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Le particolari condizioni psicologiche descritte, che caratterizzano i pazienti affetti da DA, possono comunque comportare molte problematiche nel trattamento tra cui l’abbandono della terapia intrapresa per la scarsa o nulla motivazione al cambiamento.

Il paziente, non vivendo i sintomi e le conseguenze del comportamento alimentare come un disagio, non percepisce la necessità di cambiare i propri comportamenti al fine di migliorare lo stato di salute. Al contrario il mantenimento del disturbo è sostenuto dal sentimento di potere che ne deriva. Come detto è pertanto molto importante, nelle fasi iniziali del trattamento, valutare il livello di motivazione al cambiamento del paziente. Solo l’atteggiamento adeguato dei terapeuti può influenzare positivamente il paziente aiutandolo a valutare i benefici tangibili del percorso di cure e facendo maturare la volontà di cambiare. Questo è il sentimento che argina l’abbandono dell’iter terapeutico: maggiore sarà la motivazione minore sarà il rischio del ‘dropout’.

Il termine drop-out si riferisce all’interruzione, più o meno precoce, della terapia da parte del paziente non concordata con il terapeuta.

38 Il fenomeno di drop-out si verifica in diversi tipi di psicopatologia (disturbo borderline, disturbo di personalità), e si riscontra frequentemente in pazienti affetti da DA.

L’ abbandono delle cure è oggetto di ricerche scientifiche mirate ad approfondire le motivazioni per cui i pazienti reagiscono in tal modo al trattamento; è possibile distinguere l’abbandono in Precoce – “early” o “very early” drop-out (che avviene nel primo mese dopo poche sedute) e Tardivo - “late” drop-out (che avviene nei mesi successivi di trattamento) [26].

Dagli studi effettuati si evince che l’abbandono precoce è correlato ad un’impressione negativa del paziente rispetto al primo approccio con i terapeuti, con la terapia, o per la scarsità di motivazioni connesse anche al mancato coinvolgimento. L’abbandono tardivo invece sembra essere legato alla qualità della relazione, all’inappropriatezza delle tecniche usate o a veri e propri errori terapeutici [27].

In sintesi, le variabili associate al dropout sono differenti e possono riguardare il paziente, il terapeuta e la relazione tra i due, inoltre sembra esserci una correlazione tra gli aspetti psicopatologici del paziente ed il fenomeno.

In particolare gli studi condotti a riguardo hanno confermato come fattore favorevole al dropout la qualità dell’alleanza terapeutica, connessa anche alle caratteristiche più o meno adeguate del setting, alla storia del paziente, ai tempi del trattamento [28], inclusi fattori apparentemente banali come ferie o cambiamento del terapeuta, distanza dall’ambulatorio, progressi nel trattamento.

In una revisione delle pubblicazioni in letteratura clinica è emerso inoltre come il dropout possa essere favorito anche dalla complessità del trattamento, legato alla multidisciplinarietà delle figure interessate [29].

39 Altri due elementi favorevoli al dropout sono le difficoltà nel modificare il rapporto con il corpo in pazienti affetti da AN (l’aumento del peso corporeo può rappresentare un motivo di dropout per la reazione del paziente che non riesce ad accettare il cambiamento) e le scelte sul tipo dl trattamento. L’abbandono avviene infatti con maggiore frequenza se il trattamento è di tipo ambulatoriale, con un tasso che va dal 29% al 73%, mentre è minore nel caso di ricovero residenziale con un tasso che va tra il 20,2% ed il 51%.

In ogni caso il fenomeno del drop-out può avere un peso rilevante sul decorso della patologia: “pazienti con drop-out sono più a rischio di diventare pazienti cronici e

quindi più difficilmente trattabili, con alta frequenza di gravi complicanze organiche e mortalità. Un abbandono precoce della terapia costituisce un fattore di rischio per una ricaduta precoce e a sua volta una ricaduta precoce è il predittore principale di un decorso cronico” [30].

La mancanza di un trattamento appropriato, anche in fasi precoci del disturbo, così come il dropout, rappresentano quindi fattori fortemente sfavorevoli rispetto al buon esito delle cure nei DA, con più gravi conseguenze sul piano clinico per i pazienti e maggiori costi a carico del Servizio Sanitario [31].

Dati della letteratura [32] indicano infatti che la remissione completa dai DA è raggiunta solo nel 40-50% dei casi e un ampio gruppo di pazienti necessita, durante il trattamento, di ospedalizzazione e/o di cure riabilitative residenziali anche per lunghi periodi. Pertanto, per poter ottenere un esito positivo e raggiungere adeguati obiettivi terapeutici, saranno fondamentali i primi mesi di terapia durante i quali gli operatori dovranno esaminare l’esperienza soggettiva del paziente e dovranno lavorare alla costruzione di un rapporto di fiducia instaurando una relazione di alleanza tale da resistere alle ‘minacce’ di abbandono delle cure.

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CAPITOLO 4

RIABILITAZIONE NUTRIZIONALE PER IL TRATTAMENTO DI

DISTURBI ALIMENTARI

4.1 Approccio Terapeutico e Trattamenti in uso

Tutte le linee guida nazionali ed internazionali indicano due linee fondamentali per il trattamento dei DA : il team approach e i setting multipli.

Con il termine “team approach” si intende un trattamento multiprofessionale e multidimensionale, che coinvolge medici (psichiatri, internisti, endocrinologi), psicologi, dietisti, educatori e infermieri, in maniera interdisciplinare e integrata, nel senso che il percorso di cura, più che la somma di singoli interventi, è discusso e costruito dall’intera equipe, che adotta linguaggio, tecniche e obiettivi comuni. Con il termine di setting multipli si intendono i diversi possibili livelli di intensità di cura, a seconda della gravità clinica e delle esigenze che emergono nel decorso di malattia: Trattamento ambulatoriale – Trattamento Riabilitativo semiresidenziale (Day- Hospital) - Trattamento Riabilitativo Residenziale –– Comunità Terapeutica – Ricovero d’emergenza ospedaliero medico o psichiatrico.

La proposta terapeutica deve essere necessariamente basata sul tipo di disturbo, la gravità e la durata dello stesso, le condizioni fisiche, la situazione socio-ambientale, le eventuali comorbidità psicopatologiche, la motivazione e la disponibilità alla collaborazione da parte dell'interessato.

Già nel 1998, il Ministero della Salute in seguito alla convocazione della Commissione di Studio per l’Assistenza ai pazienti affetti da Anoressia e Bulimia Nervosa, si esprimeva, in merito al trattamento dei DA, in tal modo: ‘’… privilegiando,

senza mai escludere l’altro, il versante somatico o psichico, a seconda delle fasi della malattia […] È necessario imparare a collaborare riconoscendo e rispettando le

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diverse aree di competenza. Non è raro che conflitti di natura teorica, competizioni e rivalità, problemi organizzativi e fragilità dei protocolli di trattamento finiscano per colludere con le resistenze al cambiamento del paziente e della sua famiglia […]. Le terapie “integrate” devono evitare conflitti e frammentazioni e perseguire, piuttosto, obiettivi di integrazione e collaborazione. In caso contrario lo scenario della cura riprodurrà quella scissione corpo-mente che sottende questi disturbi”.

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