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Considerazioni sul vedutismo nella pittura quattrocentesaca.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il presente lavoro muove dalla curiosità destata da un precedente studio (condotto in occasione della tesina di laurea triennale) sulla pittura di paesaggio napoletana prima e durante l’esperienza della Scuola di Posillipo.

Tra le varie conclusioni si notava l’estrema difficoltà di una collaborazione tra i collezionisti di vedute, anche di origine locale, e gli autori partenopei, che per lungo tempo preferirono dedicarsi alla costruzione di scenari ideali o cimentarsi in altri generi.

Al di là delle motivazioni contingenti, lo stesso disinteresse poteva essere esteso senza eccessive forzature anche agli artisti dell’intera Penisola e ad epoche precedenti. Appare emblematico l’atteggiamento che molti manifestarono nei confronti della camera ottica, un dispositivo privilegiato per l’annotazione all’aria aperta, che, pur essendo noto in Italia fin dal Cinquecento, venne lasciato all’utilizzo quasi esclusivo (tranne importanti ma sporadiche eccezioni) da parte dei paesaggisti dell’Europa settentrionale. Come rileva Fabio Benzi1, addirittura “…l’approccio

con questi strumenti era mediato da una considerazione che li includeva tra i fenomeni mirabili o la magia naturale, e non riuscivano a godere della laica percezione e dell’empirico utilizzo che nella intellettualmente libera Olanda gli vengono connessi”.

La nostra analisi cercherà di approfondire le modalità con cui si è prodotta la dissociazione tra gli autori nordici e quelli italiani di fronte alla rappresentazione più realistica del paesaggio. Per tale ragione si è reso necessario un rovesciamento del punto di osservazione, partendo dai primi episodi figurativi dell’evo moderno, direttamente scaturiti dall’indagine della realtà vegetale ed animale o strettamente legati ad essa.

Come si potrà constatare, si tratterà di contributi affatto marginali offerti dagli artisti alla riscoperta di brani del mondo esterno da parte della civiltà occidentale. L’esigenza dovette apparire largamente condivisa poiché fra il Duecento ed il Trecento esperienze simili furono rintracciate in svariati contesti culturali europei, compresi non pochi centri italiani.

L’estrema esiguità delle testimonianze sopravvissute fino ai nostri giorni non consentirà di articolare raffronti fra i vari ambienti, tuttavia si distinguerà il precoce inserimento di interpretazioni paesaggistiche più concrete all’interno di alcune delle più importanti creazioni figurative, e prima ancora letterarie, ad opera di autori nati al di qua delle Alpi.

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A causa della difficoltà di stabilire paragoni stilistici, un particolare risalto verrà posto al contesto intellettuale e sociale in cui andarono maturando le sperimentazioni considerate. Per coerenza di metodo, si cercherà di mantenere lo stesso accento nel corso del secondo e del terzo capitolo, che verranno dedicati alle modalità di affrancamento dallo spirito del gotico internazionale rispettivamente da parte dei fiamminghi e degli italiani. Senza alcuna pretesa di esaustività, in entrambe le sezioni verrà dapprima esemplificata la rappresentazione più vivida di ascendenza cortese nei due territori e poi si tenterà di delineare il diverso sviluppo assegnato alla componente vedutistica.

Indubbiamente l’attenzione alle situazioni contestuali non potrà condurre ad un’esposizione compiuta delle ragioni del divario di interessi tra le due scuole, tuttavia permetterà di constatare un certo rapporto fra alcune trasformazioni sociali locali e le differenti concezioni offerta dai più autorevoli esponenti delle due scuole nella prima metà del Quattrocento.

A sintesi della nostra analisi, si considererà il caso veneziano, che sembra riassumere adeguatamente alcune delle considerazioni che verranno effettuate, avendo elaborato a distanza di alcuni decenni esempi di fondamentale importanza per la nascita di un genere autonomo, in coincidenza con un momento storico di particolare complessità per la Repubblica.

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Capitolo 1

1.1. Nuove modalità di rappresentazione del mondo animale nel basso

medioevo.

A partire dal XII secolo si verificò una rivalutazione del mondo naturale, dopo che per gran parte del primo millennio della nostra era gli venne riservata una considerazione marginale da parte della cultura occidentale nel suo complesso. I contributi del neoplatonismo e del cristianesimo avevano favorito la prevalenza di una concezione idealistica, secondo la quale la realtà terrena altro non era che una rozza imitazione di quella celeste e dunque non vi era particolare utilità nell’approfondire l’osservazione e la conoscenza dei fenomeni terreni2.

Importanti sollecitazioni al nuovo atteggiamento culturale maturarono nel corso della fase di maggior intensità della Reconquista, che vide i cristiani arrivare a prendere possesso del territorio dell’attuale Spagna, ad eccezione del regno Granada, verso il 1270. Fu allora che cominciarono a divenire disponibili numerosi testi di origine greca, dalle opere di carattere scientifico, integrate dalle constatazioni degli studiosi arabi, a quelle di ambito filosofico. Tra di esse emerse con particolare risalto il pensiero di Aristotele (384 – 320 a.C.) che si poneva in netto contrasto con il paradigma dominante; egli riteneva i singoli individui come le uniche entità reali, poiché non avevano un’esistenza autonoma né la loro componente materiale né quella ideale3.

Un tentativo di sintesi tra i nuovi apporti del pensiero classico filtrato dal mondo arabo e la visione tradizionale del cristianesimo fu compiuto dal domenicano Tommaso d’Aquino (1225-1274), santo e dottore della Chiesa, che affermò che Dio aveva formato ogni cosa in accordo con la propria essenza4 e che allo stesso tempo tutti i soggetti appartenenti al mondo

terreno danno luogo complessivamente ad un ordine naturale, che rivela la carità del Creatore dal momento che esso non è un puro riflesso del mondo divino, essendo legato a leggi di causalità.

Allora cominciò a prendere corpo in numerosi campi delle scienze e delle arti l’istanza dell’osservazione della natura, trasformando decisamente le attività consuete.

2 Roller (1980), 195. 3 Roller (1980), 195-196. 4 Dvořák (2003), 58.

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Ad esempio il genere letterario dei bestiari, esclusivamente incentrato sugli animali, raggiunse la massima popolarità nell’Inghilterra e nella Francia due e trecentesche5. Si trattava di testi

ancora legati alla visione tradizionale, poiché elaboravano coinvolgenti analogie tra la descrizione di alcune peculiarità dell'aspetto o del comportamento degli esseri viventi e specifiche tematiche sacre o moralizzatrici, con lo scopo di sollecitare la fede dei lettori attraverso la constatazione della ricchezza del creato6.

Il predecessore del bestiario, il Physiologus, era un’opera anonima del II secolo accostata dagli studiosi all’ambito alessandrino. Gran parte dei commenti che vi si trovano relativamente agli animali presenti nella versione greca della Bibbia, assieme a estratti da scritti come le

Erymologiae di Isidoro di Siviglia e l’Hexameron di Sant’Ambrogio, servirono per la

composizione dei bestiari, che sorsero nell’ambiente normanno della prima metà del XII secolo7.

In alcuni casi specifici comparvero ulteriori integrazioni, sopratutto da parte di Onorio di Autun e Bernardo Silvestre, connesse ad una finalità enciclopedica che dichiarava la possibilità di avvicinarsi a Dio attraverso la conoscenza8.

Le illustrazioni che contraddistinguevano numerosi codici sul tema si aprirono a descrizioni maggiormente naturalistiche solo in alcuni casi e non prima della seconda metà del Duecento9.

In molte occasioni lo spettatore poteva cogliere l'identità dell'animale attraverso la presenza di attribuiti caratteristici o tramite una particolare disposizione nello spazio: per esempio in alcuni casi a distinguere il gatto dalla scimmia o dallo scoiattolo poteva essere soltanto la presenza di un topo nelle sue vicinanze10, mentre spesso il leone viene identificato per la posizione di profilo

della testa mentre il leopardo risulta collocato frontalmente11.

Tuttavia, come ha rilevato lo studioso francese Michel Pastoureau12 nella sua recente

monografia dedicata al genere del bestiario, con esso si ha un indiscutibile elemento di novità visto che gli animali cominciarono ad essere rappresentati non più come figure marginali come avveniva, seppur copiosamente, nelle miniature delle epoche precedenti, bensì per la prima volta in quanto soggetto principale.

L’autore ricorda come a partire dagli anni Sessanta del XII secolo si registrarono anche in

5 Pastoureau (2012), 19. 6 Pastoureau (2012), 6. 7 Muratova (1992), 449-450. 8 Muratova (1992), 450. 9 Muratova (1992), 456. 10 Pastoureau (2012), 151. 11 Pastoureau (2012), 46-47.

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scultura i più antichi episodi dall’età classica di rappresentazioni di animali come soggetti unici13; siamo di fronte alla tappa iniziale del percorso che condurrà ad immagini di esseri

viventi e di luoghi tratte dal vero.

Il primo ritratto di uno specifico esemplare sarà quello del “solo elefante mai visto in Inghilterra”, come lo definirà nell'annale relativo all'anno 1255 lo storico e disegnatore Matthew Paris (ca. 1200 – 1259), riferendosi al dono che Luigi IX di Francia (1214 – 1270) aveva offerto a re Enrico III (1207 - 1272), come suggello della tregua tra le due nazioni raggiunta nel 1243. A disegnarlo sarà Paris stesso14, in due miniature. In una di esse è presente anche l'immagine della

sua guida (Fig. 1).

Dietro al realismo delle due rappresentazioni, con tanto di sottolineatura delle articolazioni delle ginocchia, vi era sostanzialmente una curiosità giornalistica, volendo documentare la permanenza di una creatura esotica, che era stata condotta attraverso la Manica ed ospitata per quattro anni in un’apposita costruzione all'interno della Torre di Londra15.

Negli stessi anni nel meridione d'Europa era giunto alla luce il trattato di falconeria De arte

venandi cum avibus composto dall'imperatore Federico II di Svevia (1194-1250).

Del testo letterario sono giunte a noi due redazioni dalla differente estensione commissionate da due dei figli del sovrano, Enzio (1220-1272) e Manfredi (1232-1266). Quella di quest'ultimo, erede al trono di Sicilia, è conservata presso la Biblioteca Vaticana e contiene soltanto i primi due dei sei libri a noi noti, tuttavia si distingue dalla presenza di un ricercato corredo iconografico, costituito da oltre cinquecento immagini che mostrano con insolito naturalismo un'ottantina di specie animali.

La spiegazione per lo stile accuratamente indagatore si rintraccia osservando come il trattato costituisca un episodio a sé stante nel panorama della letteratura venatoria. Il lettore non vi trova un'esaltazione dell'audacia o della prontezza di un signore (sottintendendone dunque il valore militare), come era già avvenuto e continuerà ad accadere per le opere di medesimo argomento, bensì ha modo di accedere ad un'approfondita analisi delle pratiche della caccia e di alcuni aspetti del mondo naturale, sperimentati direttamente dall'imperatore oppure ricavati da altri testi e verificati16.

Per acutezza e precisione delle informazioni ed apertura ad ulteriori apporti sui temi dibattuti,

12 Pastoureau (2012), 36. 13 Pastoureau (2012), 36. 14 Lewis (1987), 212-214. 15 Lewis (1987), 214-216.

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De arte venandi cum avibus si configura come un'opera scientifica a tutti gli effetti, frutto di una

visione empirista lontana da credenze e superstizioni, efficacemente rispecchiata dalle immagini del manoscritto della Biblioteca Vaticana, che propongono descrizioni particolareggiate degli uccelli in contrasto con la schematicità degli scenari in cui si collocano (Fig. 2)17.

Nonostante l'indubbio valore del trattato, esso cadrà nell'oblio, non venendo mai menzionato da autori contemporanei o successivi fino all'Ornithologia di Ulisse Aldrovandi (1522-1607)18, che si

colloca a cavallo tra gli ultimi anni del Cinquecento ed i primi del Seicento. Tuttavia, il suo significato appare indiscutibile anche per la storia dell'arte, rivelando come dietro alle osservazioni dalla realtà fosse sorto un nuovo interesse scientifico ed una finalità fondamentalmente didattica19.

Inoltre, tale esperienza rafforza la constatazione20 secondo la quale, dietro l’emergere della

nuova scienza del tardo medioevo e del rinascimento, un ruolo rilevante fu giocato dagli interessi dei detentori del potere, anche economico, che a sua volta è strettamente legato agli effetti delle scoperte scientifiche e tecnologiche.

Nel caso specifico della corte federiciana la necessità di conoscenza del mondo concreto appare come una delle istanze più sentite e si affianca al rifiuto delle forme convenzionali dell’arte sacra in favore della monumentalità e chiarezza di richiamo classico, che connota molte delle opere scultoree, architettoniche e di oreficeria di commissione cesarea21. Per evidenti ragioni storiche il

linguaggio stilistico prescelto meglio si adattava a veicolare l’immagine del potere imperiale. Non mancarono, inoltre, statue e cammei che effigiavano il sovrano svevo, contribuendo alla rinascita del ritratto e dimostrando come la rivalutazione dell’individualità e di un’arte profana si legasse in questo caso ad una finalità di propaganda politica22.

16 Trombetti Budriesi (2005). 17 Pächt (1950), 23. 18 Trombetti Brudriesi (2005). 19 Pächt (1950), 25. 20 White jr. (1947), 422. 21 Castelnuovo (2009), 22-31. 22 Castelnuovo (2009), 28-30.

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1.2. Contributi all’indagine del mondo terreno. L’illustrazione botanica.

Se da un lato non vi è dubbio sull’importanza del ruolo dei teologi e di alcune corti nella rivalutazione del mondo esterno da parte della cultura europea tardo medievale, non bisogna tralasciare la potente crescita del ceto borghese a partire dall’XI secolo, il quale, ponendo al centro delle proprie aspirazioni il concreto desiderio del possesso dei beni materiali, spinse per una riconsiderazione delle attività pratiche e dell’apprendimento tecnico23.

Ciò fu possibile anche grazie al fatto che i commercianti non furono più concepiti come individui che avevano scelto una vita di perdizione, riconoscendo loro la responsabilità di una più efficace circolazione di beni e, assieme agli studiosi, di conoscenze24, che si era resa

necessaria a seguito della stabilizzazione e alla crescita degli insediamenti.

In epoca alto medievale si avevano piccoli nuclei abitati che potevano anche spostarsi nel corso del tempo per raggiungere nuovi campi da coltivare. Grazie ad un più efficace sfruttamento delle risorse del suolo, si poté abbandonare lo stile di vita itinerante e così cominciarono a prendere forma e ad accrescersi alcuni centri dotati di robusti edifici in pietra raccolti attorno ad alcune chiese, spesso preesistenti, dando vita alle parrocchie25.

La comparsa della classe mercantile accentuò il fenomeno descritto ed interruppe il perdurare dell’economia di auto-sussistenza, offrendo una disponibilità di risorse mai vista nei secoli precedenti, incentivando la produzione di determinati colture ed il miglioramento tecnico26.

Si allinea al nuovo clima intellettuale la visione enciclopedica degli autori dei bestiari ma anche più in generale l’attività di pensatori come il maestro di Tommaso d’Aquino, il filosofo tedesco Alberto Magno (1193 o 1200 o 1206 – 1280), che compose numerosi trattati incentrati sui regni naturali ricchi di osservazioni personali, così come l’interesse per la sperimentazione dell’inglese Ruggero Bacone (1214-1295), che vede nella matematica il linguaggio fondamentale per la comprensione del mondo fisico27.

Entrambi religiosi, domenicano il primo, francescano l’altro, dimostrano come il processo di allontanamento dalla visione puramente metafisica del mondo si sia sviluppato anche e soprattutto all’interno del cristianesimo.

23 White jr. (1947), 423. 24 Guerreau (2004), 193-194. 25 Guerreau (2004), 190-193. 26 Guerreau (2004), 190-193. 27 Jakob (2005), 85.

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San Tommaso riconobbe anche all’intelletto umano la capacità di contenere il bene, offrendo una nuova via per la conoscenza, svincolata dal trascendente e dalla rivelazione28. Un passo

successivo fu rappresentato dal pensiero di figure come lo stesso Bacone, di Giovanni Duns Scoto (1265-1308), degli averroisti e degli appartenenti alla scuola di Chartres che portarono all’elaborazione di quella “teoria della doppia verità”, secondo la quale esiste un tipo di sapere autonomo rispetto alle spiegazioni aprioristiche dell’universo, quello prodotto dall’osservazione e dalle conoscenze dimostrabili attraverso la ragione.

Dunque sia da un punto di vista filosofico che da quello materiale si crearono le condizioni per l’indagine del mondo naturale, che a seguito della caduta dell’impero romano era stata prevalentemente condotta nel contesto arabo, dove medici, alchimisti, matematici ed astronomi avevano dato luogo a personali esperienze di studio, mantenendo vivo l'interesse per la medicina e per le scienze naturali sorti tra i pensatori greci29, oltre che a quello per molta parte

della filosofia non platonica.

Un esempio è costituito dall’ambito della botanica. Nonostante la realizzazione di nuovi trattati30, la situazione complessiva degli studi nell’Europa cristiana risultava prevalentemente

connotata da un progressivo impoverimento dell'accuratezza dei disegni dei vari testi e della terminologia specialistica31. Un deciso cambiamento cominciò durante l'ultimo fase dell’ XI

secolo, quando la Scuola Medica Salernitana, il più antico centro di medicina in Europa32,

raggiunse il suo momento più proficuo grazie alla maturazione dei contatti con la cultura araba e bizantina.

Fino ad allora erano stati realizzati trattati di igiene e degli erbari, dal contenuto spesso ordinato alfabeticamente e, in un primo tempo, non illustrati33 oppure corredati di figure schematiche ed

irrealistiche.

In seguito si realizzò un’attività consistente di traduzione dall’arabo e di traslitterazione dei neologismi34. Inoltre si diede vita ad opere sempre più raffinate come il Liber De Simplici

Medicina, sorto proprio all’interno dell’esperienza salernitana e curato da un appartenente alla

famiglia Plateari, che si servì non soltanto delle tradizionali fonti di origine latina ma anche di

28 Dvořák (2003), 77-78. 29 Pächt (1950), 26. 30 Touwaide (2008), 37-38. 31 Pächt (1950), 27. 32 Blunt, Raphael (1989), 57. 33 Pächt (1950), 27. 34 Touwaide (2008), 38.

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testi arabi35, dando vita ad un’opera di riferimento assoluto, che venne tradotta nel corso del

tempo in francese, inglese, olandese, tedesco, danese, provenzale ed ebraico. Nel 1422 diventò il testo adottato per gli erboristi della facoltà di medicina a Parigi36.

Le numerose varianti sopraggiunte nel corso dei decenni e nei vari contesti videro l’introduzione delle nuove conoscenze maturate dai vari copisti ed il ricorso ad immagini più liberamente interpretate, che rivelano la combinazione di richiami alle fonti tradizionali e di particolari insoliti scaturiti dall’osservazione delle specie vegetali37.

Un atteggiamento non troppo dissimile si andò verificando con la fioritura dello stile gotico in scultura ed in architettura, dove apparvero le soluzioni formali andarono ad arricchirsi grazie anche soluzioni riprese dall’ambiente naturale. Al riguardo un esempio particolarmente suggestivo è costituito dall’ornato della sala capitolare aggiunta sul lato settentrionale del coro della collegiata di Southwell, nel Nottinghamshire, nell’ultimo ventennio del Duecento.

Per tutto il medioevo l’edificio nel suo complesso rivestì una considerevole importanza, esercitando la funzione di cattedrale per l’area meridionale dell’arcidiocesi di York38, e dunque si

cercò di arricchire il nuovo corpo architettonico (ed il vestibolo da cui si accedeva) secondo le forme più eleganti dello stile degli ambienti sacri inglesi dell’epoca39, arricchito e caratterizzato

dall’adozione di un motivo decorativo ispirato a fiori, frutti e foglie. È stato notato che non si vollero creare riproposizioni speculari della realtà: ognuno degli scranni della sala è coronato da un timpano al cui interno si trovano di volta in volta specie vegetali differenti ma adattate alla forma triangolare dello spazio a disposizione. All’opposto ognuno dei lati esterni dei timpani è scandito ritmicamente da gruppi identici di foglie che rievocano solo da lontano esemplari realmente viventi, che invece sono stati riconosciuti e individuati nei capitelli (Fig. 3)40.

Addirittura la volontà di conferire nuova forza espressiva alle decorazioni vegetali ha portato in alcuni casi, come quello delle foglie di edera che compongono alcuni capitelli, alla ricerca di una tale varietà descrittiva da proporre un maggior numero di peculiarità morfologiche rispetto agli esempi proposti dagli erbari dell’epoca41.

Da questo episodio comprendiamo come si stia gradualmente iniziando a impiegare nuove

35 Blunt, Raphael (1989), 57. 36 Tongiorgi Tomasi (1994), 842. 37 Tongiorgi Tomasi (1994), 842. 38 Alexander (1999), 791-793. 39 Givens (2005), 5. 40 Givens (2005), 9-11. 41 Givens (2005) 13-14.

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formule espressive, tratte dall’esperienza quotidiana. Seppur ancora coscienti della necessità spirituale di rimarcare la distanza tra ciò che rispecchia l’armonia celeste ed il carattere ingannatore del mondo fenomenico, gli artisti si affiancano e si confondono con gli uomini di scienza e cominciano a stabilire un nuovo tipo di dialogo con lo spettatore, sollecitando le sue capacità percettive42 e la sua esperienza visiva.

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1.3. L’individualità dell’artista.

La tradizionale visione antimimetica del primo cristianesimo, promossa in particolar modo da sant’Agostino, si trova adesso affiancata di tanto in tanto da una nuova curiosità nei confronti di specifici frammenti della realtà terrena svelati ed offerti alla conoscenza umana43.

In un primo tempo essi vengono subordinati alla ancor rigida convenzione descrittiva tradizionale; una delle prime testimonianze al riguardo è offerta dalla celebre rappresentazione grafica del leone (Fig. 4), presente tra disegni “di viaggio” dell’architetto Villard de Honnecourt (attivo nel primo terzo del Duecento). A fianco ad essa un’iscrizione precisa che l’animale fu ritratto dal vero. Ciononostante vi sono degli aspetti che stridono con l’immagine che possiamo avere adesso del felino, dal volto tondeggiante ed umanizzato al rigido corpo suggerito essenzialmente tramite il suo contorno44.

Come sostiene Ernst Gombrich nel suo saggio Arte e illusione, chiunque miri alla copia di un oggetto vivrà ripetutamente un’oscillazione tra lo schema, l’idea approssimativa che egli ha di quell’oggetto, e le correzioni progressive che gli vengono indicate dall’osservazione45.

Tale processo subirà una consistente accelerazione nel corso del Duecento e sopratutto nel Trecento, quando il momento descrittivo troverà uno spazio sempre maggiore, rivelato dalla comparsa di disegni dalla particolare vivacità, debitori almeno in parte di una fase di studio dal vero. Essi non soppiantarono i consueti modelli grafici che circolavano di bottega in bottega durante il medioevo (dei quali i trentatré fogli di pergamena illustrati da de Honnecourt sono un raro esempio giunto fino ai nostri tempi46), semmai li affiancarono all’interno delle

medesime raccolte, affievolendo il riproporsi delle più consuete soluzioni schematiche47. In altri

casi arricchirono queste ultime di nuovi dettagli48.

Si immagina che lo scopo generale di quelle sperimentazioni grafiche fosse quello di allenare l’occhio e la mano49, come suppone Otto Pächt per spiegare la staticità dell’aspetto di alcune

figure (Fig. 5) del cosiddetto Taccuino di Giovannino de Grassi, conservato presso la Biblioteca

43 Givens (2005), 172-173. 44 Givens (2005), 56-60. 45 Gombrich (1965), 87-90. 46 Piccinini (2004), 110-112. 47 Scheller (1995), 62. 48 Scheller (1995), 67. 49 Scheller (1995), 66.

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Civica di Bergamo, uno degli episodi più significativi e compiuti del naturalismo tardo-gotico50.

Composto di quattro fascicoli rilegati assieme in epoche successive51, esso propone un insieme

molto ampio di disegni, in gran parte di animali, dalla tecnica e dalla raffinatezza eterogenee. Solo la gran parte delle figure del primo fascicolo del codice sono attribuibili a Giovannino de Grassi52 (prima citazione 1389-1398), artista che operò presso i Visconti nell’ultima parte del

XIV secolo, ricoprendo innumerevoli mansioni, secondo la consuetudine del tempo che vedeva molti pittori cimentarsi nelle tecniche più diverse53. Nel caso specifico egli fu pittore,

disegnatore, architetto e più raramente anche scultore, risultando una delle più attive personalità che operarono nel cantiere del duomo di Milano54.

Sebbene alcuni animali attribuiti a de Grassi presentino rimandi a fonti specifiche (come alcuni bestiari e un trattato sui vizi e le virtù conservato al British Museum55), va rilevato come egli

avesse la possibilità di studiarli direttamente anche nei giardini del Duca, per poi riprodurli su varia scala nelle miniature o negli affreschi delle residenze signorili.

Con la bottega di de Grassi, cui contribuirono anche il fratello Porrino e il figlio Salomone, trova una delle sue più compiute manifestazioni quell’estetica naturalistica, che fornisce alla simbologia cristiana la possibilità di esprimersi in modo sempre più articolato attraverso immagini arricchite da nuovi e suggestivi dettagli56. Per molti illustratori tardogotici il disegno

divenne quindi il mezzo fondamentale per l’indagine personale di oggetti naturali da replicare o da rileggere consistentemente57.

Tale tendenza fu accentuata dai mutamenti della società urbana, in particolare quella dell’Italia settentrionale, che consentirono agli artisti di diventare “creatori” di figure dall’inedito realismo senza più destare particolare scandalo58.

Di conseguenza si manifestò sempre più liberamente la presenza di uno stile personale, che trovò la sua certificazione nella firma, apposta sempre più di frequente su pale d’altare e su polittici nel corso del basso medioevo. Molte volte essa si riferiva non soltanto al singolo artista

50 Pächt (1950), 17. 51 Rossi (1995), 45. 52 Rossi (1995), 45. 53 Castelnuovo (1986), 17. 54 Sutton (1996), 318-319. 55 Pächt (1950), 21. 56 Rossi (1995), 47. 57 Rossi (1995), 47. 58 Camille (1989), 47.

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ma alla bottega che egli soprintendeva garantendo il valore dell’opera59. Nel caso di pittori

particolarmente affermati, quali Duccio di Boninsegna, Simone Martini o Tommaso da Modena poteva assumere una forma articolata, che metteva in risalto il loro orgoglio e la nuova considerazione di cui godevano60.

Allo stesso modo apparvero all’interno dello spazio figurato i ritratti dei committenti, lasciando intuire la comparsa di una visione maggiormente individualistica, che condurrà a quello sviluppo della personalità ritenuto da Jakob Burckhardt uno degli elementi fondanti della cultura rinascimentale e dello stile di vita ad essa legato.

Talvolta li troviamo come spettatori di episodi della tradizione sacra61, fino al caso estremo di

Enrico Scrovegni che figurerà all’interno del giudizio universale, ripreso nell’atto di donare il modellino della cappella da lui fatta edificare e decorare.

L’irrompere di citazioni del mondo reale su tavole e dipinti rientra in quel percorso verso una maggiore “indipendenza spirituale” da parte dell’alta borghesia che connotò la cultura trecentesca e che in ambito artistico si tradusse in una crescente attività di committenza e con l’abbandono del complesso linguaggio, dogmatico e didattico, che connotava le opere di derivazione monastica62.

In ogni caso al di là dei singoli episodi, il naturalismo gotico, anche nella sua fase più compiuta (come abbiamo visto con de Grassi) equivalse ad un’evoluzione piuttosto che ad una rivoluzione stilistica e non rinunciò affatto ai contenuti simbolici, dando loro una nuova veste attraverso gli oggetti terreni, che avevano guadagnato il diritto alla rappresentazione, essendo considerati come il frutto della Creazione63.

La nuova concezione artistica aveva trovato una manifestazione fondamentale già all’inizio del secolo con Giotto (1267 - 1337), figura esemplare dell’epoca anche come imprenditore, avendo messo in piedi una bottega a Firenze e forse una a Napoli ed avendo diversificato i propri

59 Burke (1979), 87-88.

60 Castelnuovo (1986), 14-17. Giovanni da Milano (ca. 1325 – ca. 1370) esegue una tavola

ritraente Cristo in pietà per alcuni committenti fiorentini e sottolinea la propria provenienza geografica con l’iscrizione: “Io Giovanni da Melano depinsi questa tavola i MCCCLXV”. Tommaso da Modena fu commissionato dall’imperatore Carlo IV (1316 – 1378) un trittico oggi conservato nel castello di Karlštein (a lungo ritenuto il primo esempio di pittura ad olio, nonostante sia stato realizzato a tempera). Su di esso si legge: “Quis opus hoc finxit? Thomas de Mutina pinxit/ Quale vides lector/ Barisini filius auctor”.

61 Castelnuovo (1986), 12. 62 Antal (1960), 169. 63 Antal (1960), 175.

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investimenti in molteplici attività; ad esempio è noto il fatto che concesse un telaio in affitto ad un interesse del 120 per cento l’anno64.

Dalle sue pitture traspare indubbiamente una profonda comprensione della realtà visiva, che però non viene riproposta in tutti i suoi aspetti. La scena sacra da lui presentata è vista come frutto dell’ incontro del divino con il quotidiano. Se da un lato egli suggerisce la presenza del trascendente attraverso l’impiego esclusivo degli elementi concreti che ricordano l’episodio dipinto, dall’altro si discosta da un intento puramente descrittivo o topografico65.

Pertanto con Giotto fa la propria comparsa un nuovo mondo, quello della rappresentazione artistica, che si discosta dalla realtà terrena e da quella celeste, fondandosi su proprie norme, tra le quali emergono l’espressione dei sentimenti, la raffinatezza delle figure e la cura dei rapporti spaziali di queste nella ricerca di un’unità compositiva66.

Dunque con il pittore toscano si viene a compiere quel processo di rivalutazione dell’immagine che si era avviato dapprima nell’area bizantina in seguito al dibattito sull’iconoclastia (VIII – IX secolo), per poi venire sempre più impiegata nell’arredo delle chiese occidentali a partire dall’ XI secolo67.

Attraverso di essa si comunicava la presenza nel luogo di culto di una determinata personalità sacra, della quale si mostravano le fattezze esteriori, reali oppure attribuite dalla tradizione, favorendo un maggior coinvolgimento dei fedeli.

Inoltre si andò verificando, dapprima (XI-XII secolo) tra i religiosi e successivamente (XII-XIV secolo) tra i laici, un atteggiamento di devozione privata, basato molto spesso sulla contemplazione della figura sacra e sul ricorso ad atti ed espressioni rituali da eseguire di fronte ad essa68, volti a replicare quella condizione di sottomissione in cambio di protezione che era

possibile ritrovare in molti ambiti della società feudale.

Comprendiamo come durante la parte finale del medioevo emerse la volontà di stabilire anche un rapporto individuale e diretto con il divino, che si stabiliva prevalentemente sul piano sentimentale. Un ruolo non marginale al riguardo dovette essere giocato dai nuovi ordini mendicanti. Si pensi ad esempio alla riflessione sul tema della passione di Cristo, approfondita con un nuovo spirito dai francescani e dai domenicani al punto da rinnovare fortemente lo stile

64 Burke (1979), 98-99. 65 Dvořák (2003), 87-88. 66 Dvořák (2003), 87-90 67 Bacci (2004), 273-274. 68 Bacci (2004)b, 226.

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delle croci dipinte, con un abbandono di molti aspetti simbolici ed un’accentuazione delle caratteristiche umane della figura del Figlio di Dio69.

La nuova forma di devozione impose il diffondersi di nuovi oggetti funzionali necessari alla preghiera privata, tra cui la tavola dipinta, che andò ad arricchirsi di inediti motivi figurativi, spesso tratti da testi apocrifi, per poter sollecitare una più intensa meditazione. È stata notata una reciproca influenza, durata fino alla metà del Quattrocento, tra i racconti delle più celebri visioni miracolose avvenute di fronte alle effigi sacre e lo stile figurativo di queste ultime, con un accrescimento della presenza di dettagli coloriti in entrambi i casi70.

Volendo riprendere la terminologia introdotta da Gombrich, possiamo osservare come la sanzione della rinnovata importanza assegnata al momento dell’osservazione rispetto a quello dell’idea avvenga con la comparsa delle prime storiografie artistiche dell’epoca moderna, a partire dal secondo libro dei Commentarii di Lorenzo Ghiberti (1375 – 1455), che, risale alla metà del XV secolo e costituisce la più antica raccolta di biografie di artisti italiani71.

Il testo si apre con l’attribuzione dell’abbandono della pittura e della scultura così come della distruzione delle preesistenti opere a carattere profano al sopraggiungere del cristianesimo. Se è nel contesto bizantino che riprenderà un interesse per i dipinti, è a Giotto che viene riconosciuto il merito di aver riportato l’arte ad una magnificenza andata perduta da seicento anni.

Il portentoso talento naturale del capostipite della nuova pittura e la sua precoce capacità di osservazione vengono presentati al lettore attraverso il celeberrimo episodio dell’incontro con il suo futuro maestro Cimabue, durante il quale fu ammirato dalla naturalezza con cui il giovane Giotto aveva ritratto una pecora su una pietra72.

Avvenimenti analoghi verranno associati anche ad altri disegnatori 73 , rivelando

l’apprezzamento da parte degli storiografi moderni per l’attività di studio dal vero condotta da alcuni artisti del Tre e Quattrocento.

In ogni caso è doveroso notare che con il tempo tale giudizio finì per richiamare un topos della

69 Boskovits (1988), 96. 70 Boskovits (1988), 93-104. 71 Pächt (1950), 13.

72 Ghiberti (1998), 83-84. “Cominciò l’arte della pictura a sormontare in Etruria. In una villa

allato alla città di Firenze, la quale si chiamava Vespignano, nacque uno fanciullo di mirabile ingegno, il quale si ritraeva del naturale una pecora. In su passando Cimabue pictore, per la strada a Bologna, vide el fanciullo sedente in terra, e disegnava in su una lastra una pecora. Prese grandissima amiratione del fanciullo, essendo di sì pichola età fare tanto bene…”.

73

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letteratura antica. Ad esempio Giorgio Vasari (1511 – 1574) ne Le vite dei più eccellenti pittori,

scultori e architetti, che riproporrà il già citato contatto tra Giotto e Cimabue, descriverà l’artista

di Vespignano come “discepolo della natura, non d’altri”74, similmente a quanto sostenne Plinio

il Vecchio (23 – 79) nella Naturalis historia riguardo a Lisippo. La volontà dell’autore classico era quella di fare dello scultore una personalità superiore e indipendente rispetto al contesto culturale in cui era nato75. Possiamo dunque ipotizzare un intento non molto differente per il

biografo cinquecentesco.

74 Vasari (1963), 67. 75 Givens (2005), 16-17.

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1.4.

Le ambizioni culturali delle autorità politiche emergenti nella Pianura

Padana.

Comunque secondo Pächt la prima apertura al realismo senza mediazioni aveva avuto origini al di fuori dell’ambito strettamente artistico: il progredire delle scienze empiriche aveva assegnato all’immagine un valore didattico e implicato la necessità di una maggior accuratezza76.

Egli ritenne che nel campo della botanica il primo esempio di una raccolta di studi dal vero svincolati dalle raccolte di modelli fosse costituito dalle illustrazioni che accompagnano la traduzione in volgare del Liber aggregatus in medicinis simplicibus77. Essa fu eseguita dal monaco

Jacopo Filippo per Francesco II da Carrara (1359 - 1406), ultimo signore di Padova e collocata all’interno del cosiddetto Erbario Carrara, mentre il testo originale era stato scritto dal medico arabo Ibn Sarabi (Serapion il Giovane) e risaliva al nono secolo.

In realtà soltanto parte delle figure che compongono l’erbario scaturirono da un’attenta osservazione degli esemplari dal vero. Esse rivelano una cura formale che si allontana da un intento esclusivamente didattico, mostrando allo spettatore le varie specie così come possono presentarsi in natura, senza alcuna forzatura descrittiva ma in accordo con la disposizione del testo (Fig. 6).

Che una tale dimostrazione di interesse per il mondo vegetale provenisse dalla Padova a cavallo tra il Trecento ed il Quattrocento non è certamente un caso, vista la presenza di un clima politico assai favorevole a iniziative artistiche di indirizzo naturalistico78.

Il capitano generale Giacomo da Carrara aveva assunto il potere nel 1318 in un momento di particolare difficoltà per la città, minacciata dalle mire espansionistiche degli Scaligeri di Verona e aveva avviato il regime dinastico della signoria, che si interruppe definitivamente nel 1405 quando lo stato fu annesso alla Repubblica di Venezia.

Durante quel periodo furono innumerevoli le iniziative culturali volte a legittimare il potere della famiglia, instauratosi autonomamente rispetto alle autorità temporali del papato e dell’impero, affermandone la rispondenza all’ordine naturale delle cose79 e facendo leva sulla

constatazione secondo la quale le gerarchie sulla terra sono il riflesso di quelle celesti, che aveva

76 Pächt (1950), 25. 77 Pächt (1950), 25. 78 Smith (2008), 17. 79 Smith (2008), 17.

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da tempo giustificato il ruolo e la struttura della Chiesa80.

Un contributo significativo provenne da giuristi come Bartolo da Sassoferrato (1313 o 1314 - 1357) ed il suo allievo Baldo degli Ubaldi (1319 o 1327 - 1400), che negli anni Settanta detenne la cattedra di diritto civile proprio a Padova, diffusero la concezione della giurisprudenza come un arte che, al pari di tutte le altre, doveva imitare la natura, secondo quanto sosteneva Aristotele figura di massima autorevolezza per il contesto accademico patavino81.

Un atteggiamento speculare rispetto alla ripresa del giusnaturalismo fu ravvisabile anche in altri ambiti di studio come in medicina, a partire da Pietro d’Abano (1250 – ca.1315), fondatore della locale facoltà di scienze naturali, che propose un atteggiamento empirico e non più teorico nell’indagine dell’ambiente.

Si può dunque affermare che a Padova, ma in generale in molte altre città-stato del nord Italia, si verificò una concordanza di interessi e di punti di vista tra i signori emergenti e gli scienziati e che dunque è in tali contesti specifici che l’arte aderì in modo ben più deciso all’istanza mimetica82.

Ne abbiamo una testimonianza con i cosidetti tacuina sanitatis, che conobbero particolare diffusione nell’area padana (soprattutto lombarda) alla fine del Trecento, proponendo un’evoluzione ulteriore della rappresentazione delle piante83.

Si tratta di una tipologia letteraria dalla probabile origine araba che, offrendo informazioni sulle proprietà degli alimenti più comuni e degli effetti di determinate condizioni ambientali, rivela la comparsa di un insolito interesse per il benessere personale.

Attraverso il tacuinum si evince come il desiderio di approfondire la conoscenza del mondo si fosse ormai diffuso anche oltre l’ambito istituzionale. In questo modo alcune singole personalità poterono accedere ad un patrimonio di informazioni inerenti per esempio le modalità di coltivazione degli ortaggi e di allevamento degli animali, alcuni stati d’animo o addirittura attività come il canto o il ballo84.

A differenza di opere come l’erbario Carrara, in questo caso le immagini venivano realizzate prima di inserire il testo e del resto la netta differenza di spazio, a favore delle prime, rivela chiaramente che esse erano il più importante strumento di comunicazione, suddividendo il

80 Muratova (2004), 464. 81 Gramaccini (1986), 210-211. 82 Gramaccini (1986), 210. 83 Cogliati Arano (1979), 9. 84 Witthoft (1978), 49-51.

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titolo dell’argomento dalla sua descrizione lunga poche righe (Fig. 7).

Il fatto di rappresentare ogni soggetto attraverso la scena di un’attività caratteristica a cui esso si legava ampliò considerevolmente il repertorio figurativo, che fino a quell’epoca si fondava in gran parte sulle occupazioni relative al Ciclo dei Mesi. Inoltre il passaggio da una rappresentazione realistica ma isolata di una specie vegetale alla riproposizione dell’ambiente in cui la si poteva trovare segnala un significativo sviluppo per le tendenze più naturalistiche per l’arte di paesaggio, che si manifestarono nella Lombardia di fine secolo.

Non a caso alcune illustrazioni dei tacuina vengono viste come strettamente legate allo stile dei disegni di Giovannino de Grassi.

Come ha affermato Antal85 per il contesto fiorentino ed in generale per tutti quelli dove la

borghesia acquisì una consistente influenza, l’intera vita sociale finì per essere inclusa nelle opere d’arte, attraverso la citazione delle molteplici attività dei campi e delle città. In molti casi esse si fecero portatrici di una simbologia volta a riaffermare la corrispondenza tra la vita terrena e il pensiero ufficiale della Chiesa, mostrando il raggiungimento di una collaborazione a livello culturale tra quest’ultima ed i maggiori esponenti della classe mercantile. Come abbiamo constatato nel caso dei tacuina, si ebbero anche situazioni in cui fu un autentico desiderio di erudizione personale a produrre l’accrescimento dei motivi figurativi possibili.

L’ascesa sociale di molti dei committenti delle nuove tipologie artistiche fu in molti casi il riflesso dell’espansione delle loro città di provenienza, che in molti casi divennero comuni liberi. Fu, dunque, durante l’ultima stagione del medioevo che i centri urbani più grandi e dalla collocazione più vantaggiosa estesero la propria influenza sui territori circostanti, anticipando quella suddivisione politica della penisola che si protrarrà per secoli86.

85 Antal (1960), 330. 86 Vergani (2003)a, 29.

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1.5. La rappresentazione della città.

L’ambiente urbano acquisì una nuova importanza anche grazie all’irrompere nel primo Duecento degli ordini francescano e domenicano, che si prefissero un ruolo attivo nella società umana, con i primi che cercarono di condividere la condizione dei più poveri, rinunciando alla cultura, a tutti i propri possessi e cercando il proprio sostentamento attraverso attività manuali oppure attraverso la questua87.

I seguaci di san Domenico di Guzman (1175 – 1221) si dedicarono ad un’attività di predicazione, volta a rinsaldare la fedeltà alla Chiesa romana laddove erano emerse visioni eretiche, e si occuparono a lungo della gestione dell’istruzione scolastica88.

Di pari passo andarono mutando anche le modalità di rappresentazione della città e del paesaggio.

Pur tenendo ben presente l’altissima percentuale di immagini andate perdute, sembra incontestabile il rifiuto di ogni citazione topografica a partire dall’VI secolo. L’ultimo episodio che si possa menzionare al riguardo è contenuto all’interno della navata centrale di Sant’Apollinare Nuovo, con la raffigurazione fortemente semplificata di Ravenna (Fig. 8) e del porto di Classe (Fig. 9).

Entrambi i luoghi appaiono evocati anziché riprodotti attraverso la parte superiore di alcuni edifici che emergono dall’alta cinta muraria, secondo uno schema che verrà replicato per tutto il medioevo quando si vorrà suggerire la presenza di un qualsiasi centro abitato, da quelli più vicini a quelli che avevano un particolare significato per la storia del cristianesimo89.

In particolare fu proprio il secondo tipo di riferimento comparire con significativa frequenza, durante un’epoca storica che vide molti insediamenti preesistenti scomparire oppure ridursi drasticamente e comunque limitare la propria influenza sul territorio circostante.

Nel mosaico del porto di Classe è stato rilevato un richiamo alla Gerusalemme Celeste, che si manifesta nei conci dorati delle mura, che sembrano richiamare il diaspro e le pietre preziose che compongono la struttura difensiva del luogo apocalittico90. La volontà di proiettare il

mondo ultraterreno nel quotidiano troverà costanti manifestazioni nella storia dell’arte. Un esempio assai curioso e significativo è dato dagli edifici che vennero innalzati ad imitazione di

87 Miccoli (1995), 331. 88 Mangani (2006), 140. 89 Vergani (2003)a, 34. 90 Vergani (2003)a, 31.

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quelli dall’indiscusso valore simbolico, come le innumerevoli strutture costruite in tutt’Europa dal V al XVII secolo a richiamare in vario modo il Santo Sepolcro di Gerusalemme91.

L’elemento della cinta muraria dipinta assume non di rado il medesimo spirito, rappresentando il confine all’interno del quale l’uomo cerca di vivere in armonia con le norme divine. Talvolta il suo valore metonimico viene ulteriormente accentuato venendo presentata come un poligono che contiene uno spazio vuoto, senza alcun edificio92.

Dal punto di vista pratico le fortificazioni ebbero un’importanza primaria nel proteggere edifici e villaggi dagli effetti di situazioni di instabilità politica ma soprattutto da minacce esterne come le invasioni93 o le epidemie di malaria, favorite dal processo di impaludamento che aveva

numerose zone di pianura94.

Dunque l’ambiente esterno ai centri abitati si configurava spesso come minaccioso sia da un punto di vista concreto che spirituale. Non stupisce il fatto che fino al basso medioevo non si abbiano sostanzialmente descrizioni figurative del mondo rurale (e si riducano quelle letterarie95).

Per rappresentare scenari boscosi e montagne ci si servirà delle soluzioni provenienti dalla tradizione bizantina (rilanciata dalla conquista di Costantinopoli durante la Quarta crociata96)

anche in pieno Quattrocento, quando questa era stata sostituita da nuove sperimentazioni negli altri ambiti della rappresentazione pittorica97. Si ricordi la celebre raccomandazione di Cennino

Cennini su “el modo del ritrarre una montagna del naturale”98, contenuta in quel manuale

tecnico per artisti che va sotto il titolo di Libro dell’arte.

Ancor più significativo risulta il fatto che uno degli episodi più considerevoli nel processo di distacco dalle formule stilistiche bizantine da parte della pittura italiana, gli affreschi sulle Storie

di san Francesco realizzati da Giotto e da alcuni collaboratori nella Basilica Superiore ad Assisi,

veda un profondo rinnovamento nella resa delle architetture, delle città, delle figure umane ma

91 Krautheimer (1942), 3. 92 Nuti (2002), 243. 93 Maritano (2002), 284. 94 Sereni (1979), 90. 95 Maritano (2002), 284-285. 96 Vergani (2002), 33. 97 Maritano (2002), 300.

98 Cennini (1998), 97. “Se vuoi pigliare buona maniera di montagne che paino naturali, togli di

pietre grandi che sieno scogliose e non pulite, e ritra’ne del naturale, daendo i lumi e scuro, secondo che la ragione t’acconsente”.

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non nelle montagne99. Il loro aspetto risulta non troppo differente dalla visione generica che ne

offrivano gli autori precedenti, a partire dal maestro Cimabue, se non per una più accurata coerenza luministica.

Come abbiamo già avuto modo di ricordare, uno degli aspetti fondamentali della pittura giottesca è la ricerca dell’unità compositiva, che in episodi come quello delle Stimmate (Fig. 10) viene rafforzata anche dal fondale. In questo caso una vetta montuosa segnala la separazione del santo dal resto del mondo, ribadendo la capacità della natura incontaminata di ospitare - se non addirittura di generare - eventi prodigiosi, un motivo che traeva forza dalla già accennata concentrazione degli insediamenti in piccole aree all’interno di un ambiente per lo più boscoso, nel quale l’uomo non si avventurava se non sporadicamente100. Lo ritroveremo più volte nel

corso della nostra analisi ed anche per epoche successive ad essa, come l’Ottocento romantico. L’atteggiamento stilistico mostrato da Giotto non dovette essere l’unico attuato dai pittori nel trattare gli scenari naturali. Un esempio di indirizzo opposto è costituito dalla scena del

Sacrificio di Isacco (Fig. 11), affrescata nei primi anni del XIII secolo nella chiesa di San Jacopo a

Grissiano (Bz), all’interno della quale è stata riconosciuta la rappresentazione delle Dolomiti, vista la relativa vicinanza del luogo di culto dall’altopiano del Renòn, connotato da pinnacoli argillosi alti oltre trenta metri101.

Non sappiamo quale fu la consistenza e il grado di influenza delle tendenze più realistiche, dal momento che si stima che delle opere duecentesche sia andato perduto almeno il 99 per cento delle pitture su tavola e ancora di più degli affreschi102. La situazione non appare molto migliore

per le realizzazioni trecentesche, tuttavia si possono menzionare momenti di indubbio significato storico, in relazione al ricomparire dopo sette secoli delle prime immagini topografiche superstiti, ovviamente a soggetto urbano.

Tra di esse una delle più antiche e rilevanti è data dall’Ytalia che altro non è che la sintetica ma dettagliata rappresentazione di otto edifici storici della città di Roma (Fig. 12), che accompagna la figura di san Marco sulla volta a crociera della Basilica Superiore di Assisi. In questo caso l’autore, Cimabue, si rifaceva ad una delle modalità con cui si raffiguravano talvolta gli evangelisti, con il ritratto di ognuno affiancato dal proprio emblema e dalla citazione della provincia in cui si supponeva che avesse scritto il proprio racconto della vicenda terrena di

99 Vergani (2002), 39-42. 100 Maritano (2002), 283. 101 Maritano (2002), 302. 102 Castelnuovo (1986), 10.

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Gesù Cristo: l’uomo e la Giudea per Matteo, il bue e l’Acaia per Luca, l’aquila e l’Asia per Giovanni ed appunto il leone e l’Italia per Marco103.

Se nelle prime tre scene urbane si verifica il consueto ricorso a costruzioni generiche, nell’Ytalia, si possono riconoscere monumenti come Castel Sant’Angelo e il Pantheon, dietro al quale è collocato il Palazzo Senatorio, che reca due stemmi della famiglia Orsini104. Il dettaglio lascia

supporre che si sia di fronte alla rappresentazione sintetica ma esatta della città nel 1278-’79, quando proprio due degli Orsini, il pontefice Niccolò III (1216 - 1280) e il parente Matteo Rosso (ca. 1230 – 1305) avevano assunto il governo della capitale.

Comprendiamo, quindi, come si abbia un intervento celebrativo dell’attività temporale e politica del papa, che cercò di riqualificare la parte trasteverina e riformò la magistratura urbana.

Come per Roma, anche per le altre principali città d’Italia era iniziata una fase destinata a proseguire almeno fino al sopraggiungere della peste nel 1348. Durante quel periodo andò maturando una nuova sensibilità nei confronti dello spazio urbano, con interventi di ampliamento e di riqualificazione varati dalle autorità politiche e religiose per accrescere il proprio prestigio ma anche per generare un ritorno economico.

Molte delle iniziative dovettero rientrare all’interno di una programmazione a lungo termine, come sembrerebbe affermare la scelta di ampliare il perimetro delle mura fino a comprendere zone disabitate, da riservare alla coltivazione in tempo di pace o alla protezione degli abitanti del contado durante la guerra e che in ogni caso tenevano conto di ulteriori espansioni della città105.

103 Vergani (2003)b, 64. 104 Vergani (2003)b, 64-65. 105 Vergani (2003)b, 51.

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1.6. Il paesaggio a Siena tra azione urbanistica e affreschi politici.

Il tema dell’intervento urbanistico e della sua celebrazione troverà eccezionale risalto a Siena negli anni del governo dei Nove (1287 – 1355), i cui esponenti, appartenenti alla borghesia più facoltosa, commissionarono opere dal grande valore culturale e politico, dalla decorazione pavimentale di Piazza del Campo, all’edificazione del Palazzo Pubblico (1297 – 1310), agli affreschi delle sale di quest’ultimo106.

La felice stagione conobbe una brusca conclusione avvertibile tuttora osservando lo scheletro della navata destra e la facciata incompleta di quella che sarebbe stata la nuova cattedrale, che avrebbe impiegato il corpo del duomo preesistente, quello attuale, come transetto. L’ambizioso progetto fu accantonato al sopraggiungere della già citata epidemia di peste, che si aggiunse alle difficoltà politiche e ai problemi di natura statica.

Di particolare significato è il ciclo di affreschi commissionati ad Ambrogio Lorenzetti per la Sala della Pace di Palazzo Pubblico (1338-’39): essi presentano la visione politica dell’oligarchia al potere, sia a livello ideale con l’Allegoria del Buon Governo, che a livello concreto con gli Effetti del

Buon Governo (Fig. 13). A mo’ di contraltare sulla parete di fronte all’ingresso della sala troviamo

anche le complementari raffigurazioni dell’Allegoria del Cattivo Governo e degli Effetti del Cattivo

Governo.

Come è stato osservato107, gli Effetti del Buon Governo propongono una scena urbana punteggiata

da citazioni dell’ambiente senese, tra le quali spicca il campanile e la cupola del duomo nel vertice alto di sinistra. Indubbiamente erano necessarie a suggerire l’identità tra la capitale della Repubblica ed il fiorente luogo proposto da Lorenzetti.

La presenza brulicante di figure umane, soprattutto in primo piano, richiama molteplici aspetti positivi connessi alla vita urbana, a partire dalle figure danzanti che simboleggiano la concordia108 per passare all’operosità degli uomini che si cimentano nelle attività delle

corporazioni (come i calzolai e lanaioli), della mercanzia, dell’istruzione universitaria e dell’edilizia.

Riguardo a quest’ultima le figure dei muratori intenti a innalzare una torre di mattoni sullo

106 Donato (1995), 23. 107 Donato (1995), 35-36. 108 Seidel (2003), 250.

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sfondo (secondo Seidel109 potrebbe trattarsi della Torre del Mangia), attentamente individuati

nelle loro differenti mansioni, rimandano alla cura che effettivamente veniva riservata alle costruzioni. Si ricordi l’istituzione da parte del governo di una commissione per la valutazione dei progetti dal punto di vista della loro eventuale opportunità pratica ma anche per il loro pregio estetico110.

Da quanto risulta dai documenti del tempo il decoro della città veniva conseguito anche attraverso la modifica o la realizzazione di strade larghe, sufficientemente diritte e luminose e con edifici in buone condizioni costruiti con materiali di qualità almeno sul lato di affaccio111.

Dunque le pitture di Lorenzetti costituiscono non soltanto una rappresentazione celebrativa ma anche l’esemplificazione di un progetto di armonia civile, che viene sperimentato a qualche livello nel concreto con varie iniziative da parte dell’autorità politica. Ognuno dei protagonisti della società avrebbe potuto ispirarsi agli ideali incarnati dalle figure che compongono l’Allegoria del Buon Governo, a sinistra degli Effetti del buon governo. Tra di esse primeggiano la Giustizia, ispirata dalla Sapienza ed il Bene comune.

Possiamo constatare come uno dei vari aspetti innovativi dell’affresco è offerto dall’approfondimento in senso laico della vita comunitaria, nella quale i cittadini possono giungere alla prosperità se si guarderanno dagli impulsi particolaristici112.

Coerentemente con quanto appena affermato, l’opera si configura anche come uno dei primi casi in cui la rappresentazione del paesaggio assume per certi aspetti toni realistici a livello complessivo e non più soltanto in singoli frammenti di pittura.

Sostenuti da una visione politica sistematica diviene adesso possibile guardare alla campagna: nella parte di destra dell’affresco scorgiamo non solo il contado più vicino ma anche le colline della Maremma fino al mare. L’ampliamento del punto di vista non avviene soltanto nello spazio ma anche nel tempo, dal momento che sono state osservate attività agricole riconducibili a diversi periodi dell’anno113.

Sotto la protezione della Securitas, va componendosi uno scenario idillico dove l’alacrità dei contadini non è inferiore a quella degli abitanti della capitale. Anche qui sembrano proporsi altri riferimenti alle iniziative del governo dei Nove, come quella di estendere e tenere in ordine

109 Seidel (2003), 267. 110 Seidel (2003), 263. 111 Seidel (2003), 265. 112 Frugoni (1983), 155-156. 113 Donato (1995), 36.

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il reticolo viario allo scopo di incrementare l’afflusso di grano alla città e innalzare la sicurezza dei commerci114.

Negli affreschi della Sala della Pace trova felicissima espressione il tema tipicamente medievale della conversione di luoghi terreni in ambienti ameni, che offrano rifugio dall’ignoto. Tutt’altro che casualmente, alla brillantezza delle scene prese in esame si oppone l’oscurità del paesaggio amministrato da tiranni negli Effetti del Cattivo Governo. Qui l’abbandono e la rovina di ogni struttura trovano opportuna sottolineatura attraverso l’insistenza sui colori scuri115.

Come è stato notato dagli storici della letteratura, fino al XVI secolo il topos del locus amoenus è quello che ricorre più di frequente nelle descrizioni della natura, risultando spesso contraddistinte da elenchi di elementi isolati e imprecisi116.

Alla luce di tale considerazione l’opera di Lorenzetti e degli intellettuali che idearono il programma iconografico fu certamente innovativa vista l’attenzione spesa nell’offrire allo spettatore una vasta rassegna delle attività umane e nel collocarle all’interno di una visione complessiva. Molto probabilmente quest’ultima andava ad intrecciarsi con la conquista di quasi tutto il contado maremmano da parte della Repubblica avvenuta nel corso dei decenni precedenti.

Anche quel processo di espansione aveva già trovato la sua celebrazione attraverso altri affreschi del Palazzo del governo, che ricordavano l’annessione o l’acquisto di alcune

cittadine. Sono sopravvissute soltanto le testimonianze pittoriche relative a quelli che per la gran parte degli studiosi sono i centri di Giuncarico e Montemassi, riprodotti forse da Duccio di Buoninsegna e Simone Martini sulla parete nord della Sala del mappamondo. Informazioni documentarie attestano la presenza di opere simili anche a Firenze; risalenti alla prima metà del Trecento, vennero collocate in luoghi istituzionali come per esempio il Bargello, sede della magistratura del capitano del popolo117.

La tipologia pittorica presa in esame sembra dimostrare che furono motivazioni di carattere politico ad imporre per la prima volta agli artisti l’introduzione di uno stile realistico per il paesaggio, o almeno per quello campestre, con più di mezzo secolo di anticipo rispetto alla Padova dei Carraresi e alla Lombardia dei Visconti. Nel caso senese l’identificazione del luogo avrebbe riacceso il ricordo di un’impresa militare o diplomatica nella mente dell’osservatore con

114 Seidel (1995), 276. 115 Seidel (1995), 279. 116 Jakob (2005), 86. 117 Maritano (2002), 310.

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una ben maggiore facilità rispetto a qualsiasi scena generica dal carattere simbolico118.

La fondatezza di tale considerazione sembra dimostrata dalla decisione da parte del comune di Siena di inviare Simone Martini ad Arcidosso e a Casteldelpiano119 a prendere appunti, oltreché

dalla dettagliata riproposizione del castello di Montemassi e del profilo dei monti circostanti nel

Guidoriccio da Fogliano (Fig. 14). Nel caso in cui si ritenga quest’ultimo un autentico esempio di

pittura trecentesca, ci troveremmo di fronte ad un nuovo scenario, nel quale gli intenti naturalistici non riguardano più soltanto la figura umana ma investono anche il paesaggio circostante120.

Riguardo a quest’ultimo è stato osservato un differente livello di analisi da parte del pittore, che si è concentrato su alcuni specifici elementi, come il castello di Montemassi, l’apparato del battifolle necessario per l’assedio, l’accampamento militare e di fronte a tutto la figura isolata del condottiero.

Soprattutto per quanto concerne il fondale, la scelta stilistica può trovare una giustificazione nella volontà di dare prova della determinazione del governo dei Nove nel perseguire l’allargamento dei confini della Repubblica, nonostante il costo ingente dell’operazione militare, la cui durata trova sottolineatura nell’unica presenza, probabilmente simbolica, di un motivo vegetale, il vigneto costruito dai soldati senesi nel proprio accampamento.

Già strappato nel 1260 ai più importanti feudatari della Toscana meridionale, gli Aldobrandeschi, Montemassi era stato perduto all’inizio del XIV secolo a favore dei conti Pannocchieschi, rientrando nei domini della Repubblica solo nell’agosto del 1328 dopo ben otto mesi d’assedio121.

Il costo dell’operazione fu ragguardevole, soprattutto per quanto riguarda il costo delle truppe mercenarie di Guidoriccio e per le macchine belliche impiegate, acuendo le difficoltà finanziarie che nel giro di un anno sfociarono in una carestia e in un sommovimento popolare duramente represso.

118 Uta Feldges-Henning, Landschaft als topographisches Porträt. Der Wiederbeginn der europäischen

Landschaftmalerei in Siena, (Berna: Bentelli, 1980). Citato in Maritano (2002), 310.

119 Archivio di Stato di Siena, Biccherna n. 397 (1331), c. 121. Citato in Moretti (1980), 71.

“Maestro Simone dipegnitore die’ avere viij libr. XV. Sol. a dì di setenbre per vij che stette in servigio del Chomune chon uno chavallo et uno fante a la terra d’Arcidosso et di Chastello del Piano et di Schanzano. Avene pulizia da’ Nove; mezi a scita nel dì f.° 33, a ragione di vinte cinque soldi ed dì”.

120 Moretti (1980), 71. 121 Moretti (1980), 66-67.

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Se realmente effettuato all’inizio del decennio successivo, l’affresco accrescerebbe il valore della recente conquista e porterebbe avanti il progetto di decorazione a fresco della Sala del Mappamondo, avviato almeno nel 1314, anno a cui risale la più antica delle scene, scoperta nel corso dei restauri del 1980-’81.

Nota come La resa di Giuncarico (Fig. 15), essa viene comunemente attribuita alla mano di Duccio di Buoninsegna. Nonostante una recente rilettura contesti il soggetto e lo riconduca alla cessione di Santa Fiora alla Repubblica da parte degli Aldobrandeschi122, si riconosce nel dipinto

un’indubbia attenzione nel rendere verosimiglianti (o addirittura nel riproporre realisticamente) i singoli edifici così come nella cura dei loro rapporti spaziali. Ci troviamo di fronte ad una efficace sintesi figurativa che permette di intuire lo svolgersi delle attività fondamentali per una comunità del tempo, da quelle connesse al culto religioso a quelle politiche o di difesa militare. Se con le due scene appena descritte lo sguardo dello spettatore appare considerare specifici luoghi della Toscana meridionale per poi allargarsi all’intero dominio della Repubblica suggerito dagli Effetti del buon governo, si registra un ulteriore ampliamento o uno scarto con la richiesta di far eseguire ad Ambrogio Lorenzetti nel 1345 una mappa girevole su tela o su pergamena comprendente l’intero mondo allora conosciuto 123. Si tratta del famoso

mappamondo che diede il nome alla Sala e di cui abbiamo non poche menzioni da parte degli studiosi del passato, nonostante sia andata perduto.

Il fatto che fosse collocato sopra La resa di Giuncarico124 potrebbe essere interpretato come segno

di una nuova aspirazione, quella di rivolgersi al mondo esterno, ora che appariva ridotta la lotta tra le fazioni politiche e placata la situazione militare interna. Tuttavia nel giro di pochi anni l’ambizione e la sicurezza dei Nove si dovettero scontrare con difficoltà ingenti, a cominciare dalla peste, che ridusse a un terzo gli abitanti di Siena ed eliminò non pochi centri del contado, complicando fortemente la situazione economica e l’approvvigionamento dei prodotti agricoli. Nel 1355 si verificò una rivolta da parte della classe nobiliare e del popolo, che contestò una condotta tutt’altro che oculata sul piano finanziario al governo oligarchico, che finì per essere rovesciato e sostituito dai Dodici, provenienti dai popolari e assistiti da un consiglio composto da altrettanti aristocratici.

122 De Wesselow (2009), 205-217. 123 Castelnuovo, (1995), 16. 124 Seidel (1995), 167.

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