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La conoscenza in rete: bene comune di nuova generazione

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Academic year: 2021

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Mondi educativi. Temi, indagini, suggestioni ISSN 2240-9580, pp. 307-318 SAGGI – ESSAYS

LA CONOSCENZA IN RETE:

BENE COMUNE DI NUOVA GENERAZIONE

di Anna Paola Paiano

Obiettivo del presente contributo è sottolineare come la cono-scenza in rete, intesa come prodotto di un agire plurale, connesso, partecipato e co-creato, possa essere, per sua natura, assimilata ai concetti di “bene” e di “comune” e come il processo “co-creativo” del sapere tipico della cultura partecipativa preveda un ruolo attivo da parte degli utenti (fruitori e produttori al tempo stesso).

Il contributo intende esplorare i concetti di conoscenza in rete e di diritti universali e la correlazione tra i due, che, seguendo la lo-gica della attuale letteratura di riferimento attorno ai beni comuni, nonché una ratio pedagogica da intendersi come azione pre-politica, diviene elemento essenziale per abilitare il processo di democratiz-zazione del sapere nella rivoluzione digitale.

La realizzazione del progetto pedagogico di affermazione e co-noscenza dei propri diritti è, dunque, premessa necessaria di una società liberata dall’interesse individuale, che si faccia portatrice di un nuovo contratto sociale attento al bene comune.

The aim of this paper is to emphasize how the knowledge 2.0 is a product of a plural, connected, participated and co-created ac-tion. It may, by its own nature, be assimilated to the concepts of “good” and “common” and it is connected the “co-creative” pro-cess, typical of the participatory culture. In this perspective, the us-er has a new active role (he is usus-er and producus-er at the same time). This work intends to explore the concepts of knowledge 2.0, uni-versal rights and the close correlation between each other.

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By the logic of current literature around common goods, it is necessary a pedagogical ratio as a pre-political action and essential element to enable the process of democratization of knowledge in the digital revolution.

The realization of a pedagogical project based on awareness of rights is a necessity for a society free from the individual's in-terest. It is the begin of a new social contract focused on the common good.

V: Mi hai chiesto la conoscenza, Eve, ed essa è tutto ciò che ti lascerò. Come l’aria, la cono-scenza è indispensabile alla vita. Come l’aria, a

nessuno deve essere negata. Evey: Oh, V, dai... Sei sempre così misterioso su di te, su questo posto, sui tuoi piani... se la

cono-scenza è come l’aria, tu mi asfissi. V: Niente affatto. Ti ho solo insegnato a

respira-re. Da questa parte. Osserva come l’aria della conoscenza è qui condensata in elettricità

liqui-da. I dati di tutta la società sono centralizzati qui... e questo fatto ha contribuito alla rovina della società... poiché io ho attinto dal loro poz-zo della conoscenza. Presto, tutti potranno bere.

T. Moore

1. Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, la rivoluzione digitale, a seguito dell’avvento dei dispositivi mobili dotati di browser (come tablet, smartphone, etc.) assieme alla proliferazione del Web 2.0, ha radi-calmente influenzato i comportamenti sociali e definito sempre più una cultura convergente (Jenkins, 2006a) che dà vita a una nuova dimensione della conoscenza co-costruita attraverso pro-cessi partecipativi.

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Si tratta di quel fenomeno che va sotto il nome di cultura

parte-cipativa, la partecipatory culture come l’ha identificata Henry Jenkins

co-direttore del Comparative Media Studies Program presso il MIT, in cui, a differenza del passato, i diversi fruitori di prodotti e cultura divengono «consumatori (sono) invitati a un’attiva parte-cipazione nella creazione e circolazione di nuovi contenuti» (Jen-kins, 2006, p. 6). Questo nuovo ruolo ha avuto, naturalmente, im-portanti effetti nella creazione di nuove comunità di conoscenza (Lévy & Feroldi, 1999), la cui ragion d’essere è identificabile nella dinamica azione di continua costruzione collettiva del significato, cui è stato correlato un sostanziale cambiamento nel consumo dei media. L’adesione e l’immersione in una cultura partecipativa, in-fatti, ha promosso il passaggio dal media personalizzato – cui corri-sponde un processo di selezione delle risorse comunicative e in-formative che determina possibilità di “personalizzazione” dei per-corsi di fruizione, fulcro della prima rivoluzione digitale – al media

socializzato e condiviso – connaturato, invece, alla dinamica descritta

come convergenza mediale (media convergence, Jenkins, 2006), in cui sono possibili azioni di elaborazione e condivisione di contenuti mediali inediti ad opera di prosumer (neologismo con cui si indica la conver-genza tra l’esser produttore e consumatore) che usano i media in maniera sempre più attiva. Il nuovo mondo della cultura partecipa-tiva si è, dunque, basato sull’infrastruttura costituitasi sulla espo-nenziale diffusione di device ormai entrati nel comune uso quotidia-no di ciascun soggetto sociale, come, ad esempio, un qualsiasi

smar-tphone che diviene la porta di accesso ad uno spazio vitale in cui

po-ter redigere molteplici azioni comunicative, formative, di cura del sé, degli altri. Attività e funzioni, queste, che ormai lo hanno tra-sformato da mero strumento materiale a complessa e articolata in-terfaccia per partecipare alla vita di un ambiente sociale.

Attraverso questa nuova generazione di device, il processo di conoscenza e di ricerca viene diffuso e condiviso nel Web, crean-do le condizioni per cui le competenze del singolo possano essere promosse in un’ottica di interesse comune. Da qui nasce la logica alla base del media crowdsourcing della Rete, ossia del processo pio-niere della democrazia in rete.

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Il delineato nuovo scenario contemporaneo iperconnesso sol-leva problemi sociali e individuali come, ad esempio, la promo-zione di abilità di interapromo-zione significativa con strumenti che abili-tano l’espansione delle capacità mentali e innescano un sistema inedito (per dimensione e potenziale qualità della partecipazione) di problem solving in cui diverse identità sociali e culturali sollevano inedite questioni di riconoscimento che richiedono, a loro volta, nuove ottiche di negoziazione delle differenze. In risposta a que-sta temperie, Lévy propose il concetto di Intelligenza Collettiva come organizzazione e fonte alternativa di potere, il cui vantaggio sarebbe stato permettere alle comunità promosse autonomamen-te dal basso di perseguire un deautonomamen-terminato obiettivo attraverso la moltiplicazione delle risorse.

Come si evince sin da subito, l’Intelligenza Collettiva di Lévy si riferisce a un nuovo mondo, una comunità ancora decisamente lontana da qualunque forma si sia materialmente realizzata. La sua prospettiva è tesa a creare e promuovere intelligenze collettive con l’idea di favorire una crescita dell’umanità (in termini di par-tecipazione ed emancipazione) e di dare concretezza a una visione democratica “adattata” all’introduzione di nuovi media e tecnolo-gie. Lévy, dunque, si pone come riferimento per ripensare i modi in cui ripensare e riorganizzare le pratiche comunicative generati-ve di pensiero e azione e, non a caso, Lorena Milani (2014), da lui parte per poi integrare la teoria di Lévy, con la prospettiva con-nettiva di de Kerckhove (1998). Questo passaggio permette di sottolineare come l’intelligenza sia situata specificatamente nelle connessioni e nelle reti, da cui deriva una diversa e specifica carat-terizzazione anche del nostro modo di riflettere, di pensare e di elaborare la conoscenza.

La Mente Connettiva, per ammissione dello stesso de Kerckho-ve, sarebbe la parte pratica dell’Intelligenza Collettiva, infatti, essa ri-guarda proprio la possibilità che si creino e attivino connessioni a se-guito di una esigenza pratica, per risolvere problemi, per trovare so-luzioni comuni. In questa direzione, se l’Intelligenza Collettiva ri-guarda il piano delle potenzialità definite dall’accesso a un comune

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Connettiva è la parte dinamica, situata, generativa, emergente di un sistema che si rivela essere aperto, continuamente in evoluzione in funzione di una specifica ricerca di soluzioni che abitano le connes-sioni. Vi è, quindi, una “reale” – in senso dekerckhoviano – moltipli-cazione di livelli di partecipazione di più intelligenze soggettive a una Mente Connettiva che, a questo punto, deve essere intesa come una delle possibili forme in cui si organizza l’Intelligenza Collettiva. La rete permette la generale collettività che si specifica in configurazioni connettive, ma, nello stesso tempo, favorisce la presa di consapevo-lezza del ruolo che l’individuale ha nel costituirsi ologrammatico (Morin, 1993) di una rete che, moltiplicando le connessioni, molti-plica gli spazi mentali dell’intelligenza, inserendosi in una dimensione ipertestuale che favorisce il moltiplicarsi delle connessioni e, le atti-vazioni di comportamenti intelligenti.

È proprio questa connettività, questo agire plurale, a dare vita a quella che in questo scritto definiamo: conoscenza in rete.

2. Conoscenza in rete come nuovo bene comune

Siamo, ormai da tempo, nel pieno del fenomeno migratorio dalla galassia Gutenberg – con scorte limitate e definite di opere stampate, nonché una produzione caratterizzata dal rapporto u-no-a-molti – all’universo dei nuovi media – protagonisti indiscussi della cultura digitale tipica del Nuovo Web (Godin, 2005), in cui le opere sono in continua evoluzione, riprodotte in maniera gra-tuita e in tempi ridotti, e con una distribuzione molti-a-molti (O-strom, 2007).

I nuovi modelli di “produzione” del sapere, seppur legati a processi sviluppati in parte nella rete, non invalidano il ruolo delle istituzioni formative tradizionali come luoghi del sapere pubblico, ma altresì le abilitano verso forme di partecipazione e fruizione della conoscenza tipiche delle dinamiche della convergenza me-diale e più in generale della cultura partecipativa.

Nuove forme di conoscenza – conoscenza in rete – abitano i luoghi del sapere e, nell’epoca dell’iperconnessione, si diffondono

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rapidamente. Sono facilmente accessibili, fruibili e interoperabili, libere per accesso e per diritto. La conoscenza in rete diviene strumento per la democratizzazione del sapere e, come già per la conoscenza tutta classicamente intesa, anche per tale forma, sarà importante tener presente che il suo uso e la sua formazione sarà legata alla sua diversa natura, di volta in volta dichiarativa,

condizio-nale, procedurale, concettuale, metacognitiva (Annacontini, 2014). Tanto

più, perché nell’ambiente della rete, la promozione di una conoscenza

metacognitiva, intesa come l’ormai nota capacità di essere

consape-voli dei propri processi di pensiero, ma, soprattutto, l’abilità di re-golare e gestire in autonomia tale procedere, permette di non tra-scurare la centralità dell’emancipazione della soggettività a favore della sola dimensione connettiva. La conoscenza in rete, dunque, deve focalizzare e ampliare il più possibile la propria intenzione metacognitiva per garantire lo

sviluppo integrale della persona (in riferimento al pensare, all’emozionarsi, al sentirsi responsabile, all’impegnarsi, al motivarsi ecc.) […]. Potendo-sapendo monitorare il procedere della propria attività cognitiva, o almeno di parte della stessa, [cosicché] il soggetto in forma-zione “prend[a] le redini” della stessa capacità di costruire mondi a par-tire dall’esperienza, facilitando, in tal modo, anche lo sviluppo di com-petenze di controllo (nelle forme anche controllo, dell’auto-riflessione, e dell’auto-regolazione) delle rappresentazioni del mondo. […]. Si tratta, in definitiva, di un tipo di conoscenza che, una volta promosso, diventa risorsa per i caratteri di resilienza e sviluppo pro-blematico e antidogmatico del soggetto, per tutto il corso della propria vita (Annacontini, 2014, p. 52).

Detto in altre parole, se la conoscenza è sicuramente uno dei risultati della connessione in rete, tuttavia essa, nella sua versione metacognitiva, serve soprattutto per “agire e partecipare (la) in rete” senza sacrificare, ma integrando a livelli sempre più consa-pevoli, diverse soggettività in e con un nuovo ambiente sociale. In quest’ottica si delinea una continua dinamica di sviluppo, costru-zione e critica della conoscenza che descrive un processo forma-tivo e abilitante dell’attività cognitiva dell’uomo e della donna che,

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resi consapevoli del loro essere e contribuire in rete, si riconosco-no liberi di agire e di relazionarsi alle diverse forme di sapere. Nell’era di Internet, il sapere prodotto e condiviso, diviene pro-dotto della creazione e dell’azione dell’esperienza e della colletti-vità. La conoscenza è divenuta cumulativa, e il suo punto di forza è divenuto l’agire collettivo critico e consapevole.

3. Beni comuni e diritti universali

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Uni-te approvò e proclamò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Insieme agli altri diritti fondamentali è presente il diritto a “cerca-re, ricevere e diffondere informazioni e idee”. Si parla, dunque, di diritto alla conoscenza che, prendendo in prestito una definizione di Rodotà del 2007, corrisponde

all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della perso-nalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distrutti-va del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future (Rodotà, 2007).

Rodotà, inoltre, in qualità di presidente della Commissione che ha elaborato «principi e criteri direttivi di uno schema di dise-gno di legge per il recupero della funzione ordinante del diritto della proprietà e dei beni comuni» (Ministero di Giustizia, 2007), sostiene che «ci sono beni che non coincidono né con la proprie-tà privata, né con la proprieproprie-tà dello Stato, ma esprimono dei dirit-ti inalienabili dei cittadini» (Rodotà, 2007). Pertanto, i beni comu-ni sono oggetto di garanzia di fruibilità da parte di tutti e tutte: dalla vita in sé al bene primario dell’acqua, fino al bene ipersociale discusso in questo contesto, ossia la conoscenza in rete, che cia-scun individuo può, o meglio deve poter, fruire o produrre in una dimensione a-topica e a-temporale.

Nella conoscenza in rete, per quanto detto, è evidente tanto la dimensione del “comune” quanto la sua identità di “bene” – e sa-rebbe sufficiente pensare a come essa sia una risorsa attraverso la

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quale uomini e donne possono soddisfare sia bisogni sia desideri – circostanza, questa che, seguendo la logica di Rodotà, nonché quella pedagogica che prescrive la cura per il farsi emancipativo del soggetto in formazione nella relazione integrativa io-mondo, spinge a elevare questo processo-prodotto alla dignità di diritto.

I beni comuni, dunque, sono strettamente collegati alle sfere dell’essere, del poter essere, del desiderare e dell’aspirare e, in tal senso, essendo fondamentali per il libero sviluppo dell’umanità di uomini e donne devono essere ricompresi nei diritti fondamenta-li. La pedagogia, da parte sua, in essi trova salde linee guida – cer-to scer-toriche e in divenire – per la sua teoresi come per la sua pras-si, ad esse potendo/dovendo commisurare la propria capacità di delineare progetti e programmi “formativi” che possano accresce-re nel soggetto-persona la consapevolezza del proprio stato di di-ritto. Il pensiero classico di Flores D’Arcais ha affrontato e defi-nito il costrutto di “diritto ai diritti” e delineava una “Pedagogia dei diritti” come un «processo di comprensione dei diritti umani, così che ciascuno si faccia “soggetto di diritti”, e, dunque, imma-gine della sua auspicata “autonomia”» (D’Arcais, 1990, p. 10).

Il diritto, […] è tale – […] perché rende concretamente, realmente, empiricamente, storicamente l’uomo “soggetto” di un operare sociale: non lo isola, dunque, né lo riconduce soltanto a se stesso, nella sua tota-le interiorità, ma fa di questa la forza, la matrice del suo estrinsecarsi nel mondo, lo rende insomma socius, civis, amicus. Così facendo l’educazione lo forma, informandolo, nei suoi diritti, quelli in atto (in esistenza) e quelli potenziali, che sarà in condizione di realizzare, pur se sarà neces-sario attendere i tempi propizi. Ma ciò non esclude, anzi conferma, la validità del programma offerto dalla pedagogia, che dunque precorre – come è di qualsiasi progetto – la concreta realizzazione (D’Arcais, 1990, p. 12).

Sempre D’Arcais parlava di una sedimentazione di diritti nella storia della umanità, da lui stesso intesa come Bildung, ossia come cultura dei diritti umani, che si sono progressivamente costituiti, provocando sostanziali cambiamenti «sul piano “civile”, della prassi, esistenzialisticamente considerata» (D’Arcais, 1990, p. 11).

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All’interno di questa prospettiva l’azione formativa è letta primariamente come processo che lega il progressivo riconosci-mento dell’autonomia personale con una cultura democratica che trova la propria ragion d’essere nell’aspirazione universalistica dei diritti che la sostengono. Il legame tra autonomia, diritti e demo-crazia caratterizza dunque il processo formativo ma, proprio per questo, anche il suo prodotto che, in particolar modo pensato in termini di conoscenza, fa propri i valori, appunto, dell’essere in

co-mune. Dove questo particolare tipo di relazione, come già detto,

implica autenticamente proprio i principi del riconoscimento uni-versale (di diritto) del potenziale autorealizzativo personale (auto-nomo) in seno a una comunità di pari (democratico).

Il processo di progressiva presa di consapevolezza da parte dell’uomo dei valori della democrazia, così come dell’essere co-costruttore di conoscenza di rete intesa come bene comune, am-plia i confini di un dominio intellettivo nel quale la fruizione dei beni non si separa dal processo di partecipazione alla loro riproduzio-ne. È in tal modo che, come anticipato, produzione e uso posso-no sovrapporsi e sostenersi vicendevolmente in una dinamica che, per altro verso, richiede la crescente garanzia di un accesso democratico alle fonti e agli strumenti della conoscenza, che sfu-ma in un processo iterativo che rinforza libertà di espressione, scambio e partecipazione. Ma questo è il quadro all’interno del quale la Ostrom definisce i commons, termine anglosassone che meglio traduce quanto fin qui abbiamo definito “bene comune” (Hess & Ostrom, 2007).

Il continuo procedere circolare della dialettica produzione-fruizione della conoscenza si colloca su un piano altro rispetto all’ipotesi della “tragedia dei beni comuni” teorizzata da Hardin (1968), stando al quale, essendo le risorse limitate e illimitato il numero di accessi liberi da parte dei fruitori, le prime sono desti-nate al depauperamento ed esaurimento in tempi rapidi. La stessa Ostrom sostiene, però, che la conoscenza in rete non rientra tra le risorse esauribili e il suo “uso” da parte di ogni individuo non ostacola ma al contrario amplia il potenziale di accesso da parte degli altri utenti come pure la disponibilità stessa della risorsa.

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4. L’azione pedagogica e la democratizzazione del sapere

La progettualità pedagogica ci pare abbia solo da guadagnare dalla descritta natura interattiva e bidirezionale delle nuove tecno-logie. Opportunamente intenzionate in direzione emancipativa, l’uso degli strumenti atti a aumentare la conoscenza in rete abilita il soggetto-utente a partecipare a un processo in sé democratico che, come già detto, rafforza le logiche di confronto, scambio e dialogo tipiche della cultura partecipativa della rete.

La formazione di soggetti abilitati a utilizzare le tecnologie in una prospettiva di rete, ossia di fruizione-produzione di beni co-muni, induce la progressiva metamorfosi dell’ambiente telematico da spazio strumentale ad ambiente sociale nel quale il processo di elaborazione della conoscenza – condivisa, socializzata e parteci-pata in maniera attiva e consapevole – finisce per coinvolgere sempre più ampie e complesse ecologie materiali, immaginali, comunicative, culturali. E, attualmente, spetta al Web il compito di incarnare quell’ambiente sociale che, grazie alle specifiche di-namiche relazionali e funzionali che è in grado di promuovere, realizza la più alta forma di condivisione e socializzazione per la libera iniziativa dell’uomo che vuole organizzare la propria vita intellettuale nella prospettiva dell’incontro con l’altro.

La riflessione di natura pedagogica che scaturisce dalla sopra-descritta relazione a tre autonomia-diritto-democrazia rivaluta un’idea di progetto formativo che pone al centro dei suoi interessi l’idea di un “uomo-cittadino” produttore di una conoscenza cu-mulativa, il cui punto di forza, come espresso sopra, è l’agire col-lettivo. Quest’ultimo è, qui, inteso come azione prepolitica (Mante-gazza, 2007), promotrice di un approccio basato sull’affermazione e acquisizione del “diritto ai diritti” che favorisce l’equità, la non discriminazione e l’inclusione attraverso la sensibilizzazione, il cambiamento di attitudini e la consapevolezza di prender parte a un processo che ha come fine ultimo il bene del soggetto-persona e della collettività.

Alla pedagogia il compito, dunque, di attivare il potenziale di questo nuovo scenario inter-trans-mediale aderendo, in ciò, alla

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sua identità di scienza “impegnata alla costruzione di un uomo e di una donna pluridimensionali, creativi, attivi”, valorizzati nella loro “singolarità”, rivolti a realizzare in se stessi “un’umanità inte-grale”. Un compito che oggi si è fatto planetario (Baldacci & Pin-to Minerva, 2015) e che trova nell’agire pedagogico la più alta forma di «dialogo, incontro e formazione umana alla luce dei “di-ritti umani” medesimi» (Baldacci & Pinto Minerva, 2015, p. 50).

Si deve pertanto portare avanti

un impegno politico-pedagogico volto a individuare e promuovere gli aspetti propri e creativi di ogni singola cultura attraverso la rivendi-cazione e la diffusione di diritti alla conoscenza e al sapere per tutti, ri-cordando altresì, come, oggi, sono proprio le culture altre, di mondi-altri portati alla luce dagli studiosi post coloniali, a poter proporre all’Occidente principi improntati da nuovi modelli di convivialità uo-mo–mondo rispetto ai tempi della natura rispettosa in prospettiva di una solidarietà planetaria (Baldacci & Pinto Minerva, 2015, p. 49).

Si deve lavorare congiuntamente, quindi, su un progetto di co-costruzione di nuove forme di identità collettiva, per riflettere su una cittadinanza globale in grado di unire il pensiero cosmopo-litico di un’appartenenza all’umanità intera con le tradizioni locali: un’educazione alla cittadinanza “glocale”.

La realizzazione del progetto pedagogico di affermazione e co-noscenza dei propri diritti è premessa necessaria di una società libe-rata dall’interesse individuale, che si faccia portatrice di un nuovo contratto sociale attento al bene comune.

Questo è solo un punto di partenza, o come lo definiva Milani è l’inizio di “un nuovo viaggio”, nel quale l’evidente legame tra sogget-to-utente-cittadino (quest’ultimo da intendersi nell’accezione latina di

cives) è il “potenziale” raggiungibile attraverso un’azione

“formati-va”, intesa come agire pedagogico.

In un tale scenario, dove il copyright lascia il posto al copyleft, i prodotti della conoscenza sono intesi alla stregua dei beni comuni consentendo a chi ne beneficia di essere parte di un sistema e di un continuum tribalistico del sapere comunitario.

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Bibliografia

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