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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

Corso di Laurea Magistrale in

LINGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE

INSEGNAMENTO ED APPRENDIMENTO DELLA LINGUA INGLESE ATTRAVERSO

LA TRADUZIONE ED I CORPORA

Prova finale di:

Maria Cecilia Cioce Relatore:

Laura Gavioli

Correlatore:

Giulia Lorenzoni

Anno Accademico 2018/2019

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ABSTRACT

L’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di indagare le modalità e gli eventuali benefici dell’uso della traduzione e dei corpora linguistici come strumenti per favorire l’apprendimento della lingua inglese.

L’elaborato è suddiviso in tre capitoli. Il primo fornisce una panoramica generale sul problema della definizione di traduzione e sul ruolo che quest’ultima ha assunto nelle principali metodologie didattiche a partire dal Grammar Translation Method fino ad arrivare alla contemporaneità. Passando dalla teoria alla pratica, nel secondo capitolo vengono invece presentate le caratteristiche e le tipologie di uno strumento specifico per la traduzione: i corpora linguistici. Prendendo poi in esame alcune proposte metodologiche, il capitolo esplora anche come questi ultimi possono essere sfruttati per l’apprendimento di una lingua straniera. Proseguendo la discussione sull’utilizzo pratico di traduzione e corpora nella glottodidattica, il terzo capitolo descrive ed analizza l’esperienza svolta con due studentesse del tutorato del corso di Linguistica, Traduzione e Mediazione inglese – Laurea triennale in Lingue e Culture Europee – organizzato nell’ambito del Fondo Sostegno Giovani sotto la supervisione della docente del corso.

L’analisi dei risultati ottenuti ha permesso di riscontrare come le attività condotte sembrano aver permesso alle studentesse di migliorare le proprie competenze linguistiche, soprattutto nell’ambito della produzione scritta. Nonostante tali considerazioni possano suggerire spunti di riflessione interessanti sul potenziale di questi strumenti, il campione costituito da solo due studenti non consente di formulare delle ipotesi statisticamente rilevanti.

This paper aims to investigate how translation and corpus-based translation activities can be implemented in language learning and it investigates whether and how ESL learners can benefit from their use.

The research is divided into three parts. Chapter 1 starts with an attempt to define what translation is and it provides an historical overview of how translation was used in language teaching since the Grammar Translation Method up to the present day.

Chapter 2 moves from theory to practice by presenting the main characteristics and categories of a specific translation tool, corpora. This section also offers a description of

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some methodological approaches on how to use corpora and corpus-based translation activities in language teaching. In order to continue the discussion on how to use translation and corpora to improve ESL learners language skills, Chapter 3 describes the experience carried out during tutoring activities with two students of English Linguistics, Translation and Mediation course at University of Modena and Reggio Emilia. The analysis of the results shows that the two students seem to have benefited from the use of translation and corpus-based activities to enhance especially their writing skills. While these results are encouraging and suggest a number of interesting hypothesis, the small sample of only two students does not allow for a generalization of the results.

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INDICE

ABSTRACT

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1 1.0 Introduzione ... 5

1.1 Traduzione e principi di equivalenza ... 5

1.2 Didattica e traduzione, cenni storici ... 10

1.2.1 Metodologie che prevedono l’uso della traduzione ... 11

1.2.1.1 Il Grammar Translation Method ... 11

1.2.1.2 Il periodo della pre-Riforma, un momento di transizione ... 13

1.2.2 Metodologie che non prevedono l’uso della traduzione ... 16

1.2.2.1 Il Movimento Riformista ... 16

1.2.2.2 Il Direct Method ... 18

1.2.2.3 La didattica delle lingue straniere dopo la Riforma e il Direct Method ... 21

1.2.2.4 Alcune eccezioni esemplari... 22

1.2.3 Gli anni Settanta: una seconda rivoluzione ... 24

1.2.4 La contemporaneità: il Task-based Language Teaching (TBLT) ed il Content 00000and Language Integrated Learning (CLIL) ... 26

1.3 Ritorno al bilinguismo e revival della traduzione come strumento didattico. Cosa è 0000cambiato negli ultimi vent’anni ... 29

1.3.1 Un lento cambiamento. Apertura alla rivalutazione della traduzione nella 00000didattica delle lingue straniere ... 29

1.3.1.1 L’ambito accademico: cosa sta cambiando ... 30

1.3.1.2 Il contesto socioculturale: cosa sta cambiando ... 31

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1.3.1.3 Il contesto didattico: un quadro complesso ... 32

1.4 Conclusione ... 35

CAPITOLO 2 2.0 Introduzione ... 37

2.1 Corpora linguistici, una descrizione di carattere generale ... 37

2.2 Tipologie di corpora ... 47

2.3 Quando il dizionario non basta: come elaborare i dati ricavati dai corpora per 0000migliorare le competenze linguistiche ... 49

2.3.1 Liste di frequenza ... 51

2.3.2 Concordanze ... 52

2.4 Come usare i corpora e la traduzione nella didattica della lingua inglese. Alcune 0000proposte metodologiche ... 55

2.4.1 L’esperienzadi Cesare Zanca: Corpora, Google e roba simile. Per quale ragione gli studenti di una lingua straniera dovrebbero perdere tempo ... 56

2.4.2 L’esperienza di Federico: Zanettin Corpus-based translation activities for 00000language learners ... 60

2.4.3 L’esperienza di Claire Kennedy e Tiziana Miceli Corpus-assisted creative 000000writing: introducing intermediate Italian learners to a corpus as a reference 000000resource ... 63

2.5 Conclusione ... 67

CAPITOLO 3 3.0 Introduzione ... 69

3.1 Il tutorato ... 70

3.1.1 Obiettivi e finalità ... 70

3.1.2 Descrizione del caso in questione ... 72

3.1.3 Ratio delle attività svolte ... 72

3.1.4 Criticità ... 73

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3.1.5 Consolidamento ... 74

3.2 Proposta di un task per il miglioramento delle competenze di produzione scritta 0000attraverso attività di traduzione corpus-based ... 77

3.2.1 Descrizione del task ... 77

3.2.2 Analisi dei risultati ottenuti ... 79

3.2.2.1 Osservazione ed uso delle forse testuali... 80

3.2.2.2 Osservazione ed uso delle forme lessico-sintattiche ... 82

3.3 Riflessioni ed osservazioni conclusive sui risultati ottenuti ... 89

3.4 Conclusione ... 92

CONCLUSIONE ... 95

BIBLIOGRAFIA ... 99

SITOGRAFIA ... 105

APPENDICE 1 ... 107

APPENDICE 2 ... 114

APPENDICE 3 ... 121

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1 INTRODU ZIONE

Il ruolo e le potenzialità della traduzione come strumento per l’apprendimento delle lingue straniere sono da lungo tempo al centro di un dibattito ancora oggi aperto ed in costante evoluzione.

Prendendo le mosse dalle riflessioni proposte da Zanettin (2009), questa tesi si pone come obiettivo quello di analizzare i vari aspetti di questa discussione sia da una prospettiva teorica sia da una pratica.

Per quanto riguarda la prospettiva teorica, il capitolo 1 riporta in primo luogo alcune considerazioni sulla natura e sulle caratteristiche della traduzione – intesa come testo fruibile in una L2. Data l’essenza composita di questa attività, viene messa in risalto la difficoltà nel fornire una definizione universale del concetto di traduzione;

l’idea piuttosto diffusa secondo cui la traduzione può essere descritta come il trasferimento di un messaggio da una L1 ad una L2 risulta infatti molto vaga. Pensando invece alla traduzione come “the replacement of textual material in one language by equivalent textual material in another language” (Catford 1965:20) è possibile sviluppare una visione più complessa basata sul principio di equivalenza. Come spiega Cook (2010), l’equivalenza tra una L1 ed una L2 si può manifestare su diversi livelli – semantico, pragmatico, discorsivo e interattivo – e spesso in maniera trasversale.

Conclusa questa sezione iniziale, ritenuta necessaria per cercare di circoscrivere la natura di uno dei soggetti fondamentali di questo studio, si è poi proseguito riprendendo ed approfondendo le riflessioni di Zanettin (2009) sul ruolo della traduzione nella glottodidattica. Nella seconda parte del capitolo si è quindi provato a ripercorrere da un punto di vista cronologico le principali tappe e correnti di pensiero che hanno modificato l’uso e la percezione della traduzione nel contesto didattico a partire dai primi anni dell’Ottocento. A tale riguardo sono stati individuati almeno quattro momenti chiave. Il primo è la nascita e l’affermazione del Grammar Translation Method in cui la traduzione era utilizzata come tipologia di esercizio mirato al consolidamento ed alla verifica dell’acquisizione di regole grammaticali, trascurandone essenzialmente l’aspetto di attività comunicativa. Il secondo momento che segnò un cambio di passo nella glottodidattica fu la comparsa del Movimento Riformista in

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Europa e, contemporaneamente, del Direct Method negli Stati Uniti. Queste due teorie, originate da presupposti differenti – il primo fu il risultato di nuovi studi in ambito pedagogico mentre il secondo scaturì da questioni di natura economica – postulavano la totale eliminazione della traduzione dal contesto scolastico. In altre parole, il Movimento Riformista ed il Direct Method vengono riconosciuti come lo spartiacque tra una modalità di insegnamento bilingue ed una monolingue in favore di un apprendimento “naturale” della lingua. La terza fase di maggiore rilevanza è individuata in quella che Cook (2010) definisce come una seconda riforma, avvenuta negli anni Settanta del Novecento. Durante questo periodo infatti si verifica un duplice mutamento: quello da una didattica form-focused e teacher-centred ad una meaning- focused e student-centred.

Il quarto ed ultimo momento fondamentale viene collocato in epoca contemporanea.

Negli ultimi vent’anni infatti, è stato possibile osservare un’inversione di tendenza rispetto alle metodologie che escludono l’uso della traduzione come strumento per il miglioramento delle competenze linguistiche. Secondo Cook (2010) una tale trasformazione potrebbe essere imputabile ai cambiamenti in atto sia nell’ambito della ricerca accademica sia, più in generale a quelli che avvengono quotidianamente nella società moderna sempre più globalizzata e caratterizzata dal multilinguismo. Nonostante la presenza di segnali incoraggianti, è comunque possibile riscontrare come la traduzione rimanga ancora in secondo piano in ambito didattico, lasciando ancora aperto il dibattito circa i metodi ed i vantaggi del suo impiego nella glottodidattica.

Passando ad un’analisi di carattere più pratico, in un’ottica di passaggio dal generale al particolare, il secondo capitolo si propone di prendere in esame come attività di traduzione corpus-based e l’uso dei corpora – uno strumento che ormai da tempo ha dimostrato le proprie potenzialità in ambito traduttivo – possano essere sfruttate per il miglioramento e consolidamento delle competenze linguistiche degli apprendenti delle lingue straniere.

In primo luogo si è quindi ritenuto necessario cercare di definire le caratteristiche principali di un corpus, identificate nella natura linguistica, nell’autenticità, nella rappresentatività e nella finitezza. A questi attributi fondamentali è poi possibile affiancarne altri ad essi complementari come ad esempio la dimensione, l’“ordinatezza

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finalizzata”, la standard reference ed infine, ma non per importanza, il formato elettronico.

Oltre agli elementi definitori sono state prese in esame anche alcune delle principali tipologie di corpora. È stata inoltre fornita una panoramica dei metodi più diffusi di elaborazione dei dati ricavabili da un corpus – liste di frequenza e concordanze – dai quali, attraverso percorsi di ricerca induttivi, è possibile ricavare informazioni che altre fonti (come grammatiche o libri di testo) non forniscono. Si è pertanto cercato di indagare in particolare in quale modo tali nozioni possono essere utili per uno studente di una lingua straniera. Continuando questa discussione, nella seconda parte del capitolo sono stati presentati tre studi presi dalla bibliografia – Zanca (2018), Zanettin (2009) e Kennedy e Miceli (2010) – in cui vengono descritte delle esperienze reali di uso di attività data-driven e corpus-based. Questi tre case studies aiutano a mettere in luce le potenzialità della traduzione e dei corpora come strumenti per la didattica delle lingue, sottolineando soprattutto il loro contributo allo sviluppo nell’apprendente una maggiore autonomia nella risoluzione di problemi linguistici contingenti.

In una prospettiva di continuità con le considerazioni riportate nella seconda parte del capitolo 2, il terzo descrive ed analizza l’esperienza svolta con due studentesse del tutorato del corso di Linguistica, Traduzione e Mediazione inglese – Laurea triennale in Lingue e Culture Europee – organizzato nell’ambito del Fondo Sostegno Giovani sotto la supervisione della docente del corso. Dopo una spiegazione delle modalità di svolgimento e degli obiettivi sia del corso sia del tutorato, sono state illustrate in modo particolare le caratteristiche e gli esiti di un task specifico proposto alle due apprendenti, ideato per verificare l’efficacia di attività di traduzione corpus- based per il miglioramento delle competenze di produzione scritta. I risultati ottenuti sono stati incoraggianti e hanno permesso di rilevare un miglioramento sensibile nella qualità degli elaborati prodotti dalle due studentesse unitamente al raggiungimento di una maggiore indipendenza nello svolgere i compiti assegnati.

Il capitolo si conclude infine con alcune considerazioni sull’assimilazione del ruolo dello studente a quello di un ricercatore (Johns 1991), mettendo in evidenza le fondamentali differenze che intercorrono tra queste due figure e proponendo quindi altri

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paragoni ritenuti più pertinenti prendendo riferimento le idee espresse a questo riguardo da Kennedy e Miceli (2010) e Gavioli (2005).

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5 CAPITOLO 1

1.0 Introduzione

Il ruolo della traduzione come strumento per l’apprendimento delle lingue straniere è da lungo tempo al centro di un’accesa discussione ancora oggi aperta. Questo dibattito vede da un lato i detrattori della traduzione, dall’altro i suoi sostenitori. Mentre i primi affermano che tradurre sia un tipo di attività non comunicativa e che ostacola l’apprendimento della L2, causando interferenze dannose con la L1 degli apprendenti, i secondi mettono in luce la mancanza di studi scientifici a sostegno di questa ipotesi e sottolineano invece le potenzialità dell’utilizzo della traduzione in contesti didattici.

Prendendo spunto dalle riflessioni proposte da Zanettin (2009), in questo capitolo si cercherà di indagare i vari spetti di questa discussione. In primo luogo si proverà a definire in quale modo si potrebbe intendere il concetto di traduzione e come quest’ultima possa essere utilizzata proprio a fini pedagogici, seguendo la linea di pensiero espressa da Cook (2010) nel suo testo, in cui ripensa alla traduzione come forma di apprendimento. Tale passaggio è ritenuto fondamentale per delineare dal punto di vista teorico uno dei principali soggetti di questo elaborato.

Seguendo un ordine cronologico, si passerà poi ad una presentazione delle principali metodologie che si sono più largamente affermate e diffuse nella didattica delle lingue straniere, con particolare riferimento al caso dell'inglese. Contestualmente verrà anche messo in luce se ed in che modo la traduzione è stata intesa ed utilizzata come strumento di apprendimento di una L2.

Infine, si prenderanno in esame le più recenti teorie che hanno portato ad una parziale riscoperta delle grandi potenzialità della traduzione nel mondo della didattica, mettendo in evidenza le motivazioni che hanno segnato l’inizio di questa inversione di tendenza.

1.1 Traduzione e principi di equivalenza

Come Cook (2010) afferma, il tradurre viene comunemente inteso come il trasferimento di un messaggio e di un significato da una lingua ad un'altra, operazione che nella quasi totalità dei casi comporta inevitabilmente una qualche perdita di

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elementi del testo di partenza (siano essi causati da discrepanze nell'ordine delle parole, nella fonetica, nel lessico o fattori inerenti al background culturale degli interlocutori o lettori).

Questa definizione centrata sul concetto di trasferimento di significato risulta però poco soddisfacente. L'assunto su cui si basa implica infatti che esso sia neutrale e non condizionato dalla lingua che lo esprime.1

Sembra dunque preferibile adottare una più vaga nozione incentrata sul concetto di equivalenza. La traduzione può quindi essere intesa piuttosto come la sostituzione di materiale testuale equivalente da una lingua (L1) ad un'altra (L2) (Catford 1965:9).

A questo punto diventa necessario stabilire cosa si debba intendere per equivalenza, quesito che ha portato alla nascita della moderna scienza della traduzione.

Cook (ibid.) sottolinea come sia possibile individuare varie tipologie di equivalenza che fanno riferimento alle diverse componenti di una lingua. Queste ultime si organizzano poi secondo un ordine gerarchico. Al gradino più basso si trova la fonologia (per la lingua orale) o la grafologia (per la lingua scritta), seguono poi morfemi ed elementi lessicali mediante la combinazione sintattica dei quali si formano le frasi attraverso cui viene veicolato il significato e costruito il testo. Il significato viene influenzato e sviluppato anche grazie a fattori esterni di varia natura, come ad esempio l'uso di gesti o immagini, il bagaglio culturale degli interlocutori o ancora le loro intenzioni o sentimenti, che concorrono a costituire il contesto. La somma di tutti questi elementi crea in ultima istanza il contenuto2.

Il primo livello a cui l'equivalenza può essere riscontrata è quello semantico o, in termini più generali, del significato. Tuttavia, come noto, non è sempre possibile trasporre un certo significato da una lingua ad un'altra in modo tale che questo risulti perfettamente identico in entrambi i casi. A volte un simile risultato potrebbe essere raggiunto solo attraverso lunghe perifrasi che hanno lo scopo di esplicitare o chiarire concetti che nella L1 sono invece espressi in maniera molto più sintetica rispetto alla

1Questa idea si pone in forte contrapposizione con la nota ipotesi di Sapir-Whorf sulla relatività linguistica secondo cui la lingua ha invece una certa influenza sullo sviluppo cognitivo di chi la parla.

2 In inglese questa nozione viene espressa con in temine discourse. Con esso si intende l'uso naturale della lingua, scritta o parlata, all'interno di un determinato contesto, prendendo in considerazione i testi nella loro interezza.

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L2. In tale circostanza il compito del traduttore diventa quindi quello di selezionare all'interno del testo gli elementi rilevanti da un punto di vista situazionale, ovvero quelli che di volta in volta veicolano un significato di maggiore importanza. Può accadere infatti che le unità di significato siano deducibili implicitamente da altre parti del testo oppure non siano strettamente indispensabili ai fini della comprensione complessiva e siano quindi trascurabili. L'obiettivo da raggiungere è quindi quello che Catford (1965) definisce situational equivalence. Nella ricerca di parametri che permettano di stabilire secondo quali principi il traduttore debba effettuare una scelta piuttosto che un'altra, gli studi sulla traduzione hanno rivolto la loro attenzione alla nozione della pragmatica.

Il secondo livello di equivalenza è dunque proprio quello della pragmatica.

Questo termine identifica una branca della linguistica basata sull'idea secondo la quale il linguaggio non si limita ad avere una funzione puramente descrittiva, ma permette anche di compiere delle azioni. Seguendo questa linea di pensiero, si può quindi affermare che il significato letterale non è l'unica componente che consente di interpretare un testo in quanto altri fattori quali contesto, convenzioni sociali e conoscenze pregresse assumono altrettanta importanza ai fini della comprensione.

Alla luce di tali considerazioni risulta dunque evidente come una traduzione mirata a riprodurre il significato del testo di origine semplicemente dal punto di vista letterale non sia necessariamente in grado di suscitare nel lettore (o interlocutore) di un'altra lingua il medesimo effetto. Un chiaro esempio riportato da Cook (2010) sulla discrepanza tra forma e funzione e quello dei termini inglesi thank you/you're welcome e gli equivalenti spagnoli gracias/de nada. In entrambi i casi la funzione espressa è la medesima, ma la forma è diversa. Questa tipologia è forse quella meno problematica per chi vuole apprendere una lingua straniera (o per un traduttore) in quanto tali espressioni sono cristallizzate e non richiedono necessariamente delle conoscenze specifiche, eccetto appunto la memorizzazione della loro forma.

Sono invece più complessi i casi in cui la comprensione di una frase (o di un testo intero) presuppone delle conoscenze pregresse legate al background culturale all'interno del quale una determinata lingua si colloca. In mancanza di questo genere di nozioni è quindi semplice comprendere come la probabilità di incomprensioni e fraintendimenti aumenti esponenzialmente. In un tale ambito ricadono vocaboli o modi di dire che

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esprimono ordini, promesse, insulti, scuse o inviti. Essi si costruiscono infatti a partire da fattori culturali che regolano le relazioni, le gerarchie ed il rispetto della privacy.

Nel caso in cui il livello semantico e quello pragmatico non dovessero essere allineati l'uno con l'altro, gli studi sulla traduzione sono arrivati a stabilire che sia preferibile prediligere la resa del secondo. Questo principio, di fatto, rimane comunque una linea guida piuttosto che una regola fissa poiché ogni singolo caso deve essere soggetto a valutazioni individuali finalizzate a valutarne le specificità.

I due livelli di equivalenza fin qui trattati sono prevalentemente riferiti ed applicati soprattutto a frasi o porzioni testuali (spesso brevi). Quando si affronta una traduzione però è necessario prendere in considerazione il testo nella sua interezza. Ciò significa che ogni frase deve essere analizzata non solo singolarmente, ma anche in riferimento a ciò che viene affermato prima e dopo di essa. Allo stesso modo non si devono trascurare tutti gli elementi extra linguistici in quanto ricoprono un ruolo altrettanto importante.

Il terzo livello di equivalenza riguarda quindi proprio funzione e contenuto (o discourse). In questo caso la traduzione deve essere affrontata ponendo particolare attenzione all'identificazione del genere testuale. Esso assume infatti una rilevanza particolare dal momento che può veicolare messaggi di tipo diverso ed avere funzioni differenti. Inoltre il modo in cui messaggi e funzioni vengono espressi varia a seconda del contesto culturale in cui devono essere utilizzati. Si possono citare a questo riguardo esempi quali poesie, pubblicità, interviste, ricette, discorsi politici e moltissimi altri.

I moderni studi sulla traduzione hanno affrontato questa tipologia di problematiche appoggiandosi a varie teorie, in particolar modo a quella della linguistica sistematico- funzionale (Systematic-functional linguistics) di Halliday, la quale indaga come viene sviluppato il discorso e come si possono esprimere a livello lessicale e grammaticale i sistemi di valori o le relazioni di potere all'interno di una data cultura. A tale proposito vengono individuati da Halliday tre tipologie di funzioni che un testo può assumere, ovvero quella ideativa (per trasmettere la percezione del mondo interiore ed esteriore), quella testuale (per analizzare in che modo le parti di un testo si combinano affinché questo risulti coerente) e quella funzionale (che indaga le relazioni tra gli interlocutori).

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Il quarto livello di equivalenza si concentra invece sulla perlocuzione. In questo frangente l'obiettivo diventa quello di ricreare nel lettore (o interlocutore) di una L2 il medesimo effetto che un testo originale suscita in quello della L1. Tuttavia questa teoria, basata appunto sul principio dell'effetto equivalente ideato da Newmark, presenta alcune problematicità. In primo luogo è necessario individuare il tipo di pubblico a cui il testo si rivolge. A questo riguardo bisogna osservare che esso può essere fortemente eterogeneo, come nel caso di un testo pubblicato online, facilmente accessibile per un’audience potenzialmente illimitata ed internazionale. Diventa quindi estremamente difficile trovare soluzioni traduttive che si possano adattare a contesti culturali anche diversissimi tra loro.

Il secondo punto problematico della teoria di Newmark riguarda le traduzioni che rimangono aderenti al testo di partenza. Pur traducendo in modo formalmente corretto, in questi casi si rischia di ottenere effetti diversi se non addirittura opposti nel passaggio da una lingua ad un'altra. A questo proposito Cook (2010) cita la traduzione del celebre verso di un sonetto shakespeariano ''shall I compare thee to a summer's day?' in cui il ragazzo amato viene paragonato ad una giornata estiva. Questa similitudine risulta molto efficace per chi proviene da paesi con un clima rigido, come il Regno Unito, e in cui le giornate soleggiate e calde possono essere associate a sensazioni positive.

Tuttavia, non è detto che gli stessi sentimenti vengano suscitati in chi vive invece in paesi molto caldi o addirittura desertici, se non cambiando il termine di paragone della metafora.

Infine, il terzo problema è legato al fatto che, misurando l'efficacia di una traduzione solo in base al fatto che possa ricreare lo stesso effetto del testo originale, sarebbe necessario che questa venisse riadattata per ogni singolo lettore. Eugene Nida e Charles R. Taber furono due grandi sostenitori dell'idea della rielaborazione. Essi ritenevano infatti che fosse necessario tradurre uno stesso testo in più versioni così da poterlo rendere ottimale per pubblici diversi.

Nida fu anche uno dei principali linguisti ad appoggiare la teoria della traduzione culturale che introduce il quinto ed ultimo livello di equivalenza. In questo caso la traduzione mira a trasporre i realia presenti nel testo di partenza nei loro equivalenti della lingua di arrivo. A questo riguardo sono stati molti gli studi e le traduzioni che

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hanno preso in esame la Bibbia in modo particolare. Tuttavia, questo approccio presenta alcuni svantaggi. In primo luogo si deve prendere in considerazione il fatto che una traduzione fortemente intrisa di elementi culturali di una determinata epoca tende a diventare molto limitata nel tempo e nello spazio, rischiando inoltre di perdere la maggior parte degli elementi che caratterizzano il testo di partenza. Come conseguenza di ciò, anche il messaggio originale potrebbe essere soggetto a variazioni, così come anche il giudizio del lettore o dell'interlocutore.

A conclusione di questa prima sezione in cui sono stati analizzati i diversi livelli di equivalenza, è doveroso sottolineare però che il significato non risiede quasi mai esclusivamente in uno solo dei livelli, ma piuttosto si articola e si snoda fra di essi.

Diventa quindi molto complicato riuscire a ricreare fedelmente questa correlazione: una buona resa di uno dei livelli di equivalenza potrebbe inficiare quella di un altro.

Inoltre, per quel che concerne invece l'aspetto della didattica, come sottolinea Cook (2010), non tutti i livelli di equivalenza assumono la stessa importanza per chi impara una nuova lingua. Per gli studenti alle prime armi si tende infatti ad utilizzare un approccio che predilige la ricerca dell'equivalenza semantica. La traduzione assume quindi il ruolo di uno strumento didattico. In fasi di studio più avanzato l'attenzione viene poi rivolta anche agli altri aspetti più profondi della lingua quali la pragmatica, la funzione ed il contenuto. Tale passaggio permetterà allo studente di avere una comprensione molto più approfondita e completa dei meccanismi di una lingua.

1.2 Didattica e traduzione, cenni storici

Per molti anni le potenzialità della traduzione come strumento didattico sono state trascurate ed ignorate, soprattutto in ambito accademico. È doveroso però sottolineare che questo non significa che la traduzione come attività didattica sia stata cancellata completamente (sono molti infatti i libri di testo destinati sia alle scuole che ad uno studio autodidatta che ne fanno grande uso), ma piuttosto che non sia mai stata presa in considerazione in maniera approfondita ed estesa dagli studiosi delle teorie di didattica delle lingue. Essi anzi hanno prodotto una letteratura in cui la traduzione è stata prevalentemente criticata e trascurata in maniera apparentemente infondata,

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almeno fino a tempi recenti. Non esistono infatti studi scientifici e pedagogici che corroborino la teoria secondo cui la traduzione non sia uno strumento utile alla didattica di una seconda lingua o che addirittura rappresenti un ostacolo al raggiungimento di tale scopo.

Il punto di partenza di questa analisi viene individuato nel Grammar Translation Method.

1.2.1 Metodologie che prevedono l’uso della traduzione

1.2.1.1 Il Grammar Translation Method

Il primo metodo ad acquisire notorietà e grande diffusione nel settore della didattica fu il cosiddetto Grammar Translation Method. La sua origine si colloca in Prussia alla fine del XVIII secolo con la pubblicazione di due libri di testo. Il primo, risalente nel 1783, era dedicato all'insegnamento della lingua francese,3 mentre il secondo, del 1793, era rivolto alle strategie didattiche della lingua inglese.4

Il Grammar Translation Method si sviluppò durante tutto il XIX secolo ed a partire dagli anni Quaranta del 1800 divenne il metodo dominante nelle scuole europee per circa un secolo. La sua popolarità permane ancora oggi: numerosi libri di testo e corsi di studio seguono infatti ancora la sua impostazione didattica.

Questo metodo si prefigge due obiettivi principali: il primo è quello di permettere agli studenti di conseguire un livello di competenza linguistica tale da consentire una buona o perfetta comprensione principalmente della lingua scritta. Per questa ragione si predilige lo studio dei testi di letteratura, dedicando un'attenzione particolare prevalentemente ai classici. Il secondo scopo prevede invece che lo studente memorizzi un insieme di regole che gli permetta di esprimersi in modo grammaticalmente appropriato.

La lingua madre degli studenti, così come la traduzione, sono frequentemente utilizzate al fine di migliorare la comprensione delle regole di morfologia e sintassi, apprendere il lessico ed effettuare comparazioni tra la L1 e la L2. Poca attenzione viene invece rivolta

3 Edito da Johann Valentin Meidinger 4 Edito da Johann Christian Fick

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alle competenze di produzione e comprensione orale, limitate ad esercizi di tipo domanda e risposta o conversazione con l'insegnante, traducendo esempi creati ad hoc dalla L1.

La presentazione degli argomenti di studio, la loro spiegazione ed il loro apprendimento sono articolati in maniera tale da seguire una sorta di ordine gerarchico. Agli studenti vengono sottoposti prima gli argomenti ritenuti più semplici e più importanti per arrivare gradualmente a quelli che presentano elementi di maggiore complessità. Ogni lezione dovrebbe focalizzarsi su alcune nuove regole grammaticali che vengono spigate nella lingua madre degli apprendenti. A questi ultimi viene richiesto imparate a memoria ogni nuovo argomento consolidandone la comprensione attraverso esercizi di traduzione ideati appositamente per testare la conoscenza di una determinata regola.

Anche l'acquisizione del lessico è subordinato a quello della grammatica: ogni unità di studio dovrebbe presentare nuovi elementi lessicali selezionati dagli insegnanti e di cui viene sempre fornita anche la traduzione. La comprensione del significato di una parola viene quindi associata semplicemente alla conoscenza del suo equivalente traduttivo nella L1.

Questa metodologia didattica venne successivamente definita da Wilkins (1976) come synthetic syllabus,5 un programma di studio in cui gli argomenti vengono proposti agli studenti, formulati e valutati secondo un ordine ben preciso ed in maniera cumulativa.

Wilkins scrive infatti che:

“Different parts of language are thaught separately and step by step so that acquisition is a process of gradual accumulation of parts until the whole structure of language has built up. [...] At any one time the learner is being exposed to a deliberately limited sample of language. […] The learner's task is to re-synthetsize the language that has been broken down into a large number of small pieces with the aim of making his learning task easier.”

(Wilkins 1976:2)

5 Wilkins contrappone alla nozione di synthetic syllabus quella di analytic syllabus. In questo caso vengono presentati agli studenti patterns linguistici senza seguire necessariamente un ordine metodologico di tipo grammaticale. Si fa quindi leva sulla capacità dello studente di arrivare alla comprensione delle regole e strutture grammaticali della L2 tramite un percorso deduttivo.

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È inoltre necessario sottolineare che libri di testo o i corsi basato sul Grammar Translation Method sono sempre dedicati a parlanti di una determinata lingua, ad esempio ''l'inglese per gli italiani'', ''il francese per gli inglesi'' e così via.

1.2.1.2 Il periodo della pre-Riforma, un momento di transizione

Nonostante la grande diffusione e longevità di cui il Grammar Translation Method ha sempre goduto, nel corso del tempo è stato sottoposto però anche a numerosissime critiche le quali, influenzate degli innovativi studi sulla pedagogia, sulla didattica e sulla psicologia, hanno portato alla nascita di nuove metodologie ed approcci per l'insegnamento delle lingue straniere.

Già a metà del XIX secolo, precisamente nel 1830, l'approccio ideato dal pedagogo francese Jean Joseph Jacotot costituisce uno dei primissimi esempi di insegnamento monolingue da parte di docenti madrelingua della L2 (e quindi non necessariamente parlanti nativi anche della L1 degli studenti). Anche in questo caso l'apprendimento della L2 passa prevalentemente attraverso lo studio di testi scritti. Tuttavia, diversamente dal Grammar Translation Method, Jacotot teorizza un approccio di tipo analitico. Fornire agli studenti delle spiegazioni viene quindi considerato errato ed inutile: l'insegnante è infatti da considerarsi come una guida per lo studente, non deve controllarlo imponendo un percorso di apprendimento rigido e già prestabilito.

Gli esercizi proposti sono ideati in modo tale da permettere agli apprendenti di imparare la lingua scoprendone i meccanismi e le regole attraverso osservazioni e ipotesi; il modello è pertanto di tipo deduttivo. Questo metodo si basa sulla teoria pedagogica di Jacotot – che egli chiama enseignement universel – secondo la quale ogni individuo, se sufficientemente determinato e motivato, è in grado di raggiungere i propri obiettivi.

Successivamente, nel 1853, il linguista francese Claude Marcel ideò il suo Rational Method. Questo si fonda sulla distinzione fondamentale tra impression ed expression6 da un lato e tra metodo di insegnamento analitico e sintetico7 dall'altro.

6 Il concetto di impression si riferisce alla teoria secondo la quale la mente comprende prima l'idea e successivamente il segno che la esprime, mentre expression indica la capacità conoscere sia le parole di una lingua che le loro forme.

7 Il metodo di insegnamento analitico è di tipo induttivo: l'apprendente è portato a scoprire il

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Marcel sostiene che utilizzare una tecnica pedagogica rispetto ad un'altra dipende largamente dalle caratteristiche dell'apprendente e dall'obiettivo didattico. Ad esempio, mentre per gli studenti principianti (a maggior ragione se in età infantile) è preferibile utilizzare un approccio fondato sull'imitazione, per quelli più avanzati è più indicato l'uso della traduzione come strumento didattico prevalente. La comprensione del significato di un termine della L2 deriva infatti dalla conoscenza della sua traduzione nella L1.

Anche in questo caso dunque la traduzione assume un ruolo preponderante come strumento didattico, sebbene limitata ad un rapporto di equivalenza di termini della L2 nella L1. Il principale elemento che però differenzia il Rational Method dai suoi predecessori è il fatto che con Marcel si inizia a dare maggiore attenzione anche alla competenza orale. Secondo il linguista francese infatti gli studenti dovrebbero essere in grado di “pensare nella L2”.

Ai metodi citati si aggiunge nel 1864 anche il Mastery System di Thomas Prendergast. Questa metodologia si prefigge di emulare il modo in cui i bambini apprendono la loro lingua madre. Prendergast osservò infatti che questi ultimi sono in grado di dedurre il significato delle parole a partire da indizi impliciti che captano a partire da esterni (ad esempio il modo in cui vengono guardati dalle altre persone, le loro espressioni e gestualità). Inoltre, tramite l'imitazione, i bambini possono imparare a memoria porzioni di lingua cristallizzate e sono in grado di farne un uso corretto pur non essendo pienamente consapevoli del loro significato nella sua interezza o le regole grammaticali che ne stanno alla base.

Queste considerazioni hanno portato Prendergast a sostenere che il modo più efficace per apprendere una lingua sia tramite l'uso di frasi modello – chiamate mastesy sentences – da memorizzare, piuttosto che consentire agli studenti di generarne di nuove in modo autonomo. Queste frasi dovrebbero esemplificare da un lato gli aspetti linguistici più frequenti della L2, e dall'altro il maggior numero possibile di regole grammaticali. Il Mastery Sistem è strutturato in sette step di apprendimento mirati al raggiungimento delle competenze di produzione e comprensione sia scritte che orali.

funzionamento di una lingua attraverso l'osservazione delle sue regole e principi.. Al contrario, il metodo sintetico è deduttivo: lo studente deve comprendere ed imitare alcuni esempi che fungono da modelli linguistici

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Anche in questo approccio notiamo che la traduzione viene ampiamente utilizzata, anche se in modo diverso rispetto alle altre metodologie fin ora citate: il suo scopo non è più infatti quello di comparare i meccanismi di due sistemi linguistici differenti. In questo caso infatti una rapida traduzione delle mastery sentences viene semplicemente usata per permettere agli apprendenti di familiarizzare con la L2.

Anche François Gounin, insegnante francese, ideò nel 1880 un approccio didattico a partire dall'osservazione del modo in cui i bambini apprendono la loro lingua madre: il Series Method. Gounin osservò che la lingua è un riflesso della struttura dell'azione che descrive. Poiché le esperienze vengono comprese e organizzate in maniera sequenziale, allora gli eventi possono essere scomposti e descritti da un insieme di episodi minori. Il Series Method si fonda quindi proprio su questa considerazione teorica. L'insegnante sottopone agli studenti una serie di frasi, ciascuna ricollegabile ad un macro evento. La ripetizione degli stessi soggetti e complementi è infatti considerata un efficace strumento per facilitare non solo la memorizzazione e la pronuncia, ma per consentire anche di concentrare il focus sull'azione ed il verbo che la esprime.8

Per concludere è quindi possibile osservare come queste metodologie e approcci sviluppati nel periodo precedente alla Riforma, anche se ancora a favore dell’uso della traduzione, iniziarono a porre le basi per un tipo di insegnamento fondato principalmente sul monolinguismo. Inoltre, si cominciò a dare maggiore enfasi alle competenze orali piuttosto che a quelle scritte, sul significato piuttosto che sulla forma e sull'apprendimento induttivo piuttosto che su quello deduttivo.

In altre parole iniziò a profilarsi un cambiamento che ebbe come conseguenza il parziale declino ed abbandono del Grammar Translation Method.

8 Nel Series Method si pone infatti una grande attenzione ai verbi in quanto sono considerati l'elemento più importante della frase e quello più difficile da padroneggiare.

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1.2.2 Metodologie che non prevedono l’uso della traduzione

1.2.2.1 Il Movimento Riformista

Nel corso del XIX secolo i nuovi studi sulla linguistica (ed in particolare quelli sulla fonologia), la pedagogia e la psicologia portarono alla nascita in Europa di un Movimento Riformista il quale apportò grandi cambiamenti ed innovazioni nella didattica delle lingue straniere.

L'inizio di tale movimento viene individuato nel 1882, anno in cui il linguista e filologo tedesco Wilhelm Viëtor pubblicò il suo saggio Der Sprachunterricht muss umkehren!9 Insieme a Viëtor si unirono al Movimento Riformista anche altri fonetisti e linguisti europei, quali l'inglese Henry Sweet, il francese Paul Passy ed il danese Otto Jespersen.

Essi promossero un tipo di insegnamento che poneva l'accento principalmente sulle competenze di comunicazione orale, abbandonando così l'idea che la lingua scritta fosse la più importante. Inoltre, si predilige l'uso di testi coerenti e naturali (non inventati come invece prevedeva il Grammatr Transaltion Method), a partire dai quali insegnare la grammatica, preferibilmente attraverso la L2.

Date tali premesse – soprattuto la tendenza al monolinguismo – è semplice immaginare come in questo periodo anche il ruolo della traduzione quale strumento didattico muta profondamente. Ad esempio, gli esercizi di traduzione iniziarono ad essere sostituiti (o integrati) da altre tipologie di attività in cui gli studenti venivano incoraggiati ad allenarsi ad esprimersi liberamente nella L2 su temi già presentati loro.

Nonostante la scarsa propensione ad utilizzare la traduzione (ed in generale la L1) nelle classi fosse una caratteristica comune a tutti i riformisti, è comunque possibile riscontrare alcune differenze di pensiero su tale argomento.

I sostenitori dell'associazionismo10 ad esempio, proposero una forma di apprendimento del lessico incentrata sull'uso di immagini così da consentire agli studenti di instaurare una connessione diretta tra il termine e l'idea che esso esprime. L'obiettivo è quindi quello di eliminare completamente l'associazione tra la comprensione del significato di

9 In italiano: L'insegnamento delle lingue deve ripartire da zero!

10 In psicologia si riferisce alla teoria secondo cui un evento psichico complesso, ad esempio la comprensione, la lettura o la memoria, sia il derivato dell'associazione di eventi psichici minori.

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una parola della L2 e la conoscenza del suo equivalente nella L1, processo considerato superfluo ed inutilmente complesso.

A questo assunto non sono però mancate alcune critiche. Sweet sostiene infatti che tale processo non sia affatto difficoltoso e che anzi, una tecnica di questo tipo risulti incompleta in quanto non applicabile a concetti astratti. Egli propone piuttosto un uso della traduzione controllato e modulato in maniera differente nei vari stadi dell'apprendimento:

“In the first stage translation is used only as a means of conveying information to the learner: we translate the foreign words and phrases into our language simply because this is the most convenient and at the same time the most efficient guide to their meaning. In the second stage translation is reduced to a minimum, the meaning being gathered mainly from the context with, perhaps, occasional explanations in the foreign language itself. In the third stage the divergences between the two languages will be brought face to face by means of free idiomatic translation. To these we may perhaps add a fourth stage, in which the student has so complete and methodical a knowledge of the relations between his own and the foreign language that he can translate from the one to the other with ease and accuracy.”

(Sweet 1900:201)

È poi necessario mettere ricordare che, unitamente ai motivi precedentemente citati, il Movimento Riformista nacque anche come reazione inevitabile ad un metodo didattico, il Grammar Translation Method, che negli anni era risultato eccessivamente rigido e non sempre efficace. Come già sottolineato, ad esempio, l'esagerata attenzione dedicata alla correttezza grammaticale comportava il disinteresse nei confronti della lingua parlata. Cook (2010) osserva poi che, per quanto le cause che nel XIX secolo hanno portato alla Riforma siano tutte ampiamente comprensibili, risulta poco chiaro come le idee su cui si è fondata siano riuscite a mantenere la loro validità nel tempo. I riformisti si erano infatti ispirati a teorie linguistiche, filologiche e di psicologia che furono successivamente largamente smentite o parzialmente riformulate. Basti pensare, ad

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esempio, ad alcune affermazioni di Sweet riguardo all'esistenza di lingue più semplici o meno logiche di altre, un'idea che oggi potrebbe difficilmente trovare consenso.

Nonostante ciò, tuttavia, agli ideali promossi dalla Riforma si ispirarono nei decenni seguenti gli ideatori di nuovi approcci e metodologie.

1.2.2.2 Il Direct Method

Contemporaneamente alla diffusione in Europa dei principi della Riforma, negli Stati Uniti nasceva una teoria ugualmente innovativa – e che presentava elementi di continuità con le idee dei riformisti – ma originata da presupposti molto diversi.

Infatti, come Cook (ibid.) sottolinea, mentre il Movimento Riformista si sviluppò a partire da motivazioni e questioni di natura pedagogica ed accademica, negli Stati Uniti il cambiamento fu suscitato da ragioni di tipo economico. La spiegazione di ciò è da ricercare nel fatto che, in quegli anni, la richiesta di corsi di lingua straniera iniziò a provenire anche da gruppi di persone generalmente adulte e quindi poste al di fuori del tradizionale ambito prettamente scolastico. Basti pensare ad esempio a tutti coloro che immigrarono in America, o a chi lavorava nel settore del commercio, oppure, ancora, a chi poteva viaggiare per turismo in Europa. Ciò che accomuna queste tre categorie è la necessità di apprendere una nuova lingua (generalmente l'inglese) rapidamente e per motivi pratici: ad esempio la possibilità di integrarsi meglio in un nuovo Paese o concludere affari commerciali.

Per queste ragioni negli USA iniziarono a diffondersi per la prima volta le scuole private, ambienti in cui agli studenti (paganti) venivano proposti corsi di lingua studiati per ottenere il massimo risultato nel minor tempo possibile.11

Tra di esse, quella che riscosse maggiore successo fu la Berlitz School, creata nel 1882 dall'omonimo fondatore Maximilian Berlitz. Nato inizialmente per insegnare il francese ed il tedesco a persone di lingua inglese, il metodo didattico utilizzato nelle Berlitz

11 Come spiegato da Cook (2010), a differenziare il Movimento Riformista e la scuole private americane sono anche gli obiettivi. Mentre il primo si rivolgeva a studenti delle scuole secondarie che seguivano un percorso educativo ''tradizionale'', il secondo era invece dedicato a studenti che richiedevano il raggiungimento di determinati risultati in tempi brevi.

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Schools guadagnò velocemente una sempre maggiore popolarità diffondendosi non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa per un totale di circa 200 scuole. Queste ultime proponevano lezioni per imparare diverse lingue europee (specializzandosi poi in particolar modo nell'inglese) a cura di insegnanti madrelingua della L2. A questi ultimi era richiesto di seguire fedelmente le istruzioni e le linee guida espresse dal Berlitz Method. Come per il Movimento Riformista, anche in questo metodo l'attenzione viene posta prevalentemente sulla lingua parlata piuttosto che su quella scritta. La differenza più evidente è però che, per la prima volta, la traduzione a fini didattici viene completamente abolita dalle classi. Laviosa approfondisce affermando che questo rifiuto sia da imputare a tre motivazioni principali. In primo luogo, poiché il focus della didattica deve essere incentrato sull'uso esclusivo della L2, la traduzione viene considerata come una tipologia di esercizio che esula da questo obiettivo fondamentale e quindi è irrilevante. La seconda motivazione vede la traduzione come una forma di interferenza della L1 con la L2. Infine, la terza postula che il tradurre sia di fatto poco utile poiché è impossibile mantenere nel passaggio dalla L1 alla L2 tutte le particolarità specifiche che ogni lingua possiede.

Cook (2010) osserva inoltre come dal termine Berlitz School si passò a parlare di Direct Method.12 Questa espressione è stata usata con accezioni e significati differenti ed a volte addirittura contraddittori. Seguendo la definizione di Cook (ibid.), si userà tale dicitura per indicare tutti gli approcci e metodologie che escludono qualsiasi uso della lingua madre degli studenti, non solo in forma di esercizi di traduzione, ma anche per fornire spiegazioni o chiarimenti. In quest'ottica la locuzione assume la valenza di sinonimo di tecniche di insegnamento definite intralinguistiche e monolingue.13 Direct Method diventa quindi un termine ombrello all'interno del quale è possibile ascrivere molti dei metodi didattici sviluppatisi nei decenni successivi alla sua comparsa, come il Situational Teaching, l'Audiolingual Method o il Communicative Language Teaching e altri che verranno presi in esame nei paragrafi successivi. Poiché il termine viene quindi

12 La nascita di questo vocabolo non è tuttavia molto chiara; iniziò ad essere usato nella descrizione delle pratiche messe in atto e promosse da Berlitz, per poi trovare una sempre maggiore diffusione.

13Sarà quindi anche il contrario delle tipologie di insegnamento dette bilingue o interlinguistiche.

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inteso in senso piuttosto ampio, è anche possibile considerare il Direct Method, insieme al Grammar Translation Method, come una delle metodologie didattiche più longeve, diffuse e largamente utilizzate ancora oggi.

Cook (ibid.) prosegue poi indicando quali sono i quattro principi fondamentali su cui il Direct Method si è sviluppato senza perdere tra l'altro validità nonostante il passare del tempo. Essi sono monlingualism, naturalism, native-speakerism e absolutism.

Con monlingualism si intende la tendenza ad utilizzare in modo esclusivo la L2, preparando lo studente a situazioni in cui è previsto l'uso della sola L2, senza l'interferenza di altre lingue.

Il concetto di naturalism rimanda invece all'idea per cui l'apprendimento ''naturale'' di una lingua è quello più efficace. Secondo i sostenitori del Direct Method, ciò presuppone che la classe debba riprodurre da un lato le caratteristiche di un contesto reale in cui viene usata la L2, dall'altro dovrebbe anche ricreare negli studenti le stesse dinamiche che nella fase dell'infanzia regolano l'apprendimento della L1.

A questa idea che vede l'apprendimento infantile come modello da imitare14 si collega poi il termine native-speakerism. Esso sintetizza infatti la teoria secondo cui l'obiettivo primario di chi apprende una lingua straniera dovrebbe essere quello di acquisire un livello di competenza tale da consentire il raggiungimento una padronanza della L2 che risulti il più simile possibile all'uso che ne farebbe un parlante nativo della L2. Da qui deriva quindi la convinzione che il parlante nativo sia il miglior esempio da seguire e di conseguenza la necessità di mettere a disposizione degli studenti insegnanti madrelingua.

Absolutism, infine, indica la convinzione che il Direct Method sia tra tutti quello più efficace in assoluto e sicuramente preferibile alle metodologie fondate sul bilinguismo.

Cook (2010) mette in risalto come un' affermazione di questo tipo risulti però sostanzialmente infondata. Infatti il Direct Method non è mai stato sottoposto ad alcun tipo di studio che potesse corroborare una tale opinione. Al contrario, recenti ricerche hanno dimostrato come, almeno in alcuni casi, questo metodo possa risultare addirittura meno utile rispetto ad approcci che favoriscono invece esercizi di traduzione. Ancora

14 Questa teoria deriva da alcune idee promosse dal pedagogo svizzero Johann Heinrich Pestalozzi. Egli si ispirò agli studi condotti durante il XVIII secolo da Jean-Jaques Rousseau, il quale osservò cosa caratterizza l'apprendimento in fase infantile ed in quale modo questo si sviluppi.

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una volta si può imputare alla natura essenzialmente commerciale del Direct Method una così forte certezza nel sostenere la superiorità di questo metodo didattico, quasi come fosse una sorta di promozione pubblicitaria.

Alla luce di queste osservazioni è quindi evidente quanto il Movimento Riformista ed il Direct Method abbaino apportato importanti cambiamenti nella didattica delle lingue straniere, specialmente il passaggio da un tipo di insegnamento bilingue ad uno monolingue. Tuttavia, Cook (ibid.) osserva anche che i presupposti linguistici fondamentali su cui queste metodologie si sono articolate rimangano di fatto quasi invariati rispetto a quelli del Grammar Translaiton Method. In effetti, Riforma e Direct Method (così come tutte le teorie che ne derivarono per circa un secolo) condividono una stessa idea, ovvero considerare le lingue come una serie di regole grammaticali, a prescindere dal fatto che queste vengano trasmesse utilizzando spiegazioni e traduzioni nella L1 degli studenti o solo attraverso la L2. È per questo motivo che il focus della didattico di questi metodi finisce sempre per concentrarsi principalmente sulla forme della lingua.

1.2.2.3 La didattica delle lingue straniere dopo la Riforma e il Direct Method

I decenni successivi al periodo riformista e alla comparsa del Direct Method – per l'esattezza fino alla seconda metà del Novecento – non furono caratterizzati però solo dall'esclusiva attenzione alle forme delle lingue. Un'altra caratteristica che contraddistingue questo periodo è anche il tentativo di eliminare l'uso della traduzione e della lingua madre degli studenti non solo dalle classi, ma anche dalla letteratura accademica. Gli studi pedagogici e linguistici sull'uso della traduzione come strumento didattico sono infatti quasi inesistenti, ma l'elemento ancora più curioso è il fatto che non si trovi traccia nemmeno di ricerche e argomentazioni contro la sua effettiva utilità.

A questo proposito Cook commenta affermando che:

''It may be that something is not mentioned because at some level – conscious or not – it is felt to be dangerous to the reigning ideology. Some have argued that it is what is not talked about, the gaps within discussion,

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which constitute the shared ideology of the participants. Discussion about education, for example might rise specific issues about whether schools should teach religion, how big classes should be, etc., but never question the whole concept of school. […] Once such usually unchallenged phenomena are talked about, once these gaps are filled, then difficult but significant questions may begin to be asked. Translation may be a phenomenon of this kind – absent form discussion for the damage it might do to the reigning ideology if it were not.''

(Cook 2010:20)

Come già menzionato, anche nell'applicazione pratica la tendenza dominante era quella di limitare il più possibile l'uso della L1 in qualsiasi declinazione, se non addirittura eliminarla completamente.

1.2.2.4 Alcune eccezioni esemplari

È tuttavia possibile riscontrare comunque la presenza di alcune metodologie ed approcci che deviano da questa essenziale linea teorica. Un primo esempio riportato da Cook (2010) è quello dell'Army Method15 il quale prevedeva l'uso della L1 e della traduzione per affrontare argomenti non ancora noti attraverso ciò che gli apprendenti potevano già conoscere. Negli anni Settanta invece viene introdotto da Georgi Laznov16 un innovativo approccio chiamato Suggestopedia. Secondo Laznov, per ottimizzare l'apprendimento di una L2 è fondamentale ridurre il più possibile le fonti di stress a cui lo studente può potenzialmente essere esposto. Questo obiettivo veniva raggiunto non solo tramite la creazione di uno spazio fisico confortevole, ma anche fornendo traduzioni dalla L2 alla L1, evitando così di creare ansie dovute alla mancata comprensione di un termine o la paura di sbagliare.

15 Questo metodo venne ideato durante verso la fine della Seconda Guerra Mondiale con lo scopo di permettere una rapida acquisizione di una L2.

16 Scienziato di origine bulgara, si occupò anche di psicologia, psichiatria e pedagogia.

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La centralità delle necessità dello studente è presente anche nel Commnity Language Learning Method, elaborato nel 1976 dallo psicologo ed educatore Charles Arthur Curran. Il Language Learning Method può essere definito come segue:

''The method […] advises teachers to consider their students as ‘whole persons.’ Whole-person learning means that teachers consider not only their students’ intellect, but they also have some understanding of the relationship among students’ feelings, physical reactions, instinctive protective reactions, and desire to learn. The Community Language Learning Method takes its principles from the more general Counseling-Learning Approach developed by Charles A. Curran. Curran studied adult learning for many years. He found that adults often feel threatened by a new learning situation.

They are threatened by the change inherent in learning and by the fear that they will appear foolish. Curran believed that a way to deal with the fears of students is for teachers to become language counselors. A language counselor does not mean someone trained in psychology; it means someone who is a skillful ‘understander’ of the struggle students face as they attempt to internalize another language.''

(Larsen-Freeman, Marti 201:89)

Proprio per tali ragioni quindi, anche nel Community Language Learning Method l'insegnate può fornire traduzioni dalla L2 alla L1, nel caso in cui queste venissero richieste dagli studenti.

Considerando poi la traduzione in senso lato17, si può affermare che essa venisse usata anche nel Total Physical Response. Questo approccio, diffuso da James Asher nel 1977, prevede il passaggio dalle parole ai gesti: agli apprendenti viene infatti richiesto di riprodurre o di comprendere il significato di termini della L2 attraverso gesti o immagini che ne esplichino i concetti.

Un ulteriore caso di discrepanza tra un lato teorico che prevede l'interdizione di qualsiasi interferenza della L1 nel processo di apprendimento ed un lato pratico che

17 Seguendo la definizione del linguista Roman Jackobson, si potrebbe parlare in questo caso di un uso di traduzione intersemiotica.

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invece ne fa uso è rappresentato dall' Audio-Lingual Method. Originato a partire dalle nuove teorie strutturaliste18 promosse da Saussure, questo metodo prevede l'uso della L1 non sotto forma di traduzioni, bensì attraverso la comparazione con la L2. Come scrive il linguista americano Charles C. Fries infatti:

''The most efficient materials are those that are based upon a scientific description of the language to be learned, carefully compared with a parallel description of the native language of the learner.''

(Fries 1945:9)

1.2.3 Gli anni Settanta: una seconda rivoluzione

Gli anni Settanta marcarono anche un ulteriore importante passaggio definito da Cook (2010) come una nuova rivoluzione per l'insegnamento delle lingue straniere.

Forse non clamoroso come il Movimento Riformista o il Direct Method, ma sicuramente degno di essere menzionato.

In questo periodo, infatti, si inizia gradualmente ad abbandonare le idee strutturaliste che avevano dominato il panorama della linguistica negli anni precedenti e si comincia a fare spazio a nuovi studi ed idee. Tutto ciò portò al passaggio da una didattica incentrata sulla forma delle lingue ad una focalizzata invece sul significato.

Cook (ibid.) identifica nel Natural Approach e nel Communicative Language Teaching due chiare esemplificazioni delle caratteristiche di questo passaggio. Da un lato infatti, il Natural Approach postulava che l'apprendimento di una lingua avviene a livello del subconscio, senza dover quindi necessariamente riservare un'attenzione consapevole alle forme linguistiche. Dall'altro invece, il Communicative Language Teaching individuava come obiettivo primario quello di poter compiere e comprendere le azioni espresse per mezzo di una lingua. L'approccio è dunque di natura puramente pragmatica: in altre parole, è più importante comunicare piuttosto che raggiungere l'accuratezza formale.

18 La diffusione di queste teorie si ebbe a partire dagli anni Quaranta del Novecento e rimasero valide fino agli anni Settanta.

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Sebbene i metodi e gli approcci nati dopo l'affermazione del Direct Method si possano raggruppare in queste due macro categorie – denominate form-focused e meaning-focused – è comunque doveroso mettere in luce anche il fatto che, nonostante la differenza tra le basi teoriche, i due modelli didattici presentano alcuni elementi di continuità.19

In primo luogo, in entrambi i filoni si riscontra ad esempio la tendenza a presentare agli studenti esempi linguistici che risultino ''naturali'' ed ''efficaci'', piuttosto che artificiali e fabbricati su misura. Un altro fattore fondamentale è l'idea già citata secondo cui la forma di acquisizione linguistica più efficace sia quella che avviene in una fase in cui lo studente non si trova in una situazione di controllo consapevole dei suoi processi di apprendimento.

La divisione nelle due macro tipologie didattiche – orientamento alla forma o al significato – potrebbe apparire come un'eccessiva semplificazione della moltitudine di approcci, teorie e metodi sviluppatisi questo periodo. Egli scrive infatti che:

''[…] despite finer insider discriminations, there were sufficient characteristics between the different language-teaching movements, to identify this as a single and significant shift. Arguments for Synthetic over Analytic Syllabuses20, for Functional Syllabuses, Natural Language Learning, Communicative Language Teaching, Procedural Syllabuses, Process Syllabuses, the Interaction Hypothesis and many others all had a great deal in common. They all preached against itemized focus on forms and the use of ''artificial'' examples.''

(Cook 2010:28)

19 Come precedentemente accennato, è proprio per questa ragione che la seconda rivoluzione non delinea uno stacco così netto tra un ''prima'' ed un ''dopo'' come accadde invece per il Movimento Riformista e il Direct Method in rapporto al Grammar Translation Method.

20 Come per i termini metodologia, approccio e tecniche, anche la parola syllabus assume un significato specifico nell'ambito della didattica. Esso ha lo scopo di elencare, secondo un ordine ragionato, gli argomenti trattati da un corso di lingua.

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