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Ruolo del Nutrizionista nell'ambito dei Disturbi Alimentari: valutazione dei prodromi ed inquadramento clinico

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale

in Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA

Ruolo del Nutrizionista nell’ ambito dei Disturbi Alimentari: valutazione

dei prodromi ed inquadramento clinico

Prof. Giovanni Gravina Marica Della Corte

Anno Accademico 2017-2018

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2

A chi c’è sempre,

A chi rappresenta

il motore della mia

intraprendenza!

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3

Indice

Introduzione ………4

I Disturbi del Comportamento Alimentare

1.1 Definizione

...

5

1.2 Distribuzione - Incidenza e Prevalenza

...

12

1.3 Fattori di rischio e fattori eziologici

...

15

Identificazione e Trattamento Clinico di pazienti affetti da DA

2.1 Identificazioni di nuovi casi

...

20

2.2.1 Strumenti di Screening

...

25

2.3 Appropriatezza delle Cure

...

28

2.3.1 Trattamento Clinico - Livelli di Assistenza

...

29

Egosintonia ed Ambivalenza nei Disturbi Alimentari

L'importanza della Motivazione al Cambiamento

3.1 Il Sentimento di Egosintonia

...

32

3.2 Ambivalenza

...

34

3.3 Stile Terapeutico Coinvolgente – Alleanza Terapeutica

...

35

3.4 Abbandono della terapia

...

37

Riabilitazione Nutrizionale per il Trattamento di Disturbi Alimentari

4.1 Approccio Terapeutico e Trattamenti in uso

...

40

4.2 Principi generali della Riabilitazione Nutrizionale

...

41

4.2.1 Obiettivi della Riabilitazione Nutrizionale

...

44

4.2.3 Le strategie di intervento ed i metodi terapeutici

...

46

4.3 Le Diverse Tipologie di Interventi Nutrizionali (Pasto Assistito,

alimentazione meccanica e Training di Familiarizzazione con il Cibo -).

..

48

4.4 Prescrizione dietetica e disturbi alimentari

...

51

(4)

4

INTRODUZIONE

La diffusa prevalenza ed incidenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare specie nella fascia d’età giovanile, insieme alle frequenti complicanze mediche e all’alto tasso di mortalità, impongono crescente attenzione da parte degli specialisti della nutrizione rispetto al loro ruolo nel trattamento.

Fra i diversi aspetti rilevanti per migliorare la prognosi di queste patologie e gli esiti delle cure assume particolare rilievo l’inizio del trattamento in fasi precoci del disturbo. Tale obiettivo è peraltro spesso ostacolato dalle caratteristiche cliniche e dal quadro psicopatologico tipico del disturbo stesso.

Nel presente lavoro, a partire da una revisione degli studi in letteratura e dalle diverse linee guida Nazionali ed Internazionali, vengono descritti gli ostacoli principali per l’inizio del trattamento, le modalità più appropriate per favorire l’ingaggio dei pazienti con disturbi alimentari e la riduzione dei drop-out (interruzione del percorso di cure).

In particolare, insieme alla descrizione dei diversi livelli di intensità crescente di cura e dei diversi setting per il trattamento viene approfondito il ruolo specifico del nutrizionista nell’ approccio a pazienti con disturbi alimentari.

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5

CAPITOLO 1

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Descrizione Generale:

definizione, distribuzione, fattori di rischio

1.1 Definizione

Con la definizione ‘Disturbi del Comportamento Alimentare’ (DCA) ci si riferisce a stati patologici complessi in cui il paziente manifesta la compresenza di alterazioni fisiche e disturbi psichici che, indipendentemente dal movente eziopatogenetico, per poter essere adeguatamente trattati, necessitano dell’intervento multidisciplinare di una équipe terapeutica che includa competenze cliniche psichiatriche, psicologiche, mediche e nutrizionali.

Le patologie classificate come DCA riconoscono vari fattori di rischio ed eziologici di tipo biologico, psicologico e sociale e sono caratterizzate da un’elevata frequenza di complicanze mediche che possono interessare tutti gli organi e gli apparati, spesso con lungo decorso, ricadute, elevato tasso di cronicizzazione e di mortalità.

Nei soggetti affetti da DCA gli aspetti nutrizionali riguardano il rapporto distorto con il cibo, la cui assunzione diviene ridotta e controllata o disordinata a seguito di un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme corporee, associato a specifici tratti psicopatologici; i comportamenti alimentari alterati hanno in genere conseguenze, talvolta anche molto gravi, per la qualità di vita, la salute e il benessere dell’individuo [1].

Nell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – pubblicata dall’Associazione degli Psichiatri Americani (APA) [2], nel capitolo

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6 dedicato ai disturbi dell’alimentazione, sono indicate tre categorie principali, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Disturbo da Alimentazione Incontrollata - Binge-eating disorder (BED), e cinque categorie secondarie, incluse le forme ‘Atipiche’ o ‘Sottosoglia’, che hanno criteri diagnostici differenti rispetto ai disturbi principali, e sono classificati come Disturbi dell’Alimentazione Altrimenti Specificati e Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati.

L’ Anoressia Nervosa è un disturbo alimentare caratterizzato dai seguenti criteri diagnostici riportati nel DSM-5: [3]

• Restrizione persistente dell'introito energetico rispetto al fabbisogno tale da condurre ad un peso corporeo significativamente basso in rapporto all’età, al sesso, alla traiettoria evolutiva e alla salute fisica. Si definisce significativamente basso un peso che sia inferiore a quello minimo normale o, nel caso dei bambini e degli adolescenti, inferiore al peso minimo atteso per l’età e il sesso.

• Intensa paura di ingrassare o diventare grasso, o persistere in comportamenti che interferiscono con l'aumento di peso anche quando questo è significativamente basso.

• Alterazioni nel modo in cui il peso o la forma del corpo vengono vissuti, indebita influenza della forma del corpo e del peso sull'auto-valutazione, o persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell'attuale basso peso corporeo.

Le tipologie di Sottotipi di Anoressia Nervosa sono distinte in:

- Anoressia Nervosa di Tipo Restrittivo, ovvero quando nel corso degli ultimi tre mesi, la persona non ha avuto episodi ricorrenti di abbuffate o di pratiche di svuotamento (cioè vomito autoindotto o abuso/uso improprio di lassativi, diuretici).

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7 Questo sottotipo descrive casi in cui la perdita di peso è ottenuta essenzialmente attraverso diete, digiuni e/o eccessivo esercizio fisico.

- Anoressia Nervosa di Tipo Bulimico/Purgativo: ovvero quando nel corso degli ultimi tre mesi, la persona ha avuto episodi ricorrenti di abbuffate compulsive o di pratiche di svuotamento (cioè vomito autoindotto o abuso/uso improprio di lassativi, diuretici).

Il significato della parola anoressia, dal greco anorexia perdita di appetito, non è del tutto corretto se riferito al disturbo alimentare, poiché le persone anoressiche sono patologicamente colpite dalla volontà di essere magre, piuttosto che dalla carenza di appetito.

Nella maggior parte dei casi, i soggetti affetti da tale disturbo sono restii ad ammettere la gravità della condizione in cui si trovano. Data la compresenza di vari fattori causali non è sempre facile individuare la patologia nei soggetti affetti, ed il trattamento clinico deve essere condotto attraverso interventi coordinati di specialisti dei diversi ambiti interessati.

La Bulimia Nervosa è un disturbo alimentare che, allo stesso modo dell’AN, è causato da un rapporto distorto con il cibo, da un’attenzione eccessiva rispetto alla valutazione delle forme e del peso corporeo, ed in alcuni casi dalla compresenza di fattori causali di natura psichiatrica. Nella fase inziale del disturbo, la BN ha caratteristiche molto simili all’ AN ma i soggetti con BN attuano comportamenti di compenso in seguito a pasti molto abbondanti o vere e proprie ‘abbuffate’.

I criteri diagnostici riportati nel DSM-5 sono:

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8 – mangiare, in un periodo circoscritto di tempo (ad esempio 2 ore), una quantità di cibo che è indubbiamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso arco di tempo in circostanze simili;

– un senso di mancanza di controllo sul mangiare durante l’episodio (ad esempio sentire di non poter smettere o controllare cosa o quanto si sta mangiando).

•Ricorrenti comportamenti inappropriati di compenso al fine di prevenire aumento di peso, come vomito autoindotto; abuso/uso improprio di lassativi, diuretici, digiuno, o esercizio fisico eccessivo.

•Le abbuffate compulsive e i comportamenti inappropriati di compenso si verificano in media almeno una volta a settimana per almeno tre mesi.

•L’autovalutazione è indebitamente influenzata dalle forme e dal peso del corpo.

•Il disturbo non capita esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

La presenza del disturbo di bulimia nervosa non è di semplice individuazione in quanto le ricorrenti abbuffate tendono a far rimanere il peso dei soggetti affetti nella norma o poco al di sotto di essa. Pertanto in un soggetto con IMC inferiore a 18,5 la presenza di abbuffate e comportamenti di compenso è in genere riferibile ad una AN di tipo binge/purging, mentre in un soggetto con IMC uguale o maggiore a 18,5 la presenza di abbuffate e vomito è riferibile a BN.

Il Binge – Eating Disorder è un disturbo alimentare caratterizzato dalla presenza di abbuffate senza ricorso a metodi inappropriati di compenso. I criteri diagnostici riportati nel DSM-5 sono i seguenti:

•Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata compulsiva è caratterizzato da:

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9 – mangiare, in un periodo circoscritto di tempo (ad esempio 2 ore), una quantità di cibo che è indubbiamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso arco di tempo in circostanze simili;

– un senso di mancanza di controllo sul mangiare durante l’episodio (ad esempio sentire di non poter smettere o controllare cosa o quanto si sta mangiando).

•Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi:

– mangiare molto più rapidamente del normale;

– mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;

– mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;

– mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando;

– sentirsi disgustati verso se stessi, depressi, o molto in colpa dopo le abbuffate.

•È presente un disagio marcato rispetto al mangiare senza controllo.

•L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta a settimana per tre mesi consecutivi.

•L’abbuffata non risulta associata all’ utilizzo di comportamenti compensatori inappropriati (per es., uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico) e non si verifica esclusivamente in corso di Anoressia Nervosa o di Bulimia Nervosa.

Nel BED l’assenza di comportamenti compensatori post abbuffata comporta come conseguenza, per la maggior parte dei pazienti, obesità e patologie correlate ad un peso corporeo superiore alla norma, come diabete e problemi cardio vascolari.

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10 Oltre ai tre disturbi alimentari principali sopra descritti sono state individuate altre forme di DCA, definite ‘Atipiche’ o ‘Sottosoglia’, nelle quali non sono completamente rispettati i criteri diagnostici delle forme principali. Nel DSM-5 vengono distinte due forme di DA atipico: i Disturbi dell’Alimentazione Altrimenti Specificati ed i Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati.

Tra le forme di OSFED – Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione altrimenti specificati rientrano:

L’ Anoressia Nervosa Atipica caratterizzata da fattori diagnostici molto simili a quelli dell’anoressia nervosa, con restrizione alimentare ma senza marcato sottopeso.

La Bulimia Nervosa a Bassa Frequenza e/o di Durata Limitata con criteri diagnostici molto simili a quelli della bulimia nervosa ma con minore frequenza degli episodi binge/purge, che in genere sono inferiori a 1 volta alla settimana nell’arco di tre mesi.

Il Disturbo da Binge-Eating a Bassa Frequenza e/o Durata Limitata con criteri

diagnostici simili al Binge-Eating Disorder, ma con minore frequenza delle abbuffate che, in questo caso, avvengono 1 volta alla settimana e/o per meno di tre mesi.

Il Disturbo da Condotta di Eliminazione si verifica in soggetti che sporadicamente utilizzano condotte di eliminazione come il vomito autoindotto o il consumo eccessivo di lassativi e/o diuretici, al fine di tenere sotto controllo il peso corporeo, seppur in assenza di abbuffate.

La Sindrome da Alimentazione Notturna che può essere associata al BED, alla BN e/o a psicopatologie come depressione, attacchi d’ansia ed abuso di sostanze. Ciò

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11 che caratterizza questa sindrome, a differenza del BED o della BN, è il verificarsi degli episodi di abbuffate dopo cena o nel corso della notte.

Tra i Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati – UFED rientrano tutte quelle forme di disturbo alimentare per le quali non è possibile riconoscere tutti i criteri diagnostici specifici delle altre forme descritte, come nei casi particolari in cui le informazioni di cui si dispone non sono sufficienti per poter fare una diagnosi più specifica (ad esempio durante una valutazione in Pronto Soccorso).

E’ importante sottolineare che le forme OSFED e UFED possono comunque presentare caratteristiche cliniche di gravità analoghe alle forme principali.

Infine nel DSM-5 vengono descritte tre ulteriori tipologie di disturbo dell’alimentazione che si verificano più frequentemente in genere durante l’età Infantile o nella prima fanciullezza.

Queste altre patologie sono:

la Pica, dal latino gazza, disturbo che viene diagnosticato quando si verifica “la persistente ingestione di una o più sostanze senza contenuto alimentare e non commestibili per un periodo uguale o superiore a 1 mese’’. Le sostanze ingerite posso essere ad esempio la terra, il cotone, i capelli, la carta, il sapone, e la dannosità della pica risiede proprio nella tossicità delle sostanze che si ingeriscono.

il Disturbo da Ruminazione che si verifica in soggetti che dopo aver mangiato rigurgitano il cibo, successivamente rimasticato, sputato o inghiottito. Il disturbo si diagnostica in assenza di problematiche gastrointestinali o altre eventuali patologie che potrebbero causare la ruminazione, e quando si verifica per un periodo uguale o maggiore ad un mese.

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12 Il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo, caratterizzato da un’ampia riduzione della varietà di alimenti consumati; i soggetti affetti dal disturbo si nutrono solo di ciò che selezionano in base a propri criteri arbitrari causando come conseguenza la “persistente incapacità di soddisfare le appropriate necessità nutrizionali e/o energetiche”. Il disturbo si diagnostica in casi in cui la restrizione è dettata dalla volontà del paziente e non da motivazioni etiche, religiose o di mancata possibilità di approvvigionamento.

1.2 Distribuzione - Incidenza e Prevalenza

L’esordio dei disturbi alimentari si verifica nella maggior parte dei casi durante l’età adolescenziale, ma è possibile anche che si verifichino casi di anoressia e bulimia nervosa in età adulta, più spesso associati a problematiche psichiche come ansia e depressione.

Negli ultimi 50 anni, la diffusione di disturbi del comportamento alimentare ha interessato in larga parte i Paesi Occidentali per l’influenza di fattori socio-culturali, quali le preoccupazioni per un’alimentazione ipercalorica e la valorizzazione dell’ideale estetico della magrezza. Tale fenomeno ha incoraggiato le giovani donne a rimodellare il proprio corpo attraverso diete restrittive e intensa attività fisica. Per una adeguata valutazione dei dati epidemiologici occorre precisare che per ‘Prevalenza Puntiforme’ si intende la percentuale di popolazione affetta da una patologia in un determinato momento, per ‘Prevalenza Lifetime’ si intende la percentuale di una popolazione che sviluppa una malattia nel corso della vita; per ‘lncidenza’ si intende il numero di casi che si verificano “ex novo” in una popolazione.

Nella tabella sono riportati i dati di Incidenza, Prevalenza Puntiforme e Prevalenza Lifetime dell’Anoressia Nervosa stimati su pazienti di sesso femminile appartenenti ad una popolazione di 100.000 persone in Italia, nell’arco temporale di un anno.

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13 Sesso Incidenza Prevalenza Puntiforme Prevalenza Lifetime Donne 8 nuovi casi 0,2 – 0,9 % 0,9 %

Tabella 1. Da Quaderni del Ministero della Salute n.17/22 luglio-agosto 2013

I Disturbi Alimentari, siano essi atipici o primari, interessano in percentuale maggiore il sesso femminile. L’incidenza dell’anoressia nervosa è stimata essere di almeno 8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi/anno.

Negli studi condotti su popolazioni cliniche, gli uomini presentano il 5-10% di tutti i casi di Anoressia Nervosa, il 10-15% dei casi di Bulimia Nervosa e il 30-40% dei casi di BED [4]. La media europea sembra attestarsi allo 0,9% e in Italia si stima sia 0,3-0,4% circa [5].

Nel caso di disturbi alimentari che interessano il genere maschile si utilizzano gli stessi criteri diagnostici di riferimento utilizzati per il genere femminile.

I fattori eziopatologici e le motivazioni che portano all’insorgenza della patologia sono simili per entrambi i sessi, come ad esempio l’insoddisfazione per il proprio corpo, cosi come risultano simili le caratteristiche evolutive e le conseguenze della patologia.

Una varietà di disturbo alimentare la cui incidenza è in aumento, con netta prevalenza nel genere maschile, è la ‘Vigoressia’, ovvero la preoccupazione sempre maggiore degli uomini rivolta alle forme ed alle dimensioni della muscolatura, a cui consegue un’ossessione per l’attività fisica.

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14 La diffusione dei DA rappresenta un grave problema di salute pubblica, non solo per l’elevata prevalenza e l’alto indice di mortalità nelle fasce di età giovanile, ma anche perché negli ultimi 10 anni si è verificato un abbassamento della soglia di età di esordio. Sono in aumento casi di DA in età prepuberale, e la preoccupazione risiede nella maggiore gravità delle conseguenze della patologia; infatti in questi casi le conseguenze della malnutrizione colpiscono tessuti che non hanno completato la loro piena maturazione, come il tessuto osseo ed il SNC.

E’ importante infine sottolineare la difficoltà ad avere dati e indicazioni esatte sulla diffusione dei DCA rispetto ad altre psicopatologie. Questo si verifica perché i DA sono spesso associati ad altre problematiche psichiatriche (es. disturbi dell’umore o disturbi di personalità); inoltre, soprattutto nella fase di esordio, i sintomi possono essere sottovalutati, o mascherati dai pazienti stessi, non permettendo un intervento tempestivo e appropriato delle cure specialistiche necessarie, essenziali al fine di evitare complicanze e gravi conseguenze alla salute del corpo e della mente.

In ogni caso, i dati in letteratura mostrano che soggetti affetti da Anoressia Nervosa hanno un rischio di mortalità 5-10 volte maggiore rispetto a soggetti della stessa età e dello stesso sesso.

Infatti, secondo una meta-analisi condotta da Harris e Barraclough nel 1998 [6], l’Anoressia Nervosa costituiva il disturbo mentale con il più alto tasso di mortalità; dati confermati dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute e da diversi studi scientifici secondo i quali negli USA i disordini alimentari rappresentano la prima causa di morte per malattia mentale, specie in età giovanile.

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15 A livello nazionale i dati a disposizione sono relativamente pochi e, per di più, gli studi condotti in Italia sono spesso confinati all’interno delle singole regioni. Uno studio di Favaro A. e coll. che fornisce dati epidemiologici attendibili circa la diffusione dei DA è stato condotto nella provincia di Padova su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni.

Dai dati ottenuti risulta che l’Anoressia Nervosa aveva una prevalenza puntale dello 0,3%, ed una prevalenza lifetime del 2%.

La Bulimia Nervosa aveva una prevalenza puntuale dell’1,8%, ed una prevalenza lifetime del 4,6%.

Le forme di Anoressia sottosoglia avevano una prevalenza puntuale dello 0,7 %, ed una prevalenza lifetime del 2,6%.

Le forme atipiche di Bulimia Nevosa avevano una prevalenza puntuale del 2,4%, ed una prevalenza lifetime del 3,1%.

Infine la Prevalenza di tutti i DA nel campione esaminato era del 5,3%.

Rispetto alle forme atipiche alcuni studi hanno dimostrato che queste forme interessano maggiormente il sesso femminile nell’età adolescenziale, e che circa la metà dei pazienti affetta da Disturbo Alimentare presenta una forma atipica [7].

1.3 Fattori di rischio e fattori eziologici

I tre disturbi principali, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Disturbo da Alimentazione Incontrollata, e le forme atipiche, riconoscono comuni fattori eziopatogenetici. Sono in genere chiamati in causa fattori genetici, ambientali e, soprattutto, psicologici e sociali, variamente associati nei diversi casi; è frequente inoltre la compresenza di un’altra patologia psichiatrica oltre al DA.

Il picco di incidenza dei DCA si verifica nel periodo adolescenziale, durante questa fase di transizione i cambiamenti fisici causati dalle fisiologiche variazioni ormonali e

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16 l’evoluzione dei processi neuro-encefalici contribuiscono alla determinazione di

specifiche caratteristiche di personalità’ che possono favorire l’insorgenza e il

mantenimento del disturbo nel tempo.

Tra queste sono da ricordare in particolare: il perfezionismo, la bassa autostima, la difficoltà nel gestire le proprie emozioni, il disagio interpersonale, il controllo eccessivo su se stessi e sugli altri, la fobia sociale.

I fattori di rischio ambientali sono distinti in ‘precoci’ e ‘tardivi’ [8]. Per fattori di rischio

precoci si fa riferimento alla vita intrauterina del paziente, ad abusi e molestie

sessuali in età infantile, al trauma della separazione delle figure di accudimento in età infantile; fattori che possono influenzare le prime fasi del neurosviluppo e della programmazione dei sistemi neurali in risposta allo stress.

Per fattori di rischio tardivi ci si riferisce a relazioni familiari conflittuali con anaffettività e scarsa empatia, pressioni da parte dei familiari, dei pari o di altre figure significative sul peso e le forme corporee, desiderio di magrezza e scelte dietetiche incongrue o non necessarie, attenzione per il peso corporeo e utilizzo di sostanze psicoattive.

Il ruolo delle relazioni familiari come fattori di rischio, di innesco e di mantenimento dei disturbi alimentari è stato ampiamente studiato negli anni, a partire alla fine dell’800. Tra gli autori che per primi hanno descritto anoressia e bulimia nervosa, William W. Gull sottolineava che “i familiari del paziente anoressico sono i peggiori aiutanti per i propri figli”; d’altra parte Ernst C. Lasègue affermava che “la famiglia è essenziale nel trattamento dell’AN in quanto c’è un collegamento tra stato morboso e preoccupazione dei familiari”. [9]. Studi più recenti hanno rilevato come nei bambini lo sviluppo di comportamenti alimentari evitanti il cibo sia favorito dagli atteggiamenti materni nei confronti dell’alimentazione [10]. In famiglie di soggetti con disturbo

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17 alimentare Squires et al. [11] hanno rilevato alcune caratteristiche negative quali scarsa capacità di supporto, difficoltà nel risolvere i conflitti e tendenza a ignorare o negare i problemi. Altri studi hanno indicato che bassi livelli di cure genitoriali, iperprotettività, e attitudini negative rispetto al cibo da parte dei genitori, possono favorire l’insorgenza di disturbi alimentari [12].

In sintesi, numerosi studi hanno dimostrato come le relazioni familiari possono incidere sullo sviluppo di comportamenti errati verso il cibo. A partire dagli studi dello psicoterapeuta e psichiatra argentino Minuchin, [13] è stata altresì sottolineata come la cura dei disturbi alimentari debba affrontare le relazioni familiari disfunzionali, con l’obiettivo di modificare le relazioni stesse, al fine di risolvere una delle possibili cause del disturbo, dando in tal senso alla famiglia anche il valore di una risorsa nel percorso di cura. Di conseguenza migliorare le dinamiche familiari rappresenta uno degli obiettivi del percorso terapeutico in pazienti affetti da DA. Come recentemente indicato dalla Academy of Eating Disorders, la famiglia non può essere ritenuta causa primaria dei DCA, ma al contrario è importante fornire sostegno ai familiari, aiutarli a evitare atteggiamenti favorevoli al disturbo e potenziare il loro coinvolgimento nel trattamento.

Rispetto ai fattori eziopatologici dei DA l’eccessiva importanza attribuita alla dieta, il costante controllo del peso e delle forme corporee (body checking) e la percezione distorta della propria immagine accomunano pazienti affetti da DCA e rappresentano importanti fattori causali dei disturbi alimentari. Inoltre specie nei Paesi Occidentali l’idea che un corpo magro possa rappresentare un vantaggio per l’accettazione e l’affermazione sociale ha favorito l’incidenza di queste patologie.

Quasi tutti i disturbi iniziano con una dieta, al tentativo di mantenere una ferrea restrizione calorica consegue la malnutrizione sostenuta dall’alterato apporto di

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18 nutrienti, dall’ eliminazione di classi di alimenti e/o dall’abitudine di saltare uno o due pasti al giorno. Gli episodi bulimici, presenti in un ampio gruppo di pazienti con DA, conseguono in genere alla difficoltà nel mantenere una dieta ferrea e nel gestire gli stati emotivi associati alla psicopatologia. Le alterazioni del peso corporeo non rappresentano comunque un criterio imprescindibile, in quanto anche soggetti normopeso possono essere affetti da DA.

Uno dei più accreditati modelli esplicativi dei meccanismi psicologici in causa nei disturbi alimentari è rappresentato dalla Teoria Cognitivo Comportamentale Transdiagnostica [14], cognitivo- comportamentale perché analizza i pensieri e i comportamenti dei pazienti e transdiagnostica perché applicabile a tutte le forme dei DA.

La teoria sostiene che l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione sia il nucleo psicopatologico centrale dei disturbi dell’alimentazione; le persone si valutano generalmente in base alla percezione della loro adeguatezza in una varietà di domini della vita (per esempio, relazioni interpersonali, scuola, lavoro, sport, abilità intellettuali e genitoriali, ecc.); i soggetti affetti da disturbi dell’alimentazione si valutano in modo predominante o pressoché esclusivo in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del corpo e sull’alimentazione (spesso tutte e tre le caratteristiche). Il controllo sull’alimentazione e sul peso rappresenta la risposta alle difficoltà che il soggetto vive, più o meno consapevolmente, rispetto al bisogno di riconoscimento, al senso di adeguatezza nelle relazioni, alla gestione dei propri stati emotivi. L’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo sull’alimentazione è anche il principale fattore mantenimento dei disturbi dell’alimentazione: la maggior parte delle altre caratteristiche cliniche deriva, infatti, direttamente o indirettamente da questa psicopatologia centrale. Ad esempio, i comportamenti estremi di controllo del

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19 peso (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo e compulsivo, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e di diuretici), cosi come il raggiungimento e il mantenimento di un basso peso, sono comprensibili se una persona ritiene che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo siano di estrema importanza per giudicare il proprio valore. [15]

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20

CAPITOLO 2

Identificazione e Trattamento Clinico di

pazienti affetti da DA

2.1 Identificazioni di nuovi casi

I disturbi alimentari rappresentano un problema di salute che colpisce in percentuale elevata gli adolescenti ed i giovani adulti, e che può persistere fino ad un’età avanza-ta impatavanza-tando negativamente sulla qualità della viavanza-ta del soggetto affetto. Un aspetto fondamentale per il trattamento è rappresentato dall’ importanza di porre Diagnosi

Precoce del disturbo.

Solo una parte dei soggetti con DA riceve un trattamento adeguato a causa di dia-gnosi tardive, spesso dopo molti anni di malattia quando il disturbo ha prodotto danni invalidanti e/o irreversibili. I sintomi della malnutrizione in genere non sono precoci, ma più tardivo è l’inizio del trattamento peggiore è la prognosi.

Rispetto a tale considerazione, di particolare interesse sono i dati epidemiologici di due studi.

Nel primo di essi, condotto dall’ Harvard Medical School di Boston, dal titolo

Recupe-ro e recidiva in anoressia e bulimia nervosa: uno studio di follow-up di 7,5 anni [16]

sono stati valutati il decorso e l'esito dell'anoressia nervosa (AN) e della bulimia ner-vosa (BN) con 90 mesi di follow-up su 246 donne con disturbi alimentari.

Dai risultati si è evinto che la remissione completa in donne con BN era significativa-mente maggiore di quella in donne con AN, rispettivasignificativa-mente il 74% e il 33% nei 90 mesi di follow-up.

Il più forte fattore predittivo di esito peggiore è risultata la diagnosi di AN, e nessun predittore di guarigione è emerso tra i soggetti bulimici.

(21)

21 parziale.

Dopo la remissione si è verificata una ricaduta in circa un terzo dei soggetti inclusi nello studio.

Non sono emersi fattori predittivi di ricaduta.

In conclusione i risultati di questo studio suggeriscono che il decorso dell'AN è carat-terizzato da alti tassi di remissione parziale e bassi tassi di remissione completa, mentre il decorso della BN è caratterizzato da tassi più elevati di recupero sia parzia-le che totaparzia-le.

In un altro studio, condotto dal dipartimento di psichiatria infantile e dell'adolescenza dell’Università di Zurigo, dal titolo Il risultato dell'anoressia nervosa nel 20 °

seco-lo,[17] rivalutando 119 studi pubblicati nella letteratura inglese e tedesca, sono stati

rilevati la mortalità, l'esito globale e altri disturbi psichiatrici al follow-up su 5.590 pa-zienti affetti da anoressia nervosa.

I risultati hanno fornito i dati seguenti: la mortalità stimata sulla base di tassi sia grez-zi che standardizzati era significativamente alta. Tra i pagrez-zienti, in meno della metà si è avuta remissione totale, in un terzo si è avuto miglioramento con remissione parzia-le, nel 20% si è avuta cronicizzazione. La presenza di altri disturbi psichiatrici al fol-low-up era molto comune. La durata più lunga del folfol-low-up e l'età più giovane all'e-sordio della malattia sono stati associati a un risultato migliore.

Gli autori dello studio concludono che il decorso e gli esiti dell’anoressia nervosa non sono migliorati nella seconda metà del secolo scorso, sottolineando la necessità di ulteriori studi sulle cause e sul trattamento del disturbo al fine di migliorare la progno-si dei pazienti con anoresprogno-sia nervosa.

Fra gli elementi chiamati in causa per favorire l’obiettivo di una migliore prognosi nei DA è richiamata da molti Autori l’importanza di una diagnosi precoce. Figure di

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riferi-22 mento come la famiglia, gli amici, gli insegnati, il medico di medicina generale ed il pediatra di libera scelta hanno un ruolo decisivo nell’ individuazione di un soggetto nella fase iniziale del disturbo, ed è quindi fondamentale saper riconoscere determi-nati sintomi e/o comportamenti prodromici che ne indichino la presenza o il probabile sviluppo.

L’identificazione di un soggetto affetto da DA e la diagnosi precoce del disturbo sono spesso ostacolati da molti fattori: l’idea che la restrizione calorica nell’adolescente rappresenti solo un fenomeno transitorio a cui dare poca importanza, la sempre maggiore accettazione sociale della dieta come modalità “normale” di alimentarsi, la scarsa conoscenza dei fenomeni psicologici sottostanti questi comportamenti; altro ostacolo di rilievo è costituito dal fatto che spesso il controllo sul cibo e sulle forme del corpo viene ricercato e perseguito dal soggetto come una risposta, una sorta di soluzione, a difficoltà emotive e relazionali; il disturbo è vissuto quindi come “egosin-tonico” e spinge il soggetto a sottrarsi alle cure, rinforzandone anzi la resistenza e la scarsa motivazione al trattamento.

Per questo il soggetto tende a sottovalutare gli eventuali sintomi e raramente decide di richiedere cure; anche quando viene sollecitato a farlo, in genere, raramente è per l’alterato comportamento alimentare, ma più spesso per sintomi correlati al DA come l’amenorrea o i disturbi digestivi. E’ importante pertanto che le figure professionali coinvolte in prima istanza (il pediatra, il medico di medicina generale o specialisti co-me il ginecologo o il gastroenterologo) a loro volta siano in possesso di adeguate e specifiche competenze per poter riconoscere i sintomi atipici del disturbo e indirizzare il paziente verso cure adeguate, efficaci e tempestive.

In uno studio molto interessante pubblicato nel 2017 sull’ International Journal of Ea-ting Disorders, con una meta-analisi su 9.468 articoli scientifici, è stata fatta una

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revi-23 sione completa relativa alle caratteristiche del primo contatto tra soggetti con DA e operatori sanitari e sono stati evidenziati gli ostacoli e i facilitatori della richiesta

ini-ziale di cura ("primo contatto") [18]. I principali fattori predittivi ricavati dallo studio

come favorevoli alla richiesta di cura sono stati l’età adulta, la presenza di compor-tamenti purging, il disagio emotivo e le preoccupazioni per la salute; gli ostacoli prin-cipali alla richiesta di cura sono stati identificati nei sentimenti personali di vergogna / paura, nelle credenze / percezioni relative al DA, nelle difficoltà di accesso e scarsa disponibilità di servizi specialistici dedicati ai DA. Un dato di particolare rilievo rilevato nello studio, a conferma delle difficoltà insite nel trattamento dei DA, è che due ele-menti critici come il basso IMC e l’età adolescenziale non sono risultati fattori signifi-cativi per la richiesta di cure.

Il riconoscimento precoce dei sintomi prodromici del DA, i campanelli d’allarme per la presenza del disturbo, è quindi fondamentale in una prima fase di screening.

Solitamente il primo contatto con il medico avviene attraverso la mediazione di fami-liari, preoccupati per gli atteggiamenti anomali del soggetto, per il calo ponderale o la restrizione eccessiva dell’intake calorico, o più spesso per sintomi aspecifici come eccessiva stanchezza, disturbi gastrointestinali, intolleranza al freddo, perdita di ca-pelli, irregolarità mestruali o amenorrea, presunte intolleranze o allergie alimentari. Le caratteristiche che fanno sospettare la presenza di un DA possono essere indivi-duate precocemente attraverso la raccolta dei dati anamnestici, ponendo specifica attenzione a incongruenze dello stile alimentare (eccessiva riduzione dell’intake gior-naliero, regole dietetiche rigide autoimposte, esclusione di determinati alimenti, epi-sodi di discontrollo nell’assunzione del cibo) e, soprattutto, rilevando cosa il paziente riferisce in merito al controllo sul proprio peso e forme corporee, in particolare riguar-do alla insoddisfazione corporea, al bisogno di avere un corpo più magro e alla preoccupazione di ingrassare.

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24 In alcuni casi, insieme alla richiesta di perdere peso, possono essere rilevati l’uso inadeguato di lassativi e diuretici e, per la bulimia nervosa, le conseguenze fisiche causate dal vomito autoindotto (erosioni gengivali, ipertrofia delle ghiandole salivari, pirosi gastrica e, più raramente, lesioni sul dorso della mano). Frequenti, infine, sono le variazioni del tono dell’umore (irritabilità, ansia, insonnia).

Per poter escludere la presenza di altre patologie con sintomi simili a quelli dei DA, il medico deve effettuare una Diagnosi Differenziale.

Per la perdita di peso sono da escludere infezioni, malassorbimento, malattie au-toimmunitarie, neoplasie, malattie endocrine, uso di sostanze stupefacenti.

Per l’amenorrea bisogna escludere la presenza di gravidanza, di problemi alle ovaie, all’utero, prolattinoma ed altre malattie ipotalamiche.

Per i disturbi psichiatrici sono da rilevare i disturbi dell’umore, quali ansia e depres-sione clinica, e il disturbo ossessivo compulsivo, quadri clinici che, peraltro, spesso sono associati al DA.

Altro elemento chiave per la diagnosi di un DA è la valutazione del rischio fisico, at-traverso la misurazione di peso e altezza e la determinazione dell’Indice di Massa Corporea, la misurazione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della temperatura corporea, l’esame delle estremità, l’auscultazione cardiaca, la valutazio-ne della composiziovalutazio-ne corporea (in gevalutazio-nere con Bioimpedenziometria), la valutaziovalutazio-ne di esami bioumorali e ormonali specifici e, quando necessario, di indagini strumentali come Elettrocardiogramma ed Ecografia cardiaca.

Come detto le principali difficoltà nell’individuare precocemente la presenza di un DA sono essenzialmente due: da un lato vi è la Natura Psicopatologica del disturbo che porta il paziente a sottovalutare, mascherare o nascondere i sintomi, talora con diffi-coltà a parlarne apertamente, oppure con senso di vergogna e di inadeguatezza;

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25 dall’altro lato vi è la Scarsa Esperienza Clinica che è causa di atteggiamenti sbagliati come la formulazione di giudizi negativi o commenti critici rispetto al comportamento del paziente, la mancanza di ascolto e di empatia, la sottovalutazione dei sintomi ini-ziali del disturbo.

Su queste basi, vista la diffusione e la prevalenza dei DA specialmente nelle fasce di età giovanile, è sempre maggiore l’esigenza di una adeguata formazione degli opera-tori sanitari e degli specialisti. Negli ultimi anni, infatti, insegnamenti specifici sui DA sono stati inseriti negli ordinamenti didattici dei corsi di laurea e di specializzazione delle figure professionali interessate al primo approccio con pazienti a rischio di DA.

2.2.1 Strumenti di Screening

In base a quanto detto finora il primo incontro con il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta è un momento fondamentale per l’identificazione di un sog-getto ad alto rischio o con DA.

Ad esempio alcuni semplici quesiti posti con atteggiamento non giudicante dal medi-co, come: “Pensa di avere dei problemi con l’alimentazione?” o “E’ molto preoccupa-to del suo peso e delle forme del suo corpo?”, possono orientare verso la presenza di un DA e indicare l’opportunità di ulteriori approfondimenti a riguardo.

Per ampliare la valutazione è utile anche ricostruire le variazioni del peso corporeo nel tempo, i possibili cambiamenti delle abitudini alimentari, il farsi raccontare le scel-te nutrizionali attuali, sul piano quali-quantitativo, con la descrizione di una “giornata - tipo”, così come chiedere la frequenza con cui il soggetto svolge attività fisica e con-trolla il suo peso e le forme del corpo.

Strumenti di indagine più strutturati, a disposizione dei medici che operano nel primo livello di cure, utili per la valutazione di soggetti appartenenti a gruppi ad alto rischio (come le adolescenti e le giovani donne con problemi di amenorrea o IMC basso o elevato, disturbi psicologici o preoccupazioni per le forme ed il peso corporeo) sono i

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Questionari di Screening.

Uno dei più utilizzati è il questionario SCOFF [19], definito dalla SISDCA – Società Italiana per lo Studio Del Comportamento Alimentare – come “uno strumento di screening caratterizzato da cinque domande volte a chiarire il sospetto che un distur-bo alimentare possa esistere piuttosto che per fare una diagnosi “. Le domande, che possono essere formulate oralmente o consegnate in forma scritta, sono le seguenti: 1. Si è mai sentita disgustata perché sgradevolmente piena?

2. Si è mai preoccupata di aver perso il controllo su quanto aveva mangiato? 3. Ha perso recentemente più di 6 Kg in un periodo di 3 mesi?

4. Le è mai capitato di sentirsi grassa anche se gli altri le dicevano che era troppo magra?

5. Affermerebbe che il cibo domina la sua vita?

Una risposta affermativa a due o più domande è indicativa della possibile presenza di un DA.

Di particolare interesse è poi di un nuovo strumento di screening per l’identificazione di casi a rischio per disordini alimentari: “The Inventory for the Screening of Eating

Disorders – ISED” [20] messo a punto da un gruppo di lavoro dell’Università di

Cam-bridge. Il test ISED è stato confrontato con l’Eating Attitude Test e validato da ricerca-tori italiani su un gruppo campione di 218 adolescenti, studentesse reclutate in un Istituto Tecnico di Mestre, e 88 pazienti provenienti dall'Ambulatorio per i Disturbi dell'Alimentazione dell'Università di Padova.

Del nuovo questionario ISED è stata valutata l’ affidabilità, la validità e la capacità di screening. I risultati sono stati i seguenti: l'affidabilità del questionario e la validità convergente in correlazione con EAT sono risultate buone. Per potenziare la capacità di screening, il questionario è stato suddiviso in due sottoscale, una specifica per

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27 identificare i casi di anoressia nervosa (ISED-AN) e una per i casi di bulimia nervosa (ISED-BN). La capacità di screening delle due sottoscale è risultata superiore a quel-la dimostrata dall'EAT anche se in modo non statisticamente significativo.

Le conclusioni dello studio hanno confermato che l’'ISED è uno strumento valido e affidabile per l'identificazione dei casi a rischio in soggetti adolescenti di sesso fem-minile.

Altri strumenti di indagine, in genere utilizzati per la ricerca o ad integrazione della diagnosi in livelli di maggiore intensità di cura, sono le Interviste Cliniche Strutturate o Semistrutturate, in particolare l’ EDE - Eating Disorder Examination e la SCID –

Structured Diagnostic Interview for DSM-IV.

L’EDE è un test che fornisce informazioni in merito alla frequenza di alcuni compor-tamenti chiave dei disturbi alimentari ed alla gravità della psicopatologia.

La SCID è utilizzata sia per i disturbi alimentari sia per patologie psichiatriche, ed è quindi utile anche per approfondire l’aspetto della comorbidità psichiatrica.

Sono inoltre disponibili per gli specialisti del settore diversi Questionari

Autosom-ministrati [21] validati per valutare diversi aspetti, clinici e psicopatologici, dei DA. I

più noti tra questi test sono:

L’ EDE – Q - Eating Disorder Examination Questionnaire - che ha caratteristiche

si-mili all’ EDE;

L’ EAT – Eating Attitudes Test – che valuta la presenza dei sintomi tipici dei soggetti

affetti da DA.

Il BUT – Body Uneasiness Test – che valuta in modo specifico la percezione

dell’immagine corporea e il disagio per il corpo o parti di esso.

Il BES – Binge Eating Scale – che valuta la presenza delle manifestazioni alimentari

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Il CIA – Clinical Impairment Assesment – che valuta in modo specifico il danno

psi-cosociale causato dal DA.

2.3 Appropriatezza delle Cure

E’ fondamentale che il trattamento di pazienti affetti da DA risponda a criteri di Ap-propriatezza Strutturale ed Operativa. L’indicazione principale, che si ricava da tutte le Linee Guida sul trattamento dei DA, è la necessità di una Valutazione Clinica In-terdisciplinare – Multidimensionale - Pluriprofessionale Integrata effettuata da un’equipe di specialisti (psicologo, psichiatra, endocrinologo/ nutrizionista, dietista) in grado di esaminare diversi parametri e fornire indicazioni precise in merito al percor-so terapeutico da svolgere.

E’ opportuno che la valutazione clinica venga effettuata sulla base di tali elementi: • il tipo di disturbo alimentare, la sua durata e gravità clinica;

• le condizioni fisiche generali del paziente;

• il profilo psicopatologico e l’eventuale compresenza di patologie psichiatriche e/o mediche associate al disturbo alimentare;

• la storia di eventuali trattamenti precedenti; • le dinamiche familiari e sociali.

Al fine di ottenere risultati soddisfacenti l’equipe deve operare condividendo un piano di lavoro coordinato tra i professionisti dei vari settori interessati. Di fondamentale importanza è che tutti i componenti dell’equipe utilizzino un linguaggio comune, con-dividano obiettivi e modalità della cura, abbiano un approccio empatico, non creino confusione nel paziente e non gli trasmettano la sensazione di non essere seguito in maniera integrata, elementi che possono favorire la resistenza del paziente verso le cure.

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29 Per l’Appropriatezza Clinica nel trattamento di pazienti affetti da DA è opportuno in genere far rifermento ai Criteri Diagnostico-Clinici di Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Binge-Eating Disorder riportati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) [22].

2.3.1 Trattamento Clinico - Livelli di Assistenza

Il trattamento Clinico dei Disturbi Alimentari è disciplinato da differenti linee guida; le principali sono quelle pubblicate sul sito www. Nice.org. uk/guidance /ng69 dal Natio-nal Institute for Clinical Excellence; le linee guida redatte dell’American Psychiatric Association (2006); le linee guida del Royal Australian and New Zeland College of Psychiatrists. Inoltre, per il trattamento di soggetti affetti da anoressia severa, esisto-no le indicazioni teoriche e pratiche fornite da un pool di esperti inglesi, sotto il esisto-nome di gruppo Marsipan [23].

A livello nazionale i riferimenti sono :

- il documento redatto a seguito alla Conferenza Nazionale di Consenso sui disturbi alimentari pubblicato nel 2012 dall’ Istituto Superiore di Sanità.

- i documenti del Ministero della Salute “Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione“ (2013) e “Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione” (2017).

- il documento della SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Compor-tamento Alimentare) “ Manuale per la cura e la prevenzione dei Disturbi dell’Alimentazione e delle Obesità.” (2017).

I livelli delle intensità di cura dei DA individuati nelle diverse Linee Guida e Documen-ti di Società ScienDocumen-tifiche nazionali ed internazionali sono cinque e vanno intesi come una rete assistenziale:

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30 1-Medico di medicina generale o Pediatra di libera scelta figure fondamentali a cui competono il primo screening del paziente, l’individuazione di segnali d’allarme che permettono di fare diagnosi precoce e quindi l’invio verso centri specializzati per cure efficaci e tempestive. Un ritardo frequente per l’inizio di cure adeguate si verifica quando il paziente viene indirizzato verso specialisti che non si occupano di DA, co-me il gastroenterologo o il ginecologo, e quando vengono prescritti esami bioumorali e indagini strumentali non pertinenti al problema.

2-Ambulatorio Specialistico Multiprofessionale Integrato riguarda il trattamento di oltre due terzi dei pazienti con DA e prevede il coinvolgimento di diverse figure pro-fessionali (lo psicologo, lo psichiatra, l’internista, l’endocrinologo, il nutrizionista, il dietista e l’infermiere professionale); a questo livello vengono gestiti il trattamento psicofarmacologico e psicoterapeutico, la riabilitazione nutrizionale, il monitoraggio medico - internistico, il supporto e la psicoeducazione dei familiari. La durata del trat-tamento è variabile in quanto dipende dalla gravità clinica e dalla presenza di ricadu-te; il periodo stimato di cure va dai 12 ai 25 mesi per l’AN e dai 6 ai 12 mesi per la BN. La terapia ambulatoriale è considerata quella di elezione ed è importante per la costruzione della ‘relazione terapeutica’ anche attraverso tecniche motivazionali utili a sostenere il trattamento e a contrastare l’influenza di fattori che possono ostacolare il percorso di cura (depressione grave, alta conflittualità familiare, rifiuto di cure, diffi-coltà sociali).

3-Terapia Ambulatoriale Intensiva o Semiresidenziale: riguarda i pazienti che non migliorano con percorsi ambulatoriali standard ben condotti, come, ad esempio, pa-zienti con sottopeso grave che non riescono a modificare le proprie abitudini alimen-tari caratterizzate da abbuffate e vomito autoindotto o pazienti con grave disagio

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31 emotivo e/o marcata comorbidità psichiatrica. Questo tipo di cura è possibile in centri specialistici ambulatoriali attrezzati ed organizzati per fornire un maggiore livello di intensità di cura, con il vantaggio per il paziente di poter proseguire le cure con gli stessi terapeuti con i quali ha già instaurato un rapporto. Il trattamento avviene in ge-nere in forma di Day-hospital per alcuni giorni alla settimana, con maggiore frequen-za delle sedute psicoterapeutiche, mediche e psichiatriche, associata alla possibilità di effettuare pasti assistiti e altre modalità complesse di riabilitazione nutrizionale. La durata del trattamento è variabile, in genere non oltre 12 settimane, e include anche incontri con i familiari.

4-Riabilitazione Intensiva Residenziale è un livello di cure necessario quando si verificano condizioni di gravità clinica e comorbidità elevate, impatto marcato sulla qualità di vita del paziente, e quando i precedenti interventi terapeutici non hanno da-to risultati positivi. La durata è variabile, in genere di alcuni mesi.

5-Ricoveri Ordinari o di Emergenza: attivati per condizioni gravi sia mediche che psichiatriche non gestibili ambulatoriamente. Il ricovero permette di trattare in fase acuta casi di malnutrizione grave e le conseguenze correlate, fino alla rialimentazio-ne che può essere eseguita per via parenterale o enterale in base alle caratteristiche del disturbo. A riguardo dell’accesso in Pronto Soccorso in casi di emergenza è stato di recente pubblicato un Documento del Ministero della Salute (“Interventi per l’accoglienza, il triage, la valutazione ed il trattamento del paziente con disturbi della nutrizione e dell’alimentazione “– 2018) in cui sono indicate e descritte le modalità appropriate di approccio utili anche all’ ingaggio dei pazienti per l’avvio di un percorso terapeutico adeguato.

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CAPITOLO 3

Egosintonia ed Ambivalenza nei Disturbi Alimentari

L’importanza della Motivazione al Cambiamento

3.1 Il Sentimento di Egosintonia

Nel capitolo precedente è stata discussa l’importanza e la necessità della diagnosi precoce per aumentare la possibilità di ottenere esiti positivi nel trattamento di un DA. Uno dei principali fattori psicologici che ostacola il trattamento dei DA è quello dell’egosintonia.

In ambito psicologico, con il concetto di egosintonia ci si riferisce a pensieri, emozioni, sentimenti e comportamenti riferiti all’immagine e alla percezione che ognuno ha di sé, in armonia con i propri bisogni e desideri; il grado di egosintonia è anche in rapporto ai processi con cui si è costruita e si vive la propria identità nelle relazioni affettive e sociali.

Nel caso dei DA il controllo sul peso e sulle forme corporee attuato attraverso la rigida adesione a norme dietetiche autoimposte è la risposta alle difficoltà psicologiche ed emotive sperimentate dal soggetto: il senso di incertezza per la propria identità e il bisogno di riconoscimento, l’insoddisfazione corporea (in adolescenza spesso indotta e rinforzata dall’ideale estetico di magrezza socialmente sostenuto), il senso di inadeguatezza e il disagio nelle relazioni interpersonali, il bisogno di rispondere ad aspettative elevate, rinforzato dal perfezionismo (tratto psicologico tipico del DA in molti casi), la difficoltà nel gestire adeguatamente le proprie reazioni emotive. La scelta della dieta come strumento di controllo rappresenta in questo senso una forma di gestione dell’insieme dei fattori in gioco, una sorta di soluzione alle difficoltà altrimenti percepite come insostenibili.

Un soggetto affetto da DA vive quindi una condizione di sintonia con i sintomi e con i fattori responsabili della patologia, non ritiene che questi siano causa di sofferenza,

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33 ma anzi li vive come utili per la propria vita, fino a sentirli parte integrante della propria identità. Per un soggetto con anoressia la capacità di autocontrollo, la perdita di peso e l’attenzione da parte degli altri diventano motivo di gratificazione e di rinforzo del disturbo. Cosi come per il soggetto con bulimia l’ abbuffata diviene strumento per sedare l’ansia e le condotte di autoeliminazione diventano strumento di autocontrollo.

Nelle fasi di esordio, come afferma M. Recalcati, “esiste una fase della patologia

alimentare, un primo tempo logico, che può essere denominato come fase di luna di miele con lo specchio “. [24]

Riportando una frase di una paziente con anoressia si può comprendere il rapporto che la lega al suo disturbo: “Mi chiudi gli occhi quando non voglio sapere, mi stordisci

quando non voglio sentire (…) Mi mantieni sicura, al sicuro dal male del mondo”

(Arkell & Robinson, 2008).

I meccanismi egosintonici del disturbo favoriscono la convinzione di avere un comportamento efficace per la gestione delle proprie difficoltà e difficilmente il soggetto tende ad accettare la possibilità di rimuovere sintomi o modificare comportamenti vissuti come favorevoli per affrontare le proprie difficoltà. Maggiore è il grado di egosintonia col disturbo e minore è la motivazione al cambiamento, di conseguenza ciò rende più difficile per il paziente l’accettazione di un eventuale percorso terapeutico e ostacola l’approccio per gli operatori.

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3.2 Ambivalenza

Oltre al sentimento di egosintonia, un altro ostacolo all’approccio e all’accettazione delle cure è il grado di Ambivalenza che i pazienti affetti da DA sperimentano nei confronti del disturbo stesso.

Con il tempo e il manifestarsi deIle conseguenze cliniche e psico-sociali legate al DA (danni alla salute, disturbi dell’umore, progressivo isolamento sociale, preoccupazioni e pressioni da parte di amici e familiari, ecc.) l’iniziale sintonia con il disturbo può essere messa in discussione. L’ambivalenza va intesa quindi come una ‘relazione’ in quanto il sentimento che lega il soggetto al proprio disturbo oscilla tra i vantaggi e gli svantaggi connessi al disturbo, tra il desiderio/necessità di convivere con esso e le conseguenze negative che ne derivano. Ciò si manifesta soprattutto quando il paziente prende coscienza del totale controllo che il disturbo esercita sulla sua vita condizionandone ogni scelta e limitandone ogni possibile libertà.

Come detto, in genere, nelle fasi iniziali del DA il soggetto sperimenta la convivenza con il disturbo come favorevole e tranquillizzante, una sorta di pacifica simbiosi, che può finire per sostituire affetti ed amicizie. In questa fase il disturbo rappresenta un alleato in grado di suscitare sensazioni di potere, gratificazione e soddisfazione derivanti dalla capacità di autocontrollo e forza di volontà; l’intensità di queste emozioni tiene a bada anche le pulsioni della fame e il sintomo alimentare non è vissuto come un disagio.

In tempi successivi però il senso di soddisfazione e di gratificazione si può ridurre progressivamente, le pulsioni di fame e la disregolazione emotiva possono ripresentarsi in maniera prepotente, il disturbo, in maniera opposta rispetto alla fase precedente, diviene qualcosa di avverso e difficile con cui convivere. Ne deriva il sentimento di ambivalenza, il disturbo da alleato assume anche connotati negativi, in

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35 una condizione di incertezza tra il nascente desiderio di liberarsi del disturbo e la percezione di non poter fare a meno di esso.

Per poter quindi favorire l’accettazione del trattamento gli operatori, con il loro intervento, devono aiutare il paziente a ridurre l’egosintonia e affrontare l’ambivalenza, facendo emergere gli aspetti sfavorevoli del disturbo.

3.3 Stile Terapeutico Coinvolgente – Alleanza Terapeutica

L’atteggiamento che i clinici adottano durante i primi incontri è fondamentale per poter instaurare con il paziente un rapporto di fiducia e collaborazione, che gli permetta di superare le resistenze e affrontare l’ambivalenza rispetto alla patologia, maturando le motivazioni per continuare il percorso intrapreso.

L’Imprinting, ovvero l’ingaggio del paziente, e la capacità di coinvolgimento da parte dei clinici, giocano quindi un ruolo primario e possono essere visti come fattori predittivi dell’ esito del trattamento. La qualità del rapporto che si instaura con il paziente rappresenta il punto di partenza per poter costruire una relazione basata sull’ ‘Alleanza Terapeutica’.

Lo studio ‘’Le Regole di Ingaggio: esperienze qualitative dell'Alleanza Terapeutica’ [25] ha dimostrato che lo sviluppo dell’alleanza terapeutica è l’esperienza-chiave nel trattamento per i DA tenendo conto delle reazioni e delle impressioni del paziente e dell’atteggiamento dei terapeuti.

I DA chiedono al clinico di cogliere nuove dimensioni nel pensare il corpo e la malattia, sperimentando e usando, per la comunicazione e la cura, parole e modalità della relazione non sempre consueti. Il trattamento dei DA, specie nelle fasi iniziali, richiede di sostituire ai codici tradizionali della terapia (consiglio, raccomandazione, ammonizione, prescrizione) quelli della cura in cui il clinico ascolta, accoglie, si pone domande, fa emergere, fa riconoscere, illustra, integra, connette, associa, in un

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36 setting caldo e accogliente, focalizzato sulla persona (e non sul problema), rassicu-rando sulle ansie iniziali, discutendo gli effetti psicobiologici dell’alimentazione, stimolando la resilienza, riferendosi ai dati di realtà, tenendo conto delle reazioni emotive, evitando i giudizi, condividendo il progetto di cura con il paziente e con i familiari.

Su queste basi negli ultimi anni è aumentata l’attenzione verso interventi specifici messi in atto durante le fasi iniziali del trattamento, caratterizzati da uno stile empatico e non giudicante, che rientrano nella formulazione di un Piano Terapeutico

Coinvolgente e Collaborativo.

Una tecnica strutturata molto utile a riguardo è il Colloquio Motivazionale: si pongono all’inizio al paziente semplici richieste di informazioni (se è felice, se riesce a fare tutto ciò che fanno gli altri, se desidera qualcosa di diverso rispetto a ciò che ha in quel momento) che permettano di fargli percepire di essere oggetto di reale interesse, aumentando la probabilità che possa fidarsi; per favorire il superamento delle barriere psicologiche che ostacolano la cura si possono poi discutere con il paziente i vantaggi e gli svantaggi conseguenti al suo stato di malattia e quelli che deriverebbero invece dal cambiamento dei suoi comportamenti.

Alcune strutture altamente qualificate propongono un setting di cura in cui il colloquio motivazionale può rappresentare il 20-30% dell’intero percorso terapeutico.

La condotta degli operatori durante gli incontri deve essere caratterizzata da empatia e professionalità e deve trasmettere competenza; senza mai far sentire il paziente giudicato, il terapeuta deve in-formarlo dei rischi medici e psicologici che potrebbero derivare dal disturbo che vive, e dei risultati positivi che potrebbe ottenere dalle cure proposte.

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37 Gli ostacoli nell’instaurare un rapporto di ‘alleanza’ sono rappresentati dalle caratteristiche di personalità del paziente e dall’ ambivalenza che lo lega al disturbo. Ad esempio il senso di vergogna ed inadeguatezza del soggetto con bulimia, o la diffidenza del soggetto con anoressia devono essere affrontati con competenza puntando l’attenzione soprattutto sui risultati che si potranno ottenere, anche se questi non sembrano coincidere con le richieste del paziente.

3.4 Abbandono della terapia

Le particolari condizioni psicologiche descritte, che caratterizzano i pazienti affetti da DA, possono comunque comportare molte problematiche nel trattamento tra cui l’abbandono della terapia intrapresa per la scarsa o nulla motivazione al cambiamento.

Il paziente, non vivendo i sintomi e le conseguenze del comportamento alimentare come un disagio, non percepisce la necessità di cambiare i propri comportamenti al fine di migliorare lo stato di salute. Al contrario il mantenimento del disturbo è sostenuto dal sentimento di potere che ne deriva. Come detto è pertanto molto importante, nelle fasi iniziali del trattamento, valutare il livello di motivazione al cambiamento del paziente. Solo l’atteggiamento adeguato dei terapeuti può influenzare positivamente il paziente aiutandolo a valutare i benefici tangibili del percorso di cure e facendo maturare la volontà di cambiare. Questo è il sentimento che argina l’abbandono dell’iter terapeutico: maggiore sarà la motivazione minore sarà il rischio del ‘dropout’.

Il termine drop-out si riferisce all’interruzione, più o meno precoce, della terapia da parte del paziente non concordata con il terapeuta.

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38 Il fenomeno di drop-out si verifica in diversi tipi di psicopatologia (disturbo borderline, disturbo di personalità), e si riscontra frequentemente in pazienti affetti da DA.

L’ abbandono delle cure è oggetto di ricerche scientifiche mirate ad approfondire le motivazioni per cui i pazienti reagiscono in tal modo al trattamento; è possibile distinguere l’abbandono in Precoce – “early” o “very early” drop-out (che avviene nel primo mese dopo poche sedute) e Tardivo - “late” drop-out (che avviene nei mesi successivi di trattamento) [26].

Dagli studi effettuati si evince che l’abbandono precoce è correlato ad un’impressione negativa del paziente rispetto al primo approccio con i terapeuti, con la terapia, o per la scarsità di motivazioni connesse anche al mancato coinvolgimento. L’abbandono tardivo invece sembra essere legato alla qualità della relazione, all’inappropriatezza delle tecniche usate o a veri e propri errori terapeutici [27].

In sintesi, le variabili associate al dropout sono differenti e possono riguardare il paziente, il terapeuta e la relazione tra i due, inoltre sembra esserci una correlazione tra gli aspetti psicopatologici del paziente ed il fenomeno.

In particolare gli studi condotti a riguardo hanno confermato come fattore favorevole al dropout la qualità dell’alleanza terapeutica, connessa anche alle caratteristiche più o meno adeguate del setting, alla storia del paziente, ai tempi del trattamento [28], inclusi fattori apparentemente banali come ferie o cambiamento del terapeuta, distanza dall’ambulatorio, progressi nel trattamento.

In una revisione delle pubblicazioni in letteratura clinica è emerso inoltre come il dropout possa essere favorito anche dalla complessità del trattamento, legato alla multidisciplinarietà delle figure interessate [29].

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39 Altri due elementi favorevoli al dropout sono le difficoltà nel modificare il rapporto con il corpo in pazienti affetti da AN (l’aumento del peso corporeo può rappresentare un motivo di dropout per la reazione del paziente che non riesce ad accettare il cambiamento) e le scelte sul tipo dl trattamento. L’abbandono avviene infatti con maggiore frequenza se il trattamento è di tipo ambulatoriale, con un tasso che va dal 29% al 73%, mentre è minore nel caso di ricovero residenziale con un tasso che va tra il 20,2% ed il 51%.

In ogni caso il fenomeno del drop-out può avere un peso rilevante sul decorso della patologia: “pazienti con drop-out sono più a rischio di diventare pazienti cronici e

quindi più difficilmente trattabili, con alta frequenza di gravi complicanze organiche e mortalità. Un abbandono precoce della terapia costituisce un fattore di rischio per una ricaduta precoce e a sua volta una ricaduta precoce è il predittore principale di un decorso cronico” [30].

La mancanza di un trattamento appropriato, anche in fasi precoci del disturbo, così come il dropout, rappresentano quindi fattori fortemente sfavorevoli rispetto al buon esito delle cure nei DA, con più gravi conseguenze sul piano clinico per i pazienti e maggiori costi a carico del Servizio Sanitario [31].

Dati della letteratura [32] indicano infatti che la remissione completa dai DA è raggiunta solo nel 40-50% dei casi e un ampio gruppo di pazienti necessita, durante il trattamento, di ospedalizzazione e/o di cure riabilitative residenziali anche per lunghi periodi. Pertanto, per poter ottenere un esito positivo e raggiungere adeguati obiettivi terapeutici, saranno fondamentali i primi mesi di terapia durante i quali gli operatori dovranno esaminare l’esperienza soggettiva del paziente e dovranno lavorare alla costruzione di un rapporto di fiducia instaurando una relazione di alleanza tale da resistere alle ‘minacce’ di abbandono delle cure.

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CAPITOLO 4

RIABILITAZIONE NUTRIZIONALE PER IL TRATTAMENTO DI

DISTURBI ALIMENTARI

4.1 Approccio Terapeutico e Trattamenti in uso

Tutte le linee guida nazionali ed internazionali indicano due linee fondamentali per il trattamento dei DA : il team approach e i setting multipli.

Con il termine “team approach” si intende un trattamento multiprofessionale e multidimensionale, che coinvolge medici (psichiatri, internisti, endocrinologi), psicologi, dietisti, educatori e infermieri, in maniera interdisciplinare e integrata, nel senso che il percorso di cura, più che la somma di singoli interventi, è discusso e costruito dall’intera equipe, che adotta linguaggio, tecniche e obiettivi comuni. Con il termine di setting multipli si intendono i diversi possibili livelli di intensità di cura, a seconda della gravità clinica e delle esigenze che emergono nel decorso di malattia: Trattamento ambulatoriale – Trattamento Riabilitativo semiresidenziale (Day-Hospital) - Trattamento Riabilitativo Residenziale –– Comunità Terapeutica – Ricovero d’emergenza ospedaliero medico o psichiatrico.

La proposta terapeutica deve essere necessariamente basata sul tipo di disturbo, la gravità e la durata dello stesso, le condizioni fisiche, la situazione socio-ambientale, le eventuali comorbidità psicopatologiche, la motivazione e la disponibilità alla collaborazione da parte dell'interessato.

Già nel 1998, il Ministero della Salute in seguito alla convocazione della Commissione di Studio per l’Assistenza ai pazienti affetti da Anoressia e Bulimia Nervosa, si esprimeva, in merito al trattamento dei DA, in tal modo: ‘’… privilegiando,

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