polizia.
Sempre del parlato spontaneo fano parte le false partenze, le esitazioni , ripetizioni e sovrapposizioni. I dialoghi filmici sono invece altamente segmentati perché devono risultare chiari, interessanti e coinvolgenti, così che difficilmente troveremo scambi poco pertinenti e banali, che andrebbero a pregiudicare la comprensione della trama e quindi l’attenzione del pubblico.
9.3. Gli allocutivi
Gli allocutivi sono i pronomi usati per rivolgersi a qualcuno quando si vuole iniziare la comunicazione. L’italiano come molte altre lingue non presenta una forma sola di allocutivi: coesistono due forme al singolare e una o due forme al plurale. Al singolare esistono due forme: formale o di cortesia ed informale o familiare. La scelta fra una forma e l’altra dipende da fattori sociolinguistici diversi come ad esempio l’età, il sesso, il tipo di rapporto tra gli interlocutori e la formalità o l’informalità della situazione. Scegliere tra la forma familiare e quella di cortesia non è immediato, e i limiti tra formalità ed informalità sono a volte incerti. Ad esempio dove in una determinata lingua tutti gli studenti si rivolgono uno all’altro con l’allocutivo familiare, in un’altra lingua si possono trovare sia la forma
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informale sia quella formale . Le regole cambiano non solo con la lingua e la cultura ma anche col tempo. In generale prevale oggi la tendenza verso l’uso degli allocutivi informali. Nel periodo dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale si è guardato con avversione al Voi, che ha perso la posizione importante rivestita fino ad allora, probabilmente per motivi politici, e si è cominciato ad usarlo con una minore frequenza, mentre il Lei ha ritrovato il suo posto nella lingua italiana. Dove l’italiano contemporaneo predilige la terza persona singolare (Lei) quando si parla con persone degne di rispetto, il francese usa la seconda persona plurale (Vous). L’uso della seconda persona plurale nel rivolgersi ad un interlocutore di rispetto è ora limitato a zone del Sud d’Italia e si usa nel linguaggio commerciale, soprattutto nella corrispondenza.
La lingua inglese semplifica il tutto in quanto troviamo un solo allocutivo you, sia in un discorso formale sia in uno informale, non c’è la distinzione tra singolare e plurale; è mantenuta una forma verbale per tutte le persone grammaticali, escludendo la terza singolare che vuole una –s, e non distingue la differenza fra l’imperativo rivolto ad una o apiù persone. Sarà dunque il contesto situazionale di volta in volta ad indicare la traduzione corretta. Considerando i tre possibili tipi di rapporto fra interlocutori: reciprocità, in cui interlocutori si danno reciprocamente del tu o del Lei, ed un rapporto non reciproco, in cui uno si rivolge all’altro con il Lei, mentre riceve del tu, o al viceversa, dove l’inglese ha solo una forma, l’italiano vede il crearsi di una situazione in cui non sappiamo precisamente quale forma scegliere per non risultare offensivi o per non essere troppo formali.
9.4. Slang e turpiloquio
Il concetto di slang ha acquistato diversi significati nel tempo. Originariamente il termine si riferiva alla lingua parlata da criminali, ladri e
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vagabondi ed era usato principalmente per non farsi capirsi agli estranei. Nell’Oxford English Dictionary, per esempio, si indica che verso la metà del XVIII secolo il termine denotava uno speciale vocabolario usato da un insieme di persone malfamate e di bassa estrazione sociale. In seguito il senso del termine si è esteso includendo la parlata di ulteriori sotto-gruppi di persone, non necessariamente di bassa estrazione sociale, accomunati dalla professione o dallo stile di vita come storici, avvocati e poeti. A inizio Novecento ha acquistato l’accezione più generica che conserva tutt’ora, di una parlata colloquiale o informale, al di fuori dell’uso standard, più incline alla parlata familiare. Lo slang è formato da parole nuove, da significati aggiunti e si sviluppa dall’intento di trovare espressioni pungenti, divertenti e colorite.
Lo slang può essere analizzato secondo criteri sociolinguistici, di stilistica e linguistici. Nel primo caso lo si considera come mezzo di coesione e di identificazione sociale, sottolineandone gli aspetti interpersonali e la sua funzione: stabilire e preservare l’identità sociale di un gruppo, circoscrivendo i membri e escludendo i non-membri. Questa è quindi la tendenza sociale. D’altra parte lo slang può anche marcare differenze sociali, contraddistinguendo certe ‘sotto-classi’ che si sono create un gruppo esclusivo parlando in una maniera oscura a chi non ne fa parte, così ad esempio lo slang degli adolescenti, degli universitari o dei drogati. Secondo un approccio stilistico, lo slang è contrapposto alla lingua formale, è anzi al di sotto del livello standard o neutro ed è tipico della parlata informale, distesa. È anche distinto da altre varietà non-standard. Si differenzia infatti
dal dialetto in quanto non è connotato geograficamente, nonostante possa avere delle peculiarità locali;
dal vernacolo, la parlata caratteristica di una limitata zona geografica, dalle connotazioni spiccatamente popolari (e in ciò il termine si differenzia da quello di dialetto, comprensivo anche di usi socialmente più elevati. Lo
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slang rimanda invece ad un concetto più ampio, una lingua ibrida spesso
permeata da materiale straniero;
dal gergo, il termine usato per riferirsi ad un vocabolario specifico e una fraseologia usata da un gruppo di persone che hanno ad esempio la professione in comune. Lo slang non ha lo stesso prestigio , è più spontaneo e familiare
dal cant, la lingua segreta di ladri, mendicanti di professione e persone che operano alla soglia della legalità. Lo slang non può essere ridotto ad una lingua privata nonostante presenti talvolta caratteri criptici e ci possa essere compenetrazione tra le due;
dalla parlata colloquiale, che si distacca ugualmente dallo stile neutro o formale. Lo slang ha caratteristiche quali la segretezza e la volgarità che non possono essere ascritte ad una semplice parlata colloquiale.
Secondo un approccio linguistico, lo slang utilizza parole non ordinarie in contesti ordinari. Il linguista danese Jespersen3 sostiene che sia un modo di diffondere nuove parole e di conferire nuovi significati a quelle vecchie. In lessicografia, i dizionari sono concordi che la parola slang può essere definita in almeno due sensi: come parlata di gruppi marginali e come lessico non convenzionale, delimitato e con connotazioni di informalità e novità. Infine, un ultimo approccio enfatizza l’aspetto della novità dello
slang, lo considera una varietà linguistica con una forte attitudine
all’innovazione lessicale.
Andando ora nel dettaglio delle proprietà dello slang distinguiamo le proprietà linguistiche da quelle sociologiche.
Proprietà linguistiche
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a livello fonologico lo slang gioca coi suoni e con la pronuncia delle parole. Un modo per ravvivare i termini ad esempio è pronunciarli in maniera errata facendoli risultare divertenti. Ad esempio tinsy-winsy, da tiny e winy. Spesso ricorre l’assimilazione, specialmente in presenza di consonanti germinate. Abbiamo you’ve ( you have), gonna ( going to), gotta ( got to), dunno ( don’t know), wanna ( want to), ain’t ( am not)
Morfologia:
si verificano gli stessi processi che stanno alla base della formazione delle parole comuni, come la suffissazione in –o (kiddo kid) , in –s ( nuts nut) e in –ers ( preggers pregnant) e l’aggiunta di infissi come –bloody- e – fucking- che però non sono riscontrati in termini inglesi standard.
Semantica:
non è sempre facile né prevedibile identificare la connessione logica che collega il significato di una parola nella lingua standard con una parola slang. Una tendenza riscontrabile è quella di dare un nome alle cose in maniera indiretta, figurata ( more kudos), attraverso l’ironia (I think we might have a bit of a problem), le metafore, le metonimie, le sineddochi e gli eufemismi. Proprietà sociologiche
Restrizioni:
lo slang è spesso descritto come un vocabolario di un determinato gruppo che identifica le persone che hanno la stessa età o esperienze in comune, creando o rinforzando così la solidarietà.
Gli adolescenti si identificano con parole come mate e bloke che sono usate in contesti informali tra amici di sesso maschile
KURT: You wanna watch that, mate! They may use it for forensic evidence
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mentre i drogati utilizzano parole come smack, coke, joint.
KURT: My year 12s can get you smack if you threaten them of suspension.
La battuta di Kurt, che si appropria di un termine appartenente a una
connotata cerchia di persone, acquista così un’ulteriore vena ironica. Informalità:
si tratta di una parlata colloquiale che segnala il desiderio del parlante di mitigare la formalità e di usare un linguaggio più familiare. Così termini come badly, che in lingua standard è un avverbio che significa ‘malamente’, in slang indica qualcosa che si vuole fermamente.
Circoscritto nel tempo:
così come cambia la lingua, nel tempo cambia anche lo slang. Può essere tipico di alcune generazioni e cadere in disuso velocemente. Così alcuni termini possono avere un significato simile ma una collocazione temporale diversa.
Svilimento:
come altre varietà non-standard anche lo slang è considerato una parlata subordinata, che manca di prestigio. Così i puristi condannano l’uso di parole ormai diventate comuni come bloke, mate, geezer poiché abbassano il livello della conversazione ad una lingua ‘degradata’.
Freschezza:
ha un vocabolario vivace che tiene attiva la lingua, usato da coloro che vogliono evitare la monotonia della lingua ordinaria. Ad esempio, espressioni come Back in a sec.
Volgarità:
lo slang vede una moltiplicazione di termini quando tratta di termini considerati tabù. Il vocabolario è ricco di parole che hanno a che fare col sesso, specialmente coi genitali (cock, dick, pussy), rapporti sessuali (fuck,
shag), il sesso orale (suck). Altre espressioni sono rapportate alla blasfemia