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Interpretazioni letterarie dell'inframondo delle miniere: La aldea perdida (1903) di Palacio Valdés e El intruso (1904) di Blasco Ibáñez

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE, LETTERATURE E

FILOLOGIE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Interpretazioni letterarie dell’inframondo delle miniere: La aldea

perdida (1903) di Palacio Valdés e El intruso (1904) di Blasco Ibáñez

CANDIDATO

RELATORE

Xhoi Sejdini

Prof.ssa Daniela Pierucci

CONTRORELATORE

Prof.ssa Federica Cappelli

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Sommario

Introduzione ... 5

1. La rivoluzione industriale tra XVIII e XIX secolo ... 8

1.1 Il panorama europeo ... 8

1.2 Il contesto spagnolo: le cause di una profonda arretratezza ... 10

1.3 Uno sviluppo industriale circoscritto: la Cataluña e il País Vasco ... 13

2. La questione mineraria ... 19

2.1 La storia delle miniere e i principali giacimenti nel XIX secolo ... 19

2.2 Le condizioni di vita dei minatori spagnoli ... 22

2.3 Le catastrofi nelle miniere: gli incidenti più gravi tra il XIX e XX secolo in Spagna ... 30

2.4 «El año de los tiros»: la più grande protesta dei minatori spagnoli ... 33

3. Letteratura e miniere: l’analisi letteraria della «cuestión social» in Europa e in Spagna ... 38

3.1 La «cuestión social» ... 38

3.2 La letteratura delle miniere nel mondo francese: Les Indes Noires di Jules Verne e il capolavoro di Émile Zola ... 43

4. L’anti-industrialismo ne La aldea perdida di Armando Palacio Valdés ... 56

4.1 La «literatura minera» in Spagna ... 56

4.2 Armando Palacio Valdés e l’apporto alla letteratura delle miniere ... 58

4.3 La aldea perdida: il romanzo anti-industrialista di Armando Palacio Valdés ... 63

5. El intruso di Vicente Blasco Ibáñez: la tematica delle miniere come veicolo della critica anticlericale... 82

5.1 La vita e l’importanza politica di Vicente Blasco Ibáñez ... 82

5.2 Il naturalismo nei romanzi di Vicente Blasco Ibáñez e il suo rapporto con Émile Zola ... 84

5.3 Borghesi, minatori e gesuiti: la lotta sociale ne El intruso di Vicente Blasco Ibáñez ... 88

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4 7. Bibliografia ... 106

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Introduzione

«Era un muoversi d’ombre scure, di schiene scimmiesche che si tendevano nello sforzo, una visione infernale di membra arrosate, che si muovevano fra colpi sordi e gemiti.»

Émile Zola, Germinal

Il progetto di questa tesi nasce dalla volontà di studiare le ripercussioni che lo sviluppo industriale ha sulla narrativa spagnola tra Otto e Novecento. La mia indagine, in realtà, si circoscrive all’impatto che la nascente industria mineraria ebbe sulla società spagnola e alle rappresentazioni critiche che ne fece la cosiddetta «literatura minera», consacrata dal capolavoro di Zola, Germinal (1885).

La raccolta di dati storici e sociologici che ha caratterizzato la prima fase di questo studio ha evidenziato, in una realtà peninsulare profondamente arretrata, l’esistenza di due regioni isolate, la Cataluña e il País Vasco, che vissero un ottimo sviluppo industriale grazie al settore tessile e siderurgico, così come, soprattutto per quanto riguarda il País Vasco, quello minerario, che diventa il fulcro dell’economia della Spagna settentrionale. La ricchezza del sottosuolo della penisola iberica è nota sin da tempi antichi ma si parla di una vera e propria «questione mineraria» quando comincia uno sfruttamento massivo del sottosuolo, con giacimenti importanti come quelli di rame di Río Tinto ma anche quelli di ferro di Vizcaya o quelli di carbone delle Asturie, e le condizioni dei minatori, migrati in grandi flussi dalle campagne, si fanno sempre più disumane poiché i piccoli centri minerari non sono in grado di accoglierli in massa. A questo si aggiunge anche la totale mancanza di diritti sul posto di lavoro che porta i minatori a perdere anche la propria dignità: inizialmente inermi, quasi come animali non pensanti, i lavoratori subiscono i soprusi dei proprietari delle miniere e delle imprese straniere che detengono i giacimenti, ma con il passare del tempo, inizia a crearsi dentro di loro un senso di consapevolezza che li porterà piano piano a ribellarsi, a rivendicare maggiori diritti e una maggiore sicurezza sul posto di lavoro, anche a causa delle continue tragedie che avvengono sotto terra. Si crea quindi un maggiore senso di unione, volontà di aiutarsi l’uno con l’altro, non

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6 solo nei minatori ma più in generale negli operai di tutta Europa: si inizia perciò a parlare di questione sociale, di diritti, di associazioni e di scioperi e scontri spesso repressi nel sangue. Questa attenzione nei confronti della classe operaia si diffonde anche tra gli scrittori e porta allo sviluppo del cosiddetto romanzo sociale, alimentato dalla poetica naturalista, che tratteggia la vita dei ceti sociali economicamente svantaggiati e denuncia le situazioni di sopruso e pregiudizio. In questo filone letterario rientra la letteratura mineraria che è stata il mio campo di ricerca. Partendo dall’imprescindibile lettura e analisi di Germinal, opera che ebbe una straordinaria diffusione anche in Spagna, ho individuato i tratti caratterizzanti del genere e certe costanti descrittive e interpretative della figura del minatore che mi hanno guidato nello studio esegetico dei due romanzi spagnoli che ho selezionato per la mia ricerca: La aldea perdida (1903) di Armando Palacio Valdés e El intruso (1904) di Vicente Blasco Ibáñez.

In entrambi i romanzi il mondo delle miniere è rappresentato a tinte fosche, spesso come un mondo infernale presentato, però, da due prospettive diverse, espressione dello scarto ideologico ed estetico tra i due autori. Una è una visione nostalgica di un piccolo ambiente bucolico che ricorda l’Arcadia e che viene distrutto dall’arrivo dei minatori, descritti come il vero male di questo mondo; l’altro, invece, utilizza la tematica delle miniere per muovere una critica tagliente al mondo religioso e borghese. Attraverso la mia analisi emergono in maniera evidenti i diversi approcci adottati dai due scrittori spagnoli per affrontare il tema delle miniere: se da una parte si presenta una ferma condanna del mondo industriale portatore di distruzione, dall’altra si dà un’immagine più naturalista del mondo delle miniere e dei minatori, un mondo sicuramente infernale in cui però le figure bestiali non sono soltanto i minatori.

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1. La rivoluzione industriale tra XVIII e XIX secolo

1.1 Il panorama europeo

La rivoluzione industriale fu un processo di evoluzione economica e modernizzazione dei sistemi di produzione: dal modello agricolo-artigianale si passò ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall’uso di macchine azionate da energia meccanica e dall’uso di nuove fonti energetiche come i combustibili fossili. Il tutto fu favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di crescita, sviluppo economico e profondi cambiamenti socioculturali e politici. Spesso si distingue tra prima e seconda rivoluzione industriale: la prima interessò prevalentemente il settore tessile-metallurgico con l’introduzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700, mentre la seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta si fa riferimento agli effetti dell’introduzione dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nell’industria come terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire dal 1970.

Gli studi sull’industrializzazione concordano sul fatto che la rivoluzione industriale nasce alla fine del XVIII secolo in Inghilterra: tutta la popolazione inglese fu fortemente influenzata da questi profondi cambiamenti tanto che, secondo uno studio dello storico francese François Crouzet, specialista della storia della Gran Bretagna, nell’Inghilterra di fine ‘700 si diffuse una vera e propria ossessione per il guadagno unita ad un forte desiderio di cose materiali e ad una continua lotta per l’affermazione della propria individualità e delle idee di austerità, risparmio ed impegno. Perciò, in ambito inglese, così come più tardi avviene anche in quello tedesco e francese, il processo di industrializzazione si associa al consolidamento del capitalismo e al sorgere di una nuova mentalità e un nuovo modo di comportarsi dei cittadini.1 Di fondamentale importanza per la rivoluzione industriale in Inghilterra fu l'agricoltura; infatti gli inglesi furono i primi ad avere un'agricoltura di mercato, quindi non più per auto-consumo ma per profitto, che, unita all'innovazione tecnologica, eliminò molta manodopera dalle campagne, facendola

1 Oscar Diego Bautista, La política de industrialización en España. Antecedentes, evolución histórica y perspectiva

europea, «Contribuciones desde Coatepec», núm. 17, Universidad Autónoma del Estado de Toluca, México,

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9 rifluire verso la città, dove trovò occupazione nella nascente industria. Grazie a sistemi di avanguardia come la rotazione quadriennale programmata delle colture, la rivoluzione agricola agevolò lo sviluppo industriale e demografico della nazione. L'Inghilterra era terreno fertile per questo tipo di rivoluzione e il perché risale all'epoca elisabettiana: avendo lei trasformato il paese da povero a padrone dei mari, gli aveva fornito il denaro necessario perché questo fenomeno avvenisse e perché l’Inghilterra diventasse il paese più ricco d'Europa per un lungo periodo.

La rivoluzione industriale, con il suo carico di innovazioni, dall’Inghilterra attraversò la Manica per imporsi anche nell’Europa continentale con tempistiche e modalità differenti. Il Belgio fu la prima nazione dell’Europa continentale ad adottare il modello industriale britannico, seguita da Germania e Francia che completarono il quadro della «prima ondata di industrializzazione» in Europa. Dall’altra parte, paesi come Italia, Spagna e Portogallo non raggiunsero i livelli di progresso che interessarono i paesi dell’Europa centro-settentrionale. Tra le possibili spiegazioni a questo ritardo nell’industrializzazione vi sono ipotesi di varia natura. Secondo il sociologo tedesco Max Weber, alla base della differenza di progresso scientifico e industriale tra Europa settentrionale e meridionale vi è la divisione religiosa del continente: egli, infatti, sostiene che l’affermarsi del protestantesimo nel nord e centro Europa e del cattolicesimo soprattutto a sud abbia portato evidenti differenze economiche rendendo le nazioni settentrionali più prospere mentre quelle meridionali più arretrate. Oltre a questo, secondo Weber, la divisione religiosa ha anche favorito una maggiore inclinazione dei paesi protestanti per il lavoro in fabbrica, mentre quelli cattolici prediligevano i lavori artigianali.2 La tesi di Weber è sostenuta dall’economista spagnolo Gabriel Tortella Casares, il quale aggiunge, però, che la preponderanza del Nord sul Sud sarebbe dovuta anche ad un maggiore sviluppo tecnologico dei paesi nordici già a partire dalle tecniche agricole. Infatti, se nell’Antichità e durante il Medioevo era l’agricoltura mediterranea il modello da seguire, a partire dall’Età Moderna, lo sviluppo di nuove tecniche di coltivazione nelle regioni settentrionali, come la rotazione delle coltivazio ni e l’eliminazione del terreno a maggese, avrebbe portato poi alla rivoluzione agricola, che rappresenta il preludio alla rivoluzione industriale.3

2Raúl Rodríguez Nozal, Antonio González Bueno, Entre el arte y la técnica. Los orígenes de la fabricación

industrial del medicamiento, Madrid, Servicios Integrales de Edición Távara, 2005.

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10 Anche la Spagna, quindi, si inserisce in questo contesto di cambiamenti decisamente lenti che caratterizzano il XIX secolo e che si protrarranno fino agli inizi del XX, quando la Spagna, seppur tardi, inizierà a recuperare terreno. Le cause di questa profonda arretratezza sono molteplici e ci portano ad inserire la Spagna, così come l’Italia e il Portogallo nella cosiddetta seconda generazione di paesi industriali.

1.2 Il contesto spagnolo: le cause di una profonda

arretratezza

L’industrializzazione spagnola fu un processo che iniziò ben più tardi rispetto ad altri paesi europei e procedette molto lentamente per tutto il XIX secolo, tanto che la penisola iberica si presenta agli inizi del XX secolo come nazione prevalentemente agricola. Le cause di questo notevole ritardo nello sviluppo industriale sono molteplici e di natura diversa. Secondo molti studiosi, la causa principale fu l’agricoltura, che, come abbiamo detto, aveva svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo industriale dell’Inghilterra, e che in Spagna rappresentò un ostacolo per il progresso dell’industria stessa, dato che non ci fu alcun miglioramento nelle tecniche agricole per provare ad aumentare la produzione e di conseguenza le vendite. L’unico tentativo di cambiare la situazione fu attraverso la «desamortización», un lungo processo storico-economico iniziato a fine Settecento da Manuel Godoy e conclusosi nel XX secolo. Esso consisteva nel porre sul mercato, mediante asta pubblica, le terre e i beni improduttivi chiamati anche «manos muertas», quasi sempre appartenenti alla Chiesa cattolica o ai suoi ordini religiosi, e che erano stati accumulati attraverso donazioni e testamenti. Questa politica aveva il fine di accrescere la ricchezza nazionale e ripagare i titoli del debito pubblico ma in realtà disincentivò i proprietari terrieri ad investire in tecniche agricole moderne, in quanto potevano contare su una manodopera abbondante e a basso costo. Gli unici a beneficiare della desamortización furono i nobili, a scapito del possibile acquisto di terre da parte di piccoli e medi contadini. In Spagna, a differenza di ciò che accadde nella maggior parte dei paesi europei, la percentuale delle persone che lavoravano nell’agricoltura non scese durante il XIX secolo, ma anzi, continuò a crescere fino agli inizi del 1900 come mostra anche la tabella sottostante.4 Questo è dovuto principalmente ad una politica agricola fortemente protezionista e al fatto che

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11 la domanda industriale fosse insufficiente per portare i contadini ad abbandonare in modo massivo le campagne.

Come si nota nella tabella, è uno sviluppo decisamente contrario a quello dei paesi europei più sviluppati, nei quali, durante il XIX secolo, il numero dei lavoratori nel settore secondario aumentò notevolmente, mentre in Spagna aumentava costantemente il numero delle persone che lavoravano in ambito agricolo. Questo spinse molti economisti ad attribuire all’agricoltura e alle politiche protezioniste le colpe maggiori dell’arretratezza economica della Spagna. Altro aspetto da considerare è senza dubbio l’orografia della Spagna: la presenza di importanti catene montuose che separano una regione dall’altra, la mancanza di grandi corsi d’acqua navigabili e collegabili tra di loro come nel resto d’Europa, e una pessima rete di comunicazioni, provocarono grosse difficoltà nel creare un mercato interno. Nel Regno Unito, invece, erano state eliminate le dogane all’interno del paese ma soprattutto era stata creata un’importante rete di comunicazione per collegare i centri industriali ai principali porti del paese in modo da incentivare il più possibile il mercato interno. Dall’altra parte in Spagna, i primi tentativi di miglioramento della rete di comunicazione non verranno fatti prima del 1855. 5 L’industrializzazione fu ulteriormente rallentata dal fatto che, nonostante la Spagna disponesse di una grande ricchezza mineraria, queste risorse erano disperse nel paese. Infatti, i principali produttori di ferro come Málaga e Vizcaya erano molto lontani dai più importanti produttori di

5 Raúl Rodríguez Nozal, Antonio González Bueno, Entre el arte y la técnica. Los orígenes de la fabricación

industrial del medicamiento, Madrid, Servicios Integrales de Edición Távara, 2005, p.20. Settore Primario % Settore secondario % Settore Terziario % 1860 4.329.432 62,8 1.208.084 17,5 1.349.882 19,5 1877 4.939.256 70 897.791 12,7 1.213.032 17,2 1887 4.852.991 69,3 1.066.222 15,2 1.129.007 15,3 1900 5.428.600 71,4 1.027.360 13,5 1.145.790 15

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12 carbone nelle Asturie e a Córdoba dove si produceva più del 70% di carbone dell’intera Spagna. Questa distanza, unita alla mancanza di una buona rete di comunicazione, rese più costosa la produzione di beni, riducendo di fatto i possibili acquirenti. A tutto questo è necessario aggiungere l’assenza di una rivoluzione demografica che, unita ad uno sviluppo urbano molto lento, provocò un ulteriore rallentamento nel processo di industrializzazione. Nei paesi europei più sviluppati dell’Europa occidentale era in atto, già dal XVIII secolo, una vera e propria trasformazione demografica: si passò dal regime demografico antico, caratterizzato da alti tassi di natalità e mortalità (il che portava ad uno scarsissimo aumento della popolazione), ad una fase caratterizzata da bassi tassi di mortalità che permise una veloce crescita della popolazione. Nel caso spagnolo, nonostante la crescita demografica tra il XVIII e il XIX secolo, non ci fu un aumento di popolazione così rilevante in quanto i tassi di mortalità rimasero decisamente elevati per varie ragioni quali epidemie, malattie di carattere endemico come la tubercolosi e il tifo ma anche a causa delle guerre.6 Questo portò la popolazione spagnola a crescere soltanto del 60%, una percentuale molto bassa se paragonata a quelle del resto d’Europa. Si stima infatti, che la popolazione inglese, nello stesso periodo, crebbe del 238,5% mentre quella olandese del 131,8% e quella tedesca del 106,5%). A tutto ciò si aggiunga, infine, una causa storica di notevole rilievo: agli inizi del XIX secolo la Spagna ebbe un gravissimo «contrattempo» che provocò grosse conseguenze non solo a livello politico ma soprattutto economico. La cessione di gran parte dell’impero coloniale in America7 tolse alla Spagna uno degli elementi fondamentali per la propria economia. Il risultato di questo evento fu che la politica commerciale spagnola venne totalmente dominata dal protezionismo che portò il paese a isolarsi dal resto d’Europa. A causa di questa arretratezza, quando la Spagna non era ancora entrata a pieno nella prima rivoluzione industriale basata su carbone e ferro, le grandi potenze capitaliste avevano iniziato la seconda rivoluzione industriale basata su petrolio ed elettricità e su mezzi di trasporto con motore elettrico.

6 Nel 1900 il tasso di natalità in Spagna era del 34% e quello di mortalità del 29%, a fronte di un tasso di natalità

del 28,7% e di mortalità del 18% nel Regno Unito.

7 Dal 1825 vengono perduti i principali possedimenti in Nord America, Centro America e Sud America. Le ultime

colonie spagnole in America, Cuba e Porto Rico, furono perse definitivamente nel 1898 con la Guerra ispano-americana.

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1.3 Uno sviluppo industriale circoscritto: la Cataluña e il

País Vasco

L’arretratezza dello sviluppo industriale spagnolo, però, presenta delle eccezioni: nel corso del XVIII secolo, infatti, l’industria spagnola si sviluppò in due centri ben circoscritti, in Cataluña con l’industria tessile e nel País Vasco con l’industria siderurgica. Il fatto che l’industrializzazione durante il XVIII secolo abbia toccato solo determinate zone, portò ad avere, alla fine dell’Ottocento, soltanto due regioni veramente industrializzate, ovvero la Cataluña e il País Vasco. Prima di addentrarci nell’analisi dell’industrializzazione di queste due regioni, è necessario segnalare che le prime notizie riguardanti l’industria tessile in Cataluña risalgono già al XVIII secolo e addirittura ci sono vari studiosi che affermano che l’industria tessile catalana era conosciuta in tutto il mondo già a partire dal XIV-XV secolo.8 In realtà però, l’industrializzazione intesa come trasformazione dei processi produttivi in accordo con le nuove tecniche viene datata intorno al 1765 quando a Barcellona viene inaugurata la prima fabbrica di cotone che dette il via ad una vera e propria fase di espansione per l’industria cotoniera. A differenza del resto del paese, infatti, in Cataluña ci furono vari fattori che favorirono la rivoluzione industriale, molti dei quali si ritrovano anche nel contesto inglese. L’agricoltura, ad esempio, utilizzava tecniche produttive di gran lunga migliori rispetto al resto della penisola tanto che, già nel XVIII secolo, ci fu un notevole incremento della produzione e la nascita di nuove industrie come quella vitivinicola. Gli introiti provenienti da questo settore furono quindi investiti nell’industria tessile che si sviluppò con grande velocità anche grazie al commercio con l’America e alla vicinanza con l’Europa. Un’ulteriore spinta all’industria tessile fu data dall’importazione di macchinari inglesi per la produzione di cotone. Nel 1768 si contavano già più di mille stabilimenti tessili che diventarono più di duemila nel 1784. Il settore tessile dava lavoro a molti operai: si passa dai cinquantamila operai del 1775 ai centomila del 1784. Nel XVIII secolo la Cataluña era il centro dominante nella produzione di cotone nonostante esistessero piccole realtà anche a León, La Mancha, Santander e Valencia. In Cataluña, lo sviluppo dell’industria di cotone fu poderoso. Come si può notare anche dal grafico sottostante,

8 Oscar Diego Bautista, La política de industrialización en España. Antecedentes, evolución histórica y perspectiva

europea, «Contribuciones desde Coatepec», núm. 17, Universidad Autónoma del Estado de México Toluca,

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14 paragonando l’industria tessile catalana con quella britannica, si nota che quest’ultima passò da essere quaranta volte superiore nel consumo di cotone all’inizio dell’Ottocento, a solo dieci volte superiore tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. L’industria tessile catalana passa dal consumo di circa 3906 tonnellate di cotone tra il 1834 e il 1838, al consumo di 75548 tonnellate circa tra il 1899 e il 1903 superando di fatto anche Belgio e Italia. In rapporto alla realtà spagnola, a metà del secolo, la Cataluña deteneva il 60% della produzione nazionale di cotone che raggiunge il 90% all’inizio del XX secolo.

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È necessario ricordare, però, che il lavoro non si svolgeva soltanto all’interno delle industrie. Infatti, se ancora oggi una parte importante della produzione industriale viene realizzata a casa e in piccole botteghe, molte volte clandestinamente, nel XVIII e XIX secolo questo succedeva ancora di più. È molto difficile capire quale parte del lavoro veniva realizzato nelle case, però è evidente che decine di migliaia di famiglia vivevano grazie a questo lavoro, con il quale si improvvisavano dei piccoli laboratori all’interno delle abitazioni e diventavano operai uomini e donne di tutte le età.

Un altro settore di fondamentale importanza per l’economia spagnola fu quello siderurgico che attraversò varie fasi prima di raggiungere una certa stabilità e potenza. L’industria siderurgica

9 Jordi Nadal, El fracaso de la revolución industrial en España, 1814-1913, Editorial Ariel, Barcellona, 1975.

3906 18114 32116 75548 158850 384471 563189 754609 0 100000 200000 300000 400000 500000 600000 700000 800000 1834-1838 1854-1858 1874-1878 1899-1903

Consumo di cotone delle industrie catalane e

britanniche dal 1834 al 1903. (Media annuale in

tonnellate)

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15 iniziò il suo sviluppo negli anni ’30 dell’Ottocento a Málaga e Marbella dove vennero installati i primi forni industriali. Vi era però un handicap non trascurabile, ovvero la notevole distanza dai più importanti giacimenti di carbone che costringeva le industrie di Málaga a rendere più cari della concorrenza i propri prodotti, diminuendo notevolmente le vendite e provocando quindi il declino del settore in questa zona. A partire dalla metà del XIX secolo, il predominio nel settore siderurgico passò alle Asturie che possedevano i migliori giacimenti di carbone della penisola. Il problema in questa zona era un altro, ovvero la lontananza dai depositi di ferro, il che portò, a partire dagli anni ’80, un forte sviluppo del settore siderurgico a Vizcaya, nel País Vasco. Il fatto curioso è che Vizcaya non aveva carbone ma sfruttava l’esportazione del ferro in Gran Bretagna per poi importare carbone britannico. 10 Questi scambi rappresentarono un forte impulso per l’industria siderurgica che portò, nel 1902, alla fondazione dell’azienda Altos Hornos de Vizcaya (AHV), il più grande centro siderurgico dell’Europa meridionale. Si conta che dal 1861 al 1913 la Spagna abbia prodotto più di 245 mila tonnellate di ferro, di cui più di 151 mila prodotte a Vizcaya (circa il 60%). Di tutto il ferro prodotto quasi 223 mila tonnellate (pari al 91%) fu esportato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. È lecito affermare che questo enorme sviluppo dell’industria siderurgica sia dovuto al fatto che tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, l’industria basca aveva adottato forme di organizzazione tipiche della seconda rivoluzione industriale, che univano il capitale industriale a quello finanziario pur contando sempre anche su un notevole capitale britannico. Oltre a quella siderurgica viene anche promossa l’industria cantieristica e altre aziende metalmeccaniche che producevano macchinari tessili, mezzi di trasporto e altro. È evidente, quindi, che nella seconda metà del XIX secolo, l’industrializzazione moderna spagnola si concentra esclusivamente sull’asse Catalogna, con l’industria tessile, e costa cantabrica, con l’industria siderurgico-metallurgica. Il resto del paese era invece scarsamente industrializzato, rappresentava soltanto un fornitore di materie prime e manodopera abbondante e a basso costo. Dall’altra parte, lo sviluppo delle industrie dell’asse nordico era dovuto al fatto che queste zone avevano avuto in passato un’importante proto-industria e un’attività artigianale già avviata nel XVIII secolo. La realtà spagnola iniziò a cambiare con la diffusione della rete ferroviaria, grazie alla quale si iniziò a formare un mercato nazionale, fino ad allora ostacolato dall’orografia del paese e dall’assenza di corsi d’acqua

10 Durante questi anni, infatti, si esportava circa il 90% del ferro e in cambio, si tornava con carbone gallese di

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16 navigabili e collegati tra di loro. La ferrovia fu il grande motore dell’industrializzazione in buona parte d’Europa, non solo perché permise di accorciare le distanze tra le città, ma anche perché muoveva grandi quantità di denaro, sia nel settore minerario che in quello siderurgico. La prima linea ferroviaria realizzata in Spagna fu Barcellona-Mataró, inaugurata il 28 ottobre 1848. Negli anni seguenti si costruirono altre linee ferroviarie simili, come la linea Madrid-Aranjuet nel 1851 per unire il Palazzo Reale di Madrid con quello di Aranjuet, mentre l’anno successivo venne realizzata la linea Langreo-Gijón per trasportare il carbone dalle miniere al porto di Gijón. La grande spinta allo sviluppo della rete ferroviaria spagnola fu data dalla «Ley General de Ferrocarriles», promulgata il 3 giugno 1855 con l’obiettivo di creare un nuovo mercato nazionale sostenuto da un sistema di comunicazione moderno ed efficace facilitando le concessioni alle imprese che volevano costruire linee ferroviarie sul territorio spagnolo. Il risultato fu la costruzione di un grande numero di ferrovie a partire dagli anni ’60 fino ad arrivare a quasi centomila chilometri di rete ferroviaria negli anni ’90.

Da qui in poi la situazione, seppur lentamente, inizia a migliorare. La Spagna, però, si ritrova agli inizi del XX secolo con una capacità produttiva che raggiunge a malapena i due terzi di

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17 quella britannica. L’incapacità dell’industria spagnola di accedere ai mercati internazionali, unita ad una industrializzazione troppo circoscritta, portano la Spagna ad affacciarsi al nuovo secolo decisamente indietro rispetto agli stati dell’Europa settentrionale. Nonostante ciò, però, a partire dal secondo decennio del 1900, si ha una forte ripresa del processo di industrializzazione, grazie a vari fattori:

1) Innovazione degli strumenti e delle tecniche utilizzate che danno vita alla cosiddetta seconda Rivoluzione Industriale: si inizia a lavorare con energia elettrica e chimica. 2) Capacità di reinvestire i capitali rientranti dalle colonie andate perse.

3) Presenza di nuovi capitali stranieri.

4) Neutralità del governo spagnolo durante i conflitti.

La somma di questi elementi dette un forte impulso all’industria nazionale con la nascita di nuove industrie e veri e propri poli industriali come Madrid, capitale non solo politica ma anche economica ed amministrativa, Barcellona, Valencia, Santander, Zaragoza e Valladolid.

In conclusione, quindi, la Spagna arriva agli inizi del XX secolo come nazione prevalentemente agricola in cui l’agricoltura rappresenta un ostacolo per il progresso della stessa industria, un’industria che dipende molto dai capitali stranieri e che si limita alla zona catalana e basca ed ai settori tessile e siderurgico. La vera accelerata arriva dopo la Prima Guerra Mondiale, della quale la Spagna approfitta non solo per crearsi un mercato internazionale ma anche per la nascita di nuove industrie e per il rafforzamento di quelle preesistenti.

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2. La questione mineraria

2.1 La storia delle miniere e i principali giacimenti nel

XIX secolo

Oltre al settore tessile e siderurgico, nel corso del 1800 assume grande importanza per l’economia spagnola anche il mondo delle miniere. Le attività minerarie in Spagna hanno una tradizione molto antica: infatti, sin dal VII secolo a.C. la ricchezza mineraria della Spagna fu uno dei principali obiettivi dei popoli colonizzatori come Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani. La penisola, infatti, era ricca di ferro, piombo, rame, mercurio e zinco e aveva inoltre un grande vantaggio, il fatto che i principali giacimenti minerari si trovassero vicino ai porti, il che ne favoriva anche il commercio. Anche gli arabi cercarono di sfruttare al massimo il sottosuolo spagnolo ma, nonostante la modernizzazione delle tecniche e dei materiali utilizzati, il pieno sfruttamento delle ricchezze minerarie raggiunse l’apice soltanto nell’ultimo quarto del 1800. Durante questo secolo, infatti, vi furono una serie di fattori che influirono notevolmente sullo scarso utilizzo delle risorse del sottosuolo, come la mancanza di capitali importanti, una scarsa conoscenza delle tecniche da utilizzare e, data l’arretratezza dell’industria spagnola, una bassa domanda industriale. Inoltre, con la «Ley de Minas» promulgata nel 1825 da Luis López Ballesteros, Ministro del Tesoro durante il regno di Fernando VII, si attribuiva il possedimento delle miniere alla Corona e ciò impediva notevolmente i tentativi di iniziativa privata.

Perteneciendo a mi Corona y Señorío Real el dominio supremo de Ias minas de todos mis reinos, nadie tendrá derecho a beneficiarIas sino aquellos que ya lo hayan adquirido por especial concesión que les hubieren hecho mis augustos Predecesores y esté confirmada por Mi, y los que en lo sucesivo lo obtengan en virtud del presente decreto.1

Questo fu soltanto un primo tentativo di liberalizzazione delle estrazioni minerarie per capitali nazionali e stranieri ma non fu sufficiente: il settore andava decisamente a rilento rispetto alle altre realtà europee, un po’ come il resto dell’industria spagnola, eccezion fatta per alcune realtà

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20 isolate. La Corona, però, permetteva soltanto piccole concessioni, inferiori ad un ettaro e ciò non permetteva uno studio approfondito della disposizione dei minerali, né una seria pianificazione dei lavori. Con la successiva «Ley de Minas» dell’11 aprile 1849, si sancisce la proprietà statale delle miniere, non più possedimenti della Corona, il che rappresenta sicuramente un passo in avanti rispetto alla precedente legge:

Son objeto especial del ramo de minería todas las sustancias, inorgánicas que se presten á una explotación, sean metálicas, combustibles, salinas ó piedras preciosas, ya se encuentren en el interior de la tierra, ya en su superficie.2

La propriedad de las sustancias designadas en el artículo anterior, corresponde al Estado, y ninguno podrá beneficiarlas sin concesión del Gobierno, en la forma que se dispone en esta ley.3

In seguito, con «Ley de Minas» del 1859 si ampliarono ancor di più le sostanze minerarie da poter estrarre e si arrivò ad una vera e propria svolta con la «Ley de base sobre las Minas» promulgata il 4 marzo 1868 che semplificava molto le concessioni anche ad imprese straniere in cambio del pagamento di un canone da parte dei beneficiari. Questa legge rappresentò un punto di svolta perché, non solo aumentò l’interesse degli spagnoli nei confronti del sottosuolo, ma attrasse molti capitali stranieri soprattutto francesi, inglesi e belga trasformando la Spagna in uno dei principali paesi esportatori di minerali come piombo, ferro, mercurio, zinco e carbone. Questo cambio di passo portò alla nascita di diverse società come la «Rio Tinto Company» e la «Société Minière et Metallurgique Peñarroya». La prima, tra le più famose e ancora esistenti, è una multinazionale anglo-americana nata a Londra nel 1873 che si occupa di ricerca, estrazione e lavorazione di risorse minerarie. Attualmente è la terza più grande società mineraria del mondo. La società nacque quando un consorzio internazionale guidato dal banchiere londinese Hugh Matheson ottenne il giacimento minerario di Río Tinto pagando allo stato spagnolo l’incredibile cifra di 92,8 milioni di pesetas. I primi gestori della Río Tinto Co. si occuparono subito della modernizzazione del luogo: costruirono una ferrovia, un molo e, per permettere la produzione su larga scala,

2 Articolo 1, «Ley de Minas», 1849. 3 Articolo 2, «Ley de Minas», 1849.

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21 introdussero un sistema di estrazione a cielo aperto, che consisteva nell’estrarre la roccia o i minerali dalla terra rimuovendoli da una cava all’aperto. Il giacimento divenne in pochi anni il maggiore centro minerario di tutto il mondo, primo produttore di rame a livello mondiale e uno dei più grandi fornitori di zolfo in Europa e in America settentrionale. Oltre a quello di Rio Tinto però, la Spagna disponeva di molti altri giacimenti minerari, di altrettanta importanza:

1) Il piombo del Sud-Est che fu protagonista del risorgimento dell’attività mineraria privata in Spagna e fu, durante il XIX secolo, il prodotto principale per estrazione ed esportazione. Il decollo della produzione di piombo avvenne già a partire dal 1820. Tra le zone più ricche vi erano senza dubbio la Sierra di Gador in Almería, la Sierra di Cartagena-La Unión a Murcia ma anche Jaén e Ciudad Real. Murcia, Jaén e Almería furono le principali province per produzione, con l’80% del piombo prodotto in Spagna. All’inizio l’estrazione avveniva grazie ai capitali spagnoli, ma nell’ultimo quarto del XIX secolo, grazie anche alla Ley de Bases sobre las Minas, erano le società straniere le protagoniste dell’estrazione del piombo in territorio spagnolo. Dopo il periodo di splendore della fine del XIX secolo però, nel primo terzo del 1900 si ha una progressiva diminuzione nella produzione di piombo e fra i tanti giacimenti sopravvisse soltanto il distretto di Cartagena-La Unión che, anche grazie all’introduzione di nuove tecnologie, vivrà una nuova epoca di splendore nel nuovo secolo.

2) Il ferro di Vizcaya: nonostante il ferro sia uno dei metalli più comuni presenti in natura, l’elevato punto di fusione, a più di 1500°C, presuppone un notevole sviluppo tecnologico ma soprattutto fonti energetiche efficienti per la sua produzione. Sin dall’Antichità in Spagna vi erano importanti giacimenti di ferro, ma l’arretratezza del paese ha ritardato notevolmente l’apertura di gran parte di questi distretti minerari. Le uniche eccezioni furono le località costiere di Marbella e Málaga dove furono installati i primi altiforni necessari alla produzione di ghisa a partire da materiale ferroso. Di fondamentale importanza fu il giacimento di Bilbao, il cui ferro veniva estratto sin dall’Antichità raggiungendo l’apice tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il minerale fu oggetto di una forte richiesta da parte di produttori britannici, tanto che i minatori e gli industriali baschi approfittarono di questo

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22 rapporto con gli inglesi per portare, sulle navi di ritorno, carbone per le industrie, incentivando ancor di più gli investimenti stranieri.

3) Lo zinco cantabrico: l’interesse per lo zinco crebbe sempre di più col passare del tempo. Il giacimento più importante fu quello di Torrelavega in Cantabria e si trattava del giacimento di zinco più ricco d’Europa. Inizialmente fu una società spagnola ad avere il controllo solitario della produzione di questo metallo, per poi passare sotto il controllo di una compagnia belga.

4) Il mercurio di Almadén: questo metallo era comune sin dall’Antichità e veniva usato in vari ambiti: dalla pittura, alla cosmetica fino alla medicina. Almadén, giacimento conosciuto già in epoca romana, è stato il più importante produttore di mercurio a livello mondiale. Si stima che questo giacimento, in circa duemila anni di attività, abbia fornito circa un terzo del mercurio estratto del mondo.

5) Il carbone delle Asturie,Córdoba, Ciudad Real e León: la presenza di giacimenti di carbone fu fondamentale per l’industrializzazione della Spagna, basti pensare al notevole contributo apportato per lo sviluppo della rete ferroviaria spagnola ma anche dell’industria siderurgica. Quello del carbone è stato anche il settore che ha impegnato il maggior numero di lavoratori, nonostante il carbone spagnolo fosse di qualità decisamente inferiore e richiedesse una spesa maggiore per l’estrazione rispetto agli altri stati tanto che spesso si ricorreva al carbone britannico. I maggiori giacimenti di carbone furono nelle Asturie ma anche a León, Córdoba e Ciudad Real, decisamente lontano dalla Catalogna e dai Paesi Baschi che erano le regioni più industrializzate durante il XIX secolo.

2.2 Le condizioni di vita dei minatori spagnoli

Lo sviluppo del settore minerario, soprattutto a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, portò moltissime persone, non solo uomini ma anche donne e bambini, a lavorare nelle miniere. Le attività minerarie di questo secolo, infatti, si caratterizzavano per un uso intensivo della manodopera, a discapito della macchina a vapore, il cui uso era limitato all’entrata e all’uscita di persone e minerali dalla miniera, tutto il resto dei lavori veniva svolto manualmente. L’attività in miniera era senza dubbio tra i peggiori impieghi per l’uomo, soprattutto quando le estrazioni avvenivano sottoterra. I minatori dovevano

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23 attraversare gallerie molto strette e prive di luce, con poca aria e moltissima umidità e dovevano inoltre sopportare a lungo l’atmosfera polverosa che veniva a crearsi durante le operazioni di estrazione. Tutto questo provocava una serie di malattie spesso incurabili come la silicosi,4 l’anchilostomiasi5 e numerose intossicazioni da piombo unite ad altre patologie preesistenti che aumentarono notevolmente come la tubercolosi o altre malattie polmonari. Tra i primi studi realizzati dai medici sulle condizioni del proletariato spagnolo è importante citare quello del dottor FranciscoLópez de Arévalo, medico che nel 1755 scrisse una lettera in cui parlava delle malattie dei minatori di Almadén indirizzata al medico francese Thiéry che la pubblicò, 36 anni dopo, nel suo libro Observations de physique et de médécine faites

en différens lieux de l’Espagne (1791). In questa lettera, molto interessante dato che non ci

troviamo ancora nel momento topico dello sviluppo del settore minerario, López de Arévalo fornisce un quadro sommario delle terribili condizioni in cui vivono e lavorano i minatori di Almadén. Denuncia la mancanza di dispositivi di protezione e la totale assenza di ventilazione nelle miniere che sarà causa, come vedremo, di moltissimi incidenti:

En todos los lugares en los que se extrae el mineral el calor es tan grande que los obreros se ven obligados a ir desnudos, y, a pesar de ello, no cesan un momento de sudar, sobre todo si el mineral es fino, abundante y si el aire no se renueva en absoluto. Durante el invierno, o cuando el tiempo está cubierto, el aire entra por la boca de la mina. Cuando hace calor o el cielo está sereno, salen de dentro afuero no sólo el aire, sino también el humo y polvo de los respiraderos.6

López de Arévalo segnala, inoltre, altre malattie comuni tra i minatori come la pleurite,7 la pleuropolmonite,8 una forte asma e tosse che portava i minatori a vomitare spesso sangue ed avere bocca e gola infiammati. Oltre a queste malattie, ne esisteva un’altra, di carattere sociale, molto comune tra minatori e operai, ovvero l’alcolismo. Nel corso dell’Ottocento,

4 Malattia polmonare provocata dall’inalazione di polvere di cristalli di silice.

5 Nota anche come anemia del minatore, è un’infezione dell’organismo provocata da vermi, molto diffusa in paesi

caratterizzati da clima molto caldo e umido, esattamente quello che si ritrovava nelle miniere sotterranee.

6 Jose Maria Lopez Piñero, Luis García Ballester, Pilar Faus Sevilla, Medicina y sociedad en la España del siglo

XIX, Madrid, Sociedad de Estudios y Publicaciones, 1964, pp.115-116.

7 Infiammazione acuta della pleura, ovvero la membrana che avvolge singolarmente ciascun polmone. 8 Processo infiammatorio che coinvolge contemporaneamente pleura e polmoni.

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24 infatti, si crea la figura del «obrero borracho» che passa le proprie giornate diviso tra fabbrica o miniera e le taverne in cui consuma alcool. Uno dei fattori che spingeva queste persone a bere era l’ignoranza: molti, infatti, credevano che l’alcool potesse dare loro la forza necessaria per lavorare molte ore di fila ed è ciò che gli veniva fatto credere, come sostiene anche il medico catalano Pedro Felipe Monlau nella sua opera El monitor de la salud de las

familias y de la salubridad de los pueblos (1858):

Dos o tres cuartos, con los cuales no hay para comprar pan o carne, les procuran un poco de aguardiente que reanima artificialmente sus fuerzas. El ensayo de este medio falaz de cobrar vigor les conduce al hábito, a la necesidad, a la pasión de los alcohólicos.9

La dipendenza da alcool, quindi, diventava una vera e propria necessità, come se questo fosse in grado di sostituire la mancanza di un’alimentazione corretta e sufficiente. La causa principale, però, furono le pessime condizioni in cui questi operai si vedevano costretti a vivere anche fuori dalle miniere e dalle fabbriche. Anche le loro abitazioni, infatti, erano dei veri e propri focolai di malattie infettive: mancavano acqua e luce, l’aria non circolava e le condizioni igieniche erano totalmente assenti. Per questo motivo, l’uomo non si trovava a suo agio nemmeno nella propria casa, che spesso era costretto a condividere con molti sconosciuti, e per questa ragione andava a cercare “pace” nelle taverne, dove passava ore e ore a bere. Gli effetti di questo consumo eccessivo di alcool erano però devastanti, non solo dal punto di vista fisico ma anche sociale, in quanto si arrivò anche ad un aumento notevole dei crimini commessi. Alle malattie contratte nelle miniere si unisce un numero non trascurabile di incidenti come frane, smottamenti o esplosioni di grisù10, spesso provocati da errori, distrazioni e imprudenze degli operai ma anche degli ingegneri stessi. Nonostante l’enorme pericolosità del mestiere però, nel corso del XIX secolo, anche a causa dell’estrema povertà di numerose famiglie spagnole, ci furono molte persone disposte a lavorare in miniera. All’inizio erano principalmente contadini alla ricerca di una seconda entrata

9 Jose Maria Lopez Piñero, Luis García Ballester, Pilar Faus Sevilla, Medicina y sociedad en la España del siglo

XIX, Madrid, Sociedad de Estudios y Publicaciones, 1964, p.143.

10 Gas incolore ed inodore costituito principalmente da metano. È un gas caratteristico delle miniere di carbone e

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25 economica necessaria per sopravvivere, dato che i proventi del campo non erano sufficienti, a poco a poco però, il lavoro nei campi venne definitivamente abbandonato per dedicarsi esclusivamente al lavoro in miniera. Molte persone si spostavano da una parte all’altra della Spagna e questo provocò delle vere e proprie correnti migratorie che attraversavano il paese per raggiungere le zone in cui la manodopera era più richiesta. Da un censimento realizzato nel 1860 e inserito nel «Catastro Minero»11 si evince che, in quell’anno, il numero di persone che lavoravano nelle miniere era di trentamila, mentre nel 1891 il numero dei lavoratori nelle miniere era salito a centomila. Questi dati però, non sembrano essere totalmente veritieri, in quanto i censimenti del XIX secolo non riconoscevano come attivi coloro che avevano impieghi non pagati o che lavoravano senza contratto e purtroppo, molti dei lavoratori nelle miniere, non avevano alcun tipo di contratto né diritto. La decisione di emigrare era dovuta, in primis, al desiderio di un lavoro più stabile e di un salario migliore rispetto a quello dell’agricoltura, il quale, oltretutto, non era garantito per tutti i mesi dell’anno a causa dei vari cicli di coltivazione, ma anche per le condizioni metereologiche decisamente variabili. Le città e i centri minerari erano visti dai contadini come luoghi in cui poter organizzare in modo migliore la propria vita, educare i propri figli e godere di diritti impensabili per la campagna, anche se quasi sempre non era così. Tra i principali centri che attrassero molti emigrati dalla campagna ci furono le miniere delle Asturie e soprattutto di Vizcaya dove l’estrazione del ferro prende piede dopo l’ultima guerra carlista del 1877. L’apertura di dozzine di miniere di ferro intorno a Bilbao, convertì la zona nel principale centro minerario e siderurgico nazionale e la popolazione di Vizcaya passò da 190mila abitanti nel 1877 a 312mila nel 1900. Lo stesso avvenne anche nella più grande miniera del territorio spagnolo, ovvero quella di Río Tinto, a Huelva, i cui giacimenti di rame e pirite richiamarono migliaia di lavoratori da Andalusia, Castiglia e addirittura dal Portogallo, tanto che l’area passò da cinquemila abitanti nel 1845 a ventitremila nel 1887. La vita nelle miniere però, non era quella che le famiglie sognavano abbandonando la campagna. Qui, infatti, si lavorava per tredici ore consecutive, non si godeva del giorno di riposo settimanale e il lavoro era decisamente sottopagato sebbene il salario fosse superiore a quello della campagna. Il fatto che lo stipendio giornaliero che riceveva gran parte della popolazione fosse misero, lo

11 Archivio pubblico istituito e costantemente aggiornato dal Ministero dell’Industria in cui è possibile trovare tutti

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26 dimostra il fatto che non solo i minatori non riuscivano a mantenere la famiglia, ma non riuscivano nemmeno a mantenere sé stessi. Per questo motivo le famiglie erano costrette a vivere in abitazioni piccolissime, spesso condivise con altre persone e in cui non disponevano né di acqua e né di luce. L’alimentazione era decisamente scarsa, insufficiente per far fronte alle ore lavorative consecutive e le condizioni igieniche erano insufficienti, tanto che moltissime persone morivano a causa di infezioni. Le testimonianze di Pedro Felipe Monlau, uno dei medici che seguiva da vicino le condizioni di operai e minatori, riportate nella sua rivista El monitor de la salud sono ancora oggi di fondamentale importanza per comprendere a pieno la vita nelle fabbriche e nelle miniere:

La alimentación de las clases jornaleras es todavía insuficiente; los más de los obrers no reparan todo lo que pierde. Este desequilibrio se hace perceptible en el mismo trabajo producido. Así, en los caminos de hierro, en las fundiciones y en todas las manufacturas y empresas se observa que los obreros ingleses trabajan más y mejor que los españoles. La causa de tal superioridad no está precisamente en la mayor destreza o práctica, sino que se encuentra en que los primeros comen más carne y se dan mejor trato. El pan de que se nutren las clases jornaleras, sobre ser de baja calidad, está frecuentísimamente adulterado. El salario no les permite comer habitualmente un poco de carne fresca, que tanto les convendría. 12

Las habitaciones particulares de los jornaleros son generalmente poco higiénicas. Están demasiado altas o demasiado bajas y situadas, de ordinario, en las calles más insalubres o más inmundas. Son también estrechas: familias de cinco o seis individuos no tienen a veces más que un mal cuarto, donde duermen, cocinan y tal vez trabajan todo el día.13

Il lavoro in miniera però, non era, come potrebbe sembrare, limitato agli uomini. Erano infatti presenti anche donne e bambini. Le donne erano utilizzate soprattutto per il trasporto dei minerali all’esterno delle miniere e si trovavano in particolar modo nelle miniere di carbone delle Asturie, in quelle di ferro di Vizcaya e in quelle di piombo a Córdoba.14

12 Luis García Ballester, Jose Maria Lopez Piñero, Pilar Faus Sevilla, Medicina y sociedad en la España del siglo

XIX, Madrid, Sociedad de Estudios y Publicaciones, 1964, p.140.

13 García Ballester, Lopez Piñero, Faus Sevilla, Medicina y sociedad en la España del siglo XIX, p.139.

14 Dai dati raccolti alla fine del XIX secolo, le donne che lavoravano nelle miniere di carbone rappresentavano circa

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27 Oltre al lavoro nelle miniere, le donne si occupavano anche dei minatori lavando i vestiti e preparando i pasti per coloro che erano senza famiglia. Molto spesso però, le ragazze e le donne che lavoravano nelle miniere, anche a causa della loro profonda ignoranza, si arrendevano alla seduzione degli uomini e si davano anche alla prostituzione, come conferma nella sua rivista Monlau, dove dimostra inoltre che la maggior parte delle prostitute erano proletarie. Tutto questo ha come causa di fondo la miseria in cui queste persone erano costrette a vivere: le donne non riuscivano a sfamare i figli e quindi arrivavano a svolgere anche le più umilianti attività; gli uomini, spesso non sposati proprio per la mancanza di denaro, vedevano in queste donne l’unico momento di tregua alla miseria quotidiana. Per quanto riguarda i bambini invece, gli studiosi concordano sul fatto che, nonostante l’introduzione di nuove tecnologie e macchinari, il lavoro infantile nelle miniere era molto presente, in particolar modo nella zona sud-orientale della penisola. Molti bambini iniziavano a lavorare già all’età di 8 anni nonostante la legge lo permettesse dai 10 anni in su, e passavano fino a 12/13 ore al giorno chiusi dentro le miniere senza alcuna norma igienica o di sicurezza, tanto che le vittime delle miniere, anche fra i più giovani, furono molte. I bambini venivano utilizzati soprattutto nelle miniere di ferro dell’Almería dove rappresentavano il 36% della manodopera e nelle miniere di ferro e piombo di Murcia (30%). Nonostante la giovane età, essi venivano sfruttati sia all’interno che all’esterno delle miniere grazie anche alle loro piccole dimensioni che permettevano ai minatori di raggiungere i punti più difficoltosi per un adulto. Le cause di questo notevole impiego della manodopera infantile sono soprattutto di natura socioeconomica. Molti bambini iniziavano a lavorare duramente per cercare di far fronte alle necessità economiche della famiglia. Spesso lo stipendio del padre non era sufficiente o addirittura i padri morivano giovani nelle miniere e quindi i figli, seppur piccoli, erano costretti a sostituirli per cercare di mantenere la famiglia. 15 La retribuzione, sebbene spesso misera, giustificava l’altissimo rischio per la salute che questi bambini correvano.

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Desde que un muchachito alcanza el peso de doce libras, entra en la mina y comienza por ayudar en ella a los obreros; su trabajo aumenta en los años y cambia gradualmente de objeto; pero allí pasa su vida, que, por lo general, nunca llega a los sesenta años.16

Oltre all’alto tasso di mortalità, che approfondiremo in seguito, l’enorme sforzo fisico in miniera portava delle conseguenze anche sul corpo dei giovani. Numerosi studi sulla statura di coloro che avevano lavorato in miniera sin da giovani, affermano che vi è una correlazione tra il lavoro in miniera, la scarsa alimentazione ed una bassa statura dei lavoratori. Secondo questi studiosi, i grandi sforzi fatti in miniera durante il periodo di crescita e sviluppo hanno provocato nei giovani minatori un notevole logorio fisico aumentato da una dieta scadente e da condizioni ambientali pessime in cui passare decine di ore al giorno. Analizzando in particolare uno studio antropologico condotto su più di trentamila minatori ventenni di Cartagena e Murcia, nati tra il 1837 e il 1913, si nota che la statura media di questi ventenni tra il 1840 e il 1860 era di 163 centimetri, il che esprime uno stato nutrizionale relativamente buono per l’epoca che si mantiene fino alla fine degli anni ’60. Il crollo fisico avviene negli anni ’60 e ’70: in questo periodo, i minatori adolescenti arrivarono ad essere dei veri e propri lillipuziani, soprattutto nella zona di Cartagena dove l’altezza media era di 157,8 centimetri. Questi dati suggeriscono che lo stile di vita e lo stato nutrizionale peggiorarono notevolmente durante questi anni, in corrispondenza di un aumento vertiginoso del lavoro nelle miniere, particolarmente visibile nella zona di Murcia che attraversava uno dei migliori periodi della sua storia dal punto di vista economico.17 Un altro indicatore che sottolinea l’incidenza dell’attività mineraria nei livelli di vita è l’aumento dei tassi mortalità. Le zone minerarie, in particolare quelle del sud-est della penisola, avevano un tasso di mortalità ben più alto rispetto al resto del paese, tanto da raggiungere i numeri delle crisi di mortalità del passato dovute a epidemie e guerre. Andando ad analizzare i tassi di natalità e mortalità in due province in cui la percentuale di minatori era elevata, come Murcia e Almería, si nota che il

16 Jose Maria Lopez Piñero, Luis García Ballester, Pilar Faus Sevilla, Medicina y sociedad en la España del siglo

XIX, Madrid, Sociedad de Estudios y Publicaciones, 1964, p.116.

17 José Miguel Martínez Carrión, Estatura, salud y nivel de vida en la minería del sureste español, 1830-1936,

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29 tasso di mortalità delle due province è ben più alto della media spagnola, mentre quello di natalità non varia molto, come si evince dal grafico sottostante.

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Approfondendo questi dati, è evidente che la mortalità infantile e giovanile incide in maniera rilevante sul tasso di mortalità di queste due province e risulta essere notevolmente più elevata non solo rispetto al resto della penisola ma anche rispetto agli altri stati dell’Europa meridionale. Lo sforzo richiesto dal lavoro in miniera che durava dalle dieci alle dodici ore al giorno, fece in modo che i bambini venissero praticamente privati della luce del sole, un aspetto che oggi è considerato come uno dei fattori più importanti per la crescita e lo sviluppo corporeo. Questo, unito ad un’alimentazione insufficiente e un ambiente completamente malsano, portò alla formazione di piccoli corpi malnutriti, esausti e rachitici che spesso non riuscivano a superare nemmeno la più banale delle infezioni. Un’ultima conseguenza, altrettanto disastrosa, è l’impatto che le miniere ebbero sull’ambiente in termini di inquinamento atmosferico e idrico e rovina del paesaggio a causa della produzione di grandi residui sia solidi che liquidi. Molto spesso l’inquinamento era dovuto all’utilizzo di mezzi arcaici per l’estrazione dei minerali o all’uso di combustibili fortemente inquinanti. Non fu però la diffusione delle cosiddette miniere a cielo aperto a risolvere il problema. Infatti, per estrarre a cielo aperto, era necessario smuovere grossi cumuli di terreno che necessitavano la creazione di altrettante discariche e che alteravano fortemente l’ambiente. Al giorno d’oggi, per minimizzare l’impatto, esistono una serie di norme che obbligano le compagnie a “restaurare” l’ambiente sfruttato. Attualmente, ogni progetto in ambito minerario deve essere

18 David Sven Reher, María Nieves Pombo, Beatriz Noguerás, España a la luz del censo de 1887, Instituto Nacional

de Estadística, 1993.

0.00% 20.00% 40.00%

TASSO NATALITA' TASSO MORTALITA'

INDICATORI DEMOGRAFICI DELLE PROVINCE DI

MURCIA E ALMERÍA (1887)

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30 accompagnato dallo studio dell’impatto ambientale e il successivo piano di restaurazione. Tutto questo era impensabile poco più di un secolo fa quando la natura era vista dai grandi industriali ma spesso anche dagli operai stessi come un oggetto da sfruttare in piena libertà poiché capace di rigenerarsi in eterno. Questo atteggiamento di cornucopia provocò indubbiamente enormi disastri ambientali.

2.3 Le catastrofi nelle miniere: gli incidenti più gravi tra

il XIX e XX secolo in Spagna

Come menzionato nelle precedenti sezioni, a rendere il lavoro in miniera ancor più pericoloso, vi era l’alto rischio di incidenti che, tra il XIX e XX secolo, hanno provocato molte vittime, anche a causa di una totale assenza di sicurezza sul posto di lavoro. Tra le cause principali delle catastrofi nelle miniere vi sono esplosioni e crolli dovuti al forte accumulo di gas grisù, infiammabile e altamente esplosivo. Andando alla ricerca degli incidenti avvenuti in miniera in questo periodo, emerge che i più ricordati sono senza dubbio gli incidenti avvenuti tra il 1860 e il 1882 nelle miniere di Bélmez, nella provincia di Córdoba, dove persero la vita circa 80 persone. La prima catastrofe ufficialmente registrata è quella avvenuta il 16 luglio 1861 quando morirono quattro persone in seguito ad un’esplosione che ne ferì gravemente altre quattro. La tragedia fu provocata da un’esplosione di grisù, probabilmente alimentata dalle lucerne che venivano date dalle imprese ai minatori per lavorare nelle gallerie. Questa tragedia però, non impedì che ne avvenisse un’altra di gran lunga peggiore pochi anni dopo: il 1° aprile del 1868 un’altra esplosione dovuta al gas grisù provocò la morte di 28 persone. Stavolta la causa dell’esplosione fu attribuita all’accensione di una sigaretta da parte di un minatore. Un altro episodio degno di nota è quello avvenuto il 7 novembre 1881 nella miniera Cabeza de Vaca a Bélmez dove, sempre a causa dell’esplosione di grisù, persero la vita 16 minatori. Uno tra gli episodi più ricordati nella storia della Spagna, è la catastrofe della miniera di Santa Isabel a Bélmez il 17 marzo 1898. La tragedia avvenne intorno alle 5 del pomeriggio, momento in cui un gruppo di operai era pronto a dare il cambio ad un altro. Si sentì una forte esplosione a 180 metri di profondità e questa fu confermata dall’arrivo di un minatore visibilmente scioccato e ferito, che informò i presenti del grave incidente da cui si era salvato grazie alla spinta dell’onda d’urto che lo

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31 aveva scaraventato dentro ad un buco. L’esplosione fu sentita in tutta il paese e fu provocata da un operaio, Manuel Rubio, il quale, sebbene fosse conscio della pericolosità di ciò che stava facendo, provocò una piccola esplosione controllata all’interno della galleria, nella quale però, l’atmosfera era carica di grisù. L’esplosione e l’immediato crollo della galleria furono inevitabili: chi si salvò dal crollo, morì per asfissia. I soccorsi estrassero 51 cadaveri, 2 feriti gravi e 11 feriti lievi, mentre due uomini non furono mai ritrovati. Questo episodio fece molto scalpore e fu notevolmente dibattuto soprattutto sui giornali, nonostante la Spagna stesse vivendo il tragico momento della guerra di Cuba che portò alla perdita delle colonie.

Se dedujo que este barreno fue atacado con polvo de carbón, y al hacer explosión se inflamó el taco, produciendo llama, lo que unido a la pequeña cantidad de grisú allí presente hizo que la llama ganase en intensidad, abrasando a cuantos operarios encontró a su paso, en dirección de la corriente de salida de gases, efectuada a través del pozo nº 5. A unos 150 m del pozo donde explotó el barreno, había cierta concentración de grisú, esto originó una pequeña explosión que provocó el hundimiento de toda la galería, interrumpiendo la corriente de aire y los gases, obligando a estos a retroceder hacia el pozo de entrada de aire, el nº 22, y produciéndose una anoxia que acabó con la vida por asfixia de los mineros que se encontraban en las galerías de transporte que afluían al crucero del pozo. Al mismo tiempo el retroceso de la corriente de aire provocó una serie de hundimientos en pozos y galerías, ocasionando numerosas muertes. El desdichado destajista murió en el acto junto a otro destajista llamado Pedro García y su hijo, multados días antes por haber disparado unos barrenos sin permiso.19

La più grande catastrofe in miniera però, fu quella avvenuta il 28 aprile del 1904 nelle miniere di La Reunión a Villanueva del Río, dove i morti furono addirittura 63 e ci furono anche molti feriti gravi. Il fatto avvenne nelle prime ore del mattino a causa di un’esplosione provocata di nuovo da un eccessivo accumulo di gas grisù che, non solo provocò il crollo della galleria in cui si trovavano i minatori, ma incendiò la polvere di carbone sospesa nell’aria delle gallerie generando una lingua di fuoco che si propagò ad altissima velocità bruciando tutto ciò che incontrava. I soccorsi recuperarono 63 corpi senza vita e in seguito alle loro autopsie si capì che molti erano morti bruciati e altri asfissiati. La causa

19 José Manuel Sanchis, La catástrofe de la mina Santa Isabel (Belemez 1898), «Hastial – Revista digital del

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32 dell’incidente fu ancora una volta un errore umano: un adolescente, incaricato di tenere in funzione un ventilatore manuale per evitare forti concentrazioni di grisù, si era addormentato, permettendo al gas di accumularsi. Al suo risveglio aveva provato a fumare una sigaretta e per accenderla, aveva utilizzato la lampada ad acetilene la cui accensione provocò la fatale esplosione. Gran parte delle vittime era di età compresa tra i 16 e i 19 anni, oltre a molti padri di famiglia. Ai familiari furono destinati soltanto gli aiuti raccolti dalle beneficienze. I morti furono seppelliti in fosse comuni, senza nemmeno una lapide ad indentificarli, quasi come fossero dei semplici oggetti. Questo provocò una forte rabbia da parte dei familiari e degli amici delle vittime che portò i minatori a scioperare il 6 maggio del 1904. Allo sciopero parteciparono molte persone, anche coloro che lavoravano nelle miniere soltanto d’inverno. Gli scioperanti richiedevano maggiore sicurezza sul lavoro e una giornata lavorativa meno pesante. Inizialmente, la MZA, ovvero la Compañía de ferrocarriles de Madrid a Zaragoza y Alicante,20 decise di rispondere alle manifestazioni togliendo cibo e vestiti agli scioperanti, i quali però ottennero l’appoggio di altri gruppi operai come le sigaraie di Siviglia e i conducenti dei tram. Lo scioperò andò avanti fino al 26 maggio, quando l’impresa e il governo dovettero cedere alle richieste dei minatori riducendo a otto ore la giornata lavorativa all’interno delle gallerie, a nove ore quella all’esterno. Fino a questo momento, infatti, la giornata lavorativa in Spagna non aveva alcun limite di tempo. Oltre a questo, l’impresa MZA si ripromise di migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori e intraprese la costruzione del cimitero di Santa Barbara in onore dei minatori morti. Le miniere di La Reunión saranno protagoniste di altri incidenti anche nel corso del 1900 fino alla chiusura definitiva avvenuta nel 1972. Gli incidenti avvenuti nelle miniere furono moltissimi, quelli citati sono soltanto alcuni tra i più ricordati: le morti dei minatori iniziarono a creare una nuova consapevolezza nei lavoratori che non erano più disposti a sacrificare la propria vita e quella dei loro figli per un salario misero e per essere trattati come animali non pensanti. Cominciano a diffondersi, quindi, i primi pensieri rivoluzionari: i lavoratori iniziano a manifestare il proprio dissenso attraverso scioperi e proteste.

20 La compagnia fu fondata nel 1856 con presenza maggioritaria di capitale francese e acquistò le miniere di La

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2.4 «El año de los tiros»: la più grande protesta dei

minatori spagnoli

Le catastrofi nelle miniere, le pessime condizioni in cui i minatori erano costretti a lavorare e un salario insufficiente, portarono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento numerosi scioperi e proteste da parte dei lavoratori per ottenere più diritti. Il 1888 viene tragicamente ricordato come «el año de los tiros», l’anno del più grande sciopero di minatori che richiedevano degne condizioni lavorative e che fu represso nel sangue dall’esercito spagnolo, provocando la morte di più di 200 operai. Per capire meglio gli avvenimenti è necessario fare un passo indietro. Ci troviamo nelle miniere di Río Tinto nel comune di Huelva, che furono acquistate, da un consorzio britannico. Con la nuova impresa la produzione aumentò notevolmente, così come l’inquinamento dell’aria, poiché gran parte delle attività venivano svolte a cielo aperto. Si producevano, infatti, enormi quantità di fumi ricchi di biossido di zolfo, una sostanza irritante già a basse concentrazioni per occhi e vie respiratorie, che può portare a conseguenze molto più gravi a concentrazioni più elevate. L’emissione di questi fumi raggiunse velocemente quantità insopportabili sia per la salute degli abitanti dell’area, sia per l’agricoltura, in quanto, quando i fumi non venivano sparsi dal vento, formavano la «manta», ovvero una coperta di fumo che avvolgeva la valle e che rendeva l’aria così inquinata da costringere le persone a rinchiudersi in casa o addirittura a fuggire verso altre zone. Lavorare era quindi impossibile. Iniziarono quindi a diffondersi pensieri rivoluzionari, alimentati da una figura molto importante per la realtà mineraria, ovvero Maximiliano Tornet, leader rivoluzionario e sindacalista di origine cubana che dette di fatto il via agli scioperi di quell’anno. Egli lavorava per la Río Tinto Company dove fu inserito in una vera e propria “black list” perché accusato di vendere giornali rivoluzionari tra i minatori, motivo per cui fu anche incarcerato. In seguito alla scarcerazione però, Tornet, coperto dai suoi compagni, iniziò di nuovo le sue attività da rivoluzionario che lo portano, insieme ad altri compagni a fare una serie di richiesta alla compagnia inglese:

 Proibire l’uso delle «teleras», ovvero dei processi di calcinazione21 dei minerali a cielo aperto, in quanto fortemente inquinanti.

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 Contare i giorni in cui non potevano lavorare a causa della «manta», ovvero la nube di fumo che avvolgeva la zona e che rendeva l’aria praticamente impossibile da respirare, come giorni lavorativi e quindi retribuiti.

 Riduzione della giornata lavorativa da 12 a 9 ore.

 Cambio nel sistema della stipula dei contratti: i minatori richiedevano che non venissero fatti contratti mensili per i lavori in miniera, richiedendo quindi maggiore stabilità.

 Eliminazione dell’obbligo di pagamento di una peseta per ricevere assistenza medica.

 Salario minimo di 16 reali al giorno con la possibilità di arrivare a 20 in caso di estrazione di buoni minerali.

Queste, insieme ad altre richieste, erano firmate da Maximiliano Tornet e altri 700 uomini e dovevano essere presentate al comune di Río Tinto. Lo scioperò iniziò il 1° febbraio 1888 ma i fatti tragici accaddero 3 giorni dopo. Il 4 febbraio infatti, Tornet, insieme ai leader della «Liga Antihumos» Ordóñez Rincón e Lorenzo Serrano, guidò una folla fatta di più di dodicimila manifestanti, uomini, donne e bambini che portavano striscioni in cui si poteva leggere «¡humos no!» o «¡viva la agricultura!» La protesta, nonostante le dimensioni, fu inizialmente pacifica. Una volta raggiunto il municipio di Río Tinto, Tornet, Ordóñez e Serrano, insieme a rappresentanti di altri comuni limitrofi, iniziarono una riunione col sindaco e la giunta comunale per esporre le proprie richieste e porre fine alla dannosa emissione dei fumi tossici. La situazione, fino a quel momento, era molto tranquilla, ma precipitò improvvisamente con l’arrivo del governatore di Huelva Agustín Bravo y Joven che, spinto dal direttore della miniera William Rich, si diceva contrario a qualsiasi decisione presa da quel gruppo di persone. Detto ciò, uscì sul terrazzo del municipio ed invitò i manifestanti a disperdersi minacciandoli di usare la forza. Improvvisamente, senza sapere da chi ricevettero l’ordine, i soldati iniziarono a sparare sulla folla che, presa dal panico, iniziò a fuggire senza prestare attenzione a morti e feriti. Ancora oggi non vi è una lista ufficiale di vittime di quella terribile giornata: c’è chi parla di poco più di una dozzina di vittime e chi addirittura di centinaia di morti, molti dei quali mai scoperti perché gettati nelle macerie dai soldati. Molte persone, inoltre, morirono a casa, non potendo farsi curare negli ospedali perché ciò avrebbe dimostrato la loro presenza alla manifestazione. La vicenda colpì tutta la Spagna e anche dai giornali locali si evinceva una mancanza di chiarezza sui fatti avvenuto

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