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Riflettere sulla lingua nelle classi multilingui: il ruolo delle lingue di casa degli alunni

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23 July 2021

AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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Riflettere sulla lingua nelle classi multilingui: il ruolo delle lingue di casa degli alunni

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Riflettere sulla lingua nelle classi multilingui:il ruolo delle “lingue di casa” degli alunni.

Silvia Sordella

Università di Torino - Giscel Piemonte

1. Introduzione

Le riflessioni e i dati che si presenteranno in questo contributo provengono da un lavoro di ricerca sugli atteggiamenti degli insegnanti della scuola primaria verso il plurilinguismo e verso la possibilità di utilizzare anche le varie “lingue di casa” degli alunni per lo sviluppo di competenze metalinguistiche. Verranno illustrati alcuni risultati rispetto alla disposizione degli insegnanti a reperire informazioni sul repertorio linguistico dei propri alunni, alla valutazione del plurilinguismo come ostacolo e/o come risorsa per l’apprendimento e all’individuazione, nella propria esperienza didattica, di azioni di valorizzazione delle competenze plurlingui. Si focalizzerà l’attenzione sul riconoscimento della possibilità di valorizzare quell’attitudine naturale a compiere dei confronti interlinguistici che si rivela particolarmente negli individui plurilingui (Bialystok / Craig / Gigi 2012: 3) e che Wandruszka e Paccagnella (1974) riconducono in modo particolare al ragionamento sulle “analogie e anomalie” tra i vari sistemi linguistici.

I resoconti scritti a cui si farà riferimento riflettono delle attività o delle situazioni didattiche che sono state espresse soprattutto in forma narrativa e con un livello di analisi che spesso non fornisce molti particolari. Attraverso l’analisi di questi materiali è possibile, tuttavia, tracciare i contorni di un approccio didattico al plurilinguismo che, una volta reso più consapevole e sistematico, potrebbe rivelarsi particolarmente funzionale nei contesti didattici in cui l’italiano rappresenta la “lingua di contatto” rispetto alla varietà delle lingue o dei dialetti parlati a casa dagli alunni (Vedovelli 2002: 171-174).

2. L’educazione plurilingue nelle Indicazioni Nazionali del 2012

Il ruolo delle lingue di origine degli alunni nell’educazione linguistica acquisisce un riconoscimento istituzionale nelle “Indicazioni Nazionali per la costruzione del curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”1. In questo documento ministeriale, entrato in vigore nel 2012, si guarda innanzitutto alla presenza degli alunni stranieri nelle classi non come emergenza a cui far fronte, ma come “fenomeno ormai strutturale” il quale “non può più essere considerato episodico”. Si afferma, anzi, che l’eterogeneità linguistica e culturale che caratterizza molte classi della scuola italiana “deve trasformarsi in un’opportunità per tutti” (MIUR 2012: 9), auspicando cioè che le differenze relative alle competenze linguistiche degli alunni non si trasformino in disuguaglianze di opportunità, ma che agiscano come risorse per la crescita e l’apprendimento. Per raggiungere questo obiettivo, l’attenzione al retroterra sociolinguistico di ciascun alunno è posta dalle Indicazioni Nazionali come la condizione necessaria per la realizzazione di un’educazione linguistica efficace, a breve e a lungo termine.

La cura costante rivolta alla progressiva padronanza dell’italiano implica, dunque, che l’apprendimento della lingua italiana avvenga a partire dalle competenze linguistiche e comunicative che gli allievi hanno già maturato nell’idioma nativo e guardi al loro sviluppo in funzione non solo del

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miglior rendimento scolastico, ma come componente essenziale delle abilità per la vita. (MIUR 2012: 28)

Le Indicazioni Nazionali riconoscono il plurilinguismo sia come elemento di sistema, caratterizzante la società e la scuola italiana sia come un’opportunità di sviluppo cognitivo e linguistico, realizzata innanzitutto attraverso il confronto tra le persone, con le loro diverse espressioni culturali e linguistiche. L’educazione plurilingue e pluriculturale occupano, nel curricolo, un ruolo centrale nello sviluppo di competenze trasversali imprescindibili. Infatti, si dice che “all’alfabetizzazione culturale e sociale concorre in via prioritaria l’educazione plurilingue e interculturale”. A questo proposito, in un altro punto, si fa riferimento al successo scolastico, oltre che alla valorizzazione identitaria: “L’educazione plurilingue e interculturale rappresenta una risorsa funzionale alla valorizzazione delle diversità e al successo scolastico di tutti e di ognuno ed è presupposto per l’inclusione sociale e per la partecipazione democratica” (MIUR 2012: 25).

E, in quest’ottica, l’attenzione al patrimonio plurilingue degli allievi non appare in contrasto con lo sviluppo delle competenze nella lingua italiana. Si afferma infatti che “è responsabilità di tutti i docenti garantire la padronanza della lingua italiana, valorizzando al contempo gli idiomi nativi e le lingue comunitarie. Così intesa, la scuola diventa luogo privilegiato di apprendimento e di confronto libero e pluralistico” (MIUR 2012: 26).

Questo non significa soppiantare le tradizionali forme di riflessione sulla lingua basate sull’italiano, ma integrarle con occasioni di confronto interlinguistico con cui si arrivi ad individuare somiglianze e differenze con cui le diverse espressioni linguistiche veicolano le funzioni di base della lingua.

Alle attività didattiche finalizzate a far acquisire all’alunno la capacità di usare la lingua, il docente affiancherà gradualmente attività di riflessione per far riconoscere sia le convenzioni in uso in una determinata comunità linguistica, sia somiglianze e diversità tra lingue e culture diverse, in modo da sviluppare nell’alunno una consapevolezza plurilingue e una sensibilità interculturale (MIUR 2012: 37).

Dati gli orizzonti delineati dalle Indicazioni Nazionali e la necessità di creare nella scuola le condizioni per le quali possa veramente attuarsi un’educazione plurilingue e pluriculturale, diventa essenziale cercare di conoscere gli atteggiamenti degli insegnanti verso il plurilinguismo dei loro alunni. Il modo con cui essi si pongono di fronte alla varietà di lingue che, oltre all’italiano, sono presenti nelle loro classi rappresenta un punto di partenza su cui far leva per innescare processi di cambiamento che non si fermino alla superficie - come progetti che nascono e muoiono nell’arco di un anno - ma che intacchino la profondità della concezione stessa dell’educazione linguistica.

3. La ricerca sugli atteggiamenti degli insegnanti: approccio teorico e metodologico

3.1. Un modello di atteggiamenti

L’oggetto specifico della ricerca, di cui si analizzeranno alcuni risultati, è rappresentato dagli atteggiamenti degli insegnanti della scuola primaria verso il ruolo del plurilinguismo nell’educazione linguistica. Questa scelta specifica implica una concezione peculiare degli atteggiamenti che guarda alla posizione dei soggetti non orientata verso degli oggetti linguistici - come possono essere le lingue o i dialetti degli alunni - ma verso le implicazioni che possono avere nella didattica. Non sono stati indagati, cioè, gli “atteggiamenti linguistici” che, secondo la definizione di Berruto (2007, p. 91), riguardano “lingue, varietà di lingua e comportamenti

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linguistici, o che hanno comunque a che fare con una comunità parlante”, ma atteggiamenti che riguardano la valenza didattica del plurilinguismo.

La costruzione dello strumento di rilevazione e la successiva analisi dei dati si sono basate su un modello teorico degli atteggiamenti in cui la dimensione conoscitiva, quella valutativa e quella comportamentale risultano integrate in un sistema di credenze che orientano i soggetti verso il raggiungimento di determinati obiettivi e sono connotate da determinati aspetti di natura affettiva (Kruglanski / Stroebe 2014). È stato dunque elaborato un questionario, in modo tale da far emergere quante più informazioni possibili sulle diverse dimensioni degli atteggiamenti degli insegnanti verso il plurilinguismo e verso le sue implicazioni nella didattica.

Per indagare gli aspetti conoscitivi, è stato effettuato un confronto tra la percezione delle “lingue di casa” fotografata dal questionario alunni e la percezione del repertorio linguistico della classe emersa dal questionario insegnanti. La dimensione valutativa emerge attraverso posizioni di conferma, negazione o di incertezza, assunte dagli insegnanti rispetto ad una serie di affermazioni e motivate in molti casi attraverso dei commenti.

3.2. La rilevazione dei dati

L’intento di indagare gli atteggiamenti degli insegnanti si è sviluppato a partire da una serie di interrogativi, sorti nell’ambito della collaborazione per l’indagine sociolinguistica condotta da Marina Chini, dell’Università di Pavia, e da Cecilia Andorno, dell’Università di Torino, sulle lingue e sugli usi linguistici degli alunni di origine immigrata in Lombardia e in Piemonte2. A fronte di un repertorio linguistico tanto ampio ed articolato, come quello che emergeva dalle dichiarazioni degli alunni, ci si chiedeva quale percezione ne avessero i loro insegnanti, se lo considerassero una risorsa oppure un ostacolo per l’apprendimento e se vedessero nella loro pratica didattica delle azioni concrete di valorizzazione delle varie lingue di cui gli alunni plurilingui sono portatori.

Il campo di indagine per la ricerca sugli atteggiamenti è stato dunque concepito per poter confrontare la percezione degli alunni plurilingui con quella dei loro insegnanti. Rispetto alla totalità dei soggetti coinvolti nell’indagine sociolinguistica, si è scelto di prendere in considerazione i dati relativi al territorio della regione Piemonte e alle classi quarta e quinta della scuola primaria. Hanno compilato il questionario sugli atteggiamenti 150 insegnanti, che lavoravano nelle classi frequentate dai 535 alunni i quali avevano precedentemente compilato il questionario sociolinguistico.

Le rilevazioni per la parte piemontese dell’indagine sociolinguistica sono state effettuate durante l’anno scolastico 2012-2013 mentre la ricerca sugli atteggiamenti degli insegnanti è stata condotta tra la primavera e la fine del 2013 attraverso la somministrazione di un questionario, l’approfondimento di determinate tematiche mediante una serie di interviste e diversi momenti di osservazione in alcune classi.

Il questionario sugli atteggiamenti è articolato in tre sezioni relative alle diverse dimensioni degli atteggiamenti che si intendevano indagare. La costruzione di questo strumento di rilevazione ha rappresentato una parte fondamentale del percorso di ricerca, soprattutto per quanto riguarda la parte relativa alla dimensione valutativa. Infatti, per riuscire a cogliere anche quegli aspetti che avrebbero potuto sfuggire alle ipotesi di ricerca, si è cercato infatti di elaborare i vari item partendo dalle tematiche messe in gioco dagli insegnanti stessi. In questo modo si è cercato di far emergere gli atteggiamenti in un contesto ristretto di insegnanti, per poi verificarne l’incidenza ed ampliarne la prospettiva nell’ambito dell’intero campo di ricerca considerato.

A questo scopo sono stati condotti due incontri che hanno coinvolto due gruppi di insegnanti attraverso l’approccio metodologico del focus group (Cavazza 2005: 82). Sono stati individuati due

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contesti che rispecchiavano due realtà sociali e scolastiche potenzialmente molto diverse: quella di una zona metropolitana con forte presenza di alunni immigrati e quella di una zona rurale pedemontana dove gli alunni stranieri erano presenti nelle classi in numero ridotto. In entrambi gli incontri si è cercato di focalizzare la conversazione su una domanda-stimolo elaborata in modo tale da far emergere l’eterogeneità del repertorio linguistico di cui sono portatori gli alunni, estremizzando la dualità dei contesti “casa” e “scuola” e proponendo in modo ipotetico un loro ruolo nei processi di apprendimento. Si è chiesto cioè agli insegnanti: “Quale ruolo possono avere a scuola le lingue parlate a casa dai vostri alunni?”.

I materiali conversazionali ricavati dai due focus group sono stati analizzati attraverso un sistema si etichettatura a stadi progressivi che ha permesso di individuare temi e sotto-temi sulla base dei quali sono state costruite delle affermazioni-stimolo. Tra queste sono poi stati selezionati gli item del questionario articolati in due batterie e riportati di seguito.

Il fatto che gli alunni parlino anche una lingua diversa dall’italiano...

1. li fa rallentare nell’apprendimento delle discipline

2. provoca dei problemi simili a quelli di coloro che una volta parlavano dialetto in casa 3. crea in loro un senso di fierezza

4. li porta ad avere un lessico più ricco

5. crea maggiori difficoltà quando la loro lingua è molto diversa dall’italiano 6. li aiuta a riflettere sulle strutture della lingua

7. crea confusione in questi bambini

8. provoca dei problemi a comprendere i linguaggi più ricercati 9. è causa di molti errori di ortografia

10. rende più facile apprendere altre lingue

11. li induce a tradurre direttamente le frasi, con la struttura della loro lingua

12. fa sì che i genitori seguano in modo inadeguato i bambini nei compiti e nello studio 13. ostacola il loro processo di apprendimento dell’italiano

14. fa sì che parlino la loro lingua tra connazionali, per non farsi capire dagli altri o dall’insegnante

Insegnare in una classe multilingue...

1. aumenta le difficoltà nell’insegnare l’italiano alla classe

2. fa sì che i bambini con la stessa lingua di origine si aiutino tra di loro in modo produttivo 3. induce l’insegnante a parlare con un linguaggio semplificato, per farsi capire da tutti 4. porta ad un impoverimento del lessico per tutta la classe

5. favorisce la riflessione linguistica, se si lavora con gruppi di bambini aventi la stessa lingua di origine 6. è come fino a poco tempo fa, quando molti bambini provenivano da regioni diverse e parlavano dialetti diversi

7. permette di riflettere sulla lingua confrontando le diverse lingue degli alunni 8. può creare delle occasioni per aiutare tutti gli alunni a riflettere sugli errori

9. è un problema, perché l’insegnante non può conoscere tutte le lingue di origine dei bambini 10. rallenta il ritmo di apprendimento della classe

4. Alcune riflessioni sugli atteggiamenti degli insegnanti

Si presenteranno ora alcuni risultati della ricerca condotta, focalizzando gli aspetti che rispecchiano la disponibilità o meno a valorizzare il plurilinguismo degli alunni sul piano didattico e portando all’attenzione le situazioni in cui vengono raccontate alcune pratiche di educazione plurilingue e pluriculturale.

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4.1. La conoscenza del repertorio linguistico della propria classe

Per indagare la dimensione conoscitiva degli atteggiamenti si è voluto rilevare quali informazioni avessero gli insegnanti rispetto al repertorio linguistico dei loro alunni, sia nel contesto famigliare sia nel contesto scolastico. A tale scopo, nel questionario rivolto agli insegnanti è stata formulata una richiesta in modo analogo a quella che era stata rivolta a suo tempo agli alunni rispetto alle lingue e ai dialetti parlati a casa e a scuola. In fase di analisi, i dati ricavati dal “questionario alunni” e dal “questionario insegnanti” sono stati confrontati, in modo da individuare le diverse situazioni in cui la percezione dei due gruppi di soggetti coincideva, si differenziava per alcuni aspetti oppure divergeva totalmente.

I casi in cui gli insegnanti hanno nominato le stesse lingue dichiarate dai loro alunni raggiungono una percentuale del 68,4% sul totale dei confronti effettuati, il 7,1% dei casi riguarda invece le situazioni in cui si è verificata una coincidenza parziale tra le dichiarazioni degli alunni e dei loro insegnanti, mentre solamente per il 24,5% dei casi confrontati non sono state nominate le lingue o i dialetti dichiarati dai loro alunni.

Analizzando nel dettaglio i dati confrontati, si può osservare una difficoltà progressiva da parte degli insegnanti a riconoscere tutte le lingue della propria classe, man mano che aumentano quelle dichiarate dagli alunni stessi; quando tuttavia le lingue da riconoscere risultano più di quattro o cinque, si verificano dei casi in cui gli insegnanti le sanno nominare tutte, anche quando si tratta, ad esempio, di otto lingue diverse.

Considerando le lingue che vengono maggiormente riconosciute dagli insegnanti, si osservano dei casi specifici in cui gli insegnanti individuano nel repertorio linguistico dei loro alunni anche degli idiomi poco consueti. Nominano, ad esempio, delle lingue africane a diffusione locale come il bissa3 o il beti (Biloa / Echu 2008: 201), anche se a volte utilizzano denominazioni improprie.

4.2. La valutazione del plurilinguismo degli alunni, nelle sue implicazioni didattiche

L’analisi dei risultati relativi ai 24 item del questionario ha prodotto un quadro analitico delle valutazioni degli insegnanti, rispetto a varie implicazioni del plurilinguismo nella didattica.

Attraverso un procedimento di cluster analysis (Barbaranelli 2006: 207) sono stati individuati su base statistica tre gruppi di insegnanti che avevano effettuato, in una certa misura, analoghe valutazioni. Il gruppo più numeroso degli insegnanti (45,3%) risulta essere accomunato da un atteggiamento di fiducia verso il plurilinguismo come risorsa. Un altro gruppo (28,0%) è caratterizzato da un forte peso attribuito agli aspetti problematici, riconoscendo comunque le potenzialità del plurilinguismo. Infine, il gruppo meno numeroso di insegnanti (26,7 %) mostra un maggiore scetticismo rispetto alle valenze didattiche del confronto interlinguistico e pare riconoscere in modo limitato le difficoltà legate al plurilinguismo.

A titolo esemplificativo, nel grafico che segue, si possono osservare le valutazioni effettuate dai tre gruppi rispetto a quattro affermazioni-stimolo che presentano alte discrepanze tra i gruppi: le prime due valutazioni rappresentano il plurilinguismo come fattore problematico per l’apprendimento, mentre le altre due considerano il fatto che gli alunni parlino anche lingue diverse dall’italiano come una risorsa per stimolare in classe processi di riflessione metalinguistica, sotto la guida dell’insegnante.

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Figura 1

Osservando i dati del grafico, si può notare che il gruppo di insegnanti accomunati da un atteggiamento di “preoccupazione” evidenzia maggiormente i problemi rispetto alle risorse offerte dal plurilinguismo, senza comunque sottovalutarle. Il gruppo che è stato definito “dei più scettici” sembra minimizzare gli aspetti problematici, ma allo stesso tempo non dimostra di riconoscere le potenzialità didattiche del plurilinguismo. Infine, nel gruppo che appare caratterizzato da un atteggiamento generale di “fiducia”, prevalgono nettamente le valutazioni che confermano la possibilità di sviluppare le competenze metalinguistiche a partire dalle risorse degli alunni plurilingui.

4.3. La dimensione comportamentale degli atteggiamenti verso il plurilinguismo

Nell’ultima parte del questionario si chiedeva agli insegnanti se, durante le proprie lezioni, capitasse a volte di far utilizzare agli alunni le proprie “lingue di casa”.

Pur sapendo che le dichiarazioni relative ai comportamenti non dipendono necessariamente dalle valutazioni dei soggetti rispetto all’oggetto degli atteggiamenti, i dati relativi alla dimensione valutativa sono stati messi a confronto con la dichiarazione effettuata dagli insegnanti rispetto allo svolgimento o meno di attività che valorizzano il plurilinguismo sul piano didattico. Il confronto dei dati permette di fare alcune considerazioni di ordine generale.

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Considerando il grafico sopra riportato, si osserva, innanzitutto, una leggera prevalenza degli insegnanti che dichiarano di svolgere attività in cui vengano valorizzate le risorse relative alla condizione plurilingue dei loro allievi. Tra questi, i più numerosi risultano coloro che avevano effettuato valutazioni maggiormente ascrivibili ad un atteggiamento di fiducia verso le potenzialità del plurilinguismo, sia sul piano dell’apprendimento sia sul piano dell’insegnamento. Pur mettendo maggiormente gli svantaggi derivanti dalla condizione plurilingue, gli insegnanti che avevano mostrato un atteggiamento di maggior preoccupazione si rivelano invece propensi, sul piano comportamentale, a mettere in atto azioni di valorizzazione delle competenze plurilingui dei propri alunni. Infine, si può osservare come coloro che avevano mostrato un certo scetticismo verso i vantaggi del plurilinguismo - ma non avevano evidenziato in modo particolare le problematiche relative all’apprendimento – risultano anche in numero minore rispetto alla dichiarazione di valorizzare il plurilinguismo nella pratica didattica.

Si potrebbe concludere, quindi, che una maggior attitudine ad evidenziare le problematiche relative alla condizione plurilingue e al fatto di insegnare in classi con forte presenza di alunni stranieri non significhi, di per sé, rinunciare a valorizzare nella quotidianità della vita scolastica le competenze linguistiche di questi alunni.

5. Le modalità con cui vengono utilizzate a scuola le “lingue di casa” degli alunni

I dati relativi alle attività di valorizzazione del plurilinguismo sono stati analizzati con un approccio qualitativo che ha portato ad individuare alcune modalità con cui sono state utilizzate a scuola le varie “lingue di casa” degli alunni. Di seguito verranno presentate alcune riflessioni sugli atteggiamenti degli insegnanti espressi nei loro risvolti esperienziali.

5.1. Tradurre delle espressioni della “lingua di scuola” nella propria “lingua di casa”

Tra le attività descritte dagli insegnanti nel questionario, si possono riscontrare delle situazioni in cui le varie “lingue di casa” degli alunni entrano in classe attraverso la traduzione dall’italiano di determinate espressioni quali «alcuni termini nella loro lingua madre», «semplici traduzioni di vocaboli corrispondenti all’italiano» oppure «piccole frasi, parole, motti, regole, usanze». Queste traduzioni, si legge nelle descrizioni, sarebbero prevalentemente innescate da domande spontanee con le quali si richiede a un alunno straniero «come si dice» una certa espressione nella sua lingua, «come si pronuncia un termine nella loro lingua o se esiste quel modo di dire».

La motivazione che viene maggiormente addotta per spiegare le ragioni di tali richieste è la curiosità, un atteggiamento che, almeno in potenza, potrebbe creare le condizioni per le quali ciascun alunno senta di poter portare qualcosa di sé nel contesto scolastico. Un insegnante scrive, ad esempio: «mi piace chiedere loro come si dicono certe parole, mi incuriosisce. Adoro lo scambio linguistico, il quale ne ingloba molti altri».

La curiosità, ad esempio, porta a chiedere agli alunni plurilingui delle informazioni sulla lingua parlata a casa, ma non è detto che si riescano sempre a cogliere le opportunità didattiche derivanti dalla capacità di questi alunni di tradurre delle espressioni da una lingua all’altra, come nell’esempio che segue. «A volte, per curiosità, abbiamo tradotto parole semplici in rumeno una lingua simile alla nostra, ma io non insegnando italiano lavoro poco con l’italiano e non approfondisco».

Oltre alla curiosità per le lingue degli altri, alcuni insegnanti motivano la richiesta di tradurre dei termini nella propria lingua di origine con il desiderio di favorire l’integrazione degli alunni stranieri nel gruppo classe. Si legge in uno dei resoconti: «A volte, per una migliore integrazione ho

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invitato gli alunni ad esprimersi nella loro lingua traducendo alcuni messaggi legati alle varie attività».

Queste motivazioni di tipo sociale emergono anche nel desiderio di offrire agli alunni stranieri delle occasioni di protagonismo. È il caso del brano seguente in cui un insegnante di religione cattolica coinvolge, in alcuni momenti delle sue lezioni, anche gli alunni che non si avvalgono di tale insegnamento.

«In alcune occasioni i bambini sono invitati a spiegare al resto della classe le loro tradizioni di origine, il significato di alcune feste e i termini specifici delle loro religioni (di solito sono bambini che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica e vengono invitati in veste di "esperti"). Il mio obiettivo è quello di dare loro la possibilità, almeno per una volta, di essere loro ad insegnare qualcosa ai compagni».

Se, in casi come questo, l’integrazione degli alunni stranieri potrebbe apparire come la ricerca di soluzioni ad una situazione di esclusione sociale, in altri contesti prevale un carattere di prevenzione e la proposta di traduzione non appare rivolta solo agli alunni stranieri, ma a tutti gli alunni in quanto portatori, a vario titolo, di elementi di diversità. Ad esempio, nel brano seguente, si parte da un lavoro di geografia in cui ciascuno è coinvolto nell’individuazione delle proprie “radici geografiche”; la traduzione di parole nella propria lingua di origine sicuramente riguarda soprattutto gli alunni di origine straniera, ma avviene in un contesto in cui ciascuno è chiamato a mettere in gioco le proprie “diversità”, più o meno evidenti.

«È stato fatto un lavoro di geografia individuando i Paesi e le Regioni d’origine di tutti. Inoltre hanno fatto vedere i caratteri della loro scrittura e hanno tradotto il nome degli oggetti presenti in classe nelle loro lingue. Il lavoro è stato svolto con l’intero gruppo classe e i bambini erano molto interessati. Gli obiettivi erano le conoscenze di altre culture, il contatto diretto con altre lingue e il rispetto delle diversità».

Gli obiettivi di quest’attività si possono condensare in tre parole: “conoscenza”, “contatto” e “rispetto” e si accordano con la concezione di “interculturalità” formalizzata dal Consiglio d’Europa nella “Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli, per un’educazione plurilingue e pluriculturale” (COE 2010: 23-24).

L’interculturalità designa la capacità di fare l’esperienza dell’alterità culturale e di analizzare questa esperienza. La competenza interculturale così intesa e se correttamente sviluppata permette di meglio comprendere l’alterità, di stabilire relazioni cognitive e affettive tra gli apprendimenti e le conoscenze e ogni altra nuova esperienza dell’alterità, di svolgere una funzione mediatrice tra i membri di due o più gruppi sociali e le loro culture e di mettere in discussione i presupposti del proprio gruppo culturale e del proprio contesto ambientale.

Prendendo sempre in considerazione quelle attività in cui gli insegnanti hanno fatto riferimento alla traduzione di determinate espressioni dalla propria lingua di origine all’italiano, si può individuare, in certi casi, anche l’oggetto delle traduzioni.

Si fa riferimento, ad esempio, ad un «lavoro sul lessico: la parola detta in italiano viene detta nella loro lingua». In altri casi sarebbero i concetti relativi alle discipline di studio a transitare da una lingua all’altra: «In classe utilizziamo le ‘lingue di casa’ in modo ‘informale’ quando si discute di storia e di geografia, traducendo termini o espressioni in albanese, rumeno che sono le lingue meglio conosciute dai miei alunni stranieri e a volte in arabo».

Le modalità di questo lavoro non sono tuttavia specificate, mentre nel brano seguente si cercano, nelle diverse lingue, le corrispondenze con i termini specifici oggetto di studio.

«Ho fatto utilizzare, talvolta, le lingue "di casa" per coinvolgere maggiormente questi alunni nelle attività di storia e geografia (ad esempio montagna nella tua lingua si dice…) e nello stesso tempo

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incuriosire gli altri bambini. In religione ho fatto utilizzare lingue "di casa" per descrivere alcuni aspetti della loro religione e delle loro festività o abitudini di vita (cibo, abbigliamento...)».

Sempre per quanto riguarda il livello lessicale della lingua, nell’ambito dell’insegnamento della matematica, un insegnante riferisce che, con i suoi alunni, si individuano nelle varie lingue i «modi per indicare figure e numeri», mentre un altro cita un lavoro svolto sul riconoscimento e sull’espressione delle emozioni attraverso i colori, in cui si chiede ai bambini plurilingui di tradurre «i nomi dei colori e delle emozioni» nelle loro lingue di origine.

Anche i momenti conviviali, d’altra parte, possono diventare l’oggetto di insegnamenti trasversali alle discipline come l’«educazione alla convivenza democratica».

In uno dei resoconti raccolti, partendo da situazioni di gioco, si arriva alla scrittura di «regole espresse in più lingue». Lo stesso insegnante cita poi un progetto di «competenza di cittadinanza» denominato «Noi cittadini del mondo» in cui sono stati tradotti nelle varie lingue di origine degli alunni «saluti, abitudini, traduzione di canti». Si fa inoltre riferimento a diverse occasioni, come « i compleanni, le feste, il canto», in cui alcune parole o frasi vengono tradotte «in tutte le lingue della classe». Non è specificato, tuttavia, se le «abitudini di famiglia» come «narrazione, preparazione tè, ricette tradizionali», con cui termina il resoconto, riguardino le famiglie di tutti gli alunni o solo quelle degli alunni stranieri. Si fa indica infatti la «L1» come mezzo per condividere la «conoscenza di semplici nomi», attraverso la compilazione di una «tabella con traduzione di quanto registrato in italiano». Non è chiaro se, al di là della condivisione nel gruppo classe, il confronto tra le lingue preveda altri obiettivi.

Se le motivazioni per le quali certi insegnanti incoraggiano gli alunni stranieri a mostrare ai loro compagni «come si dice» una determinata parola o frase nella propria lingua di origine appaiono dettate dal desiderio di favorire il loro «star bene» con se stessi e con gli altri, ma non sempre gli alunni stranieri traggono dei benefici da queste situazioni di sovra-esposizione. Nel seguente esempio si può riscontrare questo tipo di osservazione: «Gli alunni di provenienza polacca e portoghese esprimono timidezza e titubanza nella traduzione nella loro lingua madre, pur parlandola quotidianamente a casa!»

Risulta pertanto difficile, a volte, riuscire a capire se determinati comportamenti di reticenza nel mettere in gioco la lingua di origine della propria famiglia riflettano una mancanza di competenza attiva in questa lingua oppure manifestino un atteggiamento di difesa, in rapporto a un sentimento di identità che si sta cercando faticosamente di ristrutturare, alla luce del nuovo contesto sociale. Non sempre, infatti, sentirsi posti “sotto i riflettori” aiuta ad inserirsi in modo sereno in un gruppo di coetanei.

5.2. Dirlo nella propria “lingua di casa” e tradurre poi nella “lingua di scuola”

Nelle attività illustrate dagli insegnanti si fa anche riferimento a determinate occasioni in cui, a scuola, i bambini o i loro genitori sono chiamati ad esprimersi direttamente nella lingua che utilizzano in casa, raccontando fiabe, recitando dei proverbi, dei modi di dire, delle poesie o cantando delle canzoni. Ad esempio, si racconta che «sono stati strutturati dei momenti in cui alunni stranieri o i loro genitori hanno letto o raccontato nella loro lingua madre» e che, per far comprendere ai compagni e all’insegnante il contenuto di ciò che hanno detto, viene poi effettuata la traduzione in italiano.

Si potrebbe dire che le diverse “lingue di casa” vengono utilizzate in classe come veicolo di elementi culturali. La traduzione assume, in questi casi, un ruolo essenziale e porta ad uno sbilanciamento naturale dei ruoli di “esperto” e “fruitore”, per il fatto che gli alunni che non conoscono una determinata lingua sentono il bisogno di comprendere ciò che è stato narrato.

Questo tipo di lavoro risulta particolarmente efficace allorquando vengano coinvolti tutti gli alunni e tutte le famiglie: se il desiderio di conoscere “le storie degli altri” è più o meno facilmente appagato attraverso l’ascolto della narrazione nella lingua o nei dialetti della penisola italiana, nei

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casi in cui la narrazione avviene in una lingua straniera l’aspetto linguistico rappresenta un ostacolo da superare e, in questi casi, gli alunni plurilingui assumono in modo naturale il ruolo di esperti linguistici. Ad esempio, scrive un insegnante: «È stato fatto un lavoro di geografia individuando i Paesi e le Regioni d’origine di tutti. Sono state analizzate le peculiarità del Paese e gli usi e i costumi. Sono stati invitati i parenti (genitori o nonni) che hanno raccontato le fiabe tipiche, ricette e costumi».

Non è più quindi solo la forma linguistica a destare interesse, ma la conoscenza di altri aspetti culturali come possono essere le fiabe, i proverbi o le ricette dei cibi degli altri popoli.

Nel resoconto riportato di seguito si fa riferimento ad un’esperienza di apprendimento che utilizza alcune modalità organizzate proprie del cooperative learning (Johnson / Johnson / Holubec 2008). In base a questo approccio, l’insegnante organizza il lavoro di gruppo perché si crei tra gli alunni una condizione di “interdipendenza positiva”: per poter utilizzare in modo corretto diversi sistemi di numerazione, tutti i membri del gruppo hanno bisogno di conoscere come funzionano, ad esempio, quella araba e quella cinese. Mettendo in gioco le competenze peculiari di ciascun individuo per la riuscita del gruppo, questo approccio si presenta come lo sfondo didattico “naturale” per la valorizzazione delle diversità linguistiche presenti in classe.

«La prima parte del lavoro è stata collettiva, con la presentazione dei vari tipi di numerazione (uso della L.I.M.4). Attività in piccolo gruppo con cooperative learning: “gruppo casa” con la supervisione

del bambino di lingua araba che suggeriva segni e significati. Alla fine dell’attività tutti i bambini avevano conosciuto alcuni segni del mondo arabo, avevano usato correttamente le due numerazioni (romana, araba) in esercizi preparati dall’insegnante».

Se il compito richiesto al gruppo è di utilizzare in modo corretto un sistema di numerazione oppure se si tratta di rispondere a delle domande di comprensione rispetto ad un brano scritto in una lingua straniera, le competenze linguistiche dell’alunno che conosce questa lingua vengono valorizzate in quanto essenziali per raggiungere l’obiettivo di gruppo e non solamente come elemento di curiosità.

5.3. Confrontare la “lingua di casa” e la “lingua di scuola”

Nell’ambito delle attività descritte, gli insegnanti fanno anche riferimento a situazioni in cui il confronto tra diverse lingue innesca dei processi di riflessione metalinguistica. Queste testimonianze, tuttavia, non forniscono molti dettagli sulle modalità di svolgimento delle attività e si potrebbe pensare che gli insegnanti esprimano tuttalpiù un’“intenzione comportamentale” rispetto ad una possibilità didattica.

In molti dei casi analizzati, si osserva un riferimento generico ad attività di confronto tra le lingue, senza tuttavia che venga specificato l’oggetto della riflessione o le modalità di lavoro

Nel resoconto che segue, viene descritto nel dettaglio il percorso con si arriva ad operare con gli alunni il confronto interlinguistico, ma si fa solamente un cenno generico all’individuazione di somiglianze e differenze. Non è chiaro, infatti, come questa attività di scoperta porti a conoscere le «principali caratteristiche» delle lingue messe a confronto e, soprattutto, quali possano essere queste caratteristiche.

«Per far utilizzare agli alunni le loro “lingue di casa”, si possono svolgere delle attività di gruppo che consistono nell’individuare un argomento, una tematica quali, ad esempio, le festività o le proprie tradizioni e attraverso le quali sia i bambini italiani sia i bambini stranieri possono esprimere le proprie opinioni. In questo modo l’intera classe può operare un confronto tra le diverse lingue e conoscerne le

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somiglianze o le differenze e le loro principali caratteristiche. Penso che sia importante svolgere questo tipo di attività perché i bambini sono curiosi e quindi sono disponibili a conoscere aspetti o parole diverse dalla propria lingua arricchendo così il proprio bagaglio culturale e linguistico».

In altri resoconti si fanno degli accenni generici ai diversi livelli della lingua su cui viene indirizzato il confronto interlinguistico. Si fa riferimento, ad esempio, all’etimologia delle parole: «termini della lingua italiana che derivano dall’arabo”, «riflessione sulla lingua di origine (neolatino, anglosassone…)», «attività di gruppo, utilizzando dizionari per conoscere l’etimologia di alcune parole».

Per quanto riguarda la morfologia e la sintassi, si dice, ad esempio, «usiamo le lingue diverse per confrontare strutture morfo-sintattiche», oppure «si fanno confronti a livello lessicale, di costruzione della lingua, a livello morfologico e sintattico».

Alcuni insegnanti di lingua stranierasostengono che «il vantaggio, durante la lezione di lingua inglese, è quello che tutti i bambini sono “uguali” ed hanno lo stesso livello di conoscenza della lingua». Si dice altresì che «talvolta si possono fare comparazioni tra vocaboli o frasi inglesi e quelli di altre lingue»

Il confronto tra le lingue potrebbe portare inoltre, come testimonia un altro insegnante, a scoprire dei fenomeni di contatto linguistico. Pur non entrando nei dettagli dell’attività, si parla infatti di «attività relative ai prestiti linguistici nascosti e prestiti linguistici visibili».

Anche il confronto tra i diversi sistemi di scrittura sembrerebbe stimolare la riflessione sui rapporti tra il livello fonologico e i grafemi che rappresentano i suoni: «Parlando dell’evoluzione della scrittura dai Sumeri ai giorni nostri, si sono paragonate le varie lingue e scritture di oggi con quelle di allora; inoltre hanno offerto occasione di confronto anche i supporti con cui si scrive e le direzioni di scrittura». È interessante, a questo proposito, rilevare il ruolo che potrebbero assumere i genitori in questo tipo di attività, in quanto esperti naturali della propria lingua, ad esempio «come supporto nei casi in cui i bambini non sapessero scrivere qualcosa nella loro lingua».

5.4. L’uso della “lingua di casa” come “lingua di mediazione”

La lingua di origine degli alunni stranieri assume, in certi casi, una valenza comunicativa legata alle necessità contingenti della vita scolastica. Si tratta, ad esempio, delle situazioni in cui «un bambino straniero che conosce già bene la lingua italiana fa da ‘interprete’ con un bambino ‘nuovo arrivato’ nella scuola (senza conoscenze della lingua italiana)».

In questi contesti, gli alunni plurilingui sono chiamati a fare da «traduttori verso nuovo alunno/a proveniente dallo stesso paese», che possono essere «della stessa classe o di altre». Inoltre, nei resoconti degli insegnanti, si riportano anche delle situazioni in cui i bambini plurilingui sono chiamati a fare «da tramite per le comunicazioni tra scuola e famiglia».

Il ruolo che le competenze plurilingui assumono nel facilitare la comunicazione con altri alunni o con i propri genitori va, tuttavia, considerato da più punti di vista. Non si può negare infatti che le situazioni dove l’italiano non può essere utilizzato per comunicare ostacolano il lavoro stesso degli insegnanti, sia per quanto riguarda la possibilità di veicolare contenuti di apprendimento sia per instaurare rapporti di collaborazione educativa con le famiglie. Queste situazioni di necessità, tuttavia, non devono mettere in secondo piano le difficoltà emotive che possono crearsi per alcuni alunni stranieri che, padroneggiando l’italiano e la propria lingua di origine, vengono chiamati ad assumere un ruolo che non ha nulla a che fare con quello che viene generalmente attribuito ai propri compagni.

Se il traguardo per la costruzione di un’identità integrata prevede anche l’accettazione e la valorizzazione degli elementi di diversità di ciascuno, certi momenti di questo percorso sono caratterizzati da tendenze all’uniformità che aiutano l’individuo a sentirsi bene nel gruppo. Rispettare questi bisogni naturali è da considerarsi sempre e comunque una priorità e le difficoltà che gli insegnanti si trovano affrontare nella comunicazione con gli alunni neo-arrivati o con le

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famiglie non italofone vanno gestite in un’ottica progettuale che vada al di là delle emergenze. Sia per i colloqui con i genitori sia per il supporto linguistico agli alunni che non conoscono l’italiano sarebbe preferibile far riferimento ai mediatori culturali, figure appositamente formate per questo tipo di interventi, pur riconoscendo la mancanza di fondi di cui le scuole dispongono e le difficoltà organizzative che l’attivazione di queste risorse comporta.

5.5. Il riferimento ad aspetti culturali

Nel questionario si chiedeva agli insegnanti di descrivere “alcuni casi o alcune attività in cui a scuola ha fatto utilizzare ai Suoi alunni le proprie lingue di casa”. Si faceva, cioè, un riferimento esplicito ed esclusivo agli aspetti linguistici senza chiamare in causa la valorizzazione degli elementi culturali. Pur riconoscendo che lingua e cultura risultano sempre strettamente interconnessi, in alcune attività descritte non si riscontrano riferimenti agli aspetti linguistici, ma si parla esclusivamente di religioni, feste, tradizioni o piatti tipici raccontati in lingua italiana, tuttalpiù, con l’utilizzo da parte degli alunni di origine straniera di termini specifici della propria lingua di origine.

Le finalità che emergono da questi resoconti oscillano tra l’intento di favorire il protagonismo di questi alunni e il desiderio di coinvolgere tutto il gruppo classe.

Ancora una volta ci si interroga rispetto agli effetti benefici di una sovra-esposizione della diversità di certi alunni. Il discrimine tra la valorizzazione delle competenze, in questi casi culturali, degli alunni stranieri e la creazione di situazioni di disagio è da ricercare non tanto nel tipo di attività proposte, ma nel modo con cui la classe vive nel quotidiano le varie diversità, di cui tutti gli alunni sono portatori. In un clima di accettazione reciproca, di attenzione verso le peculiarità di ciascuno e di rottura rispetto a dinamiche troppo centrate sull’uniformità verso un certo standard, anche la dicotomia tra italiani e stranieri può passare in secondo piano.

A queste condizioni, tutti gli alunni sono chiamati a portare il proprio contributo di diversità. È il caso, ad esempio, della situazione descritta come segue: «Svolgere delle attività di gruppo che consistono nell’individuare un argomento, una tematica quali, ad esempio, le festività o le proprie tradizioni e attraverso le quali sia i bambini italiani sia i bambini stranieri possono esprimere le proprie opinioni».

Se invece, ancora una volta, si tratta di «rendere protagonisti i bambini stranieri dando loro la possibilità di raccontare ai compagni gli usi, i costumi, i piatti tipici», c’è da chiedersi come possa essere la quotidianità della vita di classe per questi alunni, se tali attività vengono concepite con lo scopo di «dare loro la possibilità, almeno per una volta, di essere loro ad insegnare qualcosa ai compagni».

6. Occasionalità o sistematicità delle attività di valorizzazione del plurilinguismo?

La formulazione della domanda relativa alla dimensione comportamentale degli atteggiamenti era stata concepita in modo da non scoraggiare quegli insegnanti che non avevano progettato interventi didattici particolari, ma che comunque potevano riscontrare, nella quotidianità della vita scolastica, delle occasioni in cui erano state valorizzate le competenze plurilingui dei propri alunni.

In effetti, più della metà dei resoconti analizzati non riguarda attività didattiche specificamente organizzate, ma riporta situazioni in cui le “lingue di casa” degli alunni sono entrate in classe in modo spontaneo ed occasionale.

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Ad esempio, in relazione ai momenti in cui si realizzano queste esperienze, si possono riscontrare espressioni come «quotidianamente», «avviene molto spesso, durante le attività scolastiche», «talvolta», «occasionalmente».

Rispetto alle modalità con cui si innescano queste situazioni, si legge: «è capitato», «mi è successo», «sono i bambini stessi a chiedere», «ci siamo accorti». Tra le motivazioni che vengono menzionate si fa riferimento soprattutto alla curiosità, degli insegnanti stessi o degli alunni. Compaiono inoltre delle forme di attenuazione che mitigano la forza degli enunciati con cui si descrivono le attività didattiche, connotandole come «semplici», attuate «solo per...», che «si possono svolgere” oppure svolte «in modo informale». Da un lato queste espressioni potrebbero essere considerate come indice di poca importanza attribuita alla valorizzazione del plurilinguismo, ma potrebbero anche rivelare delle condizioni di fondo favorevoli alla libera espressione delle varie diversità di cui ciascuno è portatore, tra cui anche il fatto di conoscere altre lingue oltre all’italiano.

7. Conclusioni

La valorizzazione del plurilinguismo, nelle attività rilevate con la ricerca sugli atteggiamenti degli insegnanti, può essere letta come una serie di passaggi graduali verso forme di metalinguisticità riflessiva (Ferreri 2014), stimolate attraverso il confronto interlinguistico.

Partendo dagli aspetti più periferici, la sensibilizzazione alla diversità linguistica, potrebbe innescarsi a partire dalla curiosità per i suoni e i segni grafici delle lingue, potrebbe far leva poi sul bisogno di comprendere alcuni elementi di una lingua per raggiungere un determinato obiettivo di apprendimento (individualmente o in gruppo), arrivare all’individuazione di elementi di somiglianza e differenza tra diverse lingue messe a confronto, per giungere infine alla scoperta del fatto che le forme con cui si realizzano le lingue possono esprimere, in modo diverso, funzioni linguistiche analoghe.

L’analisi dei resoconti delle attività ricavati dai questionari descrive un’attenzione al plurilinguismo ancora lontana dall’essere parte integrante dell’educazione linguistica, così come viene richiesto dalle Indicazioni Nazionali. Essi possono essere letti come indicatori di “intenzioni comportamentali” (Ajzen / Fishbein 2014) che si integrano nel quadro complessivo di atteggiamenti mediamente favorevoli alla valorizzazione del plurilinguismo.

Considerando i risultati della ricerca nella loro globalità, si può concludere che gli insegnanti coinvolti nella ricerca mostrano una discreta consapevolezza del repertorio linguistico dei loro alunni, appaiono prevalentemente fiduciosi verso la possibilità di fare educazione linguistica a partire dalle lingue di origine degli alunni ed intravedono nella pratica didattica delle occasioni per valorizzare le loro competenze plurilingui. Sembrano mancare, tuttavia, gli strumenti professionali per poter passare da un atteggiamento di apertura verso la diversità linguistica, alla capacità di progettare un curricolo in cui il plurilinguismo abbia un ruolo funzionale rispetto allo sviluppo di competenze linguistiche e metalinguistiche.

A questo scopo, il Consiglio d’Europa ha predisposto il “Quadro di Riferimento per gli Approcci Plurali” (COE 2011) per fornire agli insegnanti alcuni strumenti per progettare percorsi educativi e didattici che mettano in gioco più lingue, e non necessariamente le lingue oggetto di studio. Vengono indicati i descrittori delle competenze che si possono sviluppare rispetto a “saperi”, “saper essere” e “saper fare”, attraverso la mobilitazione delle risorse degli alunni stessi. Mediante una banca dati on line, inoltre, è possibile reperire delle attività didattiche progettate secondo quest’ottica.

La valenza principale di questo referenziale consiste nel fatto che il quadro di competenze delineato consente di progettare dei curricoli di educazione plurilingue che sono in linea con la concezione di educazione linguistica propria delle Indicazioni Nazionali del 2012.

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Per progettare interventi di formazione nel campo dell’educazione linguistica, potrebbe essere utile conoscere a fondo gli atteggiamenti degli insegnanti, per fornire loro il supporto e gli strumenti necessari per innescare nelle pratiche di educazione linguistica un cambiamento di prospettiva, per cui il plurilinguismo non rappresenti semplicemente uno svantaggio, ma anche una risorsa, spendibile proprio sul piano dell’apprendimento.

Bibliografia

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