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Prodotto tipico: percezioni e disponibilità al premium price

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Academic year: 2021

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Indice

Capitolo 1: Il prodotto tipico nel settore alimentare ………3

Introduzione……… ..3

1.1 Definizione prodotto tipico ……….4

1.2 Prodotti tipici italiani ………...9

1.3 Tutela ………...10

1.4 Diffusione dei prodotti tipici in Italia ………..13

1.5 Valorizzazione ………17

1.6 I canali di distribuzione ………...23

Capitolo 2: Il ruolo degli attributi nella definizione di qualità ………...29

Introduzione ………..29

2.1 Percezione di qualità dei prodotti tipici ………30

2.2 Attributi …….………..32 2.2.1 Prezzo ………...37 2.2.2 Coinvolgimento ………39 2.2.3 Contesto ………40 2.2.4 Brand ………41 2.2.5 Paese di Origine ………43 2.2.6 Certificazioni ………46

2.3Gli effetti degli attributi ………51

Capitolo 3: I mezzi di comunicazione ………..52

Introduzione ………52

3.1 La comunicazione ………52

3.2 Mezzi tradizionali vs mezzi moderni ………...53

3.3 Internet ……….56

(2)

3.5 Mobile marketing: il futuro ………..58

Capitolo 4: La ricerca realizzata ………...60

Introduzione ………..60

4.1 Obiettivi della ricerca ………...60

4.2 Considerazioni di partenza ………...60

4.3 Metodologia di ricerca ……….62

4.4 Costruzione del campione ………62

4.5 Metodi di raccolta dei dati ………...63

4.6 Analisi dei risultati ………...………70

4.7 Analisi statistica dei risultati ………93

Discussione e conclusioni ………...96

Appendice A: Strumenti di ricerca utilizzati ………...106

Appendice B: Il questionario………...135

(3)

CAPITOLO 1

IL

PRODOTTO

TIPICO

NEL

SETTORE

ALIMENTARE

INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni all’interno del sistema agroalimentare i prodotti tipici hanno assunto progressivamente maggior rilievo diventando oggetto di discussione e quindi di studio e ricerca da parte di molti accademici. È generalmente riconosciuto che i prodotti tipici italiani costituiscono la fetta più affascinante e stimata del nostro sistema agroalimentare, quindi in grado di contrastare validamente l’invasione di altri alimenti.

Fino a pochi anni fa la vendita del prodotto tipico era un’esclusiva solo di piccoli negozi alimentari specializzati, di enoteche se non dei produttori stessi che si occupavano della vendita diretta. Oggi, dato il notevole spazio che si è ritagliato nel mercato, il prodotto tipico italiano è divenuto oggetto di grande interesse da parte anche delle imprese della grande distribuzione, che non solo hanno iniziato a dedicargli interi scafali, ma hanno iniziato anche a commercializzare prodotti tipici con marca commerciale.

Sebbene il concetto di prodotto alimentare tipico ha assunto un ruolo molto importante nei consumi quotidiani di tutti gli italiani, c’è ancora molta confusione nell’identificazione esatta da parte dei consumatori.

Questo capitolo si pone dunque l’obiettivo di identificare se è possibile dare una definizione univoca di tipicità, evidenziare le differenze di concetto da altri

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termini usati per indicarli, e mostrare la connessione tra prodotto e territorio ai fini della valorizzazione.

1.1 Definizione prodotto tipico

Nel tentativo di assegnare una prima definizione indicativa, si può affermare che il prodotto agroalimentare tipico è un «un prodotto che presenta alcuni attributi di qualità unici, che sono espressione delle specificità di un particolare contesto territoriale» Attributi unici, che per questo motivo non possono essere riprodotti in luoghi diversi, cioè “al di fuori di quel particolare contesto economico, ambientale, sociale e culturale”1.

Ogni regione del nostro paese costituisce un vero e proprio bacino di tipicità agroalimentari. Ricchezza, questa, che deriva dalla variegata conformazione geografica dell’Italia, che si estende dalle vette innevate delle Alpi alle isole del Mar Mediterraneo, forgiata da monti, colline, valli e vaste pianure, cosparsa di laghi e fiumi, e segnata da differenze climatiche importanti che infondono in ogni regione caratteristiche distinte.

Questa conformazione del territorio, se da un lato è stata causa di numerosi ostacoli all’espansione delle coltivazioni e all’ottenimento di elevate rese produttive, dall’altro ha stimolato l’affermarsi di forme di agricoltura, allevamento e produzione di altissima qualità.

I fattori fondamentali per l’identificazione della tipicità di un prodotto agroalimentare sono sostanzialmente quattro:

1

G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010), “Guide to the Valorisation of Typical Agri-food Products. Concepts, Methods and Tools”.

(5)

1. la specificità delle risorse locali (naturali e umane) impiegate nel processo produttivo;

2. la storia e la tradizione produttiva;

3. la dimensione collettiva e la presenza di conoscenza condivisa a livello locale;

4. il legame con l’ambiente geografico.

Tenendo in considerazione le dimensioni sopraindicate, può essere in questo modo concepita una definizione più esauriente di prodotto agroalimentare tipico.

“Un prodotto agroalimentare tipico è l’esito di un processo storico collettivo e localizzato di accumulazione di conoscenza contestuale che si fonda su di una combinazione di risorse territoriali specifiche sia di natura fisica che antropica che dà luogo a un legame forte, unico e irriproducibile col territorio di origine”.2

Come si evince dalla definizione, il concetto di tipicità risiede nello stretto legame che il prodotto ha con il territorio, dove per territorio non si intende solo in riferimento alle sole variabili ambientali (condizioni climatiche, paesaggistiche, morfologiche, etc.), ma anche al saper-fare maturato nel tempo, alle tradizioni storiche, culturali e istituzionali. Quindi alcune delle caratteristiche peculiari del prodotto, di natura materiale o immateriale, possono essere considerate uniche, in quanto non riproducibili al di fuori di quello specifico ambito economico, ambientale, sociale e culturale nel quale il prodotto è stato concepito.

Si conferma, dunque, il superamento di una visione puramente fisica del legame tra territorio e prodotto e quindi l’affermazione di un doppio valore del territorio: il primo di tipo fisico, interpreta il territorio come “sostegno”

2 G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010), “Guide to the Valorisation of Typical

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climatico; il secondo, di tipo umano, si presenta come uno spazio di conoscenze e di tecniche locali condivise.

Nella quotidianità, però, il concetto di prodotto tipico non gode di un significato chiaro e preciso, rappresentando talvolta un prodotto esclusivo di una data area territoriale altre volte una produzione tradizionale o locale, generando spesso una certa confusione non solo tra i consumatori ma anche tra i professionisti del settore.

Diventa quindi opportuno specificare meglio le differenze di concetto che sussistono tra le varie terminologie impiegate per indicare prodotti “affini” ai prodotti tipici.

Si parla di prodotto tradizionale quando si tratta di un “prodotto frequentemente consumato o associato a specifiche celebrazioni e/o stagioni, trasmessi da una generazione all’altra, prodotto in un modo specifico secondo l’eredità gastronomica, naturalmente trattato, e individuato e conosciuto per le sue proprietà sensoriali e associate a una determinata area locale, regione o paese”3.

Viene definito dal D.M. del 18 Luglio 2000 come “un prodotto le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo, omogenee per tutto il tempo interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo di tempo non inferiore ai 25 anni”.

In senso proprio il concetto di tradizionale rievoca l’impiego di sistemi di produzione in uso da tempo, opposti a quelli “moderni” e “industriali”,

3

Vanhonacker, F., Verbeke, W., Guerrero, L., Claret, A., Contel, M., Scalvedi, L., Żakowska-Biemans, S., Gutkowska, K., Sulmont-Rossé, C., Raude, J., Granli, B. S. and Hersleth, M. (2010), How European consumers define the concept of traditional food: evidence from a survey in six countries. Agribusiness, 26: 453–476. doi: 10.1002/agr.2024.

(7)

sottolineando quindi il legame del prodotto con una memoria produttiva che non ha voluto adattarsi alle tecniche moderne.

Un prodotto locale può invece essere inteso come un alimento prodotto, venduto e consumato in una specifica zona, dove il concetto di “località” fa riferimento principalmente ad una distanza geografica.4

In questo ambito non viene considerata nessuna particolare specificità ed esclusività negli attributi del prodotto; il riferimento è ridotto al luogo di origine del prodotto, senza uno specifico legame tra il territorio e le caratteristiche di qualità e specificità del prodotto stesso.

Infine, per identificare i prodotti nostrani viene richiamata la componente “identitaria”; i prodotti nostrani spesso rievocano un’immagine di freschezza e genuinità, ma anche in questo ambito può venir meno la specificità e irriproducibilità del prodotto al di fuori di un particolare contesto delimitato.

Tabella 1: Differenze concettuali tra prodotto tipico e altri termini “simili”

Nostrano Locale Tradizionale Tipico

Specificità delle risorse * ***

Storia e tradizione * * *** ***

Collettività e conoscenza

condivisa * **

Fonte: “Guide to the Valorisation of Typical Agri-food Products. Concepts, Methods and Tools” G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010).

4 Autio, M., Collins, R., Wahlen, S. and Anttila, M. (2013), Consuming nostalgia? The appreciation of authenticity

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È possibile, perciò, reputare un prodotto agroalimentare come tipico quando in esso si manifesta la coesistenza di alcune proprietà , che sono riconducibili alla loro:

 memoria storica: intesa come l’insieme delle tradizioni legate al prodotto stesso, tradizioni provenienti dall’antica presenza di un certo prodotto in un determinato territorio, le cui specifiche condizioni ambientali lo contraddistinguono e lo rendono unico;

 localizzazione geografica delle aree di produzione  qualità della materia prima impiegata nella produzione

 tecniche di lavorazione: che fanno riferimento all’esperienza degli artigiani, agli strumenti impiegati, ai tempi di lavoro, alle materie prime e ai mezzi impiegati e alle metodologie. Tecniche di preparazione che assumono poca importanza per i prodotti non trasformati, e molta per quelli trasformati.5

Fattori questi, che grazie anche alla presenza di una struttura organizzativa locale, seppur elementare e poco organizzata, hanno permesso la riconoscibilità, probabilmente solo localmente, e la differenziazione del prodotto.

L’Italia presenta un patrimonio di prodotti tipici significativo. In alcune zone d’Italia le tipicità agroalimentari costituiscono l’emblema di un’identificazione socioculturale e rappresentano un elemento di sviluppo economico e ambientale.

Il settore delle produzioni di qualità certificate, come vedremo specificatamente nel proseguo, ha acquisito una notevole varietà e ricchezza di gamma che consente al nostro paese di primeggiare a livello europeo sia per numero di denominazioni sia per volumi di vendite sviluppati.

5

(9)

1.2 PRODOTTI TIPICI ITALIANI

L’Italia, nel panorama internazionale, rappresenta una delle nazioni con un più ricco e variegato patrimonio agroalimentare. La sua fama, il suo prestigio e il suo appeal sono il frutto delle tradizioni storico-culturali, della prosperità delle risorse naturali, della varietà morfologica e microclimatica e del punto strategico occupato nel bacino mediterraneo.

Le produzioni tipiche locali del nostro Paese sono molto apprezzate anche sui mercati internazionali, per cui vengono riconosciute come un mezzo ed un fattore di “italianità”. L’utilizzo di ingredienti semplici, freschi e naturali fa si che il prodotto alimentare italiano venga percepito come sano, fidato e soddisfacente; mentre il prezzo generalmente più elevato lo rende agli occhi dei consumatori un bene di lusso.6

Il Made-in-Italy si discosta dalle più generiche questioni di "country-of-origin effect" e dal fenomeno del "made in". Non è una semplice etichetta applicata su un prodotto che riporta la sola provenienza geografica. Il “Made in Italy” rappresenta un insieme di valori, rappresenta la reputazione italiana (c.d. “italianità”) di essere leader mondiali nella produzione di qualità ed eccellenze. Il concetto di “italianità” è una delle più importanti variabili estrinseche per un prodotto alimentare dato che è in grado di influenzare gli atteggiamenti e le percezioni durante una decisione di consumo.

I più importanti fattori che definiscono il significato di prodotto tipico italiano sono la passione, la tradizione, l’alta qualità e l’unicità dei prodotti. Fattori questi riconosciuti e spesso ricercati dai consumatori, i quali, come riportato in

6

Paciolla, R. and Mai, Li-Wei (2011) The impact of Italianate on consumers’ brand perceptions of luxury

brands. In:Bradshaw, Alan and Hackley, C. and Maclaran, P., (eds.) European Advances in Consumer Research.

(10)

alcune ricerche, non acquisterebbero mai un prodotto di marca italiana prodotto in un altro paese, dal momento che non vedrebbero assicurata l’alta qualità degli ingredienti e della maestranza.7

1.3 TUTELA

Con l'obiettivo di semplificare il quadro normativo che disciplina la politica di qualità dei prodotti agricoli, l'Unione Europea ha ritenuto opportuno abrogare i Reg. (CE) n. 509 (Specialità Tradizionali Garantite) e n. 510 (Indicazioni Geografiche e Denominazione d'Origine) del 2006 e adottare il nuovo Regolamento (UE) n. 1151 pubblicato il 15 dicembre 2012, “sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari”.

Il Regolamento (UE) 1151/12 contiene le norme relative alla definizione e alla protezione delle Denominazioni di origine protetta (DOP) e delle Indicazioni geografiche tipiche (IGP) dei prodotti agroalimentari.

La distinzione fra le due categorie di prodotti viene esposta all’articolo 5, dove vengono specificati i requisiti.

Per prodotto a “denominazione di origine” si intende un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.

7

Paciolla, R. and Mai, Li-Wei (2011) The impact of Italianate on consumers’ brand perceptions of luxury

brands. In:Bradshaw, Alan and Hackley, C. and Maclaran, P., (eds.) European Advances in Consumer Research.

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Per prodotto “identificazione geografica” si intende, invece, un prodotto originario di un determinato luogo, regione o paese; alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; la reputazione o altre caratteristiche; e la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata.

Queste due definizioni, apparentemente, sembrano assomigliarsi; tuttavia, si distinguono per due importanti differenze.

La prima è legata al concetto di “reputazione”: per acquisire la denominazione IGP è sufficiente che il nome del prodotto, accostato al territorio, goda di una reputazione riconosciuta dal consumatore.

La seconda differenza sta nella maggiore “libertà” concessa nella fase di produzione del prodotto, come si evince dalla possibilità che anche una sola delle sue fasi possa svolgersi nella zona geografica delimitata.

Queste differenze mostrano, da una parte, un legame più debole del concetto di IGP rispetto alla DOP con il territorio di origine, che invece resta forte per ciò che riguarda l’azione e la capacità del produttore; dall’altra, viene permessa una maggiore flessibilità al sistema produttivo, dal momento che la zona di produzione delle materie prime può non corrispondere a quella di produzione/elaborazione.

Esiste quindi un marchio che identifica i prodotti tipici, che ha come scopo la protezione dei produttori, andando a promuovere lo sviluppo di prodotti con caratteristiche qualitative specifiche, tutelandole contro gli abusi e le riproduzioni, offrendo un vantaggio competitivo al territorio cui il marchio si riferisce; e dei consumatori, sempre più attento alla qualità e all’ informazione.

Per ottenere un marchio di qualità, occorre soddisfare canoni specifici richiesti dai vari disciplinari.

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Entrambi i riconoscimenti comunitari rappresentano una valida garanzia per il consumatore, che in questo modo sa di consumare prodotti di qualità, che rispondono a specifici requisiti e prodotti/elaborati nell’ osservanza di determinati disciplinari.

Al fianco di questi due marchi, il legislatore comunitario ha introdotto anche un regime relativo alle “specialità tradizionali garantite” per salvaguardare metodi di produzione e ricette tradizionali, aiutando i produttori di prodotti tradizionali a commercializzare i propri prodotti e a comunicare ai consumatori le proprietà che conferiscono alle loro ricette e ai loro prodotti tradizionali valore aggiunto.

La denominazione STG, ai sensi del Reg. 1151/2012, è il riconoscimento di un prodotto agroalimentare “ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale (per tale prodotto o alimento), o ottenuto da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente”.

Il nuovo Regolamento sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari introduce anche un regime relativo alle indicazioni facoltative di qualità per agevolare la comunicazione, da parte dei produttori, nel mercato interno delle caratteristiche o proprietà dei prodotti agricoli che conferiscono a questi ultimi valore aggiunto, quali ad esempio i "Prodotti di montagna"8 e i “Prodotti dell’agricoltura delle isole”.9

Il Reg. 1151/12 mantiene il regime di controllo precedentemente istituito e altresì esplicita il principio che tale regime deve essere in conformità ai principi del Reg. (CE) n. 882/2004 relativo ai controlli ufficiali, anche qualora questi

8Un “prodotto di montagna” è un prodotto nel quale sia le materie prime che gli alimenti per animali

provengono essenzialmente da zone di montagna; nel caso dei prodotti trasformati, anche la trasformazione ha luogo in zone di montagna.

9L'indicazione può essere utilizzata unicamente per descrivere i prodotti destinati al consumo umano, le cui materie prime provengano dalle isole. Inoltre, affinché tale indicazione possa essere applicata ai prodotti trasformati, è necessario che anche la trasformazione avvenga in zone insulari nei casi in cui ciò incide in misura determinante sulle caratteristiche particolari del prodotto finale.

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vengano esercitati da organismi di certificazione dei prodotti (i quali potrebbero anche operare in regime di competizione per la stesso disciplinare). Questi organismi di controllo sono accreditati, in conformità alla norma europea EN 45011, dall'organismo nazionale di accreditamento, conformemente alle disposizioni del Reg. (CE) n. 765/2008.

Gli Stati membri provvederanno affinché le attività di controllo degli obblighi previsti dal presente Regolamento siano specificamente comprese in una sezione distinta dei piani di controllo nazionali pluriennali conformemente al Reg. n. 882/2004.

1.4 DIFFUSIONE DEI PRODOTTI TIPICI IN ITALIA

Secondo i dati ricavabili dal rapporto Qualivita Ismea, al 31novembre del 2013 le denominazioni registrate nei paesi dell’ Unione Europea sono 1209, suddivise in 585 DOP (48,40% sulle denominazioni totali), 581 IGP (48,05% delle denominazioni) e 43 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,55%).

A livello di singolo paese, l’Italia, con 264 denominazioni, rappresenta il paese leader, per numero di denominazioni registraste, a livello comunitario, seguita dalla Francia (208), dalla Spagna (171) e dal Portogallo (123), tutti paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.

Fra i paesi nordici la Germania è il primo paese con 95 registrazioni, mentre agli ultimi posti della graduatoria si collocano Belgio, Danimarca, Irlanda e Svezia, con poche unità di prodotti registrati.

(14)

L’analisi per comparto merceologico evidenzia che nel numero complessivo delle registrazioni il gruppo più consistente appartiene alla classe degli “ortofrutticoli e cereali”, seguito da quella dei “formaggi”. Altri comparti importanti sono quello delle “carni fresche”, degli “oli e grassi” e dei “prodotti a base di carne”.

Per quanto riguarda l’Italia, il bel paese è il leader mondiale del comparto per numero di produzioni certificate, con 264 prodotti iscritti nel registro Ue, di cui 160 DOP, 102 IGP, 2 STG. In questo quadro, i prodotti ortofrutticoli sono i più rappresentati (103) seguiti dai formaggi (48), dagli oli e grassi (43) e dai prodotti a base di carne (36). A questi si uniscono 8 prodotti della panetteria, pasticceria, confetteria e biscotteria, 8 altri prodotti dell’allegato I, 5 prodotti ittici, 5 carni fresche 4 altri prodotti di origine alimentare, 1 olio essenziale e 1 pasta alimentare.

Tabella 2: Numero di prodotti certificati per categoria di prodotti

Classi di prodotto DOP e

IGP

Prodotti a base di carne 36

Formaggi 48

Carni fresche (e frattaglie) 5

Altri prodotti di origine animale 4 Pesci, molluschi, crostacei freschi 5

Oli e grassi 43 Ortofrutticoli e cereali 103 Paste alimentari 1 Panetteria, pasticceria, confetteria e biscotteria 8 Oli essenziali 1

Altri prodotti dell’allegato I del

trattato 8

Fonte: Elenco delle denominazioni italiane, iscritte nel Registro delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite

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Per quanto riguarda la localizzazione territoriale delle zone di produzione, l’Emilia Romagna, con 38 denominazioni registraste, rappresenta la regione con il maggiore numero di prodotti Dop e Igp, seguita a poca distanza dal Veneto (36 registrazioni) e, più distanziate, dalla Lombardia e dalla Toscana, rispettivamente a quota 29 e 27. Fanalini di coda della graduatoria troviamo regioni quali Molise e Friuli Venezia Giulia a quota e la Liguria (3).

L’analisi Ismea fornisce un quadro molto preciso anche per ciò che riguarda la dimensione economica del comparto. A tale proposito si evidenzia che, nel corso del 2012, il settore delle Dop e Igp ha continuato il suo trend crescente. La produzione certificata, pari a 1,3 milioni di tonnellate, nel uso complesso è cresciuta più del 5% nel 2012, dopo la stabilità del 2011 ed il buon incremento del 2010.

L’incremento del 2012 è stato prodotto principalmente dalla crescita produttiva dei prodotti ortofrutticoli e cereali (+7,2%) e dei formaggi (+5,5%). Nel 2012 si è registrato un buon trend di crescita delle carni fresche (+23,3), mentre gli oli extravergini di oliva risultano essere l’unica classe di prodotti con la produzione certificata in calo (-2,1%)

Per quanto riguarda i valori di mercato le produzioni Dop e Igp hanno totalizzato un valore alla produzione di circa 7 miliardi di euro e un fatturato al consumo di circa 12,6 miliardi, di cui circa 8,9 registrati sul mercato interno.10 (Va, comunque, osservato che sul piano della dimensione economica il settore si presenta un’alta concentrazione sia a livello territoriale che a livello comparti produttivi. Infatti, si può osservare che il 61,8% del fatturato è realizzato da produzioni localizzate nelle regioni del Nord, il 30,0% nelle regioni del Centro e solo l’8,2% da produzioni delle Isole e del Sud).

10

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(Inoltre, l’analisi condotta da Ismea evidenzia che ben l’88,1% del fatturato alla produzione è riconducibile alle produzioni ottenute in 6 Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige e Sardegna).)

Nel 2012 le prime dieci Dop-Igp assommavano quasi l’84% del fatturato totale del comparto, una frazione che però è diminuita di circa 4 punti percentuali rispetto a 10 anni fa.

Facendo un confronto per tipologia merceologica tra peso in termini di numero di denominazioni con quello del fatturato all’azienda si nota in molti comparti un’asimmetria tra incidenza delle denominazioni e del valore di mercato. Negli ortofrutticoli il numero totale di denominazioni pesa sul totale per poco più del 39% ma il fatturato complessivo ha un incidenza solo del 7%, per gli oli di oliva il numero di denominazioni incide sul totale per il 17% ma il fatturato ha un peso di poco superiore all’1%. Opposto è invece il fenomeno per i formaggi ed i prodotti a base di carne.

Questi dati evidenziano che il settore è formato da alcune realtà di grande importanza produttiva ed economica e da una moltitudine di realtà che hanno bassissimi volumi di offerta. Inoltre, risulta che spesso, ai riconoscimenti non si associano modifiche di rilievo nelle forme organizzative e commerciali delle imprese e lo sviluppo, anche sul piano organizzativo per la valorizzazione del prodotto e di marketing, dei Consorzi di tutela.

Infine, va osservato, che prodotti a marchio Dop e Igp rappresentano solo una parte, seppure la più importante, del paniere delle produzioni tipiche.

Ai prodotti contrassegnati con questi due marchi, si uniscono le Specialità tradizionali garantite (Stg). I prodotti registrati con questo marchio sono, a livello comunitario, solo 15. Si tratta, nello specifico, di birre e prodotti della

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panetteria, pasticceria, confetteria e biscotteria. Per quanto riguarda i paesi, il Belgio è quello che ha il maggior numero di specialità (5), seguito dalla Finlandia e dalla Spagna, rispettivamente con 3 prodotti registrati. L’Italia vede invece registrati due prodotti Stg: la mozzarella e la pizza napoletana.

Un vasto bacino di riserva per i prodotti Dop e Igp è costituito dai c.d. prodotti tradizionali che in Italia, sono inclusi in un apposito elenco predisposto dal Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali a livello provinciale e regionale secondo quanto stabilito dal D.lgs n. 173 del 30 aprile 1998.

Nel quadro di questa normativa, sono stati riconosciuti 4698 prodotti a livello nazionale. A livello di singole regioni è evidente il ruolo di primaria importanza della Toscana (con 463 prodotti, pari al 9,8% del totale nazionale),della Campania (387 prodotti, pari al 8,2% del totale nazionale) e del Veneto (371 prodotti, pari al 7,9% del totale nazionale).

Tuttavia, assumono un ruolo di rilevo anche la Liguria e la Lombardia rispettivamente con 295 e 246 prodotti.

1.5 VALORIZZAZIONE

Quando comunemente si parla di “valorizzazione”, si è soliti riferirsi ad una qualsiasi attività finalizzata a far crescere il prezzo dei prodotti sul mercato; aumento, questo, che non deve generare conseguenze negative sui volumi di vendita e/o sui costi di produzione.

Nel tentativo di spiegarne il concetto, la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici può essere definita come “un miglioramento della

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posizione complessiva di un prodotto sul mercato tale da conseguire l’aumento dei redditi netti conseguiti dal produttore in conseguenza dell’aumento dei prezzi di vendita del prodotto e/o del volume di vendite aziendali.”11

La valorizzazione, generalmente, è un obiettivo perseguito dalle singole imprese per la loro stessa vitalità e il loro sviluppo; tuttavia questa, spesso richiama anche attività messe in atto da soggetti collettivi (ad esempio i consorzi) o da pubbliche amministrazioni che prendono il posto delle singole imprese o ne integrano le attività, anche se sovente con scopi e interessi non propriamente analoghi.

La creazione di valore si fonda su un complesso, continuo e reciproco scambio tra il mondo della produzione e i bisogni della società.

La valorizzazione di un prodotto agroalimentare, quindi, altro non è che un complesso di attività, sia strategiche che operative, volte ad aumentare il valore del prodotto operando su due fronti distinti: il fronte del conferimento di valore da parte del consumatore e della società, e il fronte dell’efficacia dei processi di produzione a opera delle imprese.

Tutte queste operazioni, come già accennato, sono messe in atto sia da “agenti economici” (ovvero le imprese) sia da “agenti non economici” ( come le amministrazioni pubbliche e associazioni), fondamentalmente allo scopo che le risorse impiegate per la creazione del prodotto vengano remunerate in maniera adeguata e possano così riformarsi.12

Quanto finora descritto fa riferimento ad un qualsiasi prodotto sul mercato. Per quanto riguarda nello specifico i prodotti agroalimentari tipici, questi concetti

11

G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010), “Guide to the Valorisation of Typical Agri-food Products. Concepts, Methods and Tools”.

12

Arfini Filippo, Belletti Giovanni, Marescotti Andrea (2010) “Prodotti tipici e denominazioni geografiche. Strumenti di tutela e valorizzazione”. Gruppo 2013 Edizioni Tellus.

(19)

devono essere riadattati e completati tenendo in considerazione gli elementi di specificità propri dei prodotti tipici, in particolar modo:

 il legame del prodotto tipico con il territorio e l’importanza delle risorse

specifiche del territorio nel processo produttivo del prodotto tipico;

 il carattere collettivo derivante dal coinvolgimento di una pluralità di produttori tra loro;

 il legame con la comunità locale: la valenza del prodotto tipico spesso va al di là delle imprese che lo commercializzano, e interessa in generale la società e la popolazione locale13.

Il prodotto agroalimentare tipico stipula con il relativo territorio di origine un forte legame. Impiegando le risorse specifiche, il territorio contribuisce alla qualità del prodotto tipico caratterizzandone prima di tutto gli attributi intrinseci materiali e definendo un insieme di attributi intrinseci immateriali del prodotto che sono sintetizzati di norma dal nome geografico del prodotto e che rimandano al legame con la cultura locale, con l’ambiente naturale, con l’artigianalità e la tradizionalità del processo produttivo. L’insieme di questi attributi genera la qualità complessiva del prodotto tipico, che il consumatore può trasformare in valore mediante l’acquisto del prodotto, ed eventualmente anche di alcuni servizi a esso collegati (ad esempio, la ristorazione locale o i servizi di visita guidata ai siti produttivi).

Il territorio di origine partecipa attivamente alla formazione della qualità del prodotto tipico, andando a definire le caratteristiche intrinseche tangibili (come l’estetica, i parametri chimico-fisici o gli attributi organolettici), che si generano

13

G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010), “Guide to the Valorisation of Typical Agri-food Products. Concepts, Methods and Tools”.

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sia dalle caratteristiche pedo-climatiche del territorio, sia dalle specifiche modalità del processo di produzione e trasformazione.

Il rapporto tra territorio e prodotto tipico fa sì che si generi uno scambio reciproco di valore, dove il prodotto si fa carico di valori peculiari legati alla località e, nel contempo, il suo apprezzamento sul mercato produce sul territorio stesso effetti positivi, che vanno oltre al mero sistema produttivo.14

In virtù di tutto ciò che è stato finora detto, diviene lampante che la valorizzazione dei prodotti tipici non è solo una faccenda di competenza delle singole imprese, ma fornisce prospettive di carattere più generale, a vantaggio di tutto il territorio nel quale il processo produttivo si realizza, con risultati che possono andare ben oltre.

A questo punto è possibile presentare il processo di valorizzazione di un prodotto tipico come un “circolo virtuoso” delle relazioni tra prodotto fisico, sistema locale e contesto esterno. Circolo che, come illustrato in figura 1, può essere schematicamente suddiviso in quattro fasi principali:

 Costruzione del prodotto  Validazione

 Remunerazione

 Riproduzione e miglioramento.

14 G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2006), “Il processo di valorizzazione delle

produzioni agroalimentari tipiche”, in: Rocchi B. Romano D (a cura di) “Tipicamente buono. Concezioni di qualità lungo la filiera dei prodotti agro-alimentari in Toscana”, Franco Angeli, Milano, 2006.

(21)

Il primo step di questo circolo, ovvero quello dedicato alla costruzione del prodotto, si basa sulla presenza di risorse specifiche della filiera e del territorio (sia materiali che immateriali) che si trovano a interfacciarsi con altri sistemi presenti, come la società e il mercato. Gli attori della filiera e del territorio (e quindi le imprese ma anche altri soggetti al di fuori della filiera) si trovano congiuntamente a progettare e sviluppare la relazione tra queste risorse e il prodotto tipico, incorporando nel processo produttivo del prodotto stesso l’insieme di queste risorse specifiche, alcune delle quali difficilmente replicabili al di fuori del territorio. Importante notare, come le risorse che vanno a valorizzare il prodotto non sono solo quelle sfruttate all’interno della filiera di produzione del prodotto tipico, ma possono essere anche tutte quelle altre risorse locali legate al prodotto da un punto di vista ambientale, culturale e/o sociale.

In questo modo si può dire che il prodotto tipico è il risultato di un processo di “costruzione” ad opera di un gruppo di individui, il quale va ad analizzare e

Figura 1: Il circolo virtuoso della valorizzazione del prodotto tipico

Fonte: “Il processo di valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche”, G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2006)

(22)

mettere in relazione le tradizioni e la storia produttiva del prodotto al proprio contesto attuale e ad una propria strategia di sviluppo.15

La seconda fase, ovvero quella di validazione del prodotto tipico, consta nella realizzazione di un accordo sulla qualità, da un lato tra il prodotto e il sistema dei produttori, e dall’altro tra il mercato e il generale contesto esterno, consentendo la fondazione dei presupposti di partenza affinché il prodotto stesso possa essere identificato all’esterno e possa essere scambiato.

Dalla seconda fase si passa dunque alla terza. Attraverso il mercato e dunque mediante le attività di commercializzazione possono essere realizzate le attività volte alla remunerazione. Oltre alla remunerazione del prodotto stesso, grande rilievo è rivestito dalla remunerazione conseguita per mezzo di attività collaterali esterni ai processi di produzione. Si fa riferimento in questi casi ai servizi di ristorazione locale, di ospitalità, di fruizione culturale e tanti altri che attraverso la propria offerta contribuiscono alla valorizzazione del territorio.

Inoltre, nei casi in cui vengano compresi dalla società gli effetti positivi di carattere generale che si originano grazie alla produzione del prodotto tipico, la remunerazione può anche realizzarsi, totalmente o in parte, attraverso tipologie differenti dal mercato. Questo perché non sempre il prezzo di mercato, che si forma dal valore d’uso che il consumatore gli riconosce, riesce ad esprimere il valore di un prodotto tipico, valore che può essere anche di tipo ereditario, connesso ad esempio al mantenimento di tradizioni e culture.16

Che si formi attraverso il mercato o attraverso altre forme, la remunerazione genera la possibilità di riprodurre le risorse specifiche locali e le pratiche di

15

G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2010), “Guide to the Valorisation of Typical Agri-food Products. Concepts, Methods and Tools”.

16

Arfini Filippo, Belletti Giovanni, Marescotti Andrea (2010) “Prodotti tipici e denominazioni geografiche. Strumenti di tutela e valorizzazione”. Gruppo 2013 Edizioni Tellus.

(23)

produzione connesse, consentendo quindi di fondare le basi per la riproduzione e il miglioramento del sistema produttivo.

Con la fase della riproduzione e del miglioramento il circolo virtuoso si chiude.

Il circolo virtuoso, valorizzando il prodotto tipico, è in grado di offrire un insieme di opportunità e vantaggi tanto sul contesto locale quanto su quello esterno. Effetti positivi che possono riguardare la vitalità economica del sistema produttivo, con i conseguenti riflessi in termini di reddito e occupazione, ma anche e soprattutto effetti positivi di sviluppo dell’area di produzione considerata.

1.6 I CANALI DI DISTRIBUZIONE

Un canale di distribuzione è, per definizione, costituito dalla combinazione di organizzazioni attraverso le quali il prodotto passa dal produttore all’utilizzatore o consumatore finale e si distingue in funzione della lunghezza di questo percorso. Alcune aziende adottano il cosiddetto “canale diretto” svolgendo direttamente l’attività di vendita sul mercato senza l’ausilio di alcun intermediario commerciale, altre invece utilizzano i “canali indiretti”, ovvero composti da uno o più stadi di intermediazione. In particolare viene chiamato “corto” il canale che si avvale dei soli dettaglianti, e “lungo” il canale che prevede tra i vari stadi anche la figura del grossista/agente.17

La vendita dei prodotti tipici avviene prevalentemente mediante l’utilizzo di canali indiretti.

17

(24)

Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un vero e proprio riposizionamento del commercio alimentare per canale distributivo, a favore di forme di vendita in grado di soddisfare un consumatore sempre più esigente, alla ricerca di qualità, convenienza e comodità. La Grande Distribuzione Organizzata rappresenta oggi il primo canale di vendita per la commercializzazione di generi alimentari, convogliando il 72% delle quote di mercato, mentre dieci anni fa si aggirava intorno al 60%. Circa il 52% delle vendite alimentari passa attraverso i super e ipermercati, mentre il canale dei negozi tradizionali registra un netto calo della propria quota di mercato, veicolando solo il 17,9% delle vendite.18

Figura 2: Quote di mercato dei canali di distribuzione

Fonte: Mappa del sistema distributivo “Federdistribuzione” (2013)

La supremazia del canale della GDO è dovuta al fatto che i prodotti tipici sono molto attrattivi per queste imprese, che date le loro grandi dimensioni, godono di un elevato potere contrattuale nei confronti dei produttori e quindi della possibilità di realizzare elevati margini di profitto.

18

Mappa del sistema distributivo “Federdistribuzione” (2013) 11,5 40,6 9,4 10,5 17,9 10,1

Quote di mercato dei canali di distribuzione

Ipermercati Supermercati e Superstore Libero Servizio Hard discount Negozi tradizionali Ambulanti, vari.

(25)

Inoltre da considerare è anche la necessità di rispondere alle nuove esigenze del consumatore, il bisogno di differenziare la propria offerta rispetto a quella dei concorrenti, la ricerca di un assortimento di qualità più elevata e concorrenziale anche dei negozi tradizionali. Bisogna precisare che non tutti i prodotti possono essere venduti indifferentemente con un canale o con un altro.

Per poter vendere attraverso la grande distribuzione, è necessario avere a disposizione grandi volumi, continuità di fornitura e costanza qualitativa. Si tratta di requisiti che non tutti i produttori operanti nelle tipicità alimentari sono in grado di garantire. L’impiego di questo canale mal si combina con la commercializzazione di prodotti tipici di nicchia, per i quali è preferibile l’utilizzo di negozi specializzati (enoteche, botteghe gastronomiche ecc). In questi negozi è infatti possibile realizzare in modo continuato e migliore un’adeguata attività di apprendimento a favore del consumatore. I prodotti tipici locali spesso si avvalgono della vendita diretta e del dettaglio tradizionale. Diverso, a volte, è anche il canale utilizzato a seconda che si tratti di una Dop o Igp poiché diversa è la destinazione commerciale.

Dal momento che le informazioni sulla qualità sono difficili da ottenere prima, e spesso, anche dopo l’acquisto, i prodotti alimentari includono in sé alte proporzioni di qualità “credence”, le quali fanno della fiducia un fattore rilevante al momento dell’acquisto. In questo ambito, la fiducia è un elemento essenziale e soprattutto la fiducia nel rivenditore. Per un dettagliante, capire quali sono i drivers, gli esiti, e i possibili mediatori della fiducia dei consumatori risulta essere fondamentale. Solo quando queste variabili sono capite, i dettaglianti possono gestire la fiducia al fine di veicolare altre variabili, come la fedeltà, che sono strettamente collegate al successo di lungo termine di un’attività.

(26)

Dati empirici ottenuti da diversi studi indicano chiaramente che i rivenditori che si pongono l’obiettivo di incrementare la fiducia dei consumatori, dovrebbero focalizzare la propria attenzione su due driver: l’integrità e l’abilità. L’abilità può essere descritta come un concetto che include esperienza e competenza da parte del rivenditore, e varietà nei beni e servizi offerti; l’integrità invece può essere concepita come l’insieme dei principi seguiti e che devono essere accettati dal consumatore, come ad esempio il perseguimento di obiettivi umanistici o ambientali.19

In altre ricerche è stato dimostrato che fattori come la convenienza, velocità nel servizio, la qualità del servizio, la reputazione e l’ambiente del negozio influenzano fortemente la soddisfazione del consumatore. Soddisfazione, questa, che esercita un’influenza significativa sulla fedeltà di negozio, sulle intenzioni di riacquisto, sull’attivazione di un passaparola positivo, sull’insensibilità al prezzo e sulla propensione a lamentarsi.20

Oggi l’avvento di internet ha rivoluzionato, oltre le modalità di comunicare, anche le modalità di commercializzare. Il boom di questa tipologia di commercio è combaciata con l’estesa diffusione di internet.

Se, da una parte, questo nuovo media ha dato la possibilità alle aziende di entrare in contatto diretto con i consumatori di tutto il mondo, dall’altra, per i consumatori stessi, si è spalancata la possibilità di avere accesso ad un’offerta molto più vasta di beni e servizi senza limiti geografici o temporali

Sono, infatti, sempre più numerosi i siti Internet tramite i quali i consumatori possono acquistare prodotti agroalimentari tipici, venduti anche direttamente da piccole aziende agricole o piccoli produttori artigianali.

19

Linn Viktoria Rampl and Tim Eberhardt, “Consumer trust in food retailers: conceptual framework and

empirical evidence”. International Journal of Retail & Distribution Management, Vol.40 No.4, 2012, pp.254-272.

20

Kayasankaraprasad C., P.V.V: Kumar “Antecedents and consequences of customer satisfaction in food and grocery retailing: an empirical analysis”. Decision, vol.39, no.3, December 2012.

(27)

Ovviamente comprare e vendere tramite internet è comodo, veloce, economico, semplice e garantisce vantaggi per entrambe le parti, sia per il produttore che per l’acquirente.

I vantaggi per l’acquirente sono:

 Comodità: è possibile acquistare 24 su 24 e 7 giorni su 7 e bastano pochi click dal computer di casa per vedersi recapitare a casa dopo pochi giorni il prodotto desiderato.

 Convenienza: a fronte dei minori costi fissi per la sopravvivenza di un negozio virtuale, i prezzi sono generalmente più bassi rispetto ai negozi reali.

 Informazione: Internet permette di ponderare con calma la scelta delle varie alternative grazie alla grande quantità di informazioni disponibili in rete e ai consigli e ai commenti di altri consumatori.

I vantaggi per il venditore sono:

 Flessibilità: in base alle proprie esigenze e i propri impegni è facile pianificare il lavoro. La casella e-mail raccoglie i messaggi e gli ordini che potranno essere spediti in piena comodità;

 Visibilità: Internet è una piazza molto frequentata, nella quale se si riesce a mettersi in mostra le visite e i contatti non tarderanno ad arrivare. Inoltre chi possiede già un'attività commerciale, non deve trascurare il ritorno d’immagine positivo che il sito può produrre giovando quindi anche all'attività tradizionale;

 Economicità: Internet non richiede grossi investimenti sia per la realizzazione della vetrina virtuale, sia per la pubblicità, sia per l'organizzazione aziendale.

(28)

Non esiste un contatto diretto tra venditore e acquirente, quindi non è possibile capire se si sta trattando con una controparte degna di fiducia.

I dati immessi in rete per provvedere all’acquisto, come il nome dell'utente, i numeri di carte di credito e il totale in valuta sono tutti vulnerabili ad attacchi hacker.

Il problema della sicurezza obbliga le imprese a onerosi investimenti, senza ritorno, per l’acquisto e il costante aggiornamento di sistemi di protezione.

Negli ultimi anni, il commercio elettronico si è caratterizzato per uno sviluppo rilevante. Il settore delle vendite on-line di prodotti agroalimentari tipici rappresenta una nicchia; la vendita di questi prodotti tramite l’e-commerce permette di realizzare una “trasposizione del mercato locale nell’ambito globale di internet”.

(29)

CAPITOLO 2

IL

RUOLO

DEGLI

ATTRIBUTI

NELLA

DEFINIZIONE DI QUALITÀ

Introduzione

In questo capitolo si andrà ad approfondire quali sono le caratteristiche evidenziate in letteratura, direttamente o indirettamente legate ai prodotti tipici, che condizionano il comportamento del consumatore durante il processo d’acquisto, e capire su cosa i consumatori basano le proprie valutazioni di qualità.

Per molti anni, l’approvazione e le preferenze relative ad un prodotto sono state le sole misure prese in considerazione negli studi di ricerca sul consumo di prodotti agroalimentari. Generalmente, per queste misurazioni venivano usati dei panels che permettevano di valutare l’approvazione o preferenza globale su campioni codificati durante test di laboratorio. In questi tipi di test, le uniche variabili che venivano misurate erano quelle intrinseche, dando per scontata la loro importanza durante i processi d’acquisto. Anche se variabili come colore, aroma, sapore e apparenza siano molto importanti nella scelta alimentare, molti studi hanno dimostrato che altre variabili giocano un ruolo di rilievo nei comportamenti dei consumatori.21

21

Iop S.C.F., Teixeira E., Deliza R.“Consumer research: extrinsic variables in food studies”. British Food Journal, Vol.108 No11, 2006 pp.894-903

(30)

2.1 PERCEZIONE DI QUALITÀ DEI PRODOTTI TIPICI

Il sistema agroalimentare italiano rappresenta una realtà particolarmente articolata che deve puntare sulla qualità come scelta obbligata.

Per ambire a questa qualità, le imprese che producono tipicità agroalimentari si trovano di fronte alla necessità di implementare strategie di marketing che, non facciano leva solo sulla “price competition” ma che fondino le proprie basi sulla segmentazione del mercato e sulla differenziazione dell’offerta. Tutto ciò allo scopo di contrastare la forza delle grandi industrie incentrata sul brand e sulla comunicazione.

Numerosi sono gli studi che affrontano la tematica relativa alla qualità dei prodotti.

La qualità viene definita solennemente come “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche che conferiscono al prodotto la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite”22

; è in definitiva “il grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti”23

.

Quattro sono le dimensioni che la qualità può avere:

 Qualità Attesa: facente riferimento agli standard qualitativi che il cliente ritiene adeguati e che si aspetta come prestazione minima del prodotto/servizio

 Qualità Percepita: ovvero la qualità che il cliente riscontra nel prodotto/servizio che gli viene fornito e che esprime il suo grado di soddisfazione. 22 UNI EN ISO 8402:1995 23 UNI EN ISO 9000:2005

(31)

 Qualità Progettata: la qualità che l’organizzazione si propone di raggiungere, cercando di tradurre le esigenze del cliente in requisiti da soddisfare.

 Qualità Erogata: cioè la qualità associata ad un prodotto/servizio al termine del processo produttivo o di erogazione del servizio. Fa riferimento ai livelli qualitativi che sono stati realmente raggiunti e che possono differire da quelli progettati.

Il concetto di qualità, o più esattamente la percezione della qualità, può essere definita come la risposta soggettiva alle diverse caratteristiche di un prodotto che può variare in funzione di una vasta gamma di fattori, come ad esempio il momento nel quale il consumatore acquista o consuma un prodotto e il luogo dove il prodotto viene acquistato o consumato. La qualità può quindi essere definita in termini di percezioni e aspettative dei consumatori, basate sulle valutazioni delle caratteristiche nel momento in cui avviene l’ acquisto o il consumo.

I consumatori, nel giudicare la qualità di un prodotto, raffrontano la funzionalità o l’utilità di un bene ai propri bisogni. Ciò permette di distinguere tre categorie di qualità basate sugli attributi del prodotto:

 Qualità di ricerca (search quality): questa categoria fa riferimento agli attributi intrinseci ed estrinseci che possono essere conosciuti al momento dell’acquisto e sono importanti per la selezione del prodotto.

 Qualità di esperienza (experience quality): fa riferimento agli attributi intrinseci che divengono disponibili solo quando il prodotto è consumato e sono importanti per la percezione della qualità organolettica del prodotto.

(32)

 Qualità di fiducia (credence quality): questa categoria rappresenta entrambi le categorie di attributi che sono d’interesse per i consumatori ma difficilmente si possono rivelare anche dopo il consumo. 24

Il prodotto tipico ha con il proprio territorio di origine una relazione privilegiata che porta all’impiego di risorse specifiche del territorio, non riproducibili da un’altra parte, sia di tipo fisico che antropico, che vanno ad influenzare e formare gli attributi qualitativi del prodotto tipico.

Congiuntamente tutti questi attributi vanno a formare la qualità complessiva del prodotto tipico, che i consumatori, attraverso l’acquisto del prodotto in sé o attraverso la fruizione di servizi collaterali (come la ristorazione locale, i sevizi di visita guidata ai siti produttivi, etc.), possono trasformare in valore.

2.2 ATTRIBUTI

I consumatori sono soliti percepire i prodotti e i servizi come un insieme di attributi e caratteristiche, usati dagli stessi, come indicazioni per formare opinioni sulla qualità attesa e percepita del prodotto o del servizio.25

Più specificatamente, quando i consumatori si trovano di fronte un prodotto/servizio, essi hanno a disposizione un gran numero di informazioni sulle quali costruire le proprie opinioni e valutazioni. Questi attributi, che

24

Fandos C., Flavián C. (2006), “Intrinsic and extrinsic quality attributes, loyalty and buying intention: an analysis for a “PAESE DI ORIGINE” product,” British Food Journal, Vol. 108 Iss: 8, pp.646 – 662.

25 Veale R., Quester P., Karunaratna A. (2006), “The role of intrinsic (sensory) cues and the extrinsic cues of

country of origin and price on food product evaluation,” 3rd International Wine Business & Marketing Research Conference, Montpellier.

(33)

possono essere distinti in “intrinseci” (aroma, gusto, forma) ed “estrinseci” (brand, prezzo, paese di origine), interagiscono con le conoscenze già in possesso dal consumatore (perché derivate da esperienze di consumo, o da altri processi di acquisizione di informazioni) favorendo così la creazione di aspettative sulla qualità.

Secondo le varie teorie di utilizzazione di questi indicatori, quando i consumatori non hanno accesso agli attributi intrinseci, per giudicare e valutare un prodotto o servizio, sono costretti a fare affidamento esclusivamente sugli attributi estrinseci.

Passiamo ora a vedere più da vicino cosa sono questi attributi.

Gli attributi intrinseci di un prodotto sono tutte quelle caratteristiche tangibili (come il gusto, l’aroma, il colore), inerenti al prodotto stesso, che permettono di pronunciare misurazioni e giudizi oggettivi sulla qualità del prodotto. Queste qualità caratterizzano il prodotto con la loro funzionalità e rivelano gli aspetti fisici dello stesso.

Gli attributi intrinseci sono specifici per ogni prodotto, si estinguono quando il prodotto viene consumato e non possono essere modificati senza cambiare la natura stessa del prodotto.26

Gli attributi intrinseci di un prodotto agroalimentare, proprio come il sapore, il colore, l’aroma, la freschezza, etc. sono caratterizzati dal fatto che possono essere verificati e conosciuti dal consumatore solo dopo che il prodotto è stato consumato. Prima di allora l’unico legame tra il prodotto alimentare e il futuro consumatore si concretizza nel concetto di “qualità percepita”;

Gli attributi intrinseci possono distinguersi in:

26

Olson J. C., Jacoby J. (1972), “Cue utilization in the quality perception process”, Paper presented at the proceedings of the Third annual conference of the association for consumer research, Chicago.

(34)

 Di sicurezza alimentare  Nutrizionali

 Organolettici  Di funzione  Di processo27

Tra queste categorie, gli attributi organolettici, ovvero quelli legati alla sfera sensoriale, sono i più conosciuti e i più facili da individuare e valutare da parte dei consumatori. In questa categoria si fa riferimento a caratteristiche come il gusto, l’aroma, il colore, la freschezza, la consistenza, etc., ovvero a tutte quelle caratteristiche “experience”, che possono essere conosciute solo dopo l’acquisto e il consumo.

Gli attributi organolettici, specialmente nei prodotti agroalimentari, hanno un ruolo fondamentale nella valutazione della qualità. Il gusto e l’olfatto nascono da elaborazioni personali, dunque sono fortemente soggettivi e caratterizzano l’identità di ciascun consumatore differenziandolo dagli altri.

Studi dimostrano come il gusto non sia semplicemente espressione di una preferenza individuale e soggettiva, ma è principalmente una questione di cultura. I gusti di ciascun individuo sono infatti condizionati dal contesto sociale, dalle pratiche e dalle abitudini quotidiane che insieme rendono alcuni prodotti più desiderabili di altri.28

Molto spesso la possibilità di avere a disposizione dati e indicazioni relativi a determinati attributi “credence” (quindi non direttamente accessibili, come la presenza di residui di sostanze chimiche) influenza e interferisce le valutazioni

27

Caswell J.A., Noelke C. M., Mojduszka E. M., 2002, Unifying Two Frameworks for Analysing Quality and Quality Assurance for Food Product, Global Food Trade and Consumer Demand for Quality

28 Laroche M., Kim C., Tomiuk M. A., Bélisle D. (2005), “Similarities in Italian and Greek Multidimensional Ethnic

Identity: Some Implications for Food Consumption,” Canadian Journal of Administrative Sciences, Vol. 22, Iss. 2, pp. 143-167.

(35)

di qualità, generando un sistema intricato di interazioni tra preferenze, percezioni e giudizi espressi sia prima che dopo il momento d’acquisto.29

La percezione della qualità, non deriva semplicemente da una somma degli attributi organolettici percepiti, ma è fortemente influenzata dal bagaglio culturale di cui il consumatore dispone.

Altri attributi del prodotto tipico che risultano essere molto apprezzati dai consumatori sono quelli appartenenti alla categoria degli “attributi di processo”, proprio come l’autenticità, la genuinità e il rispetto per l’ambiente. I consumatori sono portati a vedere i prodotti tradizionali come “più naturali”, sicuri e genuini, perché risultato di un circuito produttivo e commerciale circoscritto spesso a livello familiare e vicino, quindi maggiormente credibile e controllabile.

Le variabili intrinseche, proprio come il colore, l’aroma, i profumi e la consistenza, nel consenso del consumatore e nelle sue intenzioni di acquisto relativamente ad un prodotto alimentare, sono sempre state riconosciute come variabili fondamentali, anche se molti studi hanno recentemente dimostrato che a giocare un ruolo di rilievo nei comportamenti del consumatore sussistono anche altre variabili.

Gli attributi estrinseci, noti anche come “variabili di immagine”, sono definibili come caratteristiche collegate al prodotto ma che non ne fanno parte fisicamente, proprio come il brand, il prezzo e il design. Sebbene siano elementi distaccati dal prodotto stesso, quindi di non vitale importanza, ne sono

29 G. Belletti, G. Brunori, A. Marescotti, A. Pacciani, A. Rossi (2006), “Il processo di valorizzazione delle

produzioni agroalimentari tipiche”, in: Rocchi B. Romano D (a cura di) “Tipicamente buono. Concezioni di qualità lungo la filiera dei prodotti agro-alimentari in Toscana”, Franco Angeli, Milano, 2006.

(36)

comunque fortemente legati perché considerati come caratteristiche vere e proprie dello stesso.30

Ricerche recenti hanno fornito le prove che i consumatori difficilmente sono sempre in grado di valutare accuratamente le caratteristiche intrinseche ed estrinseche prima di un eventuale attività di acquisto, e in certi casi nemmeno nella fase successiva. I motivi per cui queste valutazioni sono così difficili sono numerosi; tra questi possiamo richiamare, ad esempio, la mancanza di fiducia in sé stessi, l’interpretazione errata o l’inaccessibilità delle informazioni. Spesso, addirittura, l’importanza attribuita dai consumatori alle proprietà estrinseche supera quella attribuita alle proprietà oggettive, che vengono dunque ignorate. La percezione della qualità da parte dei consumatori può essere influenzata anche da ciò che il prodotto stesso comunica, quindi da indizi visivi, da caratteristiche contenute nell’etichetta o addirittura solamente immaginate dal consumatore.

Altre ricerche hanno dimostrato che persino le percezioni sensoriali non sono sempre corrette, ma sono facilmente influenzabili dalle aspettative e dalle convinzioni che i consumatori nutrono dentro. 31

Date tutte queste scoperte, gli attori della filiera non possono quindi dare mai per scontato che i consumatori, al momento dell’acquisto, siano in grado di pesare e interpretare tutte le caratteristiche intrinseche di un prodotto.

In questo senso, il prezzo, la reputazione, la brand awareness, la presentazione del prodotto, l’etichetta, etc., hanno la funzione di creare un’immagine precisa del prodotto al fine di aumentare e consolidare la fiducia del consumatore al momento dell’acquisto. Quando i consumatori non hanno sufficienti

30

Fandos C., Flavián C., (2006), “Intrinsic and extrinsic quality attributes, loyalty and buying intention: an analysis for a PDO product,” British Food Journal, Vol. 108 Iss: 8, pp.646 – 662

31 Veale R., Quester P., Karunaratna A. (2006), “The role of intrinsic (sensory) cues and the extrinsic cues of

country of origin and price on food product evaluation,” 3rd International Wine Business & Marketing Research Conference, Montpellier

(37)

informazioni sulle proprietà intrinseche del prodotto, affidano maggiori attenzioni sulle variabili estrinseche.

Gli attributi estrinseci di qualità possono distinguersi in:

 Indicatori (sistemi di gestione per la qualità, certificazione di prodotto, etichettatura, standard minimi)

 Segnali (prezzo, marca, nome del produttore, confezionamento, pubblicità, paese di origine, etc.)32

Di seguito analizzeremo alcuni tra i più importanti, come il prezzo, il paese di origine, il marchio e le certificazioni)

2.2.1 IL PREZZO

Tra le variabili estrinseche più studiate nelle scelte alimentari, il prezzo è sicuramente considerato una tra le più importanti. I consumatori, spesso e volentieri, affidano al prezzo un ruolo di indicatore di qualità, in quanto tendono a credere che ci sia un ordinamento “naturale” su una scala di prezzo dove i prodotti con una maggiore qualità sono più costosi e i prodotti di minor qualità sono più economici. Questa connessione tra prezzo e qualità, descritta in letteratura come il “price-reliance schema” (schema dell’affidamento sul prezzo, in italiano), riflette il punto di vista dei consumatori secondo i quali “prendi quello che paghi”33

. Questa idea può a volte essere tanto forte da prevalere anche sulla qualità del prodotto provata o vissuta. Numerosi sono gli studi a

32

Caswell J.A., Noelke C. M., Mojduszka E. M., 2002, Unifying Two Frameworks for Analysing Quality and Quality Assurance for Food Product, Global Food Trade and Consumer Demand for Quality

33

Lee, M., & Lou, C.-C. (1996). Consumer reliance on intrinsic and extrinsic cues in product evaluations: A conjoint approach. Journal of Applied Business Research, 12(1), 21 - 30.

(38)

dimostrazione di questa forte influenza del prezzo sui comportamenti d’acquisto; in uno di questi si è visto proprio che i consumatori preferiscono bere un succo di frutta di minor qualità rispetto a uno di qualità maggior, solo in virtù del prezzo più elevato34.

Tuttavia, le considerazioni riguardanti il prezzo portano i consumatori ad accettare dei compromessi quando sono di fronte ad una decisione di acquisto. Se i consumatori credono che il prezzo e la qualità di un prodotto siano legati l’uno all’altro, e che quindi pagare un prezzo minore vorrebbe dire anche accettare una qualità peggiore, questi generalmente vanno alla ricerca di un equilibrio tra la qualità e il prezzo, evidenziando così l’importanza di quest’ultimo durante il processo di acquisto.

I consumatori sono soliti a fare ancor più affidamento sul prezzo quando possiedono una limitata conoscenza del prodotto, ovvero quando le caratteristiche intrinseche sono complesse.

Quindi viene affermato, che consumatori con solidi livelli di conoscenza oggettiva generalmente usano il prezzo come un indicatore di qualità solo quando è legittimato (ad esempio quando c’è una forte relazione tra prezzo e qualità intrinseca), e/o quando altre informazioni intrinseche sono limitate.35 Nonostante la sua importanza, secondo molti studi, il prezzo non è l’attributo più importante che influenza le scelte del consumatore.

Studi dimostrano che la volontà dei consumatori a pagare un “premium price” per un prodotto biologico e/o alimenti prodotti attraverso un sistema di gestione integrato è influenzata dagli attegiamenti che i consumatori hanno nei confronti

34

Pechmann, C., & Ratneshwar, S. (1992). Consumer Covariation Judgments: Theory or Data Driven. Journal of Consumer Research, 19(December), 373 - 386.

35 Veale R., Quester P., Karunaratna A. (2006), “The role of intrinsic (sensory) cues and the extrinsic cues of

country of origin and price on food product evaluation,” 3rd International Wine Business & Marketing Research Conference, Montpellier

(39)

dell’origine del prodotto e delle informazioni estrinseche in loro possesso. In più, la volontà a pagare un “premium price” è influenzata dalla fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari, nelle fonti di informazione e dall’essere o meno consumatori regolari di prodotti biologici.36

In altre ricerche è stato riscontrato che i consumatori italiani sono solitamente preoccupati quando si tratta dei rischi alla salute derivanti dai pesticidi, con molti dei rispondent*i disposti a pagare prezzi più elevati per alimenti privi di pesticidi. Tuttavia, la maggioranza non era disposta a pagare un “premium price” superiore al 10% rispetto al prezzo regolare.37

2.2.2 COINVLGIMENTO

Oltre al prezzo e alla sua associazione con la qualità, altri fattori possono influenzare il consumatore durante le fasi del processo di acquisto e di ricerca delle informazioni di prodotti alimentari, proprio come il coinvolgimento. Il coinvolgimento può essere definito come “lo stato motivazionale che risulta dagli stimoli di percezioni di importanza del prodotto”38 o come “l’importanza personale percepita”39.

36

Veale R., Quester P., Karunaratna A. (2006), “The role of intrinsic (sensory) cues and the extrinsic cues of country of origin and price on food product evaluation,” 3rd International Wine Business & Marketing Research Conference, Montpellier.

37

Boccaletti, S., Nardella, M., “Consumer Willingness to pay for pesticide free fresh fruit and vegetables in Italy”. International Food and Agribusiness Management Review; 2000 (n. 3); pp. 297-310

38 Peter H. Bloch and Marsha L. Richins (1983), "A Theoretical Model for the Study of Product Importance

Perceptions," Journal of Marketing, 47 (Summer), 69-81.

39

(40)

Il grado di coinvolgimento nei confronti di un prodotto viene spesso individuato come una proprietà della personalità di un individuo nei confronti di un prodotto o di una categoria di prodotti.

Generalmente, i principali fattori in grado di influenzare il livello di coinvolgimento del consumatore sono rappresentati da componenti sociali, demografiche, legate alla situazione d’acquisto, di rischio e quelle normative. Il coinvolgimento è, infatti, direttamente proporzionale al tempo investito nella scelta di consumo ed è influenzato sia dal rischio sociale di usare o meno quel prodotto sia dal rischio finanziario per pagare il prodotto.

Come si può quindi facilmente capire, il coinvolgimento nelle scelte di consumo alimentari fa riferimento al livello di importanza che il prodotto ha nella quotidianità del consumatore, per cui il livello dello stesso può è essere molto diverso tra un individuo e l’altro e può svolgere un’importante ruolo nella decisione di consumo.40

2.2.3 CONTESTO

Molti studi riportano che anche il contesto influenza le scelte alimentari. L’ambiente, la presenza di altre persone, la disponibilità di alternative o anche il nome e altre informazioni sul prodotto sono tutte componenti del contesto nel quale il consumo avviene.

Durante il consumo il contesto può alterare la percezione di alimenti e bevande e in questo ambito sono stati individuati quattro effetti del contesto:

40

Iop S.C.F., Teixeira E., Deliza R. “Consumer research: extrinsic variables in food studies”. British Food Journal, Vol.108 No11, 2006 pp.894-903

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