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«Ce que l'intérêt prescrit». Utilità e giustizia nella società possibile di Rousseau

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« Ce que l’intérêt prescrit » : utilità e giustizia nella società possibile di Rousseau

Il Contrat social, com’è noto, è incentrato sul progetto di delineare una «società possibile» che, sebbene non attuabile qui ed ora, rappresenti un ideale normativo a cui tendere1. Quello di Rousseau è un vero e proprio gioco di equilibrismo che lo conduce – in un confronto serrato con le principali tradizioni della filosofia politica moderna (giusnaturalismo, contrattualismo e repubblicanesimo) – a camminare, in equilibrio talvolta precario, sul sottile crinale che separa l’approccio antropologico (gli uomini come sono) da quello normativo (le leggi come possono essere).

All’interno di questa dinamica, un aspetto particolarmente interessante è rappresentato dalla relazione che viene a instaurarsi tra l’idea di interesse e quella di giustizia. Questo nesso è evidenziato dallo stesso Rousseau nel primo capoverso del Proemio del Contrat social: «Voglio cercare se nell’ordine civile può esservi qualche regola di amministrazione legittima e sicura, prendendo gli uomini come sono e le leggi come possono essere. Tenterò di associare sempre in questa ricerca ciò che il diritto permette con ciò che l’interesse prescrive, perché la giustizia e l’utilità non si trovino a essere separate»2. Interesse, diritto, giustizia e utilità costituiscono tra di loro una sorta di chiasmo, che fa emergere un orizzonte teorico (risolutamente anti-utopistico) in cui siano concepibili principi politici grazie ai quali la dimensione individuale possa coniugarsi armoniosamente con quella collettiva.

Nonostante la chiarezza di questa dichiarazione d’intenti, la concezione rousseauiana d’interesse in generale, e il suo legame con la giustizia nello specifico, non hanno ricevuto da parte della critica l’attenzione che avrebbero meritato. Al contrario, come osserva Bruno Bernardi in uno dei rari contributi sul tema, «gli interpreti di Rousseau sembrano aver interiorizzato […] questo preconcetto: il suo pensiero sarebbe estraneo alla problematica dell’interesse»3.

Questo pregiudizio è imputabile probabilmente sia a motivazioni di ordine esterno, sia a motivazioni di ordine interno al corpus rousseauiano. Per quel che concerne il primo aspetto, hanno certamente pesato le letture utopiche del pensiero di Rousseau (da quella canonica di Judith Shklar a quella recente di Antoine Hatzenberger4) e, ancor di più, quelle kantiane che, sulla scia di Ernst Cassirer, hanno voluto fare di Rousseau un precursore di una «disincarnata» etica del dover essere, che «sacrifica» l’individuo alla collettività5. Per quel che concerne il secondo aspetto, è inevitabile scontrarsi, nel tentativo di ricostruire i presupposti della «filosofia dell’interesse» rousseauiana, con gli usi multipli e polisemici, talvolta al limite della contraddizione, che caratterizzano il vocabolario del Ginevrino, come d’altronde egli stesso avverte in un passo illuminante dell’Émile:

1 Sulla centralità della categoria della «possibilità» nel pensiero politico di Rousseau ha insistito in particolar modo John Rawls: «[Rousseau] crede che sia almeno possibile descrivere una forma di governo legittima e il suo sistema di istituzioni tale che con una buona dose di fortuna possa essere ragionevolmente giusto, felice e stabile» (J. Rawls, Lectures on the History of Political Philosophy, Cambridge-London, Harvard University Press, 2007, p. 206, trad. it. Lezioni di storia della filosofia politica, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 219). Questo aspetto è stato recentemente approfondito in A. Loche, La società possibile. Una lettura del «Contrat social» di Jean-Jacques Rousseau, Milano, FrancoAngeli, 2018.

2 J.-J. Rousseau, Du contract social, in Id., Œuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Paris, Gallimard, 1959-95, 5 voll., vol. III, p. 351, trad. it. di M. Garin con il titolo Contratto sociale, in Id., Scritti politici, a cura di E. Garin, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, 1971, vol. II, p. 83.

3 B. Bernardi, La notion d’intérêt chez Rousseau: une pensée de l’immanence, «Cahiers philosophiques de Strasbourg», XIII, 2002, pp. 149-73, qui p. 149.

4 Cfr. J. Shklar, Men and Citizens: A Study of Rousseau’s Social Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1969, in particolare pp. 1-12; A. Hatzenberger, Rousseau et l’utopie. De l’État insulaire aux cosmotopies, Paris, Honoré Champion, 2012.

5 Cfr. E. Cassirer, Das Problem Jean-Jacques Rousseau, «Archiv für Geschichte der Philosophie», XLI, 1932, pp. 177-213 e 479-513, trad. it. Il problema Gian Giacomo Rousseau, Firenze, La Nuova Italia, 1948, p. 53. Tra le interpretazioni neokantiane recenti, spicca S. Goyard-Fabre, Politique et philosophie dans l’œuvre de Jean-Jacques Rousseau, Paris, Presses Universitaires de France, 2001.

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Ho riflettuto cento volte, scrivendo, come sia possibile […] in un’opera di vasto respiro, dare sempre lo stesso senso alle stesse parole. Non v’è lingua abbastanza ricca da poter fornire tanti termini, espressioni e frasi quante possono essere le modificazioni delle nostre idee […]. Nonostante ciò, sono convinto che sia possibile riuscir chiari, pur nella povertà della nostra lingua, non già usando sempre nella stessa accezione le stesse parole, ma facendo in modo che l’accezione data di volta in volta a ciascuna di esse risulti sufficientemente determinata dal contesto e che ogni periodo in cui la parola compare le valga, per così dire, da definizione. […]. Non credo per questo di contraddirmi nelle idee, ma non posso negare di contraddirmi nelle espressioni6.

Tenendo presente questa lezione metodologica, ci si propone qui di ricostruire la dinamica rousseauiana tra interesse e utilità, da un lato, e giustizia e diritto, dall’altro, prendendo in esame in un primo momento ciascuno dei due termini dell’opposizione, per poi mostrarne le possibili interazioni e sinergie.

Cominceremo a soffermarci, per quanto potrebbe sembrare controintuitivo, sul secondo corno della questione, ossia la giustizia, che consente in realtà di comprendere più a fondo la peculiarità della dottrina dell’interesse di Rousseau.

1. Il cammino della giustizia: interesse particolare e bene comune

Mentre non è evidente in maniera intuitiva se le nozioni d’interesse e utilità siano riconducibili a una dimensione individuale (presociale) o collettiva, poiché esse paiono di fatto appartenere a entrambe, l’idea di giustizia è indissolubilmente legata all’ingresso nella società civile sin dall’ipotetica storia del genere umano delineata nel secondo Discours.

Nello stato di natura, in cui l’essere umano è un animale tra gli animali la cui esistenza si limita al soddisfacimento dei bisogni fisiologici, la giustizia non esiste: «Con passioni così poco impetuose e un freno così salutare, gli uomini [...] non erano soggetti a conflitti molto pericolosi. Non avendo tra di loro alcuna specie di commercio [... erano] privi della benché minima nozione del tuo e del mio e di una vera e propria idea di giustizia; guardando alle violenze che potevano subire come a un male facile da ripararsi, e non come a un’ingiuria da punire»7. Non essendoci in questa condizione la legge, non può esserci né diritto né in-juria, né giustizia, né ingiustizia. Quando sorgono le (rare) contese, queste vengono regolate dagli individui stessi all’interno di un rapporto di equilibrio per così dire spontaneo. È solo nel momento in cui qualcuno si mette ad accumulare ricchezze e cerca d’impadronirsi di una maggiore quantità di beni che il diritto del più forte e quello del primo occupante entrano in conflitto e «la società in sul nascere fece posto al più orribile stato di guerra»8.

In questo scenario non si può parlare di giustizia in senso proprio, ma al massimo di una «giustizia naturale», che non assume la validità di legge, ma che va di pari passo con i due principi anteriori alla ragione che animano l’uomo di natura: l’amore di sé e la pietà. È solo con la «rivoluzione» dell’agricoltura e della metallurgia che una prima idea di giustizia fa capolino: «Alla coltivazione delle terre seguì necessariamente la loro spartizione, e dal riconoscimento della proprietà derivarono le prime norme di giustizia; infatti, per attribuire a ciascuno il suo, bisogna che ciascuno possa avere qualcosa»9. In una condizione, come quella dello stato di natura, in cui le risorse erano abbondanti, la giustizia doveva semplicemente consentire che a ogni uomo fosse attribuito «il suo» (suum cuique tribuere). Queste regole di giustizia, essendo inestricabilmente

6 J.-J. Rousseau, Émile, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. IV, p. 345, trad. it. a cura di P. Massimi con il titolo Emilio o dell’educazione, Roma, Armando, 1994, p. 172.

7 J.-J. Rousseau, Discours sur l’origine de l’inégalité, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. III, p. 157, trad. it. di M. Garin con il titolo Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza, in Id., Scritti politici, cit., vol. I, p. 165. 8 Ivi, p. 176, trad. it. cit., p. 186.

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legate all’idee di proprietà e di lavoro, che ne rappresentano il fondamento, non hanno alcuna valenza giuridica o morale, ma esclusivamente economica.

Quando, in seguito alla stipula del patto leonino, l’essere umano entrò pienamente nella società civile, le cose mutarono radicalmente e la stessa giustizia si situò a un livello completamente differente rispetto a quanto accaduto sino a quel momento. Dal piano dell’«uguaglianza rigorosa» («fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te»10) essa viene traslata a un livello che implica anche l’equità. Alla semplice giustizia «distributiva» dello stato di natura va insomma sostituita quella che Rousseau definisce la «justice raisonnée». Questa forma di giustizia è fondata su una «altra massima di bontà naturale, molto meno perfetta ma forse più utile della precedente: fai il tuo bene

con il minor male possibile per gli altri»11.

Il legame originario tra la vera giustizia (morale e giuridica) e l’utilità, oltre a confermare la volontà di Rousseau di sottrarre sin dagli albori del proprio pensiero la riflessione politica dall’ambito dell’utopia, mette in luce una significativa peculiarità della sua posizione. Prendendo risolutamente in contropiede la tradizione giusnaturalistica, in particolar modo Montesquieu12, Rousseau sostiene che la legge è anteriore alla giustizia – come verrà esplicitato in un importante passaggio del Manuscrit de Genève:

È così che si formano in noi le prime nozioni distinte del giusto e dell’ingiusto; perché la legge è anteriore alla giustizia, e non la giustizia alla legge, e se la legge non può essere ingiusta non è perché la giustizia ne è la base, il che non è detto che sempre sia vero; ma perché è contro natura voler nuocere a se stessi; e questo non ammette eccezioni13.

Questa idea si ritrovava già nel Discours sur l’économie politique (1755), in un passaggio in cui veniva messo in luce come è proprio la volontà generale, nata dal contratto (equo), a costituire «la regola del giusto e dell’ingiusto per tutti i membri dello Stato»14.

La legge fondamentale della giustizia acquista pertanto il suo senso esclusivamente nello Stato fondato dal contratto. Ciò nonostante, aggiunge Rousseau, la nozione di giustizia ha la sua fonte ultima in Dio e nell’idea (fortemente normativa) di natura umana15; ma affinché gli uomini comuni possano recepirla hanno bisogno di governanti e di leggi: «Occorrono dunque delle convenzioni e delle leggi per unire i diritti ai doveri e per ricondurre la giustizia al suo oggetto»16.

Il droit naturellement naturel, emanazione della legge divina e di una ragione universale, deve necessariamente cedere il passo, nell’incedere storico, a quello che Rousseau definisce droit naturel

raisonné, la cui istituzione permette di superare lo iato, apparentemente incolmabile, tra

individualità e collettività: è infatti grazie a esso che «ciascuno deve preferire in ogni cosa il maggior bene di tutti»17.

Una simile mossa teorica sembra introdurre di primo acchito una difficoltà non irrilevante, che consisterebbe nell’opposizione tra i precetti (mediati) della giustizia positiva e l’immediatezza

10 Ivi, p. 156, trad. it. cit., p. 165. 11 Ibidem.

12 Montesquieu dà per certo che esistano dei rapporti di giustizia oggettivi, anteriori alla legge: «Bisogna dunque ammettere rapporti d’equità anteriori alla legge positiva che li determina». Charles-Louis de Secondat de Montesquieu, Esprit des lois, in Id., Œuvres complètes, a cura di R. Callois, Paris, Gallimard, 1951, 2 voll., vol. II, p. 233, trad. it. di B. Boffito Serra con il titolo Lo spirito delle leggi, Milano, Rizzoli, 2011, vol. I, p. 150. Su questo aspetto, cfr. S.M. Mason, Montesquieu’s Idea of Justice, The Hague, Martinus Nijhoff, 1975.

13 J.-J. Rousseau, Manuscrit de Genève, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. III, p. 329, trad. it. di M. Garin con il titolo Manoscritto di Ginevra, in Id., Scritti politici, cit., vol. II, p. 56.

14 J.-J. Rousseau, Discours sur l’économie politique, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. III, p. 245, trad. it. di M. Garin con il titolo Discorso sull’economia politica, in Id., Scritti politici, cit., vol. I, p. 281.

15 La letteratura sulla peculiare concezione della natura umana di Rousseau è sterminata. Ci si limita qui a rinviare al classico contributo di P. Bénichou, Réflexions sur l’idée de nature chez Jean-Jacques Rousseau, «Annales de la Société Jean-Jacques Rousseau», XXXIX, 1972-1977, pp. 45-61.

16 J.-J. Rousseau, Manuscrit de Genève, cit., p. 326, trad. it. cit., p. 53. 17 Ivi, p. 328, trad. it. cit., p. 55.

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del diritto «naturalmente naturale». Questo pericolo è in reltà scongiurato dal fatto che il patto equo che fonda la società possibile riesce a realizzare il «mirabile accordo dell’interesse con la giustizia»18. Il lento e faticoso cammino della giustizia non è pertanto né separato né opposto rispetto a quello dell’interesse, ma si prefigge semmai d’indirizzarlo verso una conciliazione – pienamente morale e politica – con il bene collettivo.

Lungi dal contrapporsi alle nozioni di diritto e giustizia, utilità e interesse ne sono pertanto una sorta di condizione di possibilità: è l’utilità che rappresenta il tratto distintivo della giustizia ragionata rispetto a quella naturale ed è l’interesse particolare a essere indicato come l’elemento propulsivo per il raggiungimento sociale del bene comune. L’interesse particolare tuttavia, come Rousseau è ben consapevole, rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per il raggiungimento della véritable justice, prodigio istituzionale che rende possibile la perfetta fusione tra ordine e libertà.

2. L’interesse particolare: tra interesse privato e interesse individuale

L’inscindibilità tra la fondazione della società politica e l’interesse – inteso come una componente essenziale dell’antropologia umana – è ribadita a più riprese da Rousseau. In un brano poco citato del Discours sur l’économie politique egli mostra, in una prospettiva che si potrebbe definire «sociologica», come il passaggio dall’interesse particolare all’interesse comune sia condizione necessaria per l’affermarsi della volontà generale19 (concetto che viene utilizzato per la prima volta proprio in tale testo):

Ogni società politica si compone di altre società più piccole, di specie diverse, ciascuna con i propri interessi e le proprie norme; ma tali società, che ciascuno può scorgere in quanto hanno una forma esteriore e autorizzata, non sono le sole che esistano realmente nello Stato; tutti i privati che un interesse comune riunisce, ne formano altrettante, permanenti o temporanee, dotate di una forza che, per essere meno palese, non è meno reale, e con una varietà di rapporti che debitamente osservati ci danno la vera conoscenza dei costumi […]. La volontà di tali associazioni particolari implica sempre un duplice rapporto; per i membri dell’associazione è una volontà generale; per la grande società è una volontà particolare20.

La questione viene ripresa, con una definizione concettuale superiore, in un passo decisivo del primo capitolo del secondo libro del Contrat social, che inserise la relazione tra volontà generale e interesse all’interno di coordinate prettamente politiche:

Solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, che è il bene comune; infatti, se è stato il contrasto degl’interessi privati a render necessaria l’istituzione della società, è stato l’accordo dei medesimi interessi a renderla possibile. Il legame sociale risulta da ciò che in questi interessi differenti c’è di comune, e, se non ci fosse qualche punto su cui tutti gl’interessi si accordano, la società non potrebbe esistere. Ora, la società deve essere governata unicamente sulla base di questo interesse comune21.

Al di là della problematicità dell’uso della nozione di volontà generale che si riscontra in questi brani (la moltiplicazione della volontà generale autorizzata nel Discours sur l’économie

politique mal si accorda con la concezione della volontà generale come principio normativo unico e

indivisibile propugnata nel Contrat social), essi contengono due tesi fondamentali per comprendere la funzione che Rousseau attribuisce all’interesse. In primo luogo, entrambi i passi mostrano come

18 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 374, trad. it. cit., p. 107.

19 Cfr. R. Dagger, Understanding the General Will, «The Western Political Quarterly», XXXIV, 1981, 3, pp. 359-71; P. Riley, The General Will before Rousseau: The Transformation of the Divine into the Civic, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1986, pp. 181-250.

20 J.-J. Rousseau, Discours sur l’économie politique, cit., pp. 245-246, trad. it. cit., p. 282. 21 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 368, trad. it. cit., p. 101.

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la volontà generale possa esistere solo quando gli individui hanno in comune tra di loro un interesse, ossia qualcosa su cui il loro punto di vista può divergere, ma che li unisce a dispetto delle loro differenze. La seconda tesi che emerge in entrambi i testi, e che è strettamente connessa alla prima, è quella secondo cui le «volontés particulières» che vengono «sussunte» sotto la volontà generale non sono volontà di singoli individui, ma si articolano già in qualche modo in un interesse comune.

È a tale proposito fondamentale sottolineare che, quando parla d’interesse particolare (intérêt

particulier), Rousseau usa l’espressione in due sensi differenti: uno più ristretto e l’altro più esteso.

Blaise Bachofen suggerisce, in maniera convincente, d’identificare queste due declinazioni dell’interesse particolare rispettivamente con l’interesse privato e con l’interesse individuale22.

L’interesse privato (intérêt privé), ossia l’interesse egoistico, è un elemento costitutivo dell’interesse individuale, il quale non si esaurisce tuttavia in esso. Dalla confusione tra queste due declinazioni della nozione d’interesse nascono gran parte dei fraintendimenti legati alla funzione politica e morale che Rousseau attribuisce all’idea di utilità. L’interesse privato caratterizza le semplici «aggregazioni», ossia quelle forme di vita in comune fondate soltanto sulla giustapposizione di interessi egoistici, i cui rapporti sociali sono improntati nel migliore dei casi all’indifferenza, nel peggiore al conflitto. Rousseau esprime sempre un giudizio negativo sulla validità politica di tale movente. Colui che, mosso esclusivamente dall’interesse privato, ha conquistato la metà del mondo, «quest’uomo [...] è sempre un privato; il suo interesse, separato da quello degli altri, è sempre un interesse privato»23. La potenziale nocività dell’interesse privato è ribadita nel quinto libro dell’Émile, in cui si mette in luce come «l’interesse privato tende sempre ai privilegi, mentre l’interesse pubblico tende all’eguaglianza»24, e anche nelle Lettres écrites de la

montagne, dove si afferma che l’individuo «ingannato dal suo interesse privato, preferisce essere

protetto piuttosto che essere libero»25. La stessa condanna si ritrova negli scritti autobiografici, in cui «Jean-Jacques» (che viene presentato da Rousseau come un nuovo modello antropologico) risulta completamente estraneo a tale inclinazione: «L’interesse privato, il quale nulla ha mai prodotto di grande e di nobile, non potrebbe trarre dal mio cuore gli slanci divini che solo il più puro amore del giusto e del bello ha il potere di suscitarvi»26.

Se l’interesse privato si manifesta in una dimensione solipsistica, che oppone inevitabilmente l’individuo alla comunità e impedisce la formazione di un corpo sociale, lo stesso non si può dire dell’interesse individuale. Quando, ad esempio, nel brano del secondo libro del Contrat social da cui si sono prese le mosse, Rousseau parla di un «contrasto degl’interessi privati (opposition des

intérêts particuliers)»27, egli non ha in mente banalmente un’opposizione statica tra interessi privati – destinati inevitabilmente a rimanere «isolati» – quanto piuttosto un’opposizione dinamica tra «interessi individuali», i quali non sono necessariamente in contraddizione con l’interesse comune. Mentre l’interesse privato, come si è visto, caratterizza le semplici aggregazioni, l’interesse individuale è tipico di quella forma di unione che Rousseau definisce «associazione», la quale presuppone un’unione volontaria tesa al raggiungimento di un bene pubblico, condizione imprescindibile per la formazione del corpo politico. Nelle associazioni, in altre parole, pur non venendo mai del tutto meno una componente d’interesse particolare in senso stretto (l’interesse privato), esiste anche un interesse comune, che rappresenta il fine morale e politico della società, come confermato dal fatto che – nel brano del Contrat social appena menzionato – le espressioni «interesse comune» e «bene comune» siano utilizzate come sinonimi.

22 Cfr. B. Bachofen, Intérêt individuel, intérêt privé, intérêt commun. Les complications de la notion d’intérêt particulier, in Philosophie de Rousseau, a cura di B. Bachofen, B. Bernardi, A. Charrak e F. Guénard, Paris, Garnier, 2014, pp. 393-411.

23 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 359, trad. it. cit., p. 92. 24 J.-J. Rousseau, Émile, cit., p. 843; trad. it. cit., p. 693.

25 J.-J. Rousseau, Lettres écrites de la montagne, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. III, p. 888.

26 J.-J. Rousseau, Confessions, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. I, p. 327, trad. it. di M. Rago con il titolo Le confessioni, in Id., Scritti autobiografici, a cura di L. Sozzi, Torino, Einaudi-Gallimard, 1997, p. 320.

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Che cosa permette tuttavia di articolare interesse privato e interesse comune, apparentemente inconciliabili? Si tratta per l’appunto di quella declinazione specifica dell’interesse particolare che possiamo definire «interesse individuale», ossia, per riprendere la definizione del Contrat social, «ciò che in questi interessi differenti c’è di comune», o ancora «[il] punto su cui tutti gl’interessi s’accordano»28. La conciliazione tra i diversi interessi particolari è indubbiamente parziale e relativa, ma essa origina un interesse individuale, ossia una «porzione» di interesse in comune tra l’interesse di ogni individuo e quello degli altri individui. È proprio questa «porzione» d’interesse a far sì che il particulier, da semplice uomo, diventi al contempo citoyen. Mentre l’uomo che vive in un’aggregazione può coltivare esclusivamente l’interesse privato, quello che vive in un’associazione dovrà inevitabilmente prendere in considerazione, attraverso la spinta del proprio interesse individuale, anche gli interessi individuali degli altri cittadini.

Si tratta di una precisazione, apparentemente banale, che Rousseau si era tuttavia già sentito in dovere di fare, seppure in forma narrativa e analogica, nella Lettre à d’Alembert. Qui viene raccontato l’aneddoto di un irlandese che si rifiuta di alzarsi dal letto nonostante l’abitazione in cui vive stia bruciando, accampando la scusa che il fatto non intacca immediatamente il suo interesse privato: «Gli gridavano: “La casa è in fiamme”. “Che m’importa?, rispondeva lui, sono solo il locatario”. Alla fine il fuoco arrivò sino alla sua stanza; solo allora si alzò dal letto, si mise a correre, a gridare, ad agitarsi; cominciava a capire che a volte bisognava interessarsi alla casa in cui si abita anche se non è la propria»29. Fuor di metafora, ogni uomo che nella condizione sociale (l’unica che ci è data conoscere) pretenda di seguire esclusivamente l’interesse privato, dimenticandosi dell’esistenza degli interessi particolari altrui, è destinato a far la fine dello sciocco irlandese.

Questa duplice declinazione della nozione di interesse particolare complica notevolmente l’analisi di Rousseau: la società possibile da lui auspicata non implica infatti banalmente l’annientamento degli interessi particolari, quanto piuttosto «l’accordo di questi stessi interessi, che l’ha resa possibile»30. Perché ciò si realizzi, l’interesse particolare dovrà tuttavia mutarsi in interesse comune, saldandosi all’idea di giustizia.

3. Interesse comune e volontà generale

La duplice declinazione dell’interesse particolare conferma, una volta in più, il rifiuto di un impianto teorico utopico da parte di Rousseau. Interesse particolare e interesse comune non coincideranno mai del tutto e proprio questo aspetto rende necessario l’intervento del legislatore e, più in generale, della politica. Per questo motivo, nel Manuscrit de Genève, veniva scartata con decisione l’ipotesi di confrontarsi con una società moralmente perfetta e disincarnata (una società di saggi o di santi) in cui perderebbe senso l’istituzione stessa di una società politica. Rousseau presuppone dunque in qualche modo che la vita sociale sia per definizione oggetto d’interesse individuale e comune. Gli interessi particolari (nel senso di privati) e atomizzati a partire dai quali l’interesse comune dovrebbe teoricamente comporsi appaiono in definitiva un’ipotesi di lavoro astratta, assimilabile sotto molti aspetti all’idea di stato di natura. Già nel Discours sur l’économie

politique, d’altronde, veniva suggerita sottotraccia la possibilità che fosse proprio una forma

d’interesse comune, seppure sui generis, a determinare i contenuti degli interessi particolari:

Uno può essere sacerdote devoto, soldato coraggioso, professionista zelante, e cattivo cittadino. Una decisione può risultare vantaggiosa per la piccola comunità e perniciosissima dalla grande. È vero che, essendo le società particolari sempre subordinate a quelle che le contengono, vengono al secondo posto in fatto di diritto all’obbedienza; e i diritti del cittadino passano sempre avanti a quelli del senatore, 28 Ibidem.

29 J.-J. Rousseau, Lettre à d’Alembert, in Id., Œuvres complètes, cit., vol. V, pp. 38-39, trad. it. di V. Sottile Scaduto con il titolo Lettera a d’Alembert sugli spettacoli, in Id., Opere, a cura di P. Rossi, Firenze, Sansoni, 1989, p. 222. 30 A. Loche, La società possibile. Una lettura del «Contrat social» di Jean-Jacques Rousseau, cit., p. 198.

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i diritti dell’uomo a quelli del cittadino; ma purtroppo l’interesse personale è sempre inversamente proporzionale al dovere e va aumentando man mano che l’associazione si fa più ristretta e l’impegno meno sacro31.

Rimane allora da interrogarsi su quale sia il ruolo specifico dell’interesse comune e, più precisamente, la relazione che esso intrattiene con la volontà generale. Rousseau oppone nel

Contrat social, com’è ben noto, la volonté de tous, semplice somma aritmetica delle volontà

particolari, alla volonté générale, una volontà unitaria del popolo in quanto suddito che determina le azioni del popolo in quanto sovrano32. Poiché esprime al contempo la volontà del singolo e quella della collettività, la volontà generale vuole necessariamente il bene collettivo, mentre la semplice volontà di tutti potrebbe far prevalere l’interesse particolare su quello generale: «Spesso c’è una gran differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale; questa guarda soltanto all’interesse comune, quella all’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari; ma eliminate da queste medesime volontà il più e il meno che si elidono e come somma delle differenze resta la volontà generale»33.

È dunque innegabile il fatto che esista una sorta di analogia o, per lo meno, una convergenza di intenti tra volontà generale e interesse comune, come viene esplicitato a più riprese nel Contrat

social. Nel settimo capitolo del primo libro Rousseau osserva infatti che «il sovrano, essendo

formato solo dai privati che lo compongono, non ha né può avere interessi contrari ai loro»34. Ancora più chiara è la formulazione contenuta nel quarto capitolo del secondo libro: «Perché la volontà generale è sempre retta, e perché tutti vogliono costantemente la felicità di ognuno, se non perché ognuno riferisce a sé questo termine, ciascuno, e pensa a se stesso votando per tutti? Questo prova che l’uguaglianza di diritto e la nozione di giustizia che ne deriva hanno origine nella preferenza che ciascuno dà a se stesso»35.

Si potrebbe affermare – in maniera forse provocatoria, ma che trova sostegno nei testi di Rousseau – che l’intero processo di fondazione della società politica si regge sul corretto uso dell’interesse e sulla sua metamorfosi da interesse particolare a interesse comune. Passare dallo stato di natura alla società civile non significa, come voleva per esempio Diderot (il cui raisonneur

violent è destinato a diventare un uomo indipendente dagli altri36), far rinunciare l’individuo al proprio interesse, ma fargli «preferire al suo interesse apparente il suo interesse beninteso»37.

Alla luce di queste riflessioni, l’interesse intrattiene una triplice (e fondante) relazione con la società politica. Innanzitutto, l’opposizione degli interessi particolari rende necessario il legame sociale, al fine di garantire – come abbiamo analizzato in apertura – il mantenimento della giustizia

31 J.-J. Rousseau, Discours sur l’économie politique, cit., p. 246, trad. it. cit., pp. 282-83.

32 Sulla distinzione tra volontà generale e volontà di tutti, cfr. G. Allen, La Volonté de Tous and la Volonté Général: A Distinction and its Significance, «Ethics», LXXI, 1961, pp. 263-75; M.J. Thompson, Autonomy and Common Good: Interpreting Rousseau’s General Will, «International Journal of Philosophical Studies», XXV, 2017, 2, pp. 266-85. Sulla relazione «matematica» che collega questi due aspetti, cfr. R. Dobrescu, Démocratie arithmétique, démocratie algébrique: Rousseau, la volonté générale et les petites différences, tesi di dottorato diretta da G. Laforest, Université Laval, 2007; Id., La distinction rousseauiste entre volonté de tous et volonté générale: une reconstruction mathématique et ses implications pour la théorie démocratique, «Canadian Journal of Political Science / Revue canadienne de science politique», XLII, 42, 2, pp. 467-90 e G. Radica, Le vocabulaire mathématique dans le «Contrat social», II, 3, in Rousseau et les sciences, a cura di B. Bensaude-Vincent e B. Bernardi, Paris, L’Harmattan, 2003, pp. 257-75.

33 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 371, trad. it. cit., p. 104. 34 Ivi, p. 363, trad. it. cit., p. 96.

35 Ivi, p. 373, trad. it. cit., p. 106.

36 «Si voi riflettete attentamente su ciò che precede, vi convincerete del fatto che l’uomo che ascolta esclusivamente la sua volontà particolare è il nemico del genere umano […]. Questo essere solitario assomiglia al ragionatore violento che abbiamo soffocato nel sesto paragrafo». Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres… (1751-1765), ad voc. «Droit naturel, (Morale.)», vol. V, p. 115. Per un’analisi approfondita di questo brano, cfr. A. Postigliola, Da Malebranche a Rousseau, le aporie della volontà generale e la rivincita del «ragionatore violento», «Studi filosofici», I, 1978, pp. 101-29.

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naturale. In secondo luogo, è l’accordo degli interessi particolari (intesi questa volta come interessi individuali e non semplicemente privati) a rendere possibile la società stessa. Infine, è l’interesse comune a diventare l’unico oggetto possibile della volontà generale («la società deve essere governata unicamente sulla base di questo interesse comune»38), confermando così in maniera definitiva che il corpo sociale si forma non contro, ma attraverso l’interesse. In effetti, come osservato da Bernardi, «il riconoscimento attraverso la volontà generale dell’interesse comune forma il legame sociale, cioè lo dichiara (con la legge) e lo effettua (con la sua esecuzione)»39.

Nonostanze l’interesse comune rappresenti l’oggetto e il fine della volontà generale, questi due concetti devono essere tenuti ben distinti, come conferma il fatto che Rousseau non parli pressoché mai (o in ogni caso con una frequenza irrilevante) di intérêt général40. Volontà generale e

interesse comune hanno una portata esplicativa diversa. La prima nozione, vero e proprio concetto chiave, anche nell’immaginario collettivo, del pensiero di Rousseau, riguarda strettamente il piano del diritto politico. Senza volersi addentrare all’interno di questa nozione tanto complessa quanto problematica – in particolare per quanto riguarda la possibilità o meno che la volontà generale introduca una forma di eteronomia rispetto alle volontà particolari41 – ci si può limitare a osservare come essa sia usata esclusivamente in scritti che hanno un intento teorico-normativo, ossia il

Discours sur l’économie politique e il Contrat social. Le uniche eccezioni sono rappresentate da un

paio di cursori riferimenti alla volontà generale rintracciabili nelle Lettres écrites de la montagne42 e

da un già menzionato passo del quinto libro dell’Émile che, nel riassumere proprio le tesi del

Contrat social, ribadisce il ruolo determinante dell’interesse comune, qui chiamato intérêt publique,

nella costituzione della volontà generale: «Poiché d’altro canto la sovranità consiste nella volontà generale, non si vede neppure come si possa garantire che una volontà particolare sia sempre d’accordo con questa volontà generale. Vi è piuttosto motivo di presumere che sia spesso in contrasto; infatti l’interesse privato tende sempre ai privilegi, mentre l’interesse pubblico tende all’eguaglianza»43.

Mentre l’idea di volontà generale ha dunque una portata prevalentemente teorica e normativa (alcuni interpreti, come Gabrielle Radica, hanno addirittura avanzato l’ipotesi che essa sarebbe un principio politico e non morale44), l’idea di interesse comune ha chiaramente una più ampia valenza pratico-antropologica, che fa sì che Rousseau se ne serva ampiamente in tutti i suoi scritti «applicativi», nei quali emerge, con altrettanta forza rispetto al Contrat social, il legame costitutivo tra interesse e giustizia.

4. Interesse e giustizia

La metamorfosi dell’interesse particolare in interesse comune coincide con il passaggio dalla concezione prepolitica della giustizia, tipica dello stato di natura, alla «justice raisonnée», pienamente morale e politica. Mentre nel primo scenario, trattandosi di una giustizia meramente distributiva, l’interesse particolare (privato) che ne era alla base era un interesse ad avere, nel

38 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 368, trad. it. cit., p. 101.

39 B. Bernardi, La Fabrique des concepts. Recherches sur l’invention conceptuelle chez Rousseau, Paris, Honoré Champion, 2006, p. 327.

40 Cfr. T. Pénigaud de Mourgues, Intérêt commun ou intérêt général? De l’enjeu d’une décision terminologique chez Rousseau, «Astérion», XVII, 2017, URL : http://journals.openedition.org/asterion/3022; DOI : 10.4000/asterion.3022. 41 Su queste due tesi, ci si limita a rinviare rispettivamente a J.-J. Chevallier, Jean-Jacques Rousseau ou l’absolutisme de la volonté générale, «Revue française de science politique», III, 1953, pp. 5-30 e a G. Silvestrini, Diritto naturale e volontà generale: il contrattualismo repubblicano di Jean-Jacques Rousseau, Torino, Claudiana, 2010, p. 98 e ss. 42 J.-J. Rousseau, Lettres écrites de la montagne, cit., pp. 808 e 850.

43 J.-J. Rousseau, Émile, cit., p. 843, trad. it. cit., p. 693.

44 Cfr. G. Radica, Histoire de la raison. Anthropologie, morale et politique chez Rousseau, Paris, Honoré Champion, 2008, p. 174 e ss.

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secondo scenario (che, come abbiamo provato a mettere in luce, è quello che sta veramente a cuore a Rousseau) l’interesse in questione è un interesse ad essere, pienamente morale45.

Su questo aspetto Rousseau prende con decisione le distanze da tutte quelle valutazioni morali negative dell’interesse che lo assimilavano al mero egoismo o all’amor proprio, opponedolo radicalmente alla giustizia. Un esempio emblematico di questa argomentazione, già utilizzata dai moralisti del Seicento, si ritrova nell’entrée «INTERÊT» redatta da Jean-François de Saint-Lambert per l’Encyclopédie: «[L’interesse] indica un vizio che ci fa ricercare i nostri vantaggi a discapito della giustizia e della virtù; si tratta di una vile ambizione»46.

In Rousseau, al contrario, non è possibile concepire la vera giustizia senza l’interesse comune che consente la nascita del corpo politico, come ci ricorda la già menzionata affermazione del

Contrat social secondo cui «l’uguaglianza di diritto e la nozione di giustizia che ne deriva hanno

origine nella preferenza che ciascuno dà a se stesso»47. In altre parole, è inevitabile che la giustizia diventi l’oggetto di una ricerca collettiva, i cui risultati, proprio poiché dipendenti dalla complessa dinamica dell’interesse comune, non possono essere stabiliti a priori.

Quando si tratta di affrontare la questione del legame sociale da un punto di vista «realistico», che si concentri cioè sugli uomini come sono, la nozione d’interesse comune possiede agli occhi di Rousseau una maggior efficacia euristica rispetto a quella di volontà generale, soprattutto per quel che concerne la dialettica che essa instaura con la giustizia.

Ecco spiegato perché, nell’educazione di Emilio, l’interesse diventa il criterio che consente al fanciullo di passare dalla valutazione della semplice utilità fisica alla convenance morale: «L’amore di sé è sempre buono, sempre conforme all’ordine naturale. Poiché a ciascun individuo è in special modo affidata la propria conservazione, la prima e la più importante delle sue cure è e deve essere di attendere incessantemente ad essa: e come potrebbe attendervi con tanto zelo, se non l’avesse sommamente a cuore (s’il n’y prenoit le plus grand intérêt)?»48. Per questa ragione, il giovane Emilio deve imparare «a combattersi, a vincersi, a sacrificare il proprio interesse a quello comune. Non è vero che le leggi non gli siano di alcun giovamento: esse gli danno il coraggio di essere giusto, anche in mezzo ai malvagi»49. La medesima convergenza tra interesse comune e giustizia è confermata dalla testimonianza autobiografica del Vicario savoiardo: «Combattuto senza tregua tra i miei sentimenti naturali che parlavano per l’interesse comune, e la ragione che riportava tutto a me, avrei ondeggiato tutta la vita in questa alternativa continua, facendo il male, amando il bene»50.

Tuttavia l’interesse comune, a differenza della volontà generale, non è infallibile. Gli uomini male educati (o, se si preferisce, mal denaturati51) possono ingannarsi nel collegare tra di loro le nozioni d’interesse e di giustizia, scambiando qualcosa di ingiusto per l’oggetto dell’interesse comune. Il problema della possibile discrasia tra interesse e giustiza viene affrontato da Rousseau in quegli scritti in cui egli si propone di adattare i principi del diritto politico a realtà concrete, come nei casi del Projet de constitution pour la Corse (1768) e delle Considérations sur le gouvernement

de Pologne (1782). In entrambe le opere emerge chiaramente come, pur amando la giustizia grazie

all’interesse comune, l’uomo non sia sempre in grado di riconoscerlo e possa prendere talvolta decisioni ingiuste (che favoriscono l’interesse privato a discapito di quello comune) anche in buona fede.

Il discrimine più evidente tra la situazione corsa e quella polacca risiede proprio in un diverso radicamento dell’interessse collettivo. La Corsica, per riprendere una celebre formula del Contrat

45 Cfr. D. Williams, Justice and the General Will: Affirming Rousseau’s Ancient Orientation, «Journal of the History of Ideas», LXVI, 2005, 3, pp. 383-411.

46 Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres… (1751-1765), ad voc. «INTERÊT, (Morale)», vol. VIII, p. 818.

47 J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 373, trad. it. cit., p. 106.

48 J.-J. Rousseau, Émile, cit., p. 491, trad. it. cit., p. 330. Per uno studio analitico della categoria di «convenienza» nel pensiero di Rousseau, cfr. F. Guénard, Rousseau et le travail de la convenance, Paris, Honoré Champion, 2004.

49 J.-J. Rousseau, Émile, cit., p. 858, trad. it. cit., p. 708. 50 Ivi, p. 602, trad. it. cit., p. 444.

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social52, è secondo Rousseau l’unica nazione europea pienamente predisposta a ricevere una buona

costituzione grazie al ben sviluppato patriottismo dei suoi abitanti, sorretto da una salda comunione d’interessi: «La vita isolata e semplice li rendeva indipendenti e robusti; ognuno conosceva un solo padrone: se stesso; ma tutti avevano i medesimi interessi»53. In Polonia, al contrario, la frammentazione politica e sociale coincide con una moltiplicazione di interessi particolari che vanno a discapito di quello comune. Lo stesso problema si riscontra nel rapporto tra le singole istituzioni, come conferma l’esempio del Senato: «Il senato, essendo nello Stato un corpo particolare, ha necessariamente degl’interessi di corpo diversi da quelli della nazione, e a volte, per certi rispetti, persino in contrasto con i medesimi»54. Anche in questo caso, tuttavia, non si tratta affatto di combattere l’interesse o di sradicarlo. Poiché, come ricorda l’illuminante affermazione secondo cui «non si può far agire gli uomini se non per interesse»55, sarà necessario «costruire» (attraverso scelte dolorose, su tutte la rinuncia al principio della democrazia diretta) un nuovo interesse comune, cementato – come mostrato da Bronisław Baczko – da feste e manifestazioni pubblice56.

Gli scritti sulla Corsica e la Polonia, per molto tempo guardati con sospetto dalla critica, confermano in maniera decisiva quell’unione tra dovere e interesse, tra giustizia e utile, che caratterizza la politica normativa di Rousseau. Egli non ricerca mai, in una prospettiva istituzionale, le modalità organiche di un diritto di governo (nel caso della Polonia, ad esempio, non si pone in alcun modo il problema del potere giudiziario o dello statuto del giudice), quanto piuttosto, come ricorda il sottotitolo del Contrat social, i principi del diritto politico. La giustizia s’identifica allora in definitiva con quell’uguaglianza di diritto che esprime l’interesse comune, senza di cui la volontà generale non potrebbe essere ciò che deve essere.

5. Conclusione

La dialettica tra utilità e giustizia che viene a delinearsi nell’opera di Rousseau, e che abbiamo qui provato a ricostruire per sommi capi, mette in luce in tutta la sua affascinante complessità la sfida che offre la costruzione della «società possibile».

Tale dialettica ci ricorda come Rousseau non smise mai di fare i conti, attraverso un realismo doloroso e talvolta angosciato, con l’essere umano così com’è, con tutte le sue contraddizioni e debolezze. Per questa ragione, la nozione di interesse, per quanto a tratti scomoda, non può essere messa da parte, se non a costo d’ignorare o smussare quelle «asprezze» del pensiero di Rousseau (che Tanguy L’Aminot ha efficacemente definito rugosités57) che gli conferiscono invece la sua

profondità e attualità. Già nel 1761, d’altronde, quando il giovane ammiratore Grimprel d’Offreville lo aveva interrogato sulla possibilità di una morale «perfetta», incentrata sul dovere per il dovere, la piccata risposta di Rousseau, inviata il 4 di ottobre, non lasciava adito a dubbi:

52 «In Europa vi è ancora un paese capace di ricevere legislazione; è l’isola di Corsica» (J.-J. Rousseau, Du contract social, cit., p. 391, trad. it. cit., p. 125).

53 J.-J. Rousseau, Constitution pour la Corse, in Id., Œuvres complètes, vol. III, p. 916, trad. it. (modificata) di M. Garin con il titolo Progetto di costituzione per la Corsica, in Id., Scritti politici, cit., vol. III, p. 134.

54 J.-J. Rousseau, Sur le gouvernement de Pologne, in Id., Œuvres complètes, vol. III, p. 984, trad. it. di M. Garin con il titolo Considerazioni sul governo di Polonia, in Id., Scritti politici, cit., vol. III, pp. 210-11.

55 Ivi, p. 1005, trad. it. cit., p. 234.

56 Cfr. B. Baczko, Rousseau et l’imagination sociale: du «Contrat social» aux «Considérations sur le gouvernement de Pologne», «Annales de la Société Jean-Jacques Rousseau», XXXVIII, 1974, pp. 25-60; Id., Lumières de l’utopie, Paris, Payot, 1978, pp. 65-100, trad. it. L’utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 63-101; Rousseau, la Corse et la Pologne, actes du colloque de Bastia, 5 et 6 octobre 2007, numero speciale di «Études Corses», LXVI, 2008. Si segnala che, nel novembre del 2016 e nel marzo del 2017, si è svolto un convegno internazionale (Parigi-Varsavia) consacrato a «Rousseau et la Pologne», i cui atti sono in corso di pubblicazione.

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Quando agiamo, è necessario avere un motivo per agire, e questo motivo non può essere estraneo a noi […]. Sarebbe assurdo immaginare che io agissi come se fossi un altro. Non è forse vero che se vi dicessero che un corpo è spinto senza che nulla lo tocchi, voi direste che ciò non è convincente? È la stessa cosa in morale quando si crede d’agire senza nessun interesse58.

Questo non significa, beninteso, voler fare di Rousseau un utilitarista, né indebolire la forza della sua proposta normativa. Si tratta semmai di sottolineare, una volta in più, l’originalità con cui egli ha saputo affrontare il problema della convivenza politica, attraverso un inesausto lavoro di ripresa e rielaborazione di alcune tematiche cruciali della filosofia moderna.

Se è indubbio che la società possibile, occupandosi del bene comune, va oltre gli interessi individuali che la costituiscono, è altrettanto indubbio che è proprio la dialettica dell’interesse a consentire la delineazione dell’orizzonte di «possibilità» in cui si inscrive il progetto normativo di Rousseau. Ecco che allora la dichiarazione d’intenti di voler analizzare ce que l’intérêt prescrit, di primo acchito anodina e contraddittoria, in quanto sembrerebbe far convergere ambiguamente il piano normativo con quello descrittivo, assume un significato ben preciso, che è quello di ricordarci come in Rousseau la condizione ultima di possibilità della politica (o, per usare un gioco di parole, ciò che rende possibile la società possibile) è l’interesse. Trascurare quest’aspetto nello studio di Rousseau è un po’ – per riprendere la bella immagine della Lettre à d’Alembert – come volere restare distesi comodamente a letto mentre la camera brucia.

58 Correspondance complète de Jean-Jacques Rousseau, edizione critica a cura di R.A. Leigh, Genève-Oxford, Institut et Musée Voltaire-The Voltaire Foundation, 1965-98, vol. IX [1500], p. 143. Sull’importanza filosofica di questa lettera, cfr. G. Ambrus, La lettre à d’Offreville, «Annales Jean-Jacques Rousseau», XLVII, 2007, pp. 213-28.

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