Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Scienze e Tecnologie dei Bio e
Nanomateriali
Tesi di Laurea
Applicazione biologica di
nanoparticelle di silice
mesoporosa per la terapia
oncologica
Relatori
Prof. Pietro Riello
Dott. Flavio Rizzolio
Dott. Giuseppe Toffoli
Laureando
Concetta Russo Spena
Matricola 844832
Anno Accademico
2013 / 2014
Sommario
Abstract 3 1 Stato dell’arte 62. Materiali e metodi 14
2.1 Sintesi di nanoparticelle 14
2.2 Test di tossicità 16
2.3 Test di citotossicità 17
2.4 Opsonizzazione 18
2.5 Microscopia in fluorescenza 18
3. Risultati 20
3.1 Caratterizzazione delle nanoparticelle 20
3.2 Test di tossicità e citotossicità 23
3.3 Opsonizzazione 31
3.4 Microscopia in fluorescenza 33
4. Conclusioni 46
Bibliografia e sitologia 51
I Allegato 58 II Allegato 59 III Allegato 60 Ringraziamenti 61
Abstract
Il cancro è la principale causa di morte nei paesi economicamente sviluppati. In Italia ogni giorno sono diagnosticati circa 1000 nuovi casi. Tale patologia è caratterizzata dall’accumulo di alterazioni di geni che controllano importanti meccanismi per fisiologia cellulare tra cui la proliferazione, la sopravvivenza, l'adesione e la motilità cellulare [1]. I programmi di screening associati a tecniche diagnostiche sempre più avanzate permettono di individuare le neoplasie in stadi precoci che possono essere curate efficacemente attraverso la rimozione chirurgica. In altri casi la chirurgia è affiancata o sostituita dalla radioterapia, dalla chemioterapia o dalla combinazione di esse. Entrambe le terapie sono caratterizzate da elevata tossicità. Gli agenti chemioterapici, infatti, agiscono preferenzialmente sulle cellule tumorali, ma danneggiano anche le cellule sane determinando limitazioni della dose massima tollerata e, di conseguenza, ne limitano l’efficacia terapeutica.
Uno degli obiettivi della nanomedicina è di veicolare selettivamente i farmaci verso le sole cellule tumorali in modo da migliorare la biodisponibilità e l’efficacia del farmaco e allo stesso tempo ridurne la tossicità. Pertanto, i nanovettori caricati con farmaco, devono avere la capacità di attraversare le barriere fisiologiche e tissutali, e migliorare il targeting del farmaco verso il tessuto tumorale. La veicolazione del farmaco può avvenire attraverso targeting passivo o attivo. Il targeting passivo si riferisce all’accumulo di farmaco a livello del tessuto tumorale sfruttando le caratteristiche dello shuttle, quali dimensioni e proprietà chimico-‐fisiche, e del microambiente tumorale, come una migliore permeabilità e ritenzione (EPR: enhanced permeability and retention). Il targeting attivo, invece, richiede un’adeguata funzionalizzazione della superficie delle nanoparticelle attraverso l’utilizzo di anticorpi, proteine o peptidi.
Negli ultimi anni è stata rivolta particolare attenzione all’utilizzo di materiali mesoporosi progettati per trasportare e rilasciare in modo controllato le molecole "guest" solo in definiti distretti fisiologici. Il materiale mesoporoso deve essere biocompatibile e biodegradabile e presentare pori con un diametro compreso tra i 2 e i 50nm, consentendo in questo modo un carico elevato di molecole che sono protette dal rilascio prematuro e dalla degradazione prima di raggiungere il sito bersaglio.
La silice mesoporosa presenta una struttura altamente ordinata dotata di un’area superficiale elevata che non solo permette un’alta capacità di caricamento, ma allo stesso tempo promuove un rilascio controllato del farmaco grazie alla distribuzione omogenea delle molecole intercalate. Inoltre, data la presenza di gruppi silanolici sulla superficie, è possibile modificare chimicamente le nanoparticelle favorendo l’adsorbimento di alcune molecole come proteine, peptidi o fattori di crescita. Le proprietà sopraelencate rendono tale materiale utilizzabile come substrato per la sintesi di nanovettori da applicare al trasporto di farmaci.
Il progetto di tesi è stato incentrato sullo studio degli effetti indotti su cellule tumorali da nanoparticelle di silice mesoporosa da 30nm caricate con doxorubicina hanno su cellule tumorali.
Come riportato in letteratura, le nanoparticelle da 30nm sono molto versatili, date le loro dimensioni, e sono state utilizzate per imaging poiché presentando elevata area superficiale, possiedono una capacità di caricamento di agenti terapeutici e diagnostici maggiore rispetto, ad esempio, ai liposomi di dimensioni simili. Inoltre, date le dimensioni ridotte, possono essere utilizzate come core che è in seguito rivestito con una membrana lipidica modificata a sua volta con gruppi PEG. In questo modo si sfrutta l’elevata capacità di caricamento del farmaco nel materiale poroso (loading) ma allo stesso tempo si sfrutta anche la biocompatibilità definita dalla presenza di fosfolipidi e gruppi PEG [2,3].
La sintesi di silice mesoporosa avviene tramite l’utilizzo di un surfattante. Tale classe di reagenti è citotossica perché capace di causare il riarrangiamento delle membrane biologiche e indurre il rilascio degli enzimi intracellulari. È necessario definire dapprima la tossicità del solo vettore in modo da definire il materiale neosintetizzato biocompatibile e delineare i soli effetti del farmaco coniugato al vettore.
Pertanto, è stata definita dapprima la tossicità delle nanoparticelle sulle cellule. In seguito la citotossicità delle nanoparticelle intercalate con doxorubicina è stata testata sulle seguenti linee cellulari tumorali: MDA-‐MB-‐231 (cellule di tumore mammario), DLD1 e LOVO (cellule del tumore del colon) di quest’ultima linea è stata saggiata sia la linea sensibile (S) che quella resistente (R) al farmaco.
Ad oggi, una delle difficoltà legata all'impiego di nanovettori riguarda il destino metabolico dopo la somministrazione. Il processo di opsonizzazione conduce alla rapida eliminazione del nanovettore dall'organismo, spesso ancor prima che riesca a liberare il principio attivo che incorpora a causa dell’interazione con delle diverse proteine presenti nel flusso ematico. Sono stati, dunque, eseguiti test in vitro per definire l’interazione tra le nanoparticelle e le proteine del siero.
Per la terapia oncologica è essenziale, come accennato in precedenza, avere un rilascio controllato del farmaco nel liquido interstiziale, sulla superficie del tumore o direttamente nello spazio intracellulare. Quando, il rilascio dei farmaci deve avvenire direttamente nel citoplasma cellulare, è importante che avvenga un processo di endocitosi direttamente dalla membrana cellulare ai lisosomi, dove le particelle sono degradate e possono rilasciare il loro contenuto. Per comprendere la risposta delle cellule alle nanoparticelle, è cruciale comprendere i meccanismi di uptake cellulare e il traffico intracellulare. La membrana cellulare è un sistema molto complesso, e quindi il potenziale di superficie del vettore è rilevante nell’uptake cellulare. Inoltre, a seconda delle dimensioni delle particelle vi è un diverso meccanismo di internalizzazione.
Al microscopio confocale è stato possibile riscontrare che la silice mesoporosa era stata internalizzata, è stato misurato il tempo di internalizzazione e definita la distribuzione subcellulare.
1 Stato dell’arte
Il concetto di nanoscienza fu formulato per la prima volta dal fisico Richard Feynman nel 1959 nel discorso intitolato “There’s plenty of room at the bottom-‐An invitation to enter a new field of physics”, durante il quale ipotizzò che nel futuro si sarebbero potuti costruire dispositivi di varia natura agendo direttamente sulla posizione degli atomi nella materia.
Il termine “nanotecnologia”, però, venne coniato soltanto quasi 30 anni più tardi da Kim Eric Drexler, nel suo libro intitolato “Engines of creation: the coming era of nanotechnology” del 1986. Sorprendentemente, tuttora non esiste una definizione universalmente accettata per nanoscienze e nanotecnologie, ma ve ne sono diverse simili tra loro.
Secondo la Royal Society & The Royal Academy of Engineering (UK), “Nanoscience is the study of phenomena and manipulation of materials at atomic, molecular and macromolecular scales, where properties differ significantly from those at a larger scale” mentre per la National Nanotechnology Initiative (NNI) USA, “Nanotechnology is the understanding and control of matter at dimensions of roughly 1 to 100 nanometers, where unique phenomena enable novel
applications... At this level, the physical, chemical, and biological properties of materials differ in fundamental and valuable ways from the properties of individual atoms and molecules or bulk matter”.
Le nanoscienze costituiscono il punto d'incontro di discipline diverse che vanno dalla fisica quantistica alla chimica supramolecolare, dalla scienza dei materiali alla biologia molecolare e rappresentano una realtà ormai affermata nel mondo della ricerca. Le nanotecnologie, che sono invece ancora nella fase iniziale del loro sviluppo, puntano a sfruttare e ad applicare i metodi e le conoscenze derivanti dalle nanoscienze. Esse fanno riferimento a un insieme di tecnologie, tecniche e processi che richiedono un approccio multidisciplinare e consentono la creazione e l’utilizzazione di materiali, dispositivi e sistemi con dimensioni a livello nanometrico. Le
prospettive associate alle nanotecnologie derivano dal fatto che, a questi livelli di dimensioni, comportamenti e caratteristiche della materia cambiano drasticamente [4]. Le nanotecnologie trovano applicazione in tutti i settori produttivi.
Negli ultimi 20 anni c’è stato un progressivo aumento dei prodotti terapeutici basati sulle nanotecnologie. È stato stimato che nel 2006 oltre 150 aziende stavano sviluppando terapie nanotecnologiche e inoltre, nello stesso anno, 24 prodotti nanotecnologici sono stati approvati per uso clinico. Le classi predominanti sono i farmaci liposomiali e quelli coniugati a polimeri. Nell’appendice I è possibile trovare una lista di alcuni prodotti liposomiali approvati negli ultimi 15 anni. Diversi sono i sistemi basati su nanoparticelle che sono al momento in clinical trials e in sviluppo preclinico (Appendice 2-‐3) [5].
La nanomedicina cerca di offrire una soluzione basata sulle nanotecnologie ai problemi medici con il principale scopo di aumentare la biodisponibilità del farmaco e ridurre gli effetti collaterali [6]. Inoltre deve permettere una riduzione nella concentrazione di farmaco da utilizzare e nella frequenza di somministrazione [7,8].
La somministrazione di farmaci è il metodo o il processo di somministrazione di un composto farmaceutico al fine di ottenere un effetto terapeutico in esseri umani o animali. I farmaci, come peptidi, proteine, anticorpi e vaccini, talvolta non possono essere somministrati tramite metodi di routine classici (per os, endovena, intramuscolare), poiché potrebbero essere suscettibili alla degradazione enzimatica o potrebbero non essere assorbiti nella circolazione in modo abbastanza efficiente, a causa di dimensioni molecolari e problemi di carica. Pertanto, molti sforzi si sono focalizzati sulla somministrazione mirata in cui il farmaco è attivo solo nella zona bersaglio del corpo, come ad esempio tessuti tumorali, ed è rilasciato in modo controllato [4, 9-‐ 11].
Diverse sono le strategie che possono essere utilizzate per permettere la veicolazione selettiva del farmaco al tessuto tumorale. Questa può avvenire sfruttando la maggior permeabilità e ritenzione (EPR) del tessuto tumorale che permette l’accumulo delle nanoparticelle a livello del suddetto tessuto. In alternativa possono essere inserite sulla superficie delle nanoparticelle componenti organiche allo scopo di implementare proprietà stealth o di targeting. Si parla,pertanto, rispettivamente di targeting passivo e attivo.
Tale concetto è schematizzato nell’immagine di seguito riportata in cui si mostra nel dettaglio la diversa vascolatura del tessuto tumorale e come questa caratteristica possa essere sfruttata per la veicolazione del nanovettore [1].
Ad oggi è stata posta particolare attenzione sui materiali mesoporosi, i quali devono essere anzitutto biocompatibili e biodegradabili [12-‐14]. Il sistema che si vuole utilizzare non deve, compromettere la salute del paziente e dare, quindi, effetti collaterali. Le nanoparticelle di silice mesoporosa possono essere utilizzate per assolvere tali richieste.
Recentemente, nanoparticelle di silice per diagnostica, sotto forma di C-‐dots, sono state approvate dalla FDA per la fase I di sperimentazione clinica.
Sostanzialmente, la sintesi delle nanoparticelle di silice mesoporosa avviene utilizzando un composto chimico definito surfattante, che funge da agente direzionante di struttura, e permette l’assemblamento nello spazio della silice. Controllando il processo di nucleazione è possibile ottenere nanoparticelle con una dimensione compresa tra 100-‐1000nm. Infatti, la forma e le dimensioni delle silici mesoporose possono essere modulate variando le condizioni di reazione. La rimozione del surfattante permette, quindi, di ottenere una struttura porosa [15-‐17].
Tipicamente si utilizzano come precursori gli alcossisilani e miscele di silani che permettono di avere la presenza sulla superficie e all’interno dei pori gruppi come R-‐NH!, R-‐COOH e R-‐SH.
L’utilizzo di un sistema nanostrutturato richiede che vi sia assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione del materiale. Data la versatilità del processo di sintesi delle nanoparticelle di silice mesoporosa, che permette la modulazione della forma e della composizione chimica, è necessario che il nanosistema sia efficace ma allo stesso tempo sicuro.
La presenza di una piccola percentuale di gruppi silanolici sulla superficie delle nanoparticelle provoca interazione con le molecole biologiche e alterazione della loro struttura [18]. In seguito a somministrazione intravenosa, questi gruppi sono responsabili anche dell’effetto emolitico. Per superare questi problemi, e, quindi, migliorarne la biocompatibilità, la superficie delle nanoparticelle è rivestita, in uno step successivo al processo di sintesi, con lipidi [19-‐21] o gruppi PEG (polietilenglicole) [22,23] che hanno il compito di formare uno strato idrofilo attorno alle
particelle che migliora la biocompatibilità, nascondendo i gruppi silanolici presenti sulla superficie [22], e diminuisce l’emolisi, la citotossicità e l’endocitosi [23] minimizzando anche l’opsonizzazione delle nanoparticelle [24]. La chimica di superficie delle nanoparticelle può essere, quindi, finemente modulata per la specifica applicazione biologica in modo da ottimizzare ad esempio l’interazione tra le molecole di farmaco e la silice, la stabilità e/o l’uptake cellulare, permettere il targeting specifico del farmaco e il rilascio controllato [25].
Le nanoparticelle di silice mesoporosa presentano dimensioni e volume dei pori elevati (0.6-‐1.0 ml/g) associati ad una vasta area superficiale (600-‐1000 m!/g) che permettono di avere elevato caricamento del farmaco. Tipicamente le dimensioni dei pori sono comprese tra i 2-‐4 nm ma recentemente sono state sintetizzate particelle con pori di 30nm atte a poter ospitare sia le piccole molecole di farmaco che le proteine [26-‐27].
Il caricamento del farmaco all’interno delle nanoparticelle può avvenire in situ, in altre parole durante il processo di sintesi delle stesse, oppure attraverso un processo di chemisorbimento o fisorbimento. Il metodo più utilizzato per il caricamento delle molecole è l’assorbimento fisico da una soluzione contenente il farmaco [25]. La scarsa solubilità, l’instabilità del farmaco e lo scarso uptake cellulare di molti farmaci antitumorali ostacolano l’efficienza della terapia. Lo sviluppo di nuovi sistemi potrebbe, quindi, permettere un caricamento del farmaco elevato, protezione del farmaco dalla degradazione, facilitazione nell’uptake cellulare e target specifico del farmaco verso una data popolazione cellulare. Le particelle di silice mesoporose sono adatte al caricamento di piccole molecole di farmaco in grandi quantità anche quando questo è poco solubile [28].
Di solito, i farmaci sono rilasciati dai nanovettori attraverso fenomeni di erosione, desorbimento o diffusione. Per la terapia oncologica, l'obiettivo principale è di rilasciare il farmaco nel liquido interstiziale, sulla superficie del tumore o direttamente nello spazio intracellulare. Quando i farmaci incapsulati nelle nanoparticelle sono destinati a essere rilasciati direttamente nel citoplasma delle cellule, deve avvenire dapprima l’endocitosi e in seguito veicolazione a livello dei lisosomi, dove le particelle sono degradate e rilasciano il loro contenuto [29].
La maggior parte degli studi pubblicati è stata condotta utilizzando come farmaco da caricare all’interno delle nanoparticelle la doxorubicina. Tale farmaco è un’antraciclina citotossica isolata da culture di Streptomyces peucetius var. caesius che si lega agli acidi nucleici, presumibilmente tramite intercalazione specifica nella doppia elica del DNA [30,31].
Men et al., hanno dimostrato che si ottiene una maggiore efficienza da nanoparticelle da 50nm rivestite con PEG o PEI nel trattamento del tumore al fegato. I test sono stati eseguiti trattando con una dose di farmaco di 50mg/kg una volta a settimana per tre settimane, è stata comparata l’efficacia del farmaco libero rispetto al farmaco veicolato dalle particelle. In quest’ultimo caso la regressione tumorale è stata maggiore e si è verificata una ridotta tossicità renale, epatica e sistemica. L’accumulo delle particelle a livello del sito tumorale avveniva tramite effetto EPR [32].
Per comprendere la risposta delle cellule biologiche alle nanoparticelle, è fondamentale conoscere i meccanismi di assorbimento cellulare e traffico intracellulare [33]. È stato dimostrato che l'assorbimento cellulare di nanoparticelle, oltre a seconda del dosaggio e tempo, dipende anche dal tipo di cellula, dimensioni delle particelle, forma, carica e chimica di superficie [34-‐38].
Alcuni studi correlano la dimensione del veicolo al diverso meccanismo di captazione cellulare: particelle inferiori a 200 nm sono internalizzate dalle cellule attraverso meccanismi di endocitosi, mentre le particelle più grandi sono interiorizzate attraverso endocitosi o fagocitosi [38-‐42].
Le proprietà chimico-‐fisiche della silice nanostrutturata quali dimensione, forma, superficie e struttura possono modificare la biocompatibilità delle particelle [14]. Ad esempio, uno dei parametri più influenti è la dimensione delle particelle, anche se la sua esatta relazione con gli effetti tossici che si hanno in vivo è ancora poco chiara [43]. Generalmente, le nanoparticelle più piccole hanno un maggiore potenziale emolitico rispetto a quelle più grandi. Questo effetto è stato studiato nei globuli rossi, dove dopo 3 ore di esposizione, le particelle con dimensione compresa tra i 25 e 93 nm inducevano tossicità superiore rispetto a particelle di 155 e 225 nm, ad una concentrazione di 3.125-‐1.600 mg/ml. Il danneggiamento della membrana dei globuli rossi è di solito dipendente dalla concentrazione e dalle dimensioni delle particelle. Inoltre, confrontando tra loro particelle porose e non porose della stessa dimensione, si verifica una maggiore tossicità delle particelle non porose rispetto a quelle porose, probabilmente a causa di un numero minore di gruppi silanolici sulla superficie [44]. In alcuni lavori si dimostra che
l’emolisi indotta da nanoparticelle può essere eliminata o ridotta modificando la superficie con un rivestimento di PEG.
La concentrazione delle nanoparticelle nell’organismo influenza, anch’essa, la biocompatibilità del nanomateriale. Studi di biodistribuzione, in ratto, delle nanoparticelle con dimensione tra i 50-‐100 nm e carica positiva sulla superficie, hanno dimostrato che gli effetti tossici occorrono quando la dose somministrata, via intravena, supera i 200mg/kg [17]. Le nanoparticelle tendono ad accumularsi soprattutto nel fegato (35,3%) fino a 3 mesi, indicando quindi che sono resistenti alla decomposizione e biocompatibili in vivo a basse concentrazioni [28-‐29,45-‐46]. Yu et al. hanno indagato la tossicità acuta di nanoparticelle di silice mesoporosa in topi immunocompetenti e scoperto che in vivo la tossicità dopo somministrazione per via endovenosa è influenzata principalmente dalla porosità e dalle caratteristiche
superficiali delle particelle [47].
La massima dose tollerata (MTD) aumenta nel seguente ordine: 30-‐65mg/kg per le nanoparticelle di silice mesoporosa, 100-‐150mg/kg per le particelle modificate con un gruppo amminico, 450mg/kg per le particelle modificate e non con un gruppo amminico ma non porose. Gli autori ipotizzano che il diverso comportamento delle particelle è dovuto alle diverse dimensioni idrodinamiche, maggiore è la dimensione idrodinamica minore sarà l'MTD [47].
Le nanoparticelle con dimensioni elevate sono facilmente riconosciute dalle cellule fagocitarie mononucleari del sistema reticoloendoteliale (RES) di fegato e milza, possono causare citotossicità in questi organi ostacolando l’effetto terapeutico del farmaco coniugato alle nanoparticelle. Pertanto, la modifica chimica della superficie delle particelle con molecole organiche, come il PEG, può fornire l’ingombro sterico utile a migliorare la dispersione delle particelle in soluzione salina e l’eventuale effetto di opsonizzazione aumentando, quindi, l’emivita circolatoria e riducendo l’assorbimento da parte del RES. In seguito ad iniezione endovena, è stato definito l’accumulo di nanoparticelle di silice mesoporosa di diverse dimensioni, con e senza PEG. L’accumulo delle particelle, come accennato in precedenza, avviene soprattutto a livello del fegato e della milza, ed in quantità minore a livello di polmoni, reni e cuore. Le nanoparticelle pegilate di piccole dimensioni, si accumulano però in misura minore a livello di fegato, milza e polmoni presentando quindi una maggiore circolazione sanguigna ed una bassa biodegradazione [9].
È, inoltre, importante prendere in considerazione la carica superficiale delle particelle. Le particelle con carica cationica hanno una maggiore capacità di attraversare la membrana cellulare via endocitosi a causa della maggiore affinità con la membrana cellulare [29]. D’altro canto tali particelle inducono una maggiore risposta immunitaria e citotossicità, presentando un trasporto transvascolare facilitato ai tessuti tumorali, mentre le particelle neutre mostrano tempi di circolazione più lunghi. Le particelle con una carica negativa, invece, possono facilmente sfuggire a entrapment endosomiale [48,49].
L’utilizzo dei nanovettori si pone come possibile soluzione alla resistenza ai farmaci (MultiDrug Resistance) mostrata dal tumore in seguito a trattamento continuo e sistematico nel tempo. Tale fenomeno rappresenta la causa principale del fallimento della terapia oncologica ed è multifattoriale poiché può essere farmacologico o cellulare. L'MDR farmacologico definisce un insieme di circostanze che danno un dosaggio terapeutico insufficiente, come infusioni inadeguate, influenza del microambiente tumorale, farmacocinetica nel plasma e altri. L'MDR cellulare è invece definito come dipendente o non dalle pompe. Infatti, i trasportatori ABC, l’attivazione del pathway di apoptosi e il pathway che permette il riarrangiamento del DNA possono essere alterati o non attivati durante lo sviluppo di un fenotipo resistente al farmaco [25].
2. Materiali e metodi
2.1
Sintesi di nanoparticelle
La sintesi di nanoparticelle di silice mesoporosa avviene tramite processo sol-‐gel: si parte da una sospensione colloidale di particelle solide in un liquido, il sol, che si trasforma in un gel attraverso un processo d’idrolisi e polimerizzazione.
Precursore del processo di sintesi è il TEOS: TetraEthylOrthoSilicate che subisce dapprima una reazione d’idrolisi.
Reazione d’idrolisi del TEOS
La cinetica d’idrolisi in ambiente neutro è molto lenta, per questo motivo generalmente si fa avvenire la reazione in catalisi acida o basica.
Quindi, i gruppi silanolo formatisi nel processo d’idrolisi tendono a dare reazioni di polimerizzazione con formazione di legami Si-‐O-‐Si. Tale tipo di reazione può avvenire secondo due meccanismi [50]:
Reazioni di polimerizzazione
Le procedure di sintesi delle silici mesostrutturate si differenziano per la natura dell’ambiente di reazione, a seconda che questo sia acido o basico, del precursore e dell’interazione precursore-‐surfattante.
Per surfattante s’intende una molecola anfifilica, presenta gruppo idrofilico e gruppo idrofobico, che in ambiente acquoso tende a formare spontaneamente un doppio strato, nel quale le teste idrofile sono rivolte verso l'esterno e le code idrofobe verso l'interno.
Le particelle di silice mesoporosa sono, pertanto, sintetizzate tramite l’utilizzo di etanolo, acqua e CTAB (Bromuro di cetil-‐trimetilammonio), sale di ammonio quaternario.
Bromuro di cetil-‐trimetilammonio: CTAB
La reazione è condotta in costante agitazione ed è aggiunta ammoniaca al fine di permettere la dissoluzione del surfattante. È, quindi, aggiunto il TEOS. La reazione prosegue alla temperatura ambiente per due ore. Il surfattante è, pertanto, eliminato tramite l’utilizzo di acido cloridrico ed etanolo alla temperatura di 80°C. Le particelle sintetizzate sono, quindi,
recuperate tramite centrifugazione e riflusso in etanolo ad 80° over night (O.N.). Sono quindi centrifugate e lavate più volte con etanolo e d’acqua.
La funzionalizzazione delle nanoparticelle avviene servendosi di un diverso protocollo a seconda delle esigenze. Le nanoparticelle con gruppo carbossile sulla superficie sono ottenute grazie all’utilizzo di un tampone fosfato 10mM a pH 7.5 e aggiungendo carbossietilsilantriolo sale sodico. La reazione è condotta in costante agitazione alla temperatura ambiente. Dopo 3 ore la miscela è centrifugata al fine di recuperare le nanoparticelle che sono, quindi, lavate con tampone e acqua.
Qualora si voglia, invece, ottenere nanoparticelle rivestite con PEG si utilizza una soluzione di etanolo e acqua, con aggiunta di HCl al fine di ottenere pH 4. È quindi aggiunto Si-‐PEG-‐Me, preventivamente sciolto. La reazione è condotta per 24ore al termine delle quali il prodotto è recuperato lavando con etanolo e acqua.
2.2 Test di tossicità
La tossicità delle silici mesoporose è testata su MDA-‐MB-‐231, cellule di adenocarcinoma derivanti da ghiandola mammaria.
Si piastra un numero definito di cellule, 1000 per pozzetto, e il giorno seguente si procede con il trattamento. Si parte da una concentrazione di trattamento di 4mg/ml e si compie un totale di 9 diluizioni seriali. Dopo 96 ore la vitalità cellulare è definita tramite CellTiter-‐Glo® Luminescent Cell Viability Assay, metodo omogeneo per determinare il numero di cellule vitali in coltura basandosi sulla quantificazione dell’ATP. Il saggio prevede l’uso di un singolo reagente che
produce dapprima lisi cellulare, e in seguito, generazione di un segnale luminescente proporzionale alla quantità di ATP presente e quindi alla vitalità cellulare. Tale test si basa, infatti, su una luciferasi termostabile, che presenta come cofattore l’ATP [51].
2.3 Test di citotossicità
Per eseguire il test di citotossicità si incuba a temperatura ambiente, per 2ore, 500ug di silice, preventivamente sonicata, con 125ug di doxorubicina in un volume totale di 1ml. La doxorubicina utilizzata è prodotta dalla Pfizer (doxorubicina cloridrato 50mg/25ml).
Doxorubicina cloridrato
I campioni sono, quindi, centrifugati a 700xg per 10 minuti. Il surnatante è rimosso e i campioni sono lavati in acqua per due volte ripetendo la centrifugazione per 10minuti a 700xg.
L’efficienza di caricamento della doxorubicina è definita utilizzando le proprietà ottiche del farmaco: questo, infatti, presenta spettro di assorbanza e fluorescenza. Sfruttando l’assorbanza a 495nm si definisce la quantità di doxorubicina caricata sulle nanoparticelle.
Anche in questo caso, per eseguire il test di citotossicità, le cellule sono piastrate un giorno prima del trattamento. Si piastrano 1000 cellule per pozzetto per le MDA-‐MB-‐231, LOVO-‐S e LOVO-‐R mentre 500 cellule per pozzetto per le DLD1-‐S.
Si testano tre diverse concentrazioni di farmaco in base alla linea cellulare: -‐ cellule resistenti (LOVO-‐R): 800ng/ml, 400ng/ml, 200ng/ml
-‐ MDA-‐MB-‐231 e cellule sensibili): 100ng/ml, 50ng/ml, 25ng/ml
1. Doxorubicina (DOXO)
2. Silice carbossilata caricata con Doxorubicina (S+D) 3. Silice PEGylata con Doxorubicina (PEG+D)
4. Silice carbossilata (S) 5. Silice PEGylata (PEGS)
La vitalità cellulare è definita attraverso CellTiter-‐Glo® Luminescent Cell Viability Assay.
2.4 Opsonizzazione
Dopo aver elettroporato la silice, si aggiungono 2ul di BSA-‐FITC o IgG a 200ug di silice in un volume totale di 200ul.
I campioni sono posti in rotazione per 2ore, alla temperatura ambiente. Sono, quindi, centrifugati a 10.000xg per 10 minuti in modo da separare il pellet dal surnatante. Laddove, vi è, infatti, interazione della silice con le proteine, si assiste alla formazione di un complesso che precipita in seguito a centrifugazione. L’interazione tra la silice e le proteine del siero è, pertanto, definita leggendo in fluorescenza 5ul di pellet (Eccitazione: 485nm ed Emissione: 595nm). I campioni sono lasciati in rotazione O.N. e letti nuovamente come definito in precedenza.
2.5 Microscopia in fluorescenza
100.000 cellule sono piastrate, due giorni prima dell’esperimento, su vetrini rivestiti con Poli-‐ D-‐Lisina.
La membrana cellulare è marcata tramite Vybrant® DiO lipophilic labeling solution della Life Technology (2ul/10.000 cellule), due ore prima dell’esperimento.
Il nucleo cellulare è marcato con DAPI: il colorante è posto in contatto con le cellule per 10 minuti e successivamente è rimosso.
La silice, concentrata 1mg/ml, è dapprima sonicata e in seguito marcata (1/200) con Vybrant® DiI lipophilic labeling solution della Life Technology e posta per un’ora in rotazione alla temperatura ambiente. Quindi, il campione è centrifugato
a 3000xg per 5 minuti, ed il pellet colorato è risospeso in PBS in modo da ottenere la concentrazione di partenza.
Gli endosomi precoci, tardivi e i lisosomi sono stati marcati, un giorno prima dell’esperimento, utilizzando rispettivamente: CellLight® Early Endosomes-‐GFP BacMam 2.0, CellLight® Late
Endosomes-‐GFP BacMam 2.0, CellLight® Lysosome-‐GFP BacMam 2.0 della Life Technology.
Le cellule MDA-‐MB-‐231 sono state utilizzate per definire il destino subcellulare delle silici marcando gli endosomi precoci, tardivi e i lisosomi e utilizzando la microscopia confocale.
Le immagini in fluorescenza per gli endosomi tardivi sono state ottenute, tramite microscopio in fluorescenza, trattando cellule Hela (cervical cancer).
3. Risultati
3.1 Caratterizzazione delle nanoparticelle
Le nanoparticelle di silice mesoporosa sono state caratterizzazate tramite FE-‐SEM: Field Emission Scanning Electron Microscopy, microscopio che lavora con elettroni liberati da una sorgente ad emissione di campo [52].
Com’è possibile notare dall’immagine sopra riportata, le nanoparticelle presentano una dimensione che oscilla tra i 20nm e i 30nm (si veda scala in basso a sinistra).
Inoltre, le nanoparticelle sono state caratterizzate tramite fisisorbimento di azoto molecolare. Tale tecnica è utilizzata per la caratterizzazione dei solidi, mediante adsorbimento fisico e desorbimento di azoto alla temperatura dell'azoto liquido (77gradi Kelvin). Il volume specifico di azoto adsorbito permette la determinazione dell'area superficiale specifica (tecnica BET) e del volume specifico dei mesopori (metodo BJH) [53].
L’isoterma di adsorbimento è di tipo IV, presenta un ciclo di isteresi, di cui la parte inferiore rappresenta l’adsorbimento di gas e la superiore il progressivo desorbimento. Tale isoterma è caratteristica dei materiali mesoporosi.
Adsorbimento BJH
Tramite metodo BJH è stato possibile definire le dimensioni dei pori delle nanoparticelle che sono pari a 4.3nm. Il grafico sopra riportato, correla il volume dei pori al diametro di questi. Quindi, il volume totale dei pori, definito tramite BJH, è pari a 0.7532cm!/g. L’area superficiale definita tramite BET è pari a 783.96m!/g.
3.2 Test di tossicità e citotossicità
La vitalità cellulare è stata determinata, come accennato in precedenza, tramite CellTiter-‐Glo® Luminescent Cell Viability Assay. Il grafico di seguito riportato correla la quantità di silice, espressa in microgrammi, al numero di cellule vitali, dopo 96 ore dal trattamento.
Tossicità silici mesoporose su cellule MDA-‐MB-‐231
La prima colonna del grafico (CTRL) definisce la vitalità cellulare per cellule non trattate con nanoparticelle di silice. Come evidenziato dal grafico, le nanoparticelle non sono tossiche fino a 500ug/ml di silice: infatti, sotto tale concentrazione la vitalità cellulare non è alterata. Diversamente, per concentrazioni maggiori di 500ug/ml le nanoparticelle sono tossiche poiché riducono drasticamente la vitalità cellulare: 4mg/ml.
Servendosi dello stesso saggio luminescente si definisce la citotossicità del sistema nanoparticella-‐farmaco. 0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000 200000 CTRL 4000 2000 1000 500 250 125 62.5 31.25 15.62 Number of cells
Come definito in precedenza, sono state testate tre diverse concentrazioni di farmaco per ogni linea cellulare presa in considerazione.
Vengono, di seguito, mostrati i risultati che si riferiscono alle MDA-‐MB-‐231, cellule di adenocarcinoma. Com’è possibile notare dai grafici, e come definito in precedenza, la vitalità cellulare non è alterata dal trattamento con la sola silice, con e senza PEG. Diversamente, il trattamento con il farmaco, altera fortemente la vitalità cellulare che diminuisce all’aumentare della concentrazione di farmaco.
Vitalità cellulare MDA-‐MB-‐231, 100ng/ml
0 50000 100000 150000 200000 250000 300000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare MDA-‐MB-‐231, 50ng/ml
Vitalità cellulare MDA-‐MB-‐231, 25ng/ml
Non vi è una differenza significativa tra il trattamento con la doxorubicina e il trattamento con la doxorubicina veicolata dalle nanoparticelle di silice senza PEG. La presenza di PEG, tuttavia, determina una mortalità cellulare ridotta rispetto alla Doxorubina con e senza silice.
0 50000 100000 150000 200000 250000 300000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls 0 50000 100000 150000 200000 250000 300000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Altri test di citotossicità sono stati eseguiti anche su linee cellulari tumorali di colon quali LOVO e DLD1. Solo per le LOVO si sono prese in considerazione le linee resistenti e sensibili al farmaco.
Per quanto concerne le LOVO-‐S, cellule di colon derivanti da sito metastatico, la vitalità cellulare è alterata dalla somministrazione di farmaco, sia esso coniugato a nanoparticelle di silice che in forma libera.
Vitalità cellulare LOVO-‐S, 50ng/ml
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000 200000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls 0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000 200000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare LOVO-‐S, 25ng/ml
Vitalità cellulare LOVO-‐S, 12.5ng/ml
Confrontando i dati ottenuti trattando con diverse concentrazioni di farmaco, si evidenzia come all’aumentare della concentrazione di farmaco aumenta la mortalità cellulare. Non si hanno differenze significative tra il trattamento con la doxorubicina in forma libera e coniugata alla silice. Ancora una volta, la vitalità cellulare non è alterata dal trattamento con la sola silice.
Per le LOVO-‐R sono state utilizzate concentrazioni di farmaco maggiori. La maggiore concentrazione di farmaco testata è quella di 800ng/ml, tale concentrazione determina una mortalità cellulare maggiore rispetto al trattamento con concentrazioni minori: 400ng/ml e 200ng/ml.
I grafici di seguito riportati mostrano quanto affermato:
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000 200000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare LOVO-‐R, 800ng/ml
Vitalità cellulare LOVO-‐R, 400ng/ml
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls 0 20000 40000 60000 80000 100000 120000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare LOVO-‐R, 200ng/ml
La resistenza al farmaco è indotta dalla presenza di glicoproteine P, pompe che conferiscono multi-‐resistenza ai farmaci. Tali proteine, oltre ad essere presenti sulla membrana cellulare, sono presenti anche a livello intracellulare e sono responsabili del trasporto e processamento del farmaco [54].
Per tale motivo, al diminuire della concentrazione di farmaco, l’efficacia terapeutica è ridotta, sia esso in forma libera sia coniugato alle nanoparticelle. Si noti, infatti, come la crescita cellulare a concentrazione minore di farmaco, ad esempio 200ng/ml, per le cellule trattate, è uguale alla crescita cellulare del controllo.
Risultati analoghi si ottengono per le cellule DLD1.
Per le cellule sensibili al farmaco, la vitalità cellulare è molto ridotta quando si tratta con una concentrazione di 50ng/ml, maggiore concentrazione tra quelle testate. Come visto in precedenza, al diminuire della concentrazione di farmaco la mortalità cellulare è ridotta.
Si vedano, infatti, i dati di seguito riportati.
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare DLD1-‐S, 50ng/ml
Vitalità cellulare DLD1-‐S, 25ng/ml
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls 0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Vitalità cellulare DLD1-‐S, 12.5ng/ml
3.3 Opsonizzazione
L’interazione tra la silice e le proteine del siero è definita tramite l’utilizzo di BSA (Albumin from bovine serum) coniugata a FITC, componente fluorescente. Per tale tipo di analisi, si è utilizzata anche le immunoglobuline IgG, anch’esse fluorescenti (FITC). Tale proteina gioca un ruolo chiave nella risposta immunitaria umorale, può attivare il sistema del complemento e la fagocitosi di microorganismi. Costituisce la principale immunoglobulina nel sangue, nel fluido linfatico, celebrospinale e peritoneale [55].
Il test di opsonizzazione è stato eseguito sia per le silici carbossilate sia quelle rivestite con PEG, in modo da sondare l’eventuale presenza di un diverso comportamento una volta a contatto con le proteine del siero. Come si vede dai grafici di seguito riportati, le silica carbossilate interagiscono con la BSA mentre quando sono rivestite con PEG il grado di interazione (dato dal rapporto surnatante/pellet) è minore. Questo dato è in accordo con quanto riportato in letteratura, le silica rivestite con PEG sono stealth.
Diversamente, l’interazione con l’IgG è costante nel tempo.
0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000
DOXO S+D PEG+D S PEGS CTR
N u m b er o f c el ls
Opsonizzazione silice carbossilata
Opsonizzazione silici pegilate
0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 2h ON
Silica
IgG BSA 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 1,6 1,8 2h ONPEG Silica
IgG BSA3.4 Microscopia in fluorescenza
Al fine di definire il destino cellulare delle nanoparticelle di silice, si è proceduto marcando determinati compartimenti cellulari.
Il pathway endocitotico ha inizio con la formazione d’invaginazioni nella membrana cellulare che provocano la formazione di vescicole chiamate endosomi precoci. Da queste, si generano, tramite un processo di trasformazione e maturazione, gli endosomi tardivi che veicolano il cargo all’interno della cellula e a livello dei lisosomi dove avviene la degradazione.
Pertanto, il destino cellulare delle silici è stato sondato marcando, dapprima, la membrana degli endosomi precoci e la silice che è stata messa in contatto con le cellule per 15 e 30 minuti ed un’ora. Successivamente le cellule sono state lavate e fissate in modo da mantenere inalterate e costanti nel tempo le condizioni della cellula.
Le immagini sono state ottenute trattatando cellule MDA-‐MB-‐231. In verde sono marcati e, quindi, visualizzati gli endosomi precoci.
Endosomi precoci
Particelle di silice mesoporosa
La microscopia confocale permette di ottenere immagini in 3D della cellula poiché analizza i diversi piani lungo l’asse z. Le due immagini sopra riportate si riferiscono allo stesso piano.
Sovrapponendo le due immagini è possibile notare che la colocalizzazione tra la silice e gli endosomi precoci avvenga dopo 15minuti: è, infatti, presente una doppia colorazione in alcuni punti della cellula.
Merged
La colorazione gialla denota la presenza della silice a livello degli endosomi precoci dopo 15 minuti dalla messa in contatto con le cellule. Tale comportamento è mantenuto anche dopo 30 minuti e un’ora
.
Endosomi precoci e nanoparticelle di silice mesoporosa
Facendo il merged delle due immagini, si nota ancora una volta colocalizzazione a livello degli endosomi precoci dopo 30 minuti dalla messa in contatto della silice con le cellule.
Colocalizzazione: merged dopo 30 minuti
Dall’immagine seguente di colocalizzazione si nota come gli spot verdi e rossi siano mantenuti ben distinti e non ci sia una sovrapposizione molto marcata dopo 1 ora.
Endosomi precoci e nanoparticelle di silice mesoporosa dopo un’ora
Merged
La silice è presente a livello degli endosomi tardivi dopo 15 minuti e 30 minuti.
Endosomi tardivi e nanoparticelle di silice mesoporosa dopo 15 minuti
Merged: time points 15 minuti
L’effetto della colocalizzazione è molto marcato guardando al time point di 30minuti. Infatti, sovrapponendo le immagini riguardanti lo stesso piano della silice e degli endosomi tardivi si nota tale effetto.